6 Ottobre 2024

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Rinascita Scott, il Riesame rigetta istanza scarcerazione di Giancarlo Pittelli

Giancarlo Pittelli

Il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha rigettato l’istanza di revoca dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, o la sua attenuazione, emessa a carico dell’avvocato Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia, coinvolto nell’inchiesta “Rinascita Scott”, della Dda che il 19 dicembre scorso è culminata con l’arresto di oltre 330 persone tra politici, avvocati, commercialisti, funzionari dello Stato, massoni ed affiliati alla cosca di ‘ndrangheta dei Mancuso, attiva nel Vibonese.

La decisione è stata depositata stamattina dopo che l’udienza di riesame si era svolta il 9 gennaio scorso. Gli stessi giudici del Tribunale della libertà hanno riqualificato il reato da partecipazione ad associazione per delinquere di stampo mafioso, contestata originariamente a Pittelli, in concorso esterno in associazione mafiosa. L’avvocato Pittelli resta dunque dietro le sbarre, a Nuoro, in Sardegna.

Secondo la Dda guidata da Nicola Gratteri, l’ex parlamentare avrebbe curato gli interessi della famiglia Mancuso rendendosi punto di collegamento tra questa e le istituzioni.

Giancarlo Pittelli è difeso dagli avvocati Salvatore Staiano, Guido Contestabile ed Enzo Galeota, che per valutare ulteriori iniziative nell’ambito della strategia difensiva attendono di conoscere le motivazioni del rigetto della loro istanza.

Irrigavano una piantagione di marijuana, arrestati padre e figlio

I carabinieri della stazione di Agnana Calabra (Reggio Calabria) e dello squadrone Cacciatori hanno arrestato e posto ai domiciliari due persone accusate di coltivazione di droga.

In manette sono finiti Salvatore e Giovanni Cartuccio, padre e figlio di 53 e 27 anni, entrambi di Canolo e con precedenti di polizia specifici. Notificata una misura dell’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria a Santo Todarello, 28enne. Il provvedimento è stato emesso dal Gip su richiesta della Procura della Repubblica di Locri, che ha con le risultanze investigative rapportate dall’Arma.

I fatti risalgono allo scorso settembre, quando i militari nel corso di un rastrellamento, hanno rinvenuto in una frazione di Canolo Nuovo, nell’area demaniale dell’alveo del torrente Maria, una piantagione di marijuana, occultata fra la vegetazione, composta da circa 340 piante di altezza fino a oltre tre metri, irrigata con un sistema di tubi a goccia.

Le indagini effettuate dai militari hanno permesso di documentare e accertare come i tre si prendessero cura della piantagione provvedendo, alla concimazione, all’irrigazione ed alla coltivazione delle rigogliose piante.

Armi e munizioni, un altro arresto a Canolo


Sempre i carabinieri di Agnana Calabra stamane hanno arrestato Nicodemo La Rosa, 28enne di Canolo, accusato di detenzione di armi clandestine. In particolare, i militari dell’Arma, nel corso perquisizione domiciliare nell’abitazione del giovane, hanno trovato ben occultato all’interno di un bancone da bar un fucile illegalmente detenuto e munizioni.

Detesta i domiciliari ed esce di casa più volte, in carcere trentenne di Cellara

carabinieri roglianoMANGONE (COSENZA) – Ha cercato in tutti i modi di evitare la reclusione ai domiciliari, per questo se ne andava spesso in giro noncurante delle prescrizioni del giudice, recandosi pure in ospedale a Cosenza per infastidire i sanitari perché voleva che gli refertassero problemi di salute inesistenti.

Così un 30enne di Cellara, centro del Savuto cosentino, è stato arrestato dai Carabinieri della Stazione di Mangone (dipendente della Compagnia di Rogliano) su ordine del Giudice del tribunale di Cosenza. Questa volta per il giovane trentenne si sono aperte le porte del carcere cosentino di Viale Mancini.

L’uomo, di cui non sono state rese le generalità, era finito in manette nello scorso mese di aprile nell’ambito dell’operazione Alarico, (spaccio di droga, ndr), condotta ed eseguita dalla Compagnia dei Carabinieri di Cosenza, e rimesso in libertà lo scorso ottobre con l’obbligo di presentarsi quotidianamente nella caserma dell’Arma a Mangone.

Era stato proprio da quel momento che il soggetto aveva ricominciato a prendersi, in totale autonomia, alcune libertà circa il rispetto della misura cautelare cui era ancora sottoposto: a proprio piacimento, – riferisce una nota della Compagnia di Rogliano – talvolta si presentava dai militari ad orari differenti da quelli imposti, in altre occasioni proprio non perveniva presso il Comando dell’Arma adducendo scuse banali.

Le molteplici violazioni commesse non erano ovviamente sfuggite ai militari, che le avevano puntualmente riferite all’autorità giudiziaria: il Giudice per le indagini preliminari lo aveva dapprima diffidato a rispettare gli obblighi della misura cautelare, quindi, preso atto della totale incuranza del soggetto, ne aveva disposto l’aggravamento ordinando che venisse risottoposto agli arresti domiciliari.

