14 Ottobre 2024

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Riace, nuovi guai giudiziari per Lucano: indagato anche per truffa e falso

Domenico Lucano
Domenico Lucano

Il sindaco sospeso di Riace, Domenico Lucano, 61 anni, è nuovamente indagato dalla Procura di Locri con l’ipotesi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Insieme a lui sono state iscritte nel registro altre 9 persone. All’ormai ex sindaco di Riace viene contestato anche il reato di falso ideologico.

Si tratta di un avviso conclusione indagini in un secondo filone dell’inchiesta “Xenia” che lo scorso 2 ottobre portò Lucano ai domiciliari per sfruttamento dell’immigrazione clandestina, abuso d’ufficio e altri reati.

Accuse per cui proprio giovedì Mimmo Lucano, come viene chiamato, è stato rinviato a giudizio dal gup di Locri insieme ad altri 26 indagati coinvolti nell’inchiesta e dovrà comparire al processo il prossimo 11 giugno.

Secondo l’accusa, Lucano avrebbe “indotto il Servizio Centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati e la Prefettura di Reggio Calabria, ricorrendo all’artifizio di predisporre una falsa attestazione a firma del sindaco ove veniva dichiarato che le strutture di accoglienza per ospitare i migranti a Riace erano rispondenti e conformi alle normative vigenti, laddove in effetti così non era”.

L’assenza di questi requisiti avrebbe consentito, secondo l’impianto accusatorio della procura guidata da Luigi D’Alessio, un ingiusto profitto con pari danno degli enti pubblici del denaro corrisposto a titolo di locazione.

Le nove accuse – Nove i capi d’accusa, tutti per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Lucano è indagato a vario titolo in concorso perché, nella qualità di sindaco e in alcuni casi, al contempo, di responsabile dell’unità operativa ufficio amministrativo del Comune di Riace, avrebbe indotto in errore il ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria, predisponendo una falsa attestazione in cui veniva dichiarato che le strutture di accoglienza per ospitare i migranti esistenti nel territorio del Comune di Riace erano rispondenti e conformi alle normative vigenti in materia di idoneità abitativa, impiantistica e condizioni igienico sanitarie.

“Laddove così in effetti non era” è l’ipotesi accusatoria della Procura, in quanto i vari immobili risulterebbero in alcuni casi privi di collaudo statico e certificato di abitabilità, e in altri casi privi del solo certificato di abitabilità.

“Documenti indispensabili” per come richiesto sia dal manuale operativo Sprar che dalle convenzioni stipulate tra il Comune di Riace e la Prefettura. “Dovendosi rilevare, altresì – annota diverse volte la Procura – la mancanza in capo a Lucano di qualunque competenza riconosciuta dall’Ordinamento circa il giudizio relativo ai requisiti tecnici che dovevano possedere gli immobili”.

Oltre a Lucano, gli indagati sono l’amministratore della cooperativa “Girasole” e i privati proprietari degli appartamenti utilizzati per l’accoglienza: Maria Taverniti, amministratore unico della cooperativa; Giuseppe Tavernese, Debora Porcu, Giovanni Sabatino; Cosimo Damiano Pazzano; Raffaele Belfiore; Rinaldo Deluca; Luana Tosarello; Marco Iacopetta.

Blitz contro il clan Mancuso, Ferro (FdI): “E’ primavera di libertà”

Wanda Ferro
Wanda Ferro

“E’ una primavera di libertà quella che magistratura e forze dell’ordine stanno regalando al territorio vibonese, attraverso un impegno costante, tenace, determinato contro le cosche mafiose”. E’ quanto afferma il deputato di Fratelli d’Italia Wanda Ferro, segretario della Commissione parlamentare antimafia, commentando il blitz della Polizia contro esponenti della cosca Mancuso.

“Rivolgo – prosegue la parlamentare – ancora una volta le mie congratulazioni alla Procura distrettuale di Catanzaro diretta dal dott. Nicola Gratteri e agli investigatori della Questura di Vibo Valentia guidata dal questore Andrea Grassi per la nuova straordinaria operazione di polizia giudiziaria, nome in codice “Errore fatale”, che ha colpito la cosca Mancuso di Limbadi, consentendo di arrestare i vertici della cosca, di fare luce su alcuni delitti e di fare emergere le dinamiche criminali all’interno del sodalizio”.

“A pochi giorni dall’operazione “Rimpiazzo”, che ha consentito di disarticolare la cosca antagonista dei Piscopisani, aver messo a segno un così importante colpo investigativo nei confronti della potente cosca Mancuso consente di evitare che i vuoti di potere criminale lasciati dalla precedente operazione vengano presto riempiti. Un’azione di contrasto straordinariamente efficace, che merita il sostegno di tutte le istituzioni e la fiducia dei calabresi”.

Svolta in indagini omicidio Fiamingo, 4 arresti nel clan Mancuso

polizia romaOperazione della Polizia di Stato di Vibo Valentia e dello Sco, sotto le direttive della Dda di Catanzaro, contro la cosca di ‘ndrangheta dei Mancuso. Quasi 50 uomini della Polizia stanno eseguendo arresti e perquisizioni a Vibo Valentia, Milano e Prato.

Decapitati, con alcuni arresti, i vertici del gruppo criminale, considerato tra i più influenti della criminalità organizzata calabrese. Quattro gli arresti eseguiti nell’ambito dell’operazione, denominata “Errore fatale”, fatti in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip distrettuale di Catanzaro, su richiesta della Dda.

