5 Ottobre 2024

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Armi chimiche a Gioia Tauro, tra menzogne e business miliardari

armi chimiche gioia tauro arrivo nave daneseApprodano in Calabria le navi dei veleni siriani. L’arsenale del “pericoloso” dittatore Assad, lo stesso che era stato visto a cena con il segretario di Stato Usa John Kerry, sta per essere trasbordato da una nave all’altra a Gioia Tauro. Un’operazione voluta dall’America di Obama attraverso l’Opac, Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, con il supporto delle super potenze planetarie e il via libera dell’allora governo Letta.

Tutto dovrebbe avvenire in “sicurezza” poiché – avevano spiegato in un primo momento – l’arsenale “non è pericoloso”. Poi ci dissero che si trattava di “sostanze non nocive”, poi ancora che solo alcuni fusti contenevano “agenti nocivi”. Infine i massimi “esperti” internazionali di questi veleni, hanno più volte garantito gli italiani e i calabresi “la non pericolosità” del trasbordo. Il trasbordo, non il contenuto dei container! Anche il ministro dell’Ambiente del governo Renzi, Galletti, ha rassicurato circa l’assenza di rischi. Intanto hanno blindato mezza regione, interdetto i voli aerei sull’aera portuale e oltre. Emerge molta contraddizione dal “trattamento” di questi gas mortali. Perché di gas letali si tratta.

armi chimiche gioia tauroE’ molto probabile – conoscendo l’epilogo della storia sulle navi dei veleni calabresi affondate dalla ‘ndrangheta e affossate dal segreto di stato – che anche quì ci troviamo davanti ad un cumulo di menzogne. Al di là delle assicurazioni, i dubbi restano tutti e hanno fatto bene gli amministratori della piana di Gioia Tauro a manifestare tutta la loro preoccupazione. Sia sui rischi che tutta l’operazione comporta, che per l”insensata decisione di far compiere il giro del mondo a queste scorie chimiche come se fosse acqua minerale.

Ci chiediamo: non era meglio distruggerle in territorio siriano sotto la supervisione dell’Onu? Un’operazione così delicata e pericolosa doveva condurla l’Onu, non gli Stati Uniti e pochi altri paesi. Un carico prelevato in Siria che dopo giorni di navigazione nel “mare nostrum” attracca a Gioia Tauro da cui saranno trasferite su un cargo Usa che a sua volta riparte per “neutralizzarle” in acque internazionali via idrolisi (che non è  l’idrolitina); ossia un sofisticato sistema di trasformazione e smaltimento di gas tossici che “verrebbe” svolto in alto mare. Questo, almeno, riferiscono le cosiddette “fonti governative”. Le quali hanno alimentato oltre le preoccupazioni, i sospetti sul luogo di distruzione (lontani da occhi indiscreti), e pure sulla “destinazione finale” dell’arsenale…

E qui ricaviamo forse la risposta alla domanda precedente, sul perché non le abbiano distrutte sulla terra ferma, in Siria. Occorre
ricordare, che questo è un arsenale che vale miliardi di dollari. E chi è disposto a buttare alle ortiche questa montagna di soldi? Non certo quelle superpotenze che per decenni hanno proliferato armi di distruzione di massa (chimiche e nucleari),  per poi smantellarli, ma pronti di nuovo a esibirle al mondo in caso di minaccia…Del resto, chi finanzia le campagne presidenziali Usa? I grandi mercenari di armi. Cioè le multinazionali della morte che pianificano guerre a tavolino per poi costringere Usa e alleati a combatterle con i “loro prodotti”. Perciò, bando all’ipocrisia. Non c’è solo Assad ad avere arsenali mortali, ma tutte le superpotenze.

Ecco l'assurdo tragitto della "Cape Ray". Dalla Siria in Calabria poi giù tra Malta e Bengasi
Ecco l’assurdo tragitto dei gas letali. Dalla Siria in Calabria, poi giù tra Malta e Bengasi…

Non vorremmo nemmeno che parte di questo arsenale venga “dirottato” altrove, (tramite trasferimento in qualche sommergibile?) in altri paesi, sempre nel Medio Oriente per rafforzare la qualche nazione troppo predisposta all’uso della forza col pretesto della sicurezza nazionale…
Non avremo mai prove sull’effettiva distruzione dei gas. Magari ci faranno vedere qualche immagine già montata da mesi per dire al mondo: “Ecco il video!”. Come quelle della morte di Bin Laden oppure delle armi chimiche fantasma di Saddam. E l’Onu? Latitante!

Infine, una nota per il governo italiano. Il ministro Galletti ha detto oggi che il porto di Gioia Tauro è “stata la scelta ideale” per il trasbordo. Infatti è il porto “dedicato” dal governo e dalla ‘ndrangheta a questo tipo di traffici.
Cosa ci guadagna la Calabria “pattumiera del mondo”? Niente. Zero. Nemmeno la Zes (Zona economica speciale) invocata dall’allora presidente Scopelliti. Mentre è di ieri la notizia che il porto di Genova ha incassato lo smantellamento della Costa Concordia, che significa anni di lavoro e tanti soldi in termini di indotto occupazionale con la certezza di qualche contributo dello Stato e della Ue.

Yara, Bossetti già condannato per assenza di prove. Il Dna? Quando la Scienza a volte fallisce e produce mostri

Massimo Giuseppe Bossetti
GIA’ CONDANNATO – Massimo Giuseppe Bossetti

Vittorio Feltri per Il Giornale (30 giugno 2014)

Massimo Giuseppe Bossetti è in carcere da due settimane, accusato nientemeno che di aver ucciso Yara Gambirasio. La vicenda è nota e non la riassumo se non nelle ultime fasi. A quasi quattro anni dalla morte della tredicenne di Brembate Sopra (Bergamo), quando ormai sembrava che il caso fosse da archiviare, gli inquirenti hanno estratto l’asso dalla manica: il famoso Dna del quale ora tutti parlano senza sapere di che si tratti. Già.

Davanti alla scienza, chiunque tace. Come si fa a contestare ai camici bianchi la fondatezza dei loro referti? Nessuno osa mettere in dubbio gli esami di laboratorio, anche quando sono sballati. Questo è un problema, poi ce ne sono altri.

Noi, a differenza dei periti, siamo pieni di dubbi e non abbiamo certezze. Rifiutiamo i dogmi, anche quelli che escono dalle provette. Facciamo fatica a credere in Dio, figuriamoci se crediamo ciecamente ai ricercatori, che sono uomini colti, ma uomini e quindi non infallibili. In altri termini, abbiamo fiducia nella scienza e meno in chi la pratica, che ci assomiglia e sbaglia. Detto questo, per sottolineare che non esistono verità assolute aggiungiamo qualche considerazione non sulle indagini in corso quanto sulle indiscrezioni che emergono ogni dì.

Dato che il Dna non basta a inchiodare una persona alle sue eventuali responsabilità, i signori investigatori si affannano per trovare altri indizi – di contorno – allo scopo di provare la colpevolezza del Bossetti, muratore in proprio, marito senza macchia e padre affettuoso di tre figli. Sul conto del quale cosa è stato trovato di decisivo? Nulla. Ma solo un monte di pettegolezzi insignificanti spacciati per importanti indicazioni per chi desideri sollevare sospetti sulla sua personalità. Altro che buon padre di famiglia: un orco travestito da agnello. Chi lo dice? Vox populi.

Stando ai «si dice», ovvero a quanto raccolto sul conto del presunto assassino, questi avrebbe raccontato un sacco di balle. Quali? Banalità, insinuazioni, frescacce da brivido. Ricavo dalla lettura del Corriere della Sera, e non dal Corriere della serva, le seguenti notizie da pattumiera. Udite. «Si è contraddetto. Amava ballare e fare il brillante». Non è una frase pescata da un articolo cretino. È addirittura un titolo. E non è finita. Ecco il sommario, due righe: «Le serate latino americane al disco pub; e quelle bugie in apparenza inutili».

Massimo Giuseppe BossettiProseguo: «Prima e dopo la scomparsa di Yara frequentava la “Toscanaccia”, locale a pochi passi da casa di Yara» (ho copiato fedelmente dal primo quotidiano italiano, pertanto le vaccate non sono mie). Capite, cari lettori, come si fa a identificare uno sporco omicida? Se uno frequenta talvolta un pub deve essere un tipo pericoloso, un pedofilo con tendenze omicide. Se poi costui ama il ballo ed è brillante, be’, allora diffidate perché se avete in famiglia una adolescente rischiate di perderla, morta ammazzata da lui. Quanto alle incursioni di Bossetti alla «Toscanaccia», attenzione: i clienti della citata trattoria sono tutti potenziali criminali, anche io che vi ho cenato spesso, essendo il locale di proprietà di Marco Falconi,titolare dell’omonima osteria di Ponteranica dove la domenica sera mi reco spesso con moglie e amici senza assistere, tra una portata e l’altra, a episodi di violenza carnale e a omicidi seriali.

Ecco, questi sarebbero alcuni dei gravi indizi a carico del povero disgraziato rinchiuso in carcere perché indicato quale probabile assassino di Yara. Ce ne sarebbero altri egualmente inconsistenti e direi cretini. Il lavoratore edile ovviamente maneggiava la calce. Nei polmoni della vittima sono state rilevate tracce della suddetta polvere. Significa che è stato lui a farla morire. Davvero? Non si considera che anche il padre della ragazza, nella sua veste di geometra, trascorreva molto tempo nei cantieri, ambienti dove la calce non è estranea? Ancora. Il cellulare di Bossetti la sera della scomparsa della fanciulla si agganciò all’antenna di Brembate. Altro indizio consistente? Ma fatemi il piacere.

Il muratore abita a Mapello, a uno sputo da Brembate, e quando rincasava inevitabilmente passava nei pressi dell’abitazione di Yara. Non è vero, gridano gli investigatori. Poteva percorrere una strada più breve. Come se non fosse pacifico che chiunque sceglie il tragitto meno trafficato e non il più breve. Non è tutto. Altro titolo del Corriere su Bossetti: «Per qualcuno è un padre da oratorio, ma non tutti concordano».Cosa vuoi dire? Se sei un fedelissimo «cliente» dell’oratorio sei un santo, altrimenti sei un porco? Continuo. Hanno interrogato la moglie dell’arrestato e le hanno domandato: signora, la sera in cui Yara si rese irreperibile, dov’era suo marito? A che ora è tornato a Mapello?

Lei non ha saputo rispondere, nel senso che non ricordava. Interrogativo retorico: chi di voi è in grado di rammentare come si comportò tre anni e mezzo fa? Se a me chiedono in quale luogo mi trovassi mercoledì scorso, sarei in difficoltà a rammentarlo. Figuriamoci se la memoria è capace di trattenere le mie mosse negli anni trascorsi. Non c’è cristiano al mondo che annoti sul diario i particolari delle proprie azioni giornaliere.

Per concludere, vari organi di stampa hanno accennato a peli rintracciati sulla vittima che sarebbero di Bossetti. Una fandonia. Ma la campagna di sputtanamento dell’uomo nell’occhio del ciclone continua. Balla su balla ci si avvicina alla condanna o, meglio, alla creazione del clima fasullo eppure adatto a produrre una sentenza di condanna. Che orrore. Se Bossetti merita l’ergastolo, bisogna esibire le prove certe della sua colpevolezza. Il gossip non basta.

Nasce il "Quotidiano del Sud". Fusione tra Calabria, Basilicata e Campania per dar voce al Mezzogiorno

Quotidiano del Sud
Da sinistra: Ivana Picariello, Enzo Colimoro, Gianni Festa, Lucia Serino e Rocco Valenti

Avellino – Il Quotidiano del Sud si presenta all’Irpinia e alla Campania. Il Corriere dell’Irpinia si affianca alle altre redazioni [del Quodidiano] di Calabria e Basilicata, già operative nei rispettivi territori: si avvia così il nuovo progetto editoriale del quotidiano nazionale che sarà diretto da Gianni Festa che, al circolo della stampa di Avellino, ha illustrato l’idea e gli obiettivi insieme con i direttori responsabili di Cosenza, Rocco Valente, Basilicata, Lucia Serino, e Irpinia, Ivana Picariello, ed Enzo Colimoro , fiduciario Inpgi.

Lo spirito del progetto è già nella testata “Quotidiano del Sud”, vocato alla conquista dello sviluppo economico e sociale del Sud. Esperienze già radicate sul campo uniscono le loro energie per dare voce al Mezzogiorno che non vuole né può essere più piagnone e autolesionista, ma portatore di nuove spinte e provocazioni.

Il Corriere dell'Irpinia. Nella testata l'evoluzione editoriale
Il Corriere dell’Irpinia. Nella testata l’evoluzione editoriale

Come ha detto Colimoro, accorciare le distanze con Roma, attirare e sfruttare l’interesse intellettuale, aiutare a compiere nuovi passaggi culturali. Dalla scomparsa della Cassa per il Mezzogiorno anche il Sud ha perso la sua valenza. Lucia Serino ha raccontato la sua esperienza di giornalista professionista che, da campana, allora precaria, ha fatto le valigie non per andare al Nord ma per la Calabria. Territori vicini, ma così distanti, se si leggono solo sulla carta. Ma l’informazione va avanti, in un momento di grave crisi dell’editoria, e di calo della reputazione della professione stessa. In un momento in cui riuscire ad aggregare intellettualmente, nella qualità della professione, può rappresentare la spinta in più.

