11 Ottobre 2024

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Francesco Vangeli giustiziato, chiuso in un sacco e gettato nel fiume

L’arresto di Antonio Prostamo, presunto assassino di Francesco Vangeli

Giustiziato con un numero imprecisato di colpi di fucile, messo in un sacco di plastica e, forse ancora vivo, gettato nel fiume Mesima. È stato assassinato così la notte tra il 9 e il 10 ottobre del 2018 Francesco Domenico Vangeli, il giovane di Filandari scomparso nel nulla lo scorso 9 ottobre e vittima di “lupara bianca”. Il suo corpo non è ancora stato ritrovato e, verosimilmente, è stato trascinato dalle correnti fino alla foce del fiume e da qui in mare.

I Carabinieri del Comando Provinciale di Vibo Valentia hanno però fermato uno dei presunti esecutori materiali dell’efferato delitto. Si tratta di Antonio Prostamo, 30 anni, di San Giovanni di Mileto, ritenuto dagli inquirenti esponente apicale della Locale di ‘ndrangheta dei “Pititto-Tavella-Prostamo”.

È accusato di omicidio aggravato dal metodo mafioso e di distruzione di cadavere. Il provvedimento di fermo arriva al termine di articolate indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro diretta dal Procuratore Nicola Gratteri e, oltre a colpire il 30enne di San Giovanni di Mileto, coinvolge quale presunto corresponsabile a pari titolo dell’omicidio anche il fratello di quest’ultimo, Giuseppe Prostamo, di 35 anni, attualmente detenuto nel carcere di Vibo dopo l’arresto nel maggio scorso perché trovato in possesso di un’arma clandestina con relativo munizionamento.

Anche lui, come il fratello finito in manette stamattina, dovrà rispondere di omicidio aggravato dal metodo mafioso, minacce e porto abusivo d’arma da fuoco oltreché di distruzione di cadavere.

Le attività tecniche svolte dai militari dell’Arma hanno permesso di ricostruire nel dettaglio l’intera vicenda. L’arma utilizzata per il delitto era dunque un fucile occultato all’interno di un pozzo artesiano nei paraggi del fiume Mesima.

L’operazione messa a segno dai Carabinieri è stata denominata in codice “Amore Letale” e il nome dato all’inchiesta sintetizza anche uno dei moventi che ha portato all’omicidio di Vangeli.

Secondo gli inquirenti le cause sarebbero molteplici. Alla base del delitto ci sarebbe infatti la contesa di una giovane di Scaliti di Filandari da parte della vittima, ovvero Vangeli, e di uno dei suoi presunti carnefici, Antonio Prostamo.

Quest’ultimo lo avrebbe anche minacciato di morte e addirittura di scioglierlo nell’acido con messaggi WhatsApp indirizzati sul telefono cellulare utilizzato da Vangeli, sequestrato e analizzato dai Carabinieri.

L’altro Prostamo, Giuseppe, avrebbe invece vantato dei crediti di droga da Francesco Vangeli il quale gli avrebbe pure sottratto un’arma da fuoco poi rinvenuta nelle disponibilità del padre a Pisa.

La sera della scomparsa sarebbe stato attirato a San Giovanni di Mileto con l’inganno. Da quanto emerso infatti i Prostamo lo avrebbero invitato a raggiungere la loro abitazione per la realizzazione di un tavolino in ferro battuto essendo Vangeli un artigiano come il padre Valerio.

Un semplice lavoretto per arrotondare la giornata ma che evidentemente si è rivelato fatale perché da quella sera Francesco non è più tornato a casa.

Maria Chindamo, un omicidio pianificato. Si stringe il cerchio su killer e mandanti

Si stringe il cerchio su killer e mandanti dell'omicidio di Maria Chindamo
In fondo alla strada il luogo dove Maria Chindamo, nel riquadro, è stata prelevata e portata via

Maria Chindamo, l’imprenditrice di Laureana di Borrello sparita nel nulla il 6 maggio del 2016, “è stata uccisa in modo premeditato” da persone ancora ignote, e il suo corpo occultato. Ne è convinta la Procura di Vibo Valentia che ha richiesto e ottenuto dal Gip un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Salvatore Ascone, 53 anni, di Limbadi, già noto alle forze dell’ordine, ritenuto partecipe (indiretto) al delitto.

Con Ascone, alias “U Pinnularu”, risulta indagato a piede libero un suo operaio, Gheorge Laurentiu Nicolae, 30 anni, romeno, domiciliato sempre a Limbadi. Nei loro confronti la Procura di Vibo contesta il reato di concorso in omicidio con soggetti allo stato ignoti, cioè esecutori materiali e mandanti attorno a cui si sta via via sempre di più stringendo il cerchio.

Secondo gli inquirenti, Ascone e il suo operaio avrebbero contribuito a “cagionare la morte” di Maria Chindamo manomettendo il sistema di videosorveglianza installato nella proprietà di Ascone in località Montalto a Limbadi allo scopo di impedire la registrazione delle immagini riprese dalla telecamera orientata sull’ingresso della proprietà dell’imprenditrice di Laureana di Borrello, dove la donna fu prelevata e portata via la mattina del 6 maggio 2016.

La “scatola nera” dell’impianto video, investigatori: “Dai dati dell’hard disk emerge manomissione”

Le indagini, condotte sul campo dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Vibo Valentia, della Compagnia di Tropea e del Ros, hanno permesso di arrivare a questa conclusione dall’analisi del “libro di bordo”, ovvero i file di log del sistema di videosorveglianza.

La “scatola nera”, una volta scoperchiata, ha messo in luce tutte le presunte “manovre” effettuate sull’impianto dagli odierni indagati. Secondo gli inquirenti, dati inoppugnabili poiché documentano che le manomissioni sono state effettuate “esattamente” la sera prima della scomparsa di Maria Chindamo e quindi “inequivocabilmente propedeutiche” alla commissione del delitto “pianificato” per la mattinata successiva ad opera degli esecutori materiali, consapevoli di operare in maniera indisturbata e con la sicurezza di non essere ripresi, quindi individuati.

Ascone avrebbe oscurato le telecamere su richiesta di assassini e mandanti? 

Omicidio Maria Chindamo, arrestato Salvatore Ascone
Salvatore Ascone

Secondo la ricostruzione di carabinieri e magistrati, l’interrogativo viene da sé, Ascone e il rumeno sarebbero dunque a conoscenza di chi siano autori e mandanti? Questi gli avrebbero chiesto di oscurare per molte ore l’impianto di videosorveglianza, per agevolare la commissione del crimine? Domande che al momento non hanno risposte, ma su cui l’indagato numero uno potrà presto fornire chiarimenti.

La Procura: “Chindamo barbaramente assassinata”

Per la Procura di Vibo, Maria Chindamo è stata barbaramente assassinata. Un omicidio volontario perpetrato da ignoti poco dopo le 7 del mattino del 6 maggio 2016 davanti alla propria azienda dove uno dei suoi dipendenti trovò l’auto con il motore acceso, l’impianto stereo a tutto volume e tracce di sangue sulla carrozzeria della sua Dacia e al suo interno tutti gli effetti personali, compresa la borsa contenente oltre mille euro in contanti.

Complesse indagini, sviluppate ricostruendo un puzzle fatto di dati tecnici, dichiarazioni degli indagati e perlustrazione d’area, hanno permesso di giungere ad una prima importante svolta con l’individuazione di quelli che per l’accusa sarebbero “due dei correi” dell’efferato delitto.

La dinamica del sequestro: Maria prima aggredita e poi caricata su un’altra auto, uccisa e sepolta altrove

Secondo la ricostruzione fornita dai Carabinieri è emerso che la Chindamo è stata dapprima aggredita non appena scesa dall’auto e poi caricata con la forza da uno o più soggetti su un altro mezzo con cui gli autori si sarebbero allontanati. Le tracce ematiche dimostrano la colluttazione avvenuta in più fasi. Una scena che avrebbe potuta essere immortalata dal vicino se questi non avesse manomesso l’impianto di videosorveglianza.

Per questo motivo Salvatore Ascone e Gheorghe Laurentiu Nicolae si trovano indagati; perché – secondo l’accusa – avrebbero manipolato il sistema di videosorveglianza “tramite un’interruzione di alimentazione dell’hard disk interno, cagionata da un intervento manuale diretto ad inibire in tal modo la funzione di registrazione”.

La testimonianza di Ascone nel 2017: “Impianto video gestito solo da me e mia moglie”

Agli investigatori che nel maggio del 2017 lo sentirono a sommarie informazioni Ascone dichiarò testualmente: “Le chiavi della casa dove sta custodito l’Hard disk ce lo ho solo io oppure mia moglie. Sicuramente nessuno può aver avuto accesso all’abitazione perché c’è anche un impianto di allarme ed arriva la segnalazione sul telefonino mio, di mia moglie e dell’operaio che si chiama Nicolai”.

Le dichiarazioni del pentito Mancuso: “Ascone ossessionato dalla videosorveglianza”. Ma è mistero sul blackout

Ad aggravare la posizione di Ascone sono le dichiarazioni fornite dal collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso che tendono a rafforzare l’ipotesi accusatoria di una manomissione temporanea volontaria del sistema di videosorveglianza.

Il figlio di Panteleone Mancuso, alias l’ingegnere, aveva una frequentazione pressoché giornaliera con gli Ascone e ben conosceva le abitudini della famiglia. Il collaboratore di giustizia ha riferito un particolare fondamentale alle indagini: la “mania” o la “paranoia” di Salvatore Ascone per i sistemi di videosorveglianza.

“Ho sempre notato che era solito monitorare con sistemi di videosorveglianza tutti i luoghi di sua proprietà, sia l’abitazione, sia la casa in campagna, nonché i capannoni e i luoghi in cui aveva beni e animali… omissis … Era particolarmente attento al funzionamento di questo sistema al punto che quando c’erano dei guasti subito chiamava il tecnico affinché se ne occupasse”.

Proprio il mancato funzionamento delle telecamere il giorno dell’omicidio della Chindamo fu oggetto di un discorso tra Emanuele Mancuso e gli Ascone dopo la scomparsa della donna. “Salvatore Ascone mi disse – ha spiegato agli inquirenti il collaboratore di giustizia – che le telecamere erano spente proprio quel giorno”. La “rivelazione” fece agitare la moglie che si affrettò a precisare che si trattava di un “malfunzionamento”.

Le indagini su quello che appare chiaramente un delitto pianificato in ogni minimo dettaglio, proseguono a ritmo serrato per individuare gli autori e chi voleva morta e sepolta Maria Chindamo. Soprattutto il movente: se passionale, familiare, imprenditoriale o altro.

Se la mafia non c’entra è un delitto d’onore?

Nonostante sia stato commesso in terra di ‘ndrangheta, le indagini sono state coordinate dalla Procura di Vibo e non dalla DDA di Catanzaro. Segno che la mafia, al momento, non c’entra nulla nell’omicidio di Maria Chindamo.

Svolta in indagini sull’omicidio di Maria Chindamo, un arresto

Svolta in indagini sull'omicidio di Maria Chindamo, un arresto
I mezzi dell’Arma in località Montalto. Nel riquadro Maria Chindamo

Prima svolta nelle indagini sulla scomparsa di Maria Chindamo, l’imprenditrice di Laureana di Borrello scomparsa nel nulla il 6 maggio 2016. Una persona è stata arrestata all’alba dai carabinieri di Vibo Valentia poiché ritenuta responsabile di concorso in omicidio. Si tratta di Salvatore Ascone, 53 anni, di Limbadi, già noto alle forze dell’ordine.

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo, su richiesta della locale Procura, che ha coordinato le indagini condotte sul campo dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Vibo Valentia, della Compagnia di Tropea e del Ros, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell’uomo.

Secondo quanto emerge, Ascone avrebbe avuto in uso il casolare di fronte all’azienda agricola dove la Chindamo è stata prima colpita e poi trascinata su un’altra auto che l’ha portata (e occultata) altrove. Il sistema di videosorveglianza del casolare, sarebbe stato manomesso per consentire agli autori materiali dell’omicidio di agire indisturbati.

Insieme a Salvatore Ascone è anche indagato Gheorge Laurentiu Nicolae, 30 anni, operaio romeno dell’arrestato, domiciliato a Limbadi. Le indagini proseguono per individuare esecutori materiali e mandanti del delitto.

Scomparsa Francesco Vangeli, un fermo per omicidio. Movente passionale

Scomparsa Francesco Vangeli, fermata una persona per omicidio
Il giovane scomparso Francesco Vangeli

I carabinieri della Compagnia di Vibo Valentia hanno eseguito un fermo a carico di Antonio Prostamo, 30 anni, ritenuto responsabile dell’omicidio di Francesco Domenico Vangeli, il giovane di Filandari svanito nel nulla la sera del 9 ottobre 2018.

Prostamo è il nipote del presunto boss Nazzareno Prostamo, in carcere per una condanna all’ergastolo.

Si tratta di un caso di “Lupara bianca”. Il corpo del giovane non è mai stato trovato. L’auto di Vangeli, una Ford Fiesta, era stata rinvenuta carbonizzata l’11 ottobre scorso presso lo svincolo dell’A2 a Mileto, a circa 4 km dal suo paese di residenza.

L’ultima volta, il giovane, 26 anni, era stato stato visto con la sua auto proprio a Mileto, dove è stata rinvenuta la sua auto bruciata. I militari, dopo indagini complicatissime, hanno raccolto elementi indiziari concreti che hanno portato al fermo dell’odierno indagato.

Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanazaro, sono state condotte dai Carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Vibo Valentia.

Il movente del delitto sarebbe passionale. Secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe da collegare al fatto che l’indagato avrebbe avuto una relazione sentimentale con l’ex di Vangeli quando i due si erano lasciati.

Maggiori dettagli saranno resi noti in mattinata in un incontro con i giornalisti a cui parteciperà il procuratore della DDA di Catanzaro Nicola Gratteri.

Mini rimpasto nel governo, Fontana agli Affari UE, Locatelli alla Famiglia

Lorenzo Fontana
Lorenzo Fontana

Mini rimpasto nel governo Conte. Al ministero degli Affari Europei, rimasto in interim dopo che Paolo Savona è stato nominato presidente di Consob, andrà Lorenzo Fontana, fino a stamane ministro della Famiglia, mentre in quest’ultimo dicastero approderà Alessandra Locatelli. L’avvicendamento è tutto interno alla Lega. Di fede salviniana sono infatti sia Locatelli che Fontana.

Il giuramento al Quirinale ci sarà oggi alle 18. Lo ha annunciato lo stesso premier Giuseppe Conte.

“Oggi ci sono due nuovi ministri – ha detto il presidente del Consiglio -. Siamo d’accordo con il presidente della Repubblica: alle 18 giureranno al Quirinale. Avremo il ministro Lorenzo Fontana che andrà agli Affari Europei e Alessandra Locatelli, attualmente alla Camera dei Deputati, che avrà le deleghe per Famiglia”.

“Si tratta di uno spostamento con l’acquisizione di un nuovo ministro nella compagine governativa di cui completiamo l’assetto e potremo così proseguire l’attività di governo” ha aggiunto.

