12 Ottobre 2024

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Operazione Glicine, le indagine della Dda anche in Germania

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Si è sviluppata anche nell’ambito di una squadra investigativa comune tra la Procura di Catanzaro e la Procura tedesca di Stoccarda l’inchiesta del Ros, che stamattina ha portato a numerosi arresti in provincia di Crotone. La collaborazione italo-tedesca ha consentito di svolgere, contemporaneamente ed in collegamento, le indagini nei due Paesi, con acquisizione in tempo reale degli elementi indiziari risultanti nelle distinte attività investigative.

Eurojust, attraverso il componente nazionale italiano, ha garantito un costante raccordo operativo con l’Autorità giudiziaria straniera coinvolta, oltre che mediante la costituzione della squadra investigativa comune, anche attraverso numerose riunioni di coordinamento internazionale. Grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, alle analisi delle segnalazioni della Banca d’Italia e alle indagini svolte in Germania, l’attività investigativa avviata nel 2018 dal Ros è stata incentrata sulla ricostruzione degli assetti, dei rapporti politico-imprenditoriali e delle dinamiche criminali della locale di Papanice al cui vertice si pone la famiglia Megna.

I pm guidati dal procuratore Nicola Gratteri hanno ricostruito gli interessi illeciti degli esponenti della cosca crotonese nei settori immobiliare, della ristorazione, del commercio di prodotti ortofrutticoli e di bestiame, dei servizi di vigilanza, security e del gaming attraverso l’imposizione di videopoker alle sale scommesse e la loro gestione tramite prestanomi.

I tentacoli dei Megna hanno interessato le province di Parma, Milano e Verona dove erano stabilmente attivi sodali e imprenditori operanti nel settore dell’autotrasporto, della ristorazione e del movimento terra.

Ai domiciliari è finito l’imprenditore austriaco Josef Wieser, di 59 anni, che grazie alla ‘ndrangheta avrebbe ottenuto la creazione di una rete di produzione per la commercializzazione di prodotti ortofrutticoli, approfittando della capacità economica della cosca di offrire coltivazioni estese e attrezzature, messe a disposizione sul territorio, in condizioni di mercato largamente favorevoli.

I pm hanno accertato, inoltre, che la cosca avvalendosi del supporto di hacker tedeschi, sarebbe riuscita a compiere operazioni bancarie e finanziarie fraudolente sia operando su piattaforme di trading clandestine, sia svuotando conti correnti esteri bloccati o creati ad hoc utilizzando carte di credito estere e alterando il funzionamento del pos.

Glicine, coinvolti anche i fratelli Vrenna: “Chiariremo nostra posizione. Siamo sereni”

i fratelli Raffaele e Giovanni Vrenna (archivio)

“Questa mattina siamo venuti a conoscenza di un’indagine della Procura di Catanzaro, ampia e articolata, che vede molti soggetti coinvolti – a vario titolo e con capi d’accusa molto diversi tra loro – e chiama in causa in piccola parte anche il nostro gruppo”. Così in una nota Gianni Vrenna, presidente della Envì Group Srl, la holding che si occupa di ambiente, energia e rifiuti e che detiene la proprietà del Crotone calcio, club estraneo all’indagine.

“Intanto, vista la risonanza mediatica, mi preme sottolineare che non ci vengono contestati, neanche provvisoriamente, reati riconducibili alla criminalità organizzata. Siamo pienamente rispettosi del lavoro della Procura, ma allo stesso tempo siamo già impegnati nel produrre, attraverso i nostri avvocati, tutta la documentazione relativa alla gestione e allo svolgimento delle attività delle nostre aziende e ai rapporti passati e presenti con gli enti pubblici per chiarire definitivamente la nostra posizione”.

“Siamo molto sereni, certi di aver operato sempre nella massima trasparenza e nel pieno rispetto delle normative vigenti. E siamo convinti che la Procura presterà la massima attenzione alle nostre deduzioni”, conclude la nota di Vrenna.

Blitz antimafia in Calabria, il “sistema Sculco” e il “patto” con Oliverio

“Una sequela indeterminata di reati, funzionali ad accrescere il peso specifico elettorale attraverso incarichi fiduciari, nomine e assunzioni, di matrice esclusivamente clientelare, in enti pubblici, nella prospettiva di ottenere ii voto, nonché affidando appalti anche a imprese i cui titolari avrebbero assicurato l’appoggio elettorale”.

Sono quelli contestati dalla Procura distrettuale antimafia guidata da Nicola Gratteri a politici e imprenditori coinvolti nell’inchiesta che oggi ha portato ad arresti eccellenti a Crotone e nel resto della Calabria. Gli inquirenti parlano di un patto stipulato dal leader del movimento “I Demokratici”, Enzo Sculco, e l’allora presidente della Regione Calabria Mario Oliverio, del Pd, con il primo che avrebbe garantito sostegno elettorale al secondo in cambia della candidatura della figlia Flora Sculco al consiglio regionale.

Con la partecipazione, anche, dell’ex vicepresidente della regione Nicola Adamo. Da questo patto sarebbero appunto derivati una serie di incarichi e appalti elargiti dai politici a dirigenti ed imprenditori di fiducia. In questo modo, spiegano gli inquirenti, sarebbe avvenuta la penetrazione all’interno del Comune di Crotone, con “la individuazione di dirigenti, loro graditi”, “il condizionamento di appalti pubblici, attraverso affidamenti illeciti a imprese gradite a Sculco Vincenzo e Devona Giancarlo”. “l’affidamento di incarichi a soggetti graditi a Sculco e Devona”.

E ancora la penetrazione nella società partecipata dal comune di Crotone, “Crotone Sviluppo”, con la “individuazione da parte dello Sculco di direttori generali, a lui graditi, nonché dell’amministratore unico”. Quindi “la penetrazione nella Provincia di Crotone, mediante il condizionamento del voto nel 2017, attraverso un accordo promosso da Sculco per far eleggere Parrilla Nicodemo, facendo apparentare i cirotani con i mesorachesi e controllando lo Sculco capillarmente le operazioni elettorali”.

Da sottolineare che Parrilla, una volta eletto presidente della Provincia di Crotone è stato poi coinvolto e condannato nella maxi operazione antimafia Stige. La penetrazione nell’Aterp Calabria, distretto di Crotone, di Mario Oliverio, Giancarlo Devona e Vincenzo Sculco con la designazione a direttore generale di Ambrogio Mascherpa, persona di fiducia di Mario Oliverio e in precedenza commissario straordinario de! predetto ente”.

La indicazione, da parte di Nicola Adamo, Vincenzo Sculco, dell’ex consigliere regionale Sebi Romeo e Giancarlo Devona, “di professionisti, loro graditi, per l’espletamento di incarichi per canto di Aterp, quale quello relativo all’accatastamento di immobili di edilizia popolari nell’area crotonese”.

Gli inquirenti della Dda annotano ancora “la penetrazione nell’Asp di Crotone, mediante la precisa concertazione tra Mario Oliverio, Giancarlo Devona, Vincenzo Sculco, Nicola Adamo, in ordine al controllo del predetto ente, attraverso la rimozione dell’allora direttore generale Sergio Arena – persona sgradita a Sculco – e la preposizione di una figura di vertice che assicurasse un segnale di discontinuità con il passato, nella specie Antonello Graziano, soggetto gradito a questo ultimo, persona che avrebbe contribuito a nominare i dirigenti Masciari e Brisinda, legati a Sculco medesimo”.

Traffico di droga e armi, 30 arresti, tra alcuni in Calabria

I Carabinieri di Monza – coordinati dalla DDA di Milano – hanno disarticolato un’associazione per delinquere finalizzata al traffico nazionale ed internazionale di droga e armi, riciclaggio e autoriciclaggio. L’autorità giudiziaria ha complessivamente contestato agli indagati 221 capi d’imputazione.

L’esecuzione degli arresti
Dalle prime ore dell’alba di oggi, nelle province di Monza Brianza, Milano, Como, Pavia, Reggio Calabria, Catanzaro, Messina, Palermo, Trieste e Udine, gli uomini del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Monza Brianza e dei comandi Arma territorialmente competenti, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale – emessa dal Gip del Tribunale di Milano su richiesta di quella DDA – nei confronti di 30 persone (26 di nazionalità italiana e 4 marocchina). Nell’operazione, in codice Crypto sono diversi gli indagati.

Lo droga dal Sud America
Lo stupefacente proveniva dal Sud America (prevalentemente dall’Ecuador) e dalla Spagna ed approdava celato nei container nel porto calabrese di Gioia Tauro per giungere in buona parte a Milano. L’associazione aveva la base operativa nel capoluogo lombardo, dove uno dei principali indagati (una sorta di broker) si occupava di mantenere tutte le relazioni per concludere gli affari di droga, tenendosi comunque in contatto con i complici calabresi indispensabili per l’estrazione in modo “sicuro” della “merce” dal porto.

L’inchiesta ha consentito di ricostruire innumerevoli compravendite di stupefacenti per un totale di 3.051 kg di hashish (del valore alla vendita di circa 12 Milioni di Euro) e 374 kg cocaina (del valore alla vendita di circa 11 milioni di Euro).

Le armi
Parallelamente al traffico di droga, è emerso un illecito commercio di armi da fuoco comuni e da guerra (mitragliette UZI, fucili da assalto AK47, Colt M16, pistole Glock e Beretta, nonché bazooka e bombe a mano MK2 “ananas”). Gli indagati acquistavano le armi da un fornitore monzese, condannato all’ergastolo per omicidio aggravato ed associazione mafiosa, ma beneficiante di periodici permessi premio durante i quali sviluppa le intermediazioni per le armi .

Le prime indagini e lo smercio della droga su Milano e Monza
Le indagini, iniziate nell’estate del 2020, sono state portate avanti con il ricorso massivo a servizi di pedinamento ed osservazione sul campo, resi indispensabili dall’utilizzo quasi esclusivo dei telefoni criptati da parte degli indagati (da cui il nome dell’operazione), oltre all’attivazione di intercettazioni ambientali e video anche nei luoghi abitualmente frequentati dagli indagati. È emerso come un commerciante di auto usate di Cusano Milanino, avrebbe operato come broker gestendo l’ingresso e la commercializzazione di enormi quantitativi di droga nel territorio nazionale, con la complicità ed il supporto di appartenenti ad una nota famiglia di ‘ndrangheta da tempo operante anche in Lombardia (Bellocco di Rosarno). La droga veniva venduta all’ingrosso per poi essere smerciata sulle piazze di spaccio presenti in Quarto Oggiaro, Cinisello Balsamo  e Monza.

È stato finanche necessario effettuare un pedinamento transfrontaliero attivo da parte dei Carabinieri in Francia e Spagna, nelle città di Nizza, Marsiglia, Barcellona e Valencia.

Nel febbraio 2021, in periodo dell’emergenza pandemica, infatti, personale del Nucleo Investigativo ha seguito alcuni degli indagati in un viaggio in auto in Spagna – in pieno lockdown – per gestire personalmente l’acquisto del narcotico da alcuni fornitori.

Le comunicazioni criptate
L’indagine ha poi ottenuto un rapido sviluppo con l’acquisizione – mediante il canale di collaborazione Eurojust – delle chat di dialogo tra gli indagati (messaggistica, audio, foto e video) estratte in chiaro dalla piattaforma SKY-ECC (su cui operano i telefonini criptati) nel corso di una pregressa operazione internazionale di polizia coordinata da Europol che ne aveva abbattuto le barriere di codifica informatica. L’analisi della grande quantità di informazioni ottenute – particolarmente utili perché caratterizzate da una forma estremamente esplicita – incrociate con le intercettazioni e le osservazioni sul terreno raccolte da parte dei Carabinieri di Monza, ha permesso quindi di arricchire ed irrobustire il quadro accusatorio. In particolare gli indagati, convinti dell’inespugnabilità del mezzo di comunicazione criptato, si esprimevano con i loro telefoni “sicuri” in forma esplicita, condividendo fotografie dei pacchi di droga e delle armi trafficate, dettagli di occultamento nei container e contrattando attraverso la messaggistica i prezzi delle vendite. Gli indagati non mancavano di complimentarsi e festeggiare al buon esito dei loro traffici.

Gli orologi di lusso
Parte degli ingenti guadagni del traffico di droga, venivano reinvestiti in orologi di lusso presso una nota gioielleria del centro di Milano, beni immobili residenziali, attività commerciali, oltre che l’acquisto di nuovi carichi di droga.

‘Ndrangheta, arrestato l’ex consigliere regionale Enzo Sculco. Indagata la figlia

Enzo Sculco e la figlia Flora

C’è anche l’ex consigliere regionale della Calabria Enzo Sculco, di 73 anni, eletto a suo tempo con la lista della Margherita ed ex segretario generale della Cisl regionale, tra le 43 persone destinatarie di misure cautelari eseguite dai carabinieri del Ros nell’ambito di un’inchiesta contro la ‘ndrangheta eseguita stamattina con il coordinamento della Dda di Catanzaro.

Nell’inchiesta è indagata anche la figlia di Sculco, di 44 anni, anche lei ex consigliere regionale della Calabria. Dei 43 indagati, 22 sono finiti in carcere e 12 ai domiciliari. Disposti, inoltre, 3 obblighi di dimora, 4 interdizioni dai pubblici uffici e 2 divieti di contrattare con la pubblica amministrazione. Le persone indagate sono, complessivamente, 123.

Gip: “Un Comitato d’affari e sistema diffuso clientelare”

Un “Comitato d’affari” che avrebbe organizzato un “diffuso sistema clientelare” per la gestione di appalti pubblici, ed in particolare di quelli banditi dalla Regione Calabria, ma non solo; lo smaltimento dei rifiuti e una serie di nomine ed incarichi politici.

È su questo che ha fatto luce l’inchiesta, denominata “Glicine akeronte” e condotta dalla Dda di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, che ha portato stamattina all’arresto di 43 persone.

L’ordinanza di custodia cautelare eseguita dai carabinieri del Ros è stata emessa dal Gip distrettuale Antonio Battaglia.

‘Ndrangheta, indagato l’ex governatore della Calabria Mario Oliverio

Mario Oliverio
Mario Oliverio

L’ex presidente della Regione Calabria Mario Oliverio, di 70 anni, eletto col Pd, è indagato nell’inchiesta della Dda di Catanzaro che ha portato stamattina all’arresto di 43 persone.

L’ipotesi di reato a carico di Oliverio, che è stato governatore dal 2014 al 2020, è quella di associazione per delinquere aggravata dalle modalità mafiose.

Tra gli indagati ci sono inoltre gli ex assessori regionali Nicola Adamo, di 66 anni, ed Antonietta Rizzo, di 59, e l’ex consigliere regionale Sebi Romeo, di 48, tutti del Partito democratico.

‘Ndrangheta, blitz del Ros in Calabria: 43 arresti, tra cui politici

I Carabinieri del ROS – con il supporto in fase esecutiva dei Comandi Provinciali Carabinieri di Crotone, Cosenza, Catanzaro, Potenza, Parma, Brescia, Milano e Mantova e dello Squadrone Eliportato Calabria – ha eseguito un’ordinanza cautelare emessa dal Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo, a carico di 43 indagati (22 in carcere, 12 ai domiciliari, tre sottoposti all’obbligo di dimora nel comune di residenza, 4 sospensioni dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (per la durata di 1 anno) e 2 dal divieto temporaneo di contrattare con la P.A. (per la durata di anni 1). Le persone coinvolte sono accusate a vario titolo, per associazione di tipo mafioso (22 indagati), associazione per delinquere (9 indagati), associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe aggravata dalle finalità mafiose (3 indagati), turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, estorsione, illecita concorrenza con minaccia o violenza, omicidio, trasferimento fraudolento di valori, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, turbata liberà degli incanti, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità ideologica e materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, scambio elettorale politico mafioso, truffa aggravata.

