13 Ottobre 2024

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Bancarotta, arrestati un imprenditore e un suo familiare

Militari della Guardia di Finanza di Crotone hanno dato esecuzione ad un provvedimento di custodia cautelare, emesso dal gip presso il Tribunale di Crotone, su richiesta della Procura della Repubblica pitagorica, sottoponendo agli arresti domiciliari un imprenditore di Petilia Policastro ed un suo familiare in quanto ritenuti responsabili della bancarotta di una società, operante nella lavorazione e nel commercio del legno, portata al dissesto dopo aver accumulato debiti erariali per complessivi 3 milioni di euro, sottratto risorse finanziarie per circa 400 mila euro e distratto i beni aziendali trasferendoli a due nuove società ad hoc costituite nel 2013 e nel 2017.

In esecuzione del citato provvedimento cautelare sono state, infatti, sottoposte a sequestro anche le quote societarie ed i beni mobili e immobili delle due New company, anch’esse con sede in Petilia Policastro (KR) ed operanti nel medesimo settore commerciale della fallita, in quanto ritenute lo strumento attraverso il quale l’imprenditore ha potuto proseguire la propria attività.

L’attività investigativa ha consentito di rilevare come il citato imprenditore, avvalendosi della collaborazione della sorella e della madre, alle quali ha affidato la rappresentanza delle nuove società ma di fatto ha continuato a gestirle in prima persona, nella fase immediatamente antecedente al fallimento ed al fine eludere gli effetti della procedura concorsuale avrebbe occultato la documentazione contabile della società fallita;

distratto, attraverso la disposizione di bonifici, pagamenti con carta di credito, prelevamenti di denaro contante e cessioni fittizie, la somma di circa quattrocentomila euro dalle casse sociali, nonché beni aziendali per un valore di cica trecentocinquanta mila euro, trasferiti nella società costituita nel 2013.

L’imprenditore avrebbe poi adottato un analogo schema fraudolento anche nella gestione di quest’ultima società, nel frattempo sottoposta a liquidazione giudiziale su istanza dell’Autorità giudiziaria inquirente (come previsto dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), la quale dopo aver accumulato ingenti debiti per oltre un milione e duecento mila euro nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, dell’Inps e dell’Inail, sarebbe stata svuotata mediante la cessione di beni aziendali, forza lavoro e dell’avviamento, questa volta a favore dell’ultima società attivata.

I beni aziendali sequestrati e la gestione della società ancora attiva sono stati affidati ad un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale di Crotone affinché possa garantirne la continuità preservando i diritti di lavoratori dipendenti, clienti e fornitori. Anche l’ulteriore familiare coinvolto è stato deferito, per le medesime ipotesi di reato, all’A.G. inquirente.

Società petrolifera: “Tentativo di colpire oleodotto Druzhba”

Una società russa di oleodotti ha confermato le notizie su un tentativo di compiere un attentato terroristico sul sistema di oleodotti Druzhba. L’oleodotto è il più grande dell’Europa, e trasporta petrolio e gas dalla Russia a larga parte di paesi Ue.

“In effetti, stamattina presto c’è stato un tentativo di commettere un atto terroristico contro il sistema di oleodotti Druzhba presso la stazione di carico di Bryansk (Russia). Nessuno è rimasto ferito. Le autorità competenti stanno indagando sulle circostanze dell’incidente”, ha detto il portavoce di Transneft Igor Dyomin, ha detto a Tass mercoledì.

Mercoledì scorso, il canale Telegram “Baza” ha riferito che la mattina del 10 maggio, il punto di carico dell’oleodotto Druzhba nel villaggio di Sven è stato preso di mira. Gli attacchi hanno colpito tre serbatoi di stoccaggio di petrolio vuoti. Non ci sono state perdite o incendi e nessuno è rimasto ferito.

L’oleodotto Druzhba fornisce forniture di petrolio alle raffinerie bielorusse e le trasporta in Europa. Il gasdotto inizia nella regione di Samara, attraversa Bryansk e poi si biforca nei rami nord e sud, attraversa Bielorussia, Ucraina, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Germania e Ungheria.

Dall’inizio di febbraio sono giunte segnalazioni di bombardamenti da parte delle forze armate ucraine sull’oleodotto di Druzhba e sulle sue infrastrutture.

In particolare, il 1 ° febbraio, Dyomin ha riferito a TASS di un tentativo di bombardare la stazione di pompaggio del petrolio di Novozybkov nella regione di Bryansk la sera del 31 gennaio.

Successivamente, il 3 febbraio, il canale Mash Telegram ha riferito che le forze armate ucraine avevano presumibilmente attaccato l’infrastruttura dell’oleodotto, ma Transneft ha affermato di non avere informazioni su eventuali attacchi e che Druzhba stava operando di nuovo normalmente. A metà marzo, Transneft ha scoperto ordigni esplosivi presso la stazione di pompaggio del petrolio di Novozybkov, ma la stazione non è stata danneggiata.

Il Riesame di Salerno ripristina interdizione per l’avvocato Marcello Manna

Il Tribunale del riesame di Salerno ha ripristinato la misura dell’interdizione della professione forense per un anno dell’avvocato Marcello Manna, sindaco di Rende e presidente di Anci Calabria.

Il provvedimento gli è stato notificato dai finanzieri del Nucleo di polizia economica e finanziaria di Crotone che già avevano condotto l’operazione Genesi.

Manna è imputato a Salerno per corruzione in atti giudiziari insieme all’ex giudice della Corte d’appello di Catanzaro Marco Petrini. La Procura della città campana è competente a gestire i procedimenti che vedono indagati o parte lesa magistrati del distretto di Corte d’appello di Catanzaro.

La decisione del tribunale del riesame di Salerno che, in accoglimento della richiesta della procura aveva annullato una precedente ordinanza del gip che aveva revocato la misura interdittiva, è divenuta definitiva dopo la sentenza della Corte di Cassazione che nei giorni scorsi ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai difensori di Manna.

Manna, in particolare, secondo l’accusa, il 30 maggio del 2019 avrebbe consegnato a Petrini cinquemila euro in contanti per ottenere l’assoluzione e la conseguente scarcerazione di Francesco Patitucci, difeso dallo stesso Manna, imputato per l’omicidio di Luca Bruni, avvenuto a Castrolibero il 3 gennaio del 2012. Patitucci, per quel delitto era già stato condannato in primo grado, con rito abbreviato, a 30 anni di reclusione.

Nel marzo scorso, la pm di Salerno Francesca Fittipaldi ha chiesto la condanna di Manna e di Petrucci, rispettivamente, a 6 e 8 anni di reclusione nel corso del processo con rito abbreviato che si celebra davanti al gup. Il 12 maggio è in programma una nuova udienza con le arringhe dell’avvocato Riccardo Olivo per Manna e dell’avvocato Francesco Calderaro per Petrini.

Legale Manna, interdizione anacronistica e ingiustificata

“Nel prendere atto del comunicato stampa predisposto e diffuso dal procuratore capo di Salerno, che evidentemente ha molto a cuore le vicende dell’avvocato Marcello Manna (!), occorre precisare, per amore di verità, che il provvedimento del tribunale di Salerno che ha ripristinato la misura interdittiva nei confronti del predetto professionista, è stato adottato in considerazione della vigenza, al momento della decisione, della misura del divieto di dimora a Rende a suo tempo disposta nei confronti dello stesso avvocato Manna”. Lo afferma, in una nota, l’avvocato Nicola Carratelli, uno dei difensori di Manna.