“Penso che la prima cosa è capire come si stia strutturando la Commissione (europea), ci sarà da fare un dialogo profondo con tutti i paesi per capire quale sarà la maggioranza. A me piacerebbe già che non si parlasse più di cordone sanitario perché la ritengo una cosa insultante per il nostro Paese. La cosa giusta da fare da parte di chi governerà la Ue è ascoltare”. Queste le parole a caldo di Lorenzo Fontana, nominato ministro degli Affari Europei. “Dobbiamo vedere se c’è la possibilità di non considerarci un paese di serie B”.

Ai domiciliari va a gettare la spazzatura, arrestato per evasione

Ai domiciliari va a gettare la spazzatura, arrestato per evasione

E’ andato a gettare la spazzatura forse ignorando che era agli arresti domiciliari e che dunque non poteva muoversi da casa. Protagonista un sessantenne di Schiavonea che è stato sorpreso e arrestato dai carabinieri di Corigliano con l’accusa di evasione.

Durante un normale controllo ai soggetti sottoposti a misure restrittive nella popolosa frazione di Schiavonea, i militari della Radiomobile sono giunti davanti l’abitazione di F.R., – sottoposto dal Maggio scorso alla reclusione domiciliare per reati contro il patrimonio -, ma dopo aver suonato più volte al campanello non hanno ottenuto alcuna risposta.

Rintracciata la moglie dell’uomo, la donna ha affermato che probabilmente il marito, per il forte caldo, stava facendo una doccia e per questo non sentiva il campanello.

I carabinieri non credendo alla versione della donna, hanno fatto un giro perlustrativo nei dintorni dell’abitazione incrociando, poco dopo, l’uomo in strada che, con tranquillità, tornava con in mano un bidone vuoto dell’immondizia, che lo stesso ha detto di aver appena svuotato.

Appurato che non aveva alcuna autorizzazione del giudice per portarsi fuori dal proprio domicilio, ai militari non è rimasto altro che condurlo in caserma, arrestarlo e rimetterlo ai domiciliari, come disposto dal magistrato di turno presso la Procura della Repubblica di Castrovillari.

0micidio Valenti a San Calogero, arrestato presunto complice di Sibio

omicidio Valenti a San Calogero, arrestato Barone, presunto complice di Sibio
La caserma della Compagnia Carabinieri di Tropea

I Carabinieri della Compagnia di Tropea hanno arrestato Salvatore Barone, di 29 anni, imprenditore edile san calogerese, al quale viene contestato il concorso nell’omicidio di Domenico Antonio Valenti, 74 anni, consumato il 15 Agosto 2016 a San Calogero, in provincia di Vibo Valentia.

La misura cautelare scaturisce dalle indagini poste in essere dai militari di Tropea e di San Calogero. Le attività, spiegano gli investigatori, hanno permesso di “delineare con precisione” la condotta di Barone che, nel pomeriggio del 15 agosto 2016, “a seguito di una caccia all’uomo” aveva permesso a lui e al suocero, Cosma Damiano Sibio 54 anni, (già arrestato e condannato per il delitto, ndr), di individuare e quindi uccidere a colpi di arma da fuoco Domenico Valenti.

La convergenza degli esiti delle perizie balistiche, l’analisi delle registrazioni di videosorveglianza e le intercettazioni, a distanza di quasi tre anni, avrebbe cristallizzato la responsabilità di Barone “sconfessando”, dicono i militari, il tentativo di Sibio di scagionare il futuro genero.

Secondo le indagini, l’arrestato, era alla guida dell’autovettura che nel Ferragosto 2016 aveva intercettato la vittima. Da quell’auto – sulla quale si trovava anche Sibio – erano stati esplosi in diversi momenti, numerosi colpi di pistola che avevano colpito a morte Valenti.

Con lo stesso provvedimento sono state punite anche le condotte di Natalina Lorella Sibio e Antonella Restuccia, rispettivamente coniuge e suocera di Barone. Le donne sono state denunciate a piede libero per favoreggiamento personale in quanto, in base agli sviluppi delle indagini, avrebbero reso false dichiarazioni al pubblico ministero.

Il provvedimento è stato emesso dal Giudice per le indagini preliminari di Vibo Valentia su richiesta della locale Procura della Repubblica che ha concordato con le evidenze investigative riportate dai Carabinieri.

Cosma Damiano Sibio al tempo, si costituì all’indomani dell’omicidio di Valenti, ammettendo le proprie responsabilità. L’uomo era stato condannato in primo grado.

Per Sibio la Corte d’Appello di Catanzaro aveva escluso le aggravanti della futilità dei motivi e della premeditazione e concesso le attenuanti generiche, accogliendo quella della provocazione.

Per la difesa, il presunto autore dell’omicidio avrebbe agito in seguito a rancori per vecchie diatribe di confino di alcuni terreni.

Capi di abbigliamento contraffatti in falegnameria, sequestro e due denunce

Oltre 500 capi di abbigliamento contraffatti sono stati scoperti e sequestrati, in una falegnameria, dai finanzieri della Compagnia di Reggio Calabria, nel corso di controlli. Due cittadini tunisini sono stati denunciati.