Tra le persone coinvolte vi sono anche politici. Indagato eccellente è l’ex presidente della Regione Calabria Mario Oliverio. L’ipotesi di reato a carico di Oliverio, che è stato governatore dal 2014 al 2020, è quella di associazione per delinquere aggravata dalle modalità mafiose.

Tra gli indagati ci sono inoltre gli ex assessori regionali Nicola Adamo, di 66 anni, ed Antonietta Rizzo, di 59, e l’ex consigliere regionale Seby Romeo, di 48, tutti del Partito democratico.

Ai domiciliari è finito anche l’ex consigliere regionale della Calabria Enzo Sculco, di 73 anni, eletto a suo tempo con la lista della Margherita ed ex segretario generale della Cisl regionale. Nell’inchiesta è indagata anche la figlia di Sculco, Flora, di 44 anni, anche lei ex consigliere regionale della Calabria.

L’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, diretta dal Procuratore Nicola Gratteri, ha registrato l’importante contributo – è scritto in una nota della Procura antimafia -, profuso in pregresse investigazioni, per il filone politico amministrativo, da parte del Centro operativo di Catanzaro della Direzione investigativa antimafia e da parte del Nucleo operativo ecologico di Catanzaro del Comando tutela dell’ambiente e della transizione ecologica dei Carabinieri e, per il filone relativo alla criminalità organizzata, da parte delle Squadre mobili di Crotone e Catanzaro.

Detta indagine si poi è sviluppata anche nell’ambito di una Squadra Investigativa Comune intercorsa tra la Procura della Repubblica di Catanzaro e la Procura tedesca di Stoccarda, che ha consentito di svolgere, contemporaneamente ed in collegamento, le indagini nei due Paesi, con acquisizione in tempo reale degli elementi indiziari risultanti nelle distinte attività investigative.

Eurojust, attraverso il membro nazionale italiano, ha garantito un costante raccordo operativo con l’Autorità giudiziaria straniera coinvolta, oltre che mediante la costituzione della squadra investigativa comune, anche attraverso numerose riunioni di coordinamento internazionale.

L’attività investigativa riguardante il versante ‘ndranghetistico – corroborata dalle propalazioni di vari collaboratori di giustizia, dall’analisi delle segnalazioni dell’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia e da attività investigative svolte in Germania in ambito cooperazione giudiziaria – è stata avviata nel 2018 dal Raggruppamento ed è stata incentrata sulla ricostruzione degli assetti, dei rapporti politico/imprenditoriali e delle dinamiche criminali della locale di Papanice (KR), al cui vertice si pone la famiglia Megna.
In tale quadro, sono stati raccolti gravi indizi in ordine alla individuazione del vertice della citata articolazione territoriale della ‘ndrangheta nella persona di Domenico Megna ritenuto, sempre attraverso la raccolta di indizi, essere il mandante dell’omicidio di Salvatore Sarcone, commesso per riaffermare la propria supremazia all’indomani della sua scarcerazione.

Sono stati raccolti indizi che hanno delineato, allo stato del procedimento, i molteplici interessi illeciti degli esponenti della citata locale nei settori immobiliare, della ristorazione, del commercio di prodotti ortofrutticoli e di bestiame, dei servizi di vigilanza – security e del gaming attraverso l’imposizione di video-poker alle sale scommesse e/o la loro gestione tramite prestanomi. Interessi che hanno travalicato i confini della Calabria, interessando le province di Parma, Milano e Verona ove erano stabilmente attivi sodali e imprenditori operanti nel settore dell’autotrasporto, della ristorazione e del movimento terra che operavano per conto della cosca dei “Papaniciani”.

Si sono raccolti altresì indizi che hanno delineato, allo stato delle conoscenze, cointeressenze, sul fronte estero, con un imprenditore ortofrutticolo austriaco il quale avrebbe ottenuto, dai membri del sodalizio, la creazione di una rete di produzione per la successiva commercializzazione di prodotti ortofrutticoli, profittando della capacità economica del sodalizio di offrire coltivazioni estese e attrezzature, messe a disposizione sul territorio da parte della cosca, in condizioni di mercato largamente favorevoli all’imprenditore.

Inoltre, si è, allo stato, accertato che i ritenuti esponenti della cosca, avvalendosi del supporto di hacker tedeschi, sarebbero riusciti a compiere operazioni bancarie e finanziarie fraudolente sia operando su piattaforme di trading clandestine, sia svuotando conti correnti esteri bloccati o creati ad hoc utilizzando carte di credito estere e alterando il funzionamento del POS.

Sul fronte politico amministrativo, il Raggruppamento ha poi svolto accertamenti, che hanno permesso la raccolta di gravi indizi di colpevolezza in ordine alla esistenza di un’associazione per delinquere, costituita da pubblici amministratori, imprenditori ed intermediari, alcuni dei quali in rapporti con la cosca dei “Papaniciani”, in grado di condizionare, allo stato delle conoscenze, le scelte degli Enti pubblici crotonesi (Comune, Provincia, Aterp e Asp relativamente a nomine di dirigenti, conferimento di incarichi professionali, appalti e affidamenti diretti.

Per quanto concerne l’amministrazione comunale di Crotone, tra le altre, gli indizi hanno rappresentato ingerenze del sodalizio nell’assunzione clientelare di personale, presso le società partecipate Crotone Sviluppo e Akrea, nonchè il condizionamento di appalti pubblici e del procedimento di affidamento diretto di lavori e di fornitura di servizi.

Nell’ambito dell’amministrazione provinciale di Crotone gli indizi hanno permesso di delineare turbative nel procedimento di affidamento diretto relativi a lavori di manutenzione e messa in sicurezza di strade provinciali e siti di interesse oggetto di riqualificazione ambientale.

Mentre per l’Aterp e l’Asp il compendio indiziario ha profilato alterazioni dei processi decisionali per la nomina di figure apicali in grado di favorire gli interessi del sodalizio, condizionamenti della procedura di scelta di immobili da locare, di appalti e affidamenti diretti per la manutenzione di immobili e la fornitura di servizi.

Come accennato, l’accertamento del filone squisitamente ‘ndranghetistico ha visto l’apporto significativo della Polizia di Stato, in particolare delle Squadre Mobili di Crotone e Catanzaro, il cui personale ha provveduto alla notifica di informazioni di garanzia nei confronti di indagati a piede libero.

Parimenti, per il versante politico amministrativo, l’indagine ha beneficiato del contributo altrettanto significativo, a livello investigativo, della Direzione investigativa antimafia, Centro operativo di Catanzaro, il cui personale ha notificato informazioni di garanzia nei confronti di esponenti politici e amministratori pubblici.

Infine si inserisce l’attività del Nucleo Operativo Ecologico Carabinieri di Catanzaro, il cui personale ha notificato informazioni di garanzia a carico di diversi indagati, a vario titolo, per i reati di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, frode nelle pubbliche forniture, altri reati in materia ambientale, turbata libertà del procedimento di scelta del contrante e di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, nonché per reati in materia elettorale. Le attività di indagini per cui si procede riguardano la gestione del ciclo di trattamento dei RSU (Rifiuti Solidi Urbani) nella Regione Calabria.

Le attività investigative, coordinate in ambito internazionale da Eurojust, sono state condotte in cooperazione con la Polizia Federale Tedesca – BKA e supportate da Interpol- progetto I-CAN, e da Europol.

Le persone arrestate

In carcere: Francesco Aracri; Salvatore Aracri; Francesco Carioti; Cesare Cervelli; Antonio Corbisieri; Pietro Curcio; Maurizio Del Proggetto; Mark Ulrich Goke; Pantaleone Laratta; Roberto Lumare; Salvatore Lumare; Domenico Megna; Mario Megna; Pantaleone Megna; Rosa Megna; Enrico Moscogiuri; Luigi Nisticò; Sandro Oliverio Megna; Santa Pace; Domenico Pace; Gaetano Russo; Stefano Strini.

Ai domiciliari: Rosario Arcuri; Giovanni Bello; Massimiliano Maida; Salvatore Panebianco; Mauro Prospero; Piero Talarico; Josef Wieseer; Alessandro Frescura; Gustavo Vecchio; Giancarlo De Vona; Giuseppe Germinara; Vincenzo Sculco.

La procura precisa che “il procedimento è in fase di indagine e che gli indagati, attinti da misura cautelare e destinatari di informazioni di garanzia sono nelle condizioni di potere spiegare le proprie difese nel contradditorio delle parti”. Presunti colpevoli fino a sentenza di terzo grado passata in giudicato.

Elezioni regionali in Molise, stravince il Centrodestra con Roberti. Flop Pd-M5s

Il centrodestra si conferma alla guida del Molise. A spoglio ultimato, Francesco Roberti è il nuovo presidente della Regione grazie al 62,4% delle preferenze; Roberto Gravina (Pd e M5s) ottiene il 36,3% mentre Emilio Izzo l’1,4%.

“Non sarò il Presidente ma il sindaco di questa regione e il mio lavoro sarà volto ad affrontare e problemi che il Molise e i molisani hanno”. Sono le parole di Francesco Roberti, sindaco di Termoli e neo eletto alla presidenza della ventesima regione italiana. ” Il Molise può cambiare – ha aggiunto – se siamo noi i primi a cambiare. I molisani ci hanno dato fiducia e non la dobbiamo tradire. Sono ansioso di occuparmi delle priorità e non sono preoccupato, per cui si parte senza perdere tempo e con la voglia di far sì che il Molise esista come è esistito oggi. Dedico ai molisani il mio impegno, chi mi conosce sa che non mi risparmio, ma voglio dire a tutti dimostrate che avete a cuore la regione come Silvio Berlusconi aveva a cuore questo posto”.

Roberti: dedico la vittoria a Silvio Berlusconi
“Dedico questa vittoria a Silvio Berlusconi che per me è stato un punto di riferimento”, ha detto il nuovo presidente della Regione Molise commentando la sua affermazione e quella della coalizione di centrodestra alle elezioni regionali. Ringraziamenti anche agli esponenti nazionali di Forza Italia, e alla coalizione che lo ha sostenuto.

“Ho svolto la mia campagna elettorale tra la gente piuttosto che in qualche trasmissione televisiva – ha detto – perché i molisani avevano bisogno di un confronto diretto. Ora è il momento di dare una svolta a questa regione e tra le priorità resta al primo posto la sanità. Al momento non ho alcuna idea sulla formazione della mia squadra di governo, sono abituato a lavorare in gruppo, a confrontarmi senza isterismi ma con diplomazia”.

La larga vittoria del centrodestra in Molise vede FdI in ottima forma e il crollo M5s. Fratelli d’Italia è il primo partito con il 19% circa, Forza Italia ha circa il 12%, la Lega ha il 5%,  Noi moderati ha il 7%, l’Udc il 3%.

Nel centrosinistra il Pd ha l’11%, Avs ha il 4,5%. M5s nel 2018 corse in solitaria ed ottenne il 31,6%. Oggi i pentastellati, alleati con il centrosinistra, si fermano al 7%.

Prigozhin si rifà vivo: “Volevano chiudere Wagner e ci siamo ribellati. Non volevamo rovesciare Putin”

Il leader del gruppo Wagner Prigozhin si è rifatto vivo. Lo ha fatto con una clip di alcuni minuti sul suo canale Telegram per dire che la sua ribellione è scaturita dal fatto che le autorità della Difesa russa avrebbero avuto l’intenzione di “sopprimere” (chiudere) il gruppo di mercenari che dal 24 febbraio 2022 è stato impegnato nella operazione militare speciale in Ucraina.

Il capo del gruppo mercenario russo Wagner – citato da molti media – ha dichiarato lunedì che la sua marcia di ribellione fallita su Mosca durante il fine settimana ha messo in luce “problemi di sicurezza molto seri” in Russia, pur insistendo sul fatto che non voleva rovesciare il presidente Vladimir Putin.

Prigozhin ha rotto il silenzio in un messaggio audio di Telegram due giorni dopo aver inscenato la ribellione armata che ha visto i suoi combattenti prima fermarsi a Rostov sul Don e poi avvicinarsi a Mosca.

Il capo dell’esercito privato non ha rivelato la sua posizione, ma si dice pronto a trasferirsi in Bielorussia, dopo un accordo mediato da Minsk per porre fine all’ammutinamento. Secondo altre fonti, il leader della Brigata sarebbe già da ieri nella capitale bielorussa, avvistato in un hotel.

Prigozhin ha affermato che la sua “rivolta” mirava a salvare il suo gruppo mercenario con l’obiettivo di scalzare la leadership militare russa che ha commesso “enormi errori” durante la campagna militare in Ucraina. Il principale obiettivo era il ministro della Difesa Sergey Shoigu, fedelissimo del presidente Putin.

“Siamo andati per manifestare la nostra protesta ma non per rovesciare il governo del paese”, ha detto Prigozhin.

L’ex chef di Putin ha detto che l’ammutinamento – che ha visto combattenti armati attraversare la Russia meridionale in rotta verso Mosca – ha messo in luce gravi problemi di sicurezza. Durante la marcia infatti non ha avrebbe trovato alcuna resistenza da parte dell’esercito regolare russo, uno dei più potenti e preparati al mondo.

Il convoglio di Wagner si è fermato a circa 200 chilometri (125 miglia) da Mosca e aveva “bloccato tutte le infrastrutture militari” comprese le basi aeree lungo il suo percorso, ha detto Prigozhin.

Il leader dei mercenari ha affermato che il gruppo ha avuto il sostegno della gente del posto lungo la strada.

“Nelle città russe, i civili ci hanno incontrato con bandiere russe e simboli di Wagner”, ha detto Prigozhin. “Erano tutti felici quando siamo passati.”

Prigozhin ha affermato che il leader bielorusso Alexander Lukashenko ha offerto modi in cui Wagner potrebbe continuare a operare e quindi porre fine alla ribellione.

“Lukashenko ha teso la mano e si è offerto di trovare soluzioni per la continuazione del lavoro della compagnia militare privata Wagner in una giurisdizione legale”, ha spiegato Prigozhin.

Il capo Wagner ha detto inoltre di aver inviato due colonne in Russia: una nella città di Rostov sul Don, che occupava il quartier generale dell’esercito locale, e la seconda a Mosca.

Il capo dell’esercito privato riferisce di aver fermato la ribellione dopo che la colonna in avvicinamento a Mosca “ha fatto una ricognizione della zona ed era ovvio che in quel momento sarebbe stato versato molto sangue”.

Ha affermato che nessuno è stato ucciso “a terra” durante la marcia, ma ha ammesso le vittime militari russe in volo.

“Ci dispiace di essere stati costretti a colpire l’aviazione, ma hanno sganciato bombe e ci hanno colpito con il lancio di razzi”, ha detto.

Prigozhin ha affermato che diversi combattenti di Wagner sono rimasti feriti aggiungendo che due soldati che si erano uniti alla ribellione “per propria volontà” sono stati uccisi.

Prigozhin ha affermato che i combattenti di Wagner erano consapevoli dello “scopo finale” della marcia e “non sono stati costretti” a unirsi.