Ancora una volta però, il 30enne aveva trovato un espediente per poter uscire di casa: nel solo mese di dicembre, l’uomo ha richiesto per undici volte l’intervento di personale sanitario del 118 presso l’abitazione accusando di volta in volta malori differenti.

Regolarmente trasportato al Pronto Soccorso dell’ospedale Annunziata di Cosenza, ne è uscito puntualmente senza provvedimento medico. Evidentemente non soddisfatto infastidiva medici ed infermieri nello svolgimento delle proprie mansioni nel maldestro tentativo di farsi riconoscere un qualche tipo di prognosi, arrivando pure a minacciarli, e, una volta dimesso, ne approfittava per svolgere proprie commissioni private.

Sempre sulle sue tracce, i Carabinieri di Mangone hanno però documentato tutto, raccogliendo le testimonianze dei sanitari coinvolti e la documentazione medica attestante che l’uomo godeva invece di ottima salute: così ieri, per il 30enne, si sono inevitabilmente riaperte le porte del carcere.

San Demetrio Corone, rubato un mezzo per la raccolta di rifiuti

Nelle ultime ore, è stato riscontrato da personale addetto alle attività di Igiene Urbana del Comune di San Demetrio Corone il furto di un IVECO DAILY dall’area parcheggio-mezzi lungo il Corso Castriota Skandeberg.

Il mezzo, di proprietà Ecoross, serviva per la raccolta dei rifiuti solidi urbani nel territorio di competenza. Appresa la notizia, i vertici aziendali hanno proceduto alla formalizzazione della denuncia presso l’arma dei Carabinieri. Già in passato l’azienda è stata vittima di atti analoghi.

Sequestrato alla Spezia un carico di 333 kg di cocaina pura, 4 arresti

La Guardia di finanza della Spezia con i colleghi di Genova e il personale dell’Agenzia delle Dogane ha sequestrato 333 kg di cocaina pura proveniente dal Brasile. La droga è arrivata alla Spezia nascosta tra alcune lastre di granito trasportate in un container fino al porto: da qui la Gdf ha ne ha seguito il viaggio fino a Massa Carrara.

L’operazione, denominata “Samba 2020”, è nata dopo che la Guardia di Finanza della Spezia, compiuta l’analisi di rischio sulle merci spedite da Paesi ‘sensibili’, ha sottoposto a controllo un contanier proveniente dal Brasile sbarcato in porto alla Spezia che conteneva lastre di granito.

Tra le lastre era stato creato uno spazio dove sono stati trovati 300 panetti di cocaina per un totale di oltre 333 kg per un valore sul mercato di circa 100 milioni di euro.

Il carico è stato richiuso e seguito dai finanzieri fino a un magazzino di Massa Carrara dove sono stati arrestate 4 persone: un italiano, un croato, un albanese e un brasiliano, accusati di traffico internazionale di stupefacenti.

Guardavalle, minacce al sindaco Ussia: “Uomo morto”. La solidarietà del Pd

Il sindaco di Guardavalle, Giuseppe Ussia, del Pd, è stato minacciato di morte. Ignoti hanno scritto su un muro lungo la strada provinciale 143: “Ussia infame, uomo morto”.

La frase minacciosa è stata cancellata con della vernice. Sull’episodio i carabinieri, coordinati dalla procura di Catanzaro, hanno avviato serrate indagini per risalire all’autore.

Il comune di Guardavalle era stato al centro delle polemiche dopo un servizio di “Striscia la notizia” per la statua di Sant’Agazio, piazzata davanti al municipio, e che sarebbe stata donata dalla famiglia Gallace, un nome che in paese coincide con quello di una delle cosche di ‘ndrangheta più influenti del catanzarese con ramificazioni in altre regioni italiane, in particolare nel Lazio.

Il sindaco, senza sapere di essere ripreso, avrebbe detto: “se tolgo la statua mi sparano”. Dopo la messa in onda del servizio dell’inviato Vittorio Brumotti, il consiglio comunale, riunito d’urgenza, approvò un documento per la rimozione, e la statua è stata rimossa prima di Natale. Secondo quanto riportano i media locali, nel corso della seduta in consiglio, Ussia avrebbe letto una lettera di Angelo Gallace nella quale precisava che la statua era stata donata dal padre incensurato, Vincenzo Saverio Gallace, devoto del santo.

Puccio esprime solidarietà a Ussia nome del Pd Calabria
“Il Partito Democratico esprime la propria solidarietà al sindaco di Guardavalle, Giuseppe Ussia oggetto, nelle scorse ore, di pesanti minacce”. Lo scrive in una nota il responsabile organizzativo del Pd in Calabria, Giovanni Puccio

“L’episodio – aggiunge – si inserisce in un clima di tensione che da alcune settimane interessa la comunità tutta e aumenta le preoccupazioni circa la libera determinazione e azione, nell’interesse collettivo, delle istituzioni democratiche. L’inequivocabile minaccia di morte rivolta al sindaco Ussia, apparsa in maniera volutamente eclatante su un muro del centro ionico, ferisce e preoccupa la laboriosa collettività di Guardavalle che nulla a che spartire con quanti fanno della tracotanza l’espressione più evidente del potere
criminale”.