Dare voce al Mezzogiorno, perché la questione meridionale è tutta in piedi, e va affrontata, ha incalzato Festa: se il presidente del Consiglio Renzi intende aprire la stagione delle riforme, nella sua agenda ha però dimenticato il Sud. Il dialogo tra operatori dell’informazione, lo scambio di idee, la congiunzione di esperienze senza sovrapposizioni, sono allora i punti da cui si parte, ha ricordato il direttore della redazione di Cosenza, Valenti. Ivana Picariello ha sottolineato il passaggio che sta compiendo il Corriere dell’Irpinia, a quattordici anni dalla nascita.

Un passaggio che presuppone traguardi più ambiziosi, che vanno identificati nella qualità e nella autorevolezza, due punti fermi di un giornale che altrimenti non avrebbe ragione di esistere. Certo, difficile l’integrazione tra giornale tradizionale e controparte digitale se non si affrontano i temi nel senso dell’approfondimento. Un buon quotidiano è quello che si schiera sui problemi fondamentali dei territori, e in questo le parole di Gianni Festa fanno presa, quando si pensa al Meridione come luogo di azioni positive da portare alla ribalta. Parola anche ai rappresentanti istituzionali e politici.

Presentazione Quodiano del Sud
Presentazione Quotidiano del Sud

Per il sindaco di Avellino Paolo Foti l’unione delle forze, la sinergia, lo sforzo comune che muovono questo progetto dovrebbero essere le leve con cui animare anche la politica amministrativa, quella che invece viene avvelenata da divisioni che partono dall’interno. La buona informazione è quella che provoca positivamente chi è addetto in politica, non chi critica per il gusto di farlo. Ne è convinto l’ex europarlamentare Giuseppe Gargani, che traccia una linea diretta Sud-Europa, superando la stessa Roma, e indica nella capacità di intercettare i fondi europei anche il mezzo per superare la crisi.

Il Quotidiano della Calabria
Il Quotidiano della Calabria

Il presidente del consiglio regionale campano Pietro Foglia ne fa una questione di identità di un Mezzogiorno cancellato nel ’93, con la scomparsa dell’intervento straordinario per il Mezzogiorno, il senatore Cosimo Sibilia ha salutato con interesse la nascita del Quotidiano del Sud in Campania come il senatore Enzo De Luca, ricordando che mentre in politica si continua a litigare c’è chi, come in questo caso, trova tempo e modo di unirsi. Unirsi in politica per affrontare le gravissime emergenze in Campania, così come nell’informazione.

Far accrescere il senso di appartenenza: è questo il messaggio che un giornale dovrebbe lanciare, è questo l’augurio che l’ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino rivolge, con l’obiettivo di aiutare a far crescere la partecipazione e la capacità di analisi critica. In una sala gremita, presenti responsabili e operatori degli organi di informazione, esponenti politici, istituzionali, del sindacato, del cultura e delle associazioni. Tra gli altri, i messaggi del presidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania, Ottavio Lucarelli, e del presidente dell’Associazione ex Parlamentari, Gerardo Bianco.

Dal Corriere dell’Irpinia 

Strage di Ustica, “Sono stati i francesi” (Cossiga). E per depistare, gli 007 massacrarono a Bologna altre 85 persone

Strage di Ustica, morti sospette, depistaggi e strage di Bologna: un unico filo conduttore. Nel giorno del 34esimo anniversario della strage di Ustica giungono timide aperture da parte della Francia. Nulla di ufficiale, ma una indefinita “disponibilità” dei francesi a collaborare “proficuamente” per arrivare ad una verità per molti già nota. Secondo quanto riportano molti quotidiani, la Francia sarebbe “disposta” a levare il segreto di Stato sul disastro aereo di Ustica in cui trovarono la morte 81 persone la sera del 27 giugno 1980.

Alcuni magistrati romani che indagano ancora sul disastro, hanno interrogato di recente alcuni militari francesi riguardo ai movimenti di mezzi aerei e navali sul mar Tirreno poco prima che l’aereo precipitasse (disintegrato) in mare tra le isole di Ponza e Ustica. Questo avvalora la tesi prevalente secondo cui la Francia ricoprirebbe un ruolo primario nella strage. Infatti, dalle prime ammissioni fatte dai militoni dell’Armeé de l’air ai pubblici ministeri di Roma, sbugiardano quella che è stata fino ad oggi la versione ufficiale di Parigi sui fatti di Ustica, e cioè che i francesi “sono estranei” a tutta la vicenda.

Il giudice Priore a Castelsilano
Il giudice Priore a Castelsilano (Calabria)

Le informazioni raccolte dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dal sostituto Erminio Amelio dimostrerebbero però che i famosi caccia francesi della base di Solenzara in Corsica non tornarono a terra intorno alle 17, ossia quattro ore prima dell’esplosione del Dc9 Itavia, come da sempre dichiararono, ma al contrario, volarono fino a tarda sera.
La rivelazione non è un dettaglio di poco conto, in quanto tra le ipotesi più accreditate per dare una spiegazione sul perché l’aereo civile si inabissò nel Tirreno col suo carico umano, c’è proprio quella che possa essere stato abbattuto da un caccia francese.

Da fonti governative d’Oltralpe, così come dalla procura di Roma, è arrivato un secco “no comment” sulle attività investigative in corso, mentre fonti del ministero della Giustizia si sarebbero limitate a riferire dell’impegno costante del Guardasigilli Orlando per ogni iniziativa utile a far chiarezza su Ustica come su qualsiasi altra strage, secondo la volontà del premier Matteo Renzi di far piena luce sulle stragi degli anni di piombo.

Nessuno ha tuttavia smentito la notizia che una decina di ex militari della base di Solenzara siano stati ascoltati dai pm italiani. I colleghi francesi sarebbero anche disposti ad aprire gli archivi della Difesa per ricostruire i movimenti di cacciabombardieri e unità navali nel mar Tirreno, la notte del disastro. La “collaborazione in corso” (apici obbligati) tra Italia e Francia viene valutata come un’ulteriore apertura del governo di François Hollande per far chiarezza sul disastro.

Già nel 2013, due anni dopo la richiesta italiana, la Francia aveva risposto, sia pure parzialmente, a una rogatoria fatta dalla procura di Roma. Ora la “collaborazione” avrebbe fatto ulteriori passi avanti proprio con riferimento ai movimenti dei caccia d’Oltralpe. Tra i quesiti posti dai magistrati italiani anche l’eventuale esecuzione di una esercitazione militare francese e la presenza di navi francesi nei pressi della zona in cui il velivolo fu abbattuto.

Gheddafi
NEL MIRINO FRANCESE – L’ex dittatore libico Gheddafi

Sul drammatico disastro di Ustica, squarci di verità affiorarono (seppur tardivamente) nel 2007 per volontà dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga – all’epoca presidente del Consiglio – che fece intendere la responsabilità francese. Ad abbattere il Dc9 fu un missile sganciato dai caccia francesi all’indirizzo di un Mig-23 libico a bordo del quale i servizi francesi credevano ci fosse il leader libico Mu’ammar Gheddafi, uomo “condannato” a morte da Parigi (l’intento di farlo fuori riuscì nell’ottobre 2011 quando l’intelligence francese si attivò per favorire la cattura del dittatore libico a Sirte. Grazie alla “soffiata” francese, i ribelli lo rintracciarono e assassinarono).

Fu all’indomani del disastro dell’Itavia che venne posto in essere a opera di servizi deviati, alti ufficiali dell’aeronautica e alte cariche dello Stato il più straordinario e cinico depistaggio che la storia repubblicana ricordi. Obiettivo: affossare in tutti i modi la verità su Ustica. A depistare le indagini si comincia dalle montagne della Sila, in Calabria.

Il 18 luglio, venne ritrovato nelle colline di Castelsilano, in provincia di Crotone, (allora di Catanzaro) un Mig 23, a detta di alcuni carabinieri ascoltati al tempo, “con fori di proiettile nella fusoliera di 20 millimetri”, compatibili con il piombo di un cannoncino. La versione “ufficiale” tuttavia imputò le cause della caduta del Mig “all’assenza di carburante”.

Accanto al velivolo venne ritrovato il corpo esamine del pilota arabo. Qualche giorno dopo fu disposta l’autopsia per accertare le cause della morte del pilota. L’esame diede esiti sorprendenti: il cadavere dell’uomo era in “avanzatissimo” stato di putrefazione. Sul corpo dilaniato dall’impatto vennero infatti rinvenute “larve giganti” compatibili con un cadavere deceduto almeno 20 giorni prima la data del 18 luglio. Secondo questa ricostruzione, la più credibile, il piccolo velivolo sarebbe precipitato non il 18 luglio bensì la sera del 27 giugno 1980, quindi poche ore dopo il disastro aereo di Ustica.

Ad avvalorare questa tesi, diverse testimonianze tra cui quelle di civili, militari, ufficiali e sott’ufficiali in servizio quella sera tra le stazioni radar di mezza Italia e a Monte Scuro, centro militare montano a 10 chilometri da Camigliatello Silano. Tra quelle significative, il racconto di Filippo Di Benedetto, al tempo caporale, che prestava servizio di leva presso la caserma Settimo di Cosenza; l’ex-caporale disse a Rosario Priore – giudice  incaricato di ricostruire il “puzzle” di Ustica -che il 28 giugno 1980, cioè il giorno successivo all’abbattimento dell’aereo DC-9 Itavia, era stato inviato per servizio insieme ad altri soldati nella zona di Castelsilano per piantonare un’aereo da guerra nella zona di Castelsilano.

LA TESTIMONIANZA: “FECI LA SENTINELLA A QUEL MIG 23”
da ‘La Repubblica’ del 18 novembre 1990

L’ex caporale che rilasciò un’ intervista a Repubblica sul Mig 23 caduto a Castelsilano e che si sospetta possa essere stato coinvolto nel disastro di Ustica, nell’ estate 1980, è stato interrogato, la settimana scorsa, dal giudice istruttore Rosario Priore. Si chiama Filippo Di Benedetto, ha 32 anni, è un geometra specializzato in bitumazioni a caldo e a freddo.

Dopo la sua deposizione al magistrato, l’ex caporale è stato intervistato dal settimanale l’Espresso che nel numero, in edicola da domani, dedica un ampio servizio sul caso Ustica. Di Benedetto racconta che il 28 giugno 1980, cioè il giorno successivo all’ abbattimento dell’ aereo Dc 9 Itavia con ottantuno persone a bordo, mentre prestava il servizio di leva presso la caserma Settimo di Cosenza, fu inviato insieme ad altri soldati nella zona di Castelsilano dove era caduto un aereo. Passammo una notte all’ addiaccio racconta e l’ aereo sembrava caduto da pochissimo tempo.

Il suo racconto fornisce moltissimi altri particolari importanti, uno dei quali si riferisce al pilota del caccia che, secondo il teste, era morto al suo posto di guida, inoltre il corpo fu portato via il giorno successivo all’ arrivo dei militari della caserma Settino. Era di fattezze europee spiega il testimone non sembrava certo un libico.

I carabinieri ci dissero di non preoccuparci che del corpo ci avrebbero pensato loro racconta nell’intervista all’ Espresso l’ ex caporale. Sul racconto del teste, il giudice Priore ha avviato alcune indagini. In particolare adesso si sta tentando di rintracciare i commilitoni che si recarono, insieme con Di Benedetto, in Calabria, sui monti della Sila, per stabilire in modo preciso se il Mig 23 sia coinvolto con il disastro di Ustica, l’ abbattimento del Dc 9 Itavia colpito da un missile la sera del 27 giugno 1980 sul mar Tirreno”.

Altro racconto, quello reso a ottobre 2013 per “l’Huffington Post” ad Andrea Purgatori (giornalista che all’epoca del disastro condusse su Ustica molte inchieste per il Corriere della Sera, ndr) dal maresciallo Giuseppe Dioguardi il quale rivelò: “[…] La sera del 27 giugno, due di noi si trovavano a Monte Scuro, sulla Sila. Dove poi furono rimandati il 18 luglio a vedere ufficialmente i resti del Mig che avevano già visto segretamente il 27 giugno[…]” Quì l’intervista integrale.

Molte altre testimonianze sono state rese in questi 34 anni. Tutte o quasi a confermare una verità sospettata da tempo. la sera del 27 giugno 1980 nei cieli di Ustica vi fu “guerra ad alta quota” in cui venne abbattuto l’aereo dell’Itavia con 81 persone a bordo. Probabilmente anche la Nato ha avuto un ruolo. Comunque non poteva non sapere. Sapeva e ha taciuto. Così come hanno taciuto quelle “autorità” che dovevano essere fedeli allo Stato in nome del popolo italiano.