Incidente nel vibonese, arrestato il conducente della Bmw. “Aveva bevuto”

I carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno, coordinati dalla Procura di Vibo Valentia, hanno arrestato il giovane accusato di aver provocato, ieri mattina, l’incidente lungo la Trasversale delle Serre che ha provocato la morte di Nicola Callà, di 60 anni, e Bruno Vavalà (23), camerieri di Serra che stavano facendo rientro a casa dopo aver lavorato ad un matrimonio, con altri tre colleghi che viaggiavano con loro. Le due vittime stavano spingendo la loro una Peugeot rimasta in panne, quando sono stati travolti e uccisi da una Bmw.

L’indagato, anch’egli di ritorno da un banchetto nuziale, è risultato positivo all’alcool test con un valore di 1,14 g/l, ben al di sopra del limite massimo consentito dalla legge (0,5 g/l).

Inoltre, la strisciata di oltre 100 metri impressa sull’asfalto da uno pneumatico in particolare e rilevata dai carabinieri, nonché gli importanti danni subiti dal veicolo, hanno fatto presupporre agli investigatori che la velocità fosse molto superiore al limite consentito di 70 km/h.

Al termine degli accertamenti, considerata la gravità del fatto, e in attesa degli ulteriori accertamenti autoptici e sui mezzi, entrambi sequestrati, che la Procura disporrà, il conducente del mezzo che ha causato l’incidente è stato arrestato e posto ai domiciliari in attesa dell’udienza di convalida. Dovrà rispondere di duplice omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza.

Aggredisce il vicino con un’ascia, la Polizia lo blocca con il taser e lo arresta

Pistola elettrica Taser

Ha aggredito un vicino con un’accetta per futili motivi, provocandogli profonde ferite e continuando anche dopo l’arrivo della polizia. Tanto che gli agenti sono stati costretti ad usare la pistola elettrica taser per bloccarlo e disarmarlo.

L’uomo, è stato quindi arrestato per tentato omicidio. Il fatto è accaduto in una frazione di Vibo Valentia. Dopo la segnalazione al 113 di una violenta aggressione in corso, sul posto sono intervenute le volanti. I poliziotti hanno trovato un uomo riverso in terra e con evidenti perdite di sangue mentre subiva l’aggressione da parte di un altro armato di una accetta. Nonostante i ripetuti ordini di allontanarsi e posare l’arma, l’uomo non ha desistito costringendo gli agenti ad usare il taser.

Dalle prime indagini è emerso che la lite era nata per problemi di vicinato, degenerando nella violenta aggressione con l’uso dell’accetta che, come risulta agli atti delle indagini, avrebbe “mirato a colpire la vittima in testa, con la finalità di uccidere”. Per tali ragioni, sulla scorta delle indagini coordinate dalla Procura di Vibo Valentia diretta da Camillo Falvo, l’uomo è stato arrestato per tentato omicidio e resistenza a pubblico ufficiale ed associato agli arresti domiciliari.

Poco dopo che l’indagato era stato sottoposto ai domiciliari, è giunta una nuova segnalazione al numero di emergenza 113 secondo cui l’uomo si sarebbe allontanato dall’abitazione. Sono così intervenute pattuglie della Squadra mobile e della Squadra volante. I poliziotti hanno rintracciato l’uomo in un terreno a circa un chilometro dall’abitazione, arrestandolo per evasione.

Alla luce dei fatti l’uomo è stato portato nella Casa circondariale di Vibo Valentia in attesa dell’udienza di convalida, all’esito della quale è stato confermato il provvedimento di arresto e la sottoposizione alla misura cautelare della custodia in carcere.

Confiscati beni a imprenditore ritenuto vicino al clan Grande Aracri

Su delega del tribunale di Bologna, il Servizio centrale investigazione criminalità organizzata (Scico) della Guardia di Finanza, con la collaborazione dei Nuclei di polizia economica finanziaria di Reggio Emilia e Mantova, ha dato esecuzione ad un provvedimento di confisca di prevenzione nonché all’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di P.S. per 5 anni, nei confronti di un imprenditore di origine calabrese, ritenuto vicino alla cosca di ‘ndrangheta Grande Aracri, sodalizio criminale operante a Cutro, in provincia di Crotone, con importanti ramificazioni anche in territorio emiliano.

Nel dettaglio, nel dicembre dello scorso anno erano stati sottoposti a sequestro beni e partecipazioni in nove società, nonché disponibilità finanziarie, per oltre 300.000 euro. Le indagini per l’applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale erano scaturite a seguito di una interdittiva antimafia, emessa dalla Prefettura di Reggio Emilia, nei confronti di una serie di società, operanti nel settore edile, riconducibili al citato imprenditore ed inserite, inizialmente, nel circuito delle imprese preposte all’opera di ricostruzione avviata successivamente all’evento sismico del 2012 che ha interessato le province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova e Reggio Emilia.

Alla luce del provvedimento interdittivo, la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo aveva delegato allo Scico una serie di approfondimenti, anche sotto il profilo patrimoniale, al cui esito era emersa, da un lato, una evidente sproporzione patrimoniale rispetto alla sua capacità reddituale lecita; dall’altro, la presenza di elementi significativi circa la pericolosità sociale dell’imprenditore in relazione all’asservimento delle sue attività economiche, con l’emissione di false fatturazioni e con l’assunzione della qualità di prestanome, agli interessi della cosca di ‘ndrangheta Grande Aracri. Tale presenza è testimoniata, tra le altre, dall’operazione Aemilia con cui, nel 2015, furono arrestate 160 persone tra Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia, per i reati, tra gli altri, di associazione mafiosa, estorsione ed intestazione fittizia di beni e il cui iter giudiziario ha già avuto da parte della Corte di Cassazione conferma della sentenza di condanna per oltre 70 posizioni.

La “farsa” di Prigozhin, il cuoco di Putin. Da amico giurato a nemico fidato?

Si sa ancora poco sulla tentata e presunta insurrezione armata di Yevgeny Prigozhin nei confronti della Madre Patria Russia. La situazione è ancora molto caotica. Al netto della propaganda, le uniche certezze paiono essere gli audio di minacce del capo della Brigata Wagner a Mosca, la brusca reazione di Putin che lo ha bollato come traditore, l’insediamento in una base militare a Rostov, la mediazione del presidente bielorusso Lukashenko e il ritiro delle sue truppe dal suolo russo, con un possibile “esilio” a Minsk. Almeno questi sono gli elementi trapelati nelle fumose e confusionarie fasi della presunta rivolta, mai andata in porto. Coi media occidentali però festanti dell'”assalto a Mosca”, di un “Putin indebolito” e altre voci del vocabolario propagandistico.

Da indiscrezioni apparse sulla stampa emerge che sia l’intelligence Usa, quindi anche Biden, e addirittura lo stesso Cremlino, dunque lo stesso Putin, sapevano con giorni di anticipo delle intenzioni di Prigozhin. Sembrano esserci tutti gli ingredienti per una Psy-op. Un’operazione studiata a tavolino per deviare l’attenzione, depistare e far uscire allo scoperto vertici russi infedeli, o magari far prendere nuove pieghe al conflitto tra Russia e Ucraina (e Nato). Il movente di questa “farsa”, se di farsa si tratta, è ancora sconosciuto ai più ma vi sono diversi indizi che portano tutti in un’unica direzione…

A trentasei ore dall’annuncio della ipotetica e suicida marcia su Mosca, tutto sembra essere tornato alla normalità senza una sola goccia di sangue versata, se non – secondo le autorità moscovite – una decina di morti su dei velivoli russi, abbattuti dalla Wagner. Tuttavia, gli apparati militari russi non hanno alzato un dito per fermare la presunta avanzata delle milizie di Prigozhin. Questa inerzia la dice lunga. In sostanza, un gruppo di soldati armati minaccia di mettere in atto un colpo di stato e l’esercito russo sta fermo? Non regge e rafforza altre ipotesi in quella direzione citata prima. Non solo: come se nulla stesse succedendo l’esercito regolare ha continuato a combattere e conquistare chilometri in Ucraina, senza ovviamente il gruppo Wagner guidato dall’ex chef del capo della Federazione russa. Il mercenario ora sarebbe in Bielorussia con qualche migliaia di suoi uomini e pare con una vagonata di rubli (oltre 40 milioni di euro), secondo i media, rinvenuti vicino la base della Wagner a San Pietroburgo.

