8 Ottobre 2024

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Operazione contro l’immigrazione clandestina, 5 arresti

La Polizia ha proceduto stamani all’arresto di 5 persone tra italiani ed extracomunitari, in esecuzione di un’ordinanza di misura cautelare emessa dal gip su richiesta della procura di Cosenza.

Gli indagati sono accusati di avere favorito la permanenza illegale in Italia di numerosi stranieri. In particolare, secondo l’accusa, attraverso la presentazione di false attestazioni allo sportello unico per l’immigrazione, per attivare e concludere la procedura di emersione dal lavoro irregolare che consentiva di richiedere e successivamente ottenere, titoli di soggiorno che regolarizzavano apparentemente la permanenza sul territorio italiano.

Uno degli arrestati, extracomunitario, è indagato anche per il reato di estorsione nei confronti di alcuni connazionali. L’operazione ha impegnato, oltre ai poliziotti della squadra mobile, anche equipaggi del reparto prevenzione crimine.

Aggredisce la moglie in caserma mentre lo stava denunciando, in cella

Ha raggiunto la moglie nella caserma dei carabinieri dove si trovava per denunciarlo per maltrattamenti e, davanti ai militari, ha iniziato ad inveire contro di lei tentando anche di aggredirla. L’uomo, D.R., di 37 anni, è stato quindi bloccato dai militari e arrestato per maltrattamenti in famiglia e atti persecutori. Il fatto è accaduto a Trebisacce, nel cosentino.

L’uomo, nel 2022, tra l’altro, era stato già attinto da due misure cautelari per reati analoghi. Dopo l’arresto è stato trasferito nella casa circondariale di Castrovillari.

Sempre a Trebisacce, i carabinieri hanno arrestato un altro uomo, F.V., di 38 anni, con le medesime accuse. Dopo una richiesta di soccorso arrivata al 112, l’uomo, già denunciato per fatti analoghi, è stato colto mentre aggrediva verbalmente e fisicamente la compagna all’interno della loro abitazione. Per lui sono stati disposti gli arresti domiciliari in un’abitazione diversa da quella in cui abitava con la donna.

Gdf sequestra mezza tonnellata di novellame di sarda. Maxi multa

I finanzieri della Sezione operativa navale di Roccella Ionica, nel corso di servizi contro la pesca di frodo, coordinati dal Reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia, hanno sequestrato oltre mezza tonnellata di novellame di sarda, conosciuta come “bianchetto”.

Dopo diversi servizi di osservazione e di pattugliamento svolti con l’ausilio di pattuglie a terra e unità navali, i militari hanno sorpreso in flagranza un soggetto che, con un natante da diporto, era intento nella cattura del novellame di sarda nelle acque antistanti la località di Riace Marina.

I finanzieri intervenuti hanno sequestrato una rete da circuizione lunga oltre 30 metri e più di mezza tonnellata di novellame di sarda. All’uomo è stato notificato un verbale con sanzioni amministrative per oltre 60 mila euro.

Il prodotto ittico, sottoposto al controllo sanitario da parte del personale veterinario della locale Asp per verificarne l’idoneità al consumo umano, è stato donato ad istituti caritatevoli per il consumo nelle loro mense.

Ucraina, Zelensky silura il capo delle forze armate Zaluzhny e nomina Syrsky

Il generale Valery Zaluzhny

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha comunicato al comandante in capo delle forze armate Valery Zaluzhny il cambio al vertice delle forze armate ucraine. Lo ha scritto lo stesso Zelensky su X, confermando così le indiscrezioni sulla sua sostituzione. Giorni fa ne aveva chiesto le dimissioni a causa della fallita controffensiva di primavera, ma Zaluzhny aveva rifiutato di lasciare il ruolo.

Al generale, molto popolare nel paese gialloblù e anche amato nell’esercito, il capo dello stato ha proposto di restare negli apparati governativi: “Gli sarò grato se accetterà questa proposta”. Molti media avevano riferito nei giorni scorsi che Zaluzhny potrebbe sfruttare questa popolarità per concorrere alle prossime elezioni in Ucraina.

Zelensky ha commentato: “Ho incontrato il generale Valery Zaluzhny, l’ho ringraziato per i due anni trascorsi a difendere l’Ucraina. Abbiamo discusso del rinnovamento di cui le Forze armate ucraine hanno bisogno”.

“Abbiamo anche discusso – spiega ancora – su chi potrebbe far parte della rinnovata leadership delle Forze Armate ucraine”, ha scritto Zelensky su X postando la foto di una stretta di mano con un Zaluzhny sorridente che fa il segno della vittoria. “Il momento per un tale rinnovamento è adesso. Ho proposto al generale Zaluzhny di restare nella squadra. Vinceremo sicuramente! Gloria all’Ucraina!”, ha aggiunto il presidente.

La conferma della rimozione di Zaluzhny è arrivata in contemporanea anche dal ministero della Difesa di Kiev. Zelensky ha quindi nominato il generale Oleksandr Syrsky nuovo capo delle Forze armate. Syrsky ricopriva finora il ruolo di comandante delle forze di terra.

Protesta agricoltori, i trattori arrivano nel centro di Cosenza

Si sposta in centro, a Cosenza, la protesta degli agricoltori che, nel pomeriggio, hanno lasciato il presidio di Vagliolise per raggiungere Palazzo dei Bruzi.

Una decina i trattori che sono stati parcheggiati sulla piazza dinanzi al Comune per mantenere alta l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica.

I manifestanti hanno incontrato il sindaco della città Franz Caruso al quale hanno detto di essere giunti fino davanti al Palazzo di città per “difendere solo la nostra bandiera, il tricolore, perché è una battaglia che riguarda tutti.

Siamo persone serie – ha spiegato un rappresentante degli agricoltori – e chiediamo solo un segno concreto da parte del governo, perché ci sono tanti giovani che si sono impegnati in questo settore e quindi il danno sarebbe incalcolabile”.

Caruso, esprimendo la solidarietà e la disponibilità a farsi portavoce con il governo nazionale, ha poi ringraziato gli agricoltori per “la civile e pacifica protesta messa in atto che ha il sostegno di tutte le istituzioni, non di una parte politica, perché gli agricoltori – ha detto – sono una risorsa importante, in particolare per la provincia di Cosenza. È un mondo in difficoltà quello dell’agricoltura e non può non avere il sostegno di tutti noi”.

Alcuni agricoltori hanno poi consegnato gratuitamente sacchetti di patate agli automobilisti che si trovavano a transitare, per sensibilizzare alla protesta e scusarsi per il disagio. Il presidio a Vagliolise, nei pressi della stazione ferroviaria di Cosenza, rimarrà operativo anche nei prossimi giorni.

Traffico di droga, arrestato in Colombia un narcos latitante

Il narcotrafficante e latitante colombiano Alfonso Cortes Grueso è stato arrestato il 23 gennaio scorso – ma la notizia si è appresa soltanto ora – su richiesta della Procura di Reggio Calabria ai fini di estradizione con l’accusa di traffico internazionale e detenzione di sostanze stupefacenti.

Grueso avrebbe trafficato droga – cocaina in particolare – con le cosche calabresi fatta arrivare in porti italiani come Genova, Gioia Tauro e Trieste a partire dal 2007.

Arrestato già in passato, Grueso era riuscito a far perdere le proprie tracce ed era dunque stato processato in Italia e condannato in contumacia.

Il narcotrafficante, arrestato attraverso l’Interpol, si trova ora in carcere a Bogotà, in attesa di estradizione in Italia.

Secondo l’avvocato Alexandro Maria Tirelli, direttore dell’Alta scuola estradizioni delle Camere penali internazionali, che difende Alfonso Cortes Grueso, “il processo celebrato in Italia non è convincente: è stato celebrato senza che il mio assistito ne avesse conoscenza. Chiederemo l’annullamento della sentenza di condanna. E se riusciremo, la liberazione celere del mio cliente”.

Morta la giornalista Carlotta Dessì, stroncata a 35 anni da un cancro fulminante

Un turbo tumore durato qualche mese ha stroncato la vita della giovane giornalista Carlotta Dessì, di soli 35 anni. Sarda di Cagliari, la cronista ha lavorato per diversi programmi del Gruppo Mediaset, tra cui “Pomeriggio 5” e “Fuori dal Coro”, trasmissioni condotte da Barbara d’Urso e da Mario Giordano e per la quale Carlotta aveva condotto alcune inchieste.

Tutta Mediaset si stringe alla famiglia Dessì con profondo dolore. Anche la testata giornalistica di Videonews dove lavorava è affranta e si stringe nel dolore.

Per la trasmissione di Mario Giordano, Dessì aveva realizzato alcune inchieste e più volte il conduttore in chiusura di programma ne aveva elogiato il coraggio e aveva ribadito la vicinanza di tutta la redazione alla lotta della giovane contro la malattia.

“Orgogliosamente cagliaritana”, come lei stessa amava definirsi, Dessì si era laureata alla Sapienza di Roma e aveva lavorato anche nella redazione di SkyTg24.

L’ultima apparizione era stata lo scorso dicembre, nel programma di Giordano, dopo essere stata dimessa dall’ospedale: “Bisogna lottare, non bisogna arrendersi. Una cosa è certa. Non sono sola. Non lo sono mai stata dal primo giorno in cui ho scoperto la mia malattia, 4 mesi fa, in una caldissima estate milanese. Da quel giorno la mia vita è cambiata. È cambiata per me, per la mia famiglia, per il mio compagno”, aveva detto in quella occasione.

Mario Giordano: “Dura andare in onda senza Carlotta”

“Stasera è dura andare in onda – dice Mario Giordano a inizio puntata di “Fuori dal Coro” – ieri pomeriggio è morta Carlotta Dessì, la nostra giovane e brava inviata. Aveva 35 anni e nel giro di pochi mesi il cancro se l’è portata via, di fronte a tutto questo ha poco senso tutto quanto. È difficile andare in onda per tutti i ragazzi che stanno lavorando e che faticano a trovare la forza”.

“Siamo convinti – prosegue il giornalista commosso – di dover fare la trasmissione più bella proprio per Carlotta per quello che ci ha insegnato, non solo durante tutta la sua vita professionale e umana ma fino all’ultimo per il coraggio, la tenacia, l’ostinazione, la determinazione, il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e di guardarle in faccia senza paura. Si collegava tutti i giovedì alla riunione di “Fuori dal Coro” dandoci una lezione infinita di coraggio e determinazione di cui noi ora ogni giorno dovremmo esserne all’altezza. Carlottina aiutaci da lassù” conclude Mario Giordano salutando con un bacio la giovane inviata Mediaset scomparsa per un cancro fulminante.

Carlotta Dessì era stata una convinta sostenitrice del vaccino anti Covid. Da inviata in un servizio aveva tallonato un medico che, secondo la giovane cronista, faceva “troppe esenzioni” per la vaccinazione ai fini del green pass. In un post sui social apparso a fine 2021 aveva consigliato alle mamme di vaccinare i loro figli minori.

Anziano investito e ucciso mentre attraversa sulle strisce

Archivio

Un pensionato di 79 anni, Francesco Lucente, è morto stasera nell’ospedale di Catanzaro in seguito alle ferite riportate dopo essere stato investito nel centro abitato di Crotone.

Lucente, stamani, stava attraversando la strada sulle strisce pedonali quando è stato investito da un’auto guidata da un crotonese di 39 anni che si è immediatamente fermato per prestare i soccorsi.

La vittima è stata portata nell’ospedale di Crotone e ricoverato in rianimazione.

Tuttavia le sue condizioni si sono aggravate e per questo, considerata la gravità delle lesioni, è stato trasferito in elisoccorso al Pugliese-Ciaccio di Catanzaro dove, però, è deceduto in serata.

Lucente, pensionato, era conosciuto in città perché per anni ha lavorato come tecnico analista ad un laboratorio di analisi di Crotone. Sul posto per i rilievi sono intervenuti gli agenti della polizia locale.

Ex 007 Usa Ritter: “L’intervista di Carlson a Putin sarà una bomba informativa”

“Tucker Carlson può mostrare Vladimir Putin per quello che è e offrire finalmente agli americani la prospettiva russa”. Lo ha affermato l’ex ufficiale dell’intelligence statunitense Scott Ritter in una conversazione con RT.

Ritter ha suggerito che questa sarebbe un’opportunità per liberare il popolo americano dalla russofobia, motivo per cui Washington potrebbe tentare di impedire un colloquio con il leader russo, cosa peraltro già in corso da esponenti in Ue che vorrebbero sanzionare il giornalista.

L’ex 007 Usa ha aggiunto che l’intervista rilasciata al presidente russo Vladimir Putin al giornalista statunitense Tucker Carlson potrebbe essere “una bomba informativa”.

Secondo Ritter, le autorità americane non potranno fare nulla nei confronti di Carlson dopo il suo ritorno negli Stati Uniti.