“Il PD ribadendo la vicinanza al sindaco e ai cittadini di Guardavalle interesserà i suoi
rappresentanti istituzionali affinché venga garantita la massima attenzione al territorio e vengano prese le necessarie iniziative per restituire tranquillità all’intera comunità”, conclude Puccio.

E’ morto il tassista accoltellato a Cosenza. Disposta l’autopsia. Indagini

E’ morto Antonio Dodaro, il tassista 53enne che aveva denunciato di essere stato accoltellato da un cliente di colore il 7 gennaio scorso, in Viale della Repubblica a Cosenza.

Dodaro, la sera del ferimento, si era recato personalmente con la propria automobile presso il Pronto soccorso dell’ospedale Annunziata e, dopo essere stato medicato, era stato dimesso. L’uomo sarebbe deceduto nella sua abitazione dopo quasi una settimana dai fatti.

A detta sempre del tassista, il responsabile, dopo averlo accoltellato alla gola e all’addome, si era allontanato rendendosi irreperibile. Pare che l’aggressione sia stata originata dal prezzo pattuito di 10 euro che il cliente non avrebbe inteso pagare.

Sul racconto dei fatti fornito da Dodaro sono in corso adesso gli accertamenti da parte della Squadra mobile della Questura di Cosenza. Da quanto si apprende, gli agenti starebbero esaminando il referto ospedaliero.

Non è escluso, secondo quanto è emerso dalle prime indagini, che la morte di Dodaro sia stata determinata per cause collegate all’aggressione. La Procura della Repubblica di Cosenza ha disposto l’autopsia per fugare ogni dubbio sulle cause della morte del tassista.

Consiglio regionale, Graziano, Neri e Scalzo: “Non c’è nessuna rimborsopoli”

Archivio

“Non c’è nessuna “rimborsopoli” in salsa calabrese”. Lo precisano in una nota i consiglieri regionali Giuseppe Graziano, Antonio Scalzo e Giuseppe Neri in merito a un articolo pubblicato dalla Gazzetta del sud e poi ripresa da altri media.

La notizia del quotidiano era riferita alla “recente sentenza della Corte dei Conti di condanna dei componenti dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale per questioni inerenti ad una delibera di stanziamento fondi attribuiti ai Gruppi consiliari e varata all’inizio della X Legislatura regionale (nel 2015).

“Va subito chiarito – spiegano i consiglieri – che non si tratta di spese sostenute dai 5 componenti dell’Ufficio di Presidenza i quali pertanto nulla hanno lucrato sulle spese dei gruppi consiliari. Si tratta, invece, di cifre attribuite – su indicazione del responsabile dell’ufficio di ragioneria del Consiglio regionale – ai Gruppi consiliari e di cui non si è fatto alcun utilizzo”.

“La sentenza (che verrà sospesa a seguito di appello) fa riferimento all’applicazione a tutti i gruppi dei principi sanciti dalle Sezioni Riunite della stessa Corte dei Conti a proposito delle spese per il personale ritenute assolutamente regolari”, prosegue la nota di Graziano, Neri e Scalzo.

“Nessuno sperpero di fondi, quindi, come si è fatto intendere, ma solo uniformità di trattamento per tutti i gruppi (per come proposto dalle competenti strutture interne del Consiglio sulla scorta anche di un preciso parere legale) seguendo le chiare decisioni delle Sezioni Riunite su spese assolutamente identiche”, conclude la nota dei consiglieri regionali. Graziano, Scalzo e Neri sono ricandidati in liste del centrodestra.

In Libia la tregua regge (appena). Putin convoca a Mosca Serraj e Haftar

Stretta di mano tra Fayez al-Sarraj con il generale Khalifa Haftar durante la conferenza a Palermo sulla Libia (Archivio)

La tregua in Libia regge, ma è fragile. Si temono nuove violenze, per questo i due leader libici in contrapposizione, il generale Khalifa Haftar e il presidente del governo di accordo nazionale Fayez al Serraj saranno oggi a Mosca per rafforzare il cessate il fuoco e negoziare una possibile vera tregua. A convocarli, il presidente russo Vladimir Putin, che al Cremlino vuole rafforzare l’accordo tra i due onde evitare nuove escalation.

Putin, per la pace in Libia ha già avuto un incontro con il presidente turco Erdogan, il quale si incontrerà con il premier italiano Giuseppe Conte. L’appuntamento tra Erdogan e Conte è fissato lunedì a mezzogiorno ad Ankara, mentre martedì il presidente del consiglio italiano incontrerà il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi nel palazzo presidenziale del Cairo. Al centro dei colloqui c’è sempre il dossier Libia, paese divenuto elemento chiave per la stabilità nel Mediterraneo e in Medio oriente.

