11 Ottobre 2024

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Pedofilia, ecco la nuova frontiera della 'ndrangheta. Gli esperti: "Terreno molto fertile per nuovi business"

Carlo Solimene Dirigente naz Polizia Postale - Ansa -

Lorenzo Attianese per l’Ansa

I media li chiamano ‘orchi’. Per le loro vittime spesso hanno l’appellativo di “amici”. Ma i pedofili in Italia ora hanno il nuovo volto degli affaristi, osservato con attenzione anche dalle mafie. Dietro si nascondono vere e proprie strategie economiche, che celano una holding messa in piedi grazie al sistema darknet, il web sommerso. E’ la Pedo-Connection, il nuovo marchio criminale made in Italy, che esporta ed importa pedopornografia e non scambia o vende più solo file, ma esseri umani. Bambini di cui abusare. E grazie ai quali fare affari, un terreno molto fertile – secondo investigatori e criminologi – per il business della ‘ndrangheta .

Cncpo Centro Nazionale Contrasto Pedopornografia Online - Ansa -
Il Centro Nazionale di Contrasto alla Pedopornografia Online – Ansa –

In Italia, negli ultimi mesi, questo tipo di reato è aumentato fino a raddoppiare le cifre: sono già 200 le denunce di abusi rilevati attraverso la rete nei primi 6 mesi di quest’anno, a fronte delle 344 di tutto il 2013, con 165 minori adescati. E nella black list formulata dalla polizia ci sono oltre 1.700 siti dall’inizio del 2014. Tutto online, che resta off the records per gli internauti. L’unico modo per avere un contatto con questo mondo è navigare nelle acque torbide delle reti parallele con indirizzo Ip anonimo.

Compito del Centro Nazionale per il Contrasto della Pedopornografia (Cncpo), che solo tre mesi fa, in collaborazione con l’Fbi, ha messo a segno la prima operazione condotta nel Paese con successo all’interno del darknet: dieci arresti e l’identificazione di tre ragazzini di sette anni, vittime di abusi sessuali. Si tratta della punta dell’iceberg di un’indagine solo agli inizi, nella quale gli investigatori stanno cercando di scardinare un’organizzazione definita “massonica”, che isola i componenti sospettati di essere indagati, ha un suo slang , scambia, commercia ed esibisce come trofei i bimbi adescati e violentati.

Roberta Bruzzone criminologa e psicologa - Ansa -
Roberta Bruzzone criminologa e psicologa – Ansa –

Tra loro però c’è anche una squadra infiltrata. Cento agenti sotto copertura, tutti 007 informatici e non solo. Poliziotti italiani addestrati anche tra le file di Fbi ed Europol, che fingono di essere intenditori di quella galleria raccapricciante, utilizzano gli stessi codici linguistici, acquisiscono la fiducia dei pedofili e dopo mesi li incontrano, fino ad acquisire tutti gli elementi per incastrarli. “Ormai il fenomeno della pedofilia online – spiega il dirigente nazionale della polizia postale, Carlo Solimene – è caratterizzato dalla transumanza di questi utenti, soprattutto quelli più addentrati nell’ambiente, sulle reti del darknet. Qui esiste un vero e proprio manuale del pedofilo, attraverso il quale si tenta di aggirare i controlli delle forze dell’ordine.

Ma il darknet non è un posto sicuro neppure per i criminali. E’ bene che lo sappiano”. E non è casuale se quattro mesi fa il Consiglio dei Ministri ha deciso di fa diventare un’aggravante l’utilizzo del darknet’, cioè l’uso di mezzi utilizzati dai soggetti che sfruttano i minori per impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche. La chiave d’accesso al sottobosco del web, dove è garantito l’anonimato, è il download di software applicativi come Tor, un sistema per la criptazione in passato utilizzato dalle forze militari americane.

Laura Volpini Psicologa Università La Sapienza - Ansa -

Una volta entrati, ci si avvicina a chat e siti con una serie di tentativi e costanza di contatti. Nel tempo è possibile sfondare il muro della diffidenza, con dei riti iniziatici che prevedono lo scambio di nuovi file pedopornografici, come video e file rigorosamente autoprodotti. Insomma non basta essere informatici di ottimo livello ed avere i file giusti, spesso bisogna essere autori di abusi. Solo in seguito si entra nel business, come venditori o acquirenti, dove ‘lolite’ e ‘pre-teen’ sono le parole chiave più leggere. E gli affari sono sempre più spesso pesanti.

Lo sanno bene gli investigatori, i quali ricordano che lo scorso anno in Canada è stato sequestrato un sito con file di pedofili, che in poco tempo aveva incassato 5 milioni di dollari canadesi grazie alla vendita di materiale. Ma da oltreoceano ci sono diversi ponti che portano all’Italia. Solo tre mesi fa è emersa uno dei tanti fatti inquietanti: in Alabama un uomo mostrava in una foto il figlio di tredici anni in gabbia, che seviziava assieme al compagno. Voleva disfarsene perché “troppo poco giovane” e lo esibiva come se fosse in vendita. La foto matrice che ha permesso di dare il via alle indagini sulla vicenda è stata trovata in Italia. Dal nostro Paese il percorso degli 007 del Cncpo ha in seguito portato le indagini prima in Germania, poi in Inghilterra ed infine negli Usa.

Risorse per difendersi
Servizio Polizia postale e Comunicazioni
Commissariato online

Il Papa scomunica i mafiosi nella "Spianata delle Coschee". Galantino scomunica la società calabrese: "Conniventi!"

[su_youtube url=”http://youtu.be/mny4c3kBj9Y” width=”480″ height=”320″]La ‘ndrangheta è il Male assoluto. E in quanto Male non va adorata. “Chi adora il Male, come i mafiosi, è scomunicato”. Papa Francesco nella sua storica visita nella Sibaritide, in Calabria sembra escludere “speranze divine” per chi si macchia di gravi peccati utilizzando il Male come strumento di sopraffazione. Il “pizzino” che il santo Padre lascia ai mafiosi appare esplicito. “Dopo la morte, per voi mafiosi, ci sarà l’inferno, lo stesso che fate vivere ai nostri fratelli che operano nel Bene nella vita terrena”. Una sorta di pena capitale divina.

Un “monito”, quello di Bergoglio, rivolto a quanti cercano di lavare “inutilmente” i loro peccati sotto le vesti della Chiesa, come a Polsi, luogo sacro diventato il simbolo dell’iniziazione ‘ndranghetistica. Il papa accende i riflettori della Chiesa sul fattore che da sempre soffoca la crescita sociale e lo sviluppo economico del Mezzogiorno. Lo fa a quasi vent’anni di distanza dalla storica omelia di Karol Wojtyła in Sicilia dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, dove Giovanni Paolo II aveva esortato i mafiosi a “convertirsi”.

Papa Francesco omelia piana Sibari
Papa Francesco a Sibari

In Calabria, il popolo di Francesco si ritrova nella piana di Sibari per ascoltare l’omelia del santo Padre. La calura estiva non ha fermato gli oltre duecentomila pellegrini giunti da ogni regione del Sud. Prima di lui aveva parlato Monsignor Nunzio Galantino, il vescovo di Cassano allo Ionio che Bergoglio ha voluto come segretario generale della Cei. Ed è proprio il vescovo che lancia il primo duro e significativo monito: “La ‘ndrangheta non si nutre solo di soldi e di malaffare. Si nutre anche di coscienze addormentate, e perciò conniventi!”.

Il messaggio è indirizzato a coloro (presenti ipocritamente anche tra i fedeli come i Farisei nel Tempio di Gerusalemme…) che dietro il loro “omertoso silenzio” consentono alla ‘ndrangheta di proliferare e conquistare nuovi spazi economici e sociali. Attraverso la loro “connivenza” permettono ai “soldati” di Satana di allargare gli spazi del Male e cooperano (perseguitati dalla paura) a scavare la fossa comune dentro cui saranno sotterrati.

In 200mila a Sibari per Francesco
In 200mila a Sibari per Francesco

La giornata di papa Francesco è cominciata in mattinata nel carcere di Castrovillari dove ha incontrato i detenuti. Tra questi anche il padre di Cocò, il bimbo barbaramente trucidato e bruciato dalle ‘ndrine qualche mese fa a Cassano. Poi, come da programma il pontefice si è recato in un ospizio per incontrare gli ammalati e ha pranzato con i poveri. Precedenza assoluta a chi vive nel disagio, ai disabili, agli emarginati. Autorità e politici in ultima fila. Molti hanno disertato per evidenti ragioni di sottoesposizione: “Che ci vado a fare se non mi inquadrano nemmeno”, avrebbe detto il nostro Cetto…

Nel pomeriggio la Santa Messa in quella che impropriamente viene dai media definita la “spianata” di Sibari, pianura che di sacro non ha nulla a differenza di quella delle “Moschee di Gerusalemme”. Semmai è la “Spianata delle Coschee” (come quelle di Lamezia Terme e Gioia Tauro) dove il Male regna e prevale sul Bene. Dove si consumano altri “crimini” come lo sfruttamento del lavoro degli immigrati, della prostituzione e si realizzano traffici delle peggiori specie. Un vorticoso business che ruota sempre attorno al prosperoso e adorato mondo di Satana, il quale si alimenta dietro l’indifferenza generale, complice quel silenzio “connivente” di cui parlava il segretario della Cei, Nunzio Galantino.

Papa Francesco SibaritideLa scomunica dei mafiosi – pronunciata dal pontefice in maniera “soft” e indiretto, senza enfasi- è un buon segnale se accompagnato però dai fatti: bisognerebbe infatti cominciare a negare il loro ingresso in Chiesa, rifiutare loro la comunione, il perdono. “Dio mai condanna. Mai perdona soltanto, ma perdona e accompagna”, affermava il capo della Chiesa davanti ai detenuti del carcere di Castrovillari. Il papa polacco diceva invece ai mafiosi in Sicilia: “Convertitevi, un giorno verrà il Giudizio di Dio”. Pensieri opposti? Sembrerebbe di si. Comunque, al di là delle “interpretazioni”, sulla filosofia del Perdono occorre prestare molta attenzione. Il perdono concesso “a tutti” generosamente dalla Chiesa, non può essere in alcun modo appannaggio per chi vive e sguazza prepotentemente  nel Male.

Se passa questo messaggio sarebbe devastante per i fedeli e per la stessa credibilità della Chiesa. Perché significherebbe poter perdonare pure Satana. E perdonarlo equivale mettere sullo stesso piano Bene e Male, condannare il Buono e assolvere il Cattivo. Invece no! E’ sbagliata la spinta al perdono a tutti i costi solo perché Gesù (da figlio di Dio in Croce) perdonò i suoi aguzzini e mandanti degli aguzzini. Gli stessi che nei secoli non hanno mai chiesto scusa a nessuno per il Deicidio. Al contrario, ahinoi, è la Chiesa a chiedere sempre scusa (per cosa?). Andando di questo passo, un giorno ci toccherà chiedere scusa ai mafiosi e agli adoratori del Male per averli contrastati e perseguitati.

La Chiesa non può essere intransigente su alcuni temi e poi offrire “perdono” senza distinguere tra Bene e Male, tra chi ha scelto Dio e chi ha deciso di servire Satana. La ‘ndrangheta (come tutte le mafie) non si sconfigge porgendo l’altra guancia. Porgendola diciamo ai mafiosi: “Continuate pure coi vostri crimini, tanto la giustizia divina vi assolverà comunque dai vostri peccati”.