“Penso che la sua intervista diventerà semplicemente una bomba informativa, vedrete che verrà trasmessa “, ​​ha detto Ritter aggiungendo che Carlson è “fuori dal controllo delle autorità e dei media mainstream”.

“Tucker Carlson sta per mandare in pezzi quella narrazione propagandista dell’Occidente. Perché finirà sulla rete X e tutto il mondo potrà vederlo. Nessuno può ignorarlo. E sai cosa accadrà? Lo guarderanno centinaia di milioni di persone, tra cui decine di milioni di americani”, ha detto ancora Ritter.

L’intervista dovrebbe essere trasmessa nei prossimi giorni su X, sul sito di Carlson e sui media russi, passando per molti altri canali nel mondo.

Mosca: “Accordo su ostaggi tra Israele e Hamas dipende da cessate il fuoco a Gaza”

La condizione principale per qualsiasi potenziale accordo sugli ostaggi tra Israele e il movimento palestinese Hamas deve essere un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza, ha detto alla Tass il viceministro degli Esteri russo Sergey Vershinin.

“La cosa principale ora, è ciò che il nostro presidente Putin ha detto fin dall’inizio: è necessario garantire un cessate il fuoco immediato a Gaza. Questa è la condizione principale per salvare le persone, ottenere un accesso senza ostacoli per fornire alla popolazione aiuti umanitari, nonché creare le condizioni per la ripresa del processo politico, che può portare all’attuazione della soluzione dei due Stati”, ha detto il diplomatico in risposta ad una domanda corrispondente. Allo stesso tempo, Vershinin ha definito il processo per concludere un nuovo accordo “molto complicato”.

Alla fine di gennaio, rappresentanti di Stati Uniti, Egitto, Israele e Qatar si sono incontrati a Parigi e hanno formulato le linee generali di un nuovo accordo tra Hamas e Israele, che prevede uno scambio graduale degli ostaggi israeliani con prigionieri palestinesi, una pausa nelle ostilità e la consegna di aiuti umanitari a Gaza.

Il 6 febbraio Hamas ha confermato di aver inviato la sua risposta a un potenziale accordo al Qatar e all’Egitto. Il New York Times ha riferito, citando una fonte israeliana anonima, che Gerusalemme non è pronta ad accettare le condizioni di Hamas, poiché includono richieste impossibili: un cessate il fuoco completo e la concessione ad Hamas del pieno controllo su Gaza.

Naufragio a Cutro, condannato a 20 anni uno dei presunti scafisti

Una condanna a 20 anni di reclusione oltre ad una multa di tre milioni. E’ questa la decisione presa al termine de processo con rito abbrevviato dal gup di Crotone, Elisa Marchetto, nei confronti di Gun Ufuk, il cittadino turco 29enne accusato di essere uno degli scafisti dell’imbarcazione, il cui naufragio, avvenuto a Steccato di Cutro il 26 febbraio del 2023, causò la morte di 94 migranti.

Nell’ambito della condanna, il gup ha accolto le richieste del pm Pasquale Festa aumentando la multa da 2,1 a 3 milioni di euro. Il giudice ha condannato Ufuk anche al risarcimento dei parenti delle vittime, il ministero dell’Interno e la Regione Calabria.

La difesa dell’imputato
“Io ero solo il meccanico della barca ed ho barattato il pagamento del viaggio con il compito di macchinista per riparare il motore. Non ho mai guidato la barca. Mi dispiace tanto per il dolore causato ai familiari delle persone morte”.

Queste le parole Ufuk, accusato dal pubblico ministero in quanto responsabile dei reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, naufragio colposo e morte in seguito al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

“Io – ha proseguito Gun Ufuk – dovevo scappare dalla Turchia per motivi politici. Ero stato arrestato perché considerato di fare parte del movimento che aveva condotto il tentato golpe del 2016. Nel 2019 sono stato in carcere per otto mesi perché criticavo Erdogan e le sue politiche. Quando sono uscito per due anni ho dovuto presentarmi alla polizia ed ho tutt’ora il divieto di uscire dalla Turchia. Per chi è considerato golpista non è facile vivere in Turchia. Per questo ho deciso di partire, ma non avevo i soldi necessari e così ho accettato di fare il meccanico della barca che doveva arrivare sulla costa italiana e tornare”.

Gun Ufuk è l’unico dei quattro presunti scafisti che ha scelto il rito abbreviato. Per gli altri il processo con rito ordinario è in corso. L’uomo era stato arrestato l’8 marzo successivo dopo essere stato individuato in Austria, dove si era rifugiato dopo essere riuscito ad allontanarsi.

Il legale di Ufuk: E’ un capro espiatorio di chi doveva soccorrere e non lo ha fatto

“Ritengo che la morte di quelle persone non sia a causa di una manovra sbagliata o del naufragio perché, se in quel momento ci fosse stata una qualsiasi unità di soccorso, non ci sarebbero stati tutti questi morti. La costituzione di parte civile da parte del governo è fuori luogo perché credo che proprio chi doveva intervenire per l’obbligo morale avrebbe dovuto evitare di chiedere danni per quell’immagine che esso stesso ha leso. Ufuk è un capro espiatorio di chi doveva intervenire”.

Lo ha detto l’avvocato Salvatore Falcone, difensore del cittadino turco Gun Ufuk ritenuto uno degli scafisti della “Summer love” naufragata a Steccato di Cutro. Una arringa dal carattere politico quella dell’avvocato che ha chiesto di integrare agli atti il documento del novembre scorso con cui Frontex ha ricostruito l’incidente, sostenendo che i due funzionari italiani presenti nella sede dell’agenzia non avevano considerato la segnalazione dell’imbarcazione. Falcone ha sostenuto che non può configurarsi il delitto di favoreggiamento all’immigrazione clandestina perché “le persone a bordo del caicco naufragato arrivavano da Paesi dove ci sono dei regimi come l’Iran e l’Afganistan. Esisteva un’alternativa concreta messa in atto da comunità internazionale o dal governo per scappare in modo legale da quelle situazioni? No, perché non ci sono corridoi umanitari, né è possibile beneficiare di un visto presso le ambasciate europee. Unico modo è scappare. Sarebbe troppo comodo liberare la responsabilità di chi avrebbe la possibilità di intervenire su questo aspetto sacrificando Ufuk come capro espiatorio”.

L’avvocato si è rimesso alle determinazioni del giudice per quanto riguarda il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, ed ha chiesto l’assoluzione di Ufuk dal reato di naufragio colposo e morte come conseguenza di altro reato perché “non ha dato alcun apporto al naufragio ed i testimoni dicono tutti che Ufuk non ha mai guidato la barca”.

