Le autorità russe hanno individuato il Dna dell’attentatore nella metropolitana di San Pietoburgo. Secondo quanto accertato, si tratta dello stesso progilo genetico di Akbarzhon Jalilov, il giovane di 22 anni di origini kirghise e ritenuto il presunto “kamikaze”.
Il suo Dna è stato trovato sulla borsa in cui era contenuto l’ordigno rinvenuto nella stazione di Ploshchad Vosstania, quello piazzato nell’estintore che non è esploso. Secondo gli investigatori russi, Jalilov è l’unico autore dell’attentato.
Intanto, sono state riaperte le stazioni della metro chiuse ancora oggi per un allarme bomba. Il secondo ordigno, a quanto si è appreso, doveva essere attivato da un cellulare. Circostanza che porta gli inquirenti a “non escludere” che pure la bomba esplosa sul vagone della metro sia stata innescata a distanza da complici dell’attentatore suicida.
I servizi segreti osservavano l’attività degli estremisti coinvolti nell’attentato di San Pietroburgo e sono riusciti a prevenire il secondo attentato – quello di Ploshchad Vosstania – bloccando dopo la prima esplosione la rete di telefonia cellulare nella stazione.
L’ordigno nascosto nell’estintore, infatti, “doveva essere attivato da un telefono cellulare e non da un meccanismo a orologeria”. Circostanza che porta gli inquirenti a “non escludere” che pure la bomba esplosa sul vagone della metro possa essere stata innescata “a distanza” dai complici dell’attentatore, che forse “controllavano i suoi movimenti”.
Al momento non è tuttavia chiaro se Akbarzhon Jalilov si sia effettivamente fatto saltare poiché si parla di Dna trovato sull’ordigno inesploso e non nel vagone.
I servizi, riporta il quotidiano Kommersant, tenevano d’occhio “da tempo” la cellula ma avevano individuato con certezza solo un elemento di “basso rango” dell’organizzazione, di cittadinanza russa, fermato dopo il suo rientro dalla Siria.