In particolare, dopo aver fatto accesso nella falegnameria, i militari, che sin da subito si erano insospettiti, hanno deciso di eseguire una perquisizione, nel corso della quale hanno trovato, riposti nel vano bagno, una serie di pacchi, tutti contenenti capi di abbigliamento e articoli di oggettistica, integralmente imballati e riproducenti i marchi di note griffe internazionali. Dall’ispezione è risultato che i loghi degli articoli erano taroccati. Inevitabile il sequestro.

Tra i marchi più noti dei capi di abbigliamento sequestrati figurano quelli di “Adidas”, “Nike”, “Calvin Klein”, “Emporio Armani”, “Levis”, “Denim” mentre, tra quelli dell’oggettistica, anch’essa sottoposta a sequestro dai militari, spiccano quelli di “Fiat”, “Ferrari”, “Citroen”, “Mercedes”, “Lancia”, “Ford”, “Volkswagen”, “Audi”, “Renault”, “Toyota”, “Alfa Romeo” e “Bmw”.

Il titolare della falegnameria dove erano custoditi i prodotti contraffatti, nonché il proprietario dei capi, un ambulante che opera normalmente lungo la Costa Viola, sono stati denunciati alla locale Procura della Repubblica reggina per introduzione nello Stato e commercio di prodotti contraffatti, nonché per ricettazione.

Fiction su Riace, l’ad della Rai Salini: “Non la manderemo in onda”

Il sindaco di Riace Mimmo Lucano con l'attore Beppe Fiorello
L’ex sindaco di Riace Lucano con l’attore Beppe Fiorello durante le riprese della fiction poi sospesa dalla Rai

(ANSA) – MILANO, 9 LUG – La Rai non manderà in onda la fiction su Riace. Ad annunciarlo l’ad Rai, Fabrizio Salini, in occasione della presentazione dei palinsesti a Milano.

“Non è prevista una collocazione in palinsesto”, ha detto Salini. “Tutto il mondo è paese”, nella quale Beppe Fiorello avrebbe indossato i panni dell’ex sindaco Mimmo Lucano, era incentrata sul mondo di accoglienza dei migranti nel paese calabrese.

La fiction, già interamente girata, aveva subito un primo stop a seguito delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto l’ex primo cittadino, provocando le sue proteste, oltre a quelle dello stesso Fiorello.

Civita, sindaco ordina limitazioni alle Gole del Raganello

Torrente Gole del RaganelloControlli rafforzati a Civita per impedire l’accesso alle Gole del torrente Raganello, teatro il 20 agosto 2018 della tragedia che, a causa di un’onda di piena, costò la vita a 10 persone, nove escursionisti e una guida. A disporlo è un’ordinanza del sindaco di Civita Alessandro Tocci emanata in corrispondenza del periodo (luglio e agosto) di massima affluenza turistica nel borgo.

L’ordinanza prevede “misure più restrittive finalizzate all’impedimento fisico di accesso alle gole del Raganello nei punti di ingresso presenti nel comune di Civita”. In particolare si autorizza “l’apposizione di una fune in acciaio a sostegno della rete da cantiere di colore rosso” all’ingresso delle Gole dal Ponte del Diavolo.

Il provvedimento è stato inviato al Prefetto e al Questore di Cosenza, al commissariato Ps di Castrovillari, al comando stazione carabinieri, al raggruppamento dei carabinieri Parco del Pollino e ai sindaci di Francavilla Marittima, Cerchiara di Calabria e San Lorenzo Bellizzi.

Sorpreso mentre appicca un incendio, arrestato piromane

Aveva appena appiccato un incendio in più punti ai lati di una strada interpoderale, vicina ad un’area boscata. Un uomo, C.P., di 61 anni è stato arrestato e posto ai domiciliari dai Carabinieri Forestale a Badolato, nel Catanzarese.

I militari, a causa del ripetersi di episodi di incendio nel territorio comunale, hanno intensificato le attività di controllo con un servizio notturno che ha consentito di individuare l’autore dell’incendio e di bloccarlo quasi contestualmente.

Al tempo stesso, si è provveduto a spegnere il rogo, che rischiava di propagarsi e sfuggire al controllo per la presenza di una folta vegetazione secca e infiammabile di macchia mediterranea.

Alle operazioni di spegnimento del rogo hanno partecipato una squadra del servizio anti incendi boschivi di Calabria Verde e un agricoltore del posto, intervenuto con un trattore agricolo munito di cisterna e pompa.

Aggressioni dietro le mura domestiche, due misure cautelari a Cosenza

maltrattamenti stalkingDue distinte ordinanze di applicazione di misure cautelari per maltrattamenti in famiglia sono state emesse dal Gip del tribunale di Cosenza su richiesta della Procura ed eseguite da agenti della Squadra mobile della questura bruzia.

Il primo provvedimento di allontanamento dalla casa familiare ha avuto come destinatario un trentanovenne, spesso in stato di ebbrezza, accusato di avere vessato e picchiato la moglie alla quale addebitava storie con altri uomini.

