11 Ottobre 2024

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Ncd, il "governo d'emergenza" non ha più senso col Pd al 40%.

Renzi con Alfano sui banchi del governo
Renzi con Alfano sui banchi del governo

La “fusione a freddo” tra Pd e Ncd al governo non ha certo giovato al partito di Alfano alle ultime elezioni europee. Un risicato 4 virgola qualcosa non era nelle aspettative dell’attuale ministro dell’Interno. L’ambizione era di arrivare quantomeno al 6-7% per dimostrare alle altre forze del centrodestra, in primis a Forza Italia, che col suo partito bisognava fare i conti dopo la traumatica scissione di ottobre. Visto l’esito delle urne ha però dovuto ricredersi. L’operazione “Salva Italia” di cui Alfano e i suoi vanno tanto fieri, evidentemente non ha fatto presa sull’elettorato.

Non ha fatto presa perché le “larghe intese” nate con Berlusconi nel 2013 hanno finito per risucchiare Alfano nel poderoso vortice renziano e renderlo indistinguibile sul piano della proposta politica. Né carne né pesce, appunto (che poi era l’accusa che Angelino muoveva agli ex amici di Forza Italia). L’alleanza con l’Udc del duo Cesa-Casini, seppure in un’intesa tattica, ha largamente premiato gli ex Dc che vengono paradossalmente “riesumati” proprio sotto la spinta dell’ex segretario del Pdl.

Pensare di arrivare al 2018 facendo da spalla a Renzi e al Pd comporta per Ncd il rischio di una lenta e inesorabile dissoluzione. Per un motivo molto semplice: le azioni poste in essere da Renzi (oggi col vento in poppa), premieranno sempre lui e il suo partito.

A bocciare anche l’ipotesi di continuare per altri quattro anni assieme al Pd è stato, sul Corsera lo stesso Renato Schifani, che invocando il dialogo con Forza Italia, intravede “la fine del partito” se si insiste a stare nell’ombra ingombrante dell’ex sindaco di Firenze. Per non parlare delle future alleanze locali dove difficilmente sarà possibile replicare il modello governativo. Immaginare alleanze sotto le insegne Pd -Ncd significherebbe disorientare il corpo elettorale.

In conclusione – aspetto più importante -, con il Pd al 41% vengono meno le ragioni di un “governo di emergenza” nato con Letta e finito oggi nelle mani di Renzi dopo il fallimento di Bersani. Insistere nel mantenere posizioni in un governo di Sinistra, col premier pienamente legittimato dal voto popolare del 25 maggio scorso, significa dare un unico messaggio, opposto allo slogan “Senza base non c’è altezza” recitato al battesimo romano di Ncd: e cioè, svelare (o consolidare il sospetto) che la scissione da Forza Italia consumata a ottobre 2013 è stata più un’operazione per mantenersi aggrappati alle poltrone che per rilanciare realmente un Nuovo Centro Destra unito e identitario.

Osservatore Romano: Gesù e il sussidio di disoccupazione

Sadao Watanabe, Gli operai della Vigna (xx secolo)
Sadao Watanabe, “Gli operai della Vigna” (XX secolo)

Luigi E. Pizzolato per l’Osservatore Romano

Già molti decenni fa, Romano Guardini (Il Signore. Riflessioni sulla persona e sulla vita di Gesù Cristo, traduzione italiana: Milano, Vita e Pensiero, 2005, pagine 341-348, ma l’originale tedesco è del 1937) aveva istituito un accostamento tra la parabola del “figlio perduto” (o del “Padre misericordioso” o del “figlio prodigo”: Luca, 15, 11-32) e quella del “padrone della vigna” (o degli “operai dell’ultima ora”: Matteo , 20, 1-16), accomunate da un finale dove sembra scoppiare uno “scandalo” per la giustizia.

Nella parabola del “figlio prodigo” i diritti della giustizia sono reclamati dal fratello maggiore, che trova scandalosamente difforme il trattamento di favore riservato al fratello ritornato rispetto a quello a lui riservato dal padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora…» (Luca, 15, 29-30).

Nella parabola del “padrone della vigna” sono gli operai assunti per primi che giudicano scandalosa l’equiparazione della loro retribuzione a quella degli operai assunti solo al pomeriggio, cioè alla fine della giornata lavorativa: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo» (Matteo , 20, 12).

E Guardini nota che la lettura provoca anche nel lettore un moto spontaneo di resistenza che il fedele reprime non convintamente, ma solo per rispetto e fiducia nell’autorità di chi (Gesù) l’ha proposta. Per lui però lo scandalo è dovuto alla mancata percezione da parte dei protestatari e del lettore della gerarchia che intercorre tra giustizia e amore all’interno del messaggio di Cristo. Che se non la si distingue, rappresenterebbe uno scandalo lo stesso compiersi di qualsiasi conversione, visto che «ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Luca, 15, 7).

Oltre che accogliere questa distinzione, si può lavorare più a fondo anche sullo stesso concetto di giustizia. Se essa, intesa nel senso etico tradizionale, è virtù che “dà a ciascuno il suo”, si tratta di vedere con gli occhi dell’amore e di una sana antropologia che cosa comporti quel “suo” che a ciascuno spetta. Possiamo rischiare di chiederci: il “suo” di ogni uomo è quello che attiene alla sua situazione temporanea attuale — quasi in una specie di giudizio anticipato su una condizione sempre precaria e infondata — o alla sua natura originaria e finale di uomo fatto “a immagine e somiglianza”?

Che se del secondo si tratta, il ”suo” che spetta a ciascuno non rientra nella logica valutativa, ma sempre nella prospettiva finale dell’a m o re donato senza calcoli. Comunque resta un’innegabile zona di insoddisfazione istintiva nella percezione di una discrasia tra due realtà positive: amore e giustizia. E ci si chiede se non possano anche in questo caso essere declinate di conserva, senza infrangere la giustezza del senso etico comune. Già il testo evangelico suggerisce che la stessa giustizia, in quanto virtù etica distributiva (non grazioso-oblativa), non è infranta, ma, per così dire, sublimata.

Il padre della parabola lo ricorda apertamente: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Luca, 15, 31). Il figlio che resta in casa ha avuto il continuo piacere dell’unione comunionale col Padre, anche se egli non l’ha magari percepita pienamente, proprio perché era condizione essenziale e non eminentemente distributiva. Il confronto perciò non deve prendere in considerazione solo i due trattamenti diversi finali, ma anche l’insieme delle condizioni, e ciò riequilibra in qualche modo il senso della giustizia distributiva.

Già nel De beata vita (1, 2) Agostino, ragionando sul tòpos classico della vita umana come navigazione, contempla anche il caso di chi è sempre rimasto in prossimità del porto sicuro (sua madre Monica, ad esempio), distinguendoli da quelli — dei più? — che se ne erano allontanati e vi sarebbero rientrati sospinti da quella che, col poeta, potremmo chiamare «provvida sventura».

Ivan Korzhev, Il ritorno del figlio prodigo (1998)
Ivan Korzhev, “Il ritorno del figlio prodigo” (1998)

È una sventura che per lo più ridesta nei lontani — come nel figlio prodigo — la nostalgia della casa paterna. Non a caso la parabola del figlio prodigo è discretamente ma significativamente sottesa agli inizi delle Confessioni (I, 17, 27- 18, 28; ma anche III, 4, 7) col movimento dell’«alzarsi» (surgere ) e del «tornare» (redire ), che è quello stesso del figlio prodigo: Surgam et ibo (Matteo , 15, 18).

Essa getta luce evangelica su quel meccanismo del ritorno dell’uomo al porto o a casa che è indicato come inquietudine, che è posto quasi a epigrafe dell’opera: «Ci hai fatti orientati a Te, e inquieto è il nostro cuore fino a che non trova quiete in Te» (Fecisti nos ad Te, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te: Confessioni, I, 1). L’inquietudine non è un dato puramente psicologico o, peggio, un disturbo patologico: esso è piuttosto un dato strutturale dell’uomo.

Il figlio prodigo (ogni uomo in quanto lontano) è inquieto perché è lontano e si ricorda come si stava bene prima e constata la distanza attuale da quella condizione di felicità perduta. L’inquietudine è perciò segno, a un tempo, del ricordo di Dio e della distanza da Lui; e la perenne insoddisfazione dell’uomo nei confronti di ogni meta temporanea ottenuta caratterizza il movimento della vita umana nel tempo. Il cammino di conversione è quindi un ritorno a casa, stimolato dallo stesso principio Padre che ci ha creati e che ha messo nelle nostre fibre la nostalgia di Sé.

L’inquietudine è perciò il modo e il meccanismo strutturale e originario con cui Dio fa tendere a Sé l’uomo e lo recupera a Sé, senza bisogno di interventi spettacolari di recupero, facendogli avvertire con il senso di mancanza la sua imperfezione e con il dolce ricordo il suo destino di perfezione. Lo recupera, insomma, mediante il mistero della stessa struttura desiderante dell’uomo, cioè della sua aspirazione inesausta alla felicità, che è a dire della comunione con Dio. E l’inquietudine trova sbocco finale nella buona accoglienza da parte del Padre, che ripristina con un risarcimento straordinariamente concentrato quella condizione di dolce relazione che era costantemente e normalmente “diluita” nella condizione del figlio rimasto in casa.

E se il padre è «dolce» quando dà al figlio, si fa ancora «più dolce» la sua accoglienza proprio perché il figlio «ritorna bisognoso» (egeno redeunti dulcior: Confessioni, I, 18, 28). Ma la conclusione ribalta più radicalmente ogni logica quando afferma: «Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi» (Matteo , 20, 16). Perché non invocare almeno una par condicio tra operai ultimi e primi, invece che, addirittura, una “preferenzialità ” verso gli ultimi? Qui, a mio avviso, può entrare in gioco il parallelismo con la parabola del figlio prodigo e con la festa maggiore che si fa in cielo per il peccatore che si converte. [quote] Gli operai assunti per primi sono stati in realtà avvantaggiati perché hanno risolto subito il loro problema vitale [/quote]Insomma, con la predilezione per gli ultimi in quanto già segnati dal dolore e dalla debolezza. Siamo consapevoli di azzardare, ma ci chiediamo: gli operai assunti per primi non sono stati in realtà già avvantaggiati perché hanno risolto prima il loro problema vitale e dispiegato più estesamente la loro natura attiva, più tipicamente umana dell’inoperosità degli ultimi che il vangelo chiama argòi , “senza lavoro”?

Non sarà che — come il fratello maggiore del figlio prodigo — anche i primi operai sono già stati favoriti perché hanno più a lungo usufruito della sicurezza e del contatto col padrone buono? E hanno beneficiato del rapporto di attività e di uno status, ben più consoni all’uomo che il ludibrio dell’inoperosità esposta in piazza? Bisogna considerare l’effetto economicistico del lavoro (per cui chi produce di più merita maggiore retribuzione) o l’aspetto antropologico di realizzazione umana che il lavoro comporta, per cui esso va riguardato come una specie di diritto? Secondo la stessa logica che comanda la privilegiata accoglienza del figlio prodigo da parte del padre, potremmo chiederci allora se gli operai assunti per ultimi non siano stati risarciti dal padrone per la loro incolpevole inoperosità e umiliazione, con una bontà maggiore che configura una specie di “sussidio di disoccupazione”.

Rai, viale Mazzini, il tempio eterno delle cricche di potere. 60 anni di Rai e lottizzazione politica visti da Paolo Guzzanti

Rai in bianco e neroLa stanza dei bottoni simbolo del potere: trame, cordate e bugie

Paolo Guzzanti per Il Giornale

E’ mezzo secolo che faccio il giornalista e mezzo secolo che mi tocca scrivere almeno una volta all’anno della Rai perché la Rai è il sancta sanctorum dell’Italia, il suo tesoro nascosto, la stanza dei bottoni, la camera oscura delle oscure compensazioni. Una volta si andava a viale Mazzini e si passeggiava lungo i corridoi del settimo piano, il piano nobile degli intrighi più alti. Anche intrighi nobili, volendo. Ma sempre intrighi. Funzionari e programmisti, ma anche attori e registi, scherzavano amaramente sulla loro appartenenza a questa o quella cricca, cordata, corrente. Tutti – o quasi – pronti a cambiare «linea politica» se fosse cambiato il clima politìco. Una capacità di adattamento da far impallidire, per così dire, il camaleonte.

Ci sono sempre stati, in Rai, dei «referenti» (ricordate questo termine). I referenti vanno considerati «in quota» (memorizzate anche questa di parola)!! «referente in quota» è il tizio, o la tizia, che rappresenta un partito, una corrente, un esponente, all’intemo dell’intera azienda, di una rete, di una struttura, di una trasmissione, di un tg. Una volta era facile: era tutto democristiano. Il vecchio Bubbico (curatore storico della Dc ai tempi di Moro, Fanfani e Andreotti) diceva ridendo m modo sinistro: «Noi alla Rai non facciamo la lottizzazione. Noi pratichiamo il latifondo». La «lottizzazione» èu na parola inventata su misura per la Rai, intesa come landa i cui lotti vengono distribuiti in gestione ai vassalli e ai valvassori. «In che quota sei?» equivale a «Chi è il tuo referente?».

