Swissleaks, parla Hervé Falciani: Ecco come i paperoni frodavano il fisco

Carlomagno

di Hervé Falciani per Chiarelettere che ha gentilmente concesso alcuni brani del libro “La cassaforte degli evasori” al Quotidiano Libero

La collaborazione con l’Italia cominciò a metà del 2009, dopo il mio colloquio con il direttore della Dnef, quando era ormai chiaro che le investigazioni in Francia erano state insabbiate. In quel periodo la vicenda dei documenti della Hsbc sequestrati nel mio computer non erano ancora di dominio pubblico e il mio caso, almeno ufficialmente, non esisteva per gli italiani. Lavoravo nel segreto più assoluto con la guardia di finanza, prendendo precauzioni per evitare che qualcuno venisse a conoscenza della mia collaborazione.

Ci trovavamo nelle caserme dove, per ragioni di sicurezza, spesso la notte mi fermavo a dormire. Quando gli incontri avvenivano in un hotel indossavo un cappello per non farmi riconoscere dalle videocamere. I miei spostamenti in Italia erano organizzati dagli uomini con cui collaboravo.

A loro spiegavo come lavorava la banca, mentre aspettavamo di ottenere per via ufficiale, attraverso la richiesta di aiuto giudiziario, le informazioni complete sui conti della Hsbc, ma la Francia ha sempre rifiutato di consegnare all’Italia tutta la documentazione in suo possesso, limitandosi a trasmettere solo i dati relativi ai clienti classificati come italiani.

Hervé Falciani - Swissleaks
Hervé Falciani

Andavo spesso in Italia, soprattutto a Torino, e lavoravo in prevalenza per spiegare agli investigatori i sistemi della banca, fino a quando, dall’inizio del 2010, la guardia di finanza ricevette le prime liste della Hsbc grazie agli accordi di cooperazione amministrativa intemazionale, e allora cominciai a occuparmi anche di quelle informazioni. Poco tempo dopo, la Procura di Torino ebbe i file da Nizza.

Fu in quel periodo che in Italia si parlò per la prima volta della Lista Falciani. Fino a quel momento tutti avevano puntato a ottenere i dati sui clienti, senza occuparsi dei meccanismi, ma il procuratore della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli e l’aggiunto Alberto Perduca erano molto interessati a sapere come funzionava la Hsbc.

A loro ho raccontato molti retroscena del mondo bancario, ma non c’è stata la possibilità di fornire informazioni approfondite sul sistema degli intermediari, attraverso il quale è possibile ricostruire la rete di persone che si muovono intomo alla banca. L’Italia comunque ha avuto più informazioni degli altri paesi. La guardia di finanza ha lavorato intensamente sui dati della lista, e alcuni nomi di clienti della Hsbc di Ginevra sono finiti sui giornali. Tutto si è mosso a un livello informale e segreto ed è stato realizzato un lavoro con i servizi di investigazione su una parte ben precisa dei file della Hsbc. Gli investigatori cercavano soprattutto informazioni sui mafiosi e le hanno trovate.

A metà del 2011 alcuni funzionali dei servizi segreti italiani mi chiesero se i dati contenuti nel cloud, che non erano mai stati diffusi prima di allora, potevano essere utilizzati almeno a livello di intelligence. Mi fecero diverse proposte di lavoro, perché, una volta acquisiti i dati, bisognava sapere come analizzarli, e solo io ero m grado di farlo. Spiegai che avrei potuto continuare ad aiutarli come avevo sempre fatto, senza ricevere uno stipendio.

Il libro edito da Chiarelettere di Falciani e Micuzzi
Il libro edito da Chiarelettere di Falciani e Micuzzi

Non avevo molti soldi, ma lavoravo già all’Inria di Sophia-Antipolis e volevo essere libero di prendere le mie decisioni senza condizionamenti. Soprattutto non mi andava di essere alle dipendenze di un governo. Nonostante la mia disponibilità, l’ipotesi di entrare nel cloud fu abbandonata perché da Roma era arrivato uno stop: quei dati non si potevano ne acquisire ne analizzare. Era la fine dell’estate del 2011. In Italia il premier era Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

L’aspetto problematico della vicenda era che le leggi italiane, a differenza di quelle spagnole, non consentivano l’uso giudiziario di informazioni ottenute attraverso canali non ufficiali. Tuttavia la guardia di finanza ha indagato a lungo sulle banche svizzere ed è riuscita a capire che i conti aperti nella Confederazione potevano essere gestiti anche dall’Italia. Così nell’ottobre del 2009 ha perquisito le filiali italiane di diversi istituti svizzeri sequestrandone il materiale. L’operazione si è svolta contemporaneamente in tutte le sedi. Le banche però non sono mai finite sotto accusa: le indagini si sono indirizzate soltanto sui clienti che hanno depositato i soldi all’estero.

CON WASHINGTON
Nel 2009, quando cominciai a collaborare con l’Italia, fui contattato anche dagli inquirenti statunitensi, che mi proposero di andare a Washington per lavorare con loro. La questione era però complicata dal fatto che in Francia gli americani non trovavano un interlocutore a livello giudiziario per discutere del mio caso, nonostante diverse personalità francesi appoggiassero il mio viaggio negli Stati Uniti. Su questo punto ci fu uno scontro tra favorevoli e contrari. Il problema era come fare in modo che io lavorassi con gli americani restando leale ai francesi. Non volevo rischiare di diventare un nemico per la Francia, perciò decisi di collaborare con gli americani senza alcuna contropartita, restando in Europa.

Gli uomini del dipartimento di Giustizia e dell’Internai Revenue Service, che ricoprivano il ruolo di attachés all’ambasciata statunitense a Parigi ed erano protetti dall’immunità diplomatica, continuarono ad aiutarmi trasmettendomi informazioni che avrebbero potuto essermi utili, ma mi avvisarono: «Watch your back», «guardati le spalle», perché sapevano che ero in pericolo. Nel giugno del 2012, poco prima del rapporto ufficiale del Senato statunitense, il procuratore americano mi disse, riferendosi all’inchiesta sulla Hsbc, che la banca era stata beccata con le mani nella marmellata.

La tenevano in pugno, il che significava che erano m una buona posizione per negoziare. La giustizia negli Stati Uniti è una mercé di scambio, un gioco economico dove qualcuno vince e qualcun altro perde, una partita a poker con una posta in palio altissima. La banca infatti venne multata dal governo americano per una cifra di 1,9 miliardi di dollari, ma nessun dipendente fu condannato. Colpire le persone sarebbe stato come sancire il fatto che un dipendente può andare in galera se esegue gli ordini dei superiori. Così, fino a oggi, solo i lanciatori d’allerta hanno pagato con la prigione.

In fondo gli americani non sono nella condizione di poter condannare nessuno perché anche loro fanno le stesse cose: basta pensare al Delaware, a Miami e agli altri paradisi fiscali presenti negli Stati Uniti. Gli americani conoscevano tutti i segreti della Hsbc e avrebbero potuto mandare in prigione banchieri e top manager. Ma non l’hanno fatto. È stata una sorta di ricatto per indurre la banca ad accogliere le richieste degli Stati Uniti piuttosto che quelle della Svizzera. Agli americani interessa solo impedire che altri paesi possano acquisire la loro stessa forza.

Siamo nel bei mezzo di una guerra economica, ma mettere un dirigente di banca in prigione è rischioso perché è un attentato al sistema. Dire che la Hsbc è too big to jail, troppo grande per essere incriminata, è un modo per proteggere un modello economico e commerciale. Gli americani non hanno nessun interesse a mettere sotto accusa i meccanismi operativi e le transazioni bancarie. Hanno invece interesse a stabilire un accordo che porti loro qualche vantaggio e rafforzi. Non so se si possa parlare di giustizia. Tutto ciò assomiglia più a una trattativa commerciale.

La battaglia degli Stati Uniti contro la Svizzera è dovuta al fatto che gli americani hanno interesse che nel mondo circolino soprattutto capitali in dollari, mentre quelli depo- sitati nelle banche della Confederazione sono in franchi svizzeri. Gli Usa sono già avvantaggiati perché le transazioni intemazionali vengono effettuate con la loro moneta. Quando si negozia in dollari si partecipa all’economia americana e non c’è bisognodi essere negli Stati Uniti per farlo. Un mondo in dollari rappresenta la sicurezza che a decidere e a controllare tutto saranno gli Usa, perché tutti i movimenti avverranno con la loro valuta.