C’è una “continuità nel dialogo” tra Italia e Turchia, alla base della visita del premier Giuseppe Conte ad Ankara per un incontro con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

La Turchia, membro della Nato, è “interlocutore fondamentale” per le questioni di sicurezza, i flussi migratori e la politica regionale in Medio Oriente, oltre che attore di rilievo nei Balcani e in Libia.

Nel frattempo la tregua in Libia, seppur fragile, sembra reggere, a parte qualche sporadica violazione denunciata da entrambe le parti.

Così il cessate il fuoco accettato da Khalifa Haftar e Fayez al Sarraj, su richiesta di Turchia e Russia, ha aperto uno spiraglio per la diplomazia.

Lo dimostra il fatto che il premier libico è subito volato a Istanbul da Recep Tayyp Erdogan, il suo principale sponsor, per rilanciare una conferenza nazionale di pace: un’evoluzione a cui gli altri paesi, inclusa l’Italia, guardano con fiducia, con il ministro Luigi Di Maio impegnato per costituire un tavolo a tre con Mosca ed Ankara.

Alla mezzanotte di domenica è arrivata la prima svolta nel conflitto. Dopo nove mesi di offensiva su Tripoli, il generale Haftar ha accettato di fermarsi, almeno temporaneamente. Alcune ore dopo il suo rivale asserragliato a Tripoli, Sarraj, ha fatto lo stesso: l’appello lanciato da Erdogan e Putin nel loro incontro dell’8 gennaio ha avuto l’effetto sperato, confermando che la crisi libica non si può risolvere senza un’intesa tra Mosca e Ankara.

Benedetto XVI dice no a preti sposati: “Celibato indispensabile, non posso tacere”

Il Papa emerito Benedetto XVI

“Io credo che il celibato” dei sacerdoti “abbia un grande significato” ed è “indispensabile perché il nostro cammino verso Dio possa restare il fondamento della nostra vita”. Lo afferma il papa emerito Benedetto XVI in un libro a quattro mani con il cardinale Robert Sarah, che uscirà il 15 gennaio e del quale il quotidiano francese “Le Figaro” pubblica delle anticipazioni.

“Non posso tacere” scrivono Ratzinger e Sarah citando una frase di Sant’AgostinoIl monito del Papa emerito Benedetto XVI arriva dopo il Sinodo sull’Amazzonia dello scorso ottobre che ha avuto tra i temi centrali di discussione proprio la possibilità di ordinare come sacerdoti persone sposate. Opzione, questa, che è entrata nel documento finale e fatto proprio dalla Chiesa, mentre è attesa la decisione di Papa Francesco che dovrà pronunciarsi con l’esortazione apostolica post-sinodale. Documento che potrebbe essere pubblicato nei prossimi mesi.

A fare riferimento all’ultimo Sinodo, parlando però di “uno strano Sinodo dei media che ha prevalso sul Sinodo reale”, sono gli stessi Ratzinger e il cardinale Sarah che è il Prefetto della Congregazione per il Culto divino e in un certo senso il rappresentate di quell’ala conservatrice che è in Vaticano. “Ci siamo incontrati, abbiamo scambiato le nostre idee e le nostre preoccupazioni”, scrivono Ratzinger e Sarah, secondo le anticipazioni del loro libro in uscita pubblicate dal giornale francese Le Figaro.

“Non posso tacere”, scrivono rilanciando Sant’Agostino. “Lo facciamo in uno spirito di amore e di unità nella Chiesa. Se l’ideologia divide, la verità unisce i cuori”.

È morto il giornalista e scrittore Giampaolo Pansa. Da sinistra raccontò i crimini dei partigiani

Giampaolo Pansa

È morto a Roma Giampaolo Pansa, noto giornalista e scrittore controcorrente e una delle migliori firme dei maggiori quotidiani italiani. Aveva 84 anni.

Pansa fu autore di diversi libri, su tutti “Il sangue dei vinti”, in cui raccontò l’altra “verità” sul Fascismo e sui crimini dei Partigiani che gli costò diverse critiche negli ambienti di sinistra e anche accuse di revisionismo. Lavorò con il Corriere della Sera, Repubblica, l’Espresso, e altre importanti testate.

Autore di numerosi scoop, ricorda l’Ansa, per esempio sullo scandalo Lockeed, ma anche espressioni entrate ella storia come la ‘Balena bianca’, cioè la Democrazia cristiana, o il ‘Bestiario’, titolo di una sua celeberrima rubrica. Piemontese di Casale Monferrato allievo di Alessandro Galante Garrone, Pansa ha esordito nel giornalismo con la Stampa, occupandosi tra l’altro del disastro del Vajont, per passare poi al Giorno, al Messaggero di Roma, al Corriere della Sera (quotidiano con cui era tornato da poco a collaborare), e ancora a Repubblica e all’Espresso con cui ha collaborato dal 1977 al 2008 quando abbandonò polemicamente il Gruppo Espresso, in contrasto con la linea editoriale. Da allora ha scritto per Il Riformista, Libero, Panorama e The Post Internazionale. Una passione per gli anni del fascismo e della Resistenza maturata fin dalla tesi di laurea, Pansa ha firmato innumerevoli romanzi e saggi storici.