La donna, madre di cinque figli minori, è stata costretta a vivere in uno stato di ansia e paura e con il timore per la propria incolumità e per quella dei figli, in qualche occasione presi a calci dal padre.

Nel secondo caso i maltrattamenti sono stati messi in atto da un uomo nei confronti della sorella, minacciata e aggredita anche nella casa dove era andata a vivere insieme al compagno. Per l’uomo, già sottoposto alla misura dell’allontanamento, sono stati disposti gli arresti domiciliari, con divieto di comunicare con altre persone.

Punto da un’ape va in shock anafilattico, in rianimazione

ospedale vibo valentia
L’ospedale di Vibo Valentia

Ha rischiato di morire per shock anafilattico a causa della puntura di un’ape. E’ la disavventura capitata ad un uomo di 46 anni, di Ionadi, Vibo Valentia.

Dopo essere stato punto dall’insetto l’uomo ha improvvisamente accusato gravi difficoltà respiratorie ed è stato adagiato in auto dai parenti che si sono diretti nel’ospedale di Vibo Valentia. Sulla strada la vettura ha incrociato una pattuglia del Nucleo operativo e radiomobile dei carabinieri che ha affiancato l’utilitaria che viaggiava a velocità sostenuta facendo da staffetta fino in ospedale superando tutte le insidie del traffico presenti in quel momento sull’arteria stradale.

In pronto soccorso il paziente è stato sottoposto dai medici agli interventi del caso. L’uomo è stato ricoverato nel reparto di Rianimazione.

Migranti. Caso Rackete, Spadafora (M5s): “Salvini sessista”. Ministro: “Lasci”

Migranti. Caso Rackete, Spadafora (M5s): Salvini sessista. Ministro: Lasci
Vincenzo Spadafora e Matteo Salvini (Ansa)

E’ scontro nel governo per un’intervista nella quale il sottosegretario M5s alle Pari opportunità Vincenzo Spadafora ha attaccato sul tema dei migranti il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini. La replica del leader leghista è stata durissima: “Lasci l’incarico e vada con le Ong”.

L’Italia – ha affermato Spadafora in un colloquio con La Repubblica – “vive una pericolosa deriva sessista” e i presunti insulti alle donne “arrivano proprio dagli esponenti più importanti della politica”.

L’esponente pentastellato prende ad esempio di insulti contro le donne “gli attacchi verbali” di Salvini a Carola Rackete, comandante della Sea Watch, definita “criminale, sbruffoncella, pirata”.

Parole che, per Spadafora, “hanno aperto la scia dell’odio maschilista contro Carola, con insulti dilagati per giorni e giorni sui social”. Durissima la replica della ministra leghista Stefani. “E’ vile usare il dramma delle donne per attaccare Salvini. Andrebbe ripensato l’incarico di Spadafora.

“Cosa sta a fare Spadafora al governo con un pericoloso maschilista? Se pensa che io sia così brutto e cattivo, fossi in lui mi dimetterei e farei altro, ci sono delle Ong che lo aspettano”, ha detto Salvini in una conferenza stampa al Cara di Mineo, a Catania.

Spadafora è considerato uno dei più “influenti” esponenti di Sinistra all’interno della galassia pentastellata. La sua nomina a sottosegretario di Stato nel governo gialloverde, dopo l’intesa tra Salvini e Di Maio, non è stata mai ben vista dal Carroccio.

L’esponente del governo lo scorso anno era stato tra i fautori dell’allenza di governo tra M5s e PD, poi saltata; intesa sponsorizzata dal presidente della Camera Roberto Fico, anch’egli proveniente da ambienti progressisti.

Difesa Costiera, in Calabria interventi al palo. Guccione: “Regione incapace”

Difesa Costiera, in Calabria interventi al palo. Guccione:
Carlo Guccione

«La Regione Calabria non finisce mai di stupirci. Sono trascorsi cinque anni dall’aggiudicazione di ben 15 interventi di difesa costiera, per un importo complessivo di 41 milioni di euro, e ad oggi quelli che risultano cantierizzati sono solo sei. Forse di questi sei, due sono stati conclusi ma i lavori degli altri nove interventi ancora non sono iniziati. Ci troviamo davanti a un vero proprio scandalo».

Ad affermarlo il consigliere regionale Carlo Guccione che ha inviato un’interrogazione a risposta scritta al presidente della Giunta regionale Mario Oliverio.

«Emerge un vero e proprio spaccato del funzionamento della Regione Calabria e il problema è che si continua a perseguire in questa direzione. E non è finita qui. Il 31 luglio 2017 – spiega il consigliere Guccione – la Giunta regionale, con delibera numero 355, decide di utilizzare ulteriori 65 milioni di euro per 18 interventi di difesa costiera. Sono trascorsi esattamente due anni e nulla da allora è stato fatto in termini amministrativi per avviare le procedure e passare alla fase operativa. Addirittura, non sono stati nominati neppure i RUP (Responsabile unico del procedimento)».

