11 Ottobre 2024

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Caso Scajola, dalla dama bianca a quella bionda alla vedova nera

“Si chiama Rosa Criscuolo, ha 33 anni, avvocatessa di San Giorgio a Cremano ed è la donna con la quale l’ex ministro Claudio Scajola ha trascorso la serata in un albergo di via Veneto a Roma prima di essere arrestato. «Con Claudio ci diamo del tu anche se l’ho visto solo due volte. Quella notte nello stesso hotel ma in camere diverse. A cena abbiamo parlato dei veleni di Forza Italia». E sulla Pascale: «Non mi è simpatica, parla male di Cosentino»”.

L’intrigante e sexy “dama bionda” in questa intervista al Corriere del Mezzogiorno parla dell’ultima sera con Scajola. “Abbiamo parlato di Forza Italia e della Pascale che detesto”. Lei si definisce la “vedova nera” nel senso che chi l’ha frequentata è finito in carcere: da Scajola a Iannicello a Cosentino. “Mai votato per Forza Italia”

 (Angelo Agrippa per il  Corriere del Mezzogiorno 13-5-2014)
Insomma, lei è stata in compagnia dell’ex ministro Scajola la sera prima del suo arresto?
«Sì. Abbiamo cenato assieme. Lui non mangia pasta, ha preso una scaloppina al limone. Abbiamo parlato dei problemi di Forza Italia in Campania».
Con il ligure Scajola?
«Sì, Claudio voleva sapere cosa accade qui da noi».
Claudio? Gli dà del tu?
«Guardi, se vuole insinuare chissà cosa, le dico che non è così. Claudio è troppo avanti con l’età. Sì, gli do del tu, cosa c’è di male? Tra due persone che si stimano non c’è nulla di male».

Un rapporto confidenziale, il vostro?
«Cosa vuoi dire? Sì e no l’ho incontrato un paio di volte. Grazie ad alcuni riferimenti comuni sul territorio. Il deputato Paolo Russo, per esempio, è un suo amico».
Dove ha incontrato Scajola per la prima volta?
«Non sono pratica di Roma. La prima volta ci siamo visti a marzo scorso. Anche allora abbiamo cenato. Ma non abbiamo dormito nello stesso albergo».
Mentre la sera prima dell’arresto lei e l’ex ministro dell’Interno avete dormito nello stesso albergo.
«Sì, all’Hotel Imperiale di via Veneto. Io nella camera 203 e lui nella 213».
Ricorda entrambe le camere? «Ho buona memoria».

Le ha detto nulla della latitanza di Matacena?

SEXY Rosa Criscuolo
SEXY- Rosa Criscuolo

«Macché, assolutamente nulla. Ne ha ricevuto alcuna telefonata mentre mangiavamo».
Rosa Criscuolo, 33 anni, da San Giorgio a Cremano, fisico esuberante, un passato come fotomodella, un presente come avvocato praticante con studio in corso Lucci a Napoli, ex candidata dei Ds, nel 2007, al consiglio comunale della sua città, oggi iscritta ai Radicali italiani, si considera la «spin doctor» de I Cosentiniani, un gruppo sorto su Facebook a sostegno dell’ex sottosegretario e coordinatore campano del Pdl finito nuovamente agli arresti con l’accusa di estorsione e sotto processo perché imputato di concorso esterno in associazione camorristica.

Ma allora, lei e Scajola di cosa avete parlato?
«Claudio è un uomo serio, tranquillo, riservato. Mentre cenavamo abbiamo guardato anche un film in tv. Aveva un gran mal di testa. Sì, era incavolato nero contro Giovanni Toti, il consigliere di Berlusconi. Era rimasto deluso perché diceva che gli ha negato la candidatura alle elezioni europee. Pure con Berlusconi ha il dente avvelenato. Io gli ho detto che non se ne può più in Campania, i filtri del partito sul territorio raccontano tutta un’altra realtà al livello centrale. Ed è per questo che io preferisco mantenere contatti diretti con gli esponenti nazionali».

Con quale altro esponente nazionale ha interlocuzioni così assidue?
«Non posso dirlo. Uno sì, è Giorgio Leonardi, ex segretario provinciale del Pdl trentino. Ora, però, con altri amici e colleghi avvocati stiamo costruendo un nuovo movimento politico qui a Napoli. E se vengono a sapere con chi manteniamo i nostri contatti non ci lasceranno in pace».

Chi non vi lascia in pace?
«I Cesaro, i De Siano. Temo la loro reazione. Vediamo domani, sarò a Gragnano con il capolista di Forza Italia alle Europee, Raffaele Fitto».
Scusi se insisto: è possibile che Scajola non temeva di essere arrestato? Non le ha detto nulla a cena, poche ore prima di essere portato a Regina Coeli?
«No, nulla. Mi ha solo raccontato che quando ha ricevuto la sentenza di assoluzione per quell’altra storia, la vicenda della casa al Colosseo, ha avuto come la sensazione che in Forza Italia fossero tutti scontenti. Quasi come se si fossero aspettati una condanna, non l’assoluzione».
Bel clima.
«A chi lo dice, a me? Sembro la “vedova nera” della politica. Attenti a prendere un caffè con me. Ho collaborato con il consigliere regionale Massimo Ianniciello e lo hanno arrestato per la storia dei rimborsi facili. Ho sostenuto e sostengo Nicola Cosentino e si sa dov’è, nel carcere di Poggioreale. Ora vado a cena con Claudio e l’indomani mattina viene arrestato: alcuni amici mi sono venuti a prendere a Roma, tanto sono rimasta sotto choc per la notizia dell’arresto».

Porta male a quelli di centrodestra?
«Chissà. Ma io credo in un disegno: vogliono ridimensionare Forza Italia perché con Ned e altri cespugli puntano a ripartire alle prossime elezioni politiche, ma senza portarsi dietro i leader del territorio».
Chi c’è dietro questo disegno?
«Secondo lei?».
Anche lei ce l’ha con la signorina Pascale?
«No, non mi parli di quella lì. Non mi è simpatica».
Non l’ha mai conosciuta?
«Mai, neanche sfiorata».
Perché ce l’ha con Francesca Pascale?
«Perché parla male di Cosentino».

Lei è stata candidata dei Ds al consiglio comunale di San Giorgio a Cremano?
«Confermo, nel 2007, ma come riempilista. Poi nel 2010 mi sono presentata in una lista civica e lì è andata molto meglio».
Com’è diventata cosentiniana?
«Per la mia passione liberale e garanti sta. Mi occupo di temi sociali, per sei o sette mesi ho lavorato presso la commissione regionale per le Politiche sociali. Ma non ho mai votato né per il Pdl, né per Forza Italia».
Prende in giro?
«Per niente. Certi valori non sono ne di destra, ne di sinistra».
Scusi, lei è fidanzata?
«Ho una relazione con un giovane, e se vuole saperlo è impegnato con il Pd. E con lui che mi sono incontrata a Roma prima di andare a cena con Scajola».
Non è geloso?
«Di chi, di Claudio? Ma mi faccia il piacere».

Rai, il governo sui tagli tira per la sua strada e dalle sedi regionali scoppia la protesta. Potenza: "Effetti devastanti"

raywayantenneSi è tenuta ieri 12 maggio, presso la sede Rai di Potenza, l’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori Rai e Raiway di Basilicata. L’assemblea è stata molto partecipata, con un ampio dibattito al quale hanno apportato contributi anche giornalisti e sindacato Usigrai. E’ quanto rendono noto in un comunicato congiunto Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil Snater e Ugl.

Il decreto legge 66 del 2014- continua la nota – rischia di avere effetti devastanti sul servizio pubblico mettendo a repentaglio il pluralismo dell’informazione, la copertura territoriale, l’integrità del perimetro aziendale e, non ultima, la tenuta occupazionale: il tutto a danno di un territorio già debole come quello lucano.

Ipotizzare di chiudere le sedi regionali, così come previsto dal decreto, significa menomare la democrazia e l’informazione; negare la voce a territori e comunità già penalizzati; così come, la vendita di Rai Way sarebbe un colpo letale e andrebbe a sottrarre all’azienda il proprio “cuore” tecnico.

Nel corso dell’assemblea – continua ancora la nota – è stata condivisa da tutti la necessità di rimanere uniti e fare fronte compatto contro il tentativo sciagurato che il Governo vorrebbe mettere in atto al solo scopo di fare cassa, cioè reperire i 150 milioni di euro “chiesti” dal decreto; il tutto senza aver ipotizzato una seria proposta di contenimento dei reali sprechi e di recupero della gigantesca evasione del canone che costa alla RAI 500 milioni di euro l’anno; senza dimenticare, la grossa responsabilità del Ministero nell’assegnazione riduttiva delle frequenze per il digitale che ha determinato un grave disservizio per la Basilicata, escludendo aree di territorio dalla ricezione del segnale; disservizio al quale l’azienda è chiamata ora a rispondere con proprie risorse.

Di qui la richiesta delle sigle sindacali a tutti i parlamentari e politici lucani di intervenire immediatamente a sostegno della vertenza, prima che il decreto venga convertito in legge. I sindacati – concludono – si mobiliteranno, sia a livello territoriale che a livello nazionale, per mettere in campo ogni possibile iniziativa per impedire che il decreto 66 venga approvato senza le necessarie modifiche.

Campania, «Incarichi a parenti di politici» nel comitato di pilotaggio per il mare. Ira del Pd

Antonio Marciano“E’ polemica alla Regione per alcuni incarichi affidati a parenti di ex consiglieri. Gli incarichi – scrive il Corriere del Mezzogiorno – sono stati assegnati al figlio dell’ex consigliere regionale Franco D’Erede e a due ex sindaci di area Ncd per il «comitato di pilotaggio del Centro sperimentali di sviluppo delle Competenze nell’area dell’Economia del mare e dei Trasporti marittimi».