Bisogna che il Vaticano si interroghi seriamente su questo: Che senso avrebbe vivere una vita intera onestamente nel Bene, quando chi commette i crimini peggiori in servizio al Male, alla fine dei suoi giorni si pente e viene “perdonato”, raggiungendo in tal modo lo stesso “ambizioso traguardo” di chi ha subìto soprusi e violenze da questi malavitosi? La parabola del “Figliol Prodigo” non potrà mai “calzare” con la mafia…

Il perdono bisogna meritarselo! Tutti sbagliano, è vero. Errare è umano. Ma c’è una differenza abissale tra chi sbaglia nel “Bene” e chi, “godendo” nel “Male”, ha volontariamente, consapevolmente e in modo scientifico generato morte e sofferenze. Ai mafiosi ed ai loro gregari conniventi andrebbe vietato l’ingresso in Chiesa e in tutti i luoghi sacri. Se si accettano, significa accogliere l’Anti Cristo e gli adoratori del Male. Il pentimento? Lasciamolo alla giustizia terrena. Perché chi ha scelto di idolatrare Satana usa il pentimento per ingannare ancora gli uomini e Dio. La lotta contro la ‘ndrangheta è una Guerra tra il Bene e il Male che va “combattuta” senza tregua con le armi della giustizia, con coscienze attive e, soprattutto, con il pieno sostegno della Chiesa.

Nasce "Il Garantista", nuovo quotidiano diretto da Sansonetti. Esce in tutta Italia con sedi a Roma, Campania e Calabria

Prima pagina Cronache Il GarantistaPrima pagina Cronache Il Garantista
La prima pagina de “Il Garantista” del 18 giugno 2014

Intervistato da Tempi, Piero Sansonetti spiega i perché della nuova avventura editoriale. Il quotidiano avrà una sede a Roma, una in Campania e tre in Calabria, regione dove aveva diretto l’Ora della Calabria, il giornale chiuso dopo il caso “Oragate” e che aveva lasciato per strada decine di giornalisti, parte dei quali riassorbiti ora da Sansonetti nel nuovo quotidiano. Editore sarà una cooperativa di giornalisti (nuova formula per affrancarsi da editori-padroni e speculatori di ogni specie) finanziata da una cordata di imprenditori tra cui Andrea Cuzzocrea, presidente di Confindustria Reggio Calabria. Auguri da secondopianonews.com

Chiara Rizzo per Tempi

Oggi al centro dell’attenzione dei media ci sono due casi di cronaca nera. L’arresto del presunto assassino di Yara Gambirasio e la vicenda dell’uomo che ha ucciso moglie e figli a Motta Visconti (Mi). Che titolo darebbe Il Garantista se foste in edicola oggi, o quale darete domani?

Rivelo il titolo della prima pagina di domani. Grosso modo sarà: “Dagli al mostro”. Sottotitolo: “Giornali e politici scatenati. La procura frena”. Trovo che sia gravissimo quello che ha fatto Angelino Alfano ieri. La convocazione di una conferenza stampa per dire che è stato fermato il già sicuro assassino lo considero da parte sua un non rispetto della Costituzione. Anzi la considero una non conoscenza della Costituzione, poveretto, perché posso solo supporre a questo punto che non conosca il principio di presunzione di innocenza, anche se è stato ministro della Giustizia. Penso che anche di fronte al delitto più efferato la Costituzione vale, e un indagato è un presunto innocente fino all’ultimo grado di giudizio.

Perché avete scelto proprio questo nome, Il Garantista?
La risposta è evidente fin dal nostro primo giorno di vita. Pensiamo sia necessario un rispetto della Costituzione e che essa valga per tutti i delitti. Ci consideriamo essenziali in questo momento storico, con inchieste che sconvolgono il dibattito pubblico quasi ogni giorno.

A chi vi rivolgerete? Quale sarà il vostro pubblico di riferimento?
Ci rivolgiamo a tutti, il giornale sarà popolare e anche pieno di notizie divertenti, ma vogliamo solo far riflettere un po’. Speriamo di mettere dei semi di pensiero nell’opinione pubblica dopo questi ultimi vent’anni di forcaiolismo dominante. Questi ultimi vent’anni sembrano aver abolito i semi di pensiero e di riflessione sulle cose. Ecco, noi vorremo abolire quanto meno questo divieto di pensare.

Chi è il vostro editore?
Una cooperativa di giornalisti, cioè saremo noi stessi. Al nostro fianco c’è una cordata di imprenditori, il capofila Andrea Cuzzocrea, che è presidente di Confindustria Reggio Calabria, e altri per lo più legati al settore edile: ci sostengono, e si occuperanno della raccolta pubblicitaria.

È vero che, dopo la direzione di un quotidiano calabrese (Calabria ora/L’ora della Calabria), adesso torna in quella regione con una redazione del Garantista?
Sì. Il Garantista avrà una redazione a Roma, e tre redazioni in Calabria, perché ci sarà un supplemento locale di 20 pagine. Più un’altra redazione in Campania (dove il quotidiano sarà abbinato ad un supplemento locale di 16 pagine).

Piero Sansonetti
Piero Sansonetti (foto
Leone/LaPresse)

Scusi, ma in un momento di gravissima crisi dell’editoria, chi glielo fa fare di aprire una nuova testata e nuove redazioni? Dopo una lunga carriera, potrebbe godersi un po’ di riposo anziché rischiare capitale economico e umano.
Lo ribadisco, mi muove la convinzione che sia necessario fare questo giornale, che sia necessaria una testata di sincero spirito garantista, e non nel senso che difende gli amici propri. La seconda pagina sarà dedicata, ad esempio, alle carceri. Fare un giornale su carta è una scommessa, significa navigare controvento. Ma serviva.

Lei ha una lunga militanza a sinistra. Pensa che nella sinistra attuale, dove i deputati che hanno votato per la responsabilità civile dei magistrati sono considerati dei “franchi tiratori” contro la linea del partito, ci sia ancora uno spazio per il garantismo?
Da almeno vent’anni, penso anche trent’anni, non c’è più una sinistra garantista in Italia, quanto meno non è maggioritaria. Anzi, oggi questa parola ha subìto uno strano contrappasso, spesso in certi ambienti assume il significato erroneo di “amici dei mafiosi”. Per garantismo invece si intende la civiltà non parliamo di chissà che la migliore tradizione dell’illuminismo o del cristianesimo. Ecco noi vogliamo costringere anche la sinistra a ragionare, a tornare a personaggi che sono stati pilastri portanti del diritto per l’Italia. C’è stato un tempo in cui la sinistra italiana è stata garantista e vorrei spingere quella attuale a ricordare persone come Umberto Terracini, o Piero Calamandrei.

Il pentito dei Casalesi Iovine: “Così compravo i giudici”. Confessione choc del “ministro dell’economia” della Camorra

Antonio Iovine al momento dell'arresto
Antonio Iovine al momento dell’arresto

Nel tribunale di Napoli ci sarebbe stata “una struttura che riusciva ad aggiustare i processi”. Lo ha dichiarato il pentito del clan dei Casalesi, Antonio Iovine, in un verbale depositato nel corso del dibattimento legato alle minacce a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione.
Ai vertici di questo “sistema”, ci sarebbero stati Pietro Lignola, ex magistrato napoletano in pensione, e Sergio Cola, avvocato penalista ed ex parlamentare Pdl. Iovine li ha tirati in ballo lo scorso 28 maggio durante la sua deposizione ai pm della Dda.

Nel verbale, Iovine afferma che affidò la difesa a Sergio Cola su suggerimento di Michele Santonastaso perché conosceva il giudice Pietro Lignola, il legale era amico del magistrato.
Le Dichiarazioni sono finite subito all’attenzione dei magistrati della procura di Roma, che, competente a indagare sui colleghi campani, ha aperto un’inchiesta per corruzione. “I soldi servivano per corrompere i giudici – ha detto Iovine che da un mese circa ha deciso di collaborare con gli inquirenti – e non era la prima volta che l’avvocato Michele Santonastaso (suo difensore fino al 2008, ndr) mi chiedeva soldi per aggiustare i processi in corte d’appello”. Dichiarazioni da prendere con le pinze poiché rese da un boss pentito di cui al momento non è stata accertata nessuna attendibilità.

L'ex giudice Pietro Lignola
L’ex giudice Pietro Lignola

Iovine – scrive l’Agi – potrebbe essere sentito nei prossimi giorni dai magistrati della capitale dove risulta già sotto processo per rivelazione del segreto d’ufficio un ex giudice della corte d’appello partenopea. “Ho pagato due volte e per due volte sono stato assolto”, ha precisato l’ex boss che poi ha aggiunto: “Negli incontri con il mio avvocato parlavamo di esigenze particolari legate ai processi ed in alcune occasioni Santonastaso mi ha chiesto dei soldi per aggiustare i processi e farmi avere delle assoluzioni. La prima volta è accaduta a proposito del processo per l’omicidio di Nicola Griffo per il quale avevo avuto una condanna a trent’anni: l’avvocato Santonastaso mi promise che in appello avrebbe visto cosa si sarebbe potuto fare”.

Il pentito dei Casalesi racconta che fu consigliato “di nominare per l’appello anche un altro avvocato in quanto aveva un buon rapporto con il presidente della sezione di Corte d’Appello dove si celebrava il processo. Io così feci e invitai l’avvocato a darsi da fare per trovarmi una soluzione per farmi uscire assolto. L’avvocato mi rassicurò dicendo che poteva trovare la soluzione giusta per aggiustare il processo e farmi assolvere. Ad un certo punto mi fu detto che l’avvocato voleva 200 milioni di vecchie lire che erano necessari per farmi ottenere l’assoluzione. Io accettai e fu assolto e pagai i 200 milioni in due rate da 100 milioni che gli furono portate da persone a me vicine”.

L’altra occasione nella quale avrebbe dato soldi a Santonastaso per aggiustare un processo fu per il duplice omicidio di Ubaldo e Antonio Scamperti, a San Cipriano D’Aversa, “nel quale fui condannato all’ergastolo in primo grado: grazie all’intervento dell’avvocato di Santonastaso con le medesime modalità fui poi assolto in appello”. Dopo la condanna in primo grado, ha spiegato Iovine, “io invitai Santonastaso ad attivarsi in tutti i modi per farmi assolvere”.

Quando seppe che il processo era stato assegnato al giudice che in precedenza lo aveva già assolto, “mi tranquillizzai molto ed ero fiducioso che Santonastaso sarebbe riuscito anche questa volta a farmi assolvere. Mi rendevo conto che ci voleva qualche sforzo in più in quanto c’erano due pentiti che mi accusavano.

Fatto sta che in prossimità della conclusione del processo Santonastaso per il tramite dei miei familiari, credo sempre mia moglie, mi fece sapere che era tutto a posto e che mi chiedeva la disponibilità a dargli 200mila euro, sempre in due rate”. Iovine, stando ai verbali depositati, avrebbe incontrato da latitante almeno quindici volte il suo difensore che mai, però, gli avrebbe spiegato nel dettaglio “quale strada era stata percorsa per ottenere l’assoluzione.

Era chiaro, però che era stata ottenuta con metodi illeciti”. “Ho avuto conferma del fatto che questi processi erano aggiustati – ha ricordato Iovine – quando si è verificato l’altro episodio nel quale è stato assolto Michele Zagaria (altro boss del clan, ndr.). Santonastaso mi propose di chiedere a Zagaria se era interessato a ottenere con gli stessi metodi l’assoluzione”.