Nel 2001 ha pubblicato Le notti dei fuochi, sulla guerra civile italiana combattuta tra il 1919 e il 1922, ma anche I figli dell’Aquila, racconto della storia di un soldato volontario dell’esercito della Repubblica sociale italiana. Ha firmato poi il ciclo dei vinti, libri dedicati alle violenze compiute dai partigiani nei confronti di fascisti durante e dopo la seconda guerra mondiale: Il sangue dei vinti (vincitore del Premio Cimitile 2005), Sconosciuto 1945, La Grande Bugia e I vinti non dimenticano (2010).

Nel 2011 ha firmato Poco o niente. Eravamo poveri. Torneremo poveri, in cui ritrae l’Italia degli umili tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX attraverso la storia dei propri nonni e genitori. E ancora La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti ( 2012) e Sangue, sesso e soldi . Una controstoria d’Italia dal 1946 ad oggi.

Provocatore fino all’ultimo, tra i suoi libri più recenti l’autoritratto intitolato “Quel fascista di Pansa” e poi con un pamphlet su Salvini: “Ritratto irriverente di un seduttore autoritario”.

Pansa è morto a Roma assistito da sua moglie, la scrittrice Adele Grisendi. Nel 2016 aveva perso il figlio Alessandro, ex amministratore delegato di Finmeccanica morto di malattia a 55 anni. Un dolore dal quale non si era mai ripreso.

Auto si schianta contro casolare, è morto uno dei giovani feriti

E’ morto uno dei quattro giovani rimasti feriti in un incidente stradale a Roccelletta di Borgia, nell’hinterland catanzarese. Il giovane, Thomas Costanzo, 19 anni, è deceduto all’ospedale di Catanzaro in seguito alle gravi lesioni riportate nello schianto.

L’incidente è avvenuto domenica notte, intorno alle 5.30. L’auto, una Volkswagen Polo, per cause in corso di accertamento, è finita contro una parete di un casolare sito al crocevia tra Via Scylletion e la statale 106.

I quattro feriti sono stati dapprima soccorsi dai vigili del fuoco e trasportati dai sanitari del 118 nel nosocomio catanzarese. Tra i feriti c’è una ragazza che versa in gravi condizioni ed è in prognosi riservata.

Secondo quanto si è appreso il gruppo di giovani era appena uscito da una discoteca della zona quando di rientro a casa si sono schiantati contro il casolare, non è chiaro se per l’alta velocità o un colpo di sonno del conducente. Indagini delle forze dell’ordine per accertare l’esatta dinamica dell’incidente.

Inala solvente e sviene, salvato dai carabinieri

Ha inalato mentre lavorava del solvente, perclorato, fino a perdere i sensi. Il titolare di una lavanderia di Corigliano Rossano, di 48 anni, è stato salvato da una pattuglia di carabinieri in servizio di controllo del territorio.

I militari avendo notato, in un orario in cui le attività commerciali sono chiuse, la luce accesa all’interno del negozio sono intervenuti tentando di mettersi in contatto con il titolare. Temendo per l’incolumità dell’uomo, i carabinieri hanno forzato la porta che era serrata e sono entrati percependo un forte odore di sostanza chimica che aveva saturato i locali.

Nel retro è stato trovato il titolare riverso a terra privo di sensi che è stato portato fuori dal locale e affidato ai sanitari del 118. Sono intervenuti anche i vigili del fuoco che hanno messo in sicurezza gli ambienti. Il commerciante è stato ricoverato in ospedale ma non è in pericolo di vita. Anche uno dei carabinieri ha dovuto fare ricorso alle cure dei sanitari.

Lite tra carabinieri a Cosenza, maresciallo tenta il suicidio dopo aggressione a superiore

Da sinistra il maresciallo Ivan Pucci e il capitano Giuseppe Merola

Il maresciallo dei carabinieri Ivan Pucci, comandante della stazione di Carolei, centro alle porte di Cosenza, avrebbe tentato il suicidio assumendo una considerevole quantità di ansiolitici. Il fatto sarebbe successo venerdì notte nella sua abitazione dove il militare si trova agli arresti domiciliari per avere aggredito quello stesso pomeriggio il capitano Giuseppe Merola, comandante della Compagnia carabinieri di Cosenza e suo superiore.

Il sott’ufficiale dopo aver assunto i farmaci si è sentito male e i familiari lo hanno fatto trasportare d’urgenza in ospedale a Cosenza, dov’è ricoverato. I sanitari, avrebbero proceduto a una lavanda gastrica. Per prassi giudiziaria il maresciallo si trova tutt’ora piantonato dai colleghi in quanto persona sottoposta a misura cautelare. L’uomo è guardato a vista, non tanto per timore che possa fuggire, ma perché potrebbe commettere qualche altra sciocchezza.