“Epperò, come ben noto finanche al procuratore capo di Salerno – prosegue il legale – tale misura è stata già da tempo revocata dal Tribunale della Libertà di Catanzaro per insussistenza della gravità indiziaria, sicchè il provvedimento del Tribunale di Salerno risulta palesemente anacronistico ed ingiustificato, per come verrà prontamente prospettato al Giudice del merito del procedimento. Pertanto, quanto alacremente diffuso dal procuratore capo di Salerno non può affatto costituire una conferma della fondatezza dell’accusa di corruzione in atti giudiziari a carico dell’avvocato Marcello Manna. Attendiamo, quindi, con serenità, l’esito del giudizio di merito che verrà pronunciato tra pochi giorni”.

Operazione Caronte, a Trieste la “cassa” del traffico di migranti

La cellula triestina individuata dall’operazione della Polizia contro l’immigrazione clandestina lungo la rotta balcanica coordinata dalla Procura di Catanzaro che ha portato all’arresto di 29 persone, gestiva la cassa del traffico di migranti. E’ quanto risulta da fonti investigative citate dall’Ansa nell’ambito dell’inchiesta Caronte della Dda di Catanzaro con cui oggi è stata sgominata dalla Polizia una rete di presunti trafficanti stranieri.

A operare a Trieste erano tre cittadini di origine asiatica che gestivano il denaro poi riciclato in altre attività attraverso il servizio di money transfer. Il denaro veniva trasferito a piccole somme inferiori ai mille euro per non destare sospetto.

I migranti pagavano cifre medie di 10mila euro a persona per essere portati da Istanbul (Turchia) al nord Europa con tappe ad Atene e altre città per poi giungere in Italia meridionale o a Trieste in nave.

‘Ndrangheta, sequestrati beni per 400mila euro a un professionista

Beni mobili e immobili per circa 400 mila euro sono stati sequestrati dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria ad un commercialista di Rosarno ritenuto in rapporti con la cosca di ‘ndrangheta dei Pesce.

Il provvedimento è stato emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale su richiesta della Direzione distrettuale antimafia che ha coordinato l’attività.

La figura criminale del professionista era emersa, da ultimo, nell’ambito dell’operazione denominata “Pecunia Olet” nei confronti della cosca. In particolare, l’attività investigativa ha consentito di fare emergere un accordo che avrebbe consentito al clan Pesce di gestire, in condizione di monopolio, l’indotto della grande distribuzione alimentare e del trasporto merci su gomma.

Il tutto con il supporto del commercialista che ne avrebbe curato gli aspetti tecnici, ponendo a disposizione le proprie competenze in materia contabile, societaria e fiscale al fine di favorire gli interessi economici della cosca e, nel contempo, evitare che i patrimoni imprenditoriali fossero aggrediti da iniziative giudiziarie. Il tutto attraverso la costituzione di società cartiere, intestazioni fittizie e periodiche modifiche delle compagini societarie e mettendo a disposizione il proprio studio commerciale quale luogo privilegiato di incontro per questioni di interesse della cosca e affari illeciti.

In tale contesto il professionista è stato rinviato a giudizio per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e concorso in estorsione aggravato dal metodo mafioso. Da qui la decisione della Dda reggina di delegare il Gico della Guardia di finanza a svolgere l’indagine di carattere economico-patrimoniale finalizzata all’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali. In particolare il valore del patrimonio direttamente e indirettamente nella disponibilità del commercialista sarebbe risultato decisamente sproporzionato rispetto alla capacità reddituale manifestata. I beni sequestrati sono due fabbricati, due terreni, tre auto, denaro contante per circa 40 mila euro tutti i rapporti bancari, finanziari e le relative disponibilità.

Sgominata rete di trafficanti di migranti. 29 arresti. “Ticket” da pagare fino a 15mila euro

blitz polizia di stato

Un’operazione della Polizia di Stato, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, è stata eseguita stamane, con l’impiego di poliziotti appartenenti al Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine ed alla Squadra Mobile di Crotone, in collaborazione con la Squadra Mobile di Brindisi, Foggia, Grosseto, Imperia, Lecce, Milano, Roma, Torino e Trieste, e con la partecipazione di personale dell’Agenzia Europol e della Divisione Interpol, attraverso i collaterali Organismi esteri interessati alle operazioni.

Destinatari dei provvedimenti restrittivi sono 29 soggetti stranieri fortemente indiziati di appartenere ad una associazione transnazionale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed al riciclaggio del denaro provento dell’attività illecita; sodalizio articolato in cellule presenti in Italia ed all’estero (Turchia e Grecia), i cui appartenenti, pur con compiti differenti, avevano un obiettivo unico, quello di far giungere i migranti in Italia sfruttando la rotta marittima del mediterraneo orientale, a bordo di natanti del tipo veliero, con partenza dalla Turchia e dalla Grecia, con destinazione finale Centro-Nord Europa. L’operazione è denominata “Caronte”.

Gli arresti – spiega una nota della Dda di Catanzaro – sono la conseguenza di quanto emerso nel corso di un’articolata indagine iniziata nel 2018, con il concorso in mare del personale della Sezione Navale della Guardia di Finanza di Crotone, avviata sulla base degli elementi info-investigativi raccolti da diversi anni sul fenomeno del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che ha interessato la provincia di Crotone, meta di una serie di sbarchi aventi ad oggetto natanti condotti da soggetti principalmente di nazionalità ucraina o comunque dell’area dell’ex Unione Sovietica con a bordo migranti di diverse nazionalità della zona medio-orientale o asiatica del pianeta.

Attraverso le acquisizioni probatorie, frutto di complesse attività tecniche, perquisizioni, accertamenti di polizia e dichiarazioni rese dai migranti giunti in Italia, si sono raccolti gravi indizi in ordine al fatto che il sodalizio criminale, oggetto di monitoraggio, avente base logistica in Turchia e Grecia, abbia organizzato numerosi eventi migratori verso le coste calabresi e pugliesi. Gruppo criminale composto da cittadini provenienti dall’area medio-orientale, prevalentemente di origine curdo­ irachena.

Il viaggio dei migranti aveva inizio nel quartiere turco di Aksaray, dove chi intendeva partire si recava per prendere contatti con i sodali della cellula turca, i quali fornivano tutte le informazioni utili sull’organizzazione del viaggio e sull’importo da corrispondere (in totale tra i 7.000 ed i 15.000 euro), mediante il noto sistema cosiddetto hawala.

Una volta raggiunto l’accordo e versata la prima parte della somma pattuita, i migranti venivano condotti alla frontiera turco-ellenica, generalmente nella città di Salonicco; qui i migranti venivano presi in carico dai sodali della cellula greca e corrispondevano la seconda parte del compenso.

I sodali della cellula greca, poi, conducevano i migranti ad Atene e poi a Patrasso, dove rimanevano in attesa di imbarcarsi a bordo di barche a vela, in grado di eludere i controlli in mare delle FF.PP. In altri casi le imbarcazioni partivano dalle coste turche, in particolare da Smirne, per raggiungere direttamente il Sud Italia, scegliendo località di sbarco concordate preventivamente dai sodali delle cellule turche e quelle italiane, per eludere eventuali controlli delle forze di Polizia. Sono stati infatti documentati diversi sbarchi cosiddetti fantasma, dove in alcuni casi non sono stati rinvenuti né l’imbarcazione né i migranti.