Calabria, il leghista Mancuso rieletto presidente del Consiglio regionale

Filippo Mancuso presidente del Consiglio regionale della Calabria

Filippo Mancuso, della Lega, è stato oggi riconfermato nella carica di presidente del Consiglio regionale della Calabria per la seconda parte della legislatura. L’elezione, che ha registrato la partecipazione di 29 consiglieri, è avvenuta al primo scrutinio.

Ventitré le preferenze espresse a favore di Mancuso, 6 le schede bianche. L’assemblea ha successivamente completato il rinnovo dell’Ufficio di Presidenza confermando tutti gli uscenti.

Vice presidenti sono stati rieletti Pierluigi Caputo (Forza Azzurri), per la maggioranza e Franco Iacucci (Pd) come componente di minoranza. 20 preferenze sono andate a Caputo, 7 a Iacucci, 1 scheda nulla ed una scheda bianca.

Analogamente, è stato confermato in blocco anche l’organigramma dei segretari-questori. Con 29 consiglieri presenti e votanti, 21 voti sono andati al consigliere Salvatore Cirillo (FI), componente di maggioranza, e 7 al consigliere Ernesto Francesco Alecci (Pd) come componente di minoranza. 1 scheda bianca.

“Vi ringrazio per la fiducia che mi avete espresso – ha detto Mancuso dopo la riconferma alla guida della massima assemblea calabrese – e spero, ancora una volta di meritarmela, esercitando la funzione con il dovuto rispetto dello Statuto, del Regolamento e delle prerogative dei consiglieri, di maggioranza e di opposizione. Nel quadro del pluralismo istituzionale che vede presenti in quest’Aula diverse opzioni politiche, ribadisco – ha aggiunto – l’auspicio che sulle questioni più delicate, pur nelle differenze di ruolo assegnateci dall’elettorato, il Consiglio regionale possa pervenire a una condivisione delle scelte legislative e amministrative volte a migliorare la qualità della vita delle nostre comunità”.

“Ritengo fondamentale – ha sostenuto ancora il presidente Mancuso – inoltre, nell’azione di modernizzazione del sistema Calabria, la partecipazione attiva dei cittadini, perché le iniziative della politica e delle Istituzioni calabresi possono essere più efficaci, se sostenute da una comunità coesa e solidale, pronta a mobilitare le sue migliori energie, per costruire, nel rispetto della legalità e del bene comune, il proprio futuro”.

Protesta agricoltori, i trattori arrivano anche a Cosenza

Sono circa un centinaio i trattori che stamane hanno raggiunto Cosenza, nei pressi della stazione ferroviaria di Vagliolise, giungendo da diverse zone della provincia.

Le ragioni della protesta sono ormai note, ma gli agricoltori non hanno intenzione di fermarsi e proseguono la mobilitazione in attesa di gesti concreti da parte del governo italiano e della Commissione europea.

“Le associazioni di categoria ci hanno abbandonato – ha detto uno dei manifestanti – per dedicarsi alla politica. Ci hanno utilizzato strumentalmente per il loro tornaconto personale. Sono stati radunati gli agricoltori nelle manifestazioni pubbliche solo per far vedere quanto pesava in quel momento quella determinata categoria, ma non si sono più fatti carico delle nostre reali difficoltà”.

Per ragioni di sicurezza il traffico lungo la statale 107 non è stato bloccato e i mezzi dei manifestanti sono stati fatti parcheggiare negli spazi tra le carreggiate. “Siamo i veri tutori dell’ambiente e delle politiche green – ha aggiunto un altro degli agricoltori presenti – ma non a queste condizioni.

“Siamo stati messi in ginocchio dal governo con costi di produzione altissimi. Ci aspettiamo un annuncio reale da parte del governo rispetto alla tutela dei costi di produzione, altrimenti resteremo qui. Siamo in rotta con la realtà, qualcosa non ha funzionato, chi doveva battere i pugni non l’ha fatto e non ci ha tutelato, dunque adesso ci aspettiamo un segnale forte”.

Il Sionismo e il Genocidio dei Palestinesi (1948-2023)

di Don Curzio Nitoglia *

Introduzione

Padre Giovanni Sale ha scritto un interessante articolo su “La Civiltà Cattolica” (quaderno 3854 del 15 gennaio 2011), intitolato La fondazione dello Stato di Israele e il problema dei profughi Palestinesi (pp. 107-120). Innanzitutto, ci ricorda che i primi “kamikaze terroristi” furono proprio gli Israeliani e non gli Arabi, come oggi si pensa comunemente. Infatti, il 22 luglio del 1946 l’Irgun fece scoppiare una carica di dinamite nell’Hotel King David dove risiedeva il “Quartier generale” della Gran Bretagna, uccidendo 91 persone. Seguirono altri attentati (ad esempio, fatto quasi sconosciuto, il 30 ottobre del 1946 gli stessi terroristi dell’Irgun distrussero con un attentato dinamitardo l’ambasciata britannica a Roma, Ndc.) e così l’Inghilterra decise, nel febbraio del 1947, di rinunciare al mandato sulla Palestina (p. 108). Inoltre ricorda che già nel 1946 vi fu una forte “pressione” (“lobbyng”) della comunità ebraica americana sul Presidente Truman, il quale per la nuova campagna presidenziale aveva bisogno dei soldi e dei voti degli ebrei-americani. Nel medesimo anno anche l’Urss di Stalin si dichiarò favorevole alla spartizione della Palestina. Il “Dipartimento di Stato” statunitense non era d’accordo con l’“Amministrazione presidenziale”, ma fu proprio grazie all’intervento dell’ “Amministrazione americana” che il deserto del Negev fu incorporato allo Stato di Israele e non alla Palestina come avrebbe voluto il “Dipartimento di Stato”. Perciò, già nel 1946 era stato deciso, sulla pelle dei Palestinesi, che Israele avrebbe occupato «il 55% della Palestina, con una popolazione israelita di 500 mila persone». Ora, ci si domanda, com’era possibile, secondo giustizia, che il 37% della popolazione ebraica ottenesse il 55% del territorio palestinese, del quale sino ad allora aveva posseduto solo il 7%? La risposta è sempre e solo la solita: la shoah del popolo ebraico gli dava il diritto a una Patria. Ma, si ribatte, cosa c’entravano i Palestinesi con il torto subìto dagli ebrei in Europa nord-orientale? Uno storico palestinese ha scritto a proposito: «I Palestinesi non capivano perché si facessero pagare a loro i conti dell’olocausto. […]. Non capivano perché fosse ingiusto che gli Ebrei restassero minoranza in uno Stato palestinese unitario, e invece fosse giusto che quasi la metà degli Arabi palestinesi diventasse dalla sera alla mattina una minoranza soggetta a un potere straniero». Evidentemente la legge non è eguale per tutti.