La lite venerdì tardo pomeriggio, quando Pucci ha avuto notizia di un trasferimento da Carolei a Corigliano Rossano per motivi disciplinari a causa di strascichi giudiziari con il sindaco di Carolei con cui, evidentemente non scorreva buon sangue. Trasferimento che sarebbe stato deciso dai vertici dell’Arma dei Carabinieri i quali a Pucci non hanno dato diritto di replica né di difesa, trattandosi di istituzioni militari dove gli ordini si eseguono, non si discutono. Così è.

Un provvedimento non gradito però da Pucci che si è recato spedito e arrabbiato presso il Comando Compagnia di Cosenza, caserma “P. Grippo”, – da cui dipende la Stazione CC di Carolei -, è entrato nell’ufficio del comandante Merola e ha avuto un’accesa discussione con l’ufficiale nel tentativo di farlo intervenire e mediare su un trasferimento dal maresciallo ritenuto ingiusto.

Quando il capitano Merola (incolpevole, perché a Cosenza da ottobre 2018) gli ha confermato il trasferimento riferendo che lui esegue solo gli ordini, il maresciallo avrebbe prima chiuso la porta a chiave, gettandola dalla finestra, per poi colpire il suo superiore con calci e pugni rimediandogli lesioni guaribili in trenta giorni. I carabinieri presenti in caserma hanno sentito urla e trambusto per cui hanno sfondato la porta vedendo l’aggressione al comandante.

Pucci, calmate le acque, è stato poi dichiarato in stato di arresto, su disposizione del pm di turno  che lo ha posto ai domiciliari. L’arresto è stato già convalidato. Dovrà rispondere, per direttissima, di lesioni, sequestro di persona e resistenza a pubblico ufficiale.

Il maresciallo, che è coniuge del segretario generale della Camera di Commercio di Cosenza Erminia Giorno, era a capo della stazione di Carolei da qualche tempo. Era stato in servizio alla Compagnia carabinieri di Rende e Rogliano. Nel 2018 aveva ricevuto anche una onoreficienza dal Quirinale che lo ha nominato Cavaliere della Repubblica.

Due anni fa, a Carolei, Pucci era entrato in “conflitto” con il sindaco della cittadina che lo aveva denunciato per dei presunti abusi e reati su cui vige il massimo riserbo. La Procura della Repubblica di Cosenza, quindi l’accusa, aveva chiesto l’archiviazione, ma il primo cittadino ha fatto ricorso riuscendo a trascinare il sott’ufficiale in tribunale.

Non tanto per la vicenda col sindaco di Carolei, quanto per l’aggressione al comandante Merola, Pucci rischia il “licenziamento” dall’Arma che potrebbe congedarlo con larghissimo anticipo rispetto all’età pensionabile.

Dino Granata 

Roccelletta di Borgia, auto finisce contro un casolare: 4 feriti

Quattro giovani sono rimasti feriti, due in modo più serio, in un incidente stradale avvenuto all’alba, per cause che sono in corso di accertamento, a Roccelletta di Borgia in corrispondenza di un crocevia sulla statale 106.

L’auto con a bordo i ragazzi, una Volkswagen Polo, è finita fuori strada e si è schiantata contro la parete di un casolare. Sul posto con tre ambulanze sono intervenuti i sanitari del Suem 118 che hanno prestato le prime cure ai feriti poi trasferiti nell’ospedale di Catanzaro.

Per due delle persone ferite, da quanto si è appreso, la prognosi sarebbe riservata. Intervenuti anche i vigili del fuoco del comando provinciale del capoluogo che hanno provveduto alla messa in sicurezza della vettura.

Tregua in Libia, Di Maio: “Anche l’Italia ha fatto la sua parte”

Ansa

“L’annuncio della tregua del conflitto in Libia da parte del presidente Serraj e del generale Haftar è una buona notizia, perché crea spazio di ulteriore dialogo. La strada da fare è lunga, ma la direzione è quella giusta. Per l’Italia non esiste una risposta militare alla crisi libica e l’unico modo per arrivare alla pace è la soluzione diplomatica. È per questo che abbiamo lavorato incessantemente come Governo, per dare il nostro pieno sostegno alla conferenza di Berlino”. Così il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, sulla sua pagina Facebook.

“Coinvolgere tutti gli attori di questa guerra, metterli tutti intorno a un tavolo, è quanto mai importante – osserva – per giungere a una stabilità del Paese e della regione. Se l’Europa resterà unita come lo è stata in questi giorni, allora potremo fermare ogni ingerenza esterna e soprattutto l’ingresso di armi in Libia. Se è vero che esiste un embargo sulle armi, dobbiamo fare in modo che sia rispettato: via terra, via aerea e via mare. Dobbiamo continuare a coinvolgere i Paesi vicini della Libia, con cui l’Italia mantiene relazioni solide”.