Rai centro del potere culturaleOgni lotto lottizzato produce la sua«linea politica». La Rai è infatti una trama di «linee editoriali». Che cosa sono? Sono il nome aulico delle bugie. Un tempo esistevano soltanto le bugie democristiane, poi vennero quelle socialiste, quelle comuniste e di tutti gli altri partiti, somministrate attraverso i tg in appalto ai partiti. Poiché i tg affidati (anzi occupati dai) partiti devono tirare la coperta dalla parte politica di cui sono espressione, anche le notizie, gli approfondimenti, persino il tono di voce e lo sguardo dei giornalisti, fanno parte di una impalcatura teatrale, la «linea politica», che è un castello di menzogne, manipolazioni, omissioni e gonfiature, pietosamente definito «linea editoriale».

La «linea editoriale» è un residuato bellico della Guerra fredda. Durante la Guerra fredda tuttora attiva sotto forma di guerra civile a bassa intensità – i grandi partiti, specialmente Dc e Pci.decisero che la verità fosse un optional.
Ognuno ha la sua e non stiamo a sottilizzare. Mentre i giornalisti di tutto il mondo civile erano assunti o licenziati secondo la loro bravura, quelli italiani venivano assunti e (mai) licenziati secondo «appartenenza». L’appartenenza è un derivato del referente (vedi sopra). Gli «appartenenti», per tradizione cavalieresca, non si licenziano, ma si accumulano negli stipendi inutili e nelle carriere frizzate.

Un tempo alla Rai facevano carriera anche giornalisti, intellettuali, tecnici, sceneggiatori o programmisti che erano semplicemente bravi. Carlo Emilio Gadda per fare un nome.Ci fu un tempo in cui la Rai era anche una scuola di vita e di produzione culturale non conformista. Oggi il conformismo avvelena tutti i pozzi. Prima della lottizzazione integrale sopravviveva una sorta di fair play. Poi vennero i socialisti entrati da poco nella «stanza dei bottoni» (così il loro leader Pietro Nenni chiamava l’immaginario luogo delle grandi decisioni) e con loro entrarono non soltanto intellettuali e giornalisti, ma anche una feccia di portaborse e arrampicatori.

studio Tv Rai anni 50L’ingresso progressivo dei partiti – il Pci ottenne un’intera rete e un telegiornale tutto suo – fece a pezzi la parte più sana dell’azienda. Tuttavia, la Rai ancora amministra il potere, che ha bisogno di lei. Oggi si parla tanto del Web come se avesse sostituito la televisione, ma si tratta di una forzatura. I talk show hanno il loro peso (decrescente) e i telegiornali anche. È vero che si sono aggiunte le altre reti, La7 in particolare, con un potente apparato politìco.

Ma la Rai che «non è la Bbc» come ironizzava Renzo Arbore – ha mantenuto e mantiene il suo primato. Qualcuno starà già scalpitando: ma non dici niente di Mediaset? Dico questo. Parecchi anni fa chiesi a Beriusconi: lei ha ben tre reti televisive, il primo settimanale italiano e un quotidiano di alto prestigio. Come mai non ha varato una politica editoriale capace di contrastare sul piano culturale e politico le forze congiunte di RaiTre, la Repubblica e l’Espresso? Berlusconi mi rispose che le sue reti sono commerciali, devono servire un pubblico generalista per vendere pubblicità.

Ed è così: malgrado lo sfegatato berlusconismo di alcuni personaggi, le reti Mediaset non sono mai state né intendono diventare antagoniste culturali della Rai. Dunque la Rai resta con tutti i suoi pregi e vizi genetici. Piena di ottimi lavoratori, spesso capace di (costosissime) eccellenze, ma prima di tutto uno strumento con cui (illudersi di) esercitare il potere. Tutti i giornalisti Rai che ho conosciuto in tanti anni, senza eccezione di età, genere e partito, si sono tutti dichiarati infelici, imbavagliati, sottoposti a un controllo e a una logica agli antipodi dell’idea di un servizio pubblico.

Gratteri in audizione al Senato: "In carcere entrano troppi politici"

Il magistrato Antimafia Nicola Gratteri
Il magistrato Antimafia Nicola Gratteri

Gratteri: “In carcere entra troppa gente. Appena c’è un arresto eccellente con le scuse più incredibili entrano in carcere da 50 a 100 parlamentari. Ci sono troppe associazioni di volontariato senza che vi sia una selezione su che tipo di volontariato va a fare. In carcere devono stare solo i detenuti e la polizia penitenziaria”.

Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, in audizione presso la Commissione Diritti umani non ha dubbi e al Senato ribatte punto su punto alle obiezioni dei senatori che lo incalzano sul 41 bis cui una delle cose che si sente è concedere “Sul regime di carcere duro del 41 bis si tratta di perfezionare un percorso senza incidere sui diritti umani ma come unico obiettivo sconfiggere le organizzazioni mafiose”, afferma.

“Occorre – ha proposto Nicola Gratteri – aumentare il numero delle aree riservate per non consentire la comunicazione fra tutti i detenuti. Occorre destinare alle aree insulari i capi delle organizzazioni. Assicura un’adeguata rotazione di tutto il personale Gom della penitenziaria senza creare assuefazione all’ambiente. Occorre attuare la video conferenza a tutti i detenuti e cio’ porterebbe incredibili risparmi sia di costi che di personale impegnato nelle traduzioni”.

“Il 41 bis è uno strumento irrinunciabile per contrastare le organizzazioni mafiose ed ‘ndranghetiste – ha sottolineato Gratteri – e va affrontato con obiettivi chiari perché solo cosi c’è un bilanciamento con i diritti umani. Lo scopo del 41 bis è la riduzione e controllo del flusso di comunicazione con l’esterno: impedire il governo degli affari criminali che i capi assumano decisioni ed emettano sentenze di morte. Impedire la gestione della ricchezza finanziaria ed è uno strumento anche per intercettare i patrimoni poiché determina vuoto di controllo delle risorse e favorisce la venuta allo scoperto dei patrimoni”.

“Occorre costruire quattro carceri per il 41 bis e concentrare tutti i detenuti sottoposti al regime di carcere duro. Quattro carceri con quattro direttori specialisti sul 41 bis”. È l’invito del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, ascoltato oggi dalla commissione sui Diritti Umani del Senato sul regime del 41 bis.

“Le sezioni carcerarie adattate al 41 bis – ha detto Nicola Gratteri alla Commissione – sono distribuite su 12 carceri e questo è già un’anomalia: ci sono quindi 12 direttori di carceri con 12 interpretazioni diverse sul 41 bis”. “Per far funzionare il 41 bis – ha detto ancora il procuratore Gratteri – servono soldi e non ci sono. Occorre essere seri e fare i tagli dove serve e non solo tagli lineari come fatto fino ad ora”. “Perché – si è chiesto Gratteri – non si riaprono le carceri di Pianosa e dell’Asinara chiusi nel 1994? Quando si riparlera’ di sovraffollamento carcerario voglio quale partito politico proporrà la loro riapertura”.

“La fuga di notizie sulle minacce fatte da Totò Riina indica che qualcosa non ha funzionato e che nelle carceri entra troppa gente”. Lo ha detto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, nel corso di un’audizione sul regime del 41 bis davanti alla commissione sui diritti umani del Senato. Parlando sempre delle minacce di morte fatte da Riina al pm del processo sulla trattativa Stato-mafia, Nino Di Matteo, il procuratore Gratteri ha invitato per il futuro “a fare attenzione anche alla fuoriuscita della piu’ innocente notizia poiché i boss hanno un modo criptico di parlare”.

“Io sono favorevole a mandare i detenuti del 41 bis a coltivare la terra. Vadano nei campi di lavoro e non a guardare la televisione 10 ore al giorno”. Lo ha affermato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, parlando del 41 bis davanti alla commissione diritti umani del Senato.

“Sono per il lavoro come terapia rieducativa per il detenuto – ha spiegato il procuratore Gratteri – la legge dovra’ prevedere lo strumento rieducativo altrimenti il lavoro lo dovremo pagare e certamente non ci sono i soldi per pagare tutti i detenuti. Occorre un atto di coraggio e cambiare la norma. Ci sono capi mafia cinquantenni o sessantenni che non hanno mai lavorato in vita loro”.

Questa Ue peggio del nazismo: ha pianificato morte e distruzione

 barroso e oligarchi UeL’Europa, questa Europa, ci regala prospettive anni ’20. La disoccupazione è alle stelle, quella giovanile è al 46 percento. Una stima che al Sud supera il 60%.

I ragazzi, e non solo loro, sono costretti ad emigrare per cercare lavoro. Questa è la magica teoria della crescita zero impostaci da Bruxelles. Intanto in Italia si studia il modo per accrescere l’occupazione: flessibilizzare di più.

Ecco il disegno degli strateghi per un un paese rimasto senza industria e con un micro tessuto produttivo massacrato dal fisco e aggredito dalla concorrenza spietata (e sleale) dei cosiddetti paesi emergenti.

Da questo paese scappano pure gli immigrati per la disperazione. Renzi dice che riformerà questo paese in direzione di una maggiore competitività. Ma non si può crescere ed essere competitivi se abbiamo i cinesi che ci fanno le scarpe in tutti i sensi.

L’Ue, questa Ue, è il male assoluto, peggio del nazismo. Ha pianificato la nostra distruzione in modo scientifico. L’Italia, come le altre nazioni europee, deve uscire da questo tunnel senza uscita.

L’unico modo è lasciare l’Ue dei banchieri e tornare al protezionismo per difendere gli interessi che l’Europa “comunitaria” non è riuscita a difendere. Dobbiamo tornare a essere un paese pienamente sovrano che possa battere moneta anziché battere debiti e disperazione.

Mose, lo spartiacque delle tangenti a Venezia. Arresti eccellenti. Dentro il sindaco Orsoni e altri. Richiesta per Galan

Il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni
Il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni

L’avevano chiamato Mose per difendere Venezia dall’alta marea e invece avrebbe finito per difendere – vista la crisi – il conto in banca di molti che stamattina sono stati arrestati in esecuzione di una ordinanza disposta dalla Procura di Venezia.

In manette 35 persone tra politici, imprenditori, manager ed ex militari tra cui il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni del Pd (ai domiciliari), l’assessore regionale veneto alla Mobilità, Renato Chisso, il generale in pensione della Gdf, Emilio Spaziante e per l’ad di Palladio Finanziaria, Roberto Meneguzzo, alcuni dei nomi più eccellenti.

Le ipotesi di reato a vario titolo sono corruzione, concussione e riciclaggio. Nell’inchiesta su presunti fondi neri accumulati dagli allora vertici di una azienda operante nella costruzione del sistema Mose per la difesa di Venezia dalle acque alte anche una richiesta di arresto per Giarcarlo Galan, ex governatore del Veneto ed ex ministro con Berlusconi e ora parlamentare di Forza Italia.  Ai domiciliari è stata posta Lia Sartori, europarlamentare uscente azzurra non rieletta nella tornata del 25 maggio scorso.

L’inchiesta sul Mose parte da lontano e ha preso avvio da un filone dell’indagine per presunte mazzette relative ad opere autostradali lungo la A4 riguardanti una società presieduta da Lino Brentan. Patteggiata la pena per quella vicenda, Brentan oggi risulta tra gli arrestati per la nuova indagine della Procura di Venezia. Da quel filone la Guardia di Finanza, coordinata dalla Procura di Venezia, è giunta ai presunti fondi neri creati da Piergiorgio Baita, all’epoca dei fatti ai vertici della Mantovani, la società leader nella realizzazione del Mose e all’interno del concessionario unico Consorzio ‘Venezia Nuova’ (Cav).

Gli inquirenti sono riusciti poi a risalire agli allora vertici della Cav, con l’arresto del presidente Giovanni Mazzacurati e di altre persone. Nei giorni scorsi, nel quadro del filone riguardante l’ex presidente della Mantovani l’invio di uno stralcio del fascicolo al tribunale dei ministri relativo all’ex ministro Altero Matteoli. Con un’alleanza che spaziava dal Pd all’Udc, Giorgio Orsoni nel 2010 fu eletto sindaco al primo turno contro Renato Brunetta, “tradito” dalla Lega che fece il pieno nel nord-est ma i voti non si trovarono nelle urne veneziane.

Con l’inchiesta di stamani arriva la conferma che dietro una grande opera c’è sempre (o quasi) un vorticoso giro di tangenti. L’inchiesta sul giro di mazzette sul Mose era già nell’aria da tempo e cammina parallela ai grandi appalti dell’Expò di Milano 2015 e ad altre grandi opere pubbliche al Nord. A testimonianza che l’era di Tangentopoli non è affatto finita vent’anni fa, ma prosegue costante con strategie più affinate.

Marò, invito all’evasione. Scambiamo Monti, Passera e Di Paola per i due fucilieri.

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
I marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

Marò, questi sconosciuti. Ieri è stata celebrata la festa della Repubblica. In un collegamento video i militari Massimiliano Latorre e Salvatore Girone hanno sfogato il loro sdegno contro il governo italiano per la loro assurda detenzione in India. I fatti sono arcinoti. Nel video abbiamo visto i due fucilieri della Marina gridare con rabbia: “Abbiamo eseguito degli ordini, riportateci a casa!”.