Zagaria, anche lui allora latitante, si disse d’accordo, e la richiesta di denaro necessario, 250mila euro, gli arrivò attraverso un bigliettino consegnato alla moglie di Iovine. “Zagaria confermò ed effettivamente fu assolto – conclude Iovine – ma il giorno dopo espresse la sua volontà di non pagare. A suo dire l’assoluzione non era dipesa dall’intervento di Santonastaso. Io ci rimasi male e questo fatto incise sul prosieguo dei miei rapporti con Zagaria”.

Maturità, l'esame dovremmo farlo allo stato della nostra scuola

maturità 2014Mila Spicola per l’Unità 

Quattro le tipologie che il ministero metterà sul tavolo dei maturandi per la prima prova scritta, quella di italiano: analisi del testo, saggio breve/articolo di giornale, tema storico e tema di carattere generale. Tra i 465mila studenti alcuni miei ex alunni. «Prof, secondo lei cosa è più facile?». «Valeria, quel che sai far meglio, no? Leggi tutte e quattro le tracce, fatti uno schemino per ciascuna, se l’argomento lo conosci e lo governi, vai e scrivi. Rifletti, bevi, respira, non ti far prendere dall’ansia..». «Pare facile prof! Lei non si fece prendere dall’ansia?». «Nel tema no, nella versione sì». «Ogge su santo, prof! La versione!».

Negli ultimi giorni i miei ingressi su Facebook sono stati costellati dalle domande e dai dubbi dei miei primi ex alunni alle prese con l’esame di Stato nella Secondaria di Secondo Grado. Quelli almeno che ci sono arrivati. I miei ex pulcini da mesi mi chiedono, mi interrogano, mi raccontano e mi fan ricordare e ritenere come i giorni e i tempi prima degli esami siano sempre identici. Tanto da cadere nell’inevitabile incubo degli esami da rifare anche io. On line i siti, ma anche i quotidiani, in rete o cartacei, sono pieni di consigli, sempre gli stessi, su come affrontare le prove: cosa mangiare, quanto dormire, come studiare. Oppure di dati sui numeri, su quanti sono gli scrutinati, gli ammessi, i sommersi e i salvati.

Non so, io mi ritrovo a riflettere su altro. Cosa faranno e dove andranno i miei ex pulcini, quali competenze stiamo dando loro, quale conoscenza porteranno nel loro percorso di vita? Esame di maturità. Maturità di chi? Che adulti hanno intorno a loro rispetto ai quali misurare l’indicatore della maturità, della competenza, della conoscenza? Cosa stiamo certificando?

Osservo e rifletto sulle competenze di un liceale e su quelle richieste a uno studente di istituto tecnico professionale e so perfettamente che il massimo nella valutazione del primo non corrisponde in Italia al massimo della valutazione del secondo. E nemmeno la certificazione delle loro competenze di base. Non è disuguaglianza questa? Dovrei raccontarlo a questi ragazzi? O a noi adulti? O ai miei colleghi docenti? O al «Sistema», così stiamo tutti a posto e va tutto bene madama la marchesa?

La presente e viva e le morte stagioni vo comparando e non so se nella mia stagione le cose andavano allo stesso modo, certo non ci riflettevo allora. Vo comparando ancora le competenze acquisite e da valutare di uno studente siciliano, a cui il «Sistema» ha offerto circa due anni in meno di scuola rispetto al coetaneo trentino, per assenza di tempo pieno nella scuola elementare, a cui si sommano gli anni in meno all’asilo, e tali competenze verranno valutate tali e quali da un esame di Stato Nazionale.

Mila Spicola, insegnante e scrittrice
Mila Spicola, dirigente Pd

Non è disuguaglianza questa? Non è anticostituzionale una tale differenza di offerta d’istruzione, innanzitutto di tempo, di strutture, di occasioni? E mi sovvien l’eterno «fondamentale» problema dell’andar a scuola un anno prima, per uscire un anno prima e «affrontare il mondo del lavoro alla stessa età di altri paesi europei» e mi chiedo: è questa l’emergenza maggiore adesso?

Non sarebbe il caso di interrogarci su altro? Un anno prima ma con quali profili? Sempre gli stessi? Con quali programmi? Con quali contenuti? Con quali direzioni di sviluppo professionale certo tracciate? Siano esse immediate o posticipate da un percorso universitario? Cosa stiamo dando e a cosa stiamo preparando questi novelli esaminandi?

L’esame di maturità forse dovremmo farcelo noi nel predisporre un cambiamento necessario del percorso della scuola superiore, o sbaglio? Una riqualificazione delle scuole tecnico professionali, che tornino ad essere la fucina qualificata e qualificante del ceto medio e della piccola imprenditoria italiana, aggiornando programmi, percorsi e sbocchi, non il girone infernale dove mandare chi «non ha voglia di studiare».

Lo stesso per i licei: interrogarsi sui contenuti ma anche sui metodi. E per entrambi non cedere mai di una virgola su una pari e uniforme offerta di qualità culturale, sia che si tratti del tecnico informatico di Canicattì o del liceo Nazareno di Roma. Che si torni a parlare di attitudini dei ragazzi e non di separazioni di file di destini segnati per altro: per origine, per ceto, per luogo. «Prof, secondo lei cosa è più facile?»

Cosa volete rispondere ai nostri ex pulcini? Dirgli di bere, di respirare profondamente, di riflettere, di farsi uno schema chiaro prima di scrivere e di riprendere le fila del loro futuro, in modo più pressante e vivo. Magari col nostro aiuto, non con le nostre resistenze e le nostre gabbie mentali. Cambiare noi intanto, se ne siamo capaci.

Maturità, ecco la "prova" di ministri e politici. Boschi e Renzi presero il massimo

La maturità dei ministri di Renzi (immagine tratta da "La Stampa")
La maturità dei ministri di Renzi (immagine tratta da “La Stampa”)

Francesca Schianchi per La Stampa

«Ancora oggi, se faccio un incubo, è di arrivare alla maturità senza essere preparata…», sospira il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, che pure portò a casa la menzione «bien» alla scuola francese di Roma. Come bene andò l’esame della responsabile delle Riforme, Maria Elena Boschi, 100 su 100 al classico Petrarca di Arezzo, racconta lei con un sorriso soddisfatto.

Massimo dei voti anche per il premier Renzi (60/60, nel ’93, al liceo classico Dante di Firenze), che era sempre stato un bravo studente ma con una certa vis polemica, e l’anno prima della maturità rischiò il 7 in condotta, quando rifiutò la richiesta del preside di ritirare le copie del giornalino «II Divino mensile» su cui erano andati pesanti con le critiche a un prof di matematica.

È passato qualche anno, ma non troppi, da quando i ministri del governo più giovane della Repubblica hanno affrontato la maturità, che inizia oggi per migliaia di studenti. Dai banchi del governo c’è chi ne ricorda l’ansia e chi il senso di liberazione. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, 50/60 al classico romano Anco Marzio, racconta di un esame complicato, con discussioni della classe con la commissione: «Io litigai su Hegel», ricorda.

Il ministro Marianna Madia
Il ministro Marianna Madia

La collega degli Esteri Federica Mogherini – 56/60 nel ’91 al classico Lucrezio Caro di Roma – già pensava al dopo: qualche mese a Londra per studiare inglese poi la facoltà di Scienze politiche, «volevo fare la giornalista». Idee chiare su cosa volesse fare le aveva anche la Boschi, «l’ho deciso a 11 anni: il magistrato». Della maturità ha un bel ricordo, «giorni impegnativi ma divertenti»: le capitò di dimenticare il vocabolario di latino il giorno della versione; un compagno che abitava vicino a scuola corse a casa per procurargliene uno. Perché lei veniva dalla provincia, da Laterina: «Mio fratello mi aveva preparato una cassetta da ascoltare in macchina per caricarmi».

Il ministro Maurizio Martina
Il ministro Maurizio Martina

Anche il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ricorda i 20 km in motorino da casa sua a Bergamo, all’istituto agrario: «II viaggio di ritorno, leggerissimo, liberato da tutti i pensieri». Portò a casa un 48 su 60: «Non ero un secchione», ammette, «e negli ultimi due anni già pensavo più alla politica che allo studio…». Non era secchione nemmeno il sottosegretario Luca Lotti, diplomato allo scientifico Pontormo di Empoli con 90/100 nel 2001: ricorda ancora un suo ex compagno le parole del preside quando consegnava le pagelle: «Lotti, anche quest’anno sei il peggiore della classe tra i maschi…».

Annagrazia Calabria, leader Forza Italia giovani
Annagrazia Calabria, FI

Qualche amico ogni tanto lo chiama: «Luca, guarda tè dove sei arrivato…». Mai, allora, avrebbero pensato di arrivare a fare i ministri, come mai avrebbero pensato di passare in pochi anni dai banchi di scuola a quelli del Parlamento molti giovani deputati. Nemmeno chi era una studentessa modello come la leader dei giovani di Forza Italia, Annagrazia Calabria: 100/100 al classico e versione di greco orgogliosamente presentata in mezz’ora.

Alessandro Di Battista, deputato M5S
Alessandro Di Battista, M5S

Non lo pensava l’ex capogruppo M5S Roberta Lombardi (54/60 allo scientifico Avogadro di Roma): ancora non faceva politica, epperò a ben pensarci una certa verve c’era, considerato che da rappresentante di istituto aiutò a sventare la temuta fusione con un altro istituto. Il collega Alessandro Di Battista prese 46/60 allo scientifico Farnesina di Roma: «Allora studiavo poco, ho cominciato a farlo più tardi. E la maturità fu una liberazione».

Mentre la giovanissima deputata pentastellata Marta Grande, 87 su 100 nel 2006 allo scientifico di Civitavecchia, aveva già in mente l’università: stava per partire per farla in Alabama. Oggi iniziano gli esami. «Studiate, ma affrontate le prove con serenità, e portate cioccolatini per i cali di zucchero», consiglia materna il ministro Boschi. «E scegliete la facoltà universitaria che vi piace senza troppi calcoli sulle possibilità di lavoro». Parola di una che ha fatto strada.

Il Parlamento europeo finanzia partiti e fondazioni.

FondazioniFondazioni e partiti politici europei si spartiranno una torta di 40 milioni di euro di sovvenzioni pubbliche per il 2015. Il finanziamento, tutto politico, è stato deciso dal parlamento europeo (in regime di prorogatio) che ha lanciato oggi due inviti a presentare proposte per la concessione di sovvenzioni alle fondazioni e ai partiti politici europei. L’obiettivo dei bandi è sostenere il programma di lavoro dei beneficiari per l’esercizio finanziario 2015.

Massimo D'Alema
Massimo D’Alema (Fondazione Italiani Europei)

Il trattato Ue “riconosce ai partiti politici europei e alle fondazioni a essi affiliate un ruolo importante per la formazione di una coscienza europea e per il rafforzamento dei dibattiti sulle politiche comunitarie”. Per il prossimo anno si prevede un bilancio di 28,35 milioni di euro a favore dei partiti politici e di 13,67 milioni di euro per le fondazioni.

Il termine per la presentazione delle domande è fissato al 30 settembre 2014. L’adozione della decisione sulla concessione delle sovvenzioni da parte dell’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo avverrà entro il primo gennaio 2015.

In Italia non si contano le fondazioni affiliate a partiti e movimenti politici. Laboratori di pensiero e di idee. Molte di queste sorte non tanto per promuovere “la formazione di una coscienza europea”, quanto con il proposito di raccogliere fondi per autofinanziare attività dei singoli “leader”.
Solo per citare le più note, si va dalla Fondazione Italiani Europei che fa capo al piddino Massimo D’Alema al premier Matteo Renzi con la sua Fondazione “Big Bang”, fino al raffinato pensatoio “Magna Carta” di Gaetano Quagliariello. Poi ancora da Montezemolo (Italia Futura) a Fini (Farefuturo), “Riformismo e Libertà” in cui compare Fabrizio Cicchitto, Tremonti (ResPublica), (Instituto Gramsci) Fassino, (Symbola) Realacci, (Trecentossessanta) Enrico Letta e poi scorrendo la fondazione “Vedrò” in cui compaiono un po’ tutti in salsa bipartisan.