I quattro sono ritenuti responsabili dell’omicidio di Raffaele Fiamingo, detto il “vichingo”, avvenuto a Spilinga nel luglio del 2003, e del tentato omicidio di Francesco Mancuso, detto “Ciccio Tabacco”. Le attività d’indagine supportate anche da dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, hanno permesso di accertare l’esistenza di una faida interna nella cosca Mancuso.

Si è scoperto che l’omicidio (tentato) di Francesco Mancuso era maturato per contrasti insorti nella gestione delle attività criminali tra i componenti della famiglia .

Gli indagati – A finire in manette Domenico Polito, di 55 anni, di Briatico, ma residente a Tropea, considerato il “braccio armato” della cosca Mancuso. Polito, secondo gli inquirenti, è al vertice della cosca La Rosa della ‘ndrangheta, alleata con i Mancuso. L’uomo  ha precedenti per associazione mafiosa, usura, estorsione e favoreggiamento.

Arrestato anche Antonio Prenesti, 53enne di Nicotera, già condannato nel processo “Dinasty”. Tra le persone coinvolte pure Cosmo “Michele” Mancuso, di 70 anni, considerato il capo del gruppo criminale. Mancuso è attualmente detenuto nel carcere di Prato.

Infine Giuseppe Accorinti, di 60 anni, presunto affiliato alla ‘ndrangheta che il 5 agosto dello scorso anno, a Zungri, tentò di infilarsi tra i portatori della statua della “Madonna della Neve”.

Questi i ruoli. Secondo gli investigatori gli esecutori materiali sarebbero Antonio Prenesti e Domenico Polito. Sarebbero stati loro a esplodere diversi colpi di pistola calibro 9,21 e 32 all’indirizzo di Raffaele Fiamingo, allora 44enne, uccidendolo sul colpo, e ferendo gravemente al torace, al braccio sinistro ed alla spalla Francesco Mancuso. Il mandante sarebbe stato Cosmo Michele Mancuso, capo della consorteria che avrebbe “autorizzato” l’agguato, mentre Accorinti avrebbe accompagnato i presunti sicari a consumare il crimine.

Il movente, un “errore fatale” – Raffaele Fiamingo insieme a Francesco Mancuso si sarebbero recati dal titolare di un panificio per sottoporlo ad estorsione. Un “errore fatale”, dal momento che il panettiere era parente di Antonio Prenesti, ritenuto organico ad un’altra articolazione del clan Mancuso. Fiamingo sceso dall’auto per riscuotere il denaro che gli era stato promesso con l’inganno, si è trovato dinanzi i due killer che lo hanno freddato e hanno tentato di uccidere Francesco Mancuso, che era in attesa in auto.

Per far pagare l’affronto, Prenestì avrebbe chiesto il permesso di agire al boss Cosmo Mancuso, detto Michele, il quale avrebbe acconsentito alla consumazione del crimine.

L’arresto a Milano di Antonio Prenesti – Prenesti, 53 anni, detto “Mussu stortu” (muso storto) è considerato un trafficante internazionale di droga ed ha precedenti per associazione mafiosa. Già destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’operazione “Dinasty” del 2003, diretta dalla Dda di Catanzaro, Prenesti riuscì a sottrarsi in quell’occasione all’arresto e restò latitante fino al 2010, anno in cui fu arrestato.

Successivamente l’uomo riuscì ad ottenere la scarcerazione e rientrò nei ranghi operativi della cosca Mancuso. La Polizia sta svolgendo adesso indagini per accertare i motivi per i quali Antonio Prenesti si trovasse a Milano e quale ruolo svolgesse nel capoluogo lombardo nell’ambito delle attività criminali della cosca Mancuso.

Lotta alla ‘ndrangheta, Ferri (Uilpa): “Occorre più presenza dello Stato”

Bonaventura Ferri
Bonaventura Ferri

di BONAVENTURA FERRI *

E’ quotidiana l’azione degli organi dello Stato nel contrasto alle mafie ed alla ‘ndrangheta in questa terra del sud. Non sappiamo se esiste la ricetta giusta per vincere questa guerra e se ne esiste un custode, ma, certamente, tutte le azioni di contrasto sono importanti anche quando rivolte ad aspetti e manifestazioni diverse del problema. Pochi giorni addietro, un importante convegno, svoltosi presso l’Università di Catanzaro, ha avuto la partecipazione del Ministro della Giustizia On. Alfonso Bonafede, del Presidente della Commissione Antimafia Sen. Nicola Morra, del Procuratore nazionale antimafia Dott. Federico Cafiero De Raho, del consigliere del CSM Piercamillo Davigo e del Procuratore della Repubblica di Catanzaro Dott. Nicola Gratteri, tema del convegno la “Legalità dell’azione amministrativa e contrasto alla corruzione”. Quando si parla di corruzione nella Pubblica Amministrazione e di contrasto a questi fenomeni si parla di problemi che affliggono anche il territorio, i cittadini ed i lavoratori pubblici della provincia di Cosenza, circostanza che ci impone di sottoporre a riflessione le necessità che emergono proprio da parte di questi lavoratori e cittadini, dichiara Bonaventura Ferri, Segretario Generale della UIL Pubblica Amministrazione di Cosenza. Negli uffici della Pubblica Amministrazione del nostro territorio ci sono una infinità di lavoratori capaci, onesti e con il senso dello Stato ma, purtroppo, troppe volte basta anche una sola mela marcia per rendere vano il lavoro di tante brave persone. Il senso comune e la percezione dei cittadini e dei lavoratori è, spesso, di uno Stato che dovrebbe essere più presente. In tutte le pubbliche amministrazioni esiste e deve esistere un solco, sempre più profondo e visibile che separi lo Stato dal resto. Questa linea ideale di demarcazione, presente nei presidi dello Stato, potrebbe svolgere maggiormente la sua funzione se riaffermata, magari, dalla visita di un Magistrato. Basterebbero poche parole per ridare fiducia a tanti e togliere sicumera a pochi arroganti in grado, fino ad oggi, di offuscare sia il lavoro dei tanti lavoratori onesti che la fiducia delle persone nello Stato e nella Giustizia. A volte basta accendere la luce o battere un piede per terra per far scappare gli insetti dal pavimento, la visita di un Magistrato o di un Procuratore nei posti di lavoro del territorio sarebbe cosa ben più forte e di grande impatto e deterrenza. La lotta alla ‘ndrangheta si combatte con la cultura, la consapevolezza e la fiducia delle persone, ma, per essere vinta è necessario che le persone ritornino ad essere tante e sicure della forte presenza quotidiana dello Stato e della Giustizia, dove meno se lo aspettano”.