Una volta giunti in prossimità delle coste italiane, i migranti prendevano contatti con i sodali delle cellule italiane, i quali li favorivano, dietro compenso di circa
500/600 euro, nel farli giungere nel Nord Italia, con prima destinazione Milano o Torino, per poi recarsi a Trieste o Ventimiglia in base alla città del Nord Europa da raggiungere. Il confine italiano veniva superato viaggiando a bordo di camion, treni o taxi, in relazione alle disponibilità economiche dei migranti, ai quali i trafficanti applicavano un vero e proprio tariffario.

Senza conferma dell’avvenuto pagamento delle tappe del viaggio, i migranti rimanevano bloccati e venivano invitati a contattare i propri parenti, rimasti nelle terre d’origine, per regolarizzare le proprie posizioni.

Nell’ambito delle attività investigative sono emersi inoltre dati di pregnante rilievo in ordine al riciclaggio dei proventi illeciti, versati all’interno di una cassa comune gestita da alcuni soggetti residenti a Trieste; sono state, infatti, riscontrate dalle investigazioni una serie di transazioni sospette utilizzando il sistema Money Transfer, dove prestanomi compiacenti dei sodali trasferivano denaro all’estero per importi non superiori a 999,00 euro settimanali.

Dalle risultanze investigative si sono acquisiti indizi in ordine al coinvolgimento degli indagati in diversi episodi di favoreggiamento clandestina, tra cui una trentina di eventi sbarchi verificatisi tra la Calabria e la Puglia.

Il procedimento per le fattispecie di reato ipotizzate è attualmente nella fase delle indagini preliminari, nel corso delle quali gli indagati avranno modo di fornire la loro versione dei fatti e indicare elementi a loro favore.

All’esecuzione dei provvedimenti restrittivi disposti dall’Autorità Giudiziaria, hanno partecipato dalle prime ore dell’alba duecento donne e uomini della Polizia di Stato, coordinati dalla Direzione Centrale Anticrimine, appartenenti oltre che al Servizio Centrale Operativo, alla Squadre Mobile di Crotone, in collaborazione con la Squadra Mobile di Brindisi, Foggia, Grosseto, Imperia, Lecce, Milano, Roma, Torino e Trieste con il supporto di diverse articolazioni territoriali del Reparto Prevenzione Crimine.

Le medesime operazioni verranno svolte anche all’estero, dove saranno eseguiti mandati di arresto europeo ed internazionali nei confronti degli indagati localizzati fuori dal nostro territorio, con la partecipazione di personale dell’Agenzia Europol e della Divisione Interpol, attraverso i collaterali Organismi esteri interessati alle operazioni.

Il Prefetto Francesco Messina, direttore centrale anticrimine della Polizia, sottolinea che “le indagini sono durate quasi 4 anni e hanno permesso di colpire con 29 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip un’organizzazione transnazionale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e al riciclaggio delle somme derivanti dai pagamenti dei migranti”.

La fase operativa ha coinvolto – previo interessamento di Interpol ed Europol – Turchia, Grecia, Belgio, Germania, Svezia, Inghilterra, Belgio e Marocco. “E’ stato smantellato un gruppo capace di garantire l’arrivo di migliaia di migranti, in transito dalla rotta balcanica marittima, attraverso l’uso di velieri condotti da scafisti per lo più russofoni. Veniva garantito l’arrivo a destinazione del migrante al prezzo di circa 10 mila euro; in sostanza era stato creato un vero e proprio sistema di accoglienza illegale, organizzato tra l’estero e capoluoghi italiani che ricomprendeva anche il vitto e l’alloggio nelle diverse tappe (Crotone, Lecce, Brindisi, Foggia, Grosseto, Imperia, Milano, Torino, Trieste) e al quale i migranti si affidavano completamente”.

‘Ndrangheta, blitz dei carabinieri nel Vibonese: 61 fermi

Dalle prime ore della mattina nella provincia di Vibo Valentia e sul territorio nazionale, il Comando Provinciale dei Carabinieri, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, guidata dal Procuratore Nicola Gratteri, è impegnato in una vasta operazione antimafia contro la ‘ndrangheta, con l’impiego di oltre 500 militari che stanno eseguendo 61 fermi di persone indiziate di avere a che fare con i clan.

Nell’inchiesta, in codice “Maestrale – Carthago”, sono indagate complessivamente 167 persone tra le quali – in stato di libertà – l’ex presidente della provincia di Vibo e ex sindaco di Briatico Andrea Niglia per una presunta truffa aggravata dal metodo mafioso.

I destinatari del decreto di fermo, emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia, guidata dal Procuratore Nicola Gratteri, sono considerati presunti appartenenti alle principali famiglie ‘ndranghetiste della provincia vibonese. Tutte le persone indagate, le cui condotte saranno vagliate dal Giudice per le Indagini Preliminari, sono ritenute presunte responsabili, in concorso e a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, scambio elettorale politico mafioso, violazione della normativa sulle armi, traffico di stupefacenti, corruzione, estorsione, ricettazione, turbata libertà di incanti, illecita concorrenza con minaccia o violenza, trasferimento fraudolento di valori, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, favoreggiamento personale, procurata inosservanza della pena e falso ideologico, il tutto aggravato dal “metodo mafioso”.

L’attività d’indagine, denominata “Maestrale – Carthago”, condotta dai Carabinieri di Vibo Valentia e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, ha consentito di “mappare”, attraverso un poderoso impianto accusatorio, la “geografia” della criminalità organizzata nei comuni di Mileto, Filandari, Zungri, Briatico e Cessaniti, ricostruendo ruoli, compiti e dinamiche dei capi, promotori, organizzatori e partecipi delle associazioni mafiose, evidenziando la loro forte vocazione economico – imprenditoriale e la capacità di intessere fluidi rapporti con “colletti bianchi”, esponenti politici e rappresentanti delle pubbliche amministrazioni. In particolare è stata accertata la piena operatività sul territorio provinciale delle strutture di ‘ndrangheta della “Locale di Zungri” con le ‘ndrine di “Cessaniti” e “Briatico” e della “Locale di Mileto” con le ‘ndrine di “Paravati”, “Comparni”, “Calabrò” e “San Giovanni”, entrambe riconosciute dal “Crimine di Polsi” e soggette alle regole formali e sostanziali della ‘ndrangheta unitaria con accertati collegamenti con le famiglie della Piana di Gioia Tauro.

Durante le investigazioni i Carabinieri hanno documentato un importante summit di ‘ndrangheta tenuto all’interno di una struttura turistica della “Costa degli Dei”, in occasione di un ricevimento nuziale, ove dal “Crimine” della “Provincia” venivano impartite disposizioni operative e “comportamentali” ai presenti, ossia venivano date indicazioni su come le diverse famiglie malavitose del vibonese dovevano comportarsi per la spartizione dei proventi illeciti e per dirimere eventuali controversie. Nel corso delle attività investigative è stato documentato come elementi della criminalità organizzata abbiano condizionato e indirizzato le scelte di alcuni dirigenti medici dell’A.S.P. di Vibo Valentia, anche mediante accordi corruttivi, facendo valere il peso “contrattuale” ed elettorale dell’articolazione ‘ndranghetistica di appartenenza. In particolare è emerso l’interesse della Locale di Mileto e della famiglia Fiaré di San Gregorio d’Ippona nella gestione del servizio di vettovagliamento per gli ospedali di Vibo Valentia, Serra San Bruno e Tropea. È stato inoltre contestato ad un altro dirigente medico della citata Azienda Ospedaliera il presunto rilascio di perizie compiacenti in favore di affiliati detenuti. Ad un terzo sanitario del Dipartimento di Veterinaria è stata contestata l’ipotesi di violenza privata aggravata dal metodo mafioso, per essersi rivolto ad un capo locale con la finalità di far desistere un collega dal presentare una denuncia nei suoi confronti.

