5 Ottobre 2024

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Isis, da sbarchi in Italia la “bomba Ebola” contro Europa e Usa

Barack Obama
Barack Obama: “Ebola fuori controllo” E manda 3mila marines in Africa contro sbarchi (photo AP/Dharapak)

L’Isis, l’organizzazione terroristica islamica, starebbe preparando “un attacco” di dimensioni catastrofiche in Europa sfruttando i flussi migratori dai paesi rivieraschi verso l’Italia. L’obiettivo dei miliziani è fare imbarcare gli infettati di Ebola sulle carrette della speranza nel tentativo di dar vita, via Sicilia e Calabria, alla più grande epidemia nel vecchio continente.

“Un’arma di distruzione di massa” latente, nascosta nelle cellule delle persone infette (provenienti prevalentemente da Guinea, Liberia, Nigeria, Congo, Mali e Sierra Leone) fatte imbarcare – corrompendo gli scafisti – con la scusa di una improbabile guarigione in Occidente, celando agli sfortunati “pazienti” la verità e l’obiettivo vero dell’autoproclamato stato islamico: non esistono cure per questo virus e moltiplicare a dismisura l’epidemia tra gli abitanti europei. La notizia di un attacco bioterroristico era stato già diffuso nei mesi scorsi da Asante Darko, medico del New Crystal Hospital della capitale del Ghana.

Militanti dell'Isis
Militanti dell’Isis

Le istituzioni italiane e Bruxelles (che nel frattempo stanno preparando un piano di emergenza) tranquillizzano per non creare allarmismi. “Non c’è alcun pericolo dai flussi migratori”.

Una posizione, quella Ue, ambigua e dannosa che va in nettissimo contrasto con quella chiaramente espressa dal presidente Usa Barack Obama, che ha fiutato fin troppo bene che l’Is è pronto a colpire coi portatori di Ebola per infettare l’Europa e di conseguenza gli Stati Uniti. E mentre Bruxelles prende con calma la minaccia, la Casa Bianca annuncia che invierà sulle coste nord africane 3000 militari con lo scopo di presidiare gli imbarchi.

“E’ una questione di Sicurezza nazionale”, fa sapere Obama il quale teme una bomba bioterroristica di vaste proporzioni. Il virus, originato in Congo, è dilagato in Guinea, Liberia, Nigeria, Ghana, Senegal, Congo, Mali e Sierra Leone, paesi dell’Africa occidentale a maggioranza musulmana dove “l’ideologia” dell’Isis fa presa e non si ha nessuna difficoltà a fare proseliti, essendo un movimento molto più potente di Al-Qaida sia in termini economici che sul piano militare.

Il Virus Ebola
Il Virus Ebola

Il virus Ebola è spesso fatale per l’uomo. La malattia si manifesta con febbre emorragica, accompagnata da vomito e diarrea. Emorragia negli organi interni, cefalea, dolori articolari e muscolari. E finora, ironia della sorte per gli sventurati, non esiste un vaccino. Il contagio avviene attraverso il sangue, per ferite o via mucose (fluidi corporei). Anche il contatto con la sudorazione può rappresentare un pericolo, così come la trasmissione per via aeree, anche se questa trasmissione non è documentata. L’incubazione è da qualche giorno a tre/quattro settimane dopo il contagio.

Non è vero quindi, come sostiene qualcuno, che per via della malattia le persone infette e debilitate non riuscirebbero ad arrivare sulle coste del maghreb per imbarcarsi verso l’Italia. L’Isis potrebbe trasportarli in pochi giorni dal Mali o Ghana dalla Sierra con elicotteri, aerei e mezzi militari. Che sia possibile, inoltre, ce lo fanno sapere le decine di malati di Ebola registrati in Italia e in Europa di cui è stata minimizzata la portata. Dove hanno contratto il virus? In Africa occidentale. Di certo non in Australia. I casi esistono eccome. Altra lampante ammissione arriva proprio dalla volontà di Obama di inviare marines a presidiare i porti del nord Africa. Per muoversi il presidente degli Stati Uniti d’America un motivo serio ci sarà. Se non c’era pericolo, perché rispedire un contigente nel continente nero proprio per vigilare su Ebola? Ma il punto non è poi tanto questo. Volendo, l’Isis potrebbe spedire sui barconi di migranti il virus letale attraverso animali morti infetti.

Sostiene infatti l’Organizzazione Mondiale della Sanità che “il virus Ebola si è introdotto nella popolazione umana attraverso lo stretto contatto con il sangue, secrezioni, organi o altri fluidi corporei di animali infetti. In Africa, l’infezione è stata documentata attraverso la movimentazione di scimpanzè infettati, gorilla, pipistrelli, scimmie, antilopi e istrici trovati ammalati o morti o nella foresta fluviale.

Una carretta del mare carica di migranti a Lampedusa
Una carretta del mare carica di migranti a Lampedusa

Ebola si diffonde poi nella comunità da uomo a uomo mediante l’infezione causata dal contatto diretto (attraverso la pelle rotta o mucose) con il sangue, secrezioni, organi o altri fluidi corporei di persone infette, ancorhcé con il contatto indiretto con gli ambienti contaminati con tali fluidi. Anche il contatto coi defunti infetti, durante Cerimonie funebri, può rappresentare un rischio per la trasmissione del virus. Gli uomini che sono guariti dalla malattia possono ancora trasmettere il virus attraverso il loro sperma per un massimo di 7 settimane dopo il recupero dalla malattia”.

L’Oms ha detto che finora Ebola ha fatto 2500 morti in Africa. Whashington è invece molto preoccupata: “Ormai il virus è fuori controllo”. L’America è soprattutto perplessa per l’inerzia di Bruxelles, per questo ha deciso di agire “autonomamente”, facendo ciò che da tempo avrebbe dovuto fare l’Unione europea.

Sbarco di 1600 immigrati a Reggio Calabria
Sbarco di 1600 immigrati a Reggio Calabria

L’Italia dal canto suo è disarmata. Fallite le operazioni “Mare nostrum” e “Frontex” aspetta direttive dell’Unione per partecipare al piano di emergenza contro Ebola. Il governo Renzi sottovaluta la minaccia Ebola, mentre avrebbe il dovere di dichiarare ufficialmente lo stato di “allerta” nelle regioni interessate agli sbarchi. In presenza di casi derivanti da sbarchi, l’Italia non è preparata per l’emergenza Ebola, ovvero è in grado di “contenere” (non curare) qualche decina di pazienti infetti lungo tutta la penisola.

Locandina del Ministero della Salute per i viaggiatori verso l'Africa
Locandina del Ministero della Salute per i viaggiatori verso l’Africa

L’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, che dispone dell’unico laboratorio a massimo livello di bio-contenimento del Paese, è stato invitato con una circolare ad aprile a fornire al ministero della Salute, ed alla Regione Lazio, “una descrizione delle capacità diagnostiche disponibili e sulle procedure per l’attivazione delle procedure diagnostiche”.

Il ministero guidato da Beatrice Lorenzin, che sul piano informativo ha divulgato rischi e pericoli ai viaggiatori sul virus Ebola, ha emanato altre circolari agli enti preposti governativi e territoriali con l’invito a tenere alta la sorveglianza. Ma nel caso di arrivi di massa con infetti il nostro paese al momento non sarebbe in grado di fronteggiare l’emergenza né allestire aree di quarantena sicuri per la popolazione. L’Oms ha dato linee guide di comportamento in caso di ondate massicce di persone infette.

Nel Sud Italia, Sicilia e Calabria in particolare, si registrano decine di sbarchi a settimana con migliaia di migranti che fuggono da guerre e carestie. Tra questi, l’Isis – secondo ciò che ha fatto intendere il presidente Usa – vorrebbe “infiltrare” uomini e donne infettate dal virus Ebola con conseguenze devastanti in Italia ed Europa.

Referendum Scozia, Londra trema per l'indipendenza dei "sudditi"

Yes Scotland campaign
Una delle campagne scozzesi di Yes Scotland

Londra e Buckingam Palace tremano e hanno mobilitato, supportati da Ue e Usa, tutta la forza di cui sono capaci per diassuadere gli scozzesi a scindersi dalla corona. I “sudditi” questa volta fanno sul serio e si capisce dagli interventi di autorevoli esponenti del mondo occidentale, compresa la regina Elisabetta, che non ha mai fatto una dichiarazione in vita sua.

In caso di vittoria del “no” all’indipendenza in Scozia ci sarà un forte cambiamento, “non è più possibile lo status quo”. Il premier britannico David Cameron alza la posta per scongiurare la secessione, assicurando che la campagna elettorale ha cambiato tutto e che “non ci sarà più un ritorno” al passato.

Una marcia indietro rispetto alle dichiarazioni di qualche ora prima in cui il PM britannico minacciava: “Se andate via sarà per sempre”. “Se vince il “no” – è invece la sua promessa di ieri sera – ci sarà un programma senza precedenti di devolution, con nuovi poteri al Parlamento scozzese in materia di tasse, sYES Scotland logopesa pubblica e welfare”.

Tutti i poteri internazionali sono scesi in campo per “influenzare” il voto del 18 settembre 2014. Usa e Ue compatti nel minacciare presunti “rischi” di un distacco dalla monarchia, sebbene vi siano molti casi, basti guardare all’Europa dell’Est in cui l’indipendenza degli stati dall’ex Unione sovietica era perorata e finanziata dall’occidente.

Gli stessi Usa sono una nazione che per l’Indipendenza ha fatto una guerra sanguinosa nel ‘766 e vive sulla righe della carta dell’Indipendenza. E’ evidente che una eventuale rottura metterebbe in serie difficoltà non tanto la Scozia, ricca di petrolio e materie prime, quanto l’Inghilterra che dovrà ripensare la sua “autonomia” monetaria. Le lobby finanziarie hanno paventato “catastrofe” economiche per la Scozia libera e indipendente, ma non è vero.

Al via l'anno scolastico, Renzi e i ministri in visita per l'Italia. Giannini annuncia la riforma

Stefania Giannini ministro dell'struzione
Stefania Giannini ministro dell’struzione

Iniziativa inedita, da parte del governo, per celebrare l’inizio dell’anno scolastico 2014/2015. il premier Matteo Renzi e 12 suoi ministri inaugurano il nuovo annoin diverse città d’Italia. Se il presidente del Consiglio è a Palermo, al quartiere Brancaccio, nella scuola di Don Pino Puglisi, tre ministri (Giannini, Istruzione; Madia, Funzione Pubblica; Franceschini, Beni culturali) sono a Roma.

Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi apre l’anno delle elementari di Laterina, in provincia di Arezzo, Giuliano Poletti (Lavoro) è a Imola, il responsabile della Giustizia Andrea Orlando a La Spezia, il ministro dell’Ambiente Galletti a Bologna. Maurizio Lupi, ministro dei Trasporti, è a Milano, il ministro Martina (Politiche agricole) a Bergamo, il suo collega allo Sviluppo economico, Federica Guidi è a Modena. Roberta Pinotti (Difesa) è al Liceo scientifico Fermi di Genova mentre Maria Carmela Lanzetta (Affari regionali) è a Locri (Reggio Calabria).

Intanto la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini dalle colonne di Repubblica anticipa la riforma probabilmente per la prossima stagione. Sarà la “Buona Scuola”, una riforma articolata che favorisce qualità della scuola nel suo complesso. “L’esame di maturità – ha detto Giannini – deve perdere quell’aspetto da giudizio divino, che tra l’altro lo ha fatto diventare costoso. Deve riprendere un ruolo di appuntamento di sintesi di un anno scolