11 Ottobre 2024

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Formigoni minaccia la sua portavoce: "Spacca la faccia a Parodi o ti licenzio". L'Odg gli dia la tessera rossa

Violento. Roberto Formigoni
Roberto Formigoni

Sommerso dagli scandali, Roberto Formigoni perde le staffe e minaccia la sua portavoce. Il governatore uscente della Lombardia è infatti stato protagonista di uno scontro, con minaccia di licenziamento di Gaia Carretta, colpevole, secondo l’azzurro di non aver concordato con attenzione le domande che gli erano state poste da Cristina Parodi per la trasmissione “Cristina Parodi Live” in onda su La7. Domande che secondo Formigoni erano troppo sbilanciate sulle vicende giudiziarie che hanno investito la Regione, mentre l’intervista doveva essere incentrata sul Pdl e sul futuro governo lombardo. Secondo quanto riportato da alcuni presenti al termine della registrazione, fissata in mattinata in via eccezionale visto che il programma è in diretta, Formigoni dopo aver salutato cordialmente la Parodi, si sarebbe recato dietro le quinte dove avrebbe iniziato ad urlare contro Gaia Carretta. Secondo quanto riporta il Corriere.it il governatore avrebbe minacciato di licenziamento la portavoce e le avrebbe intimato di “spaccare la faccia” alla stessa Parodi e ai giornalisti stranieri, protagonisti della rubrica “Fratelli D’Italia”. Rivolgendosi poi ad un’ autrice del programma avrebbe aggiunto che erano state fatte “solo cagate”. Sbalordita per l’accaduto Cristina Parodi che pur non avendo assistito alla scenda ha definito quella di Formigoni “una reazione eccessiva”.

Non è la prima volta che il Celeste o l’Azzurro governatore della Lombardia si scontra con violenza verbale coi giornalisti. Ad ogni contatto leva i microfoni e dà lezioni di giornalismo agli altri. Sarebbe il caso che il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, gli regalasse ad honorem la tessera rossa dell’ordine. E’ vero che tra un governatore e un portavoce c’è un rapporto fiduciario ma è comunque intollerabile che, per questa ragione, chi fa questo mestiere deve sopportare angherie e soprusi da parte dei potenti di turno. Non ha da dire nulla la FNSI di Franco Siddi?

Rai come Alitalia sommersa dai debiti "E io pago" avrebbe detto Totò, tra giornalisti nababbi e superconsulenti

Annamaria Tarantola

La Rai come l’Alitalia. Sommersa dai debiti. E’ profondo rosso. L’azienda di stato nei primi nove mesi dell’anno registra una perdita di 184,5 milioni di euro. Una flessione in peggioramento di circa 218 milioni al corrispondente periodo del 2011. Siamo quasi davanti a un buco come quello di Alitalia. Di chi è la colpa? La perdita è imputabile principalmente alla flessione dei ricavi pubblicitari e al costo dei grandi eventi sportivi, dice l’azienda in un comunicato al termine dei lavori del Cda presieduti da Anna Maria Tarantola (foto) e proseguiti per due giorni. [quote style=”boxed”]Un buco di centinaia di milioni di euro provocato da una contrazione degli introiti pubblicitari, ma anche dai tanti privilegi che in Rai ancora resistono[/quote] Perdita “nonostante la riduzione dei costi di 82 milioni di euro”, sottolineano da Viale Mazzini.

I ricavi del Gruppo Rai nei primi nove mesi dell’anno ammontano a circa a 2.039 milioni di euro, anche qui in calo rispetto allo stesso periodo di un anno fa: meno 137 milioni. Un trend negativo determinato “principalmente dalla contrazione del fatturato pubblicitario (559 milioni di euro nel periodo considerato), in diminuzione di 114 milioni rispetto al 2011”. In controtendenza invece il trend degli investimenti pubblicitari dirottati sui canali specializzati e sul web: registrano complessivamente un incremento di circa 6 milioni di euro, in percentuale equivalente rispettivamente a un +13% sui canali specializzati e a un +30% sul web Rai.

Nessun cenno agli introiti del canone Rai che diminuisce, è vero, ma nessuno conosce la destinazione finale. Pare che anche Mediaset partecipi alla spartizione del Canone. La Rai insomma sta diventando un carrozzone pubblico (in parte privatizzato) le cui risorse (dei contribuenti) viene bruciato dai grandi conduttori e dagli stipendi da nababbo delle migliaia di giornalisti. Professionisti che guadagnano dai tremila quattromila euro fino a quindici, ventimila euro al mese, al netto di trasferte, super indennità per i giorni festivi, buoni pasto da 40/60 euro, indennità di conduzioni, vestiario, indennità notturne dalle 22, autisti, macchine blu e carte di credito aziendali (come nel caso di Minzolini). Un carrozzone che somiglia un po’ all’Alitalia per la montagna di debiti e un po’ alla Fiat, che non eroga un servizio competitivo rispetto ai concorrenti e non all’altezza dei tempi.

Chi pagherà? Certamente il pubblico, perché il potente editore, il Parlamento, sarà pronto a fare una leggina per accollare il debito agli italiani. Così chi paga il canone, ignaro di tutto, finisce per pagare due volte un servizio di informazione che lascia molto a desiderare.
Un ulteriore calo dei ricavi del Gruppo per 57 milioni di euro nell’arco di tempo di nove mesi e’ invece da imputare alla diminuzione dei ricavi commerciali e da convenzione con la Pubblica amministrazione.

Nel corso dei lavori del Cda è stato rilevato che tra i costi del 2012 ci sono quelli per i grandi eventi sportivi, risultati pari a 143 milioni di euro per la fase finale dei campionati europei di calcio di Polonia e Ucraina e le Olimpiadi estive di londra. Sono anche in atto operazioni di efficientamento in fatto di costi per beni e servizi, che hanno prodotto un risparmio di 82 milioni di euro rispetto ai primi nove mesi dell’anno precedente. Guglielmo Rositani, membro del Cda RaiQuanto invece al costo del lavoro, risulta aumentato di circa 7 milioni di euro “nonostante la rigorosa politica del turnover e il sostanziale blocco delle politiche retributive”, si giustifica incautamente il cda. Infine un cenno anche alla risposta del pubblico a casa con gli ascolti: nei primi nove mesi del 2012 le reti Rai hanno ottenuto nel complesso uno share medio del 41,5% in prime time e del 39,8% nell’intera giornata, il che ha permesso all’azienda del serizio pubblico di mantenere la “sua posizione di centralità e leadership nel mercato radiotelevisivo italiano”.[quote style=”boxed”] La legge Gasparri, devastante, ha costretto milioni di famiglie a sostituire tv e decoder per il digitale terrestre con risultati peggiori dell’analogico[/quote] Senza calcolare l’ingentissimo danno provocato dalla legge Gasparri agli italiani che sono stati costretti a comprare nuovi televisori e decoder compatibili con il digitale terrestre (di Paolo Berlusconi…), che nelle premesse doveva essere l’anticamera dell’alta definizione ma in realtà appare peggio dell’analogico.

Per salvare la Rai, prima che si mettano le mani nei portafogli degli italiani, bisogna affrancarla dal suo editore che l’han fatta diventare “Tele Baghdad”. Fuori il Parlamento da Viale Mazzini e un profondo riassetto interno con una sforbiciata netta ai privilegi insopportabili del sistema Rai. Rivedere il privato, nel senso che non si possono fare ricavi e spartirseli in pochi, mentre le perdite ingenti sono distribuite in pubblico. Se vuoi fare il “prenditore di successo” vai altrove, non in Rai.

Porti, il presidente Merlo si ribella per i 100 milioni al solo porto di Venezia. Cosa dirà il critico della Calabria Stella?

Luigi Merlo, Pres. Assoporti

Il presidente di Assoporti, Luigi Merlo, è pronto a lasciare la presidenza dei porti italiani nel caso in cui venga approvato anche in Senato l’emendamento alla Legge di Stabilità passato ieri alla Camera che prevede 100 milioni per il solo porto di Venezia. “Qui si tratta della salvaguardia del sistema portuale italiano e del rispetto delle regole. Ma come? Fino a ieri erano disponibili solo 70 milioni per tutti i porti italiani ed ora, su proposta di due veneziani, ne saltano fuori 100 solo per Venezia? E’ un imbroglio”, chiosa secco il presidente Merlo, la cui posizione andrebbe abbracciata da tutte le regioni, soprattutto al Sud, in Calabria, che vede Gioia Tauro, il primo porto del Mediterraneo, il terzo d’Europa, mortificato da politiche antimeridionaliste insieme a tutte le grandi opere che dovrebbero sorgere a Sud. C’è da aspettarsi sul caso sollevato dal presidente di Assoporti Merlo un “autorevole” intervento dell’editorialista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella, inviato super speciale sempre attento a scovare fatti e misfatti calabresi ma poi glissa su fatti che riguardano i suoi editori, il suo Veneto e la sua Venezia. Anche il presidente Scopelliti dovrebbe dire la sua su questo “imbroglio” svelato dal presidente di Assoporti.

In Parlamento anni per rispondere agli atti. Il caso Rende da sei mesi senza risposte

Antonio GentileMesi e mesi, talvolta un anno, due o forse più. Se va bene. E’ tanto il tempo che trascorre dal deposito di un atto ispettivo in Parlamento (Camera e Senato) fino alla risposta scritta, orale o in aula da parte degli esponenti del governo. Un parlamentare della Repubblica che rivolge una interpellanza al governo tanto attende.

E’ sufficiente spulciare negli atti online. Una vergogna tipica dei ritardi italiani. Va detto che l’istituto degli atti ispettivi appare un esercizio inutile, serve a poco se non a deputati e senatori per interrogare governi che non daranno mai risposte o se le danno sono prevalentemente insufficienti.