Sono state accertate poi presunte infiltrazioni all’interno dell’amministrazione comunale di Cessaniti, ove un funzionario “aggiustava” una graduatoria di un concorso pubblico, per assumere un dirigente amministrativo ritenuto vicino alla locale di Zungri. È stata contestata un’ipotesi di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, aggravata dal metodo mafioso. In particolare è stato accertato che esponenti della criminalità organizzata, colletti bianchi e pezzi della società civile avrebbero ideato un sistema collaudato, volto, attraverso la costituzione di società cooperative di comodo, all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, lucrando sul sistema dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, nei comuni di Joppolo, Mileto e Filadelfia, inducendo in errore il Comune di Vibo Valentia (quale ente “capofila” per tutta la provincia), il quale autorizzava la liquidazione delle spese, procurando un danno per l’erario stimato in oltre 400mila euro, con denaro proveniente dal fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (costituito anche da fondi europei), gestito dal Ministero dell’Interno e previsto nella legge finanziaria dello Stato.

Sono state inoltre ricostruite le dinamiche di presunte attività estorsive a carico di una società aggiudicataria dell’appalto per la raccolta dei rifiuti nei comuni di Mileto e Briatico, i cui proventi (circa il 10% dell’importo a base d’asta) venivano ripartiti tra esponenti della criminalità organizzata riconducibili alle Locali di Mileto e di Zungri, a cui le vittime versavano circa 48.000 euro ogni anno per ciascuna consorteria. È stato altresì accertato un pervicace sistema di estorsioni ai danni di coltivatori della Cipolla Rossa IGP di Tropea e di attività commerciali attive nel settore turistico- alberghiero della Costa degli Dei. Attraverso la creazione di più società per la navigazione da diporto, con intestatari fittizi riconducibili ad un unico centro di interessi, le consorterie criminali avrebbero di fatto creato un regime monopolistico a tariffe imposte. È stata anche riscontrata nell’area di Cessaniti, Filandari e Briatico una presunta attività di illecita intermediazione nella compravendita di fondi agricoli fra privati, mediante l’invasione di terreni, la minaccia e il pascolo abusivo.

Sono state sequestrate nel corso dell’attività numerose armi, tra cui fucili, pistole – molte delle quali con matricola abrasa – e un fucile mitragliatore AK-47 Kalashnikov, nonché un ingente quantitativo di munizioni di vario calibro. I fermati sono stati associati in carcere a disposizione dell’autorità giudiziaria.

‘Ndrangheta, le mani dei clan Tundis e Calabria sulla costa tirrenica

Due clan pericolosi e feroci, “legittimati” dalla ‘ndrangheta di Cosenza, armati fino ai denti e capaci di imporre il pizzo a tutte le attività imprenditoriali che gravitavano in un vasto lembo sul Tirreno. A “fotografare” lo spessore criminale delle cosche Tundis e Calabria, egemoni nel Paolano, in un’area che va da San Lucido fino alle porte di Amantea, sono stati i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza che, con il coordinamento della Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri, hanno eseguito questa mattina 37 misure cautelari svelando gli affari, gli interessi e le alleanze di una consorteria particolare aggressiva e pervasiva.

“Oggi è una giornata significativa”, ha affermato il procuratore aggiunto della Dda Vincenzo Capomolla, nel corso della conferenza stampa convocata nella sede della Procura di Catanzaro per presentare i risultati di un blitz dal nome eloquente, “Affari di famiglia”. Nell’incontro con i giornalisti, al quale hanno partecipato i vertici dell’Arma tra cui il comandante provinciale di Cosenza, il colonnello Agatino Spoto, gli inquirenti hanno ricostruito le dinamiche delle cosche Tundis e Calabria, dinamiche fondate soprattutto sul traffico di droga, con il supporto di due gruppi “specializzati” e con canali stabili di approvvigionamento anche nella Piana di Gioia Tauro, e sulle estorsioni, condotte a tappeto e con metodi violenti e cruenti, con il pizzo imposto a suon di danneggiamenti compiuti anche con l’uso di esplosivi e con incendi di locali e di automezzi.

“Non risparmiavano nessuno”, ha specificato ancora Capomolla spiegando che a finire sotto le grinfie del sodalizio sono state imprese che eseguivano lavori pubblici a San Lucido e in altri Comuni dell’hinterland paolano, come l’adeguamento di una scuola, la manutenzione delle strade, la realizzazione di un tratto della linea ferroviaria, o lavori privati. Una pressione mafiosa fortissima, quella esercitata sul territorio dai clan Tundis e Calabria che inoltre – hanno poi aggiunto gli inquirenti – in modo diretto e indiretto si erano infiltrati anche nell’economia legale entrando a piene mani nel settore del commercio del pesce, del commercio di legname e del commercio di automobili. Tutti elementi che gli investigatori sono riusciti a ricostruire grazie alle dichiarazioni di diversi pentiti e alle attività classiche delle intercettazioni e degli appostamenti, che hanno svelato un territorio letteralmente sotto scacco mafioso.

“Encomiabili – ha sostenuto ancora Capomolla -l’attività e la tenacia dei carabinieri che si sono dovuti misurare con l’atteggiamento non molto collaborativo delle vittime, per questo vogliamo incoraggiare un maggiore affidamento nelle attività delle forze dell’ordine, che -ha rimarcato il Procuratore aggiunto- sono presenti sul territorio”. Del resto la ferocia degli esponenti delle due cosche, che potevano godere tra l’altro di una grande disponibilità di armi, era risaputa, al punto che i clan Tundis e Calabria hanno anche provato a espandersi oltre i confini del territorio da loro storicamente egemonizzato, forti anche -è stato riferito dagli inquirenti nella conferenza stampa- dei legami con la ‘ndrangheta del capoluogo, Cosenza, in particolare con il clan retto dal presunto boss Francesco Patitucci e poi dal reggente Roberto Porcaro, che di recente ha deciso di collaborare con la Dda di Catanzaro e che è tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi eseguiti: “Le cosche Tundis e Calabria hanno intrattenuto rapporti costanti e molto stretti con la cosca confederata di Cosenza che ha legittimato le loro attività”, hanno infatti evidenziato gli investigatori. Rapporti che si sono cementati soprattutto nel campo della droga e del traffico di sostanze stupefacenti, che i clan Tundis e Calabria gestivano avvalendosi di due associazioni “satelliti”, la prima attiva a San Lucido e direttamente riconducibile ai due clan apicali e la seconda attiva a Paola. Un network capillare sul territorio per disarticolare il quale i carabinieri hanno dato fondo a tutte le loro risorse, mettendo in campo oltre 200 militari coadiuvati dai Cacciatori di Calabria per eseguire il blitz “Affari di famiglia”.

Sviluppo, delegazione francese incontra commissario Zes Calabria per possibili investimenti

Il commissario straordinario del Governo della Zes Calabria, Giosy Romano, ha incontrato stamattina a Lamezia Terme Frédéric Kaplan, ministro consigliere per gli affari economici presso l’Ambasciata di Francia in Italia, Direction générale du Trésor, Chef du service économique régional “Europe du Sud-Est”.

