Stige, gli interessi del clan per i boschi silani e la destra al governo

Carlomagno

Blitz ros carabinieriC’è un filo robusto che lega le province di Crotone e Cosenza negli affari boschivi della ‘ndrangheta. L’epicentro è in Sila, nella sua capitale: San Giovanni in Fiore, grosso centro dove da tempo operano ‘ndrine sottoposte al locale di Cirò Marina, cioè la “testa” dei Farao-Marincola dai mille tentacoli che avvolgono, risucchiano e stritolano tutto. Poi, nel fiume nero degli inferi, vi sono amministratori compiacenti, imprese paramafiose, boss, picciotti e pentiti.

Gli affari boschivi per i clan sono un business da capogiro, forse lo stesso che c’è dietro i grandi incendi della scorsa estate e degli anni passati che hanno devastato, (non per autocombustione), migliaia di ettari di bosco in Sila, tra i territori crotonesi e cosentini, appunto.

Nell’inchiesta Stige, in particolare nel Cosentino, in ballo c’è anche l’affare del legname e alcuni amministratori di destra, finiscono in manette per presunte collusioni coi clan. Il sindaco di Mandatoriccio Angelo Donnici, il suo ex assessore ai lavori pubblici Filippo Mazza e l’ex vicesindaco di San Giovanni in Fiore, Giovanbattista Benincasa, storico riferimento politico della destra sangiovannese.

Poi ci sono due soggetti, tale Vincenzo Santoro, originario di Umbriatico ma residente a Mandatoriccio, ritenuto dalla Dda esponente di spicco del clan cirotano a cui è stato affidato il territorio dove vive, poi Campana e comuni limitrofi. Questo per quanto riguarda gli affari e la “tenuta” del territorio che – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – tocca Cosenza e arriva fino al Tirreno. A Santoro spetta il controllo ‘ndranghetistico delle aste boschive e dei pascoli dell’intero altopiano Silano. A San Giovanni in Fiore c’è invece tale Pasquale Spadafora, titolare dell’impresa boschiva “F.lli Spadafora”.

A Donnici e a Mazza gli inquirenti contestano la turbativa d’asta con la finalità di agevolare la cosca. In particolare, si legge nel provvedimento, un assessore comunale nel frattempo deceduto, e “CARUSO Giovanni quale diretto collaboratore del sindaco di Mandatoriccio DONNICI Angelo, attraverso contatti diretti con Santoro Vincenzo ed anche per interposta persona, informavano il predetto (Santoro) della stessa esistenza e dell’andamento dell’iter amministrativo della procedura di gara, fornendogli notizie riservate e suggerendo indicazioni specifiche per la sua aggiudicazione, mantenendo successivamente il CARUSO i contatti con il SANTORO Vincenzo e la ditta aggiudicatrice”.

In sostanza serviva una ditta che vincesse in modo fittizio e sempre tramite l’interessamento di Vincenzo Santoro alla fine chi poteva “prestarsi” agli obiettivi è stato individuato: ad aggiudicarsi la gara è stata la cooperativa Kalasarna di Campana, la quale ha partecipato pur in assenza dell’iscrizione all’Albo regionale imprese boschive. In realtà, si legge nell’ordinanza, i lavori doveva svolgerli la ditta “F.lli Spadafora” di San Giovanni in Fiore il cui titolare è Pasquale Spadafora insieme ai fratelli. Ed è proprio Spadafora che si sarebbe incrociato qualche chilometro più in là, con Benincasa, ex vicesindaco di San Giovanni nella gestione Barile, arrestato per presunti reati di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, con l’aggravante di aver agevolato la ‘ndrina.

Secondo l’accusa, Benincasa all’epoca avrebbe ricevuto utilità accettando la promessa di Spadafora, come la “compartecipazione agli utili delle attività boschive della ditta intestata e gestita dallo SPADAPORA nel commercio del “cippato”, la “protezione” da furti e eventuali reati contro il patrimonio in ordine alla conduzione di un agriturismo da lui gestito, “l’intervento” dello SPADAFORA al fine di riscuotere crediti da terzi, ciò al fine di autorizzare o approvare licenze edilizie a favore dello SPADAFORA in assenza di qualsivoglia istruttoria, garantendo l’assunzione della moglie dello SPADAFORA presso il Comune di San Giovanni in Fiore con mansioni e qualifiche a loro gradite in assenza di qualsivoglia criterio di rotazione o di valutazione trasparente delle qualifiche assegnate, fornendo allo SPADAFORA notizie riservate inerenti l’assegnazione di sovvenzioni pubbliche riguardanti l’attività imprenditoriale di quest’ultimo, agevolandolo indebitamente nelle pratiche amministrative comunali ivi riferenti ed adottando strategie al fine di favorire i contratti tra la pubblica amministrazione comunale e le imprese dirette o collegate allo SPADAFORA con ciò contravvenendo ai doveri di lealtà, trasparenza ed imparzialità inerenti la pubblica funzione esercitata. Restando il fatto aggravato per avere ad oggetto il conferimento di stipendi o la stipulazione di contratti pubblici nei quali era interessata l’amministrazione del Comune di San Giovanni in Fiore, cui il Benincasa apparteneva”.

Vincenzo Santoro “U Monacu” e il racconto dei pentiti

Uno potente, Vincenzo Santoro, che sapeva come trattare con gli imprenditori in rivolta e sapeva “intrattenere” legami con le pubbliche amministrazioni. Lo chiamano “U Monaco”. Della sua figura parlano anche i pentiti Francesco Oliverio, ex della locale di Belvedere Spinello e i collaboratori di giustizia Adolfo Foggetti e Dario Lamanna.

Foggetti racconta di Santono in un interrogatorio del gennaio 2015: “Ho conosciuto, per il tramite di Erminio, una persona nota col soprannome di “U MONACO” che PATITUCCI mi ha detto essere il referente della Criminalità organizzata sulla zona della Sila. Erminio, inoltre, mi ha detto che lo stesso MONACO introitava i proventi erogati dalle ditte boschive. Io non ho mai incontrato “U MONACO” nelle riunioni fatte con “Topolino” ma l’ho incontrato, nel corso del 2010, allorché, appena usciti dal carcere, dovevamo eseguire, in Sila, nei pressi di S. Giovanni in Fiore, una rapina ad un furgone portavalori. “U MONACO”, così come Erminio, dovevano fungere da basisti…».

Le dichiarazioni di Foggetti vengono riscontrate da Lamanna che nel suo interrogatorio del 10 ottobre 2016, confermava come i cosentini cercarono di partecipare ai proventi delle aste boschive già dal 2011 e però, conoscendo come tale attività venisse di fatto esercitata e controllata dalle cosche crotonesi, chiesero l’intercessione del noto capocosca papaniciaro, Mico MEGNA, al fine di procurarsi un incontro con gli ‘ndranghetisti crotonesi.

La circostanza viene specificata da Lamamma, precisando che fu proprio lui – unitamente al cosentino Mario GATTO – a cercare il contatto con MEGNA, nel corso di un periodo quindi detenzione comune presso il carcere di Cosenza.

LAMANNA riferisce che MEGNA disse a lui a GATTO come per la vicenda, e quindi per ogni tipo di accordo con i crotonesi sulla spartizione dei proventi delle aste boschive, avrebbero dovuto contattare “U Monacu” (Vincenzo Santoro, ndr), soggetto – per come riferisce il collaboratore – originario di Campana (Cosenza) e gestore dell’affare dei boschi per conto dei crotonesi, cirotani, petilini e isolitani”.