Chiusi i seggi, sono quasi 2 milioni gli elettori che si sono recati ai gazebo per eleggere il segretario del Partito democratico e i componenti dell’assemblea nazionale.
“L’affluenza sarebbe su 1,8-1,9 milioni di persone e “dai dati che abbiamo Renzi dovrebbe stare tra il 65 ed il 70 per cento”, ha affermato il portavoce della mozione Renzi, Matteo Richetti.
Dai dati che arrivano, il riconfermato segretario del Pd avrebbe superato il 71 percento, alcune fonti dem lo danno al 73%.
A parte qualche seggio in cui si sono registrate irregolarità, soprattutto al sud, il resto sembra essere filato liscio. L’affluenza è stata inferiore alle passate consultazioni dem (3 mln nel 2008 e 2013), ma superiore alle attese di questi giorni dove i big auspicavano il milione di votanti.
Alle 17 di domenica pomeriggio l’affluenza ai seggi delle primarie del PD è risultata essere di 1.493.751 cittadini. Dovessero essere confermati i primi dati, Matteo Renzi diventa per la seconda volta consecutiva il segretario Pd e sarà, come da statuto, il prossimo candidato primo ministro alle future elezioni politiche.
Una rivincita, quella di Renzi, dopo la debacle referendaria dello scorso 4 dicembre. La notte della sconfitta si dimise, ma disse ai suoi: “Dopo le lacrime di stanotte un giorno riassaporerete il gusto della vittoria”.
Il segretario nella sua dichiarazione ha detto che quella di oggi “è un nuovo inizio”, un “foglio bianco”, tutto da riscrivere per il Pd. Il punto è capire quando si andrà alle urne. I partiti non hanno mai voluto davvero elezioni anticipate, tant’è che nessuno finora ha seriamente messo mani alla legge elettorale, che era condizione imprescindibile per il voto dopo le dimissioni di Renzi a dicembre. Proposte sì, ma sempre in un aspro dibattito politico che alla fine premierà chi resiste fino ad ottobre, il mese in cui maturerà il vitalizio dei parlamentari entrati nel 2013.
Si era attesa la sentenza della consulta il 24 gennaio, ma le leggi di Camera e Senato andavano rese omogenee. Nei giorni scorsi è dovuto arrivare Mattarella a imporre la calendarizzazione della riforma in parlamento per le prossime settimane.
Saltate dunque le elezioni estive, la legge elettorale che verrà fuori (se verrà fuori), difficilmente darà i tempi per una tornata in autunno. Con ogni probabilità si voterà a scadenza naturale, nel 2018. Un arco di tempo troppo lungo che il segretario Pd non vuole vivere da “spettatore”, quindi le sorprese non mancheranno.