Dunque, su Ustica “depistare” è stata la parola d’ordine. Depistare e sopprimere chiunque sapesse per non far affiorare la verità dalle torbide acque in cui si inabissò il Dc9. E’ il caso di una decina di morti “sospette” messe quasi tutte in relazione con la strage di Ustica.

Le morti sospette secondo l’inchiesta Priore. “Assassinati perché sapevano i segreti di Ustica”

«La maggior parte dei decessi che molti hanno definito sospetti, di sospetto non hanno alcunché. Nei casi che restano si dovrà approfondire […] giacché appare sufficientemente certo che coloro che sono morti erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati». (Ordinanza-sentenza Priore, capo 4, pag. 4674)

Colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli: incidente aereo di Ramstein in Germania durante l’esibizione delle Frecce tricolori, 28 agosto 1988. I due ufficiali in servizio presso l’aeroporto di Grosseto all’epoca dei fatti, la sera del 27 giugno erano in volo su uno degli F-104 e lanciarono l’allarme di emergenza generale. La loro testimonianza sarebbe stata utile anche in relazione agli interrogatori del loro allievo, in volo quella sera sull’altro F-104, durante i quali, secondo l’istruttoria, è «apparso sempre terrorizzato».

Maresciallo Mario Alberto Dettori: trovato impiccato a Grosseto il 31 marzo 1987 in un modo definito “innaturale” dalla Polizia Scientifica. Mesi prima, preoccupato, aveva rovistato tutta la casa alla ricerca di presunte microspie. Riferiscono fosse in servizio la sera del disastro presso il radar di Poggio Ballone (Grosseto) e che avesse in seguito sofferto di «manie di persecuzione» relativamente a tali eventi. Confidò alla moglie: «Sono molto scosso… Qui è successo un casino… Qui vanno tutti in galera!». Dettori confidò con tono concitato alla cognata che “eravamo stati a un passo dalla guerra”.

Maresciallo Franco Parisi: trovato impiccato il 21 dicembre 1995, era di turno la mattina del 18 luglio 1980, data dell’incidente del MiG libico sulla Sila. Proprio riguardo alla vicenda del Mig erano emerse durante il suo primo esame testimoniale palesi contraddizioni; citato a ricomparire in tribunale, muore pochi giorni dopo aver ricevuto la convocazione. Nessuno è riuscito a stabilire se si sia trattato di omicidio.

Colonnello Pierangelo Tedoldi: incidente stradale il 3 agosto 1980; avrebbe in seguito assunto il comando dell’aeroporto di Grosseto.

Capitano Maurizio Gari: infarto, 9 maggio 1981; capo controllore di sala operativa della Difesa Aerea presso il 21º CRAM (Centro Radar Aeronautica Militare Italiana) di Poggio Ballone, era in servizio la sera della strage. Dalle registrazioni telefoniche si evince un particolare interessamento del capitano per la questione del DC-9 e la sua testimonianza sarebbe stata certo «di grande utilità all’inchiesta» visto il ruolo ricoperto dalla sala sotto il suo comando, nella quale, peraltro, era molto probabilmente in servizio il maresciallo Dettori. La morte appare naturale, nonostante la giovane età…

Giovanni Battista Finetti, sindaco di Grosseto: incidente stradale; 23 gennaio 1983. Era opinione corrente che avesse informazioni su fatti avvenuti la sera dell’incidente del Dc9 all’aeroporto di Grosseto. L’incidente in cui perde la vita, peraltro, appare casuale.

Maresciallo Ugo Zammarelli: incidente stradale; 12 agosto 1988. Era stato in servizio presso il SIOS di Cagliari, tuttavia non si sa se fosse a conoscenza d’informazioni riguardanti la strage di Ustica, o la caduta del MiG libico.

Maresciallo Antonio Muzio: omicidio, 1º febbraio 1991; in servizio alla torre di controllo dell’aeroporto di Lamezia Terme nel 1980, poteva forse essere venuto a conoscenza di notizie riguardanti il Mig libico, ma non ci sono certezze.

Ten. colonnello Sandro Marcucci: incidente aereo; 2 febbraio 1992. Marcucci era un ex pilota dell’Aeronautica militare coinvolto come testimone nell’inchiesta per la strage di Ustica. L’incidente fu archiviato motivando l’errore del pilota. Tuttavia, nel 2013 il pm di Massa Carrara, Vito Bertoni, riaprì l’inchiesta contro ignoti per l’accusa di omicidio. L’associazione antimafia “Rita Atria” denunciò che l’incidente non fu causato da una condotta di volo azzardata, come sostennero i tecnici della commissione di inchiesta, ma probabilmente da una bomba al fosforo piazzata nel cruscotto dell’aereo.

Maresciallo Antonio Pagliara: incidente stradale; 2 febbraio 1992. In servizio come controllore della Difesa Aerea presso il 32º CRAM di Otranto, dove avrebbe potuto avere informazioni sulla faccenda del MiG. Le indagini propendono per la casualità dell’incidente.

Generale Roberto Boemio: omicidio; 12 gennaio 1993 a Bruxelles. Da sue precedenti dichiarazioni durante l’inchiesta, appare chiaro che «la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità», sia per determinare gli eventi inerenti al DC-9, sia per quelli del Mig libico. La magistratura belga non ha risolto il caso.

Maggiore medico Gian Paolo Totaro: trovato impiccato alla porta del bagno, il 2 novembre 1994. Totaro era in contatto con molti militari collegati agli eventi di Ustica, tra i quali Nutarelli e Naldini.

Ustica vs Bologna

Questo è quanto accaduto nel corso degli anni per impedire che potesse venire a galla la verità. Ma oltre a quelle morti, cui nessuno finora ha tributato alcun onore di Stato, c’è un altro importante tassello che lega insieme due mesi di orrore: la strage di Bologna, uno dei progetti di morte più vili ed infami che la mente perversa e criminale dei servizi deviati potesse mai progettare: per distrarre l’attenzione sui fatti di Ustica gli 007 italo-francesi (e Occidentali, Nato) del tempo, complici apparati non identificati dello Stato, hanno organizzato il massacro di Bologna il 2 agosto del 1980, causando la morte indiscriminata di altri 85 innocenti.

STRAGE DI BOLOGNA - Per coprire Ustica hanno ucciso altre 80 persone
STRAGE DI BOLOGNA – Per depistare su Ustica hanno ucciso altre 80 persone

Una strage attribuita a “tavolino” ai neofascisti dei Nar. Era la stagione delle tensioni politiche e degli anni di piombo in cui i servizi segreti sono stati protagonisti indiscussi per garantire la “stabilità democratica” e anche per creare caos sociale e “tornaconti” al potere costituito. Tra Ustica e Bologna morirono 166 morti in tutto, cui si aggiungono le vittime “suicidate” che sapevano del Dc9 e del Mig abbattuto in Calabria. Chi mai pagherà per questi crimini di guerra? Il governo italiano dopo tante chiacchiere in questi trentaquattro anni, apra gli archivi secretati e riveli al mondo la verità.

Scarica l’Ordinanza Sentenza del giudice Rosario Priore (Integrale)

Pedofilia, ecco la nuova frontiera della 'ndrangheta. Gli esperti: "Terreno molto fertile per nuovi business"

Carlo Solimene Dirigente naz Polizia Postale - Ansa -

Lorenzo Attianese per l’Ansa

I media li chiamano ‘orchi’. Per le loro vittime spesso hanno l’appellativo di “amici”. Ma i pedofili in Italia ora hanno il nuovo volto degli affaristi, osservato con attenzione anche dalle mafie. Dietro si nascondono vere e proprie strategie economiche, che celano una holding messa in piedi grazie al sistema darknet, il web sommerso. E’ la Pedo-Connection, il nuovo marchio criminale made in Italy, che esporta ed importa pedopornografia e non scambia o vende più solo file, ma esseri umani. Bambini di cui abusare. E grazie ai quali fare affari, un terreno molto fertile – secondo investigatori e criminologi – per il business della ‘ndrangheta .

Cncpo Centro Nazionale Contrasto Pedopornografia Online - Ansa -
Il Centro Nazionale di Contrasto alla Pedopornografia Online – Ansa –

In Italia, negli ultimi mesi, questo tipo di reato è aumentato fino a raddoppiare le cifre: sono già 200 le denunce di abusi rilevati attraverso la rete nei primi 6 mesi di quest’anno, a fronte delle 344 di tutto il 2013, con 165 minori adescati. E nella black list formulata dalla polizia ci sono oltre 1.700 siti dall’inizio del 2014. Tutto online, che resta off the records per gli internauti. L’unico modo per avere un contatto con questo mondo è navigare nelle acque torbide delle reti parallele con indirizzo Ip anonimo.

Compito del Centro Nazionale per il Contrasto della Pedopornografia (Cncpo), che solo tre mesi fa, in collaborazione con l’Fbi, ha messo a segno la prima operazione condotta nel Paese con successo all’interno del darknet: dieci arresti e l’identificazione di tre ragazzini di sette anni, vittime di abusi sessuali. Si tratta della punta dell’iceberg di un’indagine solo agli inizi, nella quale gli investigatori stanno cercando di scardinare un’organizzazione definita “massonica”, che isola i componenti sospettati di essere indagati, ha un suo slang , scambia, commercia ed esibisce come trofei i bimbi adescati e violentati.

Roberta Bruzzone criminologa e psicologa - Ansa -
Roberta Bruzzone criminologa e psicologa – Ansa –

Tra loro però c’è anche una squadra infiltrata. Cento agenti sotto copertura, tutti 007 informatici e non solo. Poliziotti italiani addestrati anche tra le file di Fbi ed Europol, che fingono di essere intenditori di quella galleria raccapricciante, utilizzano gli stessi codici linguistici, acquisiscono la fiducia dei pedofili e dopo mesi li incontrano, fino ad acquisire tutti gli elementi per incastrarli. “Ormai il fenomeno della pedofilia online – spiega il dirigente nazionale della polizia postale, Carlo Solimene – è caratterizzato dalla transumanza di questi utenti, soprattutto quelli più addentrati nell’ambiente, sulle reti del darknet. Qui esiste un vero e proprio manuale del pedofilo, attraverso il quale si tenta di aggirare i controlli delle forze dell’ordine.

Ma il darknet non è un posto sicuro neppure per i criminali. E’ bene che lo sappiano”. E non è casuale se quattro mesi fa il Consiglio dei Ministri ha deciso di fa diventare un’aggravante l’utilizzo del darknet’, cioè l’uso di mezzi utilizzati dai soggetti che sfruttano i minori per impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche. La chiave d’accesso al sottobosco del web, dove è garantito l’anonimato, è il download di software applicativi come Tor, un sistema per la criptazione in passato utilizzato dalle forze militari americane.

Laura Volpini Psicologa Università La Sapienza - Ansa -

Una volta entrati, ci si avvicina a chat e siti con una serie di tentativi e costanza di contatti. Nel tempo è possibile sfondare il muro della diffidenza, con dei riti iniziatici che prevedono lo scambio di nuovi file pedopornografici, come video e file rigorosamente autoprodotti. Insomma non basta essere informatici di ottimo livello ed avere i file giusti, spesso bisogna essere autori di abusi. Solo in seguito si entra nel business, come venditori o acquirenti, dove ‘lolite’ e ‘pre-teen’ sono le parole chiave più leggere. E gli affari sono sempre più spesso pesanti.

Lo sanno bene gli investigatori, i quali ricordano che lo scorso anno in Canada è stato sequestrato un sito con file di pedofili, che in poco tempo aveva incassato 5 milioni di dollari canadesi grazie alla vendita di materiale. Ma da oltreoceano ci sono diversi ponti che portano all’Italia. Solo tre mesi fa è emersa uno dei tanti fatti inquietanti: in Alabama un uomo mostrava in una foto il figlio di tredici anni in gabbia, che seviziava assieme al compagno. Voleva disfarsene perché “troppo poco giovane” e lo esibiva come se fosse in vendita. La foto matrice che ha permesso di dare il via alle indagini sulla vicenda è stata trovata in Italia. Dal nostro Paese il percorso degli 007 del Cncpo ha in seguito portato le indagini prima in Germania, poi in Inghilterra ed infine negli Usa.

Risorse per difendersi
Servizio Polizia postale e Comunicazioni
Commissariato online

Il Papa scomunica i mafiosi nella "Spianata delle Coschee". Galantino scomunica la società calabrese: "Conniventi!"

[su_youtube url=”http://youtu.be/mny4c3kBj9Y” width=”480″ height=”320″]La ‘ndrangheta è il Male assoluto. E in quanto Male non va adorata. “Chi adora il Male, come i mafiosi, è scomunicato”. Papa Francesco nella sua storica visita nella Sibaritide, in Calabria sembra escludere “speranze divine” per chi si macchia di gravi peccati utilizzando il Male come strumento di sopraffazione. Il “pizzino” che il santo Padre lascia ai mafiosi appare esplicito. “Dopo la morte, per voi mafiosi, ci sarà l’inferno, lo stesso che fate vivere ai nostri fratelli che operano nel Bene nella vita terrena”. Una sorta di pena capitale divina.