Ebbene, si suggerisce ai nostri due connazionali di evadere (evadere) quanto prima vista l’inaffidabilità del governo italiano (se ne sono succeduti 3: Monti, Letta e ora Renzi). Fossero stati militari della Marina Usa sarebbero già rientrati negli Stati Uniti dopo appena una settimana, come i due marines che tranciarono la funivia del Cermis (20 morti) nel ’98. E l’Ue? Pensa a salvare le banche!

Potremmo pensare pure di inviare le teste di cuoio a fare un blitz. In alternativa, si potrebbe sempre suggerire al governo di New Delhi uno scambio. Loro ci restituiscono i soldati e noi gli rifiliamo l’ex premier Mario Monti detto il “professorone”, e l’ex ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, altro “scienziatone” del governo tecnico, entrambi con enormi responsabilità sul drammatico destino dei due militari Nato. Anzi, spediamoci anche Corrado Passera (curatore di “raffinati” interessi con l’India) e, perché no, anche Giorgio Napolitano detto “l’indiano” per via della sua abilità a vedere e sentire solo ciò che gli conviene.

Lui che è stato capace di realizzare la “repubblica presidenziale” facendo nei fatti gli ultimi tre governi, dettando loro la linea politica, scegliendo ed escludendo ministri, è stato incapace di andare in India e prendere di petto la questione marò. Che figura, Giorgio!
E’ un 3 x 2 molto conveniente. Dai, Matteo (Renzi), provaci! Avrai molta più fortuna degli 80 euro che l’Ue ti ha vanificato con la “letterina”. Se riporti i marò in Italia otterrai il 40% a vita, fidati!

A mamma Rai non piace la "tagliata"

RaiNon sembrano placarsi le tensioni sulla Rai. L’azienda al completo ha annunciato uno sciopero nazionale per protestare contro il taglio da 150 milioni previsto dal decreto Irpef varato lo scorso aprile. In difesa del servizio pubblico sono scesi i sindacati tradizionali, i quali attaccano Renzi (che non intende retrocedere) mentre il garante per gli scioperi ha bocciato la protesta della tv di Stato. Intanto la commissione Finanze del Senato ha approvato un emendamento che esclude dai tagli le società partecipate. Un altro correttivo, potrebbe scongiurare sempre a palazzo Madama, l’accorpamento delle sedi regionali.
Insomma, tutto cambi affinchè nulla cambi sembra essere il copione. La Rai è un’azienda che spreca e accumula debiti come Alitalia e non vuol sentir parlare di tirare la cinghia come sono costretti a fare gli italiani. A mamma Rai evidentemente non piace la “tagliata” di stato.
Ma Renzi in questo ha ragione. “Tocca anche a voi…”. Si ha la vaga impressione che attraverso la mobilitazione dei “piani bassi” di Viale Mazzini saranno salvate dalla “scure” i piani alti dove vegetano da decenni i nababbi del pubblico, cioè supermanager, conduttori, consulenti e blasonati giornalisti che percepiscono somme da capogiro a carico della povera plebe.
A proposito della compagnia di bandiera – salvata anni fa dal default con l’intervento dello Stato: il ministro Poletti fa sapere che ci sono 2500 esuberi. Il titolare del Lavoro insieme al governo si è speso per salvare un centinaio di operai di Elettrolux ma forse non riesce a far nulla per salvaguardare i posti di lavoro in Alitalia. L’operazione con Etihad potrebbe saltare se non si riducono i costi? Ancora nessuna notizia degli esuberi Rai e si spera non ce ne siano (perchè dispiace sempre quando qualcuno ti dice che sei un “esubero”) ma questa autodifesa a oltranza della Rai fa supporre ben altro. È evidente che se venisse confermato il taglio da 150 mln Gubitosi sarà costretto ad applicare la tagliola a cascata. Iniziasse però dalle sue stanze per finire al parco auto…

L'Ue continua a dare compiti all'Italia

il-premier-matteo-renzi-e-il-ministro-dell-economia-pier-carlo-padoanRoba da non credere. La Commissione europea continua con ostentata indifferenza a dare compiti all’Italia ignorando di fatto l’esito elettorale del 25 maggio scorso. In una lettera di “raccomandazioni” l’Ue guidata (ancora per quanto?) da Barroso chiede nuovamente al governo italiano “sforzi aggiuntivi” per il 2014, che tradotto significa maggiori sacrifici all’insegna della austerità. Non sappiamo se questo si tradurrà nell’ennesima manovra lacrime e sangue contro i cittadini ma un dato è acclarato. Con la richiesta esplicita di applicare maggiori tasse sui consumi (aumento dell’Iva, carburanti eccetera) l’Ue annulla gli effetti dei famosi 80 euro che Matteo Renzi ha voluto dare a chi guadagna meno di 1500 euro al mese proprio per arginare il calo vertiginoso dei consumi e dare un po’ di ossigeno alle famiglie. Una misura, questa, “bruciata” dai tecnocrati di Bruxelles. Vedremo se il premier italiano ha coraggio di opporsi e rispedire al mittente la “letterina” oppure chiederà, per il tramite di uno dei portavoce delle lobby Ue, Padoan, una timida quanto imbarazzata deroga…

Forza Fitto! Il dissidente azzurro contro Berlusconi e l’unanimismo imperante

Raffaele Fitto
Raffaele Fitto

E’ resa dei conti in Forza Italia. Archiviate le europee dove il partito di Berlusconi è precipitato al 16 percento, avanza prepotente l’idea di un radicale rinnovamento. L’alfiere di questa “sfida” porta il nome di Raffaele Fitto, ex governatore pugliese ed ex ministro dell’ultimo governo di Silvio.

Alle ultime elezioni ha conquistato uno scranno a Strasburgo a suon di preferenze. Ne ha totalizzate quasi 285mila. Il più votato in assoluto dopo Simona Bonafè, del Pd (4mila voti di più).

E ora questi voti “di stima” li ha serviti al ghota romano per rilanciare l’unità del centrodestra e, cosa più importante, chiedere a gran voce le primarie per scegliere il nuovo leader di un partito dinastico ancorato (purtroppo ancora) attorno alla figura di Berlusconi.

Una proposta che ha creato molti mal di pancia, primo fra tutti proprio all’ex premier che vede come fumo negli occhi chiunque possa strappargli la leadership. A ruota i soliti “falchi” che da Verdini, Brunetta e Toti a Gelmini, Tajani e Romani, per citarne alcuni, hanno fatto quadrato attorno al Cavaliere. “Le primarie non sono necessarie, un leader ce l’abbiamo già e si chiama Silvio Berlusconi”, è il consueto monologo. Fitto insiste è per un po’ lascia intuire che se non si avvia un processo di profondo cambiamento nel partito azzurro sarebbe disposto ad un’altra scissione come quella che fece Alfano con Ncd. Ipotesi poi smentita.

Lo scontro è aperto e abbastanza lacerante. Da una parte ci sono i “cortigiani” di Arcore in difesa dello “status quo” (quello che ha consentito a gente senza voti di essere nominanti da vent’anni a questa parte in parlamento e ai vertici delle istituzioni), dall’altra un gruppetto di donne e uomini coraggiosi (tra cui Carfagna, Capezzone, Rotondi e altri) che ha intrapreso la via più scomoda del dissenso. Un po’ tardi, è vero. Ma meglio tardi che mai, viene spontaneo pensare.

Naturalmente siamo a favore della compagnia capeggiata da Fitto, così come in passato “tifammo” per Renzi, Meloni e Alfano e chiunque in futuro mostri coraggio e attributi nell’affrancarsi da quell’unanimismo imperante che ha fatto precipitare l’intero paese, prima ancora che qualche partito. Non sappiamo se l’ex titolare degli Affari regionali riesca a spuntarla in questa battaglia contro le truppe “Yes Sir” di Berlusconi, ma è già una grande vittoria aver messo in discussione la leadership di un uomo che con intelligenza avrebbe fatto bene a mettersi da parte già molti anni fa. Forza Fitto! Il piccolo grande Davide contro un vecchio e acciaccato Golia.

Padoan e le pensioni: non ci andrete mai. Chi riceve vitalizi d'oro esegue gli ordini dall'Ue in barba all'esito elettorale.

Matteo Renzi con Pier Carlo Padoan
IL POLITICO E IL TECNICO Renzi con Pier Carlo Padoan

Un paese in recessione che cresce al ritmo dello zero virgola zero “ha bisogno di riforme strutturali”, il che significa una sola cosa: abolire lo stato sociale delle attuali e future generazioni. Il copione è lo stesso. Sempre quello suggerito “riservatamente” nell’estate del 2011 dai banchieri al governo Berlusconi prima di farlo capitolare. I famosi “compiti a casa” che dopo la defenestrazione del cavaliere, li ha fatti fare agli italiani Mario Monti, il professorone scelto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano a guidare il governo dei “tecnici” tanto caro a quella nomenclatura finanziaria che milioni di cittadini hanno sonoramente bocciato il 25 maggio scorso.

Oggi a guidare l’esecutivo c’è “l’innovatore” Matteo Renzi, colui che rottama e ribalta, almeno a parole, modelli e visioni precostituiti nel continente dominato dalle camarille che risiedono nel “triangolo della morte”. Almeno a parole, poiché di concreto nell’auspicato “cambio di passo” nell’Ue ci sono soltanto gli annunci “volenterosi” dell’ex sindaco di Firenze.

Si dirà che Renzi ha bisogno di tempo, ma il canovaccio recitato da quanti si sono succeduti negli ultimi 20 anni sembra lo stesso e fanno presagire che attorno al movimento agitato dell’acqua, lo “scoglio” dell’austerity rimarrà solido e ben saldo sul fondo là dove i “comandanti” dell’Unione europea han voluto adagiarlo.

Ne è la dimostrazione l’ultima uscita del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che prima al Wall Street Journal – giornale portatore degli interessi della Finanza – rilancia e protegge lo “scoglio”, partendo proprio dalle pensioni: “Sono favorevole – dice – ad un graduale aumento dell’età pensionabile”. Poi al festival dell’economia di Trento, incalzato, conferma. Le agenzie battono la notizia e si leva un polverone tra organi politici e sindacali. Il ministro dell’Economia, probabilmente sollecitato, si affretta a smentire. Ma nella smentita ribadisce il concetto espresso all’estero. “Non ho detto che il governo stia pensando ad alzare l’età pensionabile che è già indicizzata alle aspettative di vita”. Semplicemente “non sono d’accordo a interventi per abbassare l’età pensionabile che stanno facendo alcuni Paesi, come la Germania”, paese che sta facendo quel giro di boa che l’Italia e altri paesi impiegheranno un secolo a compierlo.

Mario Draghi insieme al ministro Padoan
SINTONIA Mario Draghi col ministro Padoan

Fuori dal tecnicismo, per andare in pensione ci vorranno 70 anni con almeno 50 di contributi, poi 75, infine tra qualche anno 80, magari con 60 di contributi versati. Sembra grottesco ma le menti perverse di Bruxelles lo pensano davvero. Come? Truccando e manipolando le aspettative di vita attraverso gli istituti di statistica. Ecco la gradualità di cui parla Padoan.

A questo punto bisogna chiedersi che senso ha versare per mezzo secolo contributi (obbligatori!) all’Inps per “una scommessa” – quella di arrivare all’età pensionabile – che sappiamo di non poter vincere mai. O, se va bene, ne “beneficeremo” per qualche annetto pagando la retta di qualche ospizio.
Chi invece prende queste decisioni di questa portata per nostro conto riceve già vitalizi d’oro di 20/30mila euro al mese…

Per tornare alle frasi di Padoan, il ministro ai mercati ha detto “non preoccupatevi, perché continueremo a fare i compitini a casa in modo più serrato”, mentre agli italiani ha fatto intuire, tra il detto e il non detto, che la pensione da qui a qualche anno sarà soltanto una cupa illusione. La riforma Fornero non solo è la via maestra ma bisogna rafforzarla per rendere ancora più solido e impermeabile lo “scoglio” del rigore che tradotto significa “graduale” smantellamento del welfare.

Insomma, non ci saranno “mareggiate” capaci di scalfire ed erodere il potere costituito. Pier Carlo Padoan del resto è un tecnico di “successo” giunto ai piani alti della nomenclatura europea perché è uno che si “adatta” e soprattutto sa eseguire gli ordini come seppero eseguirli Dini, Ciampi, Prodi, Berlusconi, Monti e Letta con dietro le quinte sempre lui, Giorgio Napolitano che oggi in un messaggio per la festa della Repubblica ha predicato ancora la necessità delle “riforme strutturali”.

Chiuque si rifiuti di eseguire gli ordini è fuori dal giro che conta. Siamo punto e a capo. Nonostante la “rivoluzione renziana” lo scetticismo prevale sulle operazioni di facciata, quelle volute dal Quirinale che nella formazione del governo dell’ex sindaco ha imposto (senza averne titoli) non solo i ministri ma anche la linea politica aderente al volere di mercati e ai poteri forti. Le “riforme strutturali” imposte da questa tecnocrazia significano la morte del lavoro, quella delle imprese, la morte dello stato sociale, la morte dei cittadini. Per salvarci l’unico modo è tornare alla sovranità degli stati nazionali com’eran prima che entrasse in vigore il trattato di Maastricht. Una terza via esiste.