Diciamo che è l’unico strumento a disposizione dei parlamentari, oltre l’esercizio del voto in aula per questo o quel provvedimento e la presentazione di qualche proposta di legge, anche queste inutili. Al 99% non passano mai. Pensate alla Legge Lazzati.  Presentata e ripresentata nella’arco di ventanni è stata approvata con grande fatica l’anno scorso.

Talvolta vi sono deputati e senatori che annunciano (e abusano) a mezzo stampa l’interrogazione ma che poi magari non depositano nulla negli uffici ispettivi. Per i politici, è sempre una buona occasione per uscire sui giornali…

I ritardi per le risposte agli atti dei parlamentari sono comunque intollerabili. Prendiamo l’interrogazione della deputata di Futuro e Libertà, Angela Napoli, (Commissione parlamentare Antimafia) sulla richiesta della Commissione d’accesso al Comune di Rende, che pare il ministro dell’Interno Cancellieri abbia disposto proprio ieri a seguito degli arresti di due importanti esponenti della vecchia amministrazione comunale di Rende: Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo, ex sindaco ed ex assessore, entrambi del Partito democratico e di fede bersaniana. Angela Napoli

La deputata finiana nella seduta 642  del 31 maggio 2012, quasi sei mesi fa, indirizzò una interrogazione (n. 4/16371) al Ministro dell’Interno con cui chiese se a seguito dell’inchiesta “Terminator 4” (in cui risultavano indagati Bernaudo e Ruffolo, oggi ai domiciliari), il Ministro “non ritenga necessario ed urgente, alla luce degli incarichi di sindaco e di assessore tenuti all’epoca della tornata elettorale del 2009, rispettivamente da Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo, avviare le procedure per autorizzare l’invio di una commissione d’accesso presso il comune di Rende”.

Per il portale della Camera dei Deputati la richiesta della deputata Fli è ancora vergognosamente “In corso”. Di ufficiale sull’invio della Commissione non vi è ancora nulla, ma corrono voci insistenti sul via libera del Viminale ai commissari, i quali dovrebbero passare al setaccio tutta l’attività amministrativa “passata” per individuare le commistioni con i clan ed eventualmente le contiguità mafiose come nel caso di Reggio Calabria.

L’attività dei commissari dovrebbe soprattutto toccare il “presente”, dal momento che la “Rende Servizi”, società al centro della bufera giudiziaria, opera ancora per l’ente guidato oggi dall’avvocato Vittorio Cavalcanti, successore di Umberto Bernaudo, entrambi espressione del capogruppo regionale del Pd Sandro Principe che li ha scelti per guidare il processo amministrativo, in “continuità”, con quel passato riconducibile alla sua gestione del comune di Rende.

60 anni di potere incontrastato. Consensi plebiscitari, bulgari, a volte senza opposizione; se si esclude Mimmo Talarico, oggi serio e capace consigliere regionale di Idv. Tutti alla corte di Principe, per dei periodi anche Spartaco Pupo, che denunciò il “modello Rende” a mezzo mondo ma a maggio è passato nel Pd “dell’odiatissimo Principe”, salvo poi passare di nuovo al gruppo misto. A Rende se non c’è l’assenso di Sandro non si muove foglia.

Dopo il “Caso Reggio”, anche alcuni parlamentari del Pdl, sollecitati dal coordinatore Pdl e governatore Scopelliti, hanno ‘rispolverato’ il “Caso Rende”. Lo hanno fatto con una interrogazione, ma soltanto sei mesi dopo l’onorevole Napoli. Six months later.

E’ importante questo dettaglio perché dà la misura dell’attenzione” che manifestano alcuni parlamentari cosentini del centrodestra (del centrosinistra la stessa cosa) verso il proprio territorio. Come dire, che è venuta una “tale” da Taurianova a raccontare al ministro dell’Interno ciò che succede in un’area da cui proviene il senatore Antonio Gentile (sempre eletto nel collegio di Rende prima del Porcellum), collega di Antimafia della finiana nonché vice di Scopelliti al coordinamento regionale del Pdl.

Evidentemente il senatore Gentile ha trascurato il suo territorio per i suoi fitti impegni romani. Probilmente qualcuno avrà riferito al senatore dell’operazione di oggi e forse si decide, chissà, a chiedere le dimissioni del suo vecchio compagno di partito (Psi) Sandro Principe da tutte le cariche pubbliche.

Non perché il “Mentore”, “il Grande Regista” di Bernaudo e Ruffolo abbia delle responsabilità dirette, ma per dare un segnale politico di discontinuità a quella “continuità” politica che ha prodotto questa degenerazione nonché per interrompere tutte le contiguità, buone o cattive che siano, che la Commissione d’accesso eventualmente accerterà non solo per Rende ma anche per la Provincia di Cosenza guidata da Mario Oliverio, dove Ruffolo proprio in virtù del rapporto Principe-Oliverio, era stato nominato assessore all’Istruzione poi autosospeso per altre grane giudiziarie legate all’usura.

Mafia, arrestati Bernaudo e Ruffolo, ex amministratori di Rende

Presunti finanzPietro Ruffolo, ex assessore al Bilancio del Comune di Rendeiamenti ad una cooperativa riconducibile al presunto boss della ‘ndrangheta di Cosenza, Michele Di Puppo, in cambio del sostegno alle elezioni per il rinnovo del Consiglio provinciale di Cosenza svoltesi nel 2009. E’ questa l’accusa contestata dalla Dda di Catanzaro a Umberto Bernaudo e Pietro Paolo Ruffolo nella loro qualità, rispettivamente, di ex sindaco ed ex assessore del Comune di Rende. I due politici, attualmente  consiglieri provinciali di Cosenza del Pd, sono stati arrestati e posti ai domiciliari da Dia e Carabinieri nell’operazione denominata Terminator.
Il terzo provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere al presunto boss della ‘ndrangheta di Cosenza, Michele Di Puppo.

Bernaudo e Ruffolo erano gia’ indagati per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e voto di scambio. I provvedimenti restrittivi, emessi dal Gip distrettuale di Catanzaro, nascono da una ulteriore filone d’indagine sviluppato dalla Dia di Catanzaro e dai carabinieri di Cosenza. I due politici sono ora accusati di corruzione e corruzione elettorale. Il giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro, Livio Sabatini, ha escluso l’aggravante delle modalità mafiose che era stata chiesta dalla Dda nella proposta di misura cautelare. A Bernaudo e Ruffolo viene contestato di avere assunto, nella società partecipata ‘Rende Servizi’, familiari ed esponenti della cosca della ‘ndrangheta Lanzino-Presta-Di Puppo, che opera nel territorio cosentino, in cambio del sostegno elettorale in occasione delle elezioni provinciali del 2009.
A Bernaudo e Ruffolo viene contestato di avere finanziato con risorse pubbliche la cooperativa “Rende 2000”. che secondo l’accusa era riconducibile a Di Puppo, indicato come soggetto di primo piano della cosca Lanzino-Presta-Di Puppo. Quale corrispettivo, secondo l’accusa sostenuta dai pm Pierpaolo Bruni e Carlo Villani, i due politici avrebbero ricevuto l’impegno della cosca a procacciare voti in loro favore in occasione delle elezioni provinciali. Di voti ne presero tantissimi i due politici rendesi alle provinciali. Ruffolo venne nominato poi dal presidente Mario Oliverio, assessore all’Istruzione, ma inciampò in un’altra brutta storia di usura.

Dall’operazione Terminator in cui sono coinvolti i due ex amministratori nasce  il cosiddetto “Caso Rende”, del quale si sono occupati recentemente i parlamentari del Pdl che hanno chiesto a gran cassa la Commissione di accesso dopo  lo scioglimento del Comune di Reggio Calabria per contiguità con la ‘ndrangheta. Umberto Bernaudo, ex sindaco di Rende“Perché Corigliano e Reggio Calabria si, e invece Rende no?”, è la domanda che pare si siano posti alla presenza del coordinatore Scopelliti, gli esponenti politici di destra in una sorta di revanche contro la desione del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri. L’iniziativa del Pdl, contestatissima dal Pd, segue quella promossa sei mesi fa dalla deputata di Fli Angela Napoli che chiedeva la Commissione d’accesso al Comune di Rende dopo l’inchiesta culminata con gli arresti di stamattina di Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo, entrambi di assoluta fede principiana, riconducibili cioè al potente capogruppo regionale del Pd, Sandro Principe che di Rende, insieme al padre Francesco, è stato sindaco e amministratore incontrastato per oltre cinquantanni.

Dopo gli arresti dei due ex amministratori e attuali consiglieri provinciali di Cosenza (Ruffolo era assessore autosospeso della giunta Oliverio), vi potrebbero esserci tutte le condizioni chieste dalla Napoli e dal Pdl per la nomina di una commissione d’accesso che valuti se il Comune è stato e fino a che punto condizionato dalla ‘ndrangheta.

Channing, il simbolo Usa dei sexy Tatum. Meglio di Obama

channing tatumLe riviste People e GQ hanno stabilito che Channing Tatum è l’uomo più sexy del 2012. L’attore statunitense, approdato a Hollywood in qualità di ballerino (esordì nel video di Ricky Martin “She Bangs” nel 2000), nel corso degli anni ha lavorato in molti film che l’hanno consacrato al successo.

Ultimamente è stato visto in ‘Magic Mike’ nei panni di spogliarellista, professione che nella realtà gli ha permesso di mantenersi per qualche anno dopo aver abbandonato il college.