Ancora Violante, Brunetta, Monti, Prodi Ciampi e molti altri da centro a sinistra passando per il centro. Sul quotidiano online partiti“Giornalettismo” l’elenco completo.
Non è dato sapere se queste fondazioni faranno domanda per accedere alle sovvenzioni dell’Ue, ma appare quantomeno singolare che siano sorte negli anni come funghi. Per promuovere cosa? Nessuno ha mai saputo spiegarlo.

Leucemia, grazie alle staminali i bambini possono guarire. Nuova tecnica per il trapianto di midollo

Bambin Gesù RomaGrazie alle cellule staminali e a una tecnica “rivoluzionaria” messa a punto dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma, i genitori di bambini con malattie per cui serve un trapianto di midollo diventano compatibili e possono salvare i propri figli. Il metodo, che ha già salvato decine di bimbi con tumori del sangue e malattie rare , è stato presentato oggi a Roma e pubblicato sulla rivista scientifica Blood.

La tecnica, hanno spiegato gli esperti, consiste nel “ripulire” le cellule del donatore, che può essere indifferentemente uno dei due genitori, eliminando solo quelle “cattive” che causano le principali complicazioni di questo intervento.  Dunque, anche in assenza di un donatore compatibile, la nuova tecnica rende possibile il trapianto di midollo da uno dei 2 genitori con percentuali di guarigione sovrapponibili a quelle ottenute utilizzando un donatore perfettamente idoneo.

laboratorioQuest’ultima frontiera del trapianto di cellule staminali è stata sperimentata anche su oltre 70 bambini affetti da leucemie acute e tumori del sangue, con percentuali di successo dell’80%. A illustrarli oggi alla stampa il direttore del Diparimento di Oncoematologia e Medicina trasfusionale del Bambino Gesù, Franco Locatelli, dalla responsabile dell’Unità trapianti midollo osseo, Alice Bertaina, e alla presenza del presidente del Bambino Gesù, Giuseppe Profiti.

Franco Locatelli
Franco Locatelli, direttore del Diparimento di Oncoematologia “Bambin Gesù”

“Grazie a questa tecnica – ha spiegato Locatelli – riusciamo a offrire a tutti i pazienti la chance del trapianto, con una probabilità di cura molto elevata. Parliamo di bambini senza donatori idonei. Uno di questi, a soli 8 mesi, era in condizioni così critiche per un’immunodeficienza primitiva che è stato trapiantato mentre si trovava in terapia intensiva. Oggi è a casa sua e ha una vita perfetta”.

I ricercatori del Bambino Gesù hanno messo a punto questa nuova tecnica di “manipolazione” delle cellule staminali che permette di scartare le cellule cosiddette “cattive” (linfociti T alfa/beta+), lasciando però elevate le cellule buone (linfociti T gamma/delta+, cellule Natural Killer), capaci di proteggere il bambino da infezioni soprattutto nei primi quattro mesi dopo il trapianto. “Questa Prelievo Midollometodica è ora a disposizione della comunità scientifica che potrà utilizzarla per tanti altri pazienti”, ha spiegato Bertaina, sottolineando come “i bambini che sono stati sottoposti alla sperimentazione sono ora guariti e possono condurre serenamente la loro vita”.

In italia nel 2013, sono stati sottoposti a trapianto di midollo osseo per malattie non maligne 125 bambini. Grazie a questa nuova frontiera, almeno altri 40 bambini l’anno, diversamente destinati a esito infausto (a causa di immunodeficienze gravi) o a dipendenza cronica dalle trasfusioni (malattia talassemica), potranno avere una chance di guarigione definitiva.

Giovanni Toti smentisce Pascale sulle unioni gay. "Il matrimonio è solo tra un uomo e una donna"

Giovanni Toti  e Silvio Berlusconi
Giovanni Toti e Silvio Berlusconi

Sabrina Cottone per Il Giornale

Onorevole Giovanni Toti, oggi piangiamo altri dieci morti in mezzo al mare. Che cosa propone Forza Italia per fermare la strage?
«L’emergenza è drammatica ed è stata causata da una scriteriata politica estera, che ha distrutto ogni accordo raggiunto dai governi Berlusconi per impedire che simili ondate di clandestini partissero. Occorre andare in Europa a battere i pugni su questo: l’Italia non può essere lasciata sola».

Quale futuro per Mare nostrum?
«Mare nostrum, nonostante le buone intenzioni è stata una politica fallimentare che ha aiutato i criminali. Servono scelte coraggiose. Se dobbiamo usare le unità navali, non facciamolo in alto mare di fronte alle nostre coste. Ma di fronte alle loro coste, per non farli partire. Lo spettacolo dei profughi per le vie di Milano è un’immagine che non fa onore al nostro Paese e all’attività del ministero dell’Interno».

Alfano ha fatto una grande apertura sul presidenzalismo rilanciato da Berlusconi.
«Berlusconi ha rilanciato la bandiera del presidenzialismo: faremo una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare. Ben venga l’apertura di Alfano: credo possa essere uno dei temi di confronto e sinergia su cui dialogare per ricostruire una federazione del centrodestra».

Propone una federazione del centrodestra?
«Confrontiamoci sui programmi reali. Come Forza Italia ha firmato due referendum della Lega perché condivisi dal centrodestra, speriamo che altre forze del centrodestra condividano questa iniziativa di Berlusconi. Siamo convinti che gli italiani siano maturi per scegliere il loro presidente. Vediamo che fa Renzi, potrebbe anche starci Grillo. Ma a noi interessa rimettere insieme la coalizione di centrodestra, da Ned alla Lega a Fratelli d’Italia».

Anche Passera ha presentato un progetto per l’area moderata.
«Passera non ha brillato come ministro di Monti. Non vedo perché dovrebbe fare meglio come leader politico. Ma aspettiamo i suoi programmi per giudicare».

Un punto di inciampo nel centrodestra sono le unioni civili e la difesa del matrimonio fondato sull’unione tra un uomo e una donna.
«Non si tratta di trasformare il matrimonio. Si tratta di garantire a tutti i diritti civili che dovrebbero essere propri a ogni uomo: condividere con chi si ama, a prescindere dal sesso, e se lo si vuole, beni e possibilità. Lasciando stare il matrimonio, che è tra un uomo e una donna, si possono trovare molti altri strumenti giuridici per fare questo. Bene ha fatto Francesca Pascale a ricordarcelo».

Forza Italia ha anche problemi di unità interna. Fitto ha disertato l’appuntamento di Napoli.
«L’importante è che le idee non disertino le assemblee di Forza Italia. Le persone sono tutte utili ma nessuna è indispensabile».

Giovanni Toti con la moglie
Giovanni Toti con la moglie

Come selezionare la nuova classe dirigente?
«Non credo che in sé ne le primarie ne i congressi da soli possano favorire il rinnovamento e il ricambio che sono necessari. Finirebbero per diventare in questo momento solo uno scontro tra politici sulla piazza da molti e molti anni che, con un’operazione gattopardesca, vorrebbero apparire come nuovi».

Sono in tanti, soprattutto i giovani del partito, a chiedere rinnovamento.
«Nessuno deve e può spiegare al presidente del partito, Berlusconi, che serve rinnovamento. È stato il primo ad auspicarlo e a battersi per questo. È stato semmai il partito a fare qualche resistenza. Occorre un percorso più articolato che parta dai territori, dai tantì giovani dirigenti e amministratori cresciuti in questi anni, che meritano di avere voce in capitolo e spazio».

Lo scandalo Mose pone ancora una volta il tema del malaffare in politica. Il modello Cantone e il decreto anticorruzione sono la risposta migliore?
«Credo che le leggi ci siano, anzi forse ce ne sono fin troppe. Basterebbe applicarle con serietà e tempismo e questo spetta alla magistratura. Alla politica spetta semplificare procedure, leggi e regolamenti. Dietro le norme di burocrazie necessarie per qualsiasi cosa in questo Paese si annida il tarlo della corruzione. Semplificare deve essere la parola d’ordine».

Fin qui il Parlamento. Che devono fare i partiti?
«Ai partiti spetta dare un giudizio netto. Non quello penale, con tutte le garanzie del caso, che tocca ai giudici, ma quello etico, morale e civile. È bene essere chiari anche in Forza Italia: nessuno può pensare di nascondere responsabilità individuali, o comportamenti meno che cristallini, dietro la nostra legittima e sacrosanta battaglia contro l’uso politico della giustizia che ha colpito il presidente Berlusconi».

Francesca Pascale rompe tabù: "Sì alle unioni gay".

Angelo Agrippa per il Corriere del Mezzogiorno

Sistemato Dudù, al quale la nuova fidanzata Dudina aveva trasmesso gli acari, tanto che il cagnolino più famoso d’Italia è stato costretto a indossare una t-shirt protettiva firmata Ralph Lauren, ecco che l’attenzione di Francesca Pascale si rivolge al futuro del partito, alla manifestazione di oggi pomeriggio a Napoli e a quello che vorrebbe diventasse il nuovo cavallo di battaglia di Forza Italia. «Ho letto che il sindaco di Napoli — esordisce — riprendendo l’iniziativa del primo cittadino di Roma, Marino, vorrebbe ratificare le nozze di coppie omosessuali contratte all’estero».
Sbaglia?
«Lui lo dice soltanto. Credo si tratti di un volgare calcolo elettorale. Specula sulle aspettative di tante coppie che si amano. Tutt’altra cosa è credere nella libertà a prescindere dagli orientamenti sessuali. Lo dico da cristiana, da cattolica, da donna che vive nella condizione di coppia di fatto: sì alle unioni civili, sì al rispetto per la libertà individuale».

Beh, lei si dichiara cattolica, ma la Chiesa non è d’accordo.
«Cristo ha detto: ama il prossimo tuo come te stesso. Non ha insegnato a fare differenza tra gay ed etero. Ecco, mi piacerebbe se il centrodestra aprisse i suoi orizzonti e affermasse: siamo liberali fino in fondo e non soltanto quando ci interessa o quando ci fa comodo. Va bene rispettare ciò che dice la Chiesa, ma la Chiesa deve rispettare anche la libertà di uno stato laico e non confessionale, altrimenti si sconfina nella discriminazione di chi non è cattolico».

Ha deciso di dichiarare guerra all’area cattolica?
«No, al bigottismo ipocrita. Forza Italia è formata da tante anime: anche quella liberale, rappresentata dallo stesso presidente Berlusconi. E per la paura di spaventare la Chiesa si fa finta di non vedere e non sentire. Si parla tanto di Europa per i problemi economici. È giusto e capisco, data la situazione di crisi. Ma sui diritti sociali, quando pensiamo di avvicinarci al resto delle nazioni europee? La libertà, per il nostro partito, è il valore principale. Ma questo principio deve essere rispettato fino in fondo».