E’ stato un incontro utile per far conoscere le potenzialità e i vantaggi che i siti industriali ricadenti in area Zes offrono per nuovi insediamenti produttivi e confrontarsi su una strategia di investimento che la delegazione francese ha valutato con molto interesse, considerata anche la posizione strategica della Calabria nel Mediterraneo.

Accompagnavano il ministro consigliere due stretti collaboratori (Louis Capucine e Patrizia Gori) e l’avvocato Helene Tibault, esperta di contrattualistica internazionale, consigliere di amministrazione di French Tech Italia, socia di “Tonucci & Partner”, tra i principali studi d’affari italiani con una consolidata vocazione europea.

Allargare la conoscenza delle potenzialità dello strumento Zes nelle comunità internazionali è una delle azioni fondamentali della struttura commissariale con l’obiettivo di incoraggiare nuovi investimenti. Dopo aver accolto le istituzioni dei Paesi del Mediterraneo a Gizzeria, nello scorso mese di marzo, l’incontro di oggi è un ulteriore tassello di questa strategia che fa ben sperare nella traduzione concreta e operativa dell’interesse mostrato.

La Cassazione respinge il ricorso della Procura contro Pittelli

Giancarlo Pittelli

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla procura della Repubblica di Catanzaro contro la revoca degli arresti domiciliari all’avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli.

La decisione era stata presa il 31 gennaio scorso dal tribunale della libertà di Catanzaro, dopo un rinvio dalla stessa Cassazione, accogliendo il ricorso dei difensori di Pittelli, gli avvocati Salvatore Staiano, Gian Domenico Caiazza e Guido Contestabile, per mancanza di indizi.

Contro quella decisione, la Procura aveva fatto appello che è stato dichiarato inammissibile oggi dai giudici della Corte. Giancarlo Pittelli è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa nel processo “Rinascita Scott” alle cosche di ‘ndrangheta del Vibonese in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme.

Era tornato libero, dopo oltre tre anni di detenzione, prima in carcere e poi ai domiciliari, nel marzo scorso dopo essere stato arrestato nel dicembre del 2019 nell’ambito dell’operazione “Rinascita Scott” coordinata dalla Dda di Catanzaro e coinvolto successivamente nell’inchiesta “Mala pigna” della Dda di Reggio Calabria.

‘Ndrangheta, smantellate due cellule nel Cosentino: 25 arresti e dodici misure

Venticinque persone sono state arrestate, diciotto in carcere e sette ai domiciliari, dieci tra obblighi e divieti di dimora e due interdizioni. E’ questo il bilancio di un’operazione antimafia condotta stamane dai Carabinieri del Comando provinciale di Cosenza, con l’ausilio di Squadre operative dei Cacciatori di Calabria e unità cinofile, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Provvedimento emesso dal gip distrettuale con cui sono state smantellate due cellule di ‘ndrangheta che operavano sulla costa tirrenica cosentina, tra Paola e San Lucido, che si intrecciavano in affari con i clan dominanti a Cosenza.

I reati ipotizzati a vario titolo a carico dei 37 indagati sono di associazione a delinquere di stampo mafioso ed associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, relativamente a due sodalizi, quelli di Tundis e Calabria, con legami con Roberto Porcaro, boss cosentino oggi pentito, e Francesco Patitucci.

Il provvedimento scaturisce dall’ampia attività di indagine coordinata dalla Dda di Catanzaro che si è sviluppata mediante investigazioni di tipo tradizionale, attività tecniche, dichiarazioni di collaboratori di giustizia, riscontri sul campo e servizi dinamici sul territorio.

La gravità indiziaria, conseguita, allo stato, sul piano cautelare, attraverso gli articolati e complessi approfondimenti investigativi, si legge in una nota dell’Arma, ha riguardato l’assetto e l’operatività di una associazione armata di tipo ‘ndranghetistico, sul territorio ricompreso tra i comuni di San Lucido, Falconara Albanese, Fiumefreddo Bruzio e Longobardi con tendenza all’espansione verso le aree limitrofe, con rapporti di alleanza con altre articolazioni criminali operanti nella città di Cosenza.

In tale contesto, nell’ordinanza cautelare, nei confronti degli indagati attinti dalle rispettive misure adottate, è stata ritenuta, allo stato, la gravità indiziaria, tra l’altro, per i delitti, in materia di armi, l’intestazione fittizia, abusivo esercizio del credito, estorsione, tentata e consumata, anche mediante danneggiamenti, ai danni sia aziende, piccole e grandi, di esercizi commerciali e imprese del territorio, nei diversi settori economici, ovvero ai danni di imprese provenienti da altre aree geografiche ed impegnate in lavori pubblici.

La gravità indiziaria acquisita a livello cautelare ha riguardato, altresì, la struttura e il modus operandi di due associazioni a delinquere finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti di varia tipologia, cocaina, marijuana e hashish, una operante a San Lucido, sotto l’egida degli esponenti dell’articolazione di ‘ndrangheta, e l’altra operante nel territorio del Comune di Paola, in stretto contatto con il primo gruppo criminale, e organizzata mediante una struttura di spacciatori operante per livelli, in una intensa attività di commercializzazione della sostanza stupefacente, e con canali di approvvigionamento operanti anche nell’area di Gioia Tauro

I nomi degli indagati, da ritenersi innocenti fino al terzo grado di giudizio

In carcere sono finiti Andrea Alò, Gianluca Arlia, Luciano Bruno, Fabio Calabria, Giuseppe Calabria, Pietro Calabria, Salvatore Caruso, Michele Iannelli, Giuseppe La Rosa, Eugenio Logatto, Mario Maiolo, Marco Manfredi, Gabriele Molinaro, Roberto Porcaro, Andrea Tundis, Emanuele Tundis, Michele Tundis e Pamela Villecco.

Ai domiciliari
Raffaele Conforti, Paolo D’Amato, Giovanni Fiore, Giovanni Garofalo,Vincenzo Nesci, Cristian Vommaro, e Francesco Serpa.

Obbligo di dimora e presentazione in caserma per Gianluca Ambrosi, Andrea Santoro, Claudio Santoro, Alessandro Serpa, Eugenio Filippo, Albino Sammarco, Vincenzo Senatore, Giovanni Vattimo e Luca Marincola Vommaro.

Divieto di dimora
a Paola e San Lucido per Francesco Lenti, mentre per Francesco Loizzo e Sestino Vulnera è scattata l’interdezione dall’esercizio dell’attività imprenditoriale.

Duplice omicidio nel Foggiano, presunto assassino: “Mia moglie confessò tradimento”

Taulant Malaj, il panettiere albanese di 45 anni che nella notte tra sabato e domenica a Torremaggiore (Foggia) ha ucciso a coltellate la figlia 16enne Gessica Malaj e il suo vicino Massimo De Santis ha rilasciato delle dichiarazioni spontanee ammettendo il duplice omicidio. Lo riporta l’Ansa. Quando i militari lo hanno bloccato aveva ancora gli abiti insanguinati e aveva abbandonato l’arma del delitto, un coltello da cucina, all’interno della propria autovettura.

“Mia moglie aveva ammesso il tradimento. Mia moglie ha ammesso che aveva una relazione con Massimo”. Il riferimento è a Massimo De Santis, ucciso con dei fendenti sul pianerottolo nello stesso stabile dove abitava.