In una nota Antonio Marciano (foto) Pd sottolinea che «la Campania è sempre in testa nelle tristi graduatorie sulla disoccupazione e all’appello mancano centinaia di migliaia di posti di lavoro, ma almeno la famiglia D’Ercole e quella di «Regione Incarichi a parenti di politici» qualche amico del Nuovo CentroDestra vivranno di minori affanni. Cosa ne pensa l’assessore al Lavoro Severino Nappi, peraltro coordinatore della cabina di regia per la crisi occupazionale della nostra regione, convinto moralizzatore e giusto censore delle intermediazioni della politica?».

Per Marciano, vicecapogruppo regionale del Pd, «di questo Comitato di Pilotaggio fanno parte personalità che sembrano avere poca dimestichezza col mare, almeno dal punto di vista geografico: due di loro arrivano dalle aree interne di Avelline e Benevento, un terzo è stato sindaco di Acerra, non di certo il Comune del napoletano che ha più attinenza al mare», prosegue Marciano, che poi attacca: «Possibile che all’Agenzia campana per la mobilità manchino competenze di questo tipo? E che ragioni ha di esistere, allora?». Marciano chiede a Nappi di revocare gli incarichi.

"Quei baroni dell'università, tra corsi e ricorsi". Molte riforme, pochi cambiamenti. E gli ex sessantottini più potenti della colla

Baroni Universitari«Ah porci!», esclamò Perpetua. «Ah baroni!», esclamò don Abbondio». I lanzichenecchi che distrussero la Lombardia nel 1630 Alessandro Manzoni li chiama proprio così, «baroni». Dal latino “baro – baronis”, termine che, dice la Treccani, indicava «il briccone, il farabutto, il furfante». I mammasantissima delle nostre facoltà non hanno portato la peste come i soldati tedeschi che assediarono Mantova, ma di certo il loro dominio incontrastato ha contribuito a devastare l’università italiana. Dove, al netto delle eccellenze e dei tanti onesti, è sempre più diffuso il morbo del familismo, della raccomandazione e del corporativismo, a scapito del merito, delle capacità dei più bravi, della fatica dei volenterosi.
Per i baroni la strada maestra per mantenere il potere e gestire il reclutamento è, ovviamente, quella di controllare i concorsi. Come dimostra l’inchiesta “Do ut des” della procura di Bari, che sta indagando per associazione a delinquere decine di professori di diritto costituzionale: «Carissimo, consegno un’umile richiesta al pizzino telematico. Ti chiederei il voto per me a Roma… sono poi interessato a due concorsi di fascia due, d’intesa con Giorgio che ha altri interessi. Scusa per la sintesi brutale, ma meglio essere franchi. A buon rendere. Grazie», si legge in una mail che il bocconiano Giuseppe Franco Ferrari ha mandato qualche anno fa a un collega, missiva ora al vaglio della Guardia di Finanza.
La riforma Gelmini varata nel 2010 doveva mettere fine agli scandali e modernizzare finalmente gli italici atenei, da tempo in coda a ogni classifica delle eccellenze europee. Ahinoi, non sembra essere andata come si sperava. La nuova abilitazione scientifica nazionale (che ha da poco chiuso la tornata del 2012: i promossi a professori di prima e seconda fascia sono quasi 24 mila, i bocciati circa 35 mila) è stata un flop colossale. Nono stante un costo stimato superiore ai 120 milioni di euro, il concorso ha generato proteste a catena, incredibili favoritismi, migliaia di ricorsi al Tar – come risulta a l’Espresso – anche i primi esposti mandati alle procure. La lista di presunti abusi è impressionante: se in qualche caso sono stati promossi candidati che vantano solo dieci citazioni (in articoli e pubblicazioni varie) a discapito di altri che ne hanno oltre seicento, tré commissari di Storia medioevale avrebbero truccato i propri curriculum attribuendosi monografie mai scritte pur di far parte della «giuria». A Storia economica, invece, sono stati esclusi specialisti apprezzati in tutto il mondo, ma privi evidentemente dei giusti agganci: un gruppo di dodici studiosi stranieri, tra cui un Nobel, hanno così spedito al ministro Stefania Giannini una lettera indignata in cui si dicono «inquietati» dall’esito delle selezioni.
I casi sono decine: da archeologia a biochimica, da architettura a chirurgia, passando per storia economica e latino, quasi in ogni settore sono stati denunciati giudizi incoerenti e comportamenti al limite dell’etica. Che spesso nascondono, sussurrano i ricercatori frustrati, la volontà dei baroni di cooptare, al di là delle reali capacità dei singoli, i predestinati e gli insider, cioè i candidati già strutturati nelle facoltà. Andiamo con ordine, partendo dal concorso di Diritto privato. L’abilitazione è finita sulle pagine di cronaca perché il commissario straniero (il membro Ocse è una delle novità più rilevanti della riforma) parlava solo spagnolo. Come abbia fatto José Miguel Embid a leggere e valutare i complessi tomi di diritto prodotti dai candidati è un mistero. «La conoscenza della lingua italiana», ha spiegato in una nota il ministero dell’Istruzione, «non è prevista dalla legge».
I giudici del Consiglio di Stato si sono però fatti beffe delle giustificazione, hanno accolto un ricorso sul merito e sospeso tutto. Le stranezze non si contano. Se il commissario Maria Rosaría Rossi, ordinaria a Perugia, prima di essere sorteggiata componente della commissione aveva annunciato di voler sabotare la riforma Gelmini («a chi lavora nell’università spetta ora il compito di operare interstizialmente tra le pieghe della legge e oltre la legge stessa e sperimentare pratiche quotidiane di sabotaggio dell’ideologia che la sostiene», ha ragionato Carbonara sul Manifesto), il ricercatore napoletano Andrea Lepore è stato promosso anche se il giudizio scritto, inizialmente, sembrava ipotizzare ben altro epilogo: «La qualità della produzione è limitata sotto il profilo dell’originalità e dell’innovatività, nonché per il rigore metodologico…
Si rinvengono, tra l’altro, ampie frasi riprodotte alla lettera da lavori di altri autori precedentemente pubblicati». Andrea Lepore, in pratica, è accusato di essere un copione. Da promuovere, però, «all’unanimità». Francesco Gazzoni, professore della Sapienza e maestro indiscusso della materia (è suo il manuale di Diritto privato più venduto d’Italia), all’abilitazione nazionale ha dedicato un saggio, intitolato Cooptazioni: ieri e oggi: «II potere accademico è una vera e propria piovra manosa», si leggeva sulla rivista online Judicium prima che l’articolo fosse repentinamente rimosso. «Cooptare, in sé, non è un male, lo diventa quando la scelta avviene, come sempre avviene, in base a criteri che prescindono dal merito… I professori di università sono novelli Caligola, con in più il fatto di promuovere, all’occorrenza, anche asini patentati in difetto di cavalli».
Il luminare fa nomi e cognomi, e se la prende con l’intera commissione di Diritto privato «inidonea a giudicare, essendo priva di autoritas sul piano scientifico». I più bravi, in sintesi, sarebbero stati bocciati perché «non avevano un’adeguata protezione accademica e perché non tutti i commissari erano in grado di leggere e capire i loro titoli». Forse il professore esagera, ma di certo qualche candidato di Diritto privato è stato più fortunato di altri. Come l’avvocato Claudia Irti, che ha scoperto che il presidente della commissione, Salvatore Patti, era stato suo tutor alla tesi di dottorato. Un conflitto di interesse non da poco per il docente, tanto più che è la Irti in persona a rispondere al telefono della sede milanese dello studio Patti: «Sì, sono stata promossa, ma ci tengo a dirle che io non lavoro per il professore. Perché rispondo al telefono del suo studio?
È una situazione particolare, a Milano presidio la sede, ma faccio solo da rappresentanza. Il professore si sarebbe dovuto astenere dal giudicarmi? Significa che tutte le persone che collaborano con i mèmbri della commissione non avrebbero dovuto presentare domanda al concorso. Le assicuro che sono tante». È il sistema, dunque, a permettere che possa accadere di tutto: se Patti, oltre alla Irti, ha potuto valutare i titoli di tré magistrati di Cassazione che potenzialmente possono essere giudici delle sue cause (tutti abilitati), il collega Francesco Prosperi dell’Università di Macerata ha promosso a ordinario il giovane Tommaso Febbrajo, un tempo suo allievo, e figlio dell’ex rettore dell’ateneo dove lo stesso Prosperi insegna. Non è un caso che il concorso di diritto privato conti già un centinaio di ricorsi al Òàã. Un professore associato dell’università di Tor Vergata, Giovanni Bruno, ha già avuto soddisfazione dal Consiglio di Stato.
I magistrati hanno accolto alcune censure decisive, tanto che qualcuno ipotizza che l’intero svolgimento dell’abilitazione nazionale sia a rischio: il regolamento ministeriale pubblicato nel 2011 sarebbe illegittimo, perché avrebbe dato alle commissioni un eccesso di discrezionalità nella valuta- zione dei candidati. Bruno ha pure mandato un esposto alla procura di Roma, accusando Prosperi di non aver partecipato a una delle riunioni in cui si definivano i giudizi: a leggere un programma accademico dell’Università di Macerata, risulta che il 29 novembre 2013 il sociologo abbia partecipato (almeno fino alle 13) a un convegno nelle Marche. Anche un altro candidato trombato, l’avvocato Giuseppe Palazzolo, ha mandato una denuncia ai pm (stavolta a Napoli) in cui chiede il sequestro della piattaforma elettronica usata dai mèmbri della commissione.
Già, alcuni candidati avrebbero voluto controllare se i loro giudici hanno davvero letto i loro titoli (mandati in formato elettronico) o abbiano promosso e bocciato alla cieca, senza nemmeno effettuare il download. Il ministero ha rigettato, però, tutte le richieste d’accesso ai tabulati. Nel 1898, in una cronaca del Corriere della Sera, si raccontava che il ministro della Pubblica istruzione del governo Pelloux, Guido Baccelli, «impaurito e seccato dagli scandali occorsi nelle commissioni chiamate a giudicare pe’ i concorrenti alle cattedre vacanti d’università, abbia in animo di abbandonare il sistema adottato quest’anno per l’elezione delle commissioni». Cos’era successo? «Qualche concorrente» spiegava il cronista «non aveva trovato miglior mezzo per riuscire, di domandare la mano di sposa alla figliola di un commissario: il matrimonio si combinava per il dopo concorso; il fidanzato, manco a dirlo, riusciva primo, e festeggiava in un giorno medesimo la cattedra e la moglie».
Dopo centosedici anni e una quindicina di riforme, dopo gli scandali dell’ultimo ventennio (citiamo quelli che travolsero il concorso nazionale del 1993, le inchieste che hanno svelato le appartenenze militari alle cosiddette “scuole” e le tristi vicende dei concorsi locali, dove spesso e volentieri il candidato indigeno vince a mani basse), il legislatore sembra aver toppato anche stavolta. La legge 240, quella della riforma Gelmini, ha sì previsto dei parametri oggettivi che gli aspiranti avrebbero dovuto superare per passare l’esame (le cosiddette “mediane”), ma molti professori hanno deciso come sempre: di testa loro. In effetti gli studiosi della Voce.info hanno scoperto che per i concorrenti con un profilo scientifico più debole «la conoscenza di un membro della commissione ha migliorato significativamente le chance di successo».
A parità di curriculum, per esempio, in Politica economica «gli insider hanno avuto il 14 per cento di probabilità in più» di passare rispetto a coloro che non frequentano gli atenei, una percentuale che sale al 23 per cento in Scienza delle finanze. Polemiche a go-go anche nella macroarea di Archeologia, dove un gruppo di accademici (tra cui Salvatore Settis, Fausto Zevi ed Ermanno Arsian) hanno scritto una lettera in cui prima attaccano «lo strumento mostruoso delle mediane, ridicolo artifizio blibliometrico che rinuncia alla qualità e fa discendere i giudizi delle quantità», poi se la prendono con i colleghi della commissione, che avrebbero aiutato le scuole più forti «privilegiando alcuni candidati, non sempre di evidente alta qualità, e danneggiato altri, con scelte valutative a dir poco opinabili».
Ma è capitato di peggio. A Progettazione architettonica i commissari hanno fatto letteralmente a pezzi alcuni candidati pubblicando online giudizi (leggibili da tutti) in bilico tra ironia e insulto. Il professor Giuseppe Ciorra, ordinario all’università di Camerino, bocciando una ricercatrice a Torino scrive, letteralmente, che «la candidata non è scema, ha dimestichezza con la scena interna- zionale e rivela curiosità in tutte le direzioni… Incoraggiabile ma non recuperabile, temo». Il collega Benedetto Todaro ha definito una collega associata di Napoli, Emma Buondonno, una «candidata sconcertante, che si impegna volenterosamente in lavori completamente privi del necessario acume critico». Ciorra (che arriva a liquidare un esaminando con un definitivo «sparisca, per favore»), sembra assai più gentile quando si tratta di valutare candidati che conosce di persona.
Quando è costretto a bocciare la sua ex dottoranda Rita Giovanna Elmo spiega che lo fa «con dolore umano», mentre non si fa specie nel promuovere (il suo sarà l’unico “sì”) Anna Rita Emili, ricercatore in forza alla sua stessa università poi bocciata da tutti gli altri colleghi. La Emili si può consolare, è in ottima compagnia: la commissione ha fatto fuori i migliori progettisti italiani. Anche stavolta qualcuno si è lagnato con la Giannini: l’Associazione italiana di Architettura e critica «manifesta un totale dissenso contro qualsiasi atteggiamento sessista e maschilista della commissione d’esame volto a schernire le ricercatrici. Suggeriamo ai mèmbri della commissione di mostrare anche più rispetto, in futuro, per la grammatica italiana». Il barone che sbaglia le congiunzioni, in effetti, è davvero troppo.
[Emiliano Fittipaldi, giornalista de “L’Espresso”. Servizio del 9-5-2014 ripreso dal “Foglio” di Giuliano Ferrara]