A questo punto è facile insinuare: ecco, la Pascale vuole il riconoscimento della sua coppia di fatto.
«Io parlo della mia condizione, ma non soffro se lo Stato non vuole riconoscermela. Anche perché non ne sento il bisogno. Ho scelto io, liberamente, di convivere con un uomo divorziato e mi sta bene così. Certo, mi spiace quando, trovandomi in chiesa, il prete mi guarda dall’alto in basso e punta contro di me il suo indice accusatore per farmi capire che rappresento in quel caso il peccato. Non è quello che cerco dalla Chiesa, non intravedo, in questo atteggiamento, la Parola di Dio. Siccome non c’è soltanto la mia condizione, ma anche quella, per esempio, di tante coppie omosessuali che vogliono vivere in pace, è giusto che il centrodestra faccia la sua parte, difendendo la libertà. Da credente, ho rispetto per il matrimonio, soprattutto per quello cristiano: credo nella famiglia tradizionale, ma, da liberale, sono convinta che lo Stato debba rispettare le scelte e gli stili di vita di ciascuno. Questo significa che se due persone, per scelta o per necessità, non possono o non vogliono formare una famiglia, non per questo lo Stato può negare loro il diritto di vedersi riconosciuto il loro legame. Anzi, alla destra vorrei dire—e non appaia come una esortazione cinica — approfittiamone ora che c’è un Papa liberale, che ha mostrato significative aperture verso divorziati e omosessuali».

Non teme che questa sua riflessione susciterà polemiche?
«Sì, già mi aspetto le telefonate: la colpa sarà come al solito del ‘‘cerchio magico’’ che ancora non ho capito cosa sia».

Berlusconi e PascaleOgni tanto lei torna a Napoli. Ci sarà anche oggi per la manifestazione di Forza Italia alla Mostra d’Oltremare. Come la trova?
«Lo dico con dolore, perché Napoli non soltanto è la mia città, la città che amo, ma è uno dei luoghi più belli del mondo, grazie solo ai doni del buon Dio: il bilancio è profondamente negativo. Non lo penso solo io, lo pensano i tanti che hanno creduto in de Magistris, nelle sue promesse, e vedono sprofondare nel degrado una città che meriterebbe ben altro rispetto dalla classe dirigente che l’ha governata da decenni a questa parte. Da napoletana, mi dispiace moltissimo. Non uno dei problemi di Napoli, che sono tanti e antichi, è stato, non dico risolto, ma neppure affrontato. Basti pensare alla criminalità e alla micro criminalità sempre in aumento, alla raccolta differenziata che è ferma, o alla manutenzione stradale in stato di abbandono. Su Bagnoli e sulla bonifica, poi, c’è il fallimento dei fallimenti. Napoli e i napoletani sono abbandonati a loro stessi e all’arte dell’arrangiarsi. Quanto alla politica, vige l’anarchia per incapacità amministrativa. De Magistris è rifiutato da tutti, anche dai suoi vecchi amici, e ora s’offre a Renzi: è una mortificazione per la città, come se si trattasse solamente di un mercato di poltrone e quindi di potere. Nascere a Napoli dovrebbe essere un privilegio, oggi invece per un giovane rischia di esser e una condanna».

Su quale candidato punterebbe per sfidare de Magistris e la sinistra alle prossime elezioni amministrative?
«Non è questo il momento per fare dei nomi, ma ritengo che Forza Italia abbia le persone giuste per vincere la sfida. Da Martusciello a Lettieri a Mara Carfagna».

Carfagna non è scivolata nel cono d’ombra per aver stretto un patto con Fitto?
«Non penso che Mara sostenga Fitto. Penso che lei e Fitto sostengano Silvio Berlusconi».

La serie tv Gomorra, andata in onda su Sky, ha ottenuto un significativo successo di pubblico. Lei l’ha vista?
«Sì, l’ho vista con curiosità e con un occhio vicino alla mia città, dato che quella realtà l’abbiamo conosciuta tutti. La serie tv mi è piaciuta, ma lo dico con amarezza. Giacché so bene che Napoli non è soltanto quella lì che è stata raccontata. Anzi, quella realtà drammatica esiste perché le istituzioni non hanno mai provveduto a fornire opportunità di riscatto per tante gente».

E Caldoro sarà ricandidato alla presidenza della Regione?
«È una decisione che spetta al presidente Berlusconi e agli organi di Forza Italia, non a me. Per quanto riguarda la mia opinione personale, mi pare naturale ricandidare chi ha governato bene, con impegno, con onestà cristallina, ottenendo importanti risultati nelle condizioni più difficili, proprio come ha fatto il presidente Caldoro. Dopo i disastri del predecessore ha saputo rimediare senza demagogia e senza protagonismi alle situazioni di emergenza. La sua reputazione è brillante, è un eccellente amministratore, un instancabile lavoratore. Basti pensare al miracolo del pareggio di bilancio in sanità: per la prima volta nella storia, dopo che nel 2009 aveva un deficit di 850 milioni, la Regione oggi si trova a non avere più debiti». Torniamo a Forza Italia. Come sarà il nuovo partito: quello che nascerà, probabilmente, dal sacrificio di buona parte della vecchia classe dirigente, compresi i signori del consenso, e dall’ascesa dei cosiddetti volti nuovi? «Anzitutto, spero che il partito non dimentichi le proprie origini: di essere più vicino alla gente che alle poltrone. Mi auguro che non sia un partito litigioso, ma unito così come è stato fondato da Silvio Berlusconi: un partito che riconosca la leadership, senza se e senza ma, del nostro presidente. Non si può dire: Berlusconi non si tocca. E nello stesso tempo lavorare per togliergli tutto il potere decisionale».

Roma, Silvio Berlusconi commosso tra i sostenitoriPerché le primarie non possono essere lo strumento giusto per rinvigorire la democrazia interna a Forza Italia?
«Perché il nostro partito ha una identità diversa: non possiamo scimmiottare gli altri per sentirci democratici. La guida di Silvio Berlusconi ci ha portati a vincere per tanti anni. Ora dovremmo celebrare le primarie, ma per fare cosa: per nominare il responsabile del tesseramento? Viceversa, le primarie di coalizione possono essere uno strumento utile per scegliere i candidati comuni. Occorre ricostruire l’organizzazione dai territori, dopo i tradimenti di Fini e di Alfano. E poi tanti che oggi inneggiano alle primarie sono stati nominati ministri e parlamentari, ma loro le primarie non le hanno mai fatte».

Con chi ce l’ha?
«No, con nessuno. Ma un conto è aprire un dibattito vero, un altro è imporre con prepotenza la propria linea».

Come pensa di recuperare la fascia di dissenso rappresentata da Fitto e da Forza Campania?
«Con il buon senso. Il collante sarà, ancora una volta, Silvio Berlusconi. Forza Campania non so perché è nata: una volta leggo che è contro Caldoro, un’altra che è contro il ‘‘cerchio magico’’, un’altra ancora che è pro-Cosentino. Non so. Veda, noi siamo viziati dalla personalità di Berlusconi. Adattarsi a un nuovo leader, anche se ora non c’è ancora, sarà comunque difficile, poiché il confronto con il leader fondatore sarà sempre pesante. È come avere il numero 10 del Napoli dopo Maradona».

È riuscita a convincere Berlusconi a tifare Napoli?
«Silvio, quando non gioca il Milan, tifa per il Napoli. Io sono stata pesantemente criticata, una volta, per aver esultato ad un gol del Milan a San Siro. Voglio chiarire subito: esultavo per il gesto sportivo, ma non tradisco la mia squadra».

Quali ferite lasciano in Forza Italia le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto prima Cosentino, poi Scajola e ora Galan?

«Forza Italia non è il partito dei corrotti. È il movimento il cui capo e fondatore è un perseguitato dalla giustizia. E la nostra battaglia contro l’uso politico della giustizia continuerà. Quanto ai corrotti, anzi ai presunti corrotti, guai a chi crede di confondere la sua posizione con quella di Berlusconi. Siamo garantisti, ma non giustificazionisti. Per riconquistare la fiducia della gente la politica e i politici non possono permettersi nessuna ombra, nessuna zona grigia, servono comportamenti specchiati, non solo legalmente, ma anche moralmente e che siano di esempio. Non colpevolizzo nessuno, però Berlusconi non si è mai arricchito con la politica. Nessuno gli ha regalato mai nulla, anzi».

A Napoli corre voce che in tanti si recano da suo padre per chiedere aiuto, perché attraverso lei possano risolvere qualche problema occupazionale. È vero?
«Non solo è vero, ma sono tante anche le lettere con richieste di aiuto che mi giungono sia ad Arcore che a Palazzo Grazioli. È il segno della disperazione di tante persone. Mi rattrista tantissimo. Il 99 per cento sono richieste di lavoro. E questo la dice lunga sulla condizione dei miei concittadini».

Fitto parte dalla Calabria per rinnovare Forza Italia. A Napoli il rottamatore azzurro spinge per le primarie

Berlusconi Toti Fitto e Miccichè
Berlusconi Toti Fitto e Miccichè

Simona Brandolini per il Corriere del Mezzogiorno

Raffaele Fitto, eurodeputato da record nella debole Forza Italia, lascia il segno della sua presenza a Napoli il giorno prima della manifestazione ufficiale del partito organizzata da Giovanni Toti, suo competitor. Non è casuale, dopo le polemiche dei giorni scorsi. Fitto prima convoca un evento di ringraziamento nella stessa data di quello del partito, a cui peraltro non è invitato, poi l’annulla.

Infine un incontro con gli industriali partenopei «per parlare di cose concrete, di fondi europei, per ascoltare». Il rottamatore azzurro incontra i giornalisti al Centro direzionale. Tentativi di domande. Come mai ha prima convocato e poi annullato la manifestazione napoletana?

«Ho già risposto sul mio blog». Come mai non va domani? «Ho già risposto anche a questo». Allora perché è a Napoli? «Per gli industriali». Un inutile tira e molla. Ma poi qualcosa la tira fuori, in gergo diremmo: dà il titolo. E cioè che le primarie a livello nazionale non sono un capriccio o una moda del momento, ma uno strumento essenziale per selezionare la classe dirigente secondo il merito. E «il merito in politica è la legittimazione popolare».

Che lui, per carità, ha avuto eccome: 284.712, mica bruscolini, il secondo in Italia dopo la democratica Simona Bonafè. Da quell’altezza qualcosa da dire ce l’ha sul partito ed è legittimo. E quindi sempre sulle primarie «servono più dei congressi per scegliere i coordinatori regionali. Primarie e selezioni dal basso». E sì, visto che in Campania si vota l’anno prossimo, anche «per i candidati alle regionali». Mara Carfagna potrebbe essere un buon governatore della Campania? Torna a sfuggire: «Perché mi fate queste domande? C’è un presidente della Regione adesso, Caldoro. Stiamo parlando degli strumenti, queste sono domande che vanno oltre gli strumenti. Quando sarà il momento parleremo di questo».

Torna il sereno: «Il tema centrale è chi siamo e cosa vogliamo comunicare — spiega —. Il tema centrale è capire perché i nostri elettori non hanno votato e si sono astenuti. Dunque dalla prossima settimana comincerò un tour di ascolto prima nelle sei regioni della circoscrizione Sud, a partire dalla Calabria. E poi in tutta Italia. Credo che sia utile a tutti, non faccio nulla contro qualcuno, ma tutto in favore del partito».

Certo che nelle file berlusconiane, diciamo pure nell’apparato, a parecchi fischiano le orecchie. Rivendica il fatto di non essere più nei «retroscena» politici, ma «sulla scena». Uno che ci mette la faccia (espressione ormai abusata). «Chiedo una riflessione serena e positiva», non è un delitto, ha ragione Fitto su questo, «perché ho sentito molte critiche dai nostri elettori». Una su tutte: chiarezza nei confronti del governo. «Siamo all’opposizione e deve essere chiaro e netto. Non dobbiamo confondere l’elettorato che si è sempre sentito rappresentato e stavolta no».