Gli interventi previsti riguardano i Comuni di Amantea, Belmonte, Longobardi, Fiumefreddo, Guardia Piemontese, Cetraro, Bonifati, Sangineto, Brancaleone, Melito Porto Salvo, Tropea, Parghelia, Zambrone, Pizzo Calabro, Falerna, Catanzaro, Borgia, Badolato, Gizzeria, Nocera Terinese, Belvedere, Diamante, Scalea, San Nicola Arcella, Crosia, Calopezzati, Mandatoriccio, Cariati, Crotone, Villapiana, Rocca Imperiale, Monasterace, Riace.

«La meraviglia diventa stupore se si va a verificare che il settore Interventi difesa del suolo e difesa costiera della Regione Calabria risulta composto da uno/due dipendenti. Dipendenti – sottolinea Carlo Guccione – che si dovrebbero occupare della progettazione, rendicontazione e realizzazione degli interventi (pare, tra l’altro, che uno di questi dipendenti abbia firmato come dirigente al Comune di Cosenza in qualità di vincitore del concorso)».

Il consigliere regionale chiede quali iniziative urgenti si vorranno adottare «per rimuovere gli ostacoli che fino ad ora hanno impedito che importanti interventi di difesa costiera venissero completati. Le risorse stanziate – oltre 100 milioni di euro di fondi comunitari – rischiano di essere perse e i notevoli ritardi nella cantierizzazione degli interventi possono vanificare l’efficacia delle opere visto che, a distanza di anni, potrebbe trovarsi modificata profondamente la situazione dei luoghi. Un quadro desolante che testimonia l’incapacità di passare dagli annunci alle realizzazioni concrete»

Macchia Mediterranea incendiata da lanterne, una denuncia

Accendono delle lanterne per illuminare, come è tradizione da sempre, il sentiero attraversato da una processione religiosa ma si sviluppa un incendio in un rimboschimento di conifere e macchia mediterranea.

E’ successo ad Aiello Calabro, in provincia di Cosenza, dove un uomo di 51 anni, è stato denunciato in stato di libertà dai Carabinieri Forestale con l’accusa di incendio boschivo colposo.

Due lanterne artigianali tra quelle sistemate sul percorso della processione in onore della Madonna delle Grazie che conduce al Castello della cittadina, fatte di barattoli con cotone imbevuto di liquido infiammabile, per cause in corso di accertamento, hanno innescato un rogo alimentato dalla vegetazione secca e che ha interessato circa dieci ettari di terreno.

Sul posto per domare le fiamme sono intervenuti i Vigili del Fuoco, un elicottero regionale e due squadre antincendio.

Vessava le borsiste, arrestato ex giudice Francesco Bellomo

Arrestato ex giudice Francesco Bellomo
A destra il giudice Francesco Bellomo ad una festa

Una ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari è stato notificata a Francesco Bellomo, ex giudice barese del Consiglio di Stato, docente e direttore scientifico dei corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura della Scuola di Formazione Giuridica Avanzata “Diritto e Scienza”.

Bellomo risponde dei reati di maltrattamento nei confronti di quattro donne, tre borsiste e una ricercatrice, alle quali aveva imposto anche un dress code, ed estorsione aggravata ai danni di un’altra corsista.

Bellomo è anche indagato per i reati di calunnia e minaccia ai danni del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. L’accusa, contenuta nell’ordinanza di arresto per maltrattamenti ed estorsione nei confronti di cinque ex borsiste, risale al settembre 2017, quando l’attuale premier Conte era vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e presidente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi su Bellomo.

Maxi blitz antidoping in Europa, 234 arresti e oltre mille indagati

Maxi blitz antidoping in Europa, 234 arresti e oltre mille indagatiOperazione internazionale contro il doping coordinata dai Carabinieri del Nas e da Europol. Sequestrati in tutta Europa sostanze dopanti per 3,8 milioni, arrestate 234 persone, oltre mille indagati, scoperti nove laboratori clandestini, di cui uno anche in Italia, nel Salernitano, dove i carabinieri hanno sequestrato un laboratorio per la produzione di sostanze stupefacenti e dopanti. Controllati 600 atleti, di cui 19 sono risultati positivi.

La maxi operazione anti doping, denominata Viribus, e’ la più vasta di sempre in questo settore e vi hanno partecipato tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, Interpol, Usa, Svizzera, Albania, Ucraina, Colombia, Montenegro, Moldavia, Islanda, Bosnia, Erzegovina e il Nord Macedonia. Inoltre hanno supportato le attività l’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) e l’Ufficio Europeo Antifrode (OLAF).

E’ stata anche smantellata un’organizzazione dedita al traffico internazionale di sostanze dopanti che operava tra Italia e Romania. Nas e Europol hanno arrestato 13 persone e sequestrato ingenti quantitativi di sostanze dopanti e farmaci contraffatti, per un valore complessivo di circa un milione di euro.

Nel complesso l’attività investigativa ha consentito di disarticolare 17 gruppi criminali coinvolti nel traffico internazionale di sostanze dopanti, individuare e sequestrare 9 laboratori clandestini per la produzione di sostanze illecite e farmaci contraffatti. Viribus è stata lanciata dai Carabinieri del Nas e da Europol nel mese di ottobre 2018 nel corso di un incontro al Ministero della Salute.