“Dobbiamo continuare a sostenere il dialogo con Mosca e Ankara, affinché l’obiettivo comune della pace sia condiviso e, finalmente, raggiungibile. In un quadro europeo – prosegue – dobbiamo tenere a modello le missioni di pace, vere, autentiche, come Unifil in Libano. La Libia non sono solo migranti. Nel Paese operano numerose cellule terroristiche. La Libia per noi è una questione di sicurezza nazionale e di stabilità dell’intero Mediterraneo. La Libia è la dimostrazione che la guerra genera altra guerra. È per questo che l’Italia non sosterrà mai un altro intervento militare. Dobbiamo imparare dagli errori del passato”.

“Alla conferenza di Berlino, l’Italia porterà questa linea, per costruire una Libia sovrana, unita e in pace. C’è ancora tanto lavoro da fare. Ma quello di oggi è sicuramente un passo positivo dopo mesi di stallo. Nel raggiungimento di questo primo risultato – conclude Di Maio – anche l’Italia ha fatto la sua parte”.

Auto si ribalta e va in fiamme, due morti carbonizzati a Genova

Due persone sono morte carbonizzate la scorsa notte a Genova nell’incendio dell’auto su cui viaggiavano che si è capovolta. Una persona è rimasta ferita. L’incidente è avvenuto in Corso Europa poco prima delle 3, in direzione del centro città.

I tre viaggiavano a bordo di una Giulia Alfa Romeo quando per cause in corso di accertamento si è schiantata su uno spartitraffico per poi ribaltarsi e prendere fuoco. Le due vittime, un giovane di 23 anni e l’altra sui cinquantanni, erano sui sedili anteriori della “Giulia”. Una terza persona è stata salvata da un giovane che ha assistito allo schianto, aiutandola ad uscire dall’auto in fiamme.

Il ferito è stato trasportato all’ospedale san Martino: ha solo contusioni multiple e lievi ustioni. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco, il 118 e la polizia locale a cui sono affidate le indagini per ricostruire la dinamica dell’incidente.

Malta, Abela è il nuovo premier. Succede a Muscat, travolto da scandalo su giornalista uccisa

Il nuovo premier di Malta Robert Abela

Robert Abela, 52 anni, è stato eletto nuovo leader del Partito laburista di Malta, diventando quindi primo ministro dopo le dimissioni di Joseph Muscat, coinvolto nell’inchiesta sulla uccisione della giornalista Daphne Caruana Galizia.

Muscat ha annunciato nelle scorse settimane le proprie dimissioni, dopo essere stato travolto dalle polemiche legate al coinvolgimento del suo capo di gabinetto, Keith Schembri, nell’indagine sull’assassinio della giornalista. In lizza per la successione c’erano Abela e il vicepremier Chris Fearne.

Robert Abela è stato eletto leader del Partito laburista maltese, diventando automaticamente anche primo ministro. Figlio dell’ex presidente George e visto come outsider incarnazione della continuità col suo predecessore, Abela è stato scelto dalla maggioranza dei 17.500 elettori laburisti – che hanno votato per la prima volta direttamente il loro leader – per la sua promessa di continuare “con le ricette vincenti” di Muscat.

Abela è stato preferito al chirurgo 52enne Chris Fearne, vicepremier uscente. Abela, attivista di lunga data del Partito laburista, è diventato membro del parlamento maltese solo durante le ultime elezioni del 2017, convocate in anticipo da Muscat e vinte a mani basse dal suo partito nonostante un’ondata di scandali che ne hanno scosso l’entourage. Abela subentra per soli 2 anni e mezzo in carica, fino al settembre 2022.

La giornalista Daphne Caruana Galizia era stata uccisa con un’autobomba dopo avere pubblicato alcune inchieste in cui svelava la corruzione dilagante nel governo presieduto da Muscat.

Bufera sul candidato M5s Aiello, il cugino era boss di ‘ndrangheta. Lui: “Fango, non sono mafioso”

Nel riquadro Luigi Aiello, in una foto di archivio

A sedici giorni dal voto il candidato del M5s Francesco Aiello finisce nel mezzo di una nuova bufera mediatica. Il “Fatto Quotidiano” ha svelato i suoi rapporti di parentela con il boss Luigi Aiello (cugino di primo grado), ucciso nella faida del Reventino cinque anni fa. Il docente si difende: “Non mi scelgo i parenti, nulla a che fare con lui”.

Per il candidato sarebbe solo “fango” per metterlo fuori gioco dalla competizione elettorale. Ma il presidente dell’Antimafia Nicola Morra (M5s) attacca: “Non sosterrò la lista 5 stelle”, dice lanciando un messaggio inequivocabile al movimento di Di Maio, ad iscritti e  all’elettorato, come per pararsi in anticipo da una sconfitta che secondo molti pentastellati, tra cui parlamentari, sarebbe “certa” in Calabria.

Il candidato Cinquestelle si difende: “Non c’entro nulla con mio cugino Luigi Aiello, peraltro morto 5 anni fa. Con lui non avevo alcun rapporto e ho fatto tutta la mia vita all’università, prima da studente, poi da professore”, spiega Francesco Aiello in un post su Fb.