"We 4 Food e ProvincEgiovani". Della serie "We are the champions"

Hwe 4 fooda preso il via già da qualche settimana il progetto dal titolo “We4Food” rientrante nell’ambito dell’Azione ProvincEgiovani 2013 e progettata dal Dipartimento di Scienze Umane (DiSU) dell’Università degli Studi della Basilicata nell’ambito di un partenariato istituzionale con la Provincia di Matera, la Provincia di Bari (capofila), l’UPI Puglia e l’Associazione Physeon.

Lo scopo dell’iniziativa è quello di promuovere l’integrazione culturale dei giovani originari dell’area euro-mediterranea attraverso il cibo, volano di tradizioni e identità, ma non solo. Infatti, “le tradizioni alimentari, attraverso la loro funzione di veicolo del “sapere”, contribuiscono in maniera efficace al dialogo tra i popoli, svolgendo un’azione conciliativa nelle relazioni interculturali e, tramite azioni complesse di formazione e partecipazione attiva dei giovani, questa iniziativa intende affermare un modello efficace di integrazione e di scambio”, chiarisce il Prof. Salvatore Vigliar del DiSU, che ha sviluppato il progetto.

“We4Food” si propone, quindi, come un progetto innovativo e originale, atto a indagare e miscelare saperi e stili di vita differenti, seppur appartenenti tutti all’area mediterranea, facendo leva sulle abitudini alimentari di diverse etnie e sulla possibilità di fonderle in un unico “piatto”.

Scandito in momenti informativi e formativi, mirati a trasmettere conoscenze e competenze, il Progetto sfocia in una serie di laboratori etno-gastronomici che vedono protagonisti attivi circa 200 giovani italiani e stranieri, dell’età compresa tra i 16 e i 21 anni, in particolare originari dell’area euro-mediterranea e frequentanti gli Istituti superiori ad indirizzo alberghiero e agrario della provincia di Matera e Bari.

Il prodotto di questa fase “sperimentale” sarà l’elaborazione di ricette fusion, ossia nate da vere e proprie contaminazioni culturali e alimentari, che saranno presentate a fine maggio nell’ambito di un Festival Multietnico in programma a Matera per coinvolgere il territorio con l’organizzazione di numerosi appuntamenti culturali, e che sarà seguito dall’evento conclusivo che si terrà il 6 giugno e che vedrà riuniti tutti i partner di progetto.

Un confronto-incontro, dunque, fra culture che trovano espressione nell’arte culinaria e che arrivano a fondersi tra loro, rispecchiando appieno il principio della multiculturalità proprio della società odierna.

Blitz della Dia di Reggio Calabria, arrestato l'ex ministro Claudio Scajola. Favorì la latitanza di Amedeo Matacena

Arrestato da Dia Reggio Calabria ex ministro ScajolaAvrebbe aiutato l’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena a sottrarsi alla cattura. Così l’ex ministro del governo Berlusconi, Claudio Scajola, uscito al momento indenne dalla nota vicenda della casa al Colosseo “a sua insaputa” è finito in manette su ordine della Dia di Reggio Calabria. L’esponente politico si è detto “Sconcertato e sconvolto” quando all’alba ha visto gli agenti in un albergo della capitale in via Veneto. Scajola ha detto di non aspettarsi il provvedimento e ha chiesto di conoscerne le motivazioni. L’ ex ministro è ora nel Centro operativo della Dia di Roma.

Otto sono i provvedimenti complessivamente eseguiti. Tra gli arrestati figurano persone ritenute legate al noto imprenditore reggino ed ex parlamentare Amedeo Matacena, anch’egli colpito da provvedimento restrittivo insieme alla moglie Chiara Rizzo ed alla madre Raffaella De Carolis. Matacena è latitante, dopo una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.

L’ex ministro Scajola è stato arrestato perché avrebbe aiutato Matacena a sottrarsi alla cattura. “Amedeo Matacena godeva e gode tuttora di una rete di complicità ad alti livelli grazie alla quale è riuscito a sottrarsi all’arresto”, ha affermato il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. Matacena è un imprenditore, noto non solo in Calabria, figlio dell’omonimo armatore famoso per avere dato inizio al traghettamento nello Stretto di Messina e morto nell’agosto 2003.

L’operazione che ha portato all’arresto dell’ex ministro rientra nell’indagine “Breakfast”, che da più di due anni vede impegnata la Dia di Reggio Calabria nella ricerca dei reinvestimenti di capitali illeciti, movimentati dalla ‘ndrangheta in Italia ed all’estero. Oltre a Scajola ed alla madre dell’imprenditore reggino Amedeo Matacena, figurano Martino Politi, Antonio Chillemi e la segretaria di Scajola, Roberta Sacco. Gli indagati sono accusati a vario titolo di aver, con la loro interposizione, agevolato Matacena ad occultare la reale titolarità e disponibilità dei suoi beni, nonché di aver favorito la sua latitanza all’estero.

La Dia sta eseguendo perquisizioni in numerose regioni, oltre a sequestri di società commerciali italiane, collegate a società estere, per un valore di circa 50 milioni di euro. Perquisizioni anche presso l’ufficio e la villa di Scajola a Imperia.

Scajola ha già conosciuto il carcere. Finì in cella nel 1983 quando era in sindaco di Imperia. E’ il 12 dicembre quando l’allora primo cittadino democristiano viene arrestato dai carabinieri con l’accusa di tentata concussione aggravata nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti del Casino di Sanremo.Il giorno dopo si dimette. Rimarrà due mesi nel carcere di San Vittore. In seguito verrà prosciolto dalle accuse e tornerà nuovamente sindaco della sua città.

La reazione del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi: 

“Non so per quali motivi sia stato arrestato, me ne spiaccio e ne sono addolorato”, ha affermato Silvio Berlusconi, precisando che Scajola non è stato candidato in lista non perchè si avesse sentore di un arresto ma perché “avevamo commissionato un sondaggio su di lui che ci diceva che avremmo perso globalmente voti se lo avessimo candidato”.