* Segretario Generale Uil Pubblica Amministrazione di Cosenza

Migranti, crolla il modello Riace realizzato da Lucano in barba alle leggi

Mimmo Lucano migranti RiaceIl sindaco di Riace (ora sospeso), Domenico Lucano, conosciuto in tutto il mondo per il “modello” d’accoglienza dei migranti realizzato nel piccolo centro della costa ionica del Reggino, era stato sottoposto ai domiciliari il 2 ottobre scorso dai finanzieri del gruppo di Locri che avevano eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale della città calabrese con cui si disponeva anche il divieto di dimora per la sua compagna, Tesfahun Lemlem, nell’ambito di un’operazione denominata “Xenia”.

Le indagini, coordinate e dirette dalla Procura della Repubblica di Locri, erano state avviate in merito alla gestione dei finanziamenti erogati dal ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Reggio Calabria al Comune di Riace, per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico.

Già dall’ottobre del 2017 Lucano era stato iscritto nel registro degli indagati. Nel corso dell’inchiesta, secondo gli inquirenti, erano emerse irregolarità che il primo cittadino avrebbe commesso nell’organizzare “matrimoni di convenienza” tra cittadini del posto e donne straniere, al fine di favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano. “Sono un fuorilegge”, diceva intercettato dai finanzieri.

Lucano e la sua compagna avrebbero architettato degli espedienti volti ad aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia. Dalle intercettazioni dei finanzieri, sarebbe emerso, in particolare, il ruolo di Lucano nell’organizzazione del matrimonio di una cittadina straniera cui era già stato negato per tre volte il permesso di soggiorno.

La Guardia di Finanza avrebbe poi raccolto elementi circa l’affidamento diretto, definito “fraudolento”, del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti senza le procedure di gara previste dal codice dei contratti pubblici. Due le cooperative sociali, la “Ecoriace” e L’Aquilone”, che secondo l’accusa, il sindaco avrebbe favorito.

Le due coop non avrebbero avuto i requisiti di legge richiesti per l’ottenimento del servizio pubblico, in quanto non iscritte nell’apposito albo regionale previsto dalla normativa di settore. Al riguardo, viene contestato a Lucano di aver prima tentato inutilmente di far ottenere l’iscrizione alle cooperative, poi avrebbe istituito un albo comunale delle cooperative sociali cui poter affidare direttamente lo svolgimento di servizi pubblici.

Per quanto riguarda la gestione dei flussi di denaro pubblico destinati alla gestione dell’accoglienza dei migranti, il Gip, pur rilevando una “tutt’altro che trasparente gestione, da parte del Comune di Riace e dei vari enti attuatori”, delle risorse erogate per l’esecuzione dei progetti Sprar e Cas, e parlando di “estrema superficialità”, e “diffuso malcostume”, aveva negato la contestazione di reati specifici.

Dopo l’arresto di Lucano, a Riace si recarono qualche migliaio di persone della sinistra e associazioni pro-migranti a sostegno del sindaco. Sotto casa il primo cittadino si affacciò facendo il saluto comunista, con il pugno chiuso.

Intervistato da più parti, si è sempre detto estraneo alle accuse della procura di Locri guidata dal magistrato Luigi D’Alessio, il quale venne aspramente criticato, anche sui media nazionali, per aver “osato” toccare il beniamino della sinistra, nonché messo in discussione il “modello” di accoglienza migranti di Riace.

Con il pronunciamento del Riesame, a Lucano erano stati revocati i domiciliari, ma era stato disposto il divieto di dimora a Riace. In conseguenza dell’arresto era stata disposta sospensione dalla carica decisa dalla prefettura di Reggio Calabria per effetto della legge Severino. La Cassazione successivamente rinviò tutto al Riesame senza annullare la misura cautelare del divieto di dimora a Riace.

Infine la decisione del gup di Locri di rinviare tutti a giudizio con accuse a vario titolo di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, abuso d’ufficio e altri reati. L’inizio del processo è fissato per l’11 giugno 2019.