“Peppino Impastato – poi aggiunge il docente – era figlio di un mafioso e nipote di un mafioso, ma non era mafioso. Ieri sera al “Fatto Quotidiano” avevo già precisato che con mio cugino non avevo alcuna frequentazione. Io sono Francesco Aiello, punto”, dice il candidato.

“Nella mia vita – prosegue Francesco Aiello –  ho sempre frequentato colleghi, studenti, dottorandi, magistrati, giornalisti, impegnandomi per la legalità e per la formazione delle nuove generazioni”.

“Nessuno mi ha mai visto con la coppola, con santini bruciati e altri segni del genere. Fare questi accostamenti è un fatto grave, soprattutto sotto elezioni. Ed è lecito chiedersi a vantaggio di chi o di che cosa”, si domanda il professore.

“Così si ferisce la democrazia, la libertà e la dignità individuale. Tuttavia, ho spalle robuste e anche stavolta non mollo: vado avanti, sicuro di essere sulla strada giusta per contribuire a liberare la Calabria dal malaffare”, conclude il candidato civico dei pentastellati.

La villa abusiva a Carlopoli – Francesco Aiello era finito nel mirino dei media per una una casa parzialmente abusiva a Carlopoli, in provincia di Catanzaro, che andava in parte demolita. Anche in questo caso Aiello (Francesco) si era difeso affermando che la villa era stata ereditata. Ma secondo quanto scrive il “Fatto”, Luigi Aiello, il cugino mafioso, a capo di una ditta di movimento terra, sarebbe stato spesso a casa dello zio, padre del candidato, a fare dei lavori di ristrutturazione.

Chi era Luigi Aiello
Luigi Aiello, classe 1956, conosciuto come “lo Sceriffo”, è ritenuto essere stato uno dei capibastone del Reventino. Negli anni ’70 e ’80 avrebbe fatto parte di bande agguerrite per il predominio del territorio tra Decollatura, Soveria Mannelli, Serrastretta, Cicala e altri paesini dell’entroterra catanzarese. E’ in quei periodi che Aiello conosce la famiglia degli Scalise.

Dopo la scissione del cosiddetto “Gruppo della Montagna” del Reventino avvenuta molti anni fa, Luigi Aiello, secondo quanto riportano atti di inchieste antimafia, sarebbe passato con la famiglia dei Mezzatesta (Domenico e il figlio Giovanni furono gli autori dello scioccante duplice omicidio in un Bar di Decollatura).

Stando agli atti, Aiello Luigi viene ritenuto uno dei mandanti del tentato omicidio di Pino Scalise nel 2001 e “partecipe” dell’agguato che costò la vita al figlio Daniele Scalise, avvenuto a Soveria Mannelli nel giugno 2014.

Nel Dicembre dello stesso anno Luigi Aiello fu ucciso in un agguato, nello stesso periodo in cui si stava consumando la sanguinosa faida tra gli Scalise e i Mezzatesta. A ucciderlo, secondo gli atti e le dichiarazioni di alcuni pentiti, sarebbero stati gli Scalise, in ritorsione all’uccisione di Daniele Scalise.

Luciano Scalise è accusato dalla Dda di essere il presunto mandante dell’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso freddato nel cortile della sua villa a Lamezia e di Gregorio Mezzatesta, fratello di Domenico, ammazzato davanti le Fs a Catanzaro in un altro agguato mafioso. Per commettere gli omicidi Pagliuso e Mezzatesta, secondo l’accusa, gli Scalise assoldarono il presunto killer Marco Gallo, tutt’ora agli arresti per questi episodi e il delitto di un fruttivendolo.

Pagliuso, secondo quanto ricostruito, è stato ucciso perché era uno dei legali di Domenico e il figlio Giovanni Mezzatesta, autori del duplice omicidio di Vescio e Iannazzo nel bar di Decollatura, di proprietà di Scalise. Le videocamere interne registrarono tutta la sequenza del terribile fatto di sangue.

Il legale era infatti riuscito a far annullare l’ergastolo per quel fatto di sangue. A Marco Gallo sarebbe stato pure commissionato il delitto di Gregorio Mezzatesta, dipendente delle Ferrovie che si è incolpevolmente trovato nel mezzo di una spietata faida tra clan.

Platì, trovate armi e munizioni nascoste in un muro

Armi e munizioni sono state scoperte dai carabinieri di Platì, insieme ai Cacciatori Calabria di Vibo Valentia, nascoste in un muro in località Venga. Le armi si trovavano in un tubo nascosto all’interno di un muretto.

In particolare sono state trovate una pistola Beretta con matricola non leggibile, un fucile mitragliatore Sten sprovvisto di calcio, presumibilmente arma da guerra, un caricatore per pistola calibro 9, un caricatore per fucile mitragliatore e oltre 150 munizioni di vario calibro.

I carabinieri sono riusciti a risalire al proprietario del terreno e lo hanno denunciato per ricettazione e detenzione di armi clandestine. Le armi sono state sequestrate e saranno trasmesse al Reparto carabinieri investigazioni scientifiche di Messina per gli accertamenti tecnici necessari a evidenziare eventuali impronte presenti.

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