Capitolo partito campano. Come considera il coordinatore De Siano? «Non personalizzo mai e continuerò a non personalizzare. In generale serve aprire una discussione sull’organizzazione del partito». E sul fatto che ci sia un’anomalia a livello regionale dove coesistono, non sempre in armonia, Forza Italia e Forza Campania? «Mai entrato nel merito. Detto questo anche in Campania bisogna aprire una discussione a 360 gradi. Però per concludere perciò servono regole, quando ci sono non c’è ragione del contendere. E poi dobbiamo aprirci alla modernizzazione del partito».

Se non rottamatore, modemizzatore dunque. Chiusa la conferenza stampa, messo il paletto su Napoli. Guardandosi in giro però si capisce chi sostiene Fitto in Campania e perché allora tanti malumori. Ci sono i cosentiniani, a partire dal consigliere regionale Massimo lanniciello, in un angolo ma presente. Ci sono la pasionaria avvocatessa Rosa Criscuolo, fondatrice di un movimento pro Cosentino e ultima ad aver cenato con Claudio Scajola prima dell’arresto. C’è la Mara Carfagna, la cugina della deputata salernitana. C’è anche Peppe Fontana, leader degli under 30 cosentiniani. Mancherà qualcuno all’appello, quanto a uomini del partito di Fìtto, almeno di conosciuti non c’è proprio nessuno.

Dell'Utri estradato in Italia dal Libano. Sconterà 7 anni per associazione mafiosa

Marcello Dell'Utri in volo verso l'Italia
Marcello Dell’Utri in volo verso l’Italia

L’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, è stato estradato stamattina dal Libano in Italia. Dell’Utri, accompagnato da agenti dell’Interpol, è arrivato all’alba a Fiumicino proveniente da Beirut e su un’ambulanza è stato trasferito nel carcere di Rebibbia, dove sarà affidato al reparto infermeria.

Con lui a bordo dell’aereo ha viaggiato anche la figlia e un nutrito gruppo di cronisti. Appena giunto a Roma, gli ufficiali e funzionari della Dia arrivati da Palermo hanno notificato a Dell’Utri l’ordinanza di esecuzione della pena a 7 anni di reclusione.

Il provvedimento era stato emesso dalla Procura generale di Palermo subito dopo la sentenza della Cassazione con la quale è diventata definitiva la condanna dell’ex senatore per concorso esterno in associazione mafiosa. “Abbiamo provato a parlare con lui durante il volo – ha detto una giornalista che ha viaggiato sullo stesso aereo di Dell’Utri – ma siamo stati sempre bloccati. Siamo riusciti solo ad ottenere alcuni sorrisi e la battuta “sono stanco”.

L’ordine di estradizione era stato sollecitato dall’ex compagno di partito Angelino Alfano, oggi ministro dell’Interno e leader Ndc. In passato sono state aspre le polemiche tra i due con Dell’Utri che lo aveva accusato di non avere “le palle” per fare il segretario dell’allora Pdl. Fu l’inizio di un lungo travaglio che ha portato poi Alfano a lasciare Berlusconi per fondare il Nuovo Centrodestra, oggi alleato della sinistra di Renzi al governo.

Non è escluso che l’ex parlamentare venga interrogato già nelle prossime ore su un’altra vicenda giudiziaria che ha portato agli arresti l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola e Chiara Rizzo, moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, “latitante” a Dubai.

Nessuno tocchi il "fortino" Rai. L'azienda rifiuta i tagli e costringe gli operai a scioperare per tutelare i loro stipendi d'oro

sciopero raiNessuno tocchi il “fortino” della Rai. Non è stato lo slogan dello sciopero indetto ieri dai dipendenti Rai in tutta Italia ma l’essenza del messaggio lanciato da chi – come i vertici aziendali – rifiuta qualsiasi prospettiva di taglio o revisione dei costi.  Dalla manifestazione di ieri si è avuta l’impressione che i vertici aziendali, facendo presente il rischio di pesanti “ricadute negative” agli anelli più deboli della catena Rai, abbiano “costretto” in avanscoperta proprio le persone maggiormente esposte.

Una furbata, potremmo definirla. Come il vecchio adagio: “armiamoci e partite”. Non si nono visti in piazza i membri del Cda protestare, né manager e consulenti strapagati, né i conduttori paperoni. Men che meno quei giornalisti blasonati remunerati a vita con somme da capogiro. Allo sciopero hanno partecipato tecnici e impiegati, magazzinieri che seppure stabilmente assunti senza concorso in un’azienda pubblica sono sempre l’anello debole. Ieri è stata una giornata molto “calda” con momenti di tensione e contrapposizioni all’interno dell’azienda. Il governo ha tuttavia fatto sapere di non voler retrocedere rispetto al taglio di 150 milioni di euro previsto dal decreto Irpef.

Intanto, è tornato a parlare di canone il sottosegretario alle telecomunicazioni Antonello Giacomelli. «Il canone Rai – ha detto l’esponente di governo intervenendo a Roma – è la tassa più odiata, la più evasa e la più ingiusta, perché fa pagare allo stesso modo poveri e milionari». «Non è nostra intenzione – ha aggiunto l’esponente del Pd – lasciare la questione del canone ai governi che verranno dopo di noi. È nostra intenzione aprire un grande dibattito sulle modalità di finanziamento del servizio pubblico televisivo, che deve avere risorse certe, con l’obiettivo di arrivare alla fine dell’anno con una proposta organica del governo.

La funzione di servizio pubblico non è più un’esclusiva solo della Rai, perché specie a livello locale ci sono forme di servizio pubblico diffuso. Non so se si possa parlare, in questo caso, di sussidiarietà, ma certamente possiamo usare la parola complementarietà». Secondo il presidente della Fondazione per la sussidarietà Giorgio Vittadini «è buona l’idea di una consultazione con i corpi sociali perché non possono essere soltanto i politici a occuparsi del futuro della televisione in Italia».

La questione de Canone è argomento spinoso su cui da tempo si stanno confrontando azienda, governo e parlamento. E’ giusto o non è giusto pagarlo? Il dilemma è capire la legittimità costituzionale della tassa, lasciando da parte i pareri dell’Ue che non sono affatto vincolanti. Dal nostro punto di vista non lo è; e non tanto per la scarsa efficienza del servizio, quanto per una tassa configurata come tributo per il possesso della Tv e non per il servizio pubblico Rai.

Se si tratta di una tassa applicata al proprietario di una tv, il governo e l’azienda spieghino una cosa: perché se l’utente che possiede due, tre schermi deve pagare soltanto una imposta, mentre i possessori di due, tre case o due o tre auto il contribuente deve versare all’erario due o tre volte l’Imu oppure due o tre volte il bollo? La logica suggerisce che siamo davanti a una discriminazione fiscale.

Diversamente se il tributo viene imposto per la fornitura di un servizio non può essere definito “tassa” ma un servizio in licenza che come tutti i servizi in licenza può essere accettato o liberamente revocato. Ecco il nodo da sciogliere. Va da sé che con questo ragionamento il canone Rai deve essere abolito per dare semmai spazio a forme di finanziamento diverse. Ad esempio tramite abbonamento, lasciando in ogni caso integro il servizio pubblico (quello informativo, gli eventi di portata nazionale, i temi legati alle minoranze e tutto ciò che è di scarso interesse) da finanziare i larga parte con introiti pubblicitari, in piccolissima parte con trasferimenti dello Stato e facendo soprattutto leva sul risparmio dei costi (o meglio sprechi) aziendali.

Sarebbe ora di smetterla di remunerare con fior di milioni manager, conduttori e consulenti. E non sarebbe del tutto sbagliato un taglio netto (altro che contributi di solidarietà) anche agli stipendi di blasonati giornalisti, corrispondenti, direttori e super direttori di sedi che percepiscono centinaia di migliaia di euro l’anno con premi di produzione, super benefit, liquidazioni esorbitanti e vitalizi d’oro. Tutto ciò quando gli italiani sono costretti a stringere la cinghia fino all’osso. Quando i tribunali, per esempio, sono senza risme di carta nè carburante per esercitare il loro operato non si può consentire ad un’azienda piena di debiti e sprecona di rimanere blindati nel loro fortino. Questo Renzi l’ha capito e fa bene ad andare fino in fondo per levare ogni margine di autoconservazione alla casta degli “intoccabili”.

Cannibali in Pakistan, condannati per aver mangiato cadaveri

Cannibali in Pakistan, condannati per aver mangiato cadaveriCannibali. Due fratelli pakistani sono stati condannati a 12 anni di carcere per avere mangiato la carne di cadaveri che avevano trafugato dalle tombe.

Il tribunale nel distretto orientale di Sargodha, che li ha condannati in base alla legge antiterrorismo, come ha riferito all’agenzia di stampa Dpa il procuratore della polizia Muhammad Anwar Khan, ha anche disposto che entrambi paghino una multa di 700mila rupie (7.100 dollari).

I fratelli cannibali, che hanno 40 e 37 anni, sono stati arrestati ad aprile nella città di Darya Khan nella regione del Punjab ed è la seconda volta che vengono incarcerati.

I Cannibali erano stati dimessi nel 2013, dopo avere scontato due anni per avere trafugato corpi da un cimitero e averne mangiato la carne. In quest’ultimo caso i due sono stati processati in base alla legge antiterrosimo per garantire una pena maggiore, dal momento che in Pakistan non esiste alcuna legge che stabilisca una pena per il cannibalismo.

L’Italia non fa figli ma importa quelli altrui. Il valore di restituire il Dono della Vita nell’era dell’egoismo

signori anziani

Un paese che non fa figli muore. Per sopravvivere “importa” i figli altrui, che a loro volta si occupano dei nostri genitori o nonni troppo in là con l’età. Un tempo, quando nel primo e secondo dopoguerra non c’era da mangiare (nel senso stretto) e la crisi mordeva, i nostri avi proliferavano senza calcoli preventivi, senza pensare troppo al futuro della loro prole, alle loro aspettative. Li mettevano al mondo e basta, i figli! Che poi quei “figli” siamo noi.

Ed è grazie a loro che siamo quì oggi; grazie ai loro sforzi e sacrifici che siamo “spettatori” e “protagonisti” dell’universo. Osserviamo, interagiamo, scriviamo e ci confrontiamo. Viviamo il nostro tempo. I nostri avi ci hanno dato la possibilità di dare una “sbirciatina” sul mondo senza chiedere nulla in cambio. Al contrario dell’egoismo perverso – frutto di una certa cultura sessantottina – che “impedisce” di guardare al di là dell’ego e delle carriere personali.

Il mondo odierno, quello ipocrita che staziona nei cosiddetti paesi industrializzati, non è capace (o ignora) di recepire l’insegnamento dei nostri nonni o genitori che in condizioni veramente estreme dava “naturale” continuità alla cosiddetta “stirpe”: di figlio in figlio, di nipote in nipote…Quell’egoismo è l’equivalente delle bende con cui metaforicamente saremo condannati all’oblio, costretti al patibolo della nostra esistenza. Soli e desolati, accompagnati dal “boia” che, nel caso, è il cieco egoismo che vive dentro il nostro effimero.
La vita è un “Dono” e come tale va restituito!

bambiniAbbiamo il dovere di restiuirlo questo dono poiché è sacrosanto dare ai posteri la stessa nostra opportunità di affacciarsi al mondo, seppure per un “istante cosmico”. Percorrere il “sentiero unico” di quella “cultura” imperante nel mondo contemporaneo significa l’autodistruzione di quei popoli che si sono generati gioiosi per millenni. Se i nostri avi fossero cresciuti con questa mentalità relativista non staremmo quì a parlarne. Semplicemente perché non c’eravamo.