Riace, Lucano e gli altri indagati rinviati a giudizio

Riace, nuovi guai giudiziari per Lucano: indagato anche per truffa e falso

Processo Ruby, la Cassazione conferma condanne per Fede e Minetti

Emilio Fede e Nicole Minetti
Emilio Fede e Nicole Minetti in aula (Ansa)

La Cassazione ha confermato la condanna a 4 anni e 7 mesi di reclusione per l’ex direttore del Tg4 Emilio Fede e a 2 anni e 10 mesi per l’ex consigliere regionale della Lombardia Nicole Minetti nel processo Ruby bis che ha al centro l’accusa di favoreggiamento della prostituzione per le serate nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore. Gli ermellini hanno dichiarato inammissibili i ricorsi delle difese. E’ definitiva dunque la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano il 7 maggio 2018.

Emilio Fede dovrebbe scontare la prima parte della pena, alcuni mesi, in detenzione domiciliare, e non in carcere, per poi poter chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali. La Minetti, invece, condannata ad una pena inferiore ai 4 anni potrà da subito chiedere l’affidamento in prova.

Stando a quanto riferisce l’Ansa, che cita fonti qualificate, il problema per Fede è che la pena supera i 4 anni e, dunque, la Procura generale deve emettere un ordine di carcerazione. Ordine che, tuttavia, può essere sospeso dagli stessi magistrati, dando 30 giorni di tempo alla difesa del giornalista per chiedere la detenzione domiciliare come ultrasettantenne (ha 87 anni).

Il favoreggiamento della prostituzione non è un reato ostativo per questo genere di istanza, anche se la stessa sospensione non è automatica e decide la Procura generale. Quando la pena rimanente sarà di 4 anni Fede potrà chiedere l’affidamento.

Arrestato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra Julian Assange

Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, è stato arrestato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dopo che Quito ha revocato la concessione dell’asilo al giornalista australiano. Assange è stato portato in custodia alla stazione centrale di Scotland Yard, poi in tribunale.

Assange è stato riconosciuto colpevole immediatamente di fronte alla Westminster Magistrates Court di Londra di aver violato i termini della cauzione nel 2012 per non essersi presentato allora dal giudice ed essersi invece rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador.

Per questo reato rischia una pena fino a 12 mesi di carcere nel Regno Unito (la sentenza precisa sarà definita più avanti) in attesa che le autorità britanniche decidano anche sulla richiesta di estradizione presentata dagli Usa.

“Posso confermare che Julian Assange, 7 anni dopo essere entrato nell’ambasciata ecuadoriana, è ora sotto custodia della polizia per affrontare debitamente la giustizia del Regno Unito”, ha spiegato il ministro dell’Interno britannico, Sajid Javid. “Voglio ringraziare l’ambasciata dell’Ecuador per la sua cooperazione e la polizia per la sua professionalità: nessuno è al di sopra della legge”, ha concluso Javid.

Julian Assange non è uscito dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra, è stato l’ambasciatore a far entrare la polizia britannica all’interno della sede diplomatica, dove il fondatore di WikiLeaks è stato arrestato: ha denunciato in un tweet la stessa organizzazione.

“L’Ecuador ha revocato illegalmente l’asilo politico concesso in precedenza a Julian Assange – accusa WikiLeaks – in violazione del diritto internazionale”. Ci sono “la Cia” e altri poteri dietro la caccia a Julian Assange, denuncia ancora Wikileaks. Assange – twitta l’organizzazione da lui fondata per diffondere documenti segreti scomodi – “è un figlio, un padre, un fratello. Ha vinto decine di premi di giornalismo ed è stato nominato per il Nobel per la pace dal 2010. Ma attori potenti, inclusa la Cia, sono impegnati in un sforzo sofisticato per disumanizzarlo, delegittimarlo e imprigionarlo”.

Intanto il Cremlino auspica che siano rispettati tutti i diritti del fondatore di Wikileaks, riporta l’agenzia russa Tass. “Questo è un momento buio per la libertà di stampa”: così Edward Snowden, ex analista dell’Nsa e gola profonda del Datagate esiliato a Mosca, ha commentato l’arresto di Assange. “Le immagini dell’ambasciatore dell’Ecuador che invita i servizi britannici nell’ambasciata per trascinare via un giornalista vincitore di premi fuori dall’edificio finiranno nei libri di storia. I critici di Assange possono esultare, ma questo è un momento buio per la libertà di stampa”, ha scritto su Twitter.

Dal barbiere e a fare spesa, scovati 15 furbetti del badge nel Pelermitano

assenteismo collesano Castalebuono PalermoQuindici tra impiegati comunali e lavoratori socialmente utili sono stati indagati dai carabinieri a Castelbuono e Collesano per assenteismo. Il provvedimento è stato emesso dal Gip del Tribunale di Termini Imerese su richiesta della locale procura.

L’inchiesta, avviata alla fine del 2016 in seguito ad un esposto, è stata condotta utilizzando sistemi di videosorveglianza e pedinamenti.

Secondo l’accusa gli indagati si assentavano “sistematicamente, durante il servizio, per effettuare commissioni personali o addirittura, in alcuni casi, per svolgere altre prestazioni di lavoro per conto di privati (pulizie in ambito domestico e presso stabili condominiali)”.