Madre coordinava i figli nello spaccio di droga, 6 arresti nel Reggino

Madre coordinava i figli nello spaccio di droga, 6 arresti nel Reggino

Sei persone, tra le quali una madre che era a capo della presunta organizzazione e i suoi tre figli, sono state arrestate all’alba a Benestare dai carabinieri di Locri e del Comando provinciale di Reggio Calabria, supportati dallo squadrone eliportato Cacciatori di Calabria. I sei sono accusati a vario titolo di associazione finalizzata all’acquisto, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

Gli arresti sono stati fatti in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice su richiesta della Procura distrettuale di Reggio Calabria, nell’ambito di un’operazione denominata “Nikita”, coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dal sostituto Francesco Tedesco.

La donna, Teresa Pizzata, di 56 anni, secondo quanto emerso dalle indagini, attraverso un’attività di spaccio strutturata e intensiva coordinava i figli Giuseppe Musolino (33), Rosario (30) e Antonio (25) sia nella vendita ai consumatori finali sia nella fornitura ad altri spacciatori, gli altri due arrestati: Giovanni Argirò (40) e Mario Bottari (47).

Dalle attività tecniche e dalle conversazioni fra gli indagati – spiegano gli investigatori -, emerge il ruolo direttivo, all’interno del sodalizio familiare, di Teresa Pizzata, vedova, che in qualità di capofamiglia era in grado di dirigere agevolmente e autorevolmente le attività.

In particolare, i Carabinieri hanno potuto acclarare come, in un vallone sito in un’area demaniale di fronte alla loro abitazione, i 4 componenti del nucleo familiare detenessero consistenti quantitativi di sostanze stupefacenti in nascondigli appositamente ideati e abilmente occultati all’interno della folta ed irregolare vegetazione o in vicini immobili rustici.

Inoltre, le investigazioni hanno permesso di provare l’intensa attività di spaccio della famiglia, i cui componenti concordavano quantità, tipologia e prezzo con una serie di clienti fidelizzati ai quali a volte si occupavano e preoccupavano anche di recapitare a domicilio lo stupefacente.

Nel corso delle investigazioni è stato inoltre accertato un episodio di violenza verificatosi la mattina del 5 febbraio 2016, quando le videoriprese hanno immortalato la brutale aggressione dei fratelli Musolino e della loro madre nei confronti del coindagato Giovanni Argirò.

In dettaglio, la notte del 4 febbraio 2016, in una via vicina all’abitazione della famiglia Musolino, una pattuglia dei carabinieri ha rinvenuto un barattolo di vetro contenente 9 grammi di cocaina e 47 grammi di eroina.

Contestualmente dopo un’affannata e vana ricerca del loro stupefacente, i Musolino lo hanno ritenuto responsabile della sottrazione e, fisicamente aggredito, fatto oggetto di un vero e proprio pestaggio con calci e pugni.

Gli eventi in questione hanno reso particolarmente significativi la valutazione della sussistenza del vincolo associativo, dimostrando la co-detenzione di sostanza stupefacente e il comune interesse di tutti e 4 i membri del nucleo familiare all’attività illecita.

Durante le indagini è stato altresì accertato un singolo episodio di detenzione abusiva e porto in luogo pubblico di arma da fuoco. Il pomeriggio del 7 dicembre 2015, l’indagato Antonio Musolino veniva notato all’esterno del portone della propria abitazione quando – dopo avervi fatto rientro per pochi istanti – ne usciva con un’arma in mano che consegnava ad un soggetto rimasto non identificato.

Questi la armava e poi la restituiva al Musolino che, dopo averla occultata sotto la maglietta dietro la schiena, ha fatto rientro all’interno dello stabile. Inoltre, nell’ambito dell’operazione odierna, sono state eseguite delle perquisizioni, all’esito delle quali, presso l’abitazione di uno degli indagati sono stati rinvenuti circa 5 Kg di marijuana nascosti sotto un letto e confezionata in involucri termo sigillati.
Gli arrestati sono stati condotti presso la casa circondariale di Reggio Calabria a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Controlli sull’immigrazione clandestina a Paola, espulso un albanese

Il Commissariato Ps di Paola
Il Commissariato Ps di Paola

I poliziotti delle Volanti del Commissariato di Paola hanno bloccato ed espulso dal territorio italiano un cittadino albanese di 30 anni, L.L., gravato da numerosi precedenti penali collezionati nel centro Italia.

L’uomo, irregolare nel nostro paese, con un’Alfa Romeo si aggirava con fare sospetto tra le strade di Paola, in compagnia di un pregiudicato italiano, quando alla vista degli agenti impegnati in controlli per contrastare l’immigrazione clandestina, ha fatto una brusca manovra che ha insospettito e spinto gli agenti a bloccarlo.

Una volta identificato è emerso che l’albanese era colpito da un provvedimento di rigetto di protezione internazionale, pertanto da espellere. Non solo, spulciando negli archivi di Polizia sono affiorati diversi precedenti per reati contro il patrimonio, furto, rapina e tentato omicidio, consumati nel Lazio e in Umbria. Per l’uomo sono scattate le procedure per l’espulsione dall’Italia secondo la normativa sull’immigrazione.

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