Circolano pure ipotesi che il “mercenario” sarebbe stato foraggiato o corrotto da entità esterne (Usa/Nato), così come di una presunta strategia russa per poter entrare in Ucraina dal confine sud della Bielorussia che collocherebbe la Brigata di Prigozhin a un centinaio di chilometri da Kiev, quindi pronta ad un assalto nella capitale ucraina probabilmente per scalzare Zelensky. Già, ma sono solo ipotesi. Nell’ultima c’è infatti da chiedersi: perché allestire questa messinscena se la Wagner poteva benissimo andare in Bielorussia via territorio russo, senza clamore? Un fitto mistero su cui presto penetrerà la luce.

Chi è Prigozhin?

62 anni, di San Pietroburgo come Vladimir Putin nella cui ombra è cresciuto, Evgheny Prigozhin è stato per anni lo chef, maggiordomo e guardia-spalle di Putin. Insomma, un uomo fidatissimo al servizio dello zar.

Una decina di anni fa ha fondato il Gruppo Wagner, la milizia mercenaria privata che da un decennio fa il “lavoro sporco” per Mosca nei teatri di guerra, dall’Africa fino all’Ucraina. Il suo modello, scrive l’agenzia Italia, è stata la Blackwater, i “contractor” statunitensi che in Iraq sono finiti sotto inchiesta per una serie di azioni spregiudicate.

Nel suo passato e nella vertiginosa scalata del potere russo ci sono molte zone d’ombra. Si sa che dopo alcuni anni di prigione per una rapina e altri reati, nel 1990 era ripartito come venditore di hotdog aprendo un chiosco insieme al patrigno. Poi aveva fatto fortuna con una catena di negozi alimentari, il catering per le scuole e l’esercito.

I suoi ristoranti a San Pietroburgo hanno più volte ospitato le cene del capo del Cremlino con i leader stranieri, da Jacques Chirac a George W. Bush, al punto da valergli il soprannome di “cuoco di Putin”.

Ma per il leader russo, Prigozhin pare essere stato molto più di un bravo e fedele chef. Era il suo guardia-spalle personale. Negli anni passati, ovunque si muoveva Putin al suo seguito c’era sempre lui, Evgheny Prigozhin. Da amico giurato a “nemico fidato”? Ancora prematuro per dirlo, nonostante i proclami ufficiali.

Solo il tempo potrà svelarci altri tasselli di quella che oggi pare essere un’operazione psicologica che ha suscitato effimere speranze nell’occidente per rovesciare Putin e scatenato sui loro media le fantasie più disparate, con gli Usa e la sua colonia Ue che sembrano però essere rimasti spiazzati dalle astute mosse di Mosca. Se il tempo confuterà questo ragionamento, non vi è dubbio che Putin ne uscirà rafforzato con l’immagine di un grande stratega. Tempo al tempo.

Elezioni in Grecia, trionfa il conservatore Mitsotakis. Sconfitta la sinistra

I risultati delle elezioni tenute ieri in Grecia per eleggere il Parlamento vedono, con il 99,62% dei voti scrutinati, il Partito Nea Dimokratia (Nuova Democrazia) al 40,52% dei voti e 158 seggi (su 300) e il partito di sinistra Syriza guidato da Alexis Tsipras al 17,84% e 48 seggi: lo riporta il sito di Kathimerini, secondo cui l’affluenza è stata del 52,83%.

Seguono i socialisti del Pasok con l’11,85% dei voti e 32 scranni, i comunisti del Kke con il 7,69% delle preferenze e 20 seggi e il partito Spartiates (Spartani) che ha superato la soglia di sbarramento ottenendo il 4,64% e 12 seggi.

La formazione di estrema destra nota per le sue posizioni anti-migranti, Soluzione Greca, registra il 4,48% (rispetto al 3,7% del 2019) e 12 seggi. Superano per la prima volta la soglia di sbarramento anche il partito Niki (Vittoria), con il 3,69% e 10 seggi e il Partito Rotta di Libertà di ispirazione antisistema con il 3,17% dei voti e otto seggi.

Il partito conservatore di Nea Dimokratia trionfa in Grecia e centra l’obiettivo della maggioranza assoluta. Con ormai il 99,62% dei voti scrutinati, il premier conservatore uscente Kyriakos Mitsotakis incassa il 40,52% dei voti e 158 dei 300 seggi di cui è composto il Parlamento. Il suo principale rivale politico, il partito di sinistra Syriza guidato da Alexis Tsipras, si ferma invece al 17,84%, ottenendo 48 seggi. Seguono i socialisti del Pasok con l’11,85% dei voti e 32 scranni e i comunisti del Kke (7,69% e 20 seggi). “Sento forte il mio dovere nei confronti del Paese”, ha commentato a caldo Mitsotakis. “Sarò il premier di tutti i greci, le grandi riforme procederanno con rapidità”, ha assicurato. I cittadini chiamati alle urne hanno confermato il verdetto già emesso nelle elezioni del 21 maggio scorso, quando i conservatori avevano vinto con il 40% dei voti, doppiando il partito di Syriza, fermo al 20.

Intanto, ieri sera, uomini con il volto coperto hanno attaccato con pietre e molotov gli uffici del Movimento Socialista Panellenico (Pasok) presso la via Charilaou Trikoupis, nel quartiere ateniese di Exarchia, noto per i movimenti anarchici. Dopo l’intervento della polizia antisommossa, la tensione si è placata. Lo riporta il sito di Kathimerini.

Ma il voto si era tenuto con un sistema elettorale diverso, un proporzionale puro che aveva fatto mancare, per pochi seggi, la maggioranza assoluta ai conservatori. Così Mitsotakis – contando sul premio di maggioranza per il primo partito previsto dalla nuova legge elettorale da lui stesso approvata – aveva deciso di non intraprendere i colloqui per formare una coalizione e aveva aperto la strada al ritorno alle urne. Una scommessa che alla fine lo ha premiato, nonostante l’affluenza sia crollata rispetto a maggio. Nea Dimokratia non è la sola a festeggiare il risultato. Si rafforza infatti in Parlamento anche la presenza dell’estrema destra: il partito ‘Spartani’ (Spartiates in greco) ha superato la soglia di sbarramento ottenendo il 4,64% e 13 seggi. Un traguardo incredibile se si pensa che il partito era sconosciuto fino a qualche giorno fa, quando ha ricevuto il sostegno dell’ex membro di Alba Dorata Ilias Kasidiaris, attualmente in carcere, dove sta scontando una pena di 13 anni per aver partecipato ad un’associazione criminale, ovvero il partito neonazista di Alba Dorata ormai disciolto.

“Dopo tanto tempo, una voce nazionalista sarà in Parlamento”, ha esultato il presidente del partito Vassilis Stigas riconoscendo che il sostegno di Kasidiaris è stato “il carburante” del successo. Supera per la prima volta la soglia di sbarramento anche il partito ‘Niki’ (vittoria in greco), con il 3,69% e 10 seggi. Guidato da un insegnante di teologia, il partito si è fatto conoscere per le sue posizioni xenofobe ed è considerato vicino alla frangia conservatrice della Chiesa ortodossa. Conferma infine la sua presenza in parlamento anche un’altra formazione di estrema destra nota per le sue posizioni anti-migranti, ‘Soluzione greca’, in crescita al 4,48% (12 seggi) rispetto al 3,7% del 2019. Entra in Parlamento anche il Partito Rotta di Libertà di ispirazione antisistema con il 3,17% dei voti e otto seggi. Resta fuori invece Mera25, il partito fondato dall’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis. “Il nostro mancato ingresso è il minimo. La cosa peggiore è il canto funebre della sinistra che non è riuscita a impedire la trasformazione della rabbia in una corrente di estrema destra”, ha commentato sconsolato Varoufakis.