Nel corso delle osservazioni dei carabinieri è emerso il consueto modus operandi dei classici furbi del badge: si timbrava il cartellino e poi via alla svelta dal posto di lavoro. C’è chi andava dal barbiere, al bar o chi andava a fare la spesa; oppure, appunto, svolgeva un doppio lavoro. A fine mese, ovviamente, ricevevano sempre lo stipendio dagli enti. Se confermate le accuse, gli indagati rischiano il licenziamento.

Riace, Lucano e gli altri indagati rinviati a giudizio

Il sindaco di Riace Domenico Lucano
Il sindaco sospeso di Riace Domenico Lucano

Il sindaco sospeso di Riace, Domenico Lucano è stato rinviato a giudizio assieme agli altri 26 indagati nell’ambito dell’inchiesta denominata “Xenia” sulla gestione dei migranti a Riace. La decisione è stata letta dal Gup del Tribunale di Locri Amelia Monteleone dopo sette ore di camera di consiglio. Il processo è stato fissato per l’11 giugno prossimo a Locri.

A Lucano, ancora sottoposto al provvedimento di divieto di dimora a Riace (vive in un paese vicino, ndr), e alle altre 26 persone rinviate a giudizio, l’accusa contesta, a vario titolo, i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e abuso d’ufficio.

Nessuno degli indagati era presente in aula alla lettura del dispositivo da parte del Gup, così come era accaduto anche nelle cinque giornate di udienza. L’avvocato Andrea Daqua difensore di Lucano e della compagna straniera Tesfahun Lemlem, insieme al collega Antonio Mazzone, prima che il gup Monteleone si ritirasse in camera di consiglio aveva chiesto per entrambi il non luogo a procedere.

Lucano, al terzo mandato come primo cittadino di Riace, comune della Locride diventato modello per l’accoglienza dei migranti, proprio nell’ambito dell’operazione Xenia della Procura di Locri, lo scorso 2 ottobre, era dapprima finito agli arresti domiciliari, misura poi trasformata nel divieto di dimora a Riace, confermata sia dal riesame che dalla Cassazione che aveva rinviato gli atti al tribunale di Locri.

Incidente stradale sulla 106 a Copanello di Stalettì, tre feriti gravi

E’ di tre feriti gravi il bilancio di un incidente stradale avvenuto oggi lungo la statale 106, all’altezza di Copanello Lido, nel comune di Staletti (Catanzaro). Per cause in corso di accertamento si sono scontrate tre auto, un’Audi Q3, una Opel e una Fiat Punto che nell’impatto è andata a fuoco.

Sul posto una squadra dei vigili del fuoco del distaccamento di Soverato, oltre a sanitari del 118, Polizia stradale e Carabinieri per i rilievi del caso. Era intervenuto anche l’elisoccorso ma non è stato utilizzato.

I feriti, di cui uno gravissimo, sono stati trasportati in ospedale con le ambulanze per accelerare i tempi di trasporto vista la gravità delle ferite riportate dai tre conducenti.

Abusivismo, sequestrato piazzale di una scuola elementare a Luzzi

sequestro piazza scuola LuzziI carabinieri forestali di San Pietro in Guarano (Cosenza), hanno posto sotto sequestro l’area all’interno del piazzale della Scuola elementare di “Serra Civita” del comune di Luzzi. Il sequestro è avvenuto a seguito di un controllo all’interno del piazzale dove erano in atto dei lavori edili da parte di dipendenti temporanei del Comune di Luzzi che avevano, fino ad allora, realizzato un manufatto ed un platea di cemento.

I militari hanno pertanto proceduto alla verifica documentale di tali lavori presso la casa comunale e si è accertato che questi erano stati predisposti dall’Amministrazione e avrebbero dovuto proseguire con la realizzazione al suo interno di una fontana.

Lavori, realizzati su una area di circa 300 metri quadri, sottoposta a vincolo idrogeologico e ricadente in una zona dichiarata sismica, per i quali non è stata prodotta nessuna progettazione o titolo autorizzativo come accertato dai militari a seguito del controllo.

Il sequestro, convalidato dalla Procura della Repubblica di Cosenza, dell’area e del manufatto abusivo realizzato e denunciato all’Autorità competente gli amministratori e i responsabili comunali per aver realizzato opere edili in assenza di permesso per costruire.

Il 18 Aprile il Consiglio dei Ministri si riunirà in Calabria

Il Premier Giuseppe Conte presieede Cdm in Calabria

E’ fissata per il 18 aprile la programmata riunione del Consiglio dei Ministri in Calabria. E’ quanto si è appreso da fonti di governo. Non si sa ancora dove si terrà la riunione.

Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, nelle settimane scorse, aveva annunciato che la riunione si sarebbe tenuta a Gioia Tauro, ma al momento non ci sono conferme in tal senso. Nel corso della riunione, secondo quanto è stato anticipato, dovrebbe essere approvato un decreto per la Calabria. (Ansa)

‘Ndrangheta, sequestrati beni a esponenti cosche di Rosarno

finanza reggio calabriaBeni per un valore di oltre 400 mila euro sono stati sequestrati dalla Guardia di finanza di Gioia Tauro a alcuni esponenti di spicco riconducibili alle cosche di ‘ndrangheta dei Pesce e dei Cacciola di Rosarno.

I due distinti provvedimenti sono stati emessi dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Procura antimafia reggina. Le indagini economico-patrimoniali, condotte dai finanzieri, hanno permesso di rilevare una consistente sproporzione tra i redditi dichiarati dai soggetti destinatari del provvedimento e il tenore di vita mantenuto dai loro nuclei familiari. Il sequestro ha riguardato, in particolare, due unità immobiliari a Rosarno.