Renzi: "Berlusconi continua a esserci nonostante ciò che ha subìto. Sbagliata la superiorità morale della sinistra".

Matteo Renzi - Pietro Masturzo per "La Stampa"Fabio Martini per La Stampa.

Sin dalla notte della larghissima vittoria elettorale Matteo Renzi si è imposto un understatement e un profilo basso che hanno di nuovo spiazzato tutti e cosi, anche chiacchierando nel suo studio di palazzo Chigi con i corrispondenti di alcuni dei più importanti giornali europei che gli chiedono di una sua possibile leadership Ue, lui si vieta ogni trionfalismo: «Non credo che il senso delle elezioni sia che è nato il leader Matteo Renzi.

No, il senso delle elezioni è che l’Italia può giocare un ruolo, che l’Italia non è l’ultima ruota del carro, che l’Italia è un Paese che, se cambia, può diventare lei leader d’Europa». In jeans scoloriti, camicia bianca senza cravatta, Matteo Renzi mantiene il suo tono scanzonato e a Philippe Ridet de «Le Monde» che gli chiede un pronostico sul mondiale di calcio, lui risponde: «Sono troppo amico di Cesare Prandelli e poi dicono che se l’Italia vince i Mondiali c’è un punto in più di Pil…». Ma la Francia lo ha vinto nel ’98 e non è arrivato nulla…». Renzi: «Facciamo così , noi lo vinciamo e poi controlliamo, io mi accontento anche di mezzo punto!».

Presidente, è la terza volta in due anni che questo pool di giornalisti viene qui a palazzo Chigi: prima c’era Monti, poi Letta, ora lei. Pensa che il prossi mo anno ne troveremo un altro? Quale è la ricetta per restare?
«Non so se sia un bene o un male, ma credo che per qualche anno non ne vedrete altri! L’Italia ha scelto la stabilità e per noi stabilità significa fare riforme molto dure e molto forti. Possiamo permetterci di dire che vogliamo cambiare l’Europa perché partiamo da noi. Perché da noi, dopo 70 anni, non si è votato per le Province. Perché la riforma elettorale è stata approvata in prima lettura. Perché la riforma della Costituzione è ben incardinata al Senato. Perché la riforma del lavoro, scandita in due parti, è già avviata; perché la riforma della Pubblica amministrazione sarà attuata il 13 giugno; perché la riforma della giustizia sarà presentata entro giugno; perché il 30 giugno inizierà il processo civile telematico. L’Italia sta profondamente cambiando».

La stabilità consente il cambiamento?
«Si, anche perché il segnale delle urne non si presta ad equivoci. È la prima volta dal 1958 che un partito prende più del 40 percento, allora credo fosse al governo Fanfani: 56 anni fa. Più forte di così gli italiani non potevano parlare».

Un voto politico o un atto di fede?
«E’ difficile interpretare i flussi elettorali, a maggior ragione è difficile interpretare le emozioni elettorali. Penso che le due cose stiano assieme. È un atto di fede, basato su un ragionamento politico. C’è un modo tipico di dire, buffo, dei politici italiani che perdono le elezioni: ah, gli italiani non ci hanno capito… Come se fosse colpa degli elettori! Ma rovesciando quel modo di pensare, si potrebbe dire che stavolta sono stati gli italiani ad aver capito noi, più e meglio di quanto non sia stata capace la classe dirigente, i giornalisti, i politici».

Dopo tanti falsi allarmi, stavolta l’Europa sembra davvero al bivio, ripensarsi o rischiare di perdersi. L’altra sera, alla cena di Bruxelles con gli altri capi di Stato e di governo c’era la percezione di questo bivio o sono state espresse preoccupazioni rituali?
«Non so valutare le singole posizioni, io dico che se vogliamo salvare l’Europa, dobbiamo cambiarla. Anche nel nostro Paese, quello con la percentuale più alta di votanti e nel quale si è affermato il principale partito al governo, chi ha votato per il Pd ha comunque chiesto di cambiare l’Europa, non di conservarla come è».

Lei sosterrà la candidatura di Juncker alla presidenza della Commissione europea?
«Il presidente Van Rompuy ha ricevuto un mandato da parte di tutti i governi per trovare un accordo globale, che tenga assieme gli incarichi di maggiore responsabilità. La posizione del governo italiano è molto chiara: nomina sunt consequentia rerum. Prima di ragionare di nomi, mettiamoci d’accordo sull’agenda. Mi interessano più i posti di lavoro che i posti di potere».

Un profilo del leader della Commissione?
«Deve amare l’idea dell’Europa e oggi i veri amanti dell’Europa sanno che così come è, va cambiata. Deve amare l’Europa, ma con uno sguardo da innovatore».

Dopo le elezioni Europee come sono i suoi rapporti con la cancelliera Merkel? E’ vero che durante la cena di Bruxelles lo ha chiamato «il matador»?
«Si matador, ma non d’Europa! Ci siamo messi a discutere cosa significasse matador, l’origine dell’espressione. D’altra parte ci eravamo sentiti il giorno prima per complimentarci reciprocamente».

Sì, ma ora vi attende un confronto che potrebbe vedervi su sponde opposte…
«Ho un ottimo rapporto con la signora Merkel, ho sempre detto che se l’Italia o altri Paesi hanno dei problemi, la colpa non è dell’Europa. Di più: trovo volgare e inelegante il modo in cui alcune forze politiche hanno cercato di prendere voti, parlando male della Germania. Noi abbiamo preso i voti parlando bene dell’Italia, che però va cambiata. Da questo punto di vista la Germania per me è un modello, non un nemico. Lo è quando penso al mercato del lavoro, o alla sua struttura pubblica. Questo non significa non avere idee diverse su tante questioni. È del tutto evidente che oggi la Germania ha tutto l’interesse che l’Italia corra. E l’Italia ripeterà che l’impostazione di fondo dell’Europa non deve essere centrata soltanto sull’austerità ma anche sulla crescita, l’occupazione e le riforme».

Ogni Paese mette sempre grande enfasi sulla propria presidenza dei semestri europei, ma poi è difficile individuare un semestre memorabile. Lei ha una idea-forte per dare un segno italiano al prossimo semestre?
«Non vorrete mica che ve le dica adesso? Non posso bruciarmi le notizie! So che dal 2 luglio, giorno del mio intervento al Parlamento europeo, il nostro impegno sarà forte anche per la favorevole congiunzione astrale: rinnovo degli organi, soldi della nuova programmazione fino al 2020, necessità condivisa di un cambio di paradigma nelle politiche economiche». Sull’immigrazione cosa chiederà l’Italia?
«Prima di chiedere, l’Italia agisce. Veder morire dei bambini di 3 anni in fondo al mare dicendo che non è un problema nostro, è incivile e immorale. È contro le regole del mare e di una cultura dell’accoglienza che era nata nel Mediterraneo: la cultura ateniese e romana. Abbiamo imparato che l’accoglienza e il salvataggio dell’ospite è un valore sacro. Con l’operazione Mare Nostrum stiamo salvando tante persone. Ma l’Europa deve richiamare le Nazioni Unite ad intervenire in Libia e più in generale avere una capacità di gestione dei fenomeni immigratori. Pensiamo che Frontex possa essere utilizzato di più e meglio».

Lo scandalo Expo ha fatto riemergere antichi personaggi…
«E’ una guerra che vinciamo. Ogni volta che emerge uno scandalo, dobbiamo allarmarci, ma anche rallegrarci che la magistratura funziona. Una certa mentalità non si cambia con un decreto legge. Ma il fatto che un ragazzo con meno di 40 anni rappresenti il Paese, è il segno che gli italiani sono capaci di tutto. Nel bene e nel male».

A gennaio lei disse ad Enrico Letta: stai sereno, nessuno vuole prendere il tuo posto. Oggi pensa che sarebbe stato meglio non dirlo? E perché dopo aver criticato la vecchia classe politica lei ha preso il potere con una manovra che èapparsa di Palazzo?
«Io ho detto quella frase perché ne ero convinto, profondamente convinto. In quel momento spronavo il governo Letta a rimettersi in moto: era come una macchina che aveva esaurito la batteria. Io ho cercato di dare il mio contributo al governo perché quella macchina ripartisse, ma la macchina non si è riaccesa, non per un gioco di Palazzo ma per una responsabilità di quella classe dirigente. C’è stato un processo di esaurimento di quel Governo, negarlo oggi è anche ingiusto ed io ho molto sofferto dal punto di vista personale. Da parte nostra, assumere la guida del governo è stato un atto di generosità. Io so come sono andate le cose e anche Enrico Letta lo sa».

Oggi possiamo dirlo? Alle Europee sarebbero arrivati logorati sia il governo cheilPd?
«Io credo che il tempo sia galantuomo e credo che allora essermi costretto al silenzio sia stato un bene nell’interesse del Pd, del governo e del Paese».

Sinceramente la sua visione di fare politica è cambiata in questi mesi?
«Intanto è cambiata la mia vita personale nel senso che io vengo da una esperienza amministrativa, della quale ero felice e ora invece passo da questo piano al terzo piano dove c’è l’appartamento del Presidente del Consiglio, ho la scorta che non ho mai avuto in vita mia perché io da sindaco, a differenza di certi politici italiani, viaggiavo in bici tranquillamente per i fatti miei…».

Ma ora legge e vive la politica in modo diverso?
«Penso che con un governo di quarantenni, tra dieci anni i rottamati saremo noi e questa è una bella cosa! La politica è un’esperienza straordinariamente affascinante ma non la fai per sempre. Questo mi porta a dire che io vivo con urgenza questo tempo: per me la clessidra è voltata ogni momento, nessun giorno è sbagliato per cominciare a cambiare davvero e da questo punto di vista, ciò mi porta a dire che voglio fare velocemente le riforme. Penso che tra dieci anni mi piacerebbe lasciare anche alla mia terza figlia Ester, che allora sarà maggiorenne, un Paese che sia guida dell’Europa, leader dell’innovazione e capace di attrarre talenti e non di cacciarli».

Come spiega il flop di Beppe Grillo? E Berlusconi è politicamente finito?
«Guai a pensare che Grillo e Berlusconi siano finiti. L’Italia è capace di tutto nel bene e nel male, è un Paese di genialità e follia allo stesso tempo. Grillo ha avuto un risultato decisamente inferiore alle aspettative, ha nascosto ai suoi che aveva già fatto alleanze internazionali e ha tenuto nascosti anche i nomi dei propri candidati. Però non è finito: finirà se noi faremo le riforme e se saremo credibili . Berlusconi è Berlusconi, ha preso circa il diciassette per cento, un risultato che in Europa molti continuano a definire inspiegabile. Ma è il risultato di un uomo che in questo anno ha avuto una condanna, polemiche a go-go, si è separato da alcuni tra i suoi più stretti collaboratori e comunque continua ad esserci. Io non ignoro nessuno, perché è stato sbagliato in questi anni quell’atteggiamento della sinistra di superiorità morale e intellettuale, tipico dei salotti radicai chic. Ma non ho paura di nessuno. Ora dobbiamo solo avere la forza di fare le riforme».

L’intervista è stata realizzata insieme a Andrea Bachstein (Suddeutsche Zeitung), Lizzy Davies (The Guardian), Philippe Ridet (Le Monde) e Pablo Ordaz (El Pais)

Chi è Corrado Clini, l'ex ministro arrestato. Ecco il ritratto pubblicato su "l'Espresso" nel 2012

Corrado Clini
Corrado Clini

Ritratto di Emiliano Fittipaldi per “l’Espresso” settembre 2012

Corrado Clini è un vecchio socialista e sa, come gli ha insegnato il suo maestro Gianni De Michelis, che del politicamente corretto bisogna diffidare. Anzi: fregarsene. «La Tav si deve fare, il Ponte di Messina sarebbe un’opera bellissima, il nucleare a certe condizioni mi va bene, gli Ogm sarebbero utili», ha chiosato appena nominato ministro dell’Ambiente. Distillando nei mesi successivi altre pillole che hanno fatto rabbrividire i verdi duri e puri. «Le grandi navi? Continueranno a entrare nella Laguna di Venezia, non ci sono altre soluzioni praticabili. L’Ilva? I rischi da considerare sono quelli dei decenni passati.

Il protocollo di Kyoto? Non è uno strumento adatto per combattere la CO2». Parole che in bocca ai suoi predecessori avrebbero scatenato un pandemonio, ma se enunciate da lui, il supertecnico voluto da Mario Monti, trovano adepti persino tra le associazioni green.
«Chi è Clini? Uno degli uomini più potenti del governo.

È stato direttore generale del ministero dal 1989 al 2011, la storia della sua carriera è parallela alle drammatiche vicende ambientali di questo Paese, ma difficilmente troverà qualcuno che ne parli male», racconta Fabrizio Fabbri, ex Greenpeace, che l’ha conosciuto quando era capo della segreteria dell’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio.

«Nel 2008 tentammo di sostituirlo, dimostrò di avere robusti appoggi politici e perdemmo la partita. Col tempo scoprimmo che aveva costruito una rete di relazioni importanti non solo in Italia, ma in tutto il mondo. In Cina e nei Balcani è il regista di una diplomazia parallela a quella del ministero degli Esteri. È capace, preparato, ambizioso. L’obiettivo principale di Clini? È Clini».