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Può darsi che questa battaglia per la supremazia venga combattuta per non perdere posizioni nei confronti del renminbi, la moneta cinese, e che dunque il vero obiettivo sia la Cina. Ma in questo campo gli americani cercano alleati più che nemici. Hanno interesse a firmare accordi sul commercio perché i cinesi sono molto forti. Dopo aver rivolto alla Hsbc l’accusa pesantissima di aver riciclato i soldi dei narcotrafficanti, gli Stati Uniti hanno incassato la maximulta e poi si sono fermati. Probabilmente hanno stretto un accordo con gli svizzeri sul caso Hsbc, o almeno così mi è sembrato di capire lavorando con i funzionari americani.

Sicché i dirigenti della banca che non avevano dichiarato alle autorità fiscali statunitensi l’esistenza dei conti svizzeri dei clienti americani l’hanno fatta franca. Era dovere della Hsbc comunicare l’apertura di quei depositi all’Internai Revenue Service americano. Bastava andare su Facebook per capire che quelle persone lavoravano ed erano residenti negli Stati Uniti. Ma la banca non lo ha fatto.

LA BEFFA GRECA
All’inizio del 2014 incontrai a Parigi Kostas Vaxevanis, il direttore del magazine greco Hot Doc che aveva pubblicato qualche tempo prima la cosiddetta Lista Lagarde, ossia i nomi dei clienti di nazionalità greca della Hsbc Private Bank. Voleva concentrarsi su qualcosa che potesse essere spiegato con chiarezza ai suoi connazionali ed era interessato soprattutto ai casi di persone come l’ex moglie di un ministro dell’Economia o la madre dell’ex premier Papandreou. Gli dissi che è difficile chiarire la posizione di qualcuno in termini finanziari perché tutte le leggi vi si oppongono. Lui non si capacitava del fatto che fossimo costretti ad aggirare la legalità per fare in modo che le notizie sulla Hsbc e sui suoi clienti diventassero pubbliche.

Lo aveva sperimentato sulla propria pelle, visto che era stato arrestato e processato per aver divulgato i nomi della Lista Lagarde. La verità è che non è possibile ottenere queste informazioni se si rispettano le regole. Tutto è predisposto per impedirne la divulgazione, e chi si ostina a far conoscere la verità rischia di essere perseguitato dalla giustizia. In Francia la legge stabilisce che siano protetti solo i fùnzionari pubblici che rivelano un caso di corruzione, mentre per i dipendenti privati non è prevista nessuna forma di tutela.

Nel 2010 il ministro francese dell’Economia era Christine Lagarde e il responsabile del Bilancio era Francois Baroin, l’uomo che aveva rimpiazzato Eric Woerth, quello della lista dei tremila evasori francesi che avevano conti bancali in Svizzera. L’inchie sta appurò che i nomi emergevano in parte da informazioni provenienti dal ministero della Giustizia, in parte dai servizi segreti. Fu sufficiente questo annuncio per consentire ad alcuni clienti della Hsbc di avanzare il dubbio che i documenti fossero illegali perché, sostenevano, non c’era la certezza sulla provenienza dei dati. Un autogol per la Francia. Fu allora che il ministro dell’Economia Lagarde consegnò al governo di Atene la lista dei clienti greci della Hsbc.

Nel 2011 la guida delle negoziazioni con la Troika sul salvataggio della Grecia fu affidata a Sarkozy, che aveva quella lista e, conoscendone i nomi, poteva fare pressione su Papandreou. Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva lasciato che fosse il presidente francese a condurre le negoziazioni. Entrambi i paesi volevano preservare la possibilità di finanziarsi sui mercati ed evitare il rischio che la Grecia destabilizzasse il mercato del debito. Come era avvenuto negli Stati Uniti, la lista della Hsbc fu usata come arma di ricatto e mercé di scambio.

In Grecia l’elenco scomparve. Avevo chiesto a Kostas Vaxevanis di parlare con un magistrato di sua conoscenza e di metterlo in contatto con i francesi, ma non è stato possibile. Bastava un giudice in ogni paese per far aprire un’inchiesta, ma in Grecia, come altrove, non è mai stata avviata formalmente alcuna indagine”.