Un “monito”, quello di Bergoglio, rivolto a quanti cercano di lavare “inutilmente” i loro peccati sotto le vesti della Chiesa, come a Polsi, luogo sacro diventato il simbolo dell’iniziazione ‘ndranghetistica. Il papa accende i riflettori della Chiesa sul fattore che da sempre soffoca la crescita sociale e lo sviluppo economico del Mezzogiorno. Lo fa a quasi vent’anni di distanza dalla storica omelia di Karol Wojtyła in Sicilia dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, dove Giovanni Paolo II aveva esortato i mafiosi a “convertirsi”.

Papa Francesco omelia piana Sibari
Papa Francesco a Sibari

In Calabria, il popolo di Francesco si ritrova nella piana di Sibari per ascoltare l’omelia del santo Padre. La calura estiva non ha fermato gli oltre duecentomila pellegrini giunti da ogni regione del Sud. Prima di lui aveva parlato Monsignor Nunzio Galantino, il vescovo di Cassano allo Ionio che Bergoglio ha voluto come segretario generale della Cei. Ed è proprio il vescovo che lancia il primo duro e significativo monito: “La ‘ndrangheta non si nutre solo di soldi e di malaffare. Si nutre anche di coscienze addormentate, e perciò conniventi!”.

Il messaggio è indirizzato a coloro (presenti ipocritamente anche tra i fedeli come i Farisei nel Tempio di Gerusalemme…) che dietro il loro “omertoso silenzio” consentono alla ‘ndrangheta di proliferare e conquistare nuovi spazi economici e sociali. Attraverso la loro “connivenza” permettono ai “soldati” di Satana di allargare gli spazi del Male e cooperano (perseguitati dalla paura) a scavare la fossa comune dentro cui saranno sotterrati.

In 200mila a Sibari per Francesco
In 200mila a Sibari per Francesco

La giornata di papa Francesco è cominciata in mattinata nel carcere di Castrovillari dove ha incontrato i detenuti. Tra questi anche il padre di Cocò, il bimbo barbaramente trucidato e bruciato dalle ‘ndrine qualche mese fa a Cassano. Poi, come da programma il pontefice si è recato in un ospizio per incontrare gli ammalati e ha pranzato con i poveri. Precedenza assoluta a chi vive nel disagio, ai disabili, agli emarginati. Autorità e politici in ultima fila. Molti hanno disertato per evidenti ragioni di sottoesposizione: “Che ci vado a fare se non mi inquadrano nemmeno”, avrebbe detto il nostro Cetto…

Nel pomeriggio la Santa Messa in quella che impropriamente viene dai media definita la “spianata” di Sibari, pianura che di sacro non ha nulla a differenza di quella delle “Moschee di Gerusalemme”. Semmai è la “Spianata delle Coschee” (come quelle di Lamezia Terme e Gioia Tauro) dove il Male regna e prevale sul Bene. Dove si consumano altri “crimini” come lo sfruttamento del lavoro degli immigrati, della prostituzione e si realizzano traffici delle peggiori specie. Un vorticoso business che ruota sempre attorno al prosperoso e adorato mondo di Satana, il quale si alimenta dietro l’indifferenza generale, complice quel silenzio “connivente” di cui parlava il segretario della Cei, Nunzio Galantino.

Papa Francesco SibaritideLa scomunica dei mafiosi – pronunciata dal pontefice in maniera “soft” e indiretto, senza enfasi- è un buon segnale se accompagnato però dai fatti: bisognerebbe infatti cominciare a negare il loro ingresso in Chiesa, rifiutare loro la comunione, il perdono. “Dio mai condanna. Mai perdona soltanto, ma perdona e accompagna”, affermava il capo della Chiesa davanti ai detenuti del carcere di Castrovillari. Il papa polacco diceva invece ai mafiosi in Sicilia: “Convertitevi, un giorno verrà il Giudizio di Dio”. Pensieri opposti? Sembrerebbe di si. Comunque, al di là delle “interpretazioni”, sulla filosofia del Perdono occorre prestare molta attenzione. Il perdono concesso “a tutti” generosamente dalla Chiesa, non può essere in alcun modo appannaggio per chi vive e sguazza prepotentemente  nel Male.

Se passa questo messaggio sarebbe devastante per i fedeli e per la stessa credibilità della Chiesa. Perché significherebbe poter perdonare pure Satana. E perdonarlo equivale mettere sullo stesso piano Bene e Male, condannare il Buono e assolvere il Cattivo. Invece no! E’ sbagliata la spinta al perdono a tutti i costi solo perché Gesù (da figlio di Dio in Croce) perdonò i suoi aguzzini e mandanti degli aguzzini. Gli stessi che nei secoli non hanno mai chiesto scusa a nessuno per il Deicidio. Al contrario, ahinoi, è la Chiesa a chiedere sempre scusa (per cosa?). Andando di questo passo, un giorno ci toccherà chiedere scusa ai mafiosi e agli adoratori del Male per averli contrastati e perseguitati.

La Chiesa non può essere intransigente su alcuni temi e poi offrire “perdono” senza distinguere tra Bene e Male, tra chi ha scelto Dio e chi ha deciso di servire Satana. La ‘ndrangheta (come tutte le mafie) non si sconfigge porgendo l’altra guancia. Porgendola diciamo ai mafiosi: “Continuate pure coi vostri crimini, tanto la giustizia divina vi assolverà comunque dai vostri peccati”.

Bisogna che il Vaticano si interroghi seriamente su questo: Che senso avrebbe vivere una vita intera onestamente nel Bene, quando chi commette i crimini peggiori in servizio al Male, alla fine dei suoi giorni si pente e viene “perdonato”, raggiungendo in tal modo lo stesso “ambizioso traguardo” di chi ha subìto soprusi e violenze da questi malavitosi? La parabola del “Figliol Prodigo” non potrà mai “calzare” con la mafia…

Il perdono bisogna meritarselo! Tutti sbagliano, è vero. Errare è umano. Ma c’è una differenza abissale tra chi sbaglia nel “Bene” e chi, “godendo” nel “Male”, ha volontariamente, consapevolmente e in modo scientifico generato morte e sofferenze. Ai mafiosi ed ai loro gregari conniventi andrebbe vietato l’ingresso in Chiesa e in tutti i luoghi sacri. Se si accettano, significa accogliere l’Anti Cristo e gli adoratori del Male. Il pentimento? Lasciamolo alla giustizia terrena. Perché chi ha scelto di idolatrare Satana usa il pentimento per ingannare ancora gli uomini e Dio. La lotta contro la ‘ndrangheta è una Guerra tra il Bene e il Male che va “combattuta” senza tregua con le armi della giustizia, con coscienze attive e, soprattutto, con il pieno sostegno della Chiesa.

Nasce "Il Garantista", nuovo quotidiano diretto da Sansonetti. Esce in tutta Italia con sedi a Roma, Campania e Calabria

Prima pagina Cronache Il GarantistaPrima pagina Cronache Il Garantista
La prima pagina de “Il Garantista” del 18 giugno 2014

Intervistato da Tempi, Piero Sansonetti spiega i perché della nuova avventura editoriale. Il quotidiano avrà una sede a Roma, una in Campania e tre in Calabria, regione dove aveva diretto l’Ora della Calabria, il giornale chiuso dopo il caso “Oragate” e che aveva lasciato per strada decine di giornalisti, parte dei quali riassorbiti ora da Sansonetti nel nuovo quotidiano. Editore sarà una cooperativa di giornalisti (nuova formula per affrancarsi da editori-padroni e speculatori di ogni specie) finanziata da una cordata di imprenditori tra cui Andrea Cuzzocrea, presidente di Confindustria Reggio Calabria. Auguri da secondopianonews.com

Chiara Rizzo per Tempi

Oggi al centro dell’attenzione dei media ci sono due casi di cronaca nera. L’arresto del presunto assassino di Yara Gambirasio e la vicenda dell’uomo che ha ucciso moglie e figli a Motta Visconti (Mi). Che titolo darebbe Il Garantista se foste in edicola oggi, o quale darete domani?

Rivelo il titolo della prima pagina di domani. Grosso modo sarà: “Dagli al mostro”. Sottotitolo: “Giornali e politici scatenati. La procura frena”. Trovo che sia gravissimo quello che ha fatto Angelino Alfano ieri. La convocazione di una conferenza stampa per dire che è stato fermato il già sicuro assassino lo considero da parte sua un non rispetto della Costituzione. Anzi la considero una non conoscenza della Costituzione, poveretto, perché posso solo supporre a questo punto che non conosca il principio di presunzione di innocenza, anche se è stato ministro della Giustizia. Penso che anche di fronte al delitto più efferato la Costituzione vale, e un indagato è un presunto innocente fino all’ultimo grado di giudizio.

Perché avete scelto proprio questo nome, Il Garantista?
La risposta è evidente fin dal nostro primo giorno di vita. Pensiamo sia necessario un rispetto della Costituzione e che essa valga per tutti i delitti. Ci consideriamo essenziali in questo momento storico, con inchieste che sconvolgono il dibattito pubblico quasi ogni giorno.

A chi vi rivolgerete? Quale sarà il vostro pubblico di riferimento?
Ci rivolgiamo a tutti, il giornale sarà popolare e anche pieno di notizie divertenti, ma vogliamo solo far riflettere un po’. Speriamo di mettere dei semi di pensiero nell’opinione pubblica dopo questi ultimi vent’anni di forcaiolismo dominante. Questi ultimi vent’anni sembrano aver abolito i semi di pensiero e di riflessione sulle cose. Ecco, noi vorremo abolire quanto meno questo divieto di pensare.

Chi è il vostro editore?
Una cooperativa di giornalisti, cioè saremo noi stessi. Al nostro fianco c’è una cordata di imprenditori, il capofila Andrea Cuzzocrea, che è presidente di Confindustria Reggio Calabria, e altri per lo più legati al settore edile: ci sostengono, e si occuperanno della raccolta pubblicitaria.

È vero che, dopo la direzione di un quotidiano calabrese (Calabria ora/L’ora della Calabria), adesso torna in quella regione con una redazione del Garantista?
Sì. Il Garantista avrà una redazione a Roma, e tre redazioni in Calabria, perché ci sarà un supplemento locale di 20 pagine. Più un’altra redazione in Campania (dove il quotidiano sarà abbinato ad un supplemento locale di 16 pagine).

Piero Sansonetti
Piero Sansonetti (foto
Leone/LaPresse)

Scusi, ma in un momento di gravissima crisi dell’editoria, chi glielo fa fare di aprire una nuova testata e nuove redazioni? Dopo una lunga carriera, potrebbe godersi un po’ di riposo anziché rischiare capitale economico e umano.
Lo ribadisco, mi muove la convinzione che sia necessario fare questo giornale, che sia necessaria una testata di sincero spirito garantista, e non nel senso che difende gli amici propri. La seconda pagina sarà dedicata, ad esempio, alle carceri. Fare un giornale su carta è una scommessa, significa navigare controvento. Ma serviva.

Lei ha una lunga militanza a sinistra. Pensa che nella sinistra attuale, dove i deputati che hanno votato per la responsabilità civile dei magistrati sono considerati dei “franchi tiratori” contro la linea del partito, ci sia ancora uno spazio per il garantismo?
Da almeno vent’anni, penso anche trent’anni, non c’è più una sinistra garantista in Italia, quanto meno non è maggioritaria. Anzi, oggi questa parola ha subìto uno strano contrappasso, spesso in certi ambienti assume il significato erroneo di “amici dei mafiosi”. Per garantismo invece si intende la civiltà non parliamo di chissà che la migliore tradizione dell’illuminismo o del cristianesimo. Ecco noi vogliamo costringere anche la sinistra a ragionare, a tornare a personaggi che sono stati pilastri portanti del diritto per l’Italia. C’è stato un tempo in cui la sinistra italiana è stata garantista e vorrei spingere quella attuale a ricordare persone come Umberto Terracini, o Piero Calamandrei.

Il pentito dei Casalesi Iovine: “Così compravo i giudici”. Confessione choc del “ministro dell’economia” della Camorra

Antonio Iovine al momento dell'arresto
Antonio Iovine al momento dell’arresto

Nel tribunale di Napoli ci sarebbe stata “una struttura che riusciva ad aggiustare i processi”. Lo ha dichiarato il pentito del clan dei Casalesi, Antonio Iovine, in un verbale depositato nel corso del dibattimento legato alle minacce a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione.
Ai vertici di questo “sistema”, ci sarebbero stati Pietro Lignola, ex magistrato napoletano in pensione, e Sergio Cola, avvocato penalista ed ex parlamentare Pdl. Iovine li ha tirati in ballo lo scorso 28 maggio durante la sua deposizione ai pm della Dda.

Nel verbale, Iovine afferma che affidò la difesa a Sergio Cola su suggerimento di Michele Santonastaso perché conosceva il giudice Pietro Lignola, il legale era amico del magistrato.
Le Dichiarazioni sono finite subito all’attenzione dei magistrati della procura di Roma, che, competente a indagare sui colleghi campani, ha aperto un’inchiesta per corruzione. “I soldi servivano per corrompere i giudici – ha detto Iovine che da un mese circa ha deciso di collaborare con gli inquirenti – e non era la prima volta che l’avvocato Michele Santonastaso (suo difensore fino al 2008, ndr) mi chiedeva soldi per aggiustare i processi in corte d’appello”. Dichiarazioni da prendere con le pinze poiché rese da un boss pentito di cui al momento non è stata accertata nessuna attendibilità.