Al pm titolare delle indagini Taulant Malaj, ha raccontato che la moglie Tefta gli “aveva chiesto scusa per questa relazione, ma io volevo separarmi”. Lo riferiscono all’Ansa i due legali dell’albanese arrestato, Michele Maiellaro e Giacomo Lattanzio.

Stando al racconto del panettiere, nei giorni scorsi c’era stata una discussione in famiglia, sempre per il presunto tradimento, al termine della quale l’uomo aveva detto di volersi separare. La moglie, però, lo avrebbe convinto a restare a casa. Pare che Malaj – stando sempre al suo racconto – avesse scoperto più volte nel corso del tempo la moglie al terzo piano dell’edificio, dove abitava il presunto amante. 

Nella notte tra sabato e domenica scorsa, però, sarebbe successo dell’altro – stando sempre al racconto che il presunto assassino ha fatto al pubblico ministero-. Mentre marito e moglie erano a letto, la donna avrebbe cominciato a chattare con qualcuno. L’uomo, insospettitosi, avrebbe visto il telefono della donna scoprendo che stava chattando con il vicino di casa, Massimo De Santis. Da quì la reazione violenta del panettiere. 

Dopo un po’ è uscito di casa ed ha aspettato che Massimo rincasasse dal bar. Appena l’uomo è entrato nel portone lo ha accoltellato a morte. Malaj ha infatti detto al pm – riferiscono gli avvocati – di aver “ucciso prima Massimo”, poi di essere salito in casa dove ha cominciato ad accoltellare la moglie (rimasta ferita) e, poi, la figlia, che cercava di fare da scudo alla madre. “In quel momento, accecato dall’ira – riferiscono i difensori – non si è reso conto che aveva di fronte la figlia ed ha iniziato a colpirla”. I due avvocati parlano di “un forte legame tra il reo confesso e i suoi stessi figli”, la 16enne e il bimbo di 5 anni.

Successivamente Malaj, che avrebbe ammesso le sue responsabilità sul duplice omicidio, forse in preda allo stato confusionale in cui si trovava, ha chiesto ripetutamente della figlia: “Come sta Gessica, sta bene?”. Questa circostanza è riferita all’Ansa dai due legali dell’albanese, citati in precedenza.

Bimbo salvo perché si è nascosto dietro il divano
Si è salvato nascondendosi dietro il divano del soggiorno di casa, il figlio di 5 anni di Taulant Malaj, l’albanese di 45 anni reo confesso del duplice omicidio della figlia Gessica, di 16 anni, e del presunto amante della moglie, Massimo De Santis, di 51. A quanto si apprende il panettiere era molto legato al figlioletto: lo testimoniano le numerose foto pubblicate con il bambino sul suo profilo Facebook.

Dopo i due delitti Taulant Malaj ha girato un video, poi diventato virale nelle chat, in cui ha mostrato i cadaveri e ha insultato la moglie, apostrofandola in albanese come una “putt…”.

Sabato notte, dopo la strage, i primi ad arrivare in casa – a quanto si apprende – sarebbero stati il fratello del presunto assassino reo confesso e la cognata. Sarebbero stati loro due a trovare il bambino nascosto dietro al divano. Quest’ultimo, quando sono arrivati i carabinieri, era in braccio agli zii in evidente stato di choc. Il piccolo è stato affidato alla coppia. Inoltre, per accertare l’esistenza della presunta relazione extraconiugale e dello scambio di messaggi su una chat tra la moglie dell’assassino e la vittima, gli investigatori dell’Arma hanno sequestrato i telefoni cellulari della donna, del marito e della figlia.

Titolare panificio di Torremaggiore: “Malaj era molto tranquillo, bravo e preciso. Era tutto lavoro e famiglia”
“Arrivava tutte le sere alle 23 e andava via alle sette del mattino. Era precisissimo. Non si stancava mai”. Così il titolare del panificio ‘Latartara’ di Torremaggiore (Foggia) descrive il suo dipendente Taulant Malaj, il 45enne albanese che ha confessato gli omicidi della figlia 16enne, Gessica, e del vicino di casa, Massimo De Santis, 51enne. “Anche quando finiva il turno continua a lavorare fino a quando non aveva terminato tutto”, racconta.
Malaj era in Italia da 20 anni. La coppia era sposata da 17 anni. L’uomo ha sempre fatto il panettiere. I colleghi raccontano che era anche molto bravo. Per dieci anni ha lavorato in un altro forno di Torremaggiore (Foggia); nel dicembre scorso era stato assunto nel panificio ‘Latartara’. “Aveva un carattere molto tranquillo. Non ha mai dato alcun problema. Così come non ci ha mai raccontato di litigi in casa”, ammettono dal panificio. “Ho visto la moglie di Taulant una sola volta quando lui è venuto qui da noi a fare il colloquio”, ricorda il datore di lavoro del presunto assassino. “Era tutto lavoro e famiglia”, ha detto il datore di lavoro citato dall’Ansa.

Due lievi scosse di terremoto a Crotone, nessun danno

Due lievi scosse di terremoto sono state avvertite oggi, a breve distanza l’una dall’altra, a 5 km da Crotone. La prima è stata di magnitudo 3 alle ore 16.33, mentre la seconda di 3.4 alle 16.35. Successivamente sono state registrate altre due scosse di natura strumentale, magnitudo 2.1, di cui una in mare tra il capoluogo pitagorico e Isola Capo Rizzuto.

Le due scosse principali sono state localizzate dagli strumenti dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia a una profondità di 25 chilometri e 30 chilometri.

Le scosse di maggiore intensità sono state avvertite dalla popolazione ma non hanno causato danni a persone o cose. In precedenza, alle 15.17, sempre nella stessa provincia, era stata registrata una scossa di magnitudo più lieve, 2.4 nel territorio di Isola.

Coltivavano marijuana, tre arresti a Cosenza

Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Cosenza hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale bruzio, nei confronti di 4 persone persone (due in carcere, uno ai domiciliari ed uno con obbligo di dimora nel comune di residenza), a vario titolo indagate per il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti.

Nel corso delle indagini sono stati denunciati anche ulteriori tre soggetti indagati anch’essi per i medesimi reati nonché per reati ambientali.

L’operazione antidroga, coordinata dalla Procura e condotta dai Finanzieri cosentini, è stata avviata a seguito di intensa attività informativa, opportunamente supportata da indagini tecniche, servizi di osservazione e pedinamento, nonché attraverso testimonianze, che hanno consentito di ricostruire uno strutturato gruppo locale dedito alla coltivazione di cannabis per la successiva produzione di stupefacente.

Nel corso delle investigazioni le Fiamme gialle hanno sottoposto a sequestro – in distinti interventi – 3 piantagioni allocate in aree impervie della Provincia, necessitando del supporto
delle componenti specialistiche aeronavali e del soccorso alpino della Guardia di Finanza, oltre all’utilizzo, durante le fasi di indagine, anche di droni.

Le intercettazioni degli indagati hanno evidenziato come il dominus, già con precedenti specifici in materia di stupefacenti, ricercasse terreni da utilizzare per la coltivazione della
cannabis non solo in considerazione della loro peculiare localizzazione, ma anche in funzione del particolare stato di disagio economico dei proprietari, ai quali veniva promesso
l’acquisto a breve termine degli appezzamenti.

Le piante e lo stupefacente sequestrato avrebbero reso un quantitativo stimato di 800 chili di marijuana, che, venduta al dettaglio, avrebbe consentito un illecito guadagno di circa 4
milioni di euro.