E, come oggi, sarebbe stato tardivo il rimpianto senile di chi avrebbe potuto essere “generoso” donando, ma ha deciso di “godersi” da solo tutto il “balconcino” sul mondo per poi lasciarlo vuoto e desolato.

Dovrebbe dunque prevalere la cultura del “diritto” alla vita e all’esistenza anche per chi “Essere” ancora non è, ma lo “è in potenza”, come scriveva Aristotele. E’ nostro “dovere” imperativo (eccetto per coloro che realmente non possono…) restituire il dono della vita. In questo Renzi, attraverso massicci incentivi alla natalità (non come i 5mila euro di prestito dalle banche che varò il governo Berlusconi), dovrebbe fare tantissimo per ringiovanire un paese troppo vecchio e senza bambini. Anche la Chiesa cattolica di Papa Francesco dovrebbe favorire questo processo in Italia. Non a parole o pregando, ma aprendo in concreto i caveau dello Ior per sostenere con denaro vero le famiglie e riempire la culla del cattolicesimo.

Export, crolla al sud. Renzi agisca su concorrenza sleale.

exportL’export italiano segue l’ombra della crisi. Nelle regioni del Sud e delle Isole nel primo trimestre del 2014 rispetto ai tre mesi precedenti il dato peggiora. Un’indicazione che la dice lunga sulle prospettive di crescita annunciate dagli organismi di governo europeo e italiano.

Il Mezzogiorno, secondo l’Istat, l’export mostra una flessione del 3,5%, contro l’andamento stazionario del Nord Ovest e il +0,9% del Nord Est e il +1,9% del Centro. In confronto allo stesso periodo dell’anno precedente, però, il Sud mostra un +5,6%, seguito dal +4,5% del Nord Est e dal +1,7% del Nord Ovest.

Flette dello 0,9% il Centro, mentre le Isole fanno segnare un deciso -16,5%. Le esportazioni sono un indicatore per misurare in parte i livelli di competitività. L’Italia a causa dei vincoli e paletti europei non compete da anni non tanto per le cosiddette “riforme strutturali” da avviare, quanto per la spietata concorrenza sleale dei paesi emergenti entrati prepotentemente nel Wto. Quindi, Renzi può fare tutte le riforme che chiedono i burocrati di Bruxelles, ma se non agisce sulla causa della concorrenza spietata di cinesi, indiani, russi, brasiliani ecc., è davvero impossibile poter creare crescita e occupazione.

Così la cricca del Mose dirottava i fondi del Sud

CipeSara Monaci per il Sole 24 Ore

Per Venezia ci fu un anno “critico” nella ridistribuzione dei fondi del Fas, il Fondo per le aree sottosviluppate. Era il 2010 e il governo aveva stabilito che l’85% dei finanziamenti fosse destinato al Sud. Per questo i vertici del Consorzio Venezia Nuova (Cvn), che per la costruzione del Mose intascava risorse pubbliche da cui “ritagliarsi” il 50% di fondi neri, fecero pressioni sul governo perché la percentuale venisse ripartita diversamente.

Così cominciano i contata con politici e funzionari per portare al Nord ciò che era destinato al Sud. Spiegano i pm Stefano Buccini, Stefano Ancilotto e Paola Tonini che «tale situazione, che avrebbe potuto provocare la paralisi dell’attività del Consorzio e delle imprese ad esso consorziate, era fonte di profonda preoccupazione per Giovanni Mazzacurati, manifestata anche ai funzionari del ministero dell’Economia e delle Infrastrutture, con i quali vorticosamente si interfacciava». Mazzacurati trova un interlocutore, Lorenzo Quinzi, direttore del Gabinetto del Mef.

Quest’ultimo spiega che «…le soluzioni che sono un po’ drastiche dovrebbero essere o che loro spostano i 400 milioni sulle risorse della legge obiettivo, che ovviamente non hanno paletti dell’85 e del 15%…».I gravi ritardi prospettati inducono il manager a rivolgersi a Gianni Letta, all’epoca dei fatti sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri. «L’agenda di Mazzacurati conferma che il 29 aprile 2010 alle ore 15:45 vi è stato l’incontro con Letta… in molte altre conversazioni intercettate Letta viene indicato con il termine “il dottore”».

Letta però non da garanzie (non è indagato e la procura a oggi non ha in programma di ascoltarlo come persona informata dei fatti). Si avviano poi i contatti con Roberto Meneguzzo, interlocutore diretto di Marco Milanese, uomo di fiducia dell’alierà ministro dell’Economia Giulio Tremonti (non indagato). Poi si passa al ministero delle Infrastrutture, all’epoca guidato da Altero Matteoli (indagato in un’altra inchiesta, sulle bonifiche di Porto Marghera). Mazzacurati riferisce alla propria segreteria l’avvenuto incontro con Milanese, sottolineando «l’efficacia dell’attivazione di quest’ultimo con i funzionari del ministero delle Infrastnitture». I fondi si sbloccano dopo poco. Si parla di 400 milioni per il Cvn.

Per quanto riguarda i finanziamenti illeciti, uno dei filoni dell’inchiesta, due giorni fa è stato ascoltato dai pm per 4 ore il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, in custodia cautelare ai domiciliari per aver intascato 500mila euro dal Cvn perla campagna elettorale. Il primo cittadino avrebbe negato le responsabilità, tirando in ballo altri politici che lo avrebbero “tradito” facendo il suo nome, e a cui potrebbero essere andati i fondi Intanto dagli interrogatori di Piergiorgio Baita, ex direttore dell’azienda Mantovani, spunta il nome di Flavio Tosi, sindaco di Verona. «Ho dato a Del Borgo (uno dei 35 arrestati, ndr) il rimborso di un versamento fatto a favore del sindaco Tosi», dice l’ex manager.

Si parla di 15mila euro e si sostiene che si trattasse di un finanziamento regolare. «Sono totalmente tranquillo», ha commentato Tosi. Tra i nomi noti compare anche quello dell’exministro Renato Brunetta. Secondo Baita, «per le comunali 2010 a Venezia gli sarebbero stati dati 50mila euro dalla Mantovani. Il Consorzio – spiega Baita in un interrogatorio – sosteneva Orsoni. Brunetta era molto risentito. Credo abbiamo accontentato anche lui, in misura minore.

L’abbiamo fatto come Adria Infrastrutture, saranno stati 50mila euro…e non in contanti». La reazione Brunetta: «A sostegno della mia campagna elettorale del 2010 è stato deliberato un contributo, non dal Consorzio Venezia Nuova, regolarmente contabilizzato e dichiarato secondo la legge, e nient’altro». Il Comune di Venezia e la Regione Veneto si costituiranno parte civile nel futuro processo.

Usura, indagati a Trani Tarantola, Saccomanni, Profumo, Abete, Mussari, il figlio della Cancellieri, Peluso e altre 56 persone

Tarantola Saccomanni
Ai vertici di Bankitalia. Da sinistra Tarantola e Saccomanni

Non erano grandi cifre, ma le leggi sui reati di usura non pongono limiti né accordi privati. Se è usura è usura. Vale per il crimine organizzato quanto, a maggior ragione, per i grandi istituti di credito: ossia, le banche che per ordinamento dovrebbero rispettare regole e principi di legalità. Ma putroppo sono sempre più i casi di banche che applicano tassi usurari a danno di ignari imprenditori dietro clausole astruse e “invisibili”.

Ma c’è sempre qualche procura “attenta” a vigilare. E’ il caso della procura di Trani (la stessa che mise sotto accusa le agenzie di Rating) che ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini per il gravissimo reato di usura bancaria aggravata a 62 persone tra cui alla presidente Rai, Anna Maria Tarantola (indagata in qualità di ex capo della Vigilanza di Bankitalia) e l’ex ministro dell’Economia del governo Letta, Fabrizio Saccomanni (indagato come ex dg dell’Istituto via Nazionale).

Piergiorgio Peluso
Figlio “d’arte”. Piergiorgio Peluso

Negli atti dell’inchiesta, che ha scosso il mondo bancario nazionale, compaiono anche i nomi dei vertici di Bnl, Unicredit, Mps e di Banca popolare di Bari per i quali il pm inquirente, Michele Ruggiero, sembra essere intenzionato a chiedere il rinvio a giudizio.

La lunga lista degli indagati comprende il presidente del Cda di Bnl, Luigi Abete, e l’Ad Fabio Gallia. Per Unicredit l’ex Ad Alessandro Profumo, ora presidente del Cda di Mps, e l’attuale Ad Federico Ghizzoni. Per Mps l’ex presidente Giuseppe Mussari e il suo vice Francesco Gaetano Caltagirone. Sempre per Bnl sono indagati l’ex vicepresidente Piero Sergio Erede e il presidente del collegio sindacale Pier Paolo Piccinelli. Per Unicredit l’ex presidente del Cda, Dieter Rampl, e il dg Roberto Nicastro.

Si procede anche per i vertici di Unicredit Banca di Roma che coinvolge Paolo Savona, ex presidente del Cda. Per Unicredit Banca d’Impresa l’ex presidente Mario Fertonani, l’attuale vicepresidente vicario di Unicredit spa, Candido Fois e Piergiorgio Peluso (ex Fonsai e Telecom), quest’ultimo figlio “d’arte” dell’ex ministro dell’Interno (governo Monti) ed ex Guardasigilli (governo Letta) Anna Maria Cancellieri, entrato nei fascicoli dei pm pugliesi nella sua precedente qualità di Ad di Unicredit Banca d’Impresa. Per la Banca Popolare di Bari sono indagati anche l’attuale presidente del Cda e AD, Marco Jacobini, l’ex presidente Fulvio Saroli, e il dg Pasquale Lorusso.

Cancellieri Letta e Saccomanni
Ai vertici del Governo. Cancellieri, Letta e Saccomanni

Per il ruolo avuto in Bankitalia sono indagati anche l’ex direttore generale Vincenzo Desario e gli ex capi della Vigilanza succedutisi nel tempo: Francesco Maria Frasca, Giovanni Carosio, Stefano Mieli e Luigi Federico Signorini. Per il ministero dell’Economia è indagato Giuseppe Maresca, a capo della quinta direzione del dipartimento del Tesoro. Agli otto indagati viene contestato di avere – tra il 2005 e il 2012 – adottato consapevolmente determinazioni amministrative in contrasto con la legge sull’usura fornendo un “contributo morale necessario” ai fatti-reati di usura “materialmente commessi dalle banche”.

Il pm Michele Ruggiero - Ansa -
Il PM. Michele Ruggiero

Secondo il pm Ruggiero i su citati avrebbero prescritto alle banche di calcolare (attraverso una particolare formula algoritmica) gli oneri dei finanziamenti concessi in rapporto al credito “accordato”, anziché (come richiesto dalla legge) a quello effettivamente “erogato” dal cliente, così precostituendo le condizioni per una elaborazione (e successiva segnalazione a Bankitalia) da parte della banche di tassi effettivi globali (cosiddetti Teg) falsati poiché più bassi di quelli effettivamente praticati. Di conseguenza – secondo le indagini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Bari – gli interessi applicati dalla banche alla clientela per determinate categorie di finanziamenti (in forma di anticipazioni su c/c) risultavano sempre entro i limiti dei “tassi soglia”, pur essendo in concreto ad essi superiori e, come tali, usurari.

Le aziende ritenute danneggiate dal comportamento delle banche sono del nord barese: Bnl – secondo i conteggi della pubblica accusa – con l’applicazione dei tassi usurari avrebbe lucrato oltre 53mila euro; il gruppo Unicredit più di 15mila euro; Mps circa 27mila euro, Banca Popolare di Bari solo 296 euro.

Despar Italia, la strategia del calabrese Antonino Gatto per rilanciare i consumi in tempi di crisi

Antonino Gatto
Antonino Gatto, Presidente Despar Italia

Stefano Carli per “Affari e Finanza” (La Repubblica

«Vediamo segnali di ripresa, ma sono ancora deboli: nei grandi centri commerciali, dove prima si faticava a non far vedere saracinesche abbassate, sta tornando un po’ di fermento di nuove aperture. Ma i consumi delle famiglie sono quello che sono e quindi il mercato resta difficile: ci saranno altre chiusure, consolidamento di posizioni. E noi di Despar pensiamo di poter giocare un molo attivo».

Antonino Gatto è presidente del consiglio direttivo di Despar Italia, branch del consorzio internazionale che opera nel mondo con il marchio Spar e presidente di Gam, una delle otto società che compongono Despar Italia. Sul mercato del Bel Paese il marchio dell’abete (è il significato della parola “spar” in olandese) ha fatturato nel 2013 3,47 miliardi di euro, in calo rispetto ai 3,65 miliardi dell’anno precedente, con una quota sul mercato della Gdo intorno al 5%.

Anche per Despar il 2013 è stato dunque un anno duro, tanto che ha visto il numero delle spa associate scendere da 10 alle attuali 8 per una chiusura e una fusione. Al netto di alcune nuove aperture e dell’acquisto di nuovi associati i punti vendita si sono ridotti in un anno di oltre 100 unità, da 1.477 a 1.363. La struttura distributiva che fa capo al consorzio è mista, tra punti vendita di diretta proprietà e affiliati in franchising. Questi ultimi sono in numero il doppio dei ” diretti” ma in termini di fatturato pesano solo per un terzo.

A tenere la marginalità su livelli stabili è però uno dei punti di forza del marchio: una politica di prodotto “private label” molto spinta, che nei punti vendita più piccoli, i “super”, in particolare arriva a produrre il 23% del fatturato e che da almeno un paio di anni cresce più veloce della media del mercato, migliorare ulteriormente i conti ci sono poi gli investimenti. «Ne abbiamo in corso per un cinquantina di milioni solo nel sud Italia – spiega ancora Gatto – E sono tutti volti non all’apertura di nuovi punti vendita, visto il clima di mercato, ma alla riistrutturazione degli attuali.

Despar ItaliaRinnoviamo le strutture con uno sguardo particolare ai consumi energetici: tra nuove luci a led e sistemi di condizionamento di ultima generazione contiamo di arrivare a risparmi nella bolletta energetica fino al 25%». Altri risparmi arrivano poi, volta per volta, dal calo dei contratti di locazione: tra nuove stipule, rinnovi e revisioni si arriva ad un risparmio medio del 30%. Sul fronte degli investimenti di prodotto invece l’obiettivo è di estendere ancora di più il raggio d’azione della marca privata.

«L’ultima novità – continua Gatto – dopo aver puntato su nostri marchi nei settori dell’infanzia, del biologico e persino dell’equo solidale, è nel vino. Abbiamo selezionato direttamente le uve in cantina per creare un primo portafoglio di vini in un segmento di media qualità». Una strategia, questa della “private label” che si fa anche forza del radicamento di un marchio che in Italia e presente dal 1959. Anzi, proprio a quegli anni di boom economico risale la circostanza che ha portato al fatto che solo in Italia il marchio Spar, oggi presente in 35 paesi, compresi Cina, Australia, Giappone, Sud Africa e Qatar, oltre a quasi tutti i paesi europei, abbia un nome diverso: si è trattato infatti di un contenzioso con la Star, il gruppo alimentare della famiglia Fossati ceduto nel 2006 agli spagnoli di Gallina Bianca.

Fatturato Despar ItaliaIl logo era completamente diverso, ma il nome era troppo simile, si accettòo di mutarlo in ” Despar” e cosi e rimasto. Nonostante la lunga presenza in Italia il gruppo ha però ancora oggi un deficit di presidio territoriale. Ci sono regioni dove è ancora assente: Abruzzo, Marche, Molise, Piemonte, Valle d’Aosta. E in generale, va detto che l’insegna Despar è forte soprattutto al nord. Delle nove società, la Aspiag, che copre tutto il nord est, fa da sola la metà del fatturato, e anzi, nel 2013 è riuscita anche a far crescere le vendite dell’1 %, a 1,67 miliardi e a tagliare il nastro di una ventina di nuovi punti vendita, tra i quali 7 super nelle provincie di Udine, Gorizia, Pordenone, Padova e Bolzano e un iper a Mestre.

Tagli ai costi, investimenti e strategia delle marche private dovrebbero sulla carta dare al marchio la possibilità di giocare da protagonista in questa fase di consolidamento del mercato. D’altra parte l’ultimo vantaggio che Despar può mettere in campo e quello di far parte di un gruppo di livello internazionale. Il gruppo Spar è a tutti gli effetti una enorme centrale cooperativa che associa singoli gruppi territoriali ai quali fornisce l’ombrello unico di un marchio e di una serie di servizi centralizzati per far emergere sinergie.

Gdo in italiaAnzi, il principio della cooperazione è spinto al punto che mentre Spar International funge da centro acquisti per prodotti internazionali, per avere migliori margini nelle trattative con le multinazionali dell’alimentare è del largo consumo, in Italia Despar aderisce a Centrale Italiana, una centrale di acquisti di cui fanno parte anche Coop e i gruppi Gigante e Sigma. Due settimane fa il gruppo Spar ha tenuto la sua convention annuale a Roma, ed erano nove anni che l’italia non era più il paese ospitante. E’ stata l’occasione per il managing director Gordon Campbell di presentare i conti generali del gruppo per il 2013 e lanciare le nuove strategie. Sui primi, i numeri dicono che le vendite totali sono arrivate a 32,1 miliardi di euro, con 12 mila punti vendita in 35 paesi e con l’obiettivo di arrivare a 40 entro questo 2014.

L’Italia è il terzo mercato per vendite dietro Austria e Sud Africa, e precede di mezzo miliardo la Gran Bretagna, pur avendo quasi la metà dei punti vendita inglesi. Quanto alle strategie, Campbell ha annunciato un’accelerazione degli investimenti in comunicazione: ha parlato di 300 milioni di budget globale da investire in pubblicità. Segno di una strategia di attacco del gruppo. E, quanto alle marche private, un nuovo capitolo che vedrà ancora di più protagonista la filiale italiana: Spar creerà in tutti i suoi punti vendita nel mondo angoli di specialità alimentari territoriali. E una di questa sarà italiana, con una selezione di paste e sughi pronti: marca privata ma rigorosamente “made in Italy”.

Rende, un indipendente espugna il feudo di Sandro Principe. Vince Manna (senza partiti) grazie all'astensione e a Mimmo Talarico

Il neosindaco di Rende Marcello Manna
Il neosindaco di Rende Marcello Manna

Il capogruppo del Pd calabrese, il renziano Sandro Principe perde dopo oltre 60 anni la sua Rende, storica e incontrastata roccaforte socialista dominata prima dal padre Cecchino poi dall’ex sottosegretario di stato. Ad espugnare il comune calabrese, l’indipendente Marcello Manna, che si è messo a capo di un “laboratorio” politico composto da liste civiche fuori dagli schemi partitici tradizionali e con l’appoggio mimetizzato del centrodestra. Un “evento storico” che giunge dopo decenni di dominio assoluto e dopo numerosi tentativi della coalizione di centrodestra di contrapporre a Rende un candidato credibile in grado di “abbattere” il feudo principiano.

In controtendenza nazionale, ci riesce Manna, un avvocato molto noto agli ambienti giudiziari ma sconosciuto all’universo politico. Il nuovo sindaco di Rende ha sconfitto il candidato voluto da Principe, Pasquale Verre, (57,66% contro il 42,34) ribaltando il risultato del primo turno (37,79 di Verre contro il 31,14 di Manna) avendo alleati una forte astensione e le molte divisioni interne allo stesso Pd, come il caso del consigliere regionale Mimmo Talarico (ex Idv oggi Pd aderente da Roma alla componente Civati dopo che la Calabria gli ha negato la tessera del partito) che ha schierato al primo turno un suo candidato a sindaco (Massimiliano De Rose) strappando alla coalizione di centrosinistra un preziosissimo 13,79 percento.

Un risultato determinante che ha costretto Verre al ballottaggio e di conseguenza ha condotto Manna alla storica vittoria. La roccaforte riformista si è indebolita negli anni progressivamente per una politica “assolutista” e una gestione del potere “personale” che nel tempo ha molto irritato non solo gli avversari quanto gli stessi alleati di Principe. I primi movimenti tellurici nel

Mimmo Talarico
Mimmo Talarico

fortino principiano si sono avvertiti tra la fine degli anni ’90 e il 2005 quando Talarico da assessore all’urbanistica con Principe sindaco fece sentire il suo forte dissenso verso una gestione “dispotica e autoritaria”. Conclusa la legislatura, tra i due seguirono anni di astio arricchiti da un forte “ostruzionismo” da parte degli allora Ds (ex partito di Talarico e a quel tempo formazione “amica” di Principe) che evidentemente temevano “l’ascesa” del futuro e promettente esponente politico. Un brutto attentato nel 2004, costrinse Principe ad abbandonare per molti mesi la scena politica e ad accumulare un vastissimo “credito” solidaristico.

Sandro Principe
Sandro Principe

Le grane proseguirono tuttavia con l’ex sindaco Umberto Bernaudo, alle prese con un nutrito gruppo di dissidenti interni alla maggioranza che denunciava “l’arroganza politica” dell’attuale capogruppo dei democrat calabresi. Accerchiato da minoranza e dissidenti il dominus di Rende venne accusato di aver messo in piedi il “cartello dei palazzinari”.
Episodi che hanno lentamente logorato l’immagine dell’ormai potentissimo consigliere regionale il quale si è man mano posto in una posizione, per cosi dire, di “autoisolamento”, terminato apparentemente dopo il netto sostegno a Matteo Renzi e all’attuale segretario regionale del Pd, Ernesto Magorno. L’ultima forte scossa, la commissione d’accesso antimafia per il comune (i cui esiti finiranno poi in un nulla di fatto) disposta sotto la sindacatura di Vittorio Cavalcanti a seguito dell’inchiesta “Terminator” che portò agli arresti per presunte commistioni con le ‘ndrine rendesi, Umberto Bernaudo e l’ex assessore al Bilancio Pietro Ruffolo. In piena tempesta mediatica, lo scorso anno Cavalcanti si dimise anche in netto disaccordo con Principe.  Da allora cominciò un lungo periodo di commissariamento concluso di fatto oggi con la vittoria (solitaria) di Marcello Manna che ha dato lo scossone definitivo al fortino socialista.

La vittoria del penalista cosentino replica quella del 2011 a San Giovanni in Fiore e Cosenza, anche queste storiche roccaforti della sinistra calabrese. Il “merito” del centrodestra nelle ultime due circostanze fu determinato dalla spinta propulsiva dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti. Mentre a Rende il sindaco Manna ha deciso di correre da solo senza i simboli dei partiti di centrodestra che hanno da sempre il demerito dell’improvvisazione con candidati last minute, confidando più nel vento in poppa di qualcuno che non nella preparazione per tempo di candidati e programmi credibili. Una strategia, quella di Manna, che lo ha ripagato nei fatti. La vittoria è tutta sua, come lo è stata il 25 maggio scorso solo per Matteo Renzi.

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