L'ex giudice Pietro Lignola
L’ex giudice Pietro Lignola

Iovine – scrive l’Agi – potrebbe essere sentito nei prossimi giorni dai magistrati della capitale dove risulta già sotto processo per rivelazione del segreto d’ufficio un ex giudice della corte d’appello partenopea. “Ho pagato due volte e per due volte sono stato assolto”, ha precisato l’ex boss che poi ha aggiunto: “Negli incontri con il mio avvocato parlavamo di esigenze particolari legate ai processi ed in alcune occasioni Santonastaso mi ha chiesto dei soldi per aggiustare i processi e farmi avere delle assoluzioni. La prima volta è accaduta a proposito del processo per l’omicidio di Nicola Griffo per il quale avevo avuto una condanna a trent’anni: l’avvocato Santonastaso mi promise che in appello avrebbe visto cosa si sarebbe potuto fare”.

Il pentito dei Casalesi racconta che fu consigliato “di nominare per l’appello anche un altro avvocato in quanto aveva un buon rapporto con il presidente della sezione di Corte d’Appello dove si celebrava il processo. Io così feci e invitai l’avvocato a darsi da fare per trovarmi una soluzione per farmi uscire assolto. L’avvocato mi rassicurò dicendo che poteva trovare la soluzione giusta per aggiustare il processo e farmi assolvere. Ad un certo punto mi fu detto che l’avvocato voleva 200 milioni di vecchie lire che erano necessari per farmi ottenere l’assoluzione. Io accettai e fu assolto e pagai i 200 milioni in due rate da 100 milioni che gli furono portate da persone a me vicine”.

L’altra occasione nella quale avrebbe dato soldi a Santonastaso per aggiustare un processo fu per il duplice omicidio di Ubaldo e Antonio Scamperti, a San Cipriano D’Aversa, “nel quale fui condannato all’ergastolo in primo grado: grazie all’intervento dell’avvocato di Santonastaso con le medesime modalità fui poi assolto in appello”. Dopo la condanna in primo grado, ha spiegato Iovine, “io invitai Santonastaso ad attivarsi in tutti i modi per farmi assolvere”.

Quando seppe che il processo era stato assegnato al giudice che in precedenza lo aveva già assolto, “mi tranquillizzai molto ed ero fiducioso che Santonastaso sarebbe riuscito anche questa volta a farmi assolvere. Mi rendevo conto che ci voleva qualche sforzo in più in quanto c’erano due pentiti che mi accusavano.

Fatto sta che in prossimità della conclusione del processo Santonastaso per il tramite dei miei familiari, credo sempre mia moglie, mi fece sapere che era tutto a posto e che mi chiedeva la disponibilità a dargli 200mila euro, sempre in due rate”. Iovine, stando ai verbali depositati, avrebbe incontrato da latitante almeno quindici volte il suo difensore che mai, però, gli avrebbe spiegato nel dettaglio “quale strada era stata percorsa per ottenere l’assoluzione.

Era chiaro, però che era stata ottenuta con metodi illeciti”. “Ho avuto conferma del fatto che questi processi erano aggiustati – ha ricordato Iovine – quando si è verificato l’altro episodio nel quale è stato assolto Michele Zagaria (altro boss del clan, ndr.). Santonastaso mi propose di chiedere a Zagaria se era interessato a ottenere con gli stessi metodi l’assoluzione”.

Zagaria, anche lui allora latitante, si disse d’accordo, e la richiesta di denaro necessario, 250mila euro, gli arrivò attraverso un bigliettino consegnato alla moglie di Iovine. “Zagaria confermò ed effettivamente fu assolto – conclude Iovine – ma il giorno dopo espresse la sua volontà di non pagare. A suo dire l’assoluzione non era dipesa dall’intervento di Santonastaso. Io ci rimasi male e questo fatto incise sul prosieguo dei miei rapporti con Zagaria”.

Maturità, l'esame dovremmo farlo allo stato della nostra scuola

maturità 2014Mila Spicola per l’Unità 

Quattro le tipologie che il ministero metterà sul tavolo dei maturandi per la prima prova scritta, quella di italiano: analisi del testo, saggio breve/articolo di giornale, tema storico e tema di carattere generale. Tra i 465mila studenti alcuni miei ex alunni. «Prof, secondo lei cosa è più facile?». «Valeria, quel che sai far meglio, no? Leggi tutte e quattro le tracce, fatti uno schemino per ciascuna, se l’argomento lo conosci e lo governi, vai e scrivi. Rifletti, bevi, respira, non ti far prendere dall’ansia..». «Pare facile prof! Lei non si fece prendere dall’ansia?». «Nel tema no, nella versione sì». «Ogge su santo, prof! La versione!».

Negli ultimi giorni i miei ingressi su Facebook sono stati costellati dalle domande e dai dubbi dei miei primi ex alunni alle prese con l’esame di Stato nella Secondaria di Secondo Grado. Quelli almeno che ci sono arrivati. I miei ex pulcini da mesi mi chiedono, mi interrogano, mi raccontano e mi fan ricordare e ritenere come i giorni e i tempi prima degli esami siano sempre identici. Tanto da cadere nell’inevitabile incubo degli esami da rifare anche io. On line i siti, ma anche i quotidiani, in rete o cartacei, sono pieni di consigli, sempre gli stessi, su come affrontare le prove: cosa mangiare, quanto dormire, come studiare. Oppure di dati sui numeri, su quanti sono gli scrutinati, gli ammessi, i sommersi e i salvati.

Non so, io mi ritrovo a riflettere su altro. Cosa faranno e dove andranno i miei ex pulcini, quali competenze stiamo dando loro, quale conoscenza porteranno nel loro percorso di vita? Esame di maturità. Maturità di chi? Che adulti hanno intorno a loro rispetto ai quali misurare l’indicatore della maturità, della competenza, della conoscenza? Cosa stiamo certificando?

Osservo e rifletto sulle competenze di un liceale e su quelle richieste a uno studente di istituto tecnico professionale e so perfettamente che il massimo nella valutazione del primo non corrisponde in Italia al massimo della valutazione del secondo. E nemmeno la certificazione delle loro competenze di base. Non è disuguaglianza questa? Dovrei raccontarlo a questi ragazzi? O a noi adulti? O ai miei colleghi docenti? O al «Sistema», così stiamo tutti a posto e va tutto bene madama la marchesa?

La presente e viva e le morte stagioni vo comparando e non so se nella mia stagione le cose andavano allo stesso modo, certo non ci riflettevo allora. Vo comparando ancora le competenze acquisite e da valutare di uno studente siciliano, a cui il «Sistema» ha offerto circa due anni in meno di scuola rispetto al coetaneo trentino, per assenza di tempo pieno nella scuola elementare, a cui si sommano gli anni in meno all’asilo, e tali competenze verranno valutate tali e quali da un esame di Stato Nazionale.

Mila Spicola, insegnante e scrittrice
Mila Spicola, dirigente Pd

Non è disuguaglianza questa? Non è anticostituzionale una tale differenza di offerta d’istruzione, innanzitutto di tempo, di strutture, di occasioni? E mi sovvien l’eterno «fondamentale» problema dell’andar a scuola un anno prima, per uscire un anno prima e «affrontare il mondo del lavoro alla stessa età di altri paesi europei» e mi chiedo: è questa l’emergenza maggiore adesso?

Non sarebbe il caso di interrogarci su altro? Un anno prima ma con quali profili? Sempre gli stessi? Con quali programmi? Con quali contenuti? Con quali direzioni di sviluppo professionale certo tracciate? Siano esse immediate o posticipate da un percorso universitario? Cosa stiamo dando e a cosa stiamo preparando questi novelli esaminandi?

L’esame di maturità forse dovremmo farcelo noi nel predisporre un cambiamento necessario del percorso della scuola superiore, o sbaglio? Una riqualificazione delle scuole tecnico professionali, che tornino ad essere la fucina qualificata e qualificante del ceto medio e della piccola imprenditoria italiana, aggiornando programmi, percorsi e sbocchi, non il girone infernale dove mandare chi «non ha voglia di studiare».

Lo stesso per i licei: interrogarsi sui contenuti ma anche sui metodi. E per entrambi non cedere mai di una virgola su una pari e uniforme offerta di qualità culturale, sia che si tratti del tecnico informatico di Canicattì o del liceo Nazareno di Roma. Che si torni a parlare di attitudini dei ragazzi e non di separazioni di file di destini segnati per altro: per origine, per ceto, per luogo. «Prof, secondo lei cosa è più facile?»

Cosa volete rispondere ai nostri ex pulcini? Dirgli di bere, di respirare profondamente, di riflettere, di farsi uno schema chiaro prima di scrivere e di riprendere le fila del loro futuro, in modo più pressante e vivo. Magari col nostro aiuto, non con le nostre resistenze e le nostre gabbie mentali. Cambiare noi intanto, se ne siamo capaci.

Maturità, ecco la "prova" di ministri e politici. Boschi e Renzi presero il massimo

La maturità dei ministri di Renzi (immagine tratta da "La Stampa")
La maturità dei ministri di Renzi (immagine tratta da “La Stampa”)

Francesca Schianchi per La Stampa

«Ancora oggi, se faccio un incubo, è di arrivare alla maturità senza essere preparata…», sospira il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, che pure portò a casa la menzione «bien» alla scuola francese di Roma. Come bene andò l’esame della responsabile delle Riforme, Maria Elena Boschi, 100 su 100 al classico Petrarca di Arezzo, racconta lei con un sorriso soddisfatto.

Massimo dei voti anche per il premier Renzi (60/60, nel ’93, al liceo classico Dante di Firenze), che era sempre stato un bravo studente ma con una certa vis polemica, e l’anno prima della maturità rischiò il 7 in condotta, quando rifiutò la richiesta del preside di ritirare le copie del giornalino «II Divino mensile» su cui erano andati pesanti con le critiche a un prof di matematica.

È passato qualche anno, ma non troppi, da quando i ministri del governo più giovane della Repubblica hanno affrontato la maturità, che inizia oggi per migliaia di studenti. Dai banchi del governo c’è chi ne ricorda l’ansia e chi il senso di liberazione. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, 50/60 al classico romano Anco Marzio, racconta di un esame complicato, con discussioni della classe con la commissione: «Io litigai su Hegel», ricorda.

Il ministro Marianna Madia
Il ministro Marianna Madia

La collega degli Esteri Federica Mogherini – 56/60 nel ’91 al classico Lucrezio Caro di Roma – già pensava al dopo: qualche mese a Londra per studiare inglese poi la facoltà di Scienze politiche, «volevo fare la giornalista». Idee chiare su cosa volesse fare le aveva anche la Boschi, «l’ho deciso a 11 anni: il magistrato». Della maturità ha un bel ricordo, «giorni impegnativi ma divertenti»: le capitò di dimenticare il vocabolario di latino il giorno della versione; un compagno che abitava vicino a scuola corse a casa per procurargliene uno. Perché lei veniva dalla provincia, da Laterina: «Mio fratello mi aveva preparato una cassetta da ascoltare in macchina per caricarmi».

Il ministro Maurizio Martina
Il ministro Maurizio Martina

Anche il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ricorda i 20 km in motorino da casa sua a Bergamo, all’istituto agrario: «II viaggio di ritorno, leggerissimo, liberato da tutti i pensieri». Portò a casa un 48 su 60: «Non ero un secchione», ammette, «e negli ultimi due anni già pensavo più alla politica che allo studio…». Non era secchione nemmeno il sottosegretario Luca Lotti, diplomato allo scientifico Pontormo di Empoli con 90/100 nel 2001: ricorda ancora un suo ex compagno le parole del preside quando consegnava le pagelle: «Lotti, anche quest’anno sei il peggiore della classe tra i maschi…».

Annagrazia Calabria, leader Forza Italia giovani
Annagrazia Calabria, FI

Qualche amico ogni tanto lo chiama: «Luca, guarda tè dove sei arrivato…». Mai, allora, avrebbero pensato di arrivare a fare i ministri, come mai avrebbero pensato di passare in pochi anni dai banchi di scuola a quelli del Parlamento molti giovani deputati. Nemmeno chi era una studentessa modello come la leader dei giovani di Forza Italia, Annagrazia Calabria: 100/100 al classico e versione di greco orgogliosamente presentata in mezz’ora.

Alessandro Di Battista, deputato M5S
Alessandro Di Battista, M5S

Non lo pensava l’ex capogruppo M5S Roberta Lombardi (54/60 allo scientifico Avogadro di Roma): ancora non faceva politica, epperò a ben pensarci una certa verve c’era, considerato che da rappresentante di istituto aiutò a sventare la temuta fusione con un altro istituto. Il collega Alessandro Di Battista prese 46/60 allo scientifico Farnesina di Roma: «Allora studiavo poco, ho cominciato a farlo più tardi. E la maturità fu una liberazione».