Sbanda con l’auto che si ribalta, ferita una donna

Una donna è rimasta ferita in un incidente stradale avvenuto sull’A2 allo svincolo di Lamezia Terme, direzione nord. La donna era a bordo di una Lancia Ypislon quando per cause in corso di accertamento, è sbandata e si è ribaltata sulla sede stradale.

La conducente è stata estratta dall’abitacolo dai Vigili del fuoco di Lamezia ed affidata al personale sanitario del Suem118 per le cure del caso e successivo trasporto in ospedale con l’Elisoccorso.

Sul posto è intervenuta la Polizia stradale per gli adempimenti di competenza e personale Anas per il ripristino delle normali condizioni di sicurezza della sede stradale. Disagi per la viabilità. Lo svincolo autostradale è rimasto chiuso al transito sino al termine delle operazioni di soccorso.

Rapina in un Ufficio postale nel cosentino, 30mila euro il bottino

ufficio-postale

Rapina stamane nell’Ufficio postale di Domanico, centro in provincia di Cosenza. Due persone a volto coperto sono entrate nel locale, nell’orario di apertura, e si sono impossessati di una somma di denaro quantificata in circa 30 mila euro.

Secondo quanto si è potuto apprendere al momento i due malviventi, impugnando una pistola, hanno minacciato l’impiegato in servizio. Inoltre, dalle prime sommarie informazioni è emerso anche che i rapinatori hanno anche legato e imbavagliato la donna delle pulizie per poi allontanarsi con il bottino a bordo un’auto.

Sul posto sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Cosenza che hanno raccolto informazioni e testimonianze. Al vaglio degli investigatori anche le immagini del sistema di video sorveglianza dell’ufficio. L’auto utilizzata dai malviventi per scappare è stata individuata dai carabinieri a poca distanza dal luogo della rapina.

Cosenza, si è insediato il nuovo capo della Squadra mobile della Polizia

Il capo della Squadra mobile della Polizia di Cosenza Gabriele Presti

Si è insediato stamane presso la Questura di Cosenza, il nuovo capo della Squadra mobile della Polizia di Stato, dottor Gabriele Presti.

Presti succede al dottor Angelo Paduano, alla Squadra mobile cosentina dal 2021, già neopromosso Primo Dirigente della Polizia di Stato, trasferito alla Questura di Catanzaro, quale Dirigente della Divisione PASI (Polizia Amministrativa, Sociale e dell’Immigrazione).

Nei ruoli della Polizia di Stato dal 1999, Gabriele Presti ha frequentato i corsi da allievo agente ausiliario e di riconferma, rispettivamente, presso le Scuole per allievi agenti della Polizia di Stato di Campobasso e di Peschiera del Garda.

Da agente della Polizia di Stato ha prestato servizio nelle città di Catania, Roma, Rimini e Palermo. In quest’ultima città ha svolto servizio per un lungo periodo, dall’inizio del 2003 alla fine del 2006 presso il Commissariato di Pubblica Sicurezza sezionale “San Lorenzo”.

Laureatosi in giurisprudenza, ha superato il concorso da funzionario frequentando il Corso di formazione per Commissari presso la Scuola Superiore di Polizia in Roma, espletando dei periodi di tirocinio nelle città di Verona, Brescia e Trieste.

Nel dicembre 2008, al termine del corso di formazione biennale, è stato assegnato alla Questura di Enna ove ha rivestito l’incarico di Dirigente dell’U.P.G.S.P., di Vice Capo di Gabinetto.

Dal giugno del 2010, è stato trasferito presso il Commissariato di Pubblica Sicurezza di Piazza Armerina, quale Dirigente.

Dall’ottobre 2012 al novembre 2015 è stato Dirigente del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Niscemi, in provincia di Caltanissetta.

Nel giugno 2015 è stato promosso alla qualifica superiore di Vice Questore Aggiunto; il 01 novembre 2015, è stato trasferito alla Questura di Enna, assumendo la Dirigenza della Squadra Mobile.

Il 09 Dicembre 2019, è stato trasferito alla Questura di Siracusa, assumendo la Dirigenza della Squadra Mobile.

Il Funzionario è stato impiegato anche in servizi di ordine pubblico presso sedi diverse da quella di servizio, tra cui si citano servizi di ordine pubblico grandi eventi.

E’ stato relatore in diversi convegni di rilevanza provinciale e regionale, su materie professionali, e in particolare sul tema dello stalking, dei reati di atti persecutori e maltrattamenti in famiglia, reati afferenti la Violenza di Genere, nonché su tematiche inerenti la polizia di prossimità. Nel periodo di Dirigenza della Squadra di Siracusa ha inoltre relazionato in alcuni seminari sulle Organizzazioni Criminali Straniere, ed in particolare nell’ambito di un “workshop” organizzato dall’Unodc” sulla criminalità organizzata nigeriana. Ha partecipato a vari meeting sul traffico illegale di migranti, che hanno visto la partecipazione non solo di protagonisti istituzionali italiani, ma anche di rappresentanti di altri paesi europei e del nord Africa, nonché di varie agenzie europee (Europol, Eurojust).

Tra le attività investigative svolte da quando ha assunto l’incarico di Dirigente della Squadra Mobile di Siracusa, si segnalano: l’operazione, denominata “Demetra”, finalizzata al contrasto alla criminalità organizzata e al traffico di stupefacenti; l’operazione di contrasto ai gruppi criminali, di composizione curdo-irachena ed italiana dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, denominata “Mondi Connessi”; l’operazione convenzionalmente denominata “Robin Hood; l’operazione denominata “Fast Shipping”, volta al contrasto del traffico internazionale di sostanze stupefacenti; l’operazione denominata “Bad Mama”, volta al contrasto della criminalità nigeriana dedita allo sfruttamento della prostituzione di donne straniere; l’operazione denominata “Ludos” si è riusciti disarticolare un’associazione dedita all’organizzazione di scommesse clandestine e all’usura.

Scoperti B&B abusivi nel reggino, sanzioni

Cinque sanzioni sono state comminate dalla Polizia locale di Palmi ad altrettante attività commerciali abusive extralberghiere, nello specifico case vacanze e B&B, non in regola con la legge regionale e che avrebbero evaso i tributi locali.

Le irregolarità sono state scoperte a seguito di un’indagine che ha avuto impulso grazie alla dotazione, da parte del Comando della Polizia locale, di un software che consente di incrociare i dati delle strutture censite e registrate nella banca dati del Comune e quindi regolari, con tutte le inserzioni di alloggi, appartamenti, affittacamere, Bed & breakfast presenti sui principali siti specializzati quali Booking, Airbnb e molti altri.

In tal modo è stato fatto emergere il sommerso legato ad attività “fantasma” non registrate che, oltre a esercitare una concorrenza sleale nei confronti delle attività ricettive regolari, evadono le tasse locali (imposta di soggiorno) sottraendo all’ente importanti risorse che possono essere investite nei servizi pubblici.

Dalle indagini, a fronte di circa 50 strutture risultate regolari, è emerso un numero impressionante di inserzioni inserite da strutture “fantasma”. La Polizia locale di Palmi, diretta dal maggiore Francesco Managò, ha così avuto modo di estrarre i dati, avviando le ispezioni e le indagini amministrative sui siti. Da subito sono state comminate le sanzioni fino ad un massimo di mille euro a strutture del tutto prive di autorizzazioni. A tali realtà, inoltre, sarà notificata un’ordinanza di cessazione attività con la segnalazione alle autorità competenti. Le indagini proseguono, sottolineano gli operatori della Polizia locale palmese, fino all’azzeramento del sommerso.

Follia della gelosia a Foggia, uccide rivale in amore e la figlia che fa da scudo alla madre

Follia nel Foggiano, dove la scorsa notte un uomo di 45 anni di origine albanese, Taulant Malaj, ha impugnato un coltello e ha ucciso un suo vicino di casa, Massimo De Santis, di 51 anni, e la propria figlia sedicenne Jessica Malaj, che si era posta in difesa della madre, vero obiettivo delle coltellate. Il duplice omicidio è avvenuto in una palazzina di via Togliatti a Torremaggiore, in provincia di Foggia.

Dalle prime informazioni, il movente sembrerebbe riconducibile alla gelosia. Il presunto assassino, panettiere, è stato già fermato dai carabinieri. Dalle prime ipotesi sembra che Taulant Malaj avesse maturato la convinzione che la moglie avesse una relazione extraconiugale con Massimo De Santis, commerciante, residente nello stesso stabile.  Quindi, accecato dalla gelosia avrebbe ammazzato il rivale in amore sul pianerottolo e poi voleva farla “pagare cara” alla moglie, una connazionale di 39 anni, Tefta Malaj. Entrato nell’abitazione c’è stata una violenta colluttazione e ha ucciso la figlia di sedici anni che ha incassato i fendenti destinati alla moglie, che è rimasta ferita e ricoverata nell’ospedale di Foggia. La ragazza frequentava il terzo anno dell’istituto statale di istruzione secondaria superiore “Fiani-Leccisotti”.

Secondo una prima ricostruzione, il delitto sarebbe avvenuto verso le due di notte tra sabato e domenica e, stando a quanto riporta l’Ansa, l’uomo è stato accoltellato sulle scale dello stabile in cui si trovava. Il presunto assassino sarebbe poi entrato in casa con l’intento di uccidere la moglie ma la ragazza è intervenuta per difendere sua madre ed è stata uccisa. La donna è riuscita a scappare e a chiamare i carabinieri. Quando i militari sono arrivati sul posto hanno bloccato il 45enne che – secondo gli investigatori – vagava nella zona alla ricerca dell’altro figlio di cinque. L’arma del delitto, un coltello da cucina, è stato recuperata.

Dopo aver ucciso il presunto amante della moglie e la propria figlia 16enne, il 45enne albanese Taulant Malaj ha ripreso le vittime con il telefonino. Nel video con immagini molto crude, che sta circolando in alcune chat Whatsapp, si rivolge in albanese anche alla moglie ferita, salvata dalla figlia 16enne che l’ha difesa dalla furia del padre.

Nella clip l’uomo si è presentato con il proprio nome e poi indica il corpo del 51enne Massimo De Santis, che ha da poco ucciso: “Vedete questo qua, lui è l’italiano” con cui ritiene che sua moglie avesse una relazione. Poi, aggiunge, “ho perdonata già una volta mia moglie, lui è il secondo”.

“Ho tagliato lui, li ho ammazzati tutti i tre, anche mia figlia, vedete qui”, prosegue insultando la moglie 39enne che si stende, ferita, accanto al corpo della figlia. Poi, urlando, Malaj si domanda dove sia “il bambino”, l’altro figlio di cinque anni che non ha trovato in casa ma che secondo gli investigatori stava cercando per uccidere: “Non ho finito ancora, non è venuto nessuno, nemmeno la polizia”. Il filmato è diventato virale sui social e nelle chat, anche nei media albanesi, che hanno ripreso la notizia del grave fatto di sangue.

Il sindaco di Torremaggiore, Emilio Di Pumpo, su Fb ha fatto appello “al senso di responsabilità di ognuno: chiedo il massimo rispetto per le famiglie coinvolte – scrive – invito chiunque abbia ricevuto video e/o immagini inappropriate, a bloccare immediatamente questo tam tam di messaggi. Invito tutti al silenzio, rispetto e preghiera per le anime dei nostri concittadini venuti a mancare”. “Torremaggiore – aggiunge – oggi piange per due giovani vite strappate via in una terribile tragedia che non può lasciarci indifferenti. Il mio personale e sentito cordoglio in questo momento di forte dolore per tutta la città di Torremaggiore”.

Attentato allo scrittore russo Prilepin, cosa sappiamo

Il 6 maggio, l’auto dello scrittore e politico Zakhar Prilepin è esplosa nella regione di Nizhny Novgorod. Secondo le ultime informazioni, l’autista è morto, lo scrittore è rimasto ferito. Prilepin è anche conosciuto come il leader del partito politico “For Truth” fino a quando non si è fuso nel partito “A Just Russia”, nel febbraio 2021.

La Tass ha raccolto i fatti principali sull’attacco, che sono disponibili per il momento.

Circostanze dell’incidente

– L’auto di Prilepin è stata fatta saltare in aria nella regione di Nizhny Novgorod. Secondo i dati preliminari, l’ordigno esplosivo è stato piantato sotto il fondo dell’auto, hanno riferito i servizi di emergenza a TASS.

– A seguito dell’esplosione, Prilepin è stato ferito, il suo autista è stato ucciso, hanno detto le forze dell’ordine.

– Il ministero dell’Interno russo ha successivamente confermato la morte dell’autista. Secondo il ministero non ci sono altre vittime.

Condizione dello scrittore

– Come riportato dal servizio stampa dello scrittore, Prilepin sta “bene” dopo l’esplosione. Questa informazione è stata confermata dal governatore della regione di Nizhny Novgorod Gleb Nikitin.

– In precedenza, le forze dell’ordine hanno riferito che lo scrittore era ferito ed era cosciente. Successivamente, i servizi medici hanno chiarito che Prilepin è stato portato in ospedale con ferite a entrambe le gambe.

Le reazioni

– Il comitato investigativo russo ha riferito che i suoi dipendenti erano partiti per la scena.

– Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov non ha commentato l’incidente, osservando che “prima è necessario ottenere informazioni dalle forze dell’ordine”.

– “Washington e la NATO hanno alimentato un’altra cellula terroristica internazionale: il regime di Kiev”, ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, commentando l’incidente. Non ci sono ancora informazioni ufficiali sul coinvolgimento delle autorità ucraine nell’esplosione.

Altri attentati ai russi

– Questo non è il primo attentato a figure patriottiche in Russia negli ultimi mesi.

– Il 2 aprile 2023, il comandante militare Vladlen Tatarsky (vero nome Maxim Fomin) è morto a seguito di un’esplosione a San Pietroburgo. Secondo gli investigatori, gli organizzatori dell’attentato erano “i servizi speciali dell’Ucraina e i loro agenti, compresi quelli dell’opposizione russa nascosti all’estero”. Su loro istruzione, la 26enne Daria Trepova ha consegnato al commissario militare una statuetta con esplosivo.

– Il 6 marzo 2023, l’FSB ha annunciato la prevenzione di un attentato alla vita di un uomo d’affari russo, presidente del consiglio di amministrazione del gruppo Tsargrad, Konstantin Malofeyev. Secondo l’FSB, il crimine è stato preparato dai servizi speciali ucraini.

– Il 20 agosto 2022, l’auto della giornalista Darya Dugina è stata fatta saltare in aria nella regione di Mosca. La figlia del filososo Alexander Dugin è morta. Secondo l’FSB, la cittadina ucraina Natalya Vovk e sua figlia Sofia Shaban, che hanno lasciato la Russia dopo l’esplosione, sono state coinvolte nel crimine.

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