Treno travolge due giovani, muore un cosentino a Mestre

archivio ansa

Due giovani sono stati investiti da un treno mentre attraversavano i binari, poco lontano dalla stazione di Mestre. Uno di loro è morto, l’altro è rimasto gravemente ferito.

Il sopravvissuto avrebbe detto ai soccorritori che avevano deciso di superare i binari, all’altezza del centro Vega, per effettuare un prelievo bancomat ad uno sportello che si trovava dall’altra parte della sede ferroviaria.

La vittima, Manuel Tripargoletti, originario di Paterno Calabro (Cosenza) aveva 25 anni, il suo amico, A.S., residente a Bevilacqua (Verona), ferito molto gravemente, di anni ne ha 23.

Il treno che li ha travolti, era partito poco prima dalla stazione di Venezia. All’altezza del centro Vega, alle porte di Mestre, il macchinista li ha visti spuntare all’improvviso sul primo binario; ha tentato una frenata disperata ma non ha potuto evitare l’impatto. Il 25enne cosentino è deceduto all’istante. Il traffico sulla linea è rimasto bloccato per circa tre ore.

Maltempo, allagamenti sul Tirreno. Salvate 4 persone

Auto intrappolate in un sottopasso ferroviario e quattro persone salvate dai Vigili del fuoco e dal gruppo volontari della Protezione civile che le hanno estratte dalle auto e messe in salvo.

E’ accaduto a Falerna, nell’hinterland di Lamezia Terme dove da stamattina ha fatto la sua comparsa “flash storm”, una perturbazione veloce con temporali a tratti intensi che ha causato notevoli disagi in un’ampia zona della Calabria.

Sul posto, oltre ai vigili del fuoco anche i carabinieri e numerosi cittadini tra i quali il sindaco di Falerna, Francesco Stella e gli amministratori comunali che hanno aiutato i malcapitati, ospitati in una struttura ricettiva della zona. (Ansa)

Incidente nel vibonese, De Nisi: “Tragedia poteva essere evitata. Anas intervenga su sicurezza”

Il luogo dell’incidente mortale sulla Trasversale delle Serre. Nei riquadri le vittime, Bruno Vavalà e Nicola Callà

«Un territorio attonito per una tragedia che doveva e poteva essere evitata». Il consigliere regionale Francesco De Nisi usa queste parole per stringersi con sincero cordoglio alle famiglie dei due camerieri morti stanotte in un tragico incidente stradale sulla “Trasversale delle Serre” (nel territorio di Simbario) e alla comunità di Serra San Bruno, dove vivevano.

«Nessuno – aggiunge – merita di morire dopo avere aver svolto in maniera egregia il proprio dovere di lavoratore. Quello di Bruno Vavalà e Nicola Callà è un dramma su cui occorre riflettere e per i quali le troppe parole rischiano di sprofondare nella retorica. Non è retorica, invece, la mia vicinanza ai familiari e alla cittadinanza Serrese in un momento di prova immane che richiede rispetto e discrezione».

De Nisi non usa giri di parole e parla di «troppi morti in pochi anni in un tratto di strada così breve». Una premessa che porta diritta alla conclusione: «Anas – è l’appello di De Nisi – deve intervenire ed effettuare una verifica delle condizioni di sicurezza del percorso e, se del caso, apporre limiti di velocità inferiori oltre a strumenti di controllo elettronico».

Russia, dopo il “tradimento” ecco la resa della Wagner. Prigozhin in esilio a Minsk

Alla fine, dopo le minacce di Yevgeny Prigozhin di marciare su Mosca e destituire i generali della Federazione russa perché a suo dire “incompetenti”, il capo dei mercenari della Wagner ha ritirato le sue truppe da Rostov, nel sud della Russia, ed è andato in esilio in Bielorussia, grazie alla mediazione del presidente Lukashenko.

Dopo quasi due giorni di forte tensione, tutto è tornato all’apparente normalità, ma la “provocazione” di Prigozhin ha fatto andare su tutte le furie Vladimir Putin che lo ha bollato come “traditore” che ha “pugnalato alle spalle” la Russia. Intanto emergono indiscrezioni sul fatto che sia gli Usa e addirittura il Cremlino sapevano con giorni di anticipo delle intenzioni dello “chef” del Vladimir. Se sia stata tutta una messinscena lo sapremo presto.

Lo scontro interno è nato da alcune clip di Prigozhin fatte circolare sui social e riprese dai media, attraverso cui il capo della Brigata ha espresso critiche nei confronti del Cremlino annunciando che sarebbe andato a Mosca per cacciare i generali, col rischio di una guerra civile. In particolare, nel mirino del capo della Wagner, c’era il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu, “incapace”, secondo il capo dei militari, di tenere testa all’operazione militare speciale in Ucraina.

L’ammutinamento è però rientrato ieri dopo che tra il presidente bielorusso Lukashenko, in accordo con Putin (altro indizio a conferma di una possibile messinscena?), ha parlato con il capo dei “ribelli” convincendolo a trovare riparo a Minsk e a lasciare il suolo russo senza spargimenti di sangue. Il Cremlino crede che Prigozhin – ex cuoco e maggiordomo di Putin, appunto uomo fidatissimo dello Zar – abbia inscenato questa rivolta per ambizioni personali o per un disegno a noi ancora oscuro.

L’accordo, secondo le autorità russe, è quello fra l’altro, di non perseguitare quei combattenti di Wagner PMC che hanno partecipato all’ammutinamento armato visti i loro successi in prima linea. Lo ha detto ai giornalisti il ​​portavoce del Cremlino Dmitry Peskov citato dalla Tass.

Una parte delle truppe della compagnia militare privata Wagner, che ha deciso di non partecipare a un ammutinamento armato, potrà firmare contratti con il ministero della Difesa russo, ha detto ancora Peskov.

“È stato raggiunto un accordo sul fatto che le truppe PMC Wagner sarebbero tornate ai loro campi e luoghi di schieramento. Alcuni di loro, se lo desiderano, possono in seguito firmare contratti con il Ministero della Difesa”, ha detto Peskov. “Vale anche per i combattenti, che hanno deciso di non prendere parte a questo ‘ammutinamento armato'”.

Il portavoce ha anche affermato che “c’erano alcuni combattenti nelle formazioni militari [di Wagner PMC], che hanno cambiato idea proprio all’inizio [dell’ammutinamento armato] e sono tornati immediatamente”. “Hanno persino richiesto l’assistenza della polizia stradale e altri aiuti per tornare ai loro luoghi di schieramento permanenti”, ha aggiunto Peskov.

La sera del 23 giugno, il canale Telegram del fondatore della compagnia militare privata Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha pubblicato diverse registrazioni audio con le sue dichiarazioni, in cui affermava che sarebbero stati sferrati attacchi contro le sue formazioni e ne accusava la leadership militare del paese. Sulla scia di questo, il Servizio di sicurezza federale (FSB) della Russia ha aperto un procedimento penale per chiedere un ammutinamento armato. L’FSB ha esortato i combattenti di Wagner a non obbedire agli ordini di Prigozhin e ad adottare misure per la sua cattura e detenzione. Prigozhin, se preso, rischia il carcere a vita.

Spingono l’auto in panne e vengono investiti in pieno, due morti nel vibonese

ambulanza

Due persone sono morte investite in pieno da una Bmw mentre la loro auto era in panne su un viadotto. E’ successo domenica all’alba sulla strada statale 713 “Trasversale delle Serre”, nei pressi del Comune di Simbario, nel vibonese. Le vittime sono Bruno Vavalà di 23 anni e Nicola Callà di 60 anni, entrambi di Serra San Bruno (Vibo Valentia). Feriti anche gli altri due passeggeri che erano a bordo della Peugeot 204.