Mentre la giovanissima deputata pentastellata Marta Grande, 87 su 100 nel 2006 allo scientifico di Civitavecchia, aveva già in mente l’università: stava per partire per farla in Alabama. Oggi iniziano gli esami. «Studiate, ma affrontate le prove con serenità, e portate cioccolatini per i cali di zucchero», consiglia materna il ministro Boschi. «E scegliete la facoltà universitaria che vi piace senza troppi calcoli sulle possibilità di lavoro». Parola di una che ha fatto strada.

Il Parlamento europeo finanzia partiti e fondazioni.

FondazioniFondazioni e partiti politici europei si spartiranno una torta di 40 milioni di euro di sovvenzioni pubbliche per il 2015. Il finanziamento, tutto politico, è stato deciso dal parlamento europeo (in regime di prorogatio) che ha lanciato oggi due inviti a presentare proposte per la concessione di sovvenzioni alle fondazioni e ai partiti politici europei. L’obiettivo dei bandi è sostenere il programma di lavoro dei beneficiari per l’esercizio finanziario 2015.

Massimo D'Alema
Massimo D’Alema (Fondazione Italiani Europei)

Il trattato Ue “riconosce ai partiti politici europei e alle fondazioni a essi affiliate un ruolo importante per la formazione di una coscienza europea e per il rafforzamento dei dibattiti sulle politiche comunitarie”. Per il prossimo anno si prevede un bilancio di 28,35 milioni di euro a favore dei partiti politici e di 13,67 milioni di euro per le fondazioni.

Il termine per la presentazione delle domande è fissato al 30 settembre 2014. L’adozione della decisione sulla concessione delle sovvenzioni da parte dell’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo avverrà entro il primo gennaio 2015.

In Italia non si contano le fondazioni affiliate a partiti e movimenti politici. Laboratori di pensiero e di idee. Molte di queste sorte non tanto per promuovere “la formazione di una coscienza europea”, quanto con il proposito di raccogliere fondi per autofinanziare attività dei singoli “leader”.
Solo per citare le più note, si va dalla Fondazione Italiani Europei che fa capo al piddino Massimo D’Alema al premier Matteo Renzi con la sua Fondazione “Big Bang”, fino al raffinato pensatoio “Magna Carta” di Gaetano Quagliariello. Poi ancora da Montezemolo (Italia Futura) a Fini (Farefuturo), “Riformismo e Libertà” in cui compare Fabrizio Cicchitto, Tremonti (ResPublica), (Instituto Gramsci) Fassino, (Symbola) Realacci, (Trecentossessanta) Enrico Letta e poi scorrendo la fondazione “Vedrò” in cui compaiono un po’ tutti in salsa bipartisan.

Ancora Violante, Brunetta, Monti, Prodi Ciampi e molti altri da centro a sinistra passando per il centro. Sul quotidiano online partiti“Giornalettismo” l’elenco completo.
Non è dato sapere se queste fondazioni faranno domanda per accedere alle sovvenzioni dell’Ue, ma appare quantomeno singolare che siano sorte negli anni come funghi. Per promuovere cosa? Nessuno ha mai saputo spiegarlo.

Leucemia, grazie alle staminali i bambini possono guarire. Nuova tecnica per il trapianto di midollo

Bambin Gesù RomaGrazie alle cellule staminali e a una tecnica “rivoluzionaria” messa a punto dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma, i genitori di bambini con malattie per cui serve un trapianto di midollo diventano compatibili e possono salvare i propri figli. Il metodo, che ha già salvato decine di bimbi con tumori del sangue e malattie rare , è stato presentato oggi a Roma e pubblicato sulla rivista scientifica Blood.

La tecnica, hanno spiegato gli esperti, consiste nel “ripulire” le cellule del donatore, che può essere indifferentemente uno dei due genitori, eliminando solo quelle “cattive” che causano le principali complicazioni di questo intervento.  Dunque, anche in assenza di un donatore compatibile, la nuova tecnica rende possibile il trapianto di midollo da uno dei 2 genitori con percentuali di guarigione sovrapponibili a quelle ottenute utilizzando un donatore perfettamente idoneo.

laboratorioQuest’ultima frontiera del trapianto di cellule staminali è stata sperimentata anche su oltre 70 bambini affetti da leucemie acute e tumori del sangue, con percentuali di successo dell’80%. A illustrarli oggi alla stampa il direttore del Diparimento di Oncoematologia e Medicina trasfusionale del Bambino Gesù, Franco Locatelli, dalla responsabile dell’Unità trapianti midollo osseo, Alice Bertaina, e alla presenza del presidente del Bambino Gesù, Giuseppe Profiti.

Franco Locatelli
Franco Locatelli, direttore del Diparimento di Oncoematologia “Bambin Gesù”

“Grazie a questa tecnica – ha spiegato Locatelli – riusciamo a offrire a tutti i pazienti la chance del trapianto, con una probabilità di cura molto elevata. Parliamo di bambini senza donatori idonei. Uno di questi, a soli 8 mesi, era in condizioni così critiche per un’immunodeficienza primitiva che è stato trapiantato mentre si trovava in terapia intensiva. Oggi è a casa sua e ha una vita perfetta”.

I ricercatori del Bambino Gesù hanno messo a punto questa nuova tecnica di “manipolazione” delle cellule staminali che permette di scartare le cellule cosiddette “cattive” (linfociti T alfa/beta+), lasciando però elevate le cellule buone (linfociti T gamma/delta+, cellule Natural Killer), capaci di proteggere il bambino da infezioni soprattutto nei primi quattro mesi dopo il trapianto. “Questa Prelievo Midollometodica è ora a disposizione della comunità scientifica che potrà utilizzarla per tanti altri pazienti”, ha spiegato Bertaina, sottolineando come “i bambini che sono stati sottoposti alla sperimentazione sono ora guariti e possono condurre serenamente la loro vita”.

In italia nel 2013, sono stati sottoposti a trapianto di midollo osseo per malattie non maligne 125 bambini. Grazie a questa nuova frontiera, almeno altri 40 bambini l’anno, diversamente destinati a esito infausto (a causa di immunodeficienze gravi) o a dipendenza cronica dalle trasfusioni (malattia talassemica), potranno avere una chance di guarigione definitiva.

Giovanni Toti smentisce Pascale sulle unioni gay. "Il matrimonio è solo tra un uomo e una donna"

Giovanni Toti  e Silvio Berlusconi
Giovanni Toti e Silvio Berlusconi

Sabrina Cottone per Il Giornale

Onorevole Giovanni Toti, oggi piangiamo altri dieci morti in mezzo al mare. Che cosa propone Forza Italia per fermare la strage?
«L’emergenza è drammatica ed è stata causata da una scriteriata politica estera, che ha distrutto ogni accordo raggiunto dai governi Berlusconi per impedire che simili ondate di clandestini partissero. Occorre andare in Europa a battere i pugni su questo: l’Italia non può essere lasciata sola».

Quale futuro per Mare nostrum?
«Mare nostrum, nonostante le buone intenzioni è stata una politica fallimentare che ha aiutato i criminali. Servono scelte coraggiose. Se dobbiamo usare le unità navali, non facciamolo in alto mare di fronte alle nostre coste. Ma di fronte alle loro coste, per non farli partire. Lo spettacolo dei profughi per le vie di Milano è un’immagine che non fa onore al nostro Paese e all’attività del ministero dell’Interno».

Alfano ha fatto una grande apertura sul presidenzalismo rilanciato da Berlusconi.
«Berlusconi ha rilanciato la bandiera del presidenzialismo: faremo una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare. Ben venga l’apertura di Alfano: credo possa essere uno dei temi di confronto e sinergia su cui dialogare per ricostruire una federazione del centrodestra».

Propone una federazione del centrodestra?
«Confrontiamoci sui programmi reali. Come Forza Italia ha firmato due referendum della Lega perché condivisi dal centrodestra, speriamo che altre forze del centrodestra condividano questa iniziativa di Berlusconi. Siamo convinti che gli italiani siano maturi per scegliere il loro presidente. Vediamo che fa Renzi, potrebbe anche starci Grillo. Ma a noi interessa rimettere insieme la coalizione di centrodestra, da Ned alla Lega a Fratelli d’Italia».

Anche Passera ha presentato un progetto per l’area moderata.
«Passera non ha brillato come ministro di Monti. Non vedo perché dovrebbe fare meglio come leader politico. Ma aspettiamo i suoi programmi per giudicare».

Un punto di inciampo nel centrodestra sono le unioni civili e la difesa del matrimonio fondato sull’unione tra un uomo e una donna.
«Non si tratta di trasformare il matrimonio. Si tratta di garantire a tutti i diritti civili che dovrebbero essere propri a ogni uomo: condividere con chi si ama, a prescindere dal sesso, e se lo si vuole, beni e possibilità. Lasciando stare il matrimonio, che è tra un uomo e una donna, si possono trovare molti altri strumenti giuridici per fare questo. Bene ha fatto Francesca Pascale a ricordarcelo».

Forza Italia ha anche problemi di unità interna. Fitto ha disertato l’appuntamento di Napoli.
«L’importante è che le idee non disertino le assemblee di Forza Italia. Le persone sono tutte utili ma nessuna è indispensabile».

Giovanni Toti con la moglie
Giovanni Toti con la moglie

Come selezionare la nuova classe dirigente?
«Non credo che in sé ne le primarie ne i congressi da soli possano favorire il rinnovamento e il ricambio che sono necessari. Finirebbero per diventare in questo momento solo uno scontro tra politici sulla piazza da molti e molti anni che, con un’operazione gattopardesca, vorrebbero apparire come nuovi».

Sono in tanti, soprattutto i giovani del partito, a chiedere rinnovamento.
«Nessuno deve e può spiegare al presidente del partito, Berlusconi, che serve rinnovamento. È stato il primo ad auspicarlo e a battersi per questo. È stato semmai il partito a fare qualche resistenza. Occorre un percorso più articolato che parta dai territori, dai tantì giovani dirigenti e amministratori cresciuti in questi anni, che meritano di avere voce in capitolo e spazio».

Lo scandalo Mose pone ancora una volta il tema del malaffare in politica. Il modello Cantone e il decreto anticorruzione sono la risposta migliore?
«Credo che le leggi ci siano, anzi forse ce ne sono fin troppe. Basterebbe applicarle con serietà e tempismo e questo spetta alla magistratura. Alla politica spetta semplificare procedure, leggi e regolamenti. Dietro le norme di burocrazie necessarie per qualsiasi cosa in questo Paese si annida il tarlo della corruzione. Semplificare deve essere la parola d’ordine».

Fin qui il Parlamento. Che devono fare i partiti?
«Ai partiti spetta dare un giudizio netto. Non quello penale, con tutte le garanzie del caso, che tocca ai giudici, ma quello etico, morale e civile. È bene essere chiari anche in Forza Italia: nessuno può pensare di nascondere responsabilità individuali, o comportamenti meno che cristallini, dietro la nostra legittima e sacrosanta battaglia contro l’uso politico della giustizia che ha colpito il presidente Berlusconi».

Francesca Pascale rompe tabù: "Sì alle unioni gay".

Angelo Agrippa per il Corriere del Mezzogiorno

Sistemato Dudù, al quale la nuova fidanzata Dudina aveva trasmesso gli acari, tanto che il cagnolino più famoso d’Italia è stato costretto a indossare una t-shirt protettiva firmata Ralph Lauren, ecco che l’attenzione di Francesca Pascale si rivolge al futuro del partito, alla manifestazione di oggi pomeriggio a Napoli e a quello che vorrebbe diventasse il nuovo cavallo di battaglia di Forza Italia. «Ho letto che il sindaco di Napoli — esordisce — riprendendo l’iniziativa del primo cittadino di Roma, Marino, vorrebbe ratificare le nozze di coppie omosessuali contratte all’estero».
Sbaglia?
«Lui lo dice soltanto. Credo si tratti di un volgare calcolo elettorale. Specula sulle aspettative di tante coppie che si amano. Tutt’altra cosa è credere nella libertà a prescindere dagli orientamenti sessuali. Lo dico da cristiana, da cattolica, da donna che vive nella condizione di coppia di fatto: sì alle unioni civili, sì al rispetto per la libertà individuale».

Beh, lei si dichiara cattolica, ma la Chiesa non è d’accordo.
«Cristo ha detto: ama il prossimo tuo come te stesso. Non ha insegnato a fare differenza tra gay ed etero. Ecco, mi piacerebbe se il centrodestra aprisse i suoi orizzonti e affermasse: siamo liberali fino in fondo e non soltanto quando ci interessa o quando ci fa comodo. Va bene rispettare ciò che dice la Chiesa, ma la Chiesa deve rispettare anche la libertà di uno stato laico e non confessionale, altrimenti si sconfina nella discriminazione di chi non è cattolico».

Ha deciso di dichiarare guerra all’area cattolica?
«No, al bigottismo ipocrita. Forza Italia è formata da tante anime: anche quella liberale, rappresentata dallo stesso presidente Berlusconi. E per la paura di spaventare la Chiesa si fa finta di non vedere e non sentire. Si parla tanto di Europa per i problemi economici. È giusto e capisco, data la situazione di crisi. Ma sui diritti sociali, quando pensiamo di avvicinarci al resto delle nazioni europee? La libertà, per il nostro partito, è il valore principale. Ma questo principio deve essere rispettato fino in fondo».