Il peso della shoah

Come si può costatare, esso è stato enorme, politicamente ed economicamente (risarcimenti), militarmente (guerre che ancora oggi perdurano e forse termineranno in un grande conflitto nucleare), religiosamente (giudaizzazione dell’ambiente cristiano e cattolico a partire dal Vaticano II). L’Occidente e l’Europa, caduti in un senso di colpa collettiva, “psicanaliticamente indotta”, hanno pensato di riparare al male fatto (o fatto credere dalla psicanalisi di massa della “psico-polizia”). La shoah continua a pesare, ma si sente qualche scricchiolio, che si cerca di puntellare con leggi penali e “storicide”, specialmente difronte al genocidio dei Palestinesi perpetrato dallo Stato d’Israele (7 ottobre 2023 – febbraio 2024). La prima guerra arabo-israeliana si può dividere in due fasi: 1°) la prima dal novembre 1947 al 14 maggio 1948; 2°) la seconda dal 15 maggio del 1948 all’ottobre del 1949. La prima fase fu soprattutto una guerriglia, ma assai cruenta, basti pensare al massacro di 100 civili Palestinesi da parte dell’Irgun, il 9 aprile 1948, nel villaggio di Deir Yassin. La seconda parte, invece, fu una vera e propria guerra convenzionale. Essa fu caratterizzata da un episodio cruciale che determinò la sconfitta degli Arabi, in maniera scorretta, da parte degli Israeliani. Infatti, l’11 giugno del 1948 il conte svedese Folke Bernadotte (che poi fu assassinato da alcuni terroristi del Lehi) riuscì a negoziare una tregua. Essa fu accolta da Israeliani e Palestinesi ma, «Israele approfittò di tale periodo, violando i termini della tregua, per acquistare dalla Cecoslovacchia una grande quantità di materiale bellico [del III Reich tedesco], rimasto inutilizzato dopo la seconda guerra mondiale. Quando la guerra riprese l’8 luglio del 1948, l’esercito israeliano, utilizzando le nuove forniture europee (e statunitensi), nel giro di pochi giorni ebbe il sopravvento sugli eserciti arabi. […]. In questo modo furono occupati molti villaggi arabi e le città di Lydda e Ramallah» (p. 114). Il genocidio dei Palestinesi da parte d’Israele iniziò proprio allora. Infatti, la città di Lydda fu occupata e vi fu una vera e propria «pulizia etnica» poiché circa 70mila abitanti di Lydda furono espulsi e spinti a piedi nella “marcia della morte” verso Ramallah, e, sotto il sole estivo, morirono numerosi bambini e vecchi. L’ordine di espulsione fu dato personalmente da Ben Gurion il 12 luglio. È lecito parlare di “genocidio”? Oppure l’unico genocidio è quello del popolo ebraico da parte del III Reich germanico? Nella storia vi sono innumerevoli genocidi; quasi ogni guerra ha comportato un genocidio o una “pulizia etnica” da parte dei vincitori nei confronti degli sconfitti. Per esempio, cinque milioni di Amerindiani o Indiani d’America furono sterminati in quanto Amerindi (“American Indian”) dai coloni inglesi e olandesi che occuparono il nord America nel XVII-XVIII secolo. Un milione e mezzo di Armeni, tra il 1894 e il 1918, furono massacrati in quanto Armeni e cristiani dagli Ottomani turchi e musulmani. Gli Italiani furono massacrati e gettati vivi nelle foibe in Istria, tra il 1945-46, dai “titini” slavi a migliaia solo perché Italiani. Il decennio che iniziò col 1990 vide la “pulizia etnica” di centinaia di migliaia tra Serbi, Bosniaci, Kosovari, Croati. Se si pensa all’Africa, cosa dire del Ruanda, degli Utu e Tutzi, i quali si sono massacrati reciprocamente – arrivando attorno alla cifra di 2milioni di vittime – sino a qualche anno fa? Eppure non è “politicamente corretto” parlare di genocidio per costoro. Sembra che vi sia stato un solo genocidio, anzi “IL” genocidio del popolo ebraico nel 1942-45. Chi lo mette in dubbio così com’è presentato dalla propaganda dei vincitori, o cerca di stabilire cifre, studiare la questione, in alcuni Paesi va in galera. Ora, perché non lasciare agli storici e agli scienziati la possibilità e libertà di ricercare da vicino i luoghi, i documenti, il corpo del reato? Altrimenti, anche i Palestinesi potrebbero invocare un “reato di negazionismo” del genocidio che hanno sofferto nel 1948 e continuano a soffrire ancora oggi a Gaza (una striscia desertica, che racchiude – come un campo di concentramento – due milioni e mezzo di persone, bombardate, ripetutamente dall’aviazione israeliana, dal 7 ottobre 2023 e senza sosta, con 26mila morti Palestinesi, di cui la metà bambini).

La ‘shoah’ o ‘nakba’ palestinese

«Sta di fatto che alla fine della prima guerra del 1948, meno della metà della popolazione palestinese si trovava ancora nella terra nativa. […]. Sul numero dei profughi si è molto discusso in passato: gli Israeliani parlavano di circa 500mila profughi, i palestinesi invece di un milione e mezzo di persone espulse. Secondo gli storici contemporanei il numero dei profughi si aggirerebbe attorno ai 700-800 mila» (pp. 115-116). Come si vede si può lecitamente discutere, studiare, ricercare le fonti sulla reale entità della “catastrofe” palestinese, ma per legge è vietato agli storici di far ricerca storica sulle fonti della “catastrofe” ebraica del 1942-45. Inoltre anche per i Palestinesi vale la domanda che l’Europa si pone sulla propria cecità di fronte alla catastrofe ebraica del 1942-45: «Come mai un numero così grande di persone nel giro di pochi mesi ha dovuto abbandonare la propria terra senza che nessuno in occidente se ne preoccupasse? La tesi ufficiale sostenuta da Israele è che i Palestinesi abbandonarono “volontariamente” il loro territorio. […]. I Palestinesi, al contrario, hanno sempre sostenuto che i profughi erano stati espulsi in modo sistematico e premeditato dall’esercito israeliano» (p. 116).

Revisionisti palestinesi

Il primo storico che ha confutato la vulgata israeliana sul problema dei profughi palestinesi è stato il palestinese Walid Khalidi nel suo libro succitato “All That Remains” del 1992. «Egli, consultando gli archivi palestinesi e raccogliendo la memoria dei testimoni, ha ricostruito in modo analitico – riportando l’elenco esatto dei villaggi distrutti – la “catastrofe”, cioè la “nakbah”, vissuta dal suo popolo. Tale studio ebbe poca eco tra gli storici occidentali, e si continuò a ripetere la vulgata israeliana dell’ “esilio volontario dei Palestinesi”» (p. 116). Poi lo storico israeliano Benny Morris ha dedicato tre volumi a questo tema (Vittime; 1948: Israele e Palestina tra guerra e pace; Due popoli una terra) secondo Morris i Palestinesi non sarebbero stati cacciati di proposito, ma conseguentemente alla guerra arabo-israeliana avrebbero preferito l’esilio allo stato di conflitto ed avrebbero lasciato la Palestina spinti dalla guerra e dalle “rappresaglie” dell’Haganah. L’espulsione dei Palestinesi, secondo Morris, non sarebbe mai stata decisa e decretata dal Governo di Tel Aviv e dall’Esercito israeliano, ma sarebbe avvenuta in quelle determinate circostanze di guerra “civile”. Infine lo storico israeliano Ilan Pappe nel suo libro “La pulizia etnica della Palestina” ha confutato la tesi di Morris e si è avvicinato a quella di Khalidi, dimostrando – documenti alla mano – che il progetto d’espulsione fu pianificato il 10 marzo 1948 a Tel Aviv, nella sede dell’Haganah dai Governanti e Militari d’Israele: «Gli ordini erano accompagnati da una minuziosa descrizione dei metodi da usare per cacciare via la popolazione con la forza: assedio e bombardamento dei villaggi, incendi di case, espulsioni, demolizioni, e infine collocazione di mine tra le macerie per impedire agli abitanti espulsi di ritornare»; in caso di resistenza «le milizie armate dovranno essere eliminate e la popolazione civile espulsa fuori dei confini dello Stato». Padre Giovanni Sale commenta «tali ordini furono poi trasmessi alle singole brigate che avrebbero provveduto a metterli in atto: il piano era il prodotto inevitabile della determinazione sionista ad avere un’esclusiva presenza ebraica in Palestina, e questo poteva essere realizzato soltanto eliminando la presenza dei nativi dal territorio» (p. 118). Ilan Pappe conclude: «l’obiettivo principale del movimento sionista nel creare il proprio Stato nazionale era la pulizia etnica di tutta la Palestina». Questa verità storica, dimostrata da fatti e documenti, viene ancor oggi sistematicamente negata.

Epilogo

Riflettendo a mo’ di conclusione su quanto letto si può dire con tutta certezza, e senza paura di essere tacciati quali nazisti o antisemiti, ciò che segue: 1°) Coloro i quali parlano di “pulizia etnica” fatta dagli Israeliani nei confronti dei Palestinesi sono uno storico ebreo vivente attualmente in Israele, Ilan Pappe, che ha scritto un libro intitolato precisamente “La pulizia etnica dei Palestinesi” e uno storico gesuita professore alla Pontificia Università Gregoriana, padre Giovanni Sale, che ne ha scritto su La Civiltà Cattolica, la quale è l’organo ufficiale della S. Sede e le cui bozze vengono lette e corrette dalla Segreteria di Stato vaticana prima di essere pubblicate. Quindi gli autori citati sono storici seri e professionalmente qualificati, non sono estremisti antisemiti di destra o di sinistra, ma hanno raccolto fatti, documenti e testimonianze per scrivere e provare quanto sopra. 2°) Inoltre in un certo qual modo la S. Sede ha finalmente ritenuto opportuno pubblicare la verità, anche se “politicamente scorretta”, del genocidio subìto dai Palestinesi da parte del neonato Stato di Israele. 3°) La parola “pulizia etnica” o “genocidio” può sorprendere se non è applicata al popolo ebraico come vittima ma come Stato carnefice, che ha pianificato assieme all’Esercito israeliano l’espulsione di un popolo e l’uccisione di molti suoi membri per impossessarsi della sua terra. Tuttavia Ilan Pappe ne fornisce tutte le prove. 4°) La cifra di questo genocidio subìto dai Palestinesi è liberamente discussa e ricercata scientificamente, senza dover cadere per questo sotto la mannaia di leggi liberticide e “storicide”, come invece succede per la shoah degli ebrei. Infatti, gli autori palestinesi parlano di 1 milione e mezzo di vittime tra morti e sfollati; invece, gli storici “politicamente corretti”, sia ebrei che non-ebrei, parlano di 500 mila vittime, ossia un terzo di quelle date dai Palestinesi; mentre, gli storici attuali, anche israeliani, che cercano la verità dei fatti e non la “correttezza politica”, parlano di circa 800 mila vittime. Perché, allora, ci si domanda, non è lecito fare la stessa cosa riguardo alla cosiddetta “shoah”? Fare storia e non “politicismo-corretto” è un reato, un peccato? Purtroppo sì! Infatti, si finisce in prigione. 5°) Infine il nodo che resta e che se, non viene sciolto porterà, molto probabilmente, alla guerra nucleare – dal Medio Oriente al Mondo intero – è come mettere d’accordo Palestinesi e Israeliani. È giusto che Israele possieda l’80% della Palestina e che i Palestinesi siano confinati in Cisgiordania e nel deserto di Gaza (dalla quale stanno per essere definitivamente espulsi), che è un vero e proprio “campo di concentramento”? Si può invocare la ‘shoah’ per giustificare la ‘nakba’? Cosa c’entrano i Palestinesi con i Tedeschi?

*  Don Curzio Nitoglia, Religioso, Teologo e Tomista (fonte intervento)

Netanyahu conferma la linea dura di Israele: “Guerra finirà con distruzione di Hamas”

“Hamas non sopravviverà a Gaza”. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu conferma la linea dura e allontana l’ipotesi di un accordo per il cessate il fuoco a Gaza nella conferenza stampa dopo l’incontro delle scorse ore con il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. “Solo la vittoria finale – scandisce – ci consentirà di portare la sicurezza nel nord e nel sud di Israele”, dice riferendosi anche ai confini del Paese con il Libano.

“Non c’è alternativa alla distruzione militare di Hamas” secondo Netanyahu. “Se ci arrendiamo alle condizioni di Hamas – ammonisce – potremo arrivare ad un altro massacro”. Quindi “Israele continuerà le operazioni militari a Gaza, il giorno dopo la guerra non ci sarà più Hamas”.

“Vogliamo la completa demilitarizzazione di Gaza, continueremo a operare a Gaza per tutto il tempo necessario, in modo che i terroristi non rialzino più la testa”, insiste e promette una “vittoria schiacciante”.

“Siamo sulla strada di una vittoria completa. La vittoria è a portata di mano”, assicura, prevedendo che sarà “questione di mesi” non di anni.

Gli obiettivi della guerra, ribadisce sono “distruggere Hamas, riportare a casa gli ostaggi e assicurare che Hamas non sia più una minaccia per Israele. Quindi Netanyahu loda i risultati “senza precedenti” ottenuti dall’esercito a Gaza, annunciando che, dopo Khan Yunis, le Idf sono pronte a combattere anche a Rafah: “Continueremo fino alla fine, non c’è altra soluzione diversa da una vittoria completa” e sarà “una vittoria per tutto il mondo libero”.

Gli ostaggi sono una priorità, assicura il premier e la maggiore pressione militare aumenterà la possibilità della loro liberazione.

“Il cerchio della pace si allargherà” al termine del conflitto con Hamas, afferma quindi Netanyahu, dopo che l’Arabia Saudita ha escluso l’avvio di relazioni diplomatiche con Israele “senza il riconoscimento di uno stato palestinese”. Una “posizione decisa” che è stata comunicata agli Stati Uniti, secondo quanto reso noto dal ministero degli Esteri di Riad dopo la visita del segretario di Stato americano Antony Blinken che lunedì ha incontrato Mohammed bin Salman.

Il giornalista Usa “fuori dal coro”, Tucker Carlson, ha intervistato Putin

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha confermato oggi che il presidente Vladimir Putin ha concesso ieri un’intervista al giornalista americano Tucker Carlson, ma non ha fatto sapere quando verrà pubblicata.

Lo riferiscono le agenzie russe. Il giornalista aveva fatto sapere di recarsi a Mosca per intervistare Putin. Una delle ultime interviste di livello mondiale Putin l’aveva rilasciata al regista e premio Osca Oliver Stone, che ne aveva fatto un documentario molto interessante sulla figura del leader russo.

“Il nostro dovere di giornalisti è informare la gente”, ha scritto l’ex di Fox News sul suo profilo X annunciando il faccia a faccia con il presidente russo che due anni fa ha avviato l’operazione militare speciale in Ucraina. Ed ha aggiunto: “Elon Musk ci ha promesso che non la censurerà. Di questo gli siamo grati”.

Da anni strenuo difensore del leader del Cremlino e feroce critico dei suoi oppositori in Occidente, l’ex anchor è diventato celebre per le sue posizioni controcorrenti.

Carlson ha precisato che “ci sono ovviamente rischi in questa intervista e ci abbiamo pensato molto nel corso di molti mesi”. Poi riferendosi all’Ucraina ha aggiunto che “due anni dopo l’inizio di una guerra che ha cambiato il mondo, la maggioranza degli americani non è informata”, accusando i media tradizionali nel mondo anglosassone di essere “corrotti” e di “mentire a lettori e spettatori”.

E’ da tempo che Carlson non fa mistero del suo desiderio di un faccia a faccia con il leader del Cremlino: in passato aveva detto che a impedirglielo sarebbe stato il governo degli Stati Uniti.

Carlson è stato per anni una delle star della Fox fino a quando lo scorso aprile è stato messo alla porta dopo una serie di polemiche sia personali che professionali. “Era fuori dal coro”, ossia indipendente e non allineato al pensiero unico dominante in occidente.

Secondo Carlson, l’intervista al leader russo servirà a controbilanciare il vasto spazio dato dai media Usa al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, le cui interviste, secondo l’ex anchor “sono sessioni cortigiane disegnate specificamente per amplificare le richieste di coinvolgere ancora di più gli Stati Uniti (e la NATO) in una guerra nell’Europa dell’Est e per far pagare a noi questa guerra”. Carlson ha infine affermato di non essere a Mosca perché ama Putin, ma “perché amiamo gli Stati Uniti e vogliamo che restino prosperi e liberi”.

Convocato a scuola per la condotta del figlio aggredisce docente, guai per un 34enne

Studenti a scuola (Archivio)

Un insegnante di un istituto comprensivo è stato aggredito dal padre di un alunno 12enne dopo essere stato convocato a scuola per un incontro inerente la condotta scolastica tenuta dal figlio. È avvenuto a Reggio Calabria, all’interno di una scuola primaria e di secondo grado.

L’uomo, un 34enne, identificato dai carabinieri, sarà denunciato per lesioni, violenza e minaccia a pubblico ufficiale visto che l’insegnante era impegnato nell’esercizio delle proprie funzioni all’interno della scuola.

La vicenda prende le mosse da un litigio avvenuto qualche giorno fa tra il figlio dell’uomo e un suo compagno di classe durante l’orario di lezione di educazione fisica. Il padre dell’alunno era stato convocato all’istituto dal docente coordinatore di classe per essere informato del comportamento tenuto dal figlio 12enne.

Giunto presso l’edificio scolastico, dopo aver chiesto al minore chi fosse il docente che lo aveva fatto convocare, il genitore si è rivolto allo stesso con tono minaccioso, urlando che non doveva essere disturbata la famiglia del ragazzino, per poi aggredirlo fisicamente sbattendolo contro un muro e afferrandolo per il collo.

L’insegnante, assistito dal personale della scuola, fortunatamente non ha riportato traumi significativi e ha deciso ugualmente di ricorrere alle cure mediche.

I carabinieri della stazione di Cannavò hanno identificato il genitore, che verrà segnalato alla Procura di Reggio Calabria per lesioni, violenza e minaccia a pubblico ufficiale.

Corruzione, arrestato il figlio dell’ex ministro Visco

Presunti accordi corruttivi per mettere le mani, in cambio di favori e mazzette, su appalti milionari. Questo il quadro che emerge dall’indagine della Procura di Roma e che ha portato agli arresti domiciliari quattro persone, tra cui l’ex dirigente pubblico, Gabriele Visco, figlio dell’ex ministro delle Finanza, Vincenzo. Contestualmente con l’applicazione delle misure cautelari, i Finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria hanno eseguito anche un sequestro preventivo per un ammontare di 230 mila euro.

L’indagine riguarda illeciti compiuti, nel 2022, circa un anno e mezzo fa. Nel procedimento sono coinvolti anche l’avvocato romano Luca Leone, l’imprenditore Pierluigi Fioretti che ha un passato da consigliere comunale in Campidoglio nelle fila di Alleanza Nazionale e Claudio Favellato imprenditore originario di Isernia.

“Per il momento non ho nessuna idea in proposito, salvo essere molto sorpreso”, commenta la notizia dell’arresto del figlio, Vincenzo Visco, annunciando che domani incontrerà l’avvocato per “vedere quali sono gli argomenti”.

Gli inquirenti contestano, a seconda delle posizioni, oltre che la corruzione anche il reato di traffico di influenze illecite. In base all’impianto accusatorio dei pm di piazzale Clodio, Visco, che ha lavorato in passato per Telecom e Invitalia, “con la mediazione” dell’imprenditore romano, avrebbe favorito, a fronte di denaro e di altre utilità, “l’aggiudicazione di un bando di gara – sostiene la Procura – di oltre 4 milioni di euro a una società riconducibile a un costruttore e tentato di agevolare l’assunzione presso una partecipata pubblica di una persona vicina a quest’ultimo”. “Mo riscuoterò tutti i crediti che c’ho da riscuotere in giro per carità… quello è il minimo”, affermava intercettato Visco dopo il licenziamento da Invitalia a dimostrazione, scrive il gip, “della solidità e redditività delle sue relazioni”.

Le verifiche della Guardia di Finanza hanno fatto emergere, inoltre, una “vicenda corruttiva” in cui il figlio dell’ex ministro e parlamentare ha un ruolo centrale. Visco jr avrebbe, infatti, affidato un incarico di consulenza, per un importo di 230 mila euro, nell’ente in cui era impiegato a un avvocato di sua conoscenza, ottenendo la retrocessione di parte dei compensi fatturati dal legale per prestazioni in realtà mai effettuate. Nelle esigenze cautelari il gip scrive “che neppure il licenziamento” del figlio dell’ex ministro da Invitalia, avvenuto il 12 aprile 2023, “mina la sua capacità di proseguire nelle attività illecite così come esso non mina quella degli altri in quanto ciò che hanno fatto emergere le risultanze investigative è che l’aggiramento delle regole per il perseguimento dei propri obiettivi di interesse economico o comunque privato costituisce un vero e proprio modus operandi di tutti gli indagati, disponibili ad ogni forma di compromesso”.

Il gip aggiunge che “nessuno di loro ha mai mostrato infatti alcuna remora nell’avanzare richieste di natura illecita o nell’ottenere remunerazioni e compensi non dovuti, dunque appare evidente che è proprio quello il loro modo di operare, caratterizzato dalla completa noncuranza degli interessi pubblici violati”. Dal canto suo Invitalia specifica che ha “cessato ogni rapporto di lavoro con Visco ad inizio 2023”. L’Agenzia aggiunge che resterà “a disposizione delle autorità inquirenti per fornire tutte le informazioni e i documenti necessari e valuterà ogni possibile azione al fine di tutelare la propria posizione come parte lesa”.

Licenziato dopo protesta anti Green pass, sit-in a Roma dell’ex portuale Puzzer

“Chiedo solo giustizia”. L’ex portuale Stefano Puzzer, leader del movimento “No Green Pass” prima a Trieste e poi a livello nazionale, lo ha scritto su un cartello con cui sta manifestando davanti a Montecitorio, a Roma, da ieri.

Puzzer intende così sensibilizzare l’opinione pubblica sulla propria situazione di disoccupato perché licenziato due anni fa dopo le proteste contro il certificato verde introdotto da Draghi per costringere i cittadini a vaccinarsi contro il cosiddetto covid. Nella parte posteriore del cartello c’è invece la scritta “licenziato per non aver usato il ricatto del green pass”.

“Domani alle 11.15 è prevista la sentenza a Trieste, sul licenziamento, sono qui per fare il possibile per dare voce alla mia situazione”, ha spiegato all’Ansa, raggiunto telefonicamente.

Stefano Puzzer è stato licenziato dall’Agenzia Lavoro Portuale di Trieste il 16 aprile 2022 dopo essersi autosospeso per alcuni mesi rifiutando di mostrare il Green pass per entrare al lavoro. Contro il provvedimento Puzzer ha presentato ricorso al Tribunale del lavoro di Trieste, respinto nell’ottobre 2023; Puzzer ha dunque presentato appello e la sentenza è prevista per domani.

Puzzer è stato protagonista delle contestazioni al varco 4 del Porto di Trieste, nell’ottobre 2021, cominciate come manifestazione locale e divenute nel tempo nazionali, trasformando il capoluogo giuliano nella capitale “No vax” e “No Green pass”. Al fianco di Puzzer, dopo il licenziamento, si erano schierati i portuali di Trieste.

Tentato omicidio nel Crotonese, arrestati due giovani di cui un minore

Hanno più volte speronato l’auto con a bordo un diciannovenne facendola per questo sbandare, uscire fuori strada e ribaltare nell’erba. Due giovani, di 18 e 16 anni, sono stati arrestati dai carabinieri della Compagnia di Cirò Marina con l’accusa di tentato omicidio e, per uno dei due, il maggiore, anche di stalking. Il primo è stato portato in carcere a Crotone mentre il minore è stato accompagnato in una comunità.

I fatti che hanno portato all’esecuzione dei provvedimenti disposti dai gip di Crotone per il maggiorenne e dei Tribunale dei minori di Catanzaro per l’altro su richiesta delle rispettive Procure, risalgono alla notte del Natale scorso e sono avvenuti nel territorio di Torretta di Crucoli.

I militari, attraverso attività tecniche, acquisizione di filmati di videosorveglianza e servizi di controllo e pedinamento, hanno raccolto gravi indizi di colpevolezza nei confronti dei due arrestati, entrambi di Cirò Marina.

Alla base dell’accaduto, secondo quanto emerso, ci sarebbe una lite tra il maggiorenne indagato e la sorella minore del diciannovenne vittima del tentato omicidio per un presunto stato di ubriachezza della ragazza.

Il diciottenne, infatti, convinto che la ragazza avesse fatto abuso di alcol, l’avrebbe costretta a recarsi a Cariati, in una struttura sanitaria, per sottoporla ad accertamenti medici volti a supportare la sua tesi: esami che non sono stati svolti per l’opposizione del personale sanitario. A quel punto, per quanto emerso dalle indagini, i due indagati avrebbero chiesto conto del comportamento della ragazza al fratello diciannovenne di lei, invitandolo a raggiungerli dove lo attendevano per aggredirlo armati di una tenaglia.

Il ragazzo, però, difendendosi con un bastone sarebbe riuscito scappare. A quel punto è scattato l’inseguimento dell’auto del ragazzo da loro preso di mira, conclusosi con lo speronamento.

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