TRA MARGHERA E DE MICHELIS. Ventitré anni consecutivi al potere, il ministro che adora Freddy Mercury è tra i pochi boiardi sopravvissuti alla fine della Prima Repubblica. Per raccontare la sua ascesa bisogna partire dall’inizio. Nato a Latina 65 anni fa, faccia da attore e una laurea in medicina a Parma, il giovane Corrado si trasferisce a Venezia all’inizio degli anni ’70. Operaista cattolico, diventa direttore del servizio di igiene e medicina del lavoro della Usl e si batte per la salute degli operai di Marghera.

Pietro Comba, epidemiologo di fama, lo ricorda così: «Abbiamo lavorato molto bene insieme al suo staff». «Era abile, intelligente e preparato, a Marghera ha fatto seriamente il suo lavoro», aggiunge Massimo Cacciari: «È la sua carriera al ministero che critico e ho criticato, visto che si è sempre svolta in ossequio ai potenti di turno. Quando ero sindaco non mi ha mai dato una mano su nulla: nessuna polemica con l’Eni, nessun aiuto quando chiedevamo al governo due lire per le bonifiche. Il Mose? Non è un segreto che lui sia un entusiasta sostenitore del progetto».

Clini si sposa, diventa padre di quattro figli, compra casa a Merano, comincia a curare il vestiario e a frequentare il giro di De Michelis. Le serate in discoteca cementano l’amicizia e la militanza socialista: diventa inseparabile compagno di Renato Brunetta e Maurizio Sacconi, conosce Franco Frattini e Letizia Moratti. Sono sponsor che pesano: nel 1984 viene eletto all’assemblea nazionale del Psi, nel 1987 il neo ministro dell’Ambiente, Giorgio Ruffolo, lo chiama a Roma come responsabile dell’ufficio studi. Nel 1989 deve gestire lo smaltimento dei rifiuti tossici della nave Jolly Rosso, inceneriti (nonostante le proteste di Legambiente che sospetta la presenza di uranio) nell’impianto della Monteco. Pochi mesi dopo è promosso direttore generale del dicastero.

AMBIENTE E AZIENDE. Clini sa come farsi voler bene da tutti. Il suo contratto è rinnovato sotto governi di ogni forma e colore. Con Ciampi, Amato, Berlusconi e Prodi tiene le deleghe su questioni cruciali come la qualità dell’aria, le emissioni degli impianti industriali, le industrie a rischio. La sua linea è chiara: le aziende non vanno combattute come fossero nemici, ma l’ambiente va protetto attraverso uno sviluppo che sia «sostenibile».

Una posizione da “ambientalista liberista”, dice qualche suo detrattore che lo avrebbe visto meglio al ministero dell’Industria. Nel 1995, mentre celebrava l’Enel capace «di investire 20 mila miliardi (di lire, ndr) per abbattere le emissioni e far crescere la qualità» entra in polemica con Greenpeace, che denunciava collegamenti tra la presenza di diossina nella Laguna e il petrolchimico di Marghera.

«Non bisogna criminalizzare le aziende che abbiamo anche costretto a investire miliardi nel disinquinamento», spiegò. Pochi mesi dopo i magistrati sequestrarono gli impianti, proprio per la presenza dei veleni. Clini elabora per primo i piani di risanamento di Brindisi, Taranto, Priolo e Gela (nel 1994 annunciò finanziamenti per 650 miliardi di lire, di cui una grande percentuale pubblica) e Piombino, ma i lavori di bonifica – che, va detto, erano di stretta competenza della direzione comandata dall’altro dominus del ministero, il suo rivale Gianfranco Mascazzini – sono rimasti spesso solo sulla carta.

IL DOPO KYOTO. Ottimi rapporti con Confindustria, eccellenti con le associazioni ambientaliste (che ricevono finanziamementi anche dal ministero) e con i partiti di destra e sinistra, Clini spicca il volo nel 2001, quando Berlusconi rimette all’Ambiente Altero Matteoli. Tra loro c’è un asse di ferro e Corrado aggiunge alle deleghe della “protezione internazionale dell’ambiente” quelle per lo sviluppo delle energie rinnovabili in Italia.

È sulle prime che concentra maggiormente l’azione dei suoi uffici. Capisce che il protocollo di Kyoto (che lui avrebbe voluto più flessibile per accontentare gli Usa: per i maligni non è un caso che l’ambasciata americana lo consideri, come si legge in un file di WikiLeaks, «il nostro migliore amico al ministero») e il mercato internazionale delle quote di CO2 possono diventare un’opportunità.

Per le aziende italiane, e per le sue ambizioni personali. Il protocollo permette infatti ai Paesi industrializzati che hanno vincoli di emissione di realizzare nei Paesi in via di sviluppo progetti per ridurre i gas serra: in questo modo le imprese italiane possono fare business e contemporaneamente guadagnare crediti nella borsa mondiale delle emissioni. Certificati che possono essere scontati sia per rispettare gli impegni di Kyoto sia venduti sul mercato.

Un’operazione spesso conveniente: intervenire sugli impianti che inquinano in Italia è in media molto più costoso che aprire una discarica verde o piantare alberi nel Terzo mondo. «L’effetto serra ha un impatto globale, e abbattere i gas all’estero per il clima ha lo stesso identico risultato, se non meglio, che farlo dentro i confini nazionali», chiosa lui. «Inoltre la cooperazione internazionale rappresenta per l’Italia un obbligo, non una scelta».

TRA CINA E BALCANI. L’ex socialista, che guadagna circa 200 mila euro l’anno e dichiara di possedere solo una Fiat 500, punta sui paesi della ex Jugoslavia e sulla Cina, e crea due progetti di cui pochi, in patria, conoscono l’esistenza: il “Sino-italian Cooperation Program” e la “Task-Force Central and Eastern Europe”(i siti Internet, solo in inglese, non sono linkati su quello del ministero. «Strano, provvederò subito», commenta il ministro).

Il primo gestisce dal 2000 due uffici a Pechino e Shanghai, pagati dal ministero dell’Ambiente e dall’Ice con personale italiano (quasi tutti esperti esterni al ministero) e un gran viavai di imprenditori e politici cinesi che pianificano iniziative di cooperazione e investimenti per milioni di euro. Nel 2004 Clini lancia poi la “Task Force” europea con sede a Belgrado e l’intento di offrire opportunità di investimento alle aziende in Serbia, Montenegro, Macedonia e Albania, ma progetti speciali vengono realizzati anche in Belize, Libia e Marocco.

A capo della struttura (anche qui la gran parte dei dipendenti sono co.co.co.) il direttore generale sceglie di piazzare la sua nuova compagna Martina Hauser. Triestina doc, classe ’68, oggi fa un doppio lavoro: prende lo stipendio come consulente del ministero («I ragazzi hanno bisogno ancora di lei, è una grande esperta in materia ambientale», spiega il ministro) sia come assessore allo Sviluppo sostenibile a Cosenza.

Se qualcuno sostiene che le attività coordinate da Clini non abbiano dato grandi risultati per la difesa dell’ambiente («Figuriamoci, ho realizzato 1.200 progetti avanzati per l’idrogeno, per il telecontrollo del traffico, per l’edilizia ecoefficiente», si difende), di sicuro l’attivismo fuori dai confini nazionali ha potenziato a dismisura la sua rete: è entrato nel board di influenti istituti cinesi, ha incontrato da semplice dirigente i ministri di mezzo mondo, ha stretto rapporti con aziende importanti come Eni ed Enel.

Comincia così ad attirarsi qualche invidia. Romano Prodi e Pecoraro Scanio cercano di cacciarlo, ma a dargli qualche grattacapo saranno solo i comboniani di padre Alex Zanotelli, che criticarono pesantemente la sua decisione, nel 2007, di assegnare 721 mila euro a una società di Napoli (con poche credenziali e rapporti con mercanti di armi, disse il frate) per uno studio di fattibilità relativo alla bonifica di una discarica in Kenya. Indagato dai pm di Roma insieme ai soci della srl, la sua posizione venne poi archiviata.

CONFLITTI DI INTERESSE. Al ministero Clini può contare su una squadra compatta. Il braccio operativo Antonio Strambaci gestisce la cassaforte, la fedelissima Valeria Rizzo è la nuova negoziatrice sul clima, il sottosegretario Tullio Fanelli, laureato in ingegneria nucleare, conosce l’industria italiana come pochi altri. A dargli suggerimenti c’è anche lo spin doctor Paolo Messa, direttore di “Formiche”, ma è la compagna Martina, un tempo moglie del ministro dell’Interno montenegrino Andrija Jovicevic, la sua prima consigliera.

Tanto che lo scorso Natale l’ha voluta vicino a sé al vertice di Durban in Sudafrica. I due si incontrano per lavoro anche all’università Ca’ Foscari di Venezia, dove siedono in un comitato di gestione voluto dal rettore, e spesso in terra calabrese. La triestina nel 2011 si è trasferita nel profondo Sud chiamata dal neosindaco di Cosenza Mario Occhiuto, vecchio amico di Clini e architetto di grido che molto ha lavorato in Cina con il ministero.

Il ministro, che a marzo è andato di persona all’inaugurazione del canile voluto dalla fidanzata, di recente ha firmato con il Comune un accordo da 450 mila euro per lo sviluppo sostenibile di Cosenza. «Identici accordi», spiega lui, «sono stati firmati anche con altri comuni». Tra i quali c’è di sicuro Duino, un paesino vicino Trieste dove la Hauser possiede un appartamento di otto stanze acquistato nel 2009 da una società americana, la Bluberry Llc, che ha trasformato un rudere di tre stanze in una bella villa vista mare.

La casa è di fronte a un porticciolo (dove Clini quest’estate ha ormeggiato il suo motoscafo), che verrà presto riqualificato con i soldi del ministero dell’Ambiente. Già: lo scorso marzo il ministro è volato a Duino e ha promesso che i finanziamenti stanziati nel 2009 (1,6 milioni) arriveranno presto. Serviranno a ripristinare la Costa dei Barbari e il centro del paese. «Non si tratta solo del porticciolo, ma di una fascia costiera che arriva fino a Trieste. Il motoscafo? È lungo poco più di cinque metri, non scherziamo. A Duino io amo andare soprattutto in canoa».

L’arresto di Corrado Clini

Europee, il fronte anti Ue stravince dappertutto. In Italia trionfo di Renzi. Grillo si dice "sconfitto" ma prende oltre il 21%. E gli euroscettici (divisi) sono al 35%.

Marine Le Pen, Nigel Farage e Geert Wilders
Marine Le Pen, Nigel Farage e Geert Wilders

I sintomi della malattia c’erano tutti, eppure politici, banchieri, speculatori e grandi poteri forti hanno ignorato, glissato, fatto finta di niente sul cancro che ha pervaso il vecchio continente. Un malato terminale che la politica europea, speaker di quella nomenclatura, voleva (e forse insisterà ancora) spacciare come l’unica bombola d’ossigeno rimasta per i cittadini oppressi da questa Europa.

Chi opera e specula nel triangolo “maledetto”  (Francoforte, Strasburgo e Bruxelles) – la “zona rossa” dove sono scomparsi destini e speranze di milioni di persone – conosceva da tempo l’esito delle analisi ma ha preferito tacere e non cambiare terapia per non disturbare la quiete “dell’Ancien Régime”.

Con questo storico voto di protesta, i cittadini sono riusciti ad assestare un durissimo colpo agli euroburocrati. Non conquista la “Bastiglia” di Bruxelles, ma con un semplice tratto di matita si è piazzato sulle sue mura pronto alla presa finale se dall’interno non ascoltano le indicazioni del popolo sovrano. Un po’ dappertutto prevalgono i partiti euroscettici.

Al netto della grande astensione che assume un forte valore politico su cui riflettere, si affermano movimenti e partiti antieuro. In Francia il Front National di Marine Le Pen è il primo partito col 25,5%: un vero e proprio “terremoto” che sta facendo tremare i palazzi che contano nell’eurozona. In Gran Bretagna, paese fondatore che non adotta l’euro, l’Ukip di Nigel Farage è il trionfatore assoluto.

In Grecia avanzano Tsipras e Alba dorata, mentre in Olanda è ottima l’affermazione del Pvv di Geert Wilders. In Germania i veri vincitori della tornata elettorale sono gli antieuro di Alternative fuer Deutschland, (la Merkel cala ma tiene). L’Fpoe di Heinz Christian Strache in Austria supera ogni aspettativa e in Polonia si registra un boom degli euroscettici del Knp di Janusz Korwin Mikke e un ritorno trionfale dei nazionalisti Pis di Jarosław Kaczyński (da ricordare che i gemelli Kaczyński subirono una campagna denigratoria dall’establishment Ue proprio per le loro posizioni antieuropeiste. Nel 2010 Lech Kaczyński, presidente della Repubblica in carica morì in uno “strano” incidente aereo a Smolensk, Russia, mentre si recava per l’anniversario dell’eccidio di Katin). In Danimarca boom dell’estrema destra del Danish People Party. Insomma, uno tzunami elettorale straordinario registrato anche in altri paesi europei dove il fronte degli scettici esonda vistosamente dagli argini dell’austerity.

In Italia sconfigge i sondaggisti e va oltre ogni previsione Matteo Renzi che col “suo” Pd “rinnovato” viene largamente premiato con oltre il 40%. Il Movimento Cinquestelle di Beppe Grillo (nel video l’ammissione della “sconfitta”, sebbene di sconfitta non si possa parlare (suggerito male?) non avendo precedenti nel 2009 ma solo un riferimento alle politiche del 2013 che sono tutt’altra elezione in cui la percentuale di astensione è stata di gran lunga inferiore…) prende oltre il 21% portando a Strasburgo ben 17 europarlamentari. Un dato eccezionale (altro che sconfitta!) per essere la seconda competizione, l’ultima con quasi il 43% di astensione e con un voto esclusivamente “d’opinione”. Se a questo si somma il dato che i grillini prendono più voti di Le Pen, Farage e altri, si deve parlare di risultato “storico”. Sul piano delle “aspettative”, è una riflessione post-voto che va relegata alla propaganda elettorale durante la quale i partiti annunciano le cose più bizzarre. Entrando nel merito di questa propaganda Grillo evidentemente “paga” lo scotto di una comunicazione discutibile, una posizione anti Ue non molto chiara, una impostazione “superficiale” e troppo “qualunquista” della campagna. Fattori cui va sommato l’attacco denigratorio senza precedenti che ha fatto presa su alcune fasce di elettorato. Ribadiamo l’eccezionalità del risultato del M5S che senza la sua presenza sarebbe in gran parte confluito nel bacino del “non voto”.

Premiati invece su posizioni nettamente anti euro la Lega Nord di Matteo Salvini (oltre il 6 percento) e Fratelli d’Italia – An, che non supera la fatidica soglia del 4 (3.8%). A questi occorre aggiungere la sinistra di Niki Vendola che per il greco Tsipras, leader fortemente critico con il modello economico europeo, racimola oltre il 4 percento. Un voto complessivo di protesta anti Ue che in Italia, al contrario di Francia e Gran Bretagna, è abbastanza frammentato, mentre se aggregato supera il 35%. Al netto del deludente quanto previsto 16 percento di Forza Italia che ha pure improntato una campagna elettorale (va riconosciuto, scarsamente credibile) su una revisione dei trattati internazionali.

Dunque, se è vero che lo scettro della vittoria in Italia l’ha conquistato Matteo Renzi – che porta ossigeno vitale ad uno spompato S&D – è altrettanto vero che in Italia il voto euroscettico prevale e strasborda se sommato alla non partecipazione dei delusi. Vedremo nel breve periodo se Renzi è capace di capitalizzare questo voto di “maturità e responsabilità” e di incidere profondamente per cambiare “da dentro” l’Europa, oppure è soltanto l’ennesima illusione della politica inconcludente, (diciamo per inciso che su questo blog siamo stati fra i primi a tifare per lui quando da solo ha affrontato i “colossi” ai vertici del Pd che lo deridevano e ridicolizzavano. Gli stessi che nel giro di un anno sono diventati tutti “renziani”…). Detto questo si spera davvero per il bene dell’Italia che il premier, legittimato da questo voto, faccia valere gli interessi dell’Italia e, perché no, contribuisca a “rottamare” vecchi tromboni e burattinai che si annidano ancora a Bruxelles.

Ad ogni modo – a prescindere dal voto italiano – saranno Francia, Austria e Inghilterra (ma pure la Germania di Angela Merkel) a imporre all’élite del triangolo “maledetto” una nuova cura per il malato terminale chiamato Europa. La volontà popolare ha tracciato bene la nuova rotta da seguire e questa volontà, chiara e indiscutibile, è e deve essere più forte di qualsiasi establishment, lobby o potentato affaristico e finanziario.

Arrestato per peculato Corrado Clini, il supertecnico chiamato da Monti a guidare il ministero dell’Ambiente

Corrado Clini
L’ex ministro all’Ambiente Corrado Clini

Avrebbe “distratto” 3,4 milioni di euro dal ministero dell’Ambiente per una bonifica ambientale in Iraq. Così, Corrado Clini, il supertecnico che Mario Monti aveva scelto per guidare il dicastero dell’Ambiente durante il suo governo, è stato arrestato dalla Guardia di finanza.

La bonifica in Iraq

Nei suoi confronti, e di un imprenditore, sono stati disposti gli arresti domiciliari. Il reato ipotizzato è peculato. L’inchiesta nell’ambito della quale è stato arrestato l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini riguarda la bonifica del bacino del Tigri e dell’Eufrate in Iraq.

L’accusa degli inquirenti

Oltre all’ex responsabile del ministero, agli arresti domiciliari è finito un ingegnere del padovano, Augusto Pretner, socio dello studio che ha curato il progetto di bonifica. In questo contesto Clini – secondo l’accusa formulata nell’indagine dei finanzieri del Nucleo speciale spesa pubblica e del Comando di Ferrara – avrebbe distratto fondi per oltre 3 milioni di euro, in concorso con l’altra persona arrestata. L’ipotesi di reato è peculato ai danni del ministero dell’Ambiente.

Ipotesi “distrattiva” di 3,4 milioni di euro

Le misure restrittive sono state eseguite per l’accusa di peculato sulla base di “un’ipotesi distrattiva di 3,4 milioni di euro, relativa a un finanziamento di complessivi 54 milioni destinato dal Ministero a un progetto volto alla protezione e preservazione dell’ambiente e delle risorse idriche, da realizzarsi in Iraq”. L’indagine è stata condotta in collaborazione con la Procura della Repubblica di Roma, il Nucleo Speciale Tutela Spesa Pubblica della Guardia di Finanza di Roma, la Procura Federale Svizzera di Lugano e la Polizia Giudiziaria Federale elvetica.

AGGIORNAMENTO del 27 maggio 2014

Si allarga l’inchiesta su Clini. L’ex ministro e la compagna Hauser indagati per corruzione transnazionale

Nuove grane giudiziarie per l’ex ministro all’Ambiente Corrado Clini già agli arresti per una presunta storia di peculato (leggi sopra). L’ex ministro è indagato a Roma insieme alla compagna Martina Hauser ed altre 4-5 persone per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione con l’aggravante della transnazionalità. L’inchiesta verte su presunte provviste realizzate tramite progetti per centinaia di milioni realizzati in Cina e Montenegro.

L’inchiesta della procura di Roma (pm Alberto Galanti) marcia parallelamente a quella della procura di Ferrara sfociata ieri nell’esecuzione di un’ordinanza di arresto presso il domicilio per l’ex ministro. Nel corso della perquisizione fatta ieri negli uffici di Clini, gli uomini della guardia di finanza hanno acquisito anche documentazione relativa all’inchiesta della procura di Roma.

Inquirenti sospettano giro di tangenti

Cina e Montenegro sono al centro di progetti, rispettivamente per oltre 200 milioni e 14 milioni di euro approvati nell’arco di più di un decennio e riguardano prevalentemente la riqualificazione ambientale di alcune aree. Il sospetto degli inquirenti è che dietro il finanziamento di tali progetti, ottenuti da imprese italiane, ci sia stato un giro di mazzette.

Chi è la compagna

Martina Hauser
Martina Hauser, in bianco, con il ministro Clini durante l’inaugurazione di un canile a Cosenza

Martina Hauser, indagata in questo nuovo filone investigativo, è la compagna dell’ex ministro arrestato ieri. La donna, triestina di nascita ed esperta di gestione delle risorse energetiche, è anche assessore al comune di Cosenza chiamata nel 2011 come esterna dal sindaco di Forza Italia, Mario Occhiuto, che le aveva assegnato le deleghe alla «Sostenibilità ambientale ed energie rinnovabili; programmazione ed ottimizzazione dell’uso delle risorse idriche; efficientamento energetico; qualità ambientale e controllo fonti d’inquinamento».

Le stesse deleghe di competenza del dicastero guidato dal compagno Clini, che in quel periodo nominò Hauser come sua consulente col ruolo di “team leader”  del programma ministeriale “per la valutazione dell’impronta ecologica e di carbonio”. Dal suo curriculum presente sul sito del comune si evince che l’assessore conosce bene la lingua serbo-montenegrino, proprio l’area dove la procura di Roma ha puntato i riflettori per capire qualcosa su quelle presunte provviste.

Chi è Corrado Clini secondo il settimanale “l’Espresso”

Europee, domani milioni alle urne. Tra questi 2.736.251 di cani aventi diritto. Ecco la guida al voto. Intanto scoperti brogli a vantaggio di Silvio

Michela Brambilla in una fase della campagna elettorale di Forza Italia
Michela Brambilla in una fase della campagna elettorale di Forza Italia

Al voto, al voto, al voto! Tra insulti e colpi bassi reciproci tra Grillo, Renzi e Berlusconi è finita la campagna elettorale per le europee. Oggi, giorno di “pausa”. Per la verità non si è mai capito a cosa serva questo sabato di “riflessione” se non a dare ai candidati un giorno in più per fare “propaganda clandestina”.

Sono quasi 50 milioni gli elettori italiani che dovrebbero recarsi alle domenica alle urne. Oltre questi, secondo l’anagrafe canina, 2.736.251 di cani aventi diritto. Di razza o meticci, non importa. Unici requisiti è avere due anni compiuti e il chip che equivale al documento di riconoscimento. Pertanto non possono recarsi ai seggi i randagi. I cani presenti nei canili municipali non potranno beneficiare di questo diritto. Molte associazioni e centri sociali hanno protestato in nome del diritto al randagismo e dei cani immigrati in Italia. Ma dal Viminale la risposta è stata negativa. Tra gli aventi diritto, vi sono anche 152.319 cani votanti nelle circoscrizioni estere.

Un elettorato massiccio
Quello canino è un elettorato straordinariamente imponente. Non a caso molti esponenti politici, sfruttando la sensibilità affettiva di chi detiene animali domestici, ha preferito abbandonare i temi tradizionali e cari alla specie umanoide – come il carovita, l’economia e la disoccupazione – per abbracciare la battaglia animalista. Una scelta, questa, che potrebbe fare la differenza per il raggiungimento del quorum di Forza Italia, partito che per primo ha compreso l’importanza del voto animale. Aspetto molto importante è che rispetto all’elettorato umano – molto deluso per le promesse mancate della politica – nel mondo canino non esiste di fatto astensione.

Dudù a caccia degli indecisi
Dudù, l’amato barboncino di casa Berlusconi (quì l’intervista), è da settimane impegnato insieme “all’odiatissima” Michela Brambilla a richiedere i certificati elettorali canini. Chi lo ha incontrato nelle scorse ore dice che il barboncino è abbastanza stressato. “Ma farà di tutto – riferiscono fonti di palazzo Grazioli – per convincere fino all’ultimo dei suoi amici indecisi a recarsi alle urne”.

Ecco le istruzioni per il voto canino.
Ogni padroncino potrà accompagnare al seggio un solo Pet, pena l’allontanamento coatto da parte della municipale. Il padrone accompagnatore dovrà portare il cane al guinzaglio, fare le operazioni identificative di rito (in questo caso mostrare il certificato elettorale canino e sottoporre il cane alla scansione del chip). L’elettore di specie canina potrà esprimere una sola preferenza su “schede speciali”, ossia una sorta di opuscolo composto da 10 o più fogli (secondo la circoscrizione) formato A4, ognuno dei quali conterrà soltanto la foto a colori e a tutta pagina del volto dei leader di partito. A piè di pagina il simbolo ridotto del partito come riferimento per i presidenti di seggio che non conoscessero il viso del candidato.

Il padrone dovrà chinarsi e mostrare al cane il “l’opuscolo”. Regola rigorosa è che il referente non potrà girare una pagina della “scheda speciale” prima che passino 5 secondi. Il tempo massimo consentito è 10 secondi, pena l’annullamento del voto, se si anticipa o si sfora il tempo stabilito. Uno scrutatore nell’esercizio del voto animale sarà munito di un cronometro.

Quando il cane scodinzola o abbaia alla vista di un determinato “faccione”, il presidente di seggio, coadiuvato dagli scrutatori, annota in un apposito elenco la preferenza dell’animale al leader e alla lista prescelta.
Occorre però fare attenzione su un dettaglio di non poco conto: se il cane comincia a ruotare su se stesso oppure si alza su due zampe il voto sarà annullato in quanto segno evidente di riconoscimento. Una norma contestata da Forza Italia poiché nel voto della specie umanoide tale fattore viene ritenuto un “raffozativo” della volontà espressa dall’elettore. Ma tant’è.

Al padrone durante le operazioni di voto è vietato accarezzare il cane, men che meno offrire premi per non condizionare l’orientamento del cane.
Gli animali non potranno votare per le elezioni amministrative (comunali) a causa del voto disgiunto che potrebbe generare caos nei seggi e smarrimento negli animali.

Attenzione alle multe
Ai padroni degli elettori canini non è concesso sostare davanti ai seggi né prima né dopo le operazioni di voto. Insomma, non si potranno mostrare facsimili di opuscoli pena sanzioni fino a 5mila euro e la denuncia a piede libero. In caso di reiterate violazioni del Decreto unico di uguaglianza (D.u.d.u.) al cane sarà revocato il diritto al voto.
I padroni che dovessero portare al seggio cagnette in calore sono obbligati ad una comunicazione preventiva.

I primi brogli elettorali canini.
Nei seggi già da stamattina stanno arrivando i plichi speciali destinati all’elettorato di specie canina.
E in alcune regioni sono già comparse le prime irregolarità. Secondo quanto avrebbe appreso il Tg1 Rai, molti plichi sarebbero stati manomessi o alterati. Soprattutto nelle zone di Mantova, Chieti, Roma, Napoli, Caserta, Foggia e Reggio Calabria. In una serie di ispezioni disposte dalla procura di Napoli, il reparto cinofilo avrebbe sequestrato centinaia di plichi contenenti migliaia e migliaia di “schede” che avevano al loro interno soltanto fogli con il volto di Silvio Berlusconi (in foto).

Scheda canina Silvio Berlusconi -FI
Un facsimile di scheda canina

I primi sospetti degli inquirenti, che hanno aperto una inchiesta, si sono subito indirizzati verso Francesca Pascale, campana di nascita e adozione nonché amabile fidanzata del leader di Forza Italia.
Immediata la reazione degli azzurri.
La prima a intervenire stizzita è stata Michela Vittoria Brambilla, deputata forzista e “militante” animalista. “Si tratta – ha dichiarato la parlamentare di FI – di indizi debolissimi che non reggeranno una sola notte. Che a manomettere le schede sia stata Francesca è un illazione falsa e grottesca. Noi, a differenza della sinistra comunista che mandava i cani a morire in Siberia, amiamo gli animali”. In stretta sintonia i parlamentari Brunetta e Gasparri. Il consigliere politico di Berlusconi, Giovanni Toti si dice “sbalordito”, mentre la diretta interessata, contattata da secondopianonews.com ha preferito non commentare: “Provo solo grande amarezza”, ha detto singhiozzando la bella Pascale.

Opposte gli interventi del Pd di Matteo Renzi.
Il premier non ha inteso intervenire personalmente. Per lui, la Boschi e la Picierno che in una nota congiunta parlano di “un’antica inclinazione di Forza Italia a fare brogli. Il lupo perde il pelo ma non il vizio“. I candidati Pittella e Maiolo rincarano la dose e chiedono addirittura una commissione di inchiesta sull’accaduto.
Durissima la reazione di Beppe Grillo che dal sul suo blog annuncia un “Vaffa Pet” per l’autunno.
Niki Vendola va all’attacco sul voto di genere: “E’ intollerabile che sulle schede destinati ai nostri amici a quattro zampe non vi siano riferimenti alla parità”. A seguire anche Laura Boldrini che va oltre bollando come sessista e antidemocratica la scelta di inserire nelle schede un solo faccione e non uno maschile, uno femminile, uno omosex e, perché no, anche uno canino”.

Dudù e Francesca Pascale
Dudù e Francesca Pascale

Solo nel pomeriggio di sabato arriva una nota di Dudù che difende coi canini la sua padrona e attacca la sinistra responsabile, a suo avviso, di “speculare come sempre sulla pelle degli animali”. Quanto ai magistrati, il pet di Arcore afferma che si tratta delle “solite toghe rosse che vedono brogli dappertutto quando si tratta della partecipazione di Forza Italia”. Il ministro dell’Interno e leader del Nuovo Centrodestra, Angelino Alfano ha affermato che rafforzerà il presidio dei seggi disponendo ispezioni a tappeto per verificare eventuali altre irregolarità sulle schede canine. “Quanto successo oggi – ha detto l’ex delfino del Cav. – è molto grave. Mi fa specie che Berlusconi non abbia ancora detto una parola sull’episodio delle schede canine truccate e alterate“, ha concluso il ministro. Vedremo come andrà a finire domani.

Mario Muzzì (Risveglio Ideale): "La corruzione è il nemico invisibile dell'Italia. Metastasi ovunque ma la cura è l'impegno di massa"

Mario Muzzì - Risveglio Ideale - Calabria
Mario Muzzì – Risveglio Ideale

di Mario Muzzì*

Non è da escludersi che l’ennesimo scandalo che si è sviluppato attorno all’Expò di Milano possa produrre l’abbattersi di un nuovo e più impetuoso vortice di qualunquismo giustizialista sulla politica, ma non è neanche sopportabile che si possa assistere all’indecoroso spettacolo offertoci dai soliti noti che si indignano (o fanno finta) dinanzi al dilagare del male più pernicioso che inquina la nostra società: la corruzione!

Tempo addietro ebbi a definirla il cancro delle nostre istituzioni, oggi rincaro la dose e la inserisco tra i mali atavici dell’intero sistema sociale, anche per le dimensioni devastanti assunte che la rendono non più sopportabile non tanto sul piano etico-morale, quanto su quello economico-finanziario!

E’ noto a tutti, infatti, che l’importo complessivo annuo del “montepremi”, ascrivibile ai frequentatori del giro corruttivo, ammonta ad oltre 60 mld di euro (primo posto in Europa), con un bilancio inferiore solamente a quello stimato per l’evasione e l’elusione fiscale! Naturalmente al netto dei dati impressionanti che ci provengono dall’economia sommersa e della criminalità organizzata!

Complessivamente ci troviamo di fronte a cifre ingentissime che da sole potrebbero risolvere alla radice i problemi del nostro meraviglioso paese, senza doversi lambiccare il cervello per incisioni chirurgiche (spesso di facciata) alla spesa pubblica, che pure aiutano se rivolte ad eliminare sprechi e privilegi che per tanto tempo si sono consumati sotto gli occhi degli “indignati” predicatori moderni! Che pure si dichiarano sorpresi!

Orbene se prendiamo in considerazione l’ammontare complessivo degli importi prodotti dall’ultimo fatto specifico dell’Expò e vi aggiungiamo altri mille casi analoghi ci accorgiamo di trovarci davanti ad un modesto gruzzoletto che non comprende neanche il 10% del fatturato complessivo prodotto dal fenomeno della corruzione e meno dell’1 % dell’intero giro di affari che ruota intorno al malaffare e all’illegalità!

In pratica la punta dell’iceberg che nasconde la mole del ghiaccio che si è staccato e che ti fa pensare che il vero male dell’Italia non è quello che emerge ma quello che continua imperterrito ad alimentarsi nel sottobosco di quei gangli della società che, per essere loro stessi artefici del male provocato, rappresentano le “maledette” metastasi che vanificano l’efficacia di qualsiasi cura!

Non sto a ripetere i rischi cui va incontro una società corrotta organizzata in uno Stato corrotto, ma a nessuno sfugge che a lungo andare il perdurare di una fase alimentata dal fenomeno dell’illegalità diffusa mette a dura prova la sussistenza della stessa democrazia! In poche parole si conferma l’indissolubilità del legame tra legalità e libertà!

Ed ecco perché la battaglia contro la corruzione e l’illegalità deve diventare la madre di tutte le battaglie: una battaglia popolare di massa, possibilmente guidata dalla politica, anzi dalla buona politica, da combattere con la dovuta determinazione e con la dose di coraggio che si impone quando ci si trova davanti al bivio tra la vita e la morte!

Senza sottovalutare le difficoltà oggettive che si incontrano quando il nemico da affrontare si annida nei posti più impensati, si nasconde dentro i santuari della burocrazia, si camuffa sotto le spoglie perbeniste del più incensurato! Un nemico che assume di volta in volta le sembianze di un politico, di un imprenditore, di un magistrato, di un prelato, di un sindacalista, di un professionista affermato, di un giornalista, di un pensionato, per cui diventa complicato inquadrarlo nelle sue dimensioni e farlo diventare bersaglio visibile di una lotta senza quartiere!

Complicato, ma non difficile! E bene ha fatto il nuovo Commissario anti-corruzione, Raffaele Cantone, recentemente nominato dal Governo Renzi, a dichiarare che il vero obiettivo della lotta al malaffare non può essere quello di punire i colpevoli, bensì quello di puntare decisamente a creare le condizioni per prevenirlo!

Temo che l’attuale quadro istituzionale difficilmente agevolerà questa sua ambiziosa aspirazione, ma può tentare di farlo sfruttando la forza della sua investitura, avvenuta all’unanimità, e la voglia di cambiare verso che traspare da ogni mossa e da ogni dichiarazione del Premier Renzi che lo ha fortemente voluto! Basta poco, da punto di vista dell’idea, e moltissimo, dal lato della volontà politica!

Il nemico è invisibile, vero, ma il contesto che lo circonda è evidente! Si abbia il coraggio di concepire a fare approvare una leggina di poche righe che contenga al suo interno il principio della trasparenza dei patrimoni immobiliari e della tracciabilità dei patrimoni finanziari!

Verificare, poi, la “sostanziale” corrispondenza tra questi patrimoni e l’ammontare dei redditi dichiarati sarà un gioco da ragazzi che dissuaderà chiunque dal compiere atti di arricchimento illecito, poiché in partenza sa già che qualsiasi patrimonio “stranamente” accumulato gli potrà essere confiscato a seguito di una banalissima operazione di controllo. Il massimo di efficacia di una legge del genere lo si otterrebbe dal renderla retroattiva, ma basterebbe anche che fosse solamente immune da vincoli di prescrizione.

* Socio – Fondatore di Risveglio Ideale

Ecco perché Grillo ha già vinto con le «larghe intese» della protesta

Beppe Grillo leader del Movimento 5 Stelle
Beppe Grillo leader del Movimento 5 Stelle

Il leader del Movimento cinque stelle, Beppe Grillo, in questa campagna ha già vinto nel confronto elettorale. Ed uscirà domenica notte come unico ed autentico trionfatore di questa tornata, pure se dovesse confermare le percentuali delle politiche dello scorso anno, (gli umori di strada e sondaggi privati lo piazzano tuttavia ben oltre la soglia del 30 percento). I sintomi di una sua schiacciante vittoria si notano dal furore e dalla violenza verbale dei “leader” di partito contro quel «mostro» che nel 2013 ha guadagnato il podio di primo partito e molto probabilmente lo conquisterà alle Europee.

Grillo a costoro adesso fa davvero paura. Il «fiato sul collo», o meglio, come dicono i grillini quel «venticello che si sta trasformando in tornado», lo percepiscono bene e non da ora i vari Renzi (prima di lui Bersani) e Berlusconi e a seguire altri artefici che, come Pd e Forza Italia, hanno generato il “ciclone Grillo”. E non è appunto un caso se contro l’ex comico sia in atto un attacco concentrico senza precedenti da parte di chi ha guidato il Paese in modo irresponsabile, disintegrandolo e riducendolo in un cumulo di macerie da cui vorrebbero oggi, con faccia tosta, raccogliere i cocci da rammentare alla meno peggio e recuperare credibilità. Ma è troppo tardi. Non c’è più il collante popolare. La distanza tra politica e società civile in Italia nella Ue è ormai abissale, irriducibile.

L’area moderata e il ceto medio, un tempo elettorato di riferimento dei grandi partiti sono stati annientati e ridotti alla fame per la loro incapacità e inettitudine. Un enorme bacino gran parte del quale si è trasferito con l’arma del voto e col carico di disperazione da Grillo, che oggi è punto di riferimento di un elettorato arrabbiato e trasversale che ha realizzato in maniera sincronica le «larghe intese» di una straordinaria quanto storica protesta democratica.

E votano Grillo non perché il leader Cinquestelle abbia o meno in tasca la ricetta giusta per uscire dal pantano, ma per castigare e levarsi di mezzo i responsabili del disastro economico italiano che con le loro scelte dissennate han ridotto in povertà milioni di persone e bruciato il futuro di intere generazioni. Gli stessi che oggi vorrebbero recuperare terreno screditando e disprezzando la loro «creatura» senza  mai ammettere, però, l’errore storico di essere stati i «chimici» di laboratorio che sbagliando ricette ed esperimenti politici hanno prodotto questo risultato.

Va detto con onestà che Renzi c’entra poco. E’ difficile imputargli le stesse responsabilità che hanno suoi predecessori e non come Dini, Ciampi, D’Alema Prodi, Bersani, Berlusconi, Monti e, più di tutti, Napolitano, che dal 2006 con diabolica scientificità ha portato al naufragio la nave Italia, prestando come gli altri maggiore ascolto alle oligarchie finanziarie ed europee invece che essere servitore degli interessi della nazione sovrana per come recita la Costituzione.

Dai primi passi da presidente del Consiglio, Renzi ha mostrato un discreto “adattamento” al “politically correct” che per decenni ha rappresentato il modus operandi della classe politica italiana. Una politica  assai distante da quel “coraggio” che ha avuto sfidando e archiviando l’establishment del Pd. L’ex sindaco di Firenze è sì determinato, ma ha messo troppa carne sulla brace delle promesse che naturalmente nessuno spera carbonizzi come quella messa sul fuoco da Berlusconi. Restano “lettiane” e “montiane” le sue posizioni sul ruolo dell’Europa, timido sull’euro e sul ruolo della Bce; timidissimo sui quei trattati internazionali che hanno determinato, con l’avallo di quella classe dirigente poc’anzi citata, il declino generale dell’Italia e l’impoverimento degli italiani.

Ed è a causa di questa politica di totale asservimento a poteri estranei all’Italia – ad una politica mediocre che continua ad arroccarsi e a non rinunciare ai privilegi – che è cresciuta la sfiducia e insieme la rassegnazione. Il disagio socio-economico è palpabile in ogni famiglia, la gente è esasperata e non ce la fa più a sopportare le angherie di uno stato “sovrano”  suddito di entità esterne senza voti. Non c’è lavoro manco a pagarlo. Un tessuto produttivo schiacciato dalla concorrenza sleale dei cinesi (e altri) che in sordina stanno comprando il mondo. Il mattatoio fiscale di Equitalia che adotta sistemi dittatoriali contro la povera gente mentre si lascia sfuggire (volutamente?) i grandi evasori; parliamo di quel 20 percento che detiene  il 90 percento dell’evasione fiscale complessiva.

Insomma, prospettive zero. L’Italia è diventato nuovamente un paese di emigranti. Non fa figli ma intanto importa quelli degli altri. Ha fatto un salto indietro di 60anni con la differenza che nel dopoguerra c’era un piano Marshall per ricostruire l’Europa dopo il conflitto, adesso solo terra bruciata, debiti e disperazione.

Domenica sarà pure molto largo il bacino degli astensionisti, di quanti fisiologicamente protestano senza andare a votare. E dipenderà anche da questo dato il successo di Grillo e dei movimenti di protesta anti Ue. Un numero massiccio di “rassegnati” che si somma a quanti, trasversalmente, protestano attraverso l’unico «voto utile» che daranno a Grillo e d’intorni. Sono le «larghe intese» di una grande protesta di popolo.

A questo vastissimo bacino elettorale non importa chi andrà a Strasburgo a rappresentarli (i Cinquestelle potranno essere giovani e impreparati all’inizio, ma, va riconosciuto che non si vedono “giganti” altrove…), gli importa solo punire i responsabili dello sfascio italiano per poi ricostruire, con l’esempio, la passione politica e l’onestà, un nuovo paese e una nuova classe dirigente capace di proiettare l’Italia e l’Europa in una sfera a dimensione umana che ruoti attorno a un nuovo modello economico e di sviluppo che deve essere l’opposto da quello imposto dalle oligarchie europee.

L’élite di Bruxelles, cioè gli euroburocrati e i banchieri europei se ne facciano una ragione e prendano atto del loro colossale fallimento, altrimenti i milioni di cittadini di questa protesta trasversale che interessa l’Italia e tutti gli stati membri andranno a cacciarli con i forconi.
Non c’è alternativa. O si cambia o si cambia.

Bufera in Campania, arrestato a quattro giorni dal voto Paolo Romano, presidente del Consiglio regionale e candidato Ncd a Strasburgo

Paolo Romano e Paolo Menduni
Paolo Romano e Paolo Menduni

Il presidente del Consiglio regionale della Campania, Paolo Romano, candidato alle prossime elezioni europee nella lista Ncd, è stato arrestato e posto ai domiciliari per tentata concussione. A Romano, vengono contestate pressioni per far nominare il direttore sanitario e amministrativo dell’Asl di Caserta. L’esponente politico, proprio perché candidato per Bruxelles, si era autosospeso dall’incarico in Consiglio.

La vicenda giudiziaria

Secondo la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) e il nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Caserta che hanno eseguito le indagini, Romano, nel corso di vari incontri avuti con l’attuale direttore dell’Asl di Caserta, Paolo Menduni, avrebbe fatto riferimento ad una sorta di accordo politico che prevedeva la spartizione di incarichi apicali nella pubblica amministrazione regionale. Il presidente del Consiglio regionale campano – secondo quanto sottolinea il procuratore della Repubblica, Corrado Lembo – avrebbe inoltre esercitato pressioni e minacce verso il funzionario per costringerlo a revocare le nomine di dirigenti che Menduni avrebbe effettuato senza assecondare le sue indicazioni. La richiesta di arresto è stata depositata lo scorso 3 febbraio, provvedimento poi adottato dal gip il 15 maggio. Il giudice, come ricostruisce il procuratore della Repubblica, ha qualificato più gravemente i fatti contestati a Romano individuando ”nelle condotte poste in essere dallo stesso minacce strumentali ai suoi fini illeciti e non invece l’ipotesi dell’indebita induzione, ipotizzata dalla Procura nella sua richiesta cautelare”.

Il grande accusatore

E’ stato proprio Menduni, a raccontare con dovizia di particolari agli inquirenti gli incontri avuti con Romano, ”le pressioni e le minacce subite per operare nomine ‘gradite”’, come evidenzia il procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Corrado Lembo. Le sue dichiarazioni ”sono state poi confermate da altri dirigenti dell’Asl casertana che ai magistrati hanno parlato di un clima fortemente ostile a Menduni, di ‘forme d’attacco’ e pressione del potere politico verso l’Asl mai visto in tanti anni nell’Asl, tanto che qualcuno ha riferito che era in atto un’operazione tesa alle dimissioni di Menduni”. Inoltre, ”elementi significativi di prova emergono anche dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate nelle quali Romano – rileva Lembo – manifestava la propria preoccupazione per la denuncia presentata dal Menduni”.

Le reazioni di Cicchitto e Caldoro

Siamo convinti che Paolo Romano riuscirà a dimostrarsi estraneo ai fatti che gli vengono contestati. Ma anche sul fronte dei rapporti fra giustizia e politica vogliamo essere un centrodestra nuovo: per noi il garantismo non significherà mai impunità” ha detto il coordinatore nazionale del Nuovo Centrodestra, mentre Fabrizio Cicchitto osserva comunque che l’arresto a tre giorni dalle elezioni, quando la richiesta era partita il 3 febbraio fa sorgere “il dubbio che ci troviamo di fronte ad un intervento di un settore della magistratura inquirente sulla vicenda politico-elettorale”. Il presidente della Campania, Stefano Caldoro, si è detto “convinto e fiducioso che Paolo Romano dimostrerà la correttezza della sua azione”. Intervento sulla vicenda anche da parte di Beppe Grillo: “Non c’è più bisogno di arresti – ha detto – devono calmarsi”.

Angelino Alfano: “Perché ora?” 

“Abbiamo un’impostazione garantista – dice Alfano – abbiamo fiducia nella magistratura e speriamo che Romano riesca a dimostrare che non merita il provvedimento. Se i magistrati avessero fatto le scelte che hanno ritenuto fare prima della presentazione delle liste o dopo le elezioni avremmo evitato che nell’opinione pubblica ci possa essere il sospetto di un intervento a tre giorni dal voto”.

Chi è Paolo Romano

49 anni, Paolo Romano, è nato a Quarto Flegreo (Napoli). Sposato e padre di due figli, imprenditore, ha cominciato l’ attività politica a Capua (Caserta) alla fine degli anni ’90. Prima consigliere comunale, poi presidente dell’ assemblea, Romano fu eletto nel 2000 al Consiglio regionale della Campania nelle liste di Forza Italia e poi rieletto nel 2005. Tra gli incarichi ricoperti in Consiglio quello di presidente della Commissione speciale anticamorra e contro la criminalità organizzata. Nel 2009 è stato eletto capogruppo del Pdl. Nel 2010 è stato rieletto al Consiglio regionale con 18 mila preferenze e nominato presidente. Romano ha aderito nel 2013 al Nuovo centrodestra (Ncd) ed è candidato alle Europee nella Circoscrizione Sud.

Le voci sulla sua candidatura prima di passare a Ncd

Della candidatura di Romano al Parlamento europeo si parla già dall’estate dello scorso anno. Era ancora in Forza Italia, partito al quale è rimasto fino a ottobre 2013 – prima della rottura di Alfano con Berlusconi – quando il presidente dell’assemblea fece intendere di volersi candidare a Strasburgo. Con Nicola Cosentino, uno dei suoi maggiori sponsor per le precedenti elezioni amministrative, ha condiviso obiettivi e raggiunto ambiziosi traguardi. Poi la “rottura” con l’ex sottosegretario e l’abbraccio con Angelino Alfano in segno di una non specificata “discontinuità”. E con quest’ultimo che ha stretto un patto per le europee forte di un consenso elettorale il cui bacino è lo stesso di “Nick ‘o ‘mericano”. Ad Alfano, per dimostrare la sua forza dopo il divorzio traumatico col cavaliere più che “voti d’opinione” servivano voti veri, ossia “dalle schede” e si è affidato ad uomini come Romano per raggiungere e superare la famosa soglia del 4 percento. Pare che Romano facesse “tandem” elettorale in alcune aree del Mezzogiorno con un altro uomo forte di Ncd, il governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti, una candidatura contestata dagli avversari per via della condanna rimediata in primo grado per abuso d’ufficio nel processo Fallara. Romano e Scopelliti sono i due esponenti che per Ncd avrebbero potuto portare nel forziere elettorale ben 200 mila voti insieme, circa un terzo di quelli che servono per raggiungere quota 4%.

Cosa succederà in caso di elezione.

Difficile sapere quale sarà il destino politico del presidente arrestato o prevedere sviluppi. Paolo Romano rimane, anche dagli arresti, in piena corsa per le europee e a poche ore dal voto nessuno sa dire se, nell’eventuale elezione il presidente del Consiglio campano possa lasciare i domiciliari per andare a Strasburgo per effetto dell’immunità parlamentare, privilegio che scatta subito dopo la proclamazione degli eletti. Bisogna capire se la legittimazione popolare possa prevalere su una inchiesta giudiziaria, poiché al momento della proclamazione ufficiale appare remota, a meno di una rinuncia “volontaria”, che un candidato eletto a suffragio universale eurodeputato venga dichiarato “ineleggibile” o “incompatibile”. Fattori di esclusione che si applicano semmai prima della presentazione delle liste fermo restando la validazione della Corte d’Appello di riferimento circoscrizionale che rilascia il “nullaosta” per la candidatura. Potrebbe tuttavia prevedersi “l’impugnazione” della proclamazione dell’eletto da parte del competente organo giudiziario. Il nodo è abbastanza ingarbugliato e potrebbe darsi che da ricorsi, contro ricorsi e impugnazioni (visti i tempi della giustizia) Romano, sempre in caso di elezione, possa godere dello status di europarlamentare.

AGGIORNAMENTO del 21 maggio 2014

Il difensore: “Romano si dimette e rinuncia a elezioni europee”. Ma è tecnicamente impossibile. Rimane in corsa.

Paolo Romano, da ieri agli arresti domiciliari in un’inchiesta della Procura di Santa Maria Capua Vetere per tentativo di concussione, si dimette da Presidente del Consiglio Regionale della Campania e rinuncia alle elezioni europee, alle quali era candidato per Ncd. Lo annunciano, a Caserta, i suoi avvocati, Garofano e Della Pietra, precisando che la decisione è stata presa “per evitare situazioni d’imbarazzo sia alla Presidenza del Consiglio Regionale, sia al partito”.

Certamente le dimissioni da presidente del Consiglio della regione Campania potranno andare in porto, mentre la “rinuncia” come la definisce il difensore, tecnicamente non è possibile. Romano è infatti candidato nelle liste della circoscrizione Sud a tutti gli effetti e ogni preferenza espressa in suo favore è da ritenersi valida e legittima. Nel caso di una sua eventuale elezione sarà proclamato parlamentare europeo. Spetterà poi a lui, se vorrà, rinunciare allo scranno di Strasburgo per far posto al primo dei non eletti.

Ci sono però dei tempi tecnici da rispettare.

L’articolo 4, comma 3 del regolamento del Parlamento Europeo stabilisce che: “I deputati dimissionari comunicano al Presidente le loro dimissioni e la data a partire dalla quale queste decorrono. Tale data non deve eccedere i tre mesi dalla comunicazione. Detta comunicazione assume la forma di un verbale redatto alla presenza del Segretario generale, o di un suo rappresentante, firmato da questi e dal deputato interessato e immediatamente presentato alla commissione competente che lo iscrive all’ordine del giorno della prima riunione successiva al ricevimento del suddetto documento”. Quindi…

Relazioni pericolose e incredibili storie di tradimento


Fioccano i tradimenti tra coniugi al punto che sono ormai un fenomeno patologico. Migliaia di casi in Italia e nel mondo di mariti o mogli sorpresi con l’amante. Chi tradisce di più? la donna o l’uomo? Diciamo in parti uguali? Si, il tradimento di coppia è in fondo reciproco.

Da che mondo e mondo l’adulterio alberga nell’irrazionale e istintivo subconscio umano. L’innato gusto alla trasgressione consente di appagare altrove i desideri repressi dalla monotonia di coppia. Quando svaniscono amore, desiderio e passione.

tradimentoE si dà vita a Relazioni pericolose che spesso scatenano la comprensibile ira di chi subisce le “pulsioni” del partner. L’anelito di evadere, secondo la teoria della libido elaborata da Freud, è pulsione “naturale” che ha bisogno di sfogo. Reprimerla aprirebbe la strada a “sofferenze” interiori che portano alla “malinconia” (depressione).

Insomma, la passione per “l’altro” o “l’altra” da secoli tracima gli argini della razionalità. Fino ai giorni nostri. Il tradimento nel mondo odierno è diventato un trend abbastanza diffuso tra le giovani coppie e non. In Occidente ancor di più, dove i rapporti sessuali sono diventati quasi come un “bene di consumo”.

Nel video vedrete 45 secondi mozzafiato che fanno rabbrividire. Adrenalina alle stelle per una clip stoppata giusto al punto…G

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