A questo punto è facile insinuare: ecco, la Pascale vuole il riconoscimento della sua coppia di fatto.
«Io parlo della mia condizione, ma non soffro se lo Stato non vuole riconoscermela. Anche perché non ne sento il bisogno. Ho scelto io, liberamente, di convivere con un uomo divorziato e mi sta bene così. Certo, mi spiace quando, trovandomi in chiesa, il prete mi guarda dall’alto in basso e punta contro di me il suo indice accusatore per farmi capire che rappresento in quel caso il peccato. Non è quello che cerco dalla Chiesa, non intravedo, in questo atteggiamento, la Parola di Dio. Siccome non c’è soltanto la mia condizione, ma anche quella, per esempio, di tante coppie omosessuali che vogliono vivere in pace, è giusto che il centrodestra faccia la sua parte, difendendo la libertà. Da credente, ho rispetto per il matrimonio, soprattutto per quello cristiano: credo nella famiglia tradizionale, ma, da liberale, sono convinta che lo Stato debba rispettare le scelte e gli stili di vita di ciascuno. Questo significa che se due persone, per scelta o per necessità, non possono o non vogliono formare una famiglia, non per questo lo Stato può negare loro il diritto di vedersi riconosciuto il loro legame. Anzi, alla destra vorrei dire—e non appaia come una esortazione cinica — approfittiamone ora che c’è un Papa liberale, che ha mostrato significative aperture verso divorziati e omosessuali».

Non teme che questa sua riflessione susciterà polemiche?
«Sì, già mi aspetto le telefonate: la colpa sarà come al solito del ‘‘cerchio magico’’ che ancora non ho capito cosa sia».

Berlusconi e PascaleOgni tanto lei torna a Napoli. Ci sarà anche oggi per la manifestazione di Forza Italia alla Mostra d’Oltremare. Come la trova?
«Lo dico con dolore, perché Napoli non soltanto è la mia città, la città che amo, ma è uno dei luoghi più belli del mondo, grazie solo ai doni del buon Dio: il bilancio è profondamente negativo. Non lo penso solo io, lo pensano i tanti che hanno creduto in de Magistris, nelle sue promesse, e vedono sprofondare nel degrado una città che meriterebbe ben altro rispetto dalla classe dirigente che l’ha governata da decenni a questa parte. Da napoletana, mi dispiace moltissimo. Non uno dei problemi di Napoli, che sono tanti e antichi, è stato, non dico risolto, ma neppure affrontato. Basti pensare alla criminalità e alla micro criminalità sempre in aumento, alla raccolta differenziata che è ferma, o alla manutenzione stradale in stato di abbandono. Su Bagnoli e sulla bonifica, poi, c’è il fallimento dei fallimenti. Napoli e i napoletani sono abbandonati a loro stessi e all’arte dell’arrangiarsi. Quanto alla politica, vige l’anarchia per incapacità amministrativa. De Magistris è rifiutato da tutti, anche dai suoi vecchi amici, e ora s’offre a Renzi: è una mortificazione per la città, come se si trattasse solamente di un mercato di poltrone e quindi di potere. Nascere a Napoli dovrebbe essere un privilegio, oggi invece per un giovane rischia di esser e una condanna».

Su quale candidato punterebbe per sfidare de Magistris e la sinistra alle prossime elezioni amministrative?
«Non è questo il momento per fare dei nomi, ma ritengo che Forza Italia abbia le persone giuste per vincere la sfida. Da Martusciello a Lettieri a Mara Carfagna».

Carfagna non è scivolata nel cono d’ombra per aver stretto un patto con Fitto?
«Non penso che Mara sostenga Fitto. Penso che lei e Fitto sostengano Silvio Berlusconi».

La serie tv Gomorra, andata in onda su Sky, ha ottenuto un significativo successo di pubblico. Lei l’ha vista?
«Sì, l’ho vista con curiosità e con un occhio vicino alla mia città, dato che quella realtà l’abbiamo conosciuta tutti. La serie tv mi è piaciuta, ma lo dico con amarezza. Giacché so bene che Napoli non è soltanto quella lì che è stata raccontata. Anzi, quella realtà drammatica esiste perché le istituzioni non hanno mai provveduto a fornire opportunità di riscatto per tante gente».

E Caldoro sarà ricandidato alla presidenza della Regione?
«È una decisione che spetta al presidente Berlusconi e agli organi di Forza Italia, non a me. Per quanto riguarda la mia opinione personale, mi pare naturale ricandidare chi ha governato bene, con impegno, con onestà cristallina, ottenendo importanti risultati nelle condizioni più difficili, proprio come ha fatto il presidente Caldoro. Dopo i disastri del predecessore ha saputo rimediare senza demagogia e senza protagonismi alle situazioni di emergenza. La sua reputazione è brillante, è un eccellente amministratore, un instancabile lavoratore. Basti pensare al miracolo del pareggio di bilancio in sanità: per la prima volta nella storia, dopo che nel 2009 aveva un deficit di 850 milioni, la Regione oggi si trova a non avere più debiti». Torniamo a Forza Italia. Come sarà il nuovo partito: quello che nascerà, probabilmente, dal sacrificio di buona parte della vecchia classe dirigente, compresi i signori del consenso, e dall’ascesa dei cosiddetti volti nuovi? «Anzitutto, spero che il partito non dimentichi le proprie origini: di essere più vicino alla gente che alle poltrone. Mi auguro che non sia un partito litigioso, ma unito così come è stato fondato da Silvio Berlusconi: un partito che riconosca la leadership, senza se e senza ma, del nostro presidente. Non si può dire: Berlusconi non si tocca. E nello stesso tempo lavorare per togliergli tutto il potere decisionale».

Roma, Silvio Berlusconi commosso tra i sostenitoriPerché le primarie non possono essere lo strumento giusto per rinvigorire la democrazia interna a Forza Italia?
«Perché il nostro partito ha una identità diversa: non possiamo scimmiottare gli altri per sentirci democratici. La guida di Silvio Berlusconi ci ha portati a vincere per tanti anni. Ora dovremmo celebrare le primarie, ma per fare cosa: per nominare il responsabile del tesseramento? Viceversa, le primarie di coalizione possono essere uno strumento utile per scegliere i candidati comuni. Occorre ricostruire l’organizzazione dai territori, dopo i tradimenti di Fini e di Alfano. E poi tanti che oggi inneggiano alle primarie sono stati nominati ministri e parlamentari, ma loro le primarie non le hanno mai fatte».

Con chi ce l’ha?
«No, con nessuno. Ma un conto è aprire un dibattito vero, un altro è imporre con prepotenza la propria linea».

Come pensa di recuperare la fascia di dissenso rappresentata da Fitto e da Forza Campania?
«Con il buon senso. Il collante sarà, ancora una volta, Silvio Berlusconi. Forza Campania non so perché è nata: una volta leggo che è contro Caldoro, un’altra che è contro il ‘‘cerchio magico’’, un’altra ancora che è pro-Cosentino. Non so. Veda, noi siamo viziati dalla personalità di Berlusconi. Adattarsi a un nuovo leader, anche se ora non c’è ancora, sarà comunque difficile, poiché il confronto con il leader fondatore sarà sempre pesante. È come avere il numero 10 del Napoli dopo Maradona».

È riuscita a convincere Berlusconi a tifare Napoli?
«Silvio, quando non gioca il Milan, tifa per il Napoli. Io sono stata pesantemente criticata, una volta, per aver esultato ad un gol del Milan a San Siro. Voglio chiarire subito: esultavo per il gesto sportivo, ma non tradisco la mia squadra».

Quali ferite lasciano in Forza Italia le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto prima Cosentino, poi Scajola e ora Galan?

«Forza Italia non è il partito dei corrotti. È il movimento il cui capo e fondatore è un perseguitato dalla giustizia. E la nostra battaglia contro l’uso politico della giustizia continuerà. Quanto ai corrotti, anzi ai presunti corrotti, guai a chi crede di confondere la sua posizione con quella di Berlusconi. Siamo garantisti, ma non giustificazionisti. Per riconquistare la fiducia della gente la politica e i politici non possono permettersi nessuna ombra, nessuna zona grigia, servono comportamenti specchiati, non solo legalmente, ma anche moralmente e che siano di esempio. Non colpevolizzo nessuno, però Berlusconi non si è mai arricchito con la politica. Nessuno gli ha regalato mai nulla, anzi».

A Napoli corre voce che in tanti si recano da suo padre per chiedere aiuto, perché attraverso lei possano risolvere qualche problema occupazionale. È vero?
«Non solo è vero, ma sono tante anche le lettere con richieste di aiuto che mi giungono sia ad Arcore che a Palazzo Grazioli. È il segno della disperazione di tante persone. Mi rattrista tantissimo. Il 99 per cento sono richieste di lavoro. E questo la dice lunga sulla condizione dei miei concittadini».

Fitto parte dalla Calabria per rinnovare Forza Italia. A Napoli il rottamatore azzurro spinge per le primarie

Berlusconi Toti Fitto e Miccichè
Berlusconi Toti Fitto e Miccichè

Simona Brandolini per il Corriere del Mezzogiorno

Raffaele Fitto, eurodeputato da record nella debole Forza Italia, lascia il segno della sua presenza a Napoli il giorno prima della manifestazione ufficiale del partito organizzata da Giovanni Toti, suo competitor. Non è casuale, dopo le polemiche dei giorni scorsi. Fitto prima convoca un evento di ringraziamento nella stessa data di quello del partito, a cui peraltro non è invitato, poi l’annulla.

Infine un incontro con gli industriali partenopei «per parlare di cose concrete, di fondi europei, per ascoltare». Il rottamatore azzurro incontra i giornalisti al Centro direzionale. Tentativi di domande. Come mai ha prima convocato e poi annullato la manifestazione napoletana?

«Ho già risposto sul mio blog». Come mai non va domani? «Ho già risposto anche a questo». Allora perché è a Napoli? «Per gli industriali». Un inutile tira e molla. Ma poi qualcosa la tira fuori, in gergo diremmo: dà il titolo. E cioè che le primarie a livello nazionale non sono un capriccio o una moda del momento, ma uno strumento essenziale per selezionare la classe dirigente secondo il merito. E «il merito in politica è la legittimazione popolare».

Che lui, per carità, ha avuto eccome: 284.712, mica bruscolini, il secondo in Italia dopo la democratica Simona Bonafè. Da quell’altezza qualcosa da dire ce l’ha sul partito ed è legittimo. E quindi sempre sulle primarie «servono più dei congressi per scegliere i coordinatori regionali. Primarie e selezioni dal basso». E sì, visto che in Campania si vota l’anno prossimo, anche «per i candidati alle regionali». Mara Carfagna potrebbe essere un buon governatore della Campania? Torna a sfuggire: «Perché mi fate queste domande? C’è un presidente della Regione adesso, Caldoro. Stiamo parlando degli strumenti, queste sono domande che vanno oltre gli strumenti. Quando sarà il momento parleremo di questo».

Torna il sereno: «Il tema centrale è chi siamo e cosa vogliamo comunicare — spiega —. Il tema centrale è capire perché i nostri elettori non hanno votato e si sono astenuti. Dunque dalla prossima settimana comincerò un tour di ascolto prima nelle sei regioni della circoscrizione Sud, a partire dalla Calabria. E poi in tutta Italia. Credo che sia utile a tutti, non faccio nulla contro qualcuno, ma tutto in favore del partito».

Certo che nelle file berlusconiane, diciamo pure nell’apparato, a parecchi fischiano le orecchie. Rivendica il fatto di non essere più nei «retroscena» politici, ma «sulla scena». Uno che ci mette la faccia (espressione ormai abusata). «Chiedo una riflessione serena e positiva», non è un delitto, ha ragione Fitto su questo, «perché ho sentito molte critiche dai nostri elettori». Una su tutte: chiarezza nei confronti del governo. «Siamo all’opposizione e deve essere chiaro e netto. Non dobbiamo confondere l’elettorato che si è sempre sentito rappresentato e stavolta no».

Capitolo partito campano. Come considera il coordinatore De Siano? «Non personalizzo mai e continuerò a non personalizzare. In generale serve aprire una discussione sull’organizzazione del partito». E sul fatto che ci sia un’anomalia a livello regionale dove coesistono, non sempre in armonia, Forza Italia e Forza Campania? «Mai entrato nel merito. Detto questo anche in Campania bisogna aprire una discussione a 360 gradi. Però per concludere perciò servono regole, quando ci sono non c’è ragione del contendere. E poi dobbiamo aprirci alla modernizzazione del partito».