Reddito di Cittadinanza, domande a quota 806mila, un famiglia su due

reddito di cittadinanzaSono oltre 806mila le richieste di Reddito di cittadinanza per nucleo familiare arrivate all’INPS attraverso i modelli presentati alle Poste, ai CAF e online. Di queste, oltre 433mila sono di donne, ovvero il 54% del dato totale.

Lo comunica l’ente di previdenza che ricorda come la misura serva a sostenere le famiglie in difficoltà puntando al reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale.

Il 25% delle richieste per avere il Rdc è stato presentato nelle regioni del Nord, il 16% in quelle del Centro, il 37% al Sud e il 20% nelle Isole. Le prime due regioni sono Campania e Sicilia; il Lazio è la terza regione, seguita da Puglia e Lombardia, poi Calabria e Piemonte.

Per richiedere il beneficio sono stati pubblicati il modello aggiornato e i nuovi modelli “Ridotto” ed “Esteso”: il primo è necessario per comunicare i redditi di attività lavorative in corso al momento della presentazione della domanda e non interamente valorizzati su ISEE, il secondo modello, invece, è utile ai beneficiari che dovranno comunicare tutte le variazioni intervenute nel corso della percezione della misura.

La circolare INPS 20 marzo 2019, n. 43 fornisce tutte le informazioni su questo beneficio economico, specificando requisiti, adempimenti, modalità di richiesta e calcolo dell’importo.

Inoltre, è disponibile online, sul sito dell’Inps, il servizio per la consultazione delle domande di Reddito di Cittadinanza e Pensione di Cittadinanza presentate presso gli sportelli di Poste Italiane, i CAF o tramite SPID sul sito del Reddito di Cittadinanza del Ministero del Lavoro.

Patenti facili a 2 mila euro agli stranieri, smantellata organizzazione

Squadra Mobile Polizia

Gli agenti della Polizia di Stato della Squadra Mobile di Roma, nell’ambito di una complessa attività investigativa coordinata dalla Procura della Repubblica capitolina, hanno eseguito 15 misure cautelari, smantellando un’associazione a delinquere composta da 22 persone che garantiva patenti facili a stranieri che a stento parlavano la lingua italiana, con numerosi indagati a vario titolo.

Scoperto anche un giro di marche da bollo false ed arrestato un dipendente della Motorizzazione Civile di Roma, per peculato, in accordo con un pregiudicato romano, agli arresti anche per il riciclaggio di valori bollati rubati negli archivi della Motorizzazione e rivenduti ad alcune autoscuole della Capitale.

Gli arrestati, di età compresa tra i 33 ed i 72 anni, tutti di Roma, tranne 5 campani ed un calabrese, sono indagati e ritenuti responsabili a vario titolo dei reati di associazione a delinquere ramificata sul territorio nazionale e finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti tra i quali il fraudolento conseguimento di titoli abilitativi alla guida, mediante l’uso di congegni elettronici, la falsità ideologica commessa da Pubblico Ufficiale in atti pubblici, la truffa, il riciclaggio oltre alla falsificazione e messa in circolazione di valori in bollo, attraverso la predisposizione di una sofisticata e stabile organizzazione volta a far conseguire in modo illecito – per lo più a cittadini stranieri – la patente di guida di veicoli, nonché volta alla sottrazione e riutilizzazione di marche da bollo apposte su pratiche dalla Motorizzazione di Roma Nord.

Le indagini condotte dalla Squadra Mobile, che ha spaziato da nord a sud della Capitale con le Motorizzazioni Civili di Roma in via Laurentina ed in via Salaria, sia in Campania e Calabria con quelle di Salerno e Cosenza, hanno interessato una quindicina di autoscuole, coinvolte nel conseguimento fraudolento della patente B e di quella per i mezzi pesanti, la cosiddetta “CQC” – Carta di Qualificazione Conducenti, finalizzata a qualificare i conducenti per la guida professionale di veicoli adibiti al trasporto di persone e/o di merci.

La concessione dell’abilitazione avveniva dietro il pagamento di somme di denaro che oscillavano tra i 2.000 ed i 3.500 euro, grazie al quale i candidati, assolutamente impreparati per il test e molto spesso di nazionalità straniera, di provenienza africana ed asiatica, in grado di comprendere almeno grossolanamente la lingua italiana, perlomeno per capire i suggerimenti “VERO/FALSO” che gli venivano trasmessi attraverso delle sofisticate apparecchiature elettroniche (telefoni cellulari dotati di videocamera e di auricolare wireless) fornite dalla scuola guida, a comunicare con persone appartenenti all’associazione all’esterno delle sale d’esame, ricevendo così le soluzioni ai quesiti della prova.

In pratica ai candidati, versando le somme di denaro richieste agli associati, veniva garantito il passaggio della prova d’esame seguendo un modus operandi ben preciso: gli aspiranti, prima di fare ingresso nelle sale della Motorizzazione, venivano presi in carico da alcune persone dell’associazione appositamente preposte che provvedevano alla loro vera e propria “vestizione” installando un “kit” di apparecchiature ben occultate negli abiti.

Attraverso tali strumentazioni elettroniche i promotori dell’organizzazione prendevano fraudolentemente cognizione dei quesiti che comparivano sul monitor della Motorizzazione per il test, per poi suggerire loro le risposte corrette mediante apparati telefonici portatili, falsificando così l’esito dell’esame ed il relativo verbale, inducendo in errore i Pubblici Ufficiali della Motorizzazione Civile che attestavano nei verbali informatici la regolarità dello svolgimento della prova.