Le vittime sono due camerieri che avevano appena finito di lavorare a un banchetto di nozze. Uno dei due è stato addirittura sbalzato giù dal cavalcavia per la violenza dell’impatto.

L’incidente è avvenuto dieci minuti prima delle quattro del mattino. Sul posto sono intervenute diverse ambulanze il cui personale non ha potuto fare altro che constatare il decesso dei due serresi e prestare le cure agli altri due, originari di Soriano.

I carabinieri della compagnia di Serra San Bruno e della Stazione di Simbario stanno svolgendo le indagini sulla dinamica del sinistro, mentre per il recupero del cadavere di Vavalà si è reso necessario l’intervento, particolarmente complicato, dei vigili del fuoco. La circolazione è rimasta bloccata per ore.

La Trasversale delle Serre, dove è avvenuto l’impatto tra la Peugeot in panne e la Bmw in transito, è stata già diverse volte in passato teatro di incidenti. Quattro anni fa – era infatti la mattina del 23 giugno 2019 e più o meno lo stesso orario – a perdere la vita furono tre giovani di Soriano, di ritorno da una festa in discoteca a Soverato. Solo uno di loro riuscì a salvarsi.
A Capodanno di quest’anno, poi, un altro tragico schianto con la morte di un 32enne.

Adesso questo nuovo, terribile, incidente avvenuto nei pressi dell’uscita del Comune di Simbario a poca distanza da una delle gallerie che caratterizzano quel tratto. Secondo quanto è stato possibile apprendere, pare che le due vittime, che stavano facendo rientro a Serra San Bruno insieme agli altri occupanti, tutti di ritorno da un matrimonio in un comune dello Ionio Reggino dove avevano prestato servizio come camerieri, a qualche chilometro dalla loro destinazione finale, hanno avuto un problema con l’auto, una Peugeot 204.

Sono scesi per metterla in sicurezza e proprio mentre la stavano spingendo in due sono stati investiti in pieno dalla Bmw, forse a causa della scarsa visibilità. Nell’impatto una delle due vittime è finita giù dal viadotto, precipitando per circa una decina di metri. Immediata la chiamata alla sala operativa del 118 da parte dei presenti.

Ucraina, Putin duro contro il “traditore” Prigozhin: “Pugnalati alle spalle”

“La Russia e il suo popolo stanno affrontando un tradimento che sta spingendo il Paese verso l’anarchia e il fratricidio”. Lo ha detto Vladimir Putin, citato da Russia Today, commentando il tentativo di ribellione armata organizzata dal capo della Wagner Yevgeny Prigozhin.

Secondo il presidente russo il Paese ha ricevuto una “pugnalata alle spalle” in un momento in cui sta conducendo una dura lotta per il proprio futuro, riflettendo l’aggressione dei neonazisti e dei loro padroni occidentali. Il capo dello Stato ha sottolineato che gli organizzatori ei partecipanti alla ribellione “subiranno inevitabili punizioni”, risponderanno davanti alla legge e al popolo della Federazione Russa. In precedenza, è stato avviato un procedimento penale contro Yevgeny Prigozhin sul fatto di aver organizzato una ribellione armata.

Le forze armate russe hanno ricevuto l’ordine necessario per rispondere duramente a coloro che hanno organizzato la ribellione armata, ha detto Vladimir Putin nel suo discorso ai russi. Secondo il presidente, i mandanti “subiranno una punizione inevitabile”, risponderanno davanti alla legge e al popolo della Federazione Russa.

Secondo Putin, la tentata ribellione è stata una “pugnalata alle spalle” della Russia e del suo popolo.

“Fu proprio un tale colpo che fu inferto alla Russia nel 1917, quando il paese stava conducendo la prima guerra mondiale. Ma la vittoria le è stata rubata. Intrighi, litigi, politica dietro le spalle dell’esercito e del popolo si sono trasformati nel più grande shock, la distruzione dell’esercito e il crollo dello stato, la perdita di vasti territori. Il risultato finale fu la tragedia della guerra civile. I russi hanno ucciso russi, fratelli – fratelli e ogni sorta di avventurieri politici e forze straniere, che hanno diviso il paese, lo hanno fatto a pezzi, hanno ottenuto profitti egoistici. Non permetteremo che accada di nuovo. Proteggeremo sia il nostro popolo che la nostra statualità da qualsiasi minaccia. Anche da tradimento interno”, ha sottolineato il capo dello Stato.

Putin sulla repressione del tentativo di ribellione armata: “Le nostre azioni saranno dure”

Vladimir Putin ha osservato che il Paese ha dovuto affrontare il tradimento, sottolineando che “ambizioni esorbitanti e interessi personali hanno portato al tradimento”.

“Per tradire sia il nostro paese, sia il nostro popolo, e la causa per la quale, fianco a fianco con le nostre altre unità e sottounità, i soldati e i comandanti del gruppo Wagner hanno combattuto e sono morti. Gli eroi che hanno liberato Soledar e Artyomovsk, le città e i paesi del Donbass, hanno combattuto e hanno dato la vita per la Novorossia, per l’unità del mondo russo. Il loro nome e la loro gloria sono stati traditi anche da coloro che stanno cercando di organizzare una ribellione, spingendo il Paese verso l’anarchia e il fratricidio. Per sconfiggere alla fine e arrendersi”, ha spiegato il capo del Cremlino.

Il Presidente ha anche sottolineato che “attualmente la Russia sta conducendo una dura lotta per il suo futuro, respingendo l’aggressione dei neonazisti e dei loro padroni occidentali”.

“In realtà l’intera macchina militare, economica e informativa dell’Occidente è diretta contro di noi. Stiamo combattendo per la vita e la sicurezza del nostro popolo, per la nostra sovranità e indipendenza. Per il diritto di essere e rimanere Russia, uno stato con una storia millenaria. Questa battaglia, quando si decide il destino del nostro popolo, richiede l’unificazione di tutte le forze, unità, consolidamento e responsabilità. Quando tutto ciò che ci indebolisce deve essere messo da parte, qualsiasi conflitto che i nostri nemici esterni possono usare per indebolirci dall’interno “, ha detto Putin.

“Ricordiamo che la sera del 23 giugno, nei social network per conto di Yevgeny Prigozhin, sono iniziate ad apparire informazioni sul presunto attacco delle forze armate della Federazione Russa sui “campi di retroguardia di PMC Wagner”. Il Ministero della Difesa della Federazione Russa ha definito questa informazione una provocazione informativa, il che non è vero”.

Servizi segreti russi: “Combattenti della Wagner non rispettino gli ordini criminali e traditori di Prigozhin”

“Le dichiarazioni e le azioni del fondatore di Wagner PMC Yevgeny Prigozhin costituiscono effettivamente appelli per l’inizio di un conflitto civile armato”. Lo ha affermato l’ufficio stampa del Servizio di sicurezza federale russo (FSB).

“Le dichiarazioni e le azioni di Prigozhin costituiscono effettivamente appelli per un conflitto civile armato sul territorio russo e una pugnalata alle spalle dei militari russi che combattono con le forze ucraine filo-naziste”, ha affermato l’ufficio stampa.

“Chiediamo al combattente PMC di non commettere errori irreparabili, di interrompere qualsiasi azione di forza contro il popolo russo e di non rispettare gli ordini criminali e traditori di Prigozhin e di prendere misure sulla sua cattura. Tutte le informazioni vengono diffuse sui social media a nome di Yevgeny Prigozhin sui presunti attacchi missilistici del Ministero della Difesa contro le unità Wagner PMC sono falsi e sono una provocazione informativa”, ha detto FSB.

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