Se non rottamatore, modemizzatore dunque. Chiusa la conferenza stampa, messo il paletto su Napoli. Guardandosi in giro però si capisce chi sostiene Fitto in Campania e perché allora tanti malumori. Ci sono i cosentiniani, a partire dal consigliere regionale Massimo lanniciello, in un angolo ma presente. Ci sono la pasionaria avvocatessa Rosa Criscuolo, fondatrice di un movimento pro Cosentino e ultima ad aver cenato con Claudio Scajola prima dell’arresto. C’è la Mara Carfagna, la cugina della deputata salernitana. C’è anche Peppe Fontana, leader degli under 30 cosentiniani. Mancherà qualcuno all’appello, quanto a uomini del partito di Fìtto, almeno di conosciuti non c’è proprio nessuno.

Dell'Utri estradato in Italia dal Libano. Sconterà 7 anni per associazione mafiosa

Marcello Dell'Utri in volo verso l'Italia
Marcello Dell’Utri in volo verso l’Italia

L’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, è stato estradato stamattina dal Libano in Italia. Dell’Utri, accompagnato da agenti dell’Interpol, è arrivato all’alba a Fiumicino proveniente da Beirut e su un’ambulanza è stato trasferito nel carcere di Rebibbia, dove sarà affidato al reparto infermeria.

Con lui a bordo dell’aereo ha viaggiato anche la figlia e un nutrito gruppo di cronisti. Appena giunto a Roma, gli ufficiali e funzionari della Dia arrivati da Palermo hanno notificato a Dell’Utri l’ordinanza di esecuzione della pena a 7 anni di reclusione.

Il provvedimento era stato emesso dalla Procura generale di Palermo subito dopo la sentenza della Cassazione con la quale è diventata definitiva la condanna dell’ex senatore per concorso esterno in associazione mafiosa. “Abbiamo provato a parlare con lui durante il volo – ha detto una giornalista che ha viaggiato sullo stesso aereo di Dell’Utri – ma siamo stati sempre bloccati. Siamo riusciti solo ad ottenere alcuni sorrisi e la battuta “sono stanco”.

L’ordine di estradizione era stato sollecitato dall’ex compagno di partito Angelino Alfano, oggi ministro dell’Interno e leader Ndc. In passato sono state aspre le polemiche tra i due con Dell’Utri che lo aveva accusato di non avere “le palle” per fare il segretario dell’allora Pdl. Fu l’inizio di un lungo travaglio che ha portato poi Alfano a lasciare Berlusconi per fondare il Nuovo Centrodestra, oggi alleato della sinistra di Renzi al governo.

Non è escluso che l’ex parlamentare venga interrogato già nelle prossime ore su un’altra vicenda giudiziaria che ha portato agli arresti l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola e Chiara Rizzo, moglie dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, “latitante” a Dubai.

Nessuno tocchi il "fortino" Rai. L'azienda rifiuta i tagli e costringe gli operai a scioperare per tutelare i loro stipendi d'oro

sciopero raiNessuno tocchi il “fortino” della Rai. Non è stato lo slogan dello sciopero indetto ieri dai dipendenti Rai in tutta Italia ma l’essenza del messaggio lanciato da chi – come i vertici aziendali – rifiuta qualsiasi prospettiva di taglio o revisione dei costi.  Dalla manifestazione di ieri si è avuta l’impressione che i vertici aziendali, facendo presente il rischio di pesanti “ricadute negative” agli anelli più deboli della catena Rai, abbiano “costretto” in avanscoperta proprio le persone maggiormente esposte.

Una furbata, potremmo definirla. Come il vecchio adagio: “armiamoci e partite”. Non si nono visti in piazza i membri del Cda protestare, né manager e consulenti strapagati, né i conduttori paperoni. Men che meno quei giornalisti blasonati remunerati a vita con somme da capogiro. Allo sciopero hanno partecipato tecnici e impiegati, magazzinieri che seppure stabilmente assunti senza concorso in un’azienda pubblica sono sempre l’anello debole. Ieri è stata una giornata molto “calda” con momenti di tensione e contrapposizioni all’interno dell’azienda. Il governo ha tuttavia fatto sapere di non voler retrocedere rispetto al taglio di 150 milioni di euro previsto dal decreto Irpef.

Intanto, è tornato a parlare di canone il sottosegretario alle telecomunicazioni Antonello Giacomelli. «Il canone Rai – ha detto l’esponente di governo intervenendo a Roma – è la tassa più odiata, la più evasa e la più ingiusta, perché fa pagare allo stesso modo poveri e milionari». «Non è nostra intenzione – ha aggiunto l’esponente del Pd – lasciare la questione del canone ai governi che verranno dopo di noi. È nostra intenzione aprire un grande dibattito sulle modalità di finanziamento del servizio pubblico televisivo, che deve avere risorse certe, con l’obiettivo di arrivare alla fine dell’anno con una proposta organica del governo.

La funzione di servizio pubblico non è più un’esclusiva solo della Rai, perché specie a livello locale ci sono forme di servizio pubblico diffuso. Non so se si possa parlare, in questo caso, di sussidiarietà, ma certamente possiamo usare la parola complementarietà». Secondo il presidente della Fondazione per la sussidarietà Giorgio Vittadini «è buona l’idea di una consultazione con i corpi sociali perché non possono essere soltanto i politici a occuparsi del futuro della televisione in Italia».

La questione de Canone è argomento spinoso su cui da tempo si stanno confrontando azienda, governo e parlamento. E’ giusto o non è giusto pagarlo? Il dilemma è capire la legittimità costituzionale della tassa, lasciando da parte i pareri dell’Ue che non sono affatto vincolanti. Dal nostro punto di vista non lo è; e non tanto per la scarsa efficienza del servizio, quanto per una tassa configurata come tributo per il possesso della Tv e non per il servizio pubblico Rai.

Se si tratta di una tassa applicata al proprietario di una tv, il governo e l’azienda spieghino una cosa: perché se l’utente che possiede due, tre schermi deve pagare soltanto una imposta, mentre i possessori di due, tre case o due o tre auto il contribuente deve versare all’erario due o tre volte l’Imu oppure due o tre volte il bollo? La logica suggerisce che siamo davanti a una discriminazione fiscale.

Diversamente se il tributo viene imposto per la fornitura di un servizio non può essere definito “tassa” ma un servizio in licenza che come tutti i servizi in licenza può essere accettato o liberamente revocato. Ecco il nodo da sciogliere. Va da sé che con questo ragionamento il canone Rai deve essere abolito per dare semmai spazio a forme di finanziamento diverse. Ad esempio tramite abbonamento, lasciando in ogni caso integro il servizio pubblico (quello informativo, gli eventi di portata nazionale, i temi legati alle minoranze e tutto ciò che è di scarso interesse) da finanziare i larga parte con introiti pubblicitari, in piccolissima parte con trasferimenti dello Stato e facendo soprattutto leva sul risparmio dei costi (o meglio sprechi) aziendali.

Sarebbe ora di smetterla di remunerare con fior di milioni manager, conduttori e consulenti. E non sarebbe del tutto sbagliato un taglio netto (altro che contributi di solidarietà) anche agli stipendi di blasonati giornalisti, corrispondenti, direttori e super direttori di sedi che percepiscono centinaia di migliaia di euro l’anno con premi di produzione, super benefit, liquidazioni esorbitanti e vitalizi d’oro. Tutto ciò quando gli italiani sono costretti a stringere la cinghia fino all’osso. Quando i tribunali, per esempio, sono senza risme di carta nè carburante per esercitare il loro operato non si può consentire ad un’azienda piena di debiti e sprecona di rimanere blindati nel loro fortino. Questo Renzi l’ha capito e fa bene ad andare fino in fondo per levare ogni margine di autoconservazione alla casta degli “intoccabili”.

Cannibali in Pakistan, condannati per aver mangiato cadaveri

Cannibali in Pakistan, condannati per aver mangiato cadaveriCannibali. Due fratelli pakistani sono stati condannati a 12 anni di carcere per avere mangiato la carne di cadaveri che avevano trafugato dalle tombe.

Il tribunale nel distretto orientale di Sargodha, che li ha condannati in base alla legge antiterrorismo, come ha riferito all’agenzia di stampa Dpa il procuratore della polizia Muhammad Anwar Khan, ha anche disposto che entrambi paghino una multa di 700mila rupie (7.100 dollari).

I fratelli cannibali, che hanno 40 e 37 anni, sono stati arrestati ad aprile nella città di Darya Khan nella regione del Punjab ed è la seconda volta che vengono incarcerati.

I Cannibali erano stati dimessi nel 2013, dopo avere scontato due anni per avere trafugato corpi da un cimitero e averne mangiato la carne. In quest’ultimo caso i due sono stati processati in base alla legge antiterrosimo per garantire una pena maggiore, dal momento che in Pakistan non esiste alcuna legge che stabilisca una pena per il cannibalismo.

L’Italia non fa figli ma importa quelli altrui. Il valore di restituire il Dono della Vita nell’era dell’egoismo

signori anziani

Un paese che non fa figli muore. Per sopravvivere “importa” i figli altrui, che a loro volta si occupano dei nostri genitori o nonni troppo in là con l’età. Un tempo, quando nel primo e secondo dopoguerra non c’era da mangiare (nel senso stretto) e la crisi mordeva, i nostri avi proliferavano senza calcoli preventivi, senza pensare troppo al futuro della loro prole, alle loro aspettative. Li mettevano al mondo e basta, i figli! Che poi quei “figli” siamo noi.

Ed è grazie a loro che siamo quì oggi; grazie ai loro sforzi e sacrifici che siamo “spettatori” e “protagonisti” dell’universo. Osserviamo, interagiamo, scriviamo e ci confrontiamo. Viviamo il nostro tempo. I nostri avi ci hanno dato la possibilità di dare una “sbirciatina” sul mondo senza chiedere nulla in cambio. Al contrario dell’egoismo perverso – frutto di una certa cultura sessantottina – che “impedisce” di guardare al di là dell’ego e delle carriere personali.

Il mondo odierno, quello ipocrita che staziona nei cosiddetti paesi industrializzati, non è capace (o ignora) di recepire l’insegnamento dei nostri nonni o genitori che in condizioni veramente estreme dava “naturale” continuità alla cosiddetta “stirpe”: di figlio in figlio, di nipote in nipote…Quell’egoismo è l’equivalente delle bende con cui metaforicamente saremo condannati all’oblio, costretti al patibolo della nostra esistenza. Soli e desolati, accompagnati dal “boia” che, nel caso, è il cieco egoismo che vive dentro il nostro effimero.
La vita è un “Dono” e come tale va restituito!

bambiniAbbiamo il dovere di restiuirlo questo dono poiché è sacrosanto dare ai posteri la stessa nostra opportunità di affacciarsi al mondo, seppure per un “istante cosmico”. Percorrere il “sentiero unico” di quella “cultura” imperante nel mondo contemporaneo significa l’autodistruzione di quei popoli che si sono generati gioiosi per millenni. Se i nostri avi fossero cresciuti con questa mentalità relativista non staremmo quì a parlarne. Semplicemente perché non c’eravamo.

E, come oggi, sarebbe stato tardivo il rimpianto senile di chi avrebbe potuto essere “generoso” donando, ma ha deciso di “godersi” da solo tutto il “balconcino” sul mondo per poi lasciarlo vuoto e desolato.

Dovrebbe dunque prevalere la cultura del “diritto” alla vita e all’esistenza anche per chi “Essere” ancora non è, ma lo “è in potenza”, come scriveva Aristotele. E’ nostro “dovere” imperativo (eccetto per coloro che realmente non possono…) restituire il dono della vita. In questo Renzi, attraverso massicci incentivi alla natalità (non come i 5mila euro di prestito dalle banche che varò il governo Berlusconi), dovrebbe fare tantissimo per ringiovanire un paese troppo vecchio e senza bambini. Anche la Chiesa cattolica di Papa Francesco dovrebbe favorire questo processo in Italia. Non a parole o pregando, ma aprendo in concreto i caveau dello Ior per sostenere con denaro vero le famiglie e riempire la culla del cattolicesimo.

Export, crolla al sud. Renzi agisca su concorrenza sleale.

exportL’export italiano segue l’ombra della crisi. Nelle regioni del Sud e delle Isole nel primo trimestre del 2014 rispetto ai tre mesi precedenti il dato peggiora. Un’indicazione che la dice lunga sulle prospettive di crescita annunciate dagli organismi di governo europeo e italiano.

Il Mezzogiorno, secondo l’Istat, l’export mostra una flessione del 3,5%, contro l’andamento stazionario del Nord Ovest e il +0,9% del Nord Est e il +1,9% del Centro. In confronto allo stesso periodo dell’anno precedente, però, il Sud mostra un +5,6%, seguito dal +4,5% del Nord Est e dal +1,7% del Nord Ovest.

Flette dello 0,9% il Centro, mentre le Isole fanno segnare un deciso -16,5%. Le esportazioni sono un indicatore per misurare in parte i livelli di competitività. L’Italia a causa dei vincoli e paletti europei non compete da anni non tanto per le cosiddette “riforme strutturali” da avviare, quanto per la spietata concorrenza sleale dei paesi emergenti entrati prepotentemente nel Wto. Quindi, Renzi può fare tutte le riforme che chiedono i burocrati di Bruxelles, ma se non agisce sulla causa della concorrenza spietata di cinesi, indiani, russi, brasiliani ecc., è davvero impossibile poter creare crescita e occupazione.

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