Le indagini, scaturite nel mese di marzo 2017 da un semplice controllo amministrativo presso un’agenzia di pratiche auto di Roma, con l’arresto del titolare perché trovato in possesso di oltre 1000 marche da bollo (ognuna da 16 euro) di provenienza illecita, pronte per essere applicate sulle autentiche di firme per il rilascio di patenti di guida e trasferimenti di proprietà dei veicoli, hanno consentito, anche attraverso perizie tecniche eseguite presso l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato che hanno evidenziato l’originalità dei titoli bollati, di individuarne la provenienza dagli Uffici della Motorizzazione Civile di Roma Nord.

Con i successivi approfondimenti investigativi si appurava come B.B., 55enne di origini abruzzesi ma stabilmente a Roma, a cui è contestato anche il reato di riciclaggio, rimettesse sul mercato le numerose marche da bollo asportate da un dipendente della citata Motorizzazione, S.C., romano di 55 anni, tratto in arresto per peculato, rifornendo numerose autoscuole della Capitale dietro ingenti corrispettivi di denaro.

Attraverso il monitoraggio delle numerose agenzie di pratiche auto rifornite dal B.B., tra le quali quella di P.G. 59enne di Rocca di Papa (Roma) e M.A. romano dei 43 anni – entrambi in carcere insieme ad A.L., che partecipava all’associazione in quanto molto vicino al P.G., che rivestendo il ruolo di “accompagnatore” dei candidati che intendevano superare illegalmente l’esame – si faceva luce sull’organizzazione di cui facevano parte e gestita da alcuni personaggi salernitani.

In particolare dalle investigazioni condotte servendosi anche dell’attività di intercettazione telefonica ed ambientale, si è fatto luce sulle figure ed i ruoli centrali dell’associazione tutti di stanza nel Cilento: E.A. 44enne e C.V. 47enne con precedenti di polizia per stupefacenti – entrambi arrestati – quali promotori ed organizzatori nelle vesti di veri e propri “capi” e le figure di organizzatori di due donne finite ai domiciliari S.S. di 38 anni, che suggeriva le risposte esatte ai candidati nel corso degli esami in collegamento da remoto, e P.M.G., 33 enne che si occupava di installare sui candidati gli strumenti tecnici necessari per svolgere gli esami teorici, ed A.M., 35enne di Portici (NA), militare, anch’egli deputato alla vestizione dei clienti.

I vertici dell’organizzazione, quindi, da Salerno si espandevano “in trasferta” sino a Roma ed in Calabria, portando al seguito i loro kit per gli esami, mettendo a disposizione delle autoscuole degli altri associati tutti i dispositivi elettronici necessari per consentire ai candidati il fraudolento conseguimento delle patenti.

Nel territorio romano il principale referente era senz’altro il P.G., che in qualità di punto di riferimento su Roma dell’intera organizzazione in quanto catalizzava tutti i clienti delle Agenzie di pratiche auto della provincia capitolina, si occupava, unitamente a F.S., 33enne di Rocca di Papa (Roma), V.G.72enne di Ciampino (Roma) e R.S., romano di 32 anni, tutti sottoposti agli arresti domiciliari, di raccogliere le richieste avanzate dai titolari di alcune Autoscuoleanche di fuori Roma come quella di Santa Marinella gestita da M. R., 56enne romana anche lei ai domiciliari, che presentavano candidati intenzionati ad ottenere titoli abilitativi alla guida in maniera illecita.

Dall’attività investigativa espletata emergeva che i promotori della predetta associazione per delinquere avevano diramato i propri interessi sia a Roma che a Cosenza, luoghi presso i quali si avvalevano della stretta collaborazione di altri sodali, tra i quali l’arrestato M. G. della provincia di Cosenza di 64 anni, titolari di autoscuole a Praia a Mare (Cosenza) ed in altri comuni del cosentino.

Patenti facili, 15 arresti tra Roma, Salerno e Cosenza

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Dalle prime ore della mattina è in corso una vasta operazione della Squadra Mobile di Roma che sta eseguendo 15 misure cautelari, emesse dal Gip su richiesta della Procura della Repubblica capitolina, a carico di altrettante persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere, truffa, falso e riciclaggio di valori bollati, che operavano a Roma, Salerno e Cosenza.

Gli indagati avrebbero posto in essere una serie di “giri” per il rilascio “facile” delle patenti di guida.

‘Ndrangheta, oltre trenta arresti nella cosca dei “Piscopisani”

blitz polizia di statoLa Polizia di Stato di Vibo Valentia, a conclusione di complesse indagini condotte in collaborazione con la Questura di Catanzaro e con il Servizio centrale operativo e con il coordinamento dalla Procura antimafia di Catanzaro, sta eseguendo dalle prime ore di stamani un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di oltre 30 persone.

Le persone coinvolte nell’operazione sono ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso e concorso esterno in associazione mafiosa; estorsione, danneggiamento e rapina, aggravati dal metodo mafioso; detenzione e porto illegale di armi ed esplosivi, lesioni pluriaggravate, intestazione fittizia di beni, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.

Nell’operazione che è in corso sono impiegati oltre 200 poliziotti a Vibo Valentia e altri nelle province di Reggio Calabria, Palermo, Roma, Bologna, L’Aquila, Prato, Livorno, Alessandria, Brescia, Nuoro, Milano e Udine.