La reazione di Channing Tatum alla notizia è stata: “E’ una presa in giro?”. L’attore ha raccontato che anche la moglie, Jenna Dewan, è rimasta stupita, ma che ora lo chiama ‘l’uomo più sexy del pianeta.

L’attore, che ha tolto lo scettro a Bradley Cooper (il più sexy del 2011), ha rivelato di essere pronto a diventare padre e che vorrebbe avere tre figli; Jenna ha replicato: “Per gli uomini è sempre facile dire che vogliono avere 15 figli”. Nell’attesa, l’attore sarà impegnato nei prossimi mesi ad allenarsi per il ruolo del lottatore Mark Schultz, medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1984, nel film ‘Foxcatcher’.

E pensare che c’era chi credeva che l’uomo più sexi del momento fosse Hussein (Obama), fresco di riconferma alla guida della White House. In Italia potevamo pensare a Maria, non la Madonna, ma alla De Filippi, quella di “Amici” il programma di Canale 5 ignorato dal pubblico sobrio. Seguitissima, popolarissima e poi fa… voce…oh, scusate, audienz. People e GQ, pensate un po’. Le riviste “trash” che sembrano come le agenzie di raiting, o come si scrive, che mettono i voti anche alle suore. Trash o non trash però “la fanno su cess…”

L'A3 è strategica ma non è il futuro. Nel Mediterraneo servono altre infrastrutture. Senza chiedere permessi a Berlino

Pietro Ciucci, amministraore delegato di Anas
Pietro Ciucci, amministraore delegato di Anas – A3

L’autostrada Salerno-Reggio Calabria è sbarcata oggi al Parlamento Ue per una presentazione, che a un anno dalla conclusione dei lavori, vuole risaltarne il ruolo cruciale per l’Italia e per la stessa Unione. ”La Salerno-Reggio Calabria ha un’importanza strategica”, ha affermato durante la conferenza “A3 un’Autostrada Europea”, l’amministratore delegato dell’Anas Pietro Ciucci (foto).

L’arteria “ha consentito di rompere l’isolamento di vaste aree del Mezzogiorno” e costituisce un anello essenziale nel ”Corridoio Helsinki-La Valletta”. Viste le ombre che si sono addensate sull’opera, non ultimi i 382 milioni di euro di aiuti comunitari recuperati dall’Olaf, l’Ufficio anti frode della Ue, e la presenza dell’esercito per alcuni mesi nei cantieri, Ciucci ha voluto sottolineare l’impegno sul fronte della legalità.

”Dove si muovono grandi capitali bisogna prendere forte precauzioni”, ha ricordato, indicando in particolare la ”tracciabilita’ dei movimenti finanziari, il sistema di controllo dei cantieri e dei materiali”. Gianni Pittella, vice presidente Pd del Parlamento Ue e co-fondatore di Meseuro, il Centro studi che ha organizzato l’evento, ha ricordato che ”solo tramite le infrastrutture fisiche e materiali l’Italia e l’Europa possono recuperare competitività e coesione”. Un appello che arriva mentre la Ue si è bloccata nei difficili negoziati sul prossimo bilancio comunitario 2014-2020.

Ma non  solo. L’Europa dovrebbe riconoscere il Mediterraneo come area strategica prioritaria per tutto il Continente. Se non si parte da questo presupposto il Mezzogiorno sarà sempre un peso, pensiamo noi. Il Mare Nostrum deve essere la porta esclusiva per l’Europa – (non solo per l’immigrazione) -, continente che deve guardare a questo bacino con una visione più moderna e inclusiva delle regioni più povere. Discutiamo sempre di area di libero scambio, ma a parte qualche eccezione il Sud Italia è tagliata fuori da tutto e pure dalle grandi tratte commerciali.

L'europarlamentare lucano Gianni Pittella (S&D)
L’europarlamentare lucano Gianni Pittella (S&D)

I trasporti e le infrastrutture in questo lembo di mondo sono cruciali, pertanto non si possono cambiare gli assi e i corridoi come se fossero una variante di un crocevia stradale, o magari per accontentare grandi gruppi di potere che decidono se l’oleodotto o l’autostrada x possa passare per le nazioni y e j.

Che l’autostrada Salerno Reggio Calabria fosse strategica era risaputo, anche perché unica arteria di collegamento a Sud, ma potrà favorire davvero il Mezzogiorno se accompagnata da altre grandi infrastrutture come il Ponte sullo Stretto (o tunnel sottomarino?), dall’Autostrada Jonica Taranto-Reggio, dall’Alta velocità Salerno-Palermo, l’ammodernamento del sistema viario interno (tra Puglia Basilicata e Calabria) e non ultimo il potenziamento effettivo di Gioia Tauro, il più grande porto del Mediterraneo (Terzo d’Europa) che sta divenendo il primo al mondo per traffici illeciti.

Parliamo pure di Autostrade del Mare, poiché è inutile dibattere, anche in sedi prestigiose come da sempre si sforza di fare Gianni Pittella, se poi non abbiamo vie di collegamento per veicolare i container nel continente. E’ il caso di evidenziare l’assenza di una visione organica complessiva del bacino mediterraneo?.

Beh! Un’area che non basta vederla solo sulle mappe geografiche, ma bisogna immaginare che a queste latitudini è possibile generare sviluppo avendo finestre privilegiate su nuovi mondi e mercati (Oriente e il Magreb) che sono lontani da Helsinki, Rotterdam e Berlino. L’amministratore di Anas non se lo scordi. Né l’Europa.

Arresto Maruccio (ex Idv), spunta l'ombra del presunto riciclaggio sui fondi

Vincenzo MaruccioCi sarebbe l’ombra del riciclaggio dietro l’attività di sperpero di soldi pubblici da parte di Vincenzo Maruccio, ex capogruppo regionale di Idv ed ex assessore della giunta di centrosinistra nel Lazio, arrestato ieri a Roma con l’accusa di peculato per essersi appropriato illecitamente di circa un milione di euro.

E’ questa l’ipotesi su cui stanno lavorando inquirenti ed investigatori. Un’ipotesi che sorge alla luce della vorticosa movimentazione di assegni emessi da Maruccio, avvocato di origini calabresi, tra l’altro presunto schiavo del gioco, un vizio che si permetteva coi soldi dei fondi del gruppo Idv. Un giro, quello dei mandati di pagamento, che in genere contraddistingue o le vittime di usura, circostanza che non sembra adattarsi alle condizioni economiche dell’ex capogruppo Idv, o i riciclatori di danaro.

Lo stesso gip Flavia Costantini, firmataria dell’ordinanza di custodia cautelare, parla di Maruccio come di ”una persona che, pur percependo cospicui introiti come consigliere regionale ed essendo, al contempo, l’amministratore esclusivo di una piccola fortuna – 2 milioni e mezzo di euro nell’arco di due anni e due mesi – era perennemente pressato dalla necessita’ di reperire denaro”.

Denaro reperito, scrive il Gip, ”violando ogni regola”’ e preso ”da sale giochi, tabaccherie, parenti, quali la madre che dalla Calabria, a suo dire, gli inviava con l’autobus i risparmi della nonna, amici vari, alcuni calabresi”. di pietro il moralizzatoreIl nome di Maruccio compare anche nell’indagine su presunti legami tra clan e logge massoniche della Dda catanzarese. Amici calabresi sui quali sono in corso indagini.

Uno di questi sarebbe infatti risultato implicato in un giro di usura. Nell’inchiesta, che ora punta anche a verificare le posizioni dei collaboratori dell’esponente Idv, uno di questi, la segretaria Laura Marchesi è indagata per favoreggiamento, per aver aiutato Maruccio ad ostacolare le indagini.

E su questo punto, quello dei possibili complici di Maruccio, è in corso un’attività istruttoria per verificare la posizione di alcune persone spuntate da alcune intercettazioni. Persone dell’entourage di Maruccio e delle quali lui si fidava. Intanto l’ex capogruppo ha trascorso la prima notte a Regina Coeli ”sereno e tranquillo”, riferisce il suo difensore Luca Petrucci.

Si trova in cella con altre tre persone e attende l’interrogatorio di garanzia di venerdì. Ascoltato già dai pm subito dopo essere indagato Maruccio disse di non ”avere speso i fondi per fini personali ma solo politici”. Dalle indagini sarebbe emerso un quadro diverso: almeno 100mila euro di fondi pubblici persi al gioco nella sala del suo collega di partito Andrea Palma al quale versava costantemente assegni. ”Erano debiti di gioco”, avrebbe detto Palma. Ma la Procura vuole vederci chiaro.

L'Italia non fa figli e invecchia. Intanto importa quelli degli altri. La cultura sessantottina impera

L’Italia non fa figli e continua a invecchiare. Intanto, però, importiamo quelli degli altri. Secondo i dati Istat sulla popolazione residente, sono stati 546.607 gli iscritti in anagrafe per nascita nel 2011, circa 15 mila in meno rispetto al 2010. Il dato, secondo l’Istat, conferma la tendenza alla diminuzione delle nascite avviatasi dal 2009. Il calo delle nascite è causato per lo più alla diminuzione dei nati da genitori entrambi italiani, quasi 40 mila in meno rispetto al 2008. Anche i nati da almeno un genitore straniero, che hanno continuato ad aumentare al ritmo di circa 5 mila l’anno fino al 2010 sostenendo la ripresa della natalità in Italia, nel 2011 mostrano una diminuzione dovuta al calo di circa 2 mila nati da coppie miste. Che dire, che è veramente paradossale non riuscire a fare figli anche se i tempi sono duri. Se pensiamo ai nostri avi che nel dopoguerra mettavan su famiglie con sette, dieci figli. I tempi che correvano erano di gran lunga più duri di oggi, roba da pane e acqua, altro che telefonini e tablet. L’egoismo generato dall’era postsessantottina è diventato cultura imperante nel nostro paese e questi sono i risultati. Moriremo tutti con gli occhi a mandorla, rumeni e africani (che proliferano che è una meraviglia e poi sbarcano in Italia e in Europa). Eppure, basterebbe un semplice gesto di generosità: restituire il dono della vita e dare anche ad altri potenziali figli la possibilità di vedere ciò che vediamo noi. Forse l’egoismo acceca. Il problema è anche dello Stato. Perché non incentiva le nuove nascite, anzi. Pensate che Berlusconi aveva varato una norma che per ogni primo figlio invece di dare una dote, avviava le famiglie a indebitarsi, con prestiti di 5000 euro. Cose da matti. Comunque con tanti figli una Nazione diventa ricca, guardate nella stessa Cina, India, Brasile, tutti paesi emergenti. Ne vale la pena anche sul piano economico.

Bersani in Calabria ha detto tutto e niente tra figli di troi…ka, anziani baroni e bambole truccate

“Non possiamo tollerare elementi di classismo nell’istruzione, è il peggio che possa capitare alla societa”. Lo ha detto Pierluigi Bersani parlando all’Università della Calabria nella sua visita in regione, dove è stato contestato da un gruppo di studenti al grido: “Non siamo figli di troi… ka”.
La platea è quella delle grandi occasioni. In larga parte attempata, pochi giovani, truppe cammellate e molti baroni sessantottini, con qualche “bambola” truccata qua e là.

C’era il “nuovo” che avanza per usare una metafora. Che avanza lento ma deciso alla conquista della “nuova” Italia. Parla di tutto e di niente, Pigi Bersani. Tocca argomenti nazionali triti e ritriti. Le tasse, le riforme, (si guarda bene dal toccare a fondo quella del lavoro e delle pensioni). Non dice nulla sulle grandi questioni: l’alta finanza e il predominio delle banche, del ruolo dell’Europa, dell’euro, della Bce e dei trattati internazionali, ma butta giù qualche elogio a quel governo Monti che lui ha voluto e che ancora sostiene.

Tra battute e sorrisi, esterna finta sicurezza il leader che molti nel centrosinistra vorrebbero a palazzo Chigi. Il volto stanco per il fitto impegno (ieri su Sky ha perso il confronto con gli altri quattro contendenti, tra cui Renzi e Vendola), Pierluigi, sente tutto il fiato sul collo delle nuove leve che vorrebbero inchiodare una sua foto nei corridoi di via Sant’Andrea delle Fratte, con la didascalia: “Pierluigi Bersani, ex segretario del Pd”. Il 25 novembre è vicino e lui sente comunque la vittoria in tasca. Probabilmente la spunterà avendo a suo favore tutta la nomenclatura che Renzi vorrebbe mandare a casa.

“E’ un vero insulto alla società – ha detto poi Bersani – voler studiare e non poterlo fare. Dobbiamo riportare la tassazione ai livelli europei, del tema del diritto allo studio dovremmo farne un tema d’attacco della nostra politica.
Noi critichiamo le nostre università, ma dall’estero appariamo, in molti settori come quelli che formiamo meglio la gente. E infatti ci rubano i laureati”. Il leader del Pd ha poi elogiato il sistema universitario di Arcavacata definendolo “un fiore all’occhiello” nel panorama nazionale. Pesano poco, come doveva essere, gli scandali giudiziari che legano il nome dell’Ateneo alle false lauree.

“Ci vuole – secondo Bersani – un contratto unico dei ricercatori, un percorso più certo e favorire le start up che possono decollare da percorsi di ricerca. C’e’ tanto da fare”, ha detto in modo generico. Per Bersani “la legge Gelmini va certamente modificata, e tuttavia dico – ha aggiunto – che sono alla ricerca di una situazione in cui modificando quello che non va, si riesca a impostare una prospettiva stabile del sistema. Non possiamo prendere ogni anno degli schiaffoni. Facciamo una ragionata seria con gli aventi causa e cerchiamo di allestire una prospettiva, non possiamo destabilizzare il sistema ogni sei mesi. E c’e’ anche un meccanismo di turnover che va rivisto”. Il candidato alle primarie del centrosinistra si è recato poi a Crotone e Reggio Calabria dove ha chiuso il suo tour calabrese.

Bersani ha detto la sua anche sul sisma del Pollino (“Vigileremo”) e sul recente commissariamento del Comune di Reggio Calabria. “A Reggio la situazione è stata spinta dalla destra oltre i limiti della corretta amministrazione, perfino oltre i limiti della legalità”. Il Partito democratico, ha aggiunto, “darà una mano a questa città, cercando di affrontare i problemi aperti che sono stati provocati. Farò tutto il possibile per Reggio e i reggini, che meritano di meglio, anche nel ricordo di quel grande sindaco che è stato Italo Falcomatà”. Il leader è stanco e non si sbilancia più di tanto. Dalle sue parole trapelano insicurezza e tanta improvvisazione.

Sciame sismico, la Calabria trema ancora

Lo sciame sismico in Calabria continua. Alle 8.06 di stamane una forte scossa di magnitudo 4.4 è stata avvertita nella Piana di Gioia Tauro e in provincia di Reggio Calabria.

E’ avvenuta a 75 chilometri di profondita’ ed e’ al momento isolata, ossia non seguita da repliche, verso costa. Il ‘motore’ che l’ha generata, rilevano gli esperti della sala sismica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e’ il fenomeno per il quale la Placca Ionica tende a scivolare sotto la Calabria.

Lo stesso tipo di movimento il 29 agosto scorso aveva provocato un terremoto di magnitudo 4,6 in mare, nella zona dello stretto di Messina, anche in quel caso il sisma era avvenuto in profondita’ e non era stato seguito da repliche.

Le osservazioni basate sui terremoti passati, rilevano dalla sala sismica, mostrano che in questa zona non sono infrequenti scosse isolate e non seguite da repliche. ”Ma queste – rilevano gli esperti della sala sismica – sono osservazioni basate sul passato e che non hanno nulla a che vedere con il futuro”. Altre scosse sul Pollino. Lo sciame prosegue senza soste su tutto l’appennino calabro lucano.

La gente ancora ha paura e dorme all’aperto. Il governo ha dischiarato lo stato di emergenza per i primi interventi di messa in sicurezza. Finora, fa sapere l’Anas, non si registra nessun danno alle strutture dell’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria  Il traffico e’ regolare sull’autostrada e su tutte le altre arterie di competenza. ”Le squadre di emergenza, immediatamente attivate a seguito dell’evento sismico stanno effettuando sopralluoghi e verifiche continue in corrispondenza di gallerie, ponti e viadotti presenti sulla rete stradale in gestione diretta, in particolare, sull’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria”.

Bersani, l’uomo che regalò l’Italia a Monti, si candida a guidarla sulle macerie del governo tecnico

Bersani il Re del PD, dice la foto

“Il coraggio dell’Italia è anche il tuo”. Bersani dixit alla vigilia delle Primarie del Pd. Con quale faccia, c’è da aggiungere. Con quale coraggio, appunto, si ripresenta per governare dopo che l’ex ministro alle “lenzuolate” del governo Prodi ha abdicato a governare andando ad elezioni anticipate.

Aveva la vittoria in mano, nei sondaggi 10 punti avanti sul Pdl lo scorso novembre, allorquando le “pressioni internazionali” ad orologeria e gli indici dello Spread schiacciarono Berlusconi costringendolo alle dimissioni. Perché non l’ha fatto? Non voleva assumersi responsabilità? Ebbene, chi non vuole assumersi responsabilità non può fare politica, men che meno fare il segretario di un grande partito come il Pd.

Oggi Bersani vuol ripresentarsi su quelle macerie lasciate dal governo Monti a raccogliere lacrime e qualche consenso che gli elettori sono disposti ancora a dare dopo le rapina tout court e gli sfregi sociali operati dal governo tecnico voluto, appoggiato e venerato anche da Bersani. Giorgio Napolitano, regista assoluto di questa spietata operazione probabilmente si pentirà.

Rapina e sfregi, intesi come i provvedimenti scellerati, cioè a fare molto male, attuati contro il Popolo Italiano lasciato orfano di rappresentanza politica e di prospettive future.  Popolo, cittadini, elettori che avevano espresso una volontà popolare precisa per essere governati dal leader e dalla coalizione apparsa più convincente e credibile nelle proposte nel 2008. Non è stato così, sia chiaro, ma era giusto tornare alle urne. Al diavolo lo Spread e le 1500 persone che governano ogni giorno i mercati finanziari influenzando i destini dei governi e di milioni di persone.

Era giusto che Bersani nelle consultazioni dicesse: “Andiamo a votare, se ci tocca faremo noi il lavoro impopolare”. Invece ha preferito “pettinare le bambole” e raccontare alla gente castronerie. Ma non è soltanto Pierluigi il protagonista da rottamare. Le promesse di Berlusconi sono state un abbaglio per milioni di italiani, è vero! Le ha spalmate in un un ventennio. Silvio si sentiva come il Duce, ma senza avere la statura del Duce. Si sentiva come Napoleone, ma senza avere l’intelligenza di Napoleone.

Esagerava e talvolta si sentiva come l’Onnipotente senza essere né Dio nè la controfigura. Poteva, nel senso che uno coi soldi compra tutto, ma se sei stupido e hai soldi, hai potere ma rimani sempre stupido. Era solo un imprenditore (ricco sfondato) prestato alla politica che riteneva che il successo ottenuto nel lavoro poteva averlo anche in politica. In parte c’è riuscito, ma con una macchina da guerra che ha “sostitutito” quella di Occhetto (con grande dispiacere di D’Alema) con cui si è voluto anche enfatizzare un falso storico, raccontare un’altra grande menzogna: sdoganare la Destra italiana.

La Destra italiana si è sdoganata da sola sulle macerie di Tangentopoli nel ’92/93. Prima di scendere in campo ufficialmente, Berlusconi alle elezioni per il sindaco di Roma si schierò con Fini contro Rutelli: “Se votassi a Roma voterei per Fini”, disse il capo del biscione. Il simbolo che accompagnò il presidente della Camera in quell’avventura era quella del Msi-Dn di cui era segretario. La Mussolini a Napoli uguale. Entrambi furono sconfitti, ma presero milioni di voti, oltre il 45 percento di preferenze. Una grande stagione. Poi venne Silvio e Fini fece An, formazione che era già in programma. E’ stato comunque un grave errore. Un grave errore pensare che il successo nel lavoro poteva e possa trasferirsi in politica. La presunzione di Silvio è stata anche questa. (Piccolo inciso: vedo nelle liste elettorali i cosiddetti professionisti, imprenditori di successo, la cosiddetta società civile.

Niente di più sbagliato. Se uno vuol fare politica la deve fare cosciente che questa è una missione ma deve avere fiuto, idee, lungimiranza. Non è sufficiente appartenere alle cricche o agli ordini professionali). In questi venti anni ci sono anche state delle parentesi di sinistra. Ciampi (’93/’94), Dini, D’alema, Prodi. Solo quest’ultimo eletto democraticamente. I precedenti tutti con colpi di spugna e ribaltoni. Nessuno di loro ha in ogni caso saputo dare risposte. Non rimarrà nessuna traccia di loro nei secoli.

Segno di una classe politica autoreferenziale, non da rottamare come dice il coraggioso Matteo Renzi, ma da cestinare come Fiorito cestinava le fatture del gruppo pidiellino. Per colpa di costoro e di Berlusconi, oggi siamo diventati come la Grecia, forse peggio, ma ci mancano gli scontri di piazza, ci manca la forza della rabbia e dell’orgoglio, come diceva Oriana. Rispetto ai nostri “fratelli” greci – ridotti in povertà e quasi in schiavitù dai poteri finanziari vicini a Monti, Passera & CO.-, che all’Occidente nei millenni hanno regalato la Storia, la Cultura, la Civiltà, il Mito, il Logos, noi abbiamo gli ammortizzatori familiari che sono i genitori, le pensioni dei nonni e delle nonne.

Resistiamo ma fino a quando, noi italiani? Siamo come la Spagna dilaniata dall’alta finanza; come la ricchissima Argentina piegata in ginocchio dalle lobby internazionali. Grazie al cielo per loro, a Buenos Aires hanno avuto il coraggio di cacciare fuori dagli affari interni del paese il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Oggi il popolo argentino respira libertà e un po’ di benessere. Tornando a Bersani e Berlusconi, immaginate cosa significhi per un quarantenne o cinquantenne italiano di oggi sapere che possono andare in pensione a 70 anni, che i loro contributi da precario valgono “zero”.

Questo Grazie al lavoro atipico e a progetto e similari della legge Biagi (il giuslavorista ucciso dalle Br) che ostinatamente il centrodestra berlusconiano ha introdotto nel sistema normativo perché serviva al Cavaliere di Arcore per un duplice motivo: uno, come (fallace) ritorsione contro il terrorismo; l’altro, il più importante sotto l’aspetto strategico elettorale, cercare di ottenere i milioni di posti di lavoro che costui aveva promesso durante le sue campagne elettorali. E per l’Istat, istituto carrozzone che rileva ciò che vuole il potere, dire che i posti di lavoro creati sono cresciuti di due milioni, senza però spiegare che questi erano lavori atipici, a chiamata, a progetto, cococo, ossia che non valgono un corno, era cosa facile e alquanto disonesta.

Con l’introduzione della Biagi questo è successo: milioni di precari senza futuro né speranza. Diceva Berlusconi: “Meglio un lavoro atipico che in nero”. In verità, siamo passati dal lavoro fisso a quello atipico senza diminuire quello in nero, anzi! Un fallimento devastante. Per le famiglie e per i giovani. Un fallimento ma non per quelle imprese che tifavano per questi provvedimenti. Norme che tuttavia non vietavano di delocalizzare, anche avendo finanziamenti pubblici.

E così grazie alla Biagi, le Pmi poterono assumere precari, licenziarli e andare a produrre in Cina. Berlusconi è riuscìto a precarizzare l’intero sistema produttivo italiano che intanto veniva schiacciato dai nuovi competitor dei paesi emergenti. Tutto questo coadiuvato da grandi scienziati giuslavoristi e con la complicità dei sindacati, la triplice e le altre sigle sempre inclini al potere. Il risultato di quelle politiche dissennate sono sotto gli occhi di tutti.

Milioni di precari grazie alla legge 30 (o legge Biagi), milioni di giovani che non sanno come crearsi un futuro e altrettante famiglie che non arrivano alla prima settimana del mese. Famiglie e imprese schiacciate da Equitalia, un istituto para militare che reprime i piccoli per far capire ai grandi evasori che loro fanno sul serio. Col risultato che i piccoli, cioè famiglie e imprese – più facile da perseguire -, sono stati distrutti e messi sul lastrico per qualche multa o qualche contributo, mentre quel 5 percento che evade il 95 percento del totale italiano, l’ha scampato e la fa franca in barba a ciò che ritengono Befera o Monti. Una vergogna nazionale.

Le politiche di austerità dei tecnici sono queste. Annientare l’economia reale per far contenti i banchieri e la Merkel. Ma ci sono movimenti di protesta che si stanno preparando per raccogliere i molti delusi nel paese. Uno di questi è il movimento 5 stelle di Grillo. I sondaggi ad oggi lo danno al 1o%, ma il dato è sottostimato, talmente è il vuoto che si trovano a riempire in questo paese malandato. Per fortuna, verrebbe da dire. Almeno c’è da confidare in forti reazioni contro questo andazzo che ha fatto sprofondare  l’Italia. Poi viene Bersani e ci parla di “coraggio”. Eccolo il coraggio! Lo vada a raccontare ai giovani. I codardi non possono fare politica! Se li conosci li eviti.

Monti vai avanti che a me vien da ridere. Mario più gradito dei partiti (che non esistono più)

Monti in vacanza in montagna

Mario Monti al Corriere sostiene che quando è fuori dal palazzo e incontra persone per strada si sente dire: “Presidente, vada avanti”, o magari “Presidente lei è il migliore”, piuttosto che “Lei è come Napoleone…”. Non è una novità. Berlusconi trovò un tale che gli si scaglio contro dicendogli “Lei è come la madonnina!”. Ironie a parte, siamo passati dai celebri “bagni di folla” dietro piazza Colonna agli abbagli di follia. Nella sostanza cambia comunque poco. Monti è come gli altri presidenti di consiglio quando passeggiano. C’è sempre qualcuno pronto a lisciargli il pelo, a dirgli bravo e chiedergli un autografo. Poi il bocconiano sostiene un’altra cosa: che da quando c’è lui al governo, è più gradito dei partiti. Questo è un po’ vero, semplicemente perché i partiti non esistono più.
Tant’è che si sta tentando fortemente di spersonalizzarli, togliendo i nomi dalle sigle. E’ di oggi la notizia che Alfano (sempre d’intesa con Berlusconi che non molla la presa) vorrebbe cambiare il simbolo del Pdl. Operazioni di restyling dettate dalla loro progressiva disintegrazione.
Del Popolo della Libertà sta rimanendo solo una sigla[quote style=”boxed”]Del Pdl non rimarrà nulla se non svecchia e rinnova.L’Udc non è credibile. Il primo a essere rottamato è Casini[/quote] (in Sicilia è giunto al 12 percento del 47 percento dei votanti) e se non svecchia e rinnova, rimarranno il “club” iniziale con cui Berlusconi scese in campo. Quattro amici. Il Pd idem; un partito che ha deluso le aspettative di milioni di persone ed eroso quel dieci percento di vantaggio sul centrodestra che aveva l’anno scorso. Bersani, l’uomo che si presenta alle primarie di coalizione come candidato premier, non ebbe le palle di prendere le redini del paese e fare quel “lavoro sporco” e impopolare che sta facendo oggi Monti. Per quale motivo la gente dovrebbe votarlo oggi? L’Idv di Di Pietro si sta sbriciolando sotto gli imbarazzi dello stesso leader-padrone che in fondo era come o peggio degli altri: un furfante come dicono a Pisa… l’Udc sta implodendo sotto le contraddizioni interne. Ha già tolto il  nome di Casini al simbolo ma all’interno comanda ancora Pierferdy, uno della primissima Repubblica che andrebbe rottamato prima di Bersani. Il cerchiobottismo non ha mai pagato, infatti l’Udc non è un’alternativa valida per l’Italia: da un lato si allea a manca e a destra e poi richiama all’unità i moderati e ai valori cattolici: c’è da chiedersi quali moderati se, come abbiamo visto in Sicilia sono in parte confluiti nelle file di Grillo e in gran parte nell’astensionismo cavalcante che nell’isola è arrivato al 53 percento. I moderati sono incazzati e a giusta ragione. La Sicilia è la regione dove negli ultimi dieci anni l’Udc ha espresso sempre il governatore: prima Cuffaro, poi Lombardo e oggi Crocetta, “comunista e gay dichiarato” che ha vinto grazie all’accordo Pd-Udc. Con Vendola in Puglia c’è mancato poco che facesse con lui l’accordo mentre in Calabria governa con la destra di Scopelliti il quale, per poco, invece dell’uscente Loiero, poteva vedersela con Roberto Occhiuto, parlamentare dell’Udc che stava stringendo un accordo col Pd poi sfumato all’ultimo momento.
C’è poi il Fli di Fini che lo davano al 14 percento, poi al 10, all’8, al 6, al 4, al due. Insomma Futuro e Libertà non esiste al momento, questo polo con Montezemolo c’è e non c’è. Registriamo l’assist del presidente della Camera ad Alngelino Alfano che però gli ributta indietro la palla: “Tu con il centrodestra mai più”, frase sempre suggerita da Berlusconi che vede Fini come fumo negli occhi. [quote style=”boxed”]Fli è inconsistente, Idv come i ladri di Pisa, la Lega con problemi, ma Grillo non è adatto a governare il Paese. Ci vuole fiuto politico[/quote] Verrebbe da dire, ma da quale pulpito, visto che Fini – che ha pure tantissime responsabilità politiche – la Destra l’ha fondata in questo Paese. La Lega che al Nord ha dei grossi problemi di riassetto dopo gli scandali in casa Bossi e dei cerchi magici. Per Maroni un lavoraccio e unica opposizione a Monti. Non rimane niente se non Grillo, che però era è resta un comico: valore politico nullo. Magari nei sondaggi potrà anche andare forte. Il problema è che non ha un background né teorico, né ideologico né pratico.
E se Grillo farà davvero il “garante” che vigilerà sulla pulizia morale dei new entry, cosa ci si può aspettare che facciano decine di ragazzini uomini e donne in Parlamento? Poco. Quindi passeremo da una Parlamento composto da yesman, vedove e veline di scarsissimo valore politico a uno in cui siederanno ragazzini, sempre “signor si”, la cui unica cosa che conosciamo è che si ridurranno le indennità (almeno dovrebbero) e che hanno il certificato penale immacolato. Requisiti utili, per carità, ma non essenziali. La politica è una cosa seria. E’ una missione per il bene comune. E se non si hanno gli attributi per farla la politica, rimarremo punto e a capo. Nei momenti di difficoltà ci troveremo davanti uomini incapaci che rinunciano ad amministrare e chiamano i tecnici.
Un quadro desolante. Comunque, Presidente Monti, visto che siamo nella categoria di “Cetto”, vada avanti che a me vien da ridere…

D'alema come Berlusconi. Nessuno lo rottama. Anzi: "Guidi la Calabria", dice Sansonetti, il "genio" che piace alla destra

Massimo D'Alema

Anche Massimo D’Alema, come Renzi, Vendola e Bersani, è tornato in Calabria per le primarie del Pd. Circondato dai suoi aficionados nella campagna pro Bersani ha parlato delle condizioni dei calabresi, di Reggio e del futuro della Calabria. Proprio lui, che quando è stato Presidente del Consiglio nel ’98 non ha mosso un dito per la Calabria. Durante il governo Prodi, poi, c’era un suo seguace, un tale di nome Marco Minniti che è stato promosso addirittura viceministro dell’Interno tanta la levatura politica. Peccato che la Calabria la vedeva dall’alto dei suoi voli di stato e nei servizi televisivi dei “salotti romani”. Era uno che volava alto, appunto. Da quella postazione la Calabria voleva rivoltarla come un “calzino”. Qualcuno che ha buona memoria lo ricorderà. Sotto la sua gestione la ‘ndrangheta ha avuto una paura tale che ha deciso di delocalizzare in Lombardia. “E’ scomparsa”? Macché! Ha un solo merito e uno stile, Minniti. Aver fatto nominare qualche vedova al Parlamento e vestire bene. Lui e D’Alema sono fatti della la stessa pasta. Compaiono al momento della raccolta del consenso, poi scompaiono per gli anni della legislatura. Non hanno mai seminato nulla. Minniti e D’Alema sono coloro che Matteo Renzi vorrebbe rottamare insieme a Bersani e a tutta la nomenclatura che hanno fatto il Pci, poi il Pds, i Ds, Il Pd, con parte di quella Margherita rutellliana, franceschiniana e lusiana. Sono da venti, trentanni sulla scena politica ma non vogliono saperne di mollarla. [quote style=”boxed”]Se vincesse Renzi tutti a pettinar le bambole. Parola di Pierbersy[/quote] Un po’ come Berlusconi, che a sentire parlare di primarie si sente male. Rappresentano il vecchio e vengono appoggiati da tutti coloro i quali hanno avuto benefici in termini politici. Pensate a un battagliero come l’onorevole Franco Laratta che nei dibattiti ha sempre parlato di “rinnovare” di “svecchiare”, uno che spara a zero su tutto…Sarebbe naturale che uno come Laratta, appoggiasse Renzi e invece no. Appoggia Bersani, l’ex ministro passato alla storia di questo paese per le lenzuolate delle liberalizzazioni. In verità Laratta, così come molti, difende la sua ricandidatura in Parlamento. Se vincesse Renzi, “tutti a pettinar le bambole”, come ripete sempre il “suo” segretario del Pd. Ma la ciliegina sulla torta, ieri, durante il tour di D’Alema, oggi presidente del comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti, l’ha messa un giornalista: Piero Sansonetti, direttore di Calabria Ora, noto a livello nazionale per le sue passerelle nei salotti televisivi che condivide talvolta proprio con D’Alema. Gli pone una domanda al lider Maximo: “Ha mai pensato di candidarsi a governatore della Calabria?”. Woow! Un grande giornalista con una visione lungimirante. Mizzica, che domanda. Uno pensa, ma se l’ha chiesto Sansonetti sarà pure una domanda sensata e “autorevole”, si? No! Ma come si fa? E perché mai D’Alema avrebbe dovuto “pensare” una cosa così simile se il suo partito non è manco riuscito a vincere nella sua Puglia dove oggi governa Vendola di Sinistra e libertà? Anzi, all’uomo del “bianchetto” di Forattini c’è chi nel suo partito vuol mandarlo ai giardinetti a far giocare i nipotini, altro che governare la Calabria che non è nemmeno la sua regione né quella di Sansonetti che per chi non lo conoscesse, è un giornalista d’assalto”, “autorevole”, di “sinistra” gradito alla destra per le sue posizioni “anticonformiste”. Virgolettato d’obbligo. Un po’ come il Pansa del “sangue dei vinti”, che è sicuramente più coerente. Sansonetti vuole forse D’Alema per controllare da vicino i servizi segreti, molto attivi in una terra di mafia, di usura e di traffici illeciti? E’ pur vero che Scopelliti non naviga in acque tranquille, che ha dei problemi politici e giudiziari seri (anche lui, se vuole dare un segnale di credibilità politica deve azzerare tutto e ripartire) ma da quì a sostituirlo con D’Alema ce ne passa. Comunque l’ex direttore dell’Unità ha declinato l’invito del “prestigioso” collega ed è andato via sorridendo sornione. Questo è un po’ il senso dei tour che si vedono in Calabria. Una terra di frontiera dove si pensa viva una tribù con l’anello al naso. Una terra di conquiste, dove raccattare voti e piazzare qualche politico spurio senza patria e talvolta qualche commissario di partito senza fissa dimora. E, perché no, anche qualche direttore di giornale…In privato, del resto, con i propri soldi si può far cio’ che si vuole…

Pollino, è stato di emergenza. Arriveranno quattrini. Gente dorme ancora all’aperto

Il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per lo sciame sismico in atto sul Pollino. La decisione è arrivata oggi dopo diverse pressioni politiche ed istituzionali e dopo l’impegno diretto del sottosegretario calabrese alla presidenza del Cdm, Antonio Catricalà. Dichiarare lo stato di emergenza, infatti, ha dei costi notevoli (parliamo di decine, talvolta centinaia di milioni di euro). Lo sciame è ancora attivo sotto il massiccio che unisce Calabria e Basilicata e la paura fa ancora 90. Da due anni piccole scosse, talvolta impercettibili, non accennano a diminuire. Il 26 ottobre scorso quella da 5.0 ha fatto tremare anche Cosenza. La gente dorme in auto, le abitazioni sono lesionate, alcune inagibili. “La psicosi tra la gente e’ ancora molto diffusa”, scrive in un reportage dell’Ansa Ezio De Domenico. “Nel paese si continua a vivere nell’angoscia anche perche’ nessuno si illude che la scossa del 26 ottobre rappresenti il culmine dello sciame che e’ in corso. Non c’e’ tregua, dunque, a Mormanno e negli altri centri colpiti dal sisma ed ai disagi per quanto e’ accaduto si aggiunge la paura per cio’ che ancora potrebbe accadere. Il Consiglio dei Ministri oggi ha dichiarato, intanto, lo stato di emergenza. Una decisione che era attesa per fare fronte ai danni che sono stati provocati dal sisma e che consentira’ adesso una pianificazione degli interventi per rimettere in sicurezza le case dichiarate inagibili. ”E’ una decisione importante – ha commentato il sindaco, Guglielmo Armentano – per avere a disposizione i finanziamenti necessari per intervenire nel centro storico, che e’ tutto danneggiato. Ed un primo passo verso il ritorno alla normalita”’. Soddisfazione e’ stata espressa anche dal sottosegretario alla Protezione civile della Regione Calabria, Franco Torchia, secondo il quale ”l’assunzione di responsabilita’ da parte del Governo di fronte a questa drammatica situazione rappresenta un messaggio importante per i cittadini dell’area del Pollino e assume un significato particolare nel momento in cui occorre uno sforzo congiunto tra le istituzioni per uscire dall’emergenza”. Intanto a Mormanno si fa la conta dei danni, che di giorno in giorno si presentano sempre piu’ gravi. Le famiglie le cui case sono state dichiarate inagibili sono 82. Complessivamente le costruzioni che non possono essere utilizzate per i danni subiti sono 208, ma le verifiche sono ancora in corso e le scosse che si susseguono non fanno che peggiorare la situazione. Il sindaco Armentano negli ultimi due anni ha svolto un’opera soprattutto di educazione nei confronti dei cittadini per prepararli al peggio e fare loro affrontare l’emergenza senza farsi sopraffare dal panico. Un’azione che si e’ rivelata vincente nel momento in cui si e’ verificata la scossa piu’ grave per la compostezza che ha caratterizzato il comportamento degli abitanti di Mormanno. Adesso, pero’, Armentano non puo’ nulla contro la psicosi che si e’ diffusa tra la gente. ”La paura e’ cosi’ tanta – commenta il sindaco Armentano – che la gente non accetta neppure di dormire nella palestra in cui sono stati allestiti cento letti. Ci vengono soltanto per consumare i pasti caldi che vengono preparati, ma di restare al chiuso la notte non vogliono sentire parlare”. Intanto nei prossimi giorni arrivera’ a Mormanno Gianfranco Fini. La visita e’ stata preannunciata dalla segreteria del Presidente della Camera con un telefonata al sindaco Armentano.

Politica calabrese, le donne si ribellano: "Basta, emigrate voi"

La politica calabrese sotto assedio. Una serie di valigie di cartone con su scritto i nomi del presidente della Giunta regionale della Calabria Giuseppe Scopelliti e di tutti gli assessori ed una con la scritta ”e adesso partite voi”.

Cosi’ le ”Donne calabresi in rete” hanno protestato oggi davanti alla sede del Consiglio regionale, a Reggio Calabria, contro la politica calabrese e dire che ”la Calabria non ci sta”.

Oltre alle valigie, collocate sulla scalinata all’ingresso del palazzo, le donne, giunte da varie zone della Calabria, hanno anche aperto alcuni ombrelli con sopra una lettera che, messe uno accanto all’altra, hanno formato la scritta ”Andate via”.

”Siamo qui – ha detto la portavoce del movimento, Giovanna Vingelli – per dire che la Calabria non ci sta. Volevamo uscire dallo spazio virtuale che ci ha visto nascere come Donne calabresi in rete, per mettere le nostre facce e gridare forte il nostro dissenso verso questa classe dirigente e politica che rappresenta ormai solo se stessa.

Questo e’ solo il primo appuntamento di tanti altri con cui le donne calabresi e tanti uomini non vogliono dire solo no ma vogliono proporre un’altra Calabria”. Numerose le adesioni alla manifestazione da parte di movimenti, non solo femminili, e associazioni della Calabria e di altre regioni. Al termine del sit in, le donne hanno cercato di entrare nella sede del Consiglio regionale per lasciare le valigie di cartone, ma e’ stato loro impedito. Per questo motivo le hanno accatastate davanti all’ingresso.

Le carceri scoppiano mentre gli addetti alla sicurezza e gli educatori languono.

Nel sistema carcerario italiano i detenuti superano di molto la capienza effettiva, mentre gli educatori sono troppo pochi. Siamo davanti ad un depotenziamento del sistema sicurezza in tutto il paese. “L’ultima immissione in ruolo di direttori di istituto risale al 1997 e di direttori di Uepe”, ossia gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna, “risale al 1998”, mentre, “di contro, dal 2005 al 2012, sono stati immessi in ruolo 516 commissari di polizia penitenziaria cui è stato attribuito il compito di assicurare ordine e sicurezza all’interno degli istituti, avvalendosi del corpo di polizia”. La spending review produrrà, quindi, “un effetto devastante” in questo quadro caratterizzato da scelte che “testimoniano in modo evidente un’attenzione prevalente dell’Amministrazione penitenziaria alla garanzia dell’ordine e della sicurezza”.
E’ quanto rilevano i funzionari giuridico-pedagogici delle carceri in una lettera inviata al ministro della Giustizia, Paola Severino, e al capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. Le cifre riportate nella lettera parlano di 415 dirigenti, 1007 funzionari giuridico-pedagogici (educatori), 1062 funzionari di servizio sociale a fronte di 516 commissari e 37.127 poliziotti penitenziari. E questo indica una sproporzioni – sostengono i firmatari – rispetto alle finalità di
“rieducazione del condannato” che gli istituti carcerari dovrebbero avere. Negli ultimi anni “si è assistito ad un nuovo trend ascendente di episodi gravemente conflittuali, sempre drammatici e talvolta sanguinosi, fra i detenuti e fra detenuti e operatori. Il caso Cucchi è diventato emblematico”, si legge nella lettera.
E ancora: rispetto “alla carenza di personale di polizia, l’esperienza di altri paesi europei ci dimostra che il rapporto numerico agente/detenuto in Italia è fra i più alti e che forse il problema è piuttosto di tipo culturale ed organizzativo. Ad ulteriore riprova di ciò, si segnala che in l’Italia, di contro, il rapporto numerico personale addetto al trattamento/detenuto è fra i più bassi: ed è proprio quel personale che viene considerato da questo Governo in esubero”.

Berlusconi allunga l'agonia del Paese se pensa di decidere le primarie del Pdl. Nessuna contromossa potrà arrestare la modernizzazione dei partiti

Berlusconi suggerisce Alfano

Silvio Berlusconi esce nuovamente allo scoperto e irrompe col suo stile sulla scena politica italiana. Non ci sta ad essere rottamato, men che meno formattato dai suoi “figli” e chiacchierato dai maggiordomi nominati nei due rami del parlamento. Il Cavaliere non vuole cedere ad altri il più grande patrimonio (non parliamo di quello economico) costruito con fatica in venti lunghi anni di sacrificio politico, di impegno personale e spesso mal di pancia. Ecco perché tentenna. Un giorno dice “faccio un passo indietro”,  quello seguente smentisce. Facciamo le primarie? Avanti adagio. “Ok, facciamole, ma decido io i garanti”. Ma dove siamo?, in qualche staterello arabo? In questo Gianfranco Fini, coofondatore del Pdl “cacciato” per incompatibilità col capo, aveva e ha ragione da vendere. Berlusconi non ammette il dissenso. Si sente ancora il “padrone” indiscusso del Pdl, del suo partito, della sua grande “azienda”. E’ istinto naturale di un padrone difendere ciò che sente suo. Il cavaliere sbaglia quando non comprende, purtroppo per lui e per noi, che in politica i cicli finiscono. [quote style=”boxed”]Il Cavaliere è ossessionato dal ricambio generazionale. Ma non capisce che è finito un ciclo[/quote]Quando sente parlare di Primarie a Silvio viene l’orticaria (infatti non ne ha mai indette in ventanni). E’ come se fosse ossessionato dal ricambio generazionale, ovvero se si realizza, anche a cent’anni lui vuol essere protagonista, stare sempre sulla (o dietro) la scena. Soffre se vede che qualcuno possa rubargliela, a meno che non sia lui, il regista a decidere chi può fare “l’attore” di primo piano o la “comparsa”. E non si è reso (e rende) conto che così facendo ha distrutto tutto, tranne le sue aziende che sono salde sotto la guida dei figli. Pierferdinando Casini e lo stesso Fini, un tempo “eredi” naturali, (ma  poi diseredati), alla sua successione, conoscendolo bene, oggi  godono politicamente di questa situazione. Sia Fini che Casini capirono anzitempo, (Pier, un po’ prima) che per loro non c’era lo spazio che si aspettavano. Avevano compreso questa “mania”, la tendenza di Berlusconi a non mollare l’osso. Capirono entrambi che l’ombra del Cav. era troppo ingombrante per un partito che aveva un capo e due eredi che a loro volta dovevano contendersi un’unica poltrona: quella di capo del governo. La leadership del Pdl e del centrodestra sapevano che spettava sempre e comunque a B, anche se questo avesse deciso di cedere il passo, come è avvenuto fittiziamente e non senza ipocrisie con il giovane Alfano. Chi dei due, nel “dopo Berlusconi”, quindi in questi mesi, avrebbe potuto ambire a questi ruoli? Sarebbe stata una guerra che neppure le grandi mediazioni del compianto Pinuccio Tatarella potevano evitare. Ecco perché Berlusconi, fatti fuori Fini e Casini, è rimasto il dominus incontrastato, “il padrone”, assoluto come dice oggi Fini. Dicevamo che Casini comprese un po’ in anticipo che fosse meglio la rottura e fare l’ago della bilancia negli assetti politici-elettorali, piuttosto che essere la terza fila in eterno: e sempre e comunque dopo Fini. Oggi pur avendo il sei percento di consensi ha dimostrato di saper fare il gioco che più era congeniale ai democristiani: un piede nel palazzo, l’altro nella stanza dei bottoni. L’importante è “c’entrarci”. Per lui, del resto, nella “grande casa” dei moderati pidiellina, era molto difficile aspirare alla presidenza del Consiglio o avere un ruolo in un partito in cui si sentiva sì rappresentato, ma fortemente minoritario. Ecco perché la rinuncia all’invito di San Babila.  A quei tempi, per Berlusconi, ma anche per molti popolani del Popolo della Libertà, Fini era il punto di riferimento indiscusso. Fini era l’idea del partito, l’esempio della militanza, l’onestà emersa dalle macerie giudiziarie del ’92. L’erede di Almirante – un lascito molto discusso all’interno della destra storica – che riuscì a traghettare i postfascisti nell’alveo costituzionale, soprattutto “istituzionale” e di Governo, quindi la guida politica e, al contempo, l’erede “su misura” per Berlusconi che, va ricordato, scese in campo nel ’93 appoggiando proprio la candidatura di Fini a sindaco di Roma.

Casini nel  ’92-93 era un giovane e ininfluente dirigente della Dc; Gianfranco Fini sfidava invece Francesco Rutelli nel post tangentopoli e prese, sotto le insegne del Msi, il 47 percento dei consensi. La Mussolini a Napoli più o meno la stessa cosa. Persero, ma fu una grande vittoria morale conquistata con decenni di opposizione, di rettitudine e di esempio politico dove passione, coerenza e onestà erano le parole chiavi di una stagione in cui si lasciavano le feste tricolori per entrare nei palazzi di governo. E così fu. Erano anni di intese incontrastate. Mai uno screzio. Per quindici anni tra grandi sogni e promesse tradite.
Poi vennero i veleni e le veline. La casa di Montecarlo, la spietata campagna dei giornali di Berlusconi contro il presidente della Camera. La giornata all’Ergife e quel “Che fai, mi cacci?…”. La dichiarazione di “incompatibilità” di Fini con il Pdl pronunciata da Berlusconi (che intanto, va detto chiaro e tondo, non risparmiava ore la notte per poter ben governare di giorno).
Fino alla richiesta di dimissioni del numero uno di Montecitorio. Poi ci fu la nascita di Futuro e Libertà fino alla storica giornata dello Spread con le pressioni internazionali che hanno costretto Berlusconi alle dimissioni, sollecitato dalla piazza e dal capo dello Stato Napolitano, il quale una quindicina di giorni prima nominò Mario Monti senatore a vita per poi affidargli le redini del Paese senza passare per il voto, nonostante il vantaggio nei sondaggi del Pd di Bersani di dieci punti. Tutti i leaders dei partiti, opposizione compresa, guidati da Giorgio Napolitano, hanno rinunciato alla responsabilità. Al loro dovere per cui sono anche ben pagati. Hanno cioè “svenduto” (termine giusto sebbene sia nelle prerogative del capo dello Stato incaricare qualcuno per formare un nuovo governo) il voto popolare cedendo la responsabilità a Monti di fare quel  “lavoro sporco” chiesto da poteri indefiniti in Europa e da quei mercati semi spaziali, invisibili, virtuali, ma che dettano legge e hanno in mano il boccaglio dell’ossigeno. Un lavoro questo esecutivo che sta continuando “bene” a colpi di decreti d’urgenza e decreti legislativi (cioè il Governo è delegato dal Parlamento a legiferare). Abdicazione assoluta o rinuncia per timore di assumersi le proprie responsabilità davanti agli elettori? La politica resta ora in attesa delle prossime elezioni. Spera di passare sulle macerie lasciate dai tecnici per raccogliere lacrime e consensi e quei pochi cocci rimasti di quella Italia che Silvio B. “aveva in mente” nel ’94.[quote style=”boxed”]I tanti silenzi, gli assensi reverenziali verso Silvio hanno favorito l’agonia della politica e del centrodestra [/quote]Il nuovo annuncio di Berlusconi, che a leggerlo da diverse angolazioni pare fatto apposta per non essere compreso, lascia l’amaro in bocca a quanti speravano in un rinnovamento concreto. Un suo passo indietro e un nuovo protagonismo politico, animato da quel confronto-dialogo-critica-dissenso, chiamiamolo come vogliamo, era auspicabile. Bisogna che i pidiellini lo ammettano: a destra molte volte si è stati in colpevole silenzio in attesa delle mosse del capo e dei tanti generali e colonnelli rimasti oggi senza truppe. Questo è il punto. Reverenziali e yesman fino all’ultimo; quasi come se la cosa più importante fosse incamerare vitalizi e corpose indennità, restare al proprio posto, “tanto ci va un altro ed è la stessa cosa”, diranno. A destra come a sinistra. Ma in termini politici non ha pagato. Che poveracci! Disonesti intellettualmente perché consentono che continui questo gioco al massacro contro gli interessi nazionali. L’agonia di un paese morente e di una politica appesa alla corda di Grillo. Un quadro devastante favorito da un diffuso clima di assenso reverenziale verso il capo corrente o capo partito. Un bruttissmo messaggio. A pochi anni dalle 80 primavere pensa come stare ancora sulla scena il prossimo ventennio, mr. B? Gli italiani e gli elettori del centrodestra dovrebbero impedirlo, dovrebbero dire con forza che “non vogliano invecchiare avendo lo stesso leader come a Cuba”. Spazio, largo, fate largo! Il Pdl faccia le primarie vere senza B e senza garanti designati da B. Senza uomini e donne un tempo nominati da B. Così la politica può recuperare credibilità. Per evitare che il “non voto” siciliano si ripeta alle politiche, dove Grillo, l’antipolitica e la “non politica” detengono la maggioranza dei voti.  Siate credibili. Rinnovate e svecchiate. Soprattutto all’alba del nuovo trionfo di Obama, che a 50 anni è già al secondo mandato mentre Napolitano che ha quasi 90 anni ha dovuto fare gli auguri degli italiani.

Protezione civile, Gabrielli: Serve una strategia euromediterranea

Prefetto GabrielliServe una ”nuova strategia comune” euro-mediterranea che prosegua quanto fatto con il precedente programma regionale di prevenzione dei disastri (PPRD South).

E’ questa la richiesta del capo della Protezione civile Franco Gabrielli avanzata a Bruxelles nell’ambito della conferenza conclusiva del PPRD South, finanziato dall’Ue (5 milioni su un arco temporale di quasi 4 anni) e gestito da un consorzio di Paesi coordinati dall’Italia.

”La prevenzione, la preparazione e la risposta alle catastrofi rappresenta una delle priorità per i Paesi del Mediterraneo e dei Balcani”, ha sottolineato Gabrielli. Per questo ”la collaborazione in tempo di pace tra le autorita’ di Protezione Civile dei diversi stati gioca un ruolo cruciale nella riduzione dei rischi a livello nazionale e regionale”.

Alla luce del fatto che negli ultimi anni il Mediterraneo e’ stato colpito da diverse catastrofi sia naturali che provocate dall’uomo, e che nel futuro ci sara’ una sempre maggiore urbanizzazione delle coste, e’ quindi necessario ”migliorare i sistemi di gestione degli eventi calamitosi”, ma soprattutto ”lavorare in modo ancora piu’ sinergico ed efficace sulla prevenzione e preparazione delle popolazioni”, ha avvertito il capo della Protezione civile, sottolineando che ”c’e’ ancora molto da fare”.

Caso Rende, Pd: "Infiltrazioni mafiose mai provate. E' un depistaggio"

marco minniti“L’interpellanza presentata alla Camera e al Senato dai parlamentari calabresi del PDL su presunte e mai provate infiltrazioni mafiose nel comune di Rende, non può che essere definita un volgare tentativo di depistaggio dell’opinione pubblica. E’ chiaro a tutti che il tentativo è solo quello di far dimenticare il tracollo del ‘modello Reggio’ e il fallimento della politica amministrativa in Calabria. Com’è noto, la “Cooperativa Rende 2000”, nata nel 2000, ha ottenuto la gestione, dopo regolare gara, di alcuni servizi, pur potendo l’Amministrazione Comunale procedere all’affidamento diretto. Nel 2008 il Comune ha inteso costituire una società per garantire i servizi comunali e con sensibilità sociale ha assunto, sempre nel rispetto della legislazione vigente, a tempo parziale i lavoratori della Cooperativa in numero di circa duecento. Si tratta, quindi, di lavoratori che hanno accettato un salario dimezzato per via del tempo parziale pur di evitare un numero inferiore di occupati e, cosa importante, hanno presentato il certificato del casellario giudiziario del tutto regolare. Successivamente un lavoratore, in una conversazione telefonica con un presunto delinquente, ha chiesto voti per due amministratori, candidati al Consiglio provinciale di Cosenza. Sull’episodio è in corso un’indagine dell’Autorità Giudiziaria e chiunque abbia un minimo di senso dello Stato e di rispetto delle regole democratiche, apprezza la tempestività delle opportune verifiche da parte della magistratura e delle forze dell’ordine. E ne attende i risultati. Cosa c’entra tutto questo con la pretesa del centrodestra di pretendere l’intervento del Ministro degli Interni, al fine di ottenere la Commissione di Accesso al comune di Rende, per verificare eventuali infiltrazione mafiose? Il comune di Rende, per tradizione decennale, gode in Calabria di grande considerazione per essere stato diretto da amministratori di grande solidità riformista. La città costruita a sud di Cosenza è un modello di efficienza dei servizi, di rispetto dell’ambiente, di buona amministrazione e di rispetto delle leggi. In questo caso sì che possiamo parlare di Rende come un modello di sviluppo e di crescita, apprezzato in tutta Italia. Ben altro è il modo di amministrare del centrodestra, simboleggiato dallo scandaloso ‘modello Reggio’, fondato sulla sistematica violazione delle leggi. Tanto che per infiltrazioni mafiose è stato di recente sciolto il consiglio comunale reggino. L’ inopportuna presa di posizione dei parlamentari calabresi del centrodestra su Rende, vuole certamente nascondere il fallimento della loro esperienza di governo in alcuni importanti comuni calabresi e nella stessa Regione. Se la loro intenzione è quella di provocare un polverone per dimostrare l’omologazione di tutte le forze politiche, sbagliano bersaglio e rendono ancora più evidente il loro disagio e lo smarrimento provocato dalle note vicende reggine e dalla fallimentare gestione della Regione”. E’ quanto si legge in una nota dei deputati del Pd, Franco Laratta, Doris Lo Moro, Cesare Marini, Marco Minniti e Nicodemo Oliverio.

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