Campania, fuga dall'Ncd verso Forza Italia. Orizzonti "cupi" per il futuro e gli azzurri tornano all'ovile

GIOVANNI BALDI ADERISCE A FORZA ITALIAFuga al contrario nel centrodestra campano. Ormai abituati ai transfughi da Forza Italia verso il partito di Alfano, sotto il Vesuvio si verifica l’opposto rispetto alla “tendenza” nazionale: dall’Ncd a Forza Italia, partito che continua a recuperare i “pezzi perduti”. Dopo il rientro di Antonia Ruggiero e Sergio Nappi da Forza Campania tocca al consigliere regionale Giovanni Baldi di Cava de’ Tirreni, rientrare all’ovile. La sintesi è più o meno questa: Fuori gioco Cosentino, fondatore di Forza Campania e il fuggi fuggi da entrambi i partiti verso l’Ncd la “diplomazia” interna sta avendo la meglio con l’ex ministro Mara Carfagna che gioca il ruolo del pastore tenace a riportare all’ovile di Fi il “gregge” smarrito.
«Torno a casa perché continuo a credere nel progetto politico di Berlusconi», dice il consigliere regionale  Baldi che lo scorso novembre aveva aderito al Nuovo Centrodestra. Con Nappi, Ruggiero e Baldi Forza Italia può contare su 14 consiglieri. «Non ho mai avuto dubbi sul loro rientro, il dialogo è servito a far rientrare i maldipancia», accoglie con favore il capogruppo Gennaro Nocera.
“E i primi effetti – scrive il Mattino di Napoli – si sono visti già ieri quando la maggioranza ha votato la presa d’atto dei debiti fuori bilancio superando la prova dei numeri nonostante l’astensione dei cinque consiglieri di Forza Campania”. «Ma prevedo altri rientri», è la profezia di Nocera, sicuro che passata la campagna elettorale gli irriducibili rientreranno nel gruppo. «Legge sul turismo e Piano paesaggistico sono le scadenze che ci attendono», aggiunge il capogruppo.
A salutare il ritorno di Baldi in Forza Italia c’erano ieri anche il coordinatore regionale Domenico De Siano eil vice Sandra Lonardo. De Siano rivendica «il lavoro di sintesi» svolto nei mesi scorsi. «In Forza Italia c’è dialogo e confronto ma soprattutto c’è un forte spirito unitario in grado di superare ogni fase delicata», dice il coordinatore per il quale «l’appartenenza al partito e il riconoscimento della leadership di Berlusconi sono il richiamo in grado di farci superare tutte le divergenze».
Insomma, per De Siano ci sono le premesse permettere da parte le polemiche, «puntare ad avere un buon risultato alle europee» e «creare le condizioni per rivincere le regionali del 2015». Soddisfazione per il rientro di Baldi la esprime anche Fulvio Martusciello. E sostegno alla linea politica del partito l’assicura il senatore Ciro Falanga. «Ero e resto un tecnico e Forza Italia è il mio partito – assicura -. Non nego l’amicizia con Nicola Cosentino al quale sono umanamente vicino, così come sono vicino, da garantista, a tutti coloro che soffrono la detenzione preventiva. Ma non appartengo a correnti e provo a svolgere nel migliore dei modi il mio ruolo di senatore. Non a caso, e lo dicono i numeri e gli atti, sono tra i più attivi. Relegarmi in una categoria, in questo caso quella dei cosentiniani, è un errore».

La lettura aiuta i detenuti (e gli editori). Parola di Mario Caligiuri, l'eccentrico prof. e assessore

mario caligiuriL’iperattivo assessore regionale alla Cultura della Regione Calabria, Mario Caligiuri, conosce il “trucco” di come aumentare i lettori di libri e giornali: una specie “in via d’estinzione”, secondo gli ultimi dati sulle vendite di prodotti editoriali nel nostro paese. Soprattutto conosce il modo come trasformare novelli rapinatori ed efferati criminali in raffinati filosofi votati alla cultura della legalità. Infatti per aumentare i lettori ha proposto la lettura di libri nelle carceri italiane tra i detenuti. Con premio speciale: Ogni libro vale uno sconto di tre giorni di pena per quanti abbiano da scontare almeno 6 mesi.

“La lettura – spiega – è uno straordinario antidoto al disagio e favorisce la consapevolezza e il riscatto sociale e personale”. Le verifiche verranno effettuate dall’educatore carcerario che evidentemente si farà raccontare dai carcerati la storia del libro letto o si farà fare una sintesi scritta a grandi linee. Tre giorni in meno sono tre giorni in meno. Si potrà arrivare massimo a 48 giorni di sconto di pena all’anno. “Questa iniziativa, che sottoponiamo all’attenzione del Parlamento, prende spunto dalla positiva esperienza maturata in alcune carceri brasiliane, dove sono stati prodotti risultati apprezzabili”. In Brasile l’idea è stata denominata “Reembolso atraves da leitura”

Per cui tra gli androni dei penitenziari vedremo circolare guardie che come nei film hollywodiani, con il carrello dei libri distribuiranno saggi e romanzi d’amore. Immaginate la scena: La guardia con tono roco e di consueto arrogante: “Ehi, tu, che vuoi leggere oggi?”. Da dietro le sbarre si scorge un criminale che dice: “Passami Platone e la metafisica di Aristotele”. Al bando i fumetti, soprattutto Diabolik che possono condizionare la mente… Niente settimane enigmistiche, perché quelle sviluppano troppo il cervello…Naturalmente vietatissimo “Fuga da Alcatraz”, di Campbell Bruce.

Qualche giornale va bene perché, dopotutto, anche questa branca di editoria è in forte crisi. Potranno essere concessi solo “Libero”, “Il Giornale” e il “Quotidiano Nazionale”, giornale su cui scrive assessore calabrese. I tablet per la lettura sono permessi purché siano inibiti a visitare siti che propongono strumenti e istruzioni per l’uso ad evadere. Allo studio c’è pure l’idea di distribuire cuffie per ascoltare la narrazione di libri per gli analfabeti. A detenuti al 41 bis una deroga: solo la Bibbia illustrata senza testi per evitare la diffuzione di pizzini col ritaglio delle lettere.

Bisogna ancora regolamentare il numero di pagine che valgono lo sconto di pena. Poiché vi sono libri e libri. Un di 120 pagine non è lo stesso di uno che ne conta 400. Ma sì!, in ogni caso è certamente un buon modo per (ri)educare persone che da giovani hanno scelto la via del crimine a quella di onesti comuni mortali. E anche un “passatempo” per molti politici che oggigiorno lambiscono (e spesso ci entrano) le patrie galere. Pensate a uno come Dell’Utri che di libri ne legge tre al giorno tutti d’un fiato. Per lui dovranno fare un regolamento ad hoc per evitare che sfori. Cosentino poi farebbe corsi di lettura accelerata per guadagnarsi gli agognati 48 giorni l’anno. Se ha fatto il sottosegretario all’Economia e ha imparato le tabelline, volete che non riesca?

Che dire, che l’iniziativa di Caligiuri il “brasilero” sia curiosa lo stabilisce il fatto che ne stiamo parlando e scrivendo. Lui da grande cultore della cultura ha abituato tutti a iniziative del genere. Talvolta le spara grosse e alcune volte c’azzecca il docente di Comunicazione all’Unical. Il suo motto è: “Su dieci cazzate una la cogli”. Nel suo paese, Soveria Mannelli, piccolo borgo in provincia di Catanzaro, quando era sindaco presentò lo storico Giordano Bruno Guerri come assessore “al dissolvimento dell’Ovvio”. Ovviamente l’iniziativa si è dissolta nell’aria. Che volete. Caligiuri è un grande. L’unico “neo” del vulcanico Mario è che frequentava un altro eccentrico: Cossiga…

La Rai piena di debiti punta a confermare il Servizio pubblico nel 2016. Ma c'è in agguato Murdoch

Sede Rai RomaTempi di magra per la Rai. Sull’azienda pende la scure di Cottarelli, il supermen di Renzi concentrato a far quadrare i conti della spesa pubblica. Diverse sono le incognite per viale Mazzini, la prima su tutte è l’imminente scadenza (2016) della concessione del Servizio pubblico.

L’incognita Murdoch, i tagli e l’accorpamento delle sedi

E i giochi non sono affatto scontati. La concorrenza è spietata e l’azienda è piegata da debiti, nella morsa di sprechi e non ultimo minata dal taglio di 150 milioni di euro previsti dal decreto Irpef dello scorso 19 aprile, che prevede anche l’accorpamento delle sedi regionali. Insomma la Rai, debole e vulnerabile com’è oggi, fa gola a molti. Rupert Murdoch, padre di Sky nonché magnate di “News Corporation”, uno dei più potenti conglomerati mediatici al mondo, potrebbe farci un pensierino, come del resto Mediaset che da Tv commerciale potrebbe avere i titoli per garantire il servizio pubblico; a meno di una riforma radicale dell’azienda di Gubitosi che da decenni si accaparra il servizio pubblico.

Le reazioni

Col decreto viene cancellato l’obbligo di avere una sede per ogni regione. Quella calabrese e lucana dovrebbero fondersi con quella di Napoli per rispondere alle esigenze di risparmio. Ed è già a Potenza che sorgono i primi malumori. La chiusura della sede regionale della Basilicata “sarebbe – secondo Cgil e Slc-Cgil – il tassello mancante per assicurare il colpo di grazia e la morte definitiva di un territorio già provato”. Invece la sede di Cosenza è un mega stabile per due terzi vuota e non sfruttata. Le reazioni sono forti anche in altre regioni, come il Veneto, l’Abruzzo e il Molise.

Usigrai in trincea

E se a prendere l’iniziativa contro la chiusura della sedi ci sono istituzioni e sindacati, sul piede di guerra c’è anche l’Usigrai, potente sindacato dei giornalisti Rai che in assemblea aperta hanno ribadito la necessità di “non tagliare, ma riformare l’azienda; non ridimensionamento, ma innovazione”. Insomma, la partita è rischiosa per la Rai, azienda che negli anni non è riuscita a riammodernare il servizio. Scarsissimi introiti pubblicitari e un’evasione del canone record (28%), che il governo prima ha anticipato di inserirlo nella bolletta elettrica per poi fare marcia indietro. Ora si pensa al canone “flessibile”, come spiega a “Repubblica” il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, una sorta di bolletta “variabile” a seconda delle capacità delle famiglie.

Canone, una tassa che non è tassa

Ma sul canone, una delle tasse più detestate dagli italiani, il governo dovrà ripensarlo. Una riflessione obbligata: Se si tratta di una tassa sul possesso di una  Tv si configura alla stregua di una tassa sul possesso di una casa o di un automobile. E’ logico. Allora, al di là dei pareri di legittimità che contano poco, bisogna chiedersi: perché se un cittadino ha due case o due auto è costretto a pagare due volte l’Imu o due volte il bollo e via dicendo, mentre chi possiede due o tre Tv (come la stragrande maggioranza) deve pagarne solo una di tassa? Se si afferma, come di consueto, che basta pagare solo una tassa anche se si possiedono due o più televisioni allora non si può parlare di tassa per la Tv ma di un servizio in licenza. E se è una sorta di servizio in licenza non può in alcun modo definirsi una tassa per il possesso di un singolo prodotto.  Se si tratta di una licenza vale solo per il servizio Rai oppure per le centinaia di canali che ormai spopolano sul digitale terrestre? Delle due l’una.

Il debito Rai tra sperperi e nababbi

Com’è noto sulla Rai pesa un debito spaventoso di circa 400 milioni che lievita ogni anno. A questo si aggiungono sperperi di ogni genere: centinaia di milioni di euro per le esternalizzazioni, indennità da capogiro per manager e blasonati conduttori, diritti per il calcio da cui non si ricava nemmeno il pareggio, fiction che raggiungono share minimi. Inoltre migliaia di dipendenti tra giornalisti, tecnici e impiegati cui in questa fase storica sarà comunque chiesto di stringere la cinghia con riduzioni salariali e contributi di solidarietà per giornalisti, ovvero una riforma della contrattazione che allinei a standard europei gli stipendi di corrispondenti, direttori e caporedattori Rai che oggi sono pari se non superiori ai parlamentari.

La privatizzazione e il piano Gubitosi

La strada intrapresa, o meglio pensata, è quella della privatizzazione. Renzi non è poi però tanto convinto. Almeno non lo era nel novembre 2013, quando a Rai “Agorà” disse che “la Rai è piena di debiti. Se la privatizzi, non lo fai per fare cassa”. E poi ancora: “Se c’è un canone, ci devono essere due, tre reti pubbliche che fanno solo servizio pubblico, senza pubblicità”. Era sindaco di Firenze in corsa alla guida del Pd. Adesso è premier e con Cottarelli condivide la linea dei tagli alla spesa pubblica per reperire parte di quelle risorse da dastinare alle promesse fatte sin dall’inizio del suo insediamento a palazzo Chigi. Qualche giorno fa da Gubitosi l’annuncio della vendita di RaiWay e di un nuovo Piano industriale “lacrime e sangue” per presentarsi evidentemente all’appuntamento del 2016 come un’azienda sana, riformata e competitiva.

Il sindaco di Salerno De Luca mette una "taglia" su Caldoro reo del blocco della metro e del caos sui rifiuti

caldoro de luca«Mettiamo una taglia sul presidente della Regione e diamo un premio a chi lo rintraccia». Vincenzo De Luca, sindaco Pd di Salerno,  diffonde la targa “wanted” del governatore della Campania Stefano Caldoro per il blocco della metropolitana e per la legge sui rifiutiche ritiene esosa. Anzi:«Rischiamo il raddoppio della tassa».

Tagliente come suo stile, De Luca promette ricompensa a chi gli darà sue notizie. Seppur in tono ironico il sindaco di Salerno continua la battaglia a distanza con il “governatore”, rilanciandola nel corso del consueto appuntamento televisivo su Lira Tv. «Continuo a non ricevere risposte dalla Regione – ha detto – in merito alla questione metropolitana.

Proverò a chiamare il 112, il 113, la Protezione civile, ma credo che si siano dati alla clandestinità. Qualche settimana fa Caldoro è stato avvistato in Cuento, ma forse si è trattata di una apparizione mistica». «Si è fatta una scelta di assoluta coerenza – ha sottolineato – in perfetta linea con la storia politica di questo territorio: la clientela politica. Trasferire ai comuni le competenze rischia, infatti, di provocare il raddoppio della tassa sui rifiuti. Perché se si trasferiscono ai comuni aziende, come quella di Mercato San Severino, che hanno milioni di euro di debiti, significa scaricare l’indebitamento sui cittadini. Dietro la nullità di questa Regione – ha proseguito De Luca – rischiano di nascondersi decisioni criminali.

Comunicheremo la nostra disponibilità ad assorbire subito i lavoratori del Consorzio già impegnati sul territorio comunale, come quelli che lavorano nelle isole ecologiche. Nessun problema ad assorbirli, ma nell’ambito di un piano industriale serio, non attraverso manovre cervellotiche che servono solo a scaricare sui comuni le responsabilità e i debiti accumulati negli anni». La Regione guidata dal forzista è accusata anche in merito alla gestione del porto di Napoli.

«È impossibile considerare una Regione civile quando un porto come quello di Napoli, la più grande fabbrica della Campania, è senza governo da un anno. Si stanno volatilizzando centinaia di milioni di euro e intanto si perde tempo con altre stupidaggini come quella dell’accorpamento». Salemo, secondo il sindaco, è l’esatto opposto, una città dove si continua a crescere nonostante le difficoltà: «Una ricerca della Camera di Commercio ha rivelato come a Salerno il saldo tra nuove imprese e cessazioni di attività sia in positivo di 14 unità. Questo conferma il ruolo trainante della città nell’economia del territorio campano».

Marina Berlusconi: "Renzi? Il nuovo che arretra. Alfano ha tradito la sua storia. Io in politica? Oggi no, domani chissà"

Marina Berlusconi (foto  Ansa)
Marina Berlusconi (foto Ansa)

‘Troppa gente – dice Marina Berlusconi intervistata da Daniele Manca sul Corriere della Sera – si affanna a commentare quel che mio padre dice e a interpretarlo come più le conviene. Bisognerebbe smetterla una volta per tutte con le strumentalizzazioni’. Le parole sui lager e i tedeschi non sono state certo felici. ‘Guardi, mi dispiace solo che per ragioni elettorali sia stata utilizzata una frase sull’Olocausto, che non intendeva offendere nessuno, per montare una polemica che sottrae attenzione a quel che è il tema vero: il tema di un’Europa che così com’è non funziona, perché è utile a pochi e danneggia tutti gli altri’. Marina Berlusconi oggi presiederà l’assemblea della Mondadori, ieri c’è stata quella Mediaset. Le aziende sono il suo impegno, almeno ora. Anche perché, ottimista sul lato delle imprese Fininvest, lo è molto meno per la politica italiana. O meglio per parte di essa. 
Suo padre ci mette del suo, è arrivato a parlare di colpo di Stato per la sentenza Mediaset.
 ‘Mio padre ha subito in vent’anni una persecuzione giudiziaria senza precedenti, è stato il bersaglio di organi di informazione che dividevano con un gruppo di toghe ideologie, interessi, obiettivi. La presunzione di colpevolezza ha sostituito quella d’innocenza, l’incertezza del diritto ha stravolto i principi giuridici. E si è arrivati persino a celebrare processi su reati confezionati su misura’. C’è una condanna in Cassazione. ‘Già, le condanne senza prove e le calunnie più assurde sono riuscite a fare quel che in una democrazia spetta alla battaglia politica, a scalzare un leader regolarmente eletto. Non si vuole chiamarli ‘colpi di Stato’? Li si chiami come si vuole, ma così sono andate le cose’.
 Colpi di Stato o no, però oggi la sinistra ha un leader che qualcuno vorrebbe in Forza Italia … 
‘Fin da piccoli ci insegnano che un libro non si giudica dalla copertina, ma solo dopo averlo letto. Renzi si è presentato bene, niente da dire. Le immagini e le parole giuste. Il solo fatto che abbia conquistato il Pd suona come la negazione di quello che la sinistra ha fatto e predicato in questi vent’anni, la certificazione della sua sconfitta’. 
Perché sconfitta? I sondaggi dicono il contrario. 
‘Dopo vent’anni durante i quali l’unica linea è stata l’antiberlusconismo, la sinistra ha ora un leader che sembra aver capito due cose. Primo: Berlusconi non è il male da eliminare ad ogni costo ma solo un avversario politico. Secondo: mio padre aveva perfettamente ragione a ripetere che il problema dei problemi di questo Paese è che con le attuali regole non si riesce a governarlo’. Il centrodestra però ha avuto tempo per cambiare . ‘E infatti nel 2005 aveva già varato una riforma costituzionale più completa di quella oggi in discussione. Peccato che venne cancellata da un referendum voluto proprio dalla sinistra. Hanno cambiato idea? Meglio tardi che mai. Certo, all’Italia si sarebbero potuti risparmiare un sacco di problemi’.
 Ma a lei non piace il dialogo sulle riforme?
 ‘No, anzi, mi auguro prosegua. Detto questo, però, non si tratta di cambiare solo per poter dire che si è cambiato, riformare ha un senso solo se significa davvero ‘migliorare’. La velocità non deve mai diventare fretta’. 
Bene le riforme, dunque. Ma il governo ?
 ‘Giudizio negativo. È giusto creare un clima di ottimismo e fiducia, ma attenzione: più forti sono le aspettative che si generano, più gravi saranno i danni se alle promesse non seguiranno i fatti. Purtroppo, è quello che sta succedendo, al di là del fumo alzato con i tweet, le slides, qualche pesciolino rosso in più e qualche auto blu in meno’. 
Saranno anche pesciolini rossi, ma l’Italia ha bisogno di novità, in una politica che resta stagnante .
 ‘Più che il nuovo che avanza, a me il premier sembra il nuovo che arretra. Sul decreto lavoro, il dietrofront dettato dalla sinistra Pd ha del clamoroso. E poi non sono né un politico né un economista, non ho la presunzione di dettare ricette, però quel che è certo è che misure come il decreto ‘80 euro’ sono spese elettorali e non investimenti per la crescita. Posto che si trovino le coperture’.
 Finora le hanno trovate.
 ‘Vedremo. Ma quei soldi, oltre 20 miliardi in due anni, si potevano usare in modo molto più efficace. Oltretutto il decreto fa acqua da tutte le parti. Conti alla mano, l’unica certezza è che aumentano le imposte su casa e risparmi. In un momento così difficile’.
 Fortunatamente però si parla di ripresa. ‘La crisi è stata ed è ancora durissima. Se devo guardare al nostro gruppo, però, abbiamo saputo reagire bene, siamo riusciti a trovare un giusto equilibrio tra rigore e sviluppo. Da una parte grandissimo lavoro su costi ed efficienza. Dall’altra nessuna distrazione sul prodotto, anzi continuiamo a investire. Senza mai perdere la capacità di innovare’. 
Sono tante le imprese che lo dicono ma se c’è un settore in crisi è quello dell’editoria e comunicazione.
 ‘Per noi non sono solo parole. Penso a Mediaset che torna in utile, abbatte il debito, si aggiudica i diritti 2015-2018 per la Champions, e guardi tutto l’interesse che c’è attorno alla nostra pay-tv… Penso a Mondadori che si ristruttura in modo radicale, ma anche a Mediolanum che chiude un altro anno ad ottimi livelli’.
 La Mondadori perde parecchio … 
‘Sul risultato 2013 hanno pesato 207 milioni fra costi di ristrutturazione e svalutazioni. Ma si tratta di oneri non ricorrenti. I primi mesi del 2014 sono migliori delle previsioni: i sacrifici durissimi e il grande lavoro fatto cominciano a dare risultati. Tutti i business hanno ripensato profondamente l’organizzazione e in molti casi il loro stesso prodotto. C’è stato un notevole cambiamento nel management. Il piano di risparmi per 100 milioni al 2016 è già molto avanti nella realizzazione, contiamo anzi di fare di più. E, se capitasse, siamo anche pronti a cogliere qualche opportunità, non solo nel digitale’.
 Addirittura volete fare acquisizioni?
 ‘Siamo solidi. E siamo una risorsa per il Paese. Ogni anno versiamo in media al Fisco oltre 500 milioni di euro, 5 miliardi negli ultimi 10 anni. Stiamo affrontando bene tutte le difficoltà. E in quel ‘tutte’ c’è anche l’inaccettabile esproprio di 500 milioni a favore della Cir di De Benedetti per il Lodo Mondadori’. 
Anche lì c’è una sentenza, una causa vinta da De Benedetti . 
‘Se penso che ha avuto il coraggio di dire che mio padre ‘non è un imprenditore’… Si è visto quanta ricch
ezza lui è stato capace di distruggere per tutti mentre ne creava, e tanta, soltanto per sé. Mi auguro solo che dopo l’Olivetti, dopo decine di migliaia di risparmiatori, ora non tocchi a Sorgenia. La storia imprenditoriale di Carlo De Benedetti è costellata di naufragi, e paradossalmente la sua ancora di salvezza stavolta siamo stati proprio noi, o meglio quei 500 milioni del Lodo’.

 Anche il ventennio berlusconiano viene vissuto come un naufragio.
 ‘Mi costringe a tornare sulla politica… Intanto il cosiddetto ventennio berlusconiano in realtà non è neppure un decennio, per il tempo restante ha governato la sinistra’. 
Fossero solo dieci anni non sono pochi, ma i fatti?
 ‘I fatti ci sono, sono tanti, e le 40 riforme degli esecutivi Berlusconi stanno lì a dimostrarlo. Si poteva fare di più, fare meglio? Si può sempre fare di più e meglio. Ma quanto sia difficile governare questo Paese credo l’abbiano capito tutti’. 
Ogni governo lo dice.
 ‘Beh, tenga conto che molte delle cose buone fatte sono state poi disfatte proprio dalla sinistra. Penso alla riforma istituzionale del 2005 ma anche, per esempio, alla legge Biagi o a quelle delle pensioni che ci avrebbero evitato lo choc della riforma Fornero. E poi bisogna porsi anche un’altra domanda: che cosa sarebbe successo se mio padre non fosse entrato in politica, e questo Paese fosse rimasto nelle mani della ‘gioiosa macchina da guerra’, libera di scorrazzare perché a spazzar via gli avversari aveva appena provveduto Tangentopoli?’.
 Si, ma fallendo una pretesa rivoluzione liberale. E lo dicono Bonaiuti, Bondi, ecc…
 ‘Lasciamo stare i nomi, ma di fronte a questo resto allibita. Mi chiedo: ma questi signori dov’erano, che cosa facevano? Non li sfiora il sospetto di essersi dimostrati a dir poco inadeguati? E che senso ha ripetere che Forza Italia non ha un progetto politico?’. 
E quale sarebbe questo progetto politico?
 ‘Resta quello di un Paese dove lo Stato sia al servizio dei cittadini e non viceversa, le libertà e i diritti individuali valgano davvero per tutti, dove la magistratura non assuma compiti che non le spettano, dove cittadini e imprese non siano soffocati da tasse e burocrazia. Non è un progetto politico questo? E chi potrebbe difendere i valori liberali se non Forza Italia e Silvio Berlusconi? Non penseremo mica a Renzi, solo perché non ha la foto di Togliatti in ufficio, o a qualcuno che è alla perenne ricerca del quid?’
 Ce n’è anche per i ‘traditori’? Alfano e gli altri? 
‘Se di tradimento dobbiamo parlare, direi che queste persone hanno innanzitutto tradito se stesse e la propria storia. Consegnandoci una granitica certezza: l’unica cosa in cui sono grandi è la mediocrità. Il dissenso è ovviamente legittimo, ma ci sono anche i modi e i tempi giusti per esprimerlo. Quando poi si scopre che spesso dietro certe ‘nobili’ prese di distanza ci sono in realtà soltanto faide di potere o fame di poltrone, il tutto diventa, se possibile, ancora più avvilente’.
 Idee chiare… Manca solo l’impegno in politica.
 ‘Per la politica ho un grande rispetto, la seguo dall’esterno con attenzione, ma il mio posto è nelle aziende, questo è il lavoro che mi piace fare. E poi questa storia della trasmissione dinastica non mi ha mai convinto. La leadership non si eredita, bisogna sapersela costruire, passo dopo passo, nel tempo, con umiltà, sacrificio, passione. E soprattutto con rispetto: per se stessi e per gli elettori’.
 Niente Marina come Marine Le Pen?
 ‘Lei è cresciuta a pane e politica. Io ho scelto un’altra strada. E sono soddisfatta della mia vita. Mi ha riservato molte fortune, sia nel lavoro che a livello personale. E la più grande è quella di avere un marito e dei figli come quelli che ho. Detto questo, so che nella vita non si può mai escludere nulla. Quindi, oggi è così. Un domani, se capitasse, la politica, chissà…’.

Caldoro: "Sul caso Cosentino resto garantista"

Stefano Caldoro«Resto garantista, ma in ogni caso avremo modo di parlarne successivamente». E da vecchio socialista non poteva essere diversamente. Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro sul caso Cosentino non lascia spazio a chi lo aveva additato come uno degli antagonisti di Nick che non aveva mai espresso la sua sull’ex sottosegretario del governo Berlusconi, agli arresti per reati gravi insieme al fratello.
«Sono sempre attento e rispettoso del lavoro della magistratura – ha detto il governatore – così come vale sempre il principio di garantire chi è sotto indagine fino al terzo grado di giudizio. Questo bilanciamento – ha sottolineato – va sempre garantito senza limitare le azioni di nessuno.
Avremo modo di parlare di questi argomenti non solo in campagna elettorale, ma anche dopo. Ora concentriamoci su quello che l’Europa deve fare per il Sud».
Le dichiarazioni di Caldoro sul leader di Forza Campania stemperano un po’ le polemiche sollevate dopo la nascita del nuovo soggetto politico in dissenso con Silvio Berlusconi. Non ha il sapore di una dichiarazione di solidarietà ma certamente Caldoro sente il “dovere” politico e istituzionale di “placare gli animi”.

Berlusconi ai servizi sociali già dal 9 maggio. Nessuna conseguenza per gli attacchi ai giudici.

centro per anziani sacra famiglia cesano bosconeSarà venerdì 9 maggio la prima giornata di Silvio Berlusconi ai servizi sociali. A confermarlo è stato il Direttore generale della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, Paolo Pigni. ”Secondo quanto concordato nell’incontro di ieri – ha spiegato Pigni – tra Sacra Famiglia, Silvio Berlusconi, l’Uepe e Caritas, l’ex premier arriverà in fondazione il 9 maggio a partire dalle ore 9.45”.

In particolare Berlusconi farà volontariato nell’Rsa San Pietro, residenza sanitario-assistenziale dedicata all’accoglienza di persone affette da demenza, in particolare da malattia di Alzheimer, dove dal primo mattino si propongono
agli ospiti attività motorie, di lettura, scrittura e giochi.

Pigni ha poi voluto sottolineare come il leader di Forza Italia abbia “pienamente condiviso” i dettagli del progetto di assistenza che lo riguarda. ”Berlusconi – ha spiegato il direttore generale del Centro – non farà attività divertente o rilassante e non andrà in ufficio, ma entrerà in contatto con sofferenze e situazioni che potranno arricchirlo”. Pigni ha poi chiarito che “in Sacra Famiglia nè Silvio Berlusconi nè altri potranno fare campagna elettorale”.

“Su questo – ha aggiunto – saremo inflessibili, non sarà permessa alcuna attività di carattere politico e neppure dichiarazioni, comizi, banchetti o manifestazioni”.

Intanto sono state smentite le voci secondo cui le invettive di Berlusconi contro il pm lanciate in tv farebbero scattare la revoca e la conseguente pena ai domiciliari. “Al momento non se ne parla”, fanno sapere fonti vicino all’ex premier. E’ evidente che se Berlusconi insiste con gli attacchi ai magistrati si aprirebbero le porte di casa sua dove finirebbe di scontare i nove mesi di reclusione inflitti dalla sentenza Mediaset. 

Da Pina Picierno la spesa in 80 euro. Lei prende insulti e spiega. Ma il carovita ha risucchiato il futuro.

Pina Picierno
Pina Picierno

Ha fatto andare su tutte le furie il mondo del web perché riesce, a suo dire, a fare la spesa con 80 euro e riempire un carrello sufficiente a “coprire” due settimane. Gli 80 euro sono quelli che il premier Renzi ha promesso da maggio in busta paga a chi guadagna fino a 1500 euro.

Lei, ragazza trentaduenne, campana puro sangue, è Pina Picierno, deputata Pd e capolista dei democrat nella circoscrizione meridionale alle prossime europee. A “Ballarò” Pina non si è scomposta e ha insistito nel dire che è possibile entrare in un supermercato e uscirne con le buste piene.

In una intervista a “Repubblica” ha dato anche lista e scontrino a conferma che con questa cifra (che in genere una famiglia di due persone spende in una settimana) è possibile comprare cibo per due persone.

La bella casertana ha comprato “Tre litri di latte; 5 baguette; due confezioni di fette sceltissime da 400 grammi l’una; macinato per il ragù; bocconcini di vitello; rucola; saccottini per la colazione; tortellini; Nutella; wuerstel; pane per hot dog; due pacchetti di biscotti; tre chili di pasta; 12 uova; carote; 4 confezioni di salmone affumicato; 3 confezioni di parmigiano grattugiato; 2 hamburger; due spinacine; pastasfoglia; zucchine; 1 chilo di mele; tre litri di succo di frutta; pomodorini; un litro di olio; due litri di Coca cola; una cassa d’acqua minerale; polpa di pomodoro e tarallucci”. Per un totale? «80,02 euro», dice soddisfatta Picierno che ribadisce anche il suo amore per la cucina. “So cucinare meravigliosamente e i miei amici potranno confermare”, dice invece al “Corriere”.

L’onorevole ha spiazzato mamme e casalinghe che di solito fanno i salti mortali tra un discount e l’altro, tra mercati e piccole botteghe, per risparmiare qualche cent e far quadrare i conti. Perché, al di là dei buoni propositi della deputata, i conti alle donne italiane nel fine settimana non tornano (quasi) mai se si calcola che per un mese di spesa al supermarket le donne a capo di una famiglia di quattro persone han bisogno di almeno 500 euro. Escluso imprevisti, naturalmente, che in genere succedono eccome!

In ogni caso, la cosa positiva della “dimostrazione” della futura eurodeputata (senza dubbio!) è il fatto che finalmente un politico conosce quanto costa un litro di latte e un chilo di pane. Taluni politici di professione fino a qualche mese fa a domanda glissavano sornioni. Ignoravano persino quanto costasse un litro di benzina, soltanto perché avendo auto di “servizio” con autisti e scorte al seguito, non hanno mai avuto l’onere di scendere dalle lussuose berline e farsi il pieno da soli e pagare di tasca propria. Alcuni avevano però contezza  di quanto farsi rimborsare dai vari gruppi regionali di appartenenza. E su questo ci sono ampi accertamenti delle Fiamme Gialle.

La nota negativa che emerge invece dalla vicenda della spesa è che è scomparso del tutto il tenore di dieci anni fa, il tempo libero, le uscite con gli amici, le cene al ristorante, il cinema, qualche viaggio di piacere. Il carovita, fattore da sempre ignorato dalla politica, ha risucchiato quel poco di benessere che c’era in un vortice che ha inghiottito tutto, anche il futuro e la speranza. Senza parlare del lavoro, scomparso quasi in modo scientifico.

Oggi parliamo di una spesa di 80 euro quando ai tempi della lira ci si poteva permettere non solo di riempire carrelli con pochi spiccioli, ma di mettere soldi da parte, risparmiare e aprire addirittura la celebre “libretta” per figli e nipoti. Altri orizzonti oscurati da una moneta e da un sistema europeo severo di cui prima ci liberiamo, meglio è per tutti.

Assunzioni irregolari, bufera su Fincalabra. Indagato De Rose

Umberto De Rose
Umberto De Rose

La Procura di Catanzaro ha emesso un avviso conclusione indagini per il presidente di Fincalabra, società finanziaria regionale, Umberto De Rose e sette tra componenti il Cda e la commissione esaminatrice, indagati per abuso d’ufficio e De Rose anche per minacce.

Secondo le indagini, coordinate dal pm Carlo Villani, vi sarebbero state irregolarità nell’assegnazione di incarichi, due dei quali affidati a Lory ed Andrea Gentile, figli del senatore Antonio Gentile, del Nuovo Centrodestra.

Oltre a De Rose sono indagati i componenti della commissione esaminatrice nominata dall’Ente per la valutazione e selezione delle figure professionali da impiegare, Sergio Campone, Giuseppe Frisini e Vincenzo Ruberto, ed i componenti del Consiglio di amministrazione di Fincalabra Umberto Idone, Leonardo Molinari, Giuseppe Petronio e Flavio Alfredo Talarico.

L’inchiesta ha avuto inizio dopo che il presidente della commissione di Vigilanza del Consiglio regionale della Calabria, Aurelio Chizzoniti, ha presentato un esposto nel quale si chiedeva di verificare le ipotesi di reato di truffa, omissione e abuso d’ufficio. Il pm Carlo Villani, dopo aver ricevuto l’esposto di Chizzoniti ha avviato l’inchiesta, disponendo l’acquisizione del materiale sulle assunzioni. E sempre in Procura sono giunti anche altri documenti inviati sempre da Chizzoniti e dai legali della Fincalabra.

I Pm: “Gli scelti non avevano i titoli”

Un contratto a progetto per un importo di oltre 49 mila euro lordi ed un incarico per oltre 37 mila euro lordi: sono gli incarichi affidati da Fincalabra a Lory e Andrea Gentile, figli del senatore Antonio, scelti, secondo l’accusa della Procura di Catanzaro, senza che avessero titolo. I contratti a progetto al centro delle indagini sono tre, affidati, oltre che a Lory Gentile, anche a Paola Ambrosio e Giuseppe Genise.

Secondo l’accusa, per affidare i contratti, sarebbero stati modificati i termini del bando regionale iniziale, stralciando dai requisiti quello della necessaria e pregressa esperienza di 3 o 5 anni a seconda della figura da impiegare. Inoltre, dopo avere inizialmente applicato come criterio di selezione una procedura informatizzata basata su una short list di candidati muniti dei requisiti richiesti, alla fine sarebbero stati individuati Gentile, Ambrosio e Genise che, secondo l’accusa, non avevano alcuna esperienza e i cui curricula non erano nell’elenco della short list. Inoltre i tre sarebbero stati selezionati senza effettuare alcuna valutazione e senza effettuare alcun colloquio come invece era avvenuto per gli altri aspiranti e assunti.

Per quanto riguarda l’affidamento ad Andrea Gentile di un incarico per la redazione del modello organizzativo, ciò sarebbe stato fatto in assenza di avviso pubblico e senza che vi sia stata valutazione comparativa tra le offerte presentate, in violazione dei principi di pubblicità, trasparenza ed imparzialità previsti dalle norme.

Minacce ad una dirigente della Regione Calabria che manifestava il proprio dissenso per la scelta del personale cui affidare un incarico. C’è anche questo nell’inchiesta della Procura di Catanzaro su presunte irregolarità nell’affidamento di incarichi da parte di Fincalabra che ha portato all’emissione di un avviso di conclusione indagini per otto persone tra le quali il presidente della società. In particolare, l’accusa ipotizza nei confronti di De Rose, oltre che il reato di abuso, anche quello di minacce a pubblico ufficiale, in quanto avrebbe intimidito la funzionaria dicendole che l’avrebbe fatta rimuovere dall’incarico se avesse continuato a manifestare dissenso.

Umberto De Rose è balzato agli onori della cronaca nazionale per essersi reso protagonista della vicenda legata alla mancata pubblicazione dell’Ora della Calabria la notte tra il 18 e il 19 febbraio 2014. In qualità di stampatore (è titolare di una tipografia) fece presunte pressioni sull’editore della testata per non far pubblicare proprio una notizia di una indagine a carico del figlio del senatore Tonino Gentile, Andrea, coinvolto nello scandalo dell’Asp di Cosenza. In seguito a quell’episodio Gentile, nominato da Renzi in quota Ncd come sottosegretario ai Trasporti fu costretto a rassegnare le dimissioni.

Il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti si è dimesso. Probabili elezioni in autunno.

giuseppe scopellitiIl presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, si è dimesso questa mattina dopo la condanna a sei anni di carcere inflittagli dal Tribunale di Reggio Calabria in relazione alla sua attività di sindaco della città. Scopelliti ha comunicato la notizia ai giornalisti nel corso di una conferenza stampa in un noto albergo del capoluogo.

L’ex governatore, che sarà candidato alle Europee nella lista del Nuovo Centrodestra, ha tracciato un bilancio dell’attività svolta nei quattro anni in cui ha guidato il governo regionale.

“Ho ritenuto giusto e opportuno – ha spiegato – rassegnare le dimissioni e dare il via all’iter conseguente. Abbiamo mantenuto il nostro stile – ha aggiunto – e abbiamo percorso quella che ritenevamo la strada più giusta e corretta dopo tutto quello che è successo”. Scopelliti, che ha nuovamente criticato l’atteggiamento del ministro degli Affari regionali, Maria Carmela Lanzetta, rispetto alla sua vicenda, ha poi ringraziato la Giunta e le forze della maggioranza di centrodestra per la collaborazione. Alla conferenza stampa, presenti tutti i consiglieri regionali, gli assessori, il presidente dell’assemblea regionale Francesco Talarico ed esponenti delle forze politiche di maggioranza.

Le dimissioni erano state annunciate all’indomani della condanna in primo grado per abuso d’ufficio e falso in relazione al caso Fallara, la dirigente al Bilancio del comune di Reggio Calabria suicidatasi dopo lo scandalo delle parcelle autoliquidate. Scopelliti, che si dice estraneo, aveva detto di “rispettare la sentenza” seppure “abnorme” rispetto al reato contestatogli dai magistrati di Reggio Calabria. Con le dimissioni del governatore la procedura di sospensione che scaturisce dalla legge Severino dovrebbe arrestarsi e si avviano le procedure per lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale. Vicepresidente era e rimane fino a nuove elezioni Antonella Stasi.

Molto verosimilmente si tornerà al voto in autunno. Giunta e ufficio di presidenza del consiglio resteranno in carica fino all’insediamento dei nuovi consiglieri dal momento che per le regioni non è previsto l’istituto del commissariamento. La palla passa ora al presidente del Consiglio regionale che per legge ha dieci giorni di tempo per convocare l’assemblea per la presa d’atto delle dimissioni. Dalla presa d’atto, il prefetto del capoluogo, entro 45 giorni dovrebbe indire nuove elezioni. Una data che coinciderebbe con l’estate, stagione in cui non si è mai votato.  

Sovraffollamento carceri, solo la Serbia fa peggio dell'Italia. Aumenta in Europa il numero di suicidi

Carceri: solo Serbia peggio di Italia in EuropaSolo la Serbia peggio dell’Italia per sovraffollamento delle carceri in Europa. E’ uno dei dati pubblicati nel rapporto 2012 sulle carceri del Consiglio d’Europa. I dati diffusi oggi dal Consiglio d’Europa sulla situazione nelle carceri dei suoi Stati membri nel 2012 non fanno che confermare che l’Italia deve riuscire a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario.

Nel 2012, un anno prima della sentenza Torreggiani con cui la Corte di Strasburgo condannava il nostro Paese per il sovraffollamento carcerario, l’Italia è risultata ancora una volta nella top ten di quelli con il maggior numero di detenuti per posti disponibili. In quel momento, con 66.271 detenuti e 45.568 posti disponibili, c’erano 145 carcerati per ogni 100 posti. Peggio dell’Italia solo la Serbia, con un rapporto di quasi 160 detenuti per ogni 100 posti.

Nelle carceri italiane nel 2011 si sono suicidate 63 persone. Il nostro paese è secondo solo alla Francia, dove nello stesso anno si sono tolti la vita 100 detenuti. Seguono poi le carceri d’Inghilterra e Galles (57), Germania (53) e Ucraina (48), secondo i dati del Rapporto 2012 del Consiglio d’Europa. L’Ucraina è invece lo Stato dove si registra il maggior numero di morti dietro le sbarre, 1009, seguono poi la Turchia (270), la Spagna (204) e Inghilterra e Galles (192).

L’Italia nel 2012 è stato il paese del Consiglio d’Europa con il maggior numero di detenuti stranieri nelle sue carceri. In totale erano 23.773, e rappresentavano quasi il 36% dell’intera popolazione carceraria. Il 45% era in attesa di giudizio, e quasi il 21% era un cittadino di un altro Stato membro dell’Unione europea. Questi sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto del Consiglio d’Europa sulla popolazione carceraria nei 47 Stati membri, fotografata al settembre 2012. n Italia invece il numero di detenuti deceduti in carcere è di 165, cifra che ricomprende i suicidi, anche se per le altre morti il nostro Paese, come quasi tutti gli altri, non fornisce dati sulle cause. Si sa solo che per il 2011 l’Italia dichiara che nessuna di queste persone è stata vittima di omicidio.

Riforma Senato, Renzi disposto a modificare impianto costituzionale secondo ultimo accordo con Berlusconi

Il presidente del Consiglio Matteo RenziIl presidente del Consiglio Matteo Renzi sarebbe disposto ad accettare alcune modifiche al disegno di legge costituzionale che ridimensiona le competenze del Senato, ora in discussione in una commissione di Palazzo Madama. 

Lo avrebbe detto lo stesso Renzi all’assemblea dei senatori del Pd.

La predisposizione del premier ad accettare modifiche, secondo fonti della maggioranza, è frutto dell’ultimo incontro tra l’inquilino di palazzo Chigi e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi il quale aveva fatto sapere di “non gradire” la bozza di riforma per il Senato.

Le rettifiche riguarderebbero soprattutto la composizione e le modalità di designazione dei senatori, che comunque non sarebbero scelti con le elezioni politiche.

“Non è un progetto autoritario, faremo tutti gli sforzi per trovare un punto comune. Ma se non si trova, sono pronto a fare un passo indietro. A tutti i costi non ci sto, piuttosto vado a a casa”, ha detto ai suoi senatori, come riferito da uno di loro.

Renzi avrebbe poi avanzato una “proposta di sintesi” sulla designazione dei senatori: “Lasciamo alle regioni le modalità di individuazione dei consiglieri regionali che ricopriranno il ruolo di senatori”.

“Prendo poi atto delle critiche all’idea, mutuata dal Bundesrat tedesco, che il Capo dello Stato nomini 21 senatori”, ha aggiunto, come riferito da uno dei partecipanti.

Il ddl costituzionale presentato dal governo prevede che sia solo la Camera dei deputati ad esercitare la piena funzione legislativa, la sola a votare la legge di bilancio e ad avere un rapporto esclusivo di fiducia con il governo, esercitando il controllo sui di esso.

Il nuovo Senato concorrerebbe comunque alla formazione delle leggi costituzionali, quelle di attuazione delle norme Ue, all’elezione del presidente della Repubblica e dei membri del Csm e della Consulta per la quota di competenza del Parlamento. Potrebbe poi avanzare proposte di modifica ai disegni di legge in discussione alla Camera che riguardano argomenti con ricadute sugli enti territoriali.

Quanto alla composizione, il ddl governativo, che si è attirato critiche anche da altri partner di governo e da Forza Italia, prevede che nel nuovo Senato siedano soltanto rappresentati di regioni e sindaci in quota paritaria. Di diritto sarebbero senatori i presidenti di regione e provincia autonoma (Trento e Bolzano) e i sindaci dei capoluogo di regione e di provincia autonoma. Per gli altri ci sarebbe l’elezione indiretta da parte dei consigli regionali tra propri componenti (2 per ogni regione) e da parte di una assemblea di sindaci di ciascuna regione tra i loro componenti (2 per ogni regione).

Dalla Puglia lo Sciolandipingeil futuro…coi colori dei’50".

L’assessore al Mediterraneo, Turismo e Cultura parteciperà, sabato 3 maggio, all’inaugurazione della mostra “Sciolandipingeil futuro…coi colori dei’50″,  che si terrà dal 3 all’11 maggio e  nata intorno alla personale del M° Renato Sciolan, a cura del Comune di Francavilla Fontana.

I visitatori della mostra, aperta al pubblico dal 3 all’11 maggio dalle ore 18,00 alle ore 20,30, potranno ammirare le opere inserite in un inconsueto allestimento che comprenderàun “installazioneoutfit” e abiti originali anni 50 dell’“Istituto Cordella – International Fashion School” di Lecce e alcune Vespa e Lambretta dell’Auto Moto Club “Città degli Imperiali”.

Per i giorni seguenti il vernissage sono previste le presentazioni della mostra, gratuite dietro prenotazione, dedicate a scuole e gruppi, a cura delle storiche dell’arte Maria Elena di Punzio, Titti Faggiano e Lucia Locorotondo”. Ma che minchia è! Il trash è il minimo

Errori nei documenti, bocciata lista di Forza Campania a Gragnano. Nuove forze, vecchi vizi…

forza-campaniaÈ stata bocciata l’unica lista di “Forza Campania” presente per le elezioni amministrative del 25 maggio 2014 a Gragnano, Napoli. La decisione dei cosentiniani aveva suscitato polemiche con i fedelissimi di Luigi Cesaro ma alla fine a evitare lo “scontro” è arrivata la Commissione elettorale che ha escluso il candidato Elio Coppola.

A decidere l’esclusione di Forza Campania sarebbe stata, secondo il Mattino, l’assenza di alcuni documenti necessari per l’approvazione definitiva. Inoltre i nomi degli aspiranti consiglieri sarebbero stati presentati oltre i termini fissati alle 12 di sabato mattina.

Ma i cosentiniani non ci stanno e promettono battaglia. “Restiamo basiti da questa decisione – ha dichiarato Coppola – la nostra segreteria ha consegnato tutta la documentazione e se c’era ritardo o irregolarità grave non avrebbero dovuto accettare il nostro schieramento”.

“In ogni caso – ha aggiunto – ci tuteleremo attraverso una denuncia alla procura della Repubblica e a un ricorso che inoltreremo agli enti preposti nelle prossime ore”.

Come si dice in politichese: “Massima fiducia nell’operato della magistratura”. Non è la prima volta che gli azzurri presentano liste in ritardo alle amministrative. E’ successo un po’ dappertutto, soprattutto nelle regioni meridionali. Proprio Nicola Cosentino lo scorso anno aveva tentato di portarsi via le liste con una fuga rocambolesca in Campania. Raggiunto da Nitto Palma ha poi consegnato le liste all’allora coordinatore regionale. Il motivo? La sua esclusione per l’elezione alla Camera.

A Cosenza, qualche anno fa Forza Italia non era riuscita a presentare le liste per le comunali. Gli addetti, fedelissimi dei fratelli Gentile, entrarono nell’ufficio elettorale del comune con cinque minuti di ritardo. A nulla sono valsi i ricorsi e il centrodestra si presentò monco dell’unica forza in quel territorio capace di racimolare voti.  Roba da riformatorio

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