Sono 31 gli arresti. La cosca colpita nell’operazione è quella cosiddetta dei “piscopisani”, così chiamata perché ha la sua base operativa nella frazione “Piscopio” di Vibo Valentia. La cosca di ‘ndrangheta dei “Piscopisani” voleva rimpiazzare quella dei Mancuso, storicamente dominante sul territorio, nel controllo delle attività illecite in una vasta area comprendente Vibo Valentia ed alcune frazioni.

E’ quanto emerso dall’inchiesta condotta dalla Procura antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, che stamattina ha portato all’operazione della Polizia di Stato, denominata significativamente “Rimpiazzo”. Il tentativo dei “piscopisani” di spodestare i Mancuso fu la causa di uno scontro tra i due gruppi che provocò anche alcuni omicidi.

Uccide lo zio a colpi di pistola e si costituisce

cadavere scientifica carabinieriUn uomo di 54 anni, Angelo Presta, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco a Paterno Calabro dal nipote, Salvatore Presta, di 35, che si é poi costituito ai carabinieri.

L’omicidio, secondo una prima ricostruzione, sarebbe avvenuto al culmine di una lite tra zio e nipote in località “Pugliano”, in una zona di campagna.

Salvatore Presta, per uccidere lo zio, ha utilizzato una pistola. La morte del 54enne é stata istantanea.

L’omicida si trova adesso nella stazione di Dipignano dei carabinieri e viene interrogato dal magistrato di turno della Procura della Repubblica di Cosenza.

I rapporti tra l’omicida e la vittima, secondo quanto si è appreso, erano da tempo tesi per questioni che gli investigatori stanno adesso approfondendo.

Inaugurato il Planetario a Cosenza

Sindaco Cosenza, Mario Occhiuto, inaugura il PlanetarioDa oggi anche Cosenza ha il suo planetario, intitolato all’astronomo cosentino Giovan Battista Amico. Un luogo che accoglierà quanti vorranno scoprire i segreti della volta celeste.

Il planetario ospita 113 poltrone basculanti e roteanti ed è dotato del proiettore ottico starmaster “Zmp” della Zeiss, unico in Italia e tra i migliori d’Europa, capace di proiettare nella cupola fino a quattromila stelle. Un sistema di proiezione che rappresenta quanto di più avanzato esista attualmente in Italia e che risulta tra quelli più all’avanguardia sia in Europa che nel mondo.

“Il Planetario – ha detto il sindaco Mario Occhiuto – non è solo un’opera pubblica. É un’opera che migliora la vita delle persone che vivono in città. Con il planetario restituiamo un altro pezzo di città alla vita e alla fruizione sociale. Un presidio culturale con il quale abbiamo avviato una concreta forma di collaborazione con l’Università della Calabria”.

Aste giudiziarie truccate al tribunale di Lamezia, arrestati anche professionisti

finanza catanzaro

Sono trenta le aste giudiziarie per le quali la Procura della Repubblica di Lamezia Terme ha rilevato anomalie emerse dall’inchiesta che ha portato all’operazione della Guardia di Finanza nell’ambito della quale sono stati eseguiti 12 arresti e notificate quattro misure interdittive.

Artefice del sistema illecito sarebbe stato, secondo l’accusa, Raffaele Calidonna, di 56 anni, titolare di fatto di un’agenzia di affari e servizi, che é l’unico tra gli arrestati per il quale é stata disposta la custodia cautelare in carcere. Tra gli arrestati c’é anche la figlia di Calidonna, Sara, di 30 anni, titolare di diritto della stessa agenzia, finita ai domiciliari.

Nell’elenco degli arrestati, destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare emesse dal Gip di Lamezia Terme su richiesta della Procura della Repubblica, ci sono due ufficiali giudiziari, Pantaleo Ruocco, di 63 anni, ed Antonio Stigliano, di 68, in servizio entrambi nell’Ufficio notifiche, esecuzioni e protesti (Unep) del Tribunale di Lamezia Terme, posti entrambi ai domiciliari.

Gli arresti domiciliari sono stati disposti anche per tre avvocati, Bruno Famularo, di 42 anni, Emanuela Vitalone, di 43, e Giuseppe Benincasa, di 57.

Domiciliari anche per tre commercialisti, Massimo Durante, di 51 anni, Aldo Larizza, di 52, e Francesca Misuraca, di 57, per un ragioniere, Eugenio Travaglio, di 65, e per un imprenditore, Carlo Caporale, di 56.

Misure interdittive, infine, sono state eseguite nei confronti di due funzionari di cancelleria del Tribunale di Lamezia Terme, Michele Albanese, di 62 anni, e Sabrina Marasco, di 50, e di altri due avvocati, Oriana Travaglio, di 37 anni, e Massimo Sereno, di 52.

Le indagini hanno consentito di accertare, secondo la Procura di Lamezia Terme, l’esistenza di un sistema fraudolento che ha condizionato, di fatto, per oltre un decennio le vendite giudiziarie nel comprensorio di Lamezia Terme. Raffaele Calidonna, stando sempre a quanto è emerso dall’inchiesta, avrebbe anche avvicinato in alcuni casi altre persone intenzionate a presentare offerte in occasione delle aste giudiziarie, intimando loro di desistere e vantando appartenenze e vicinanze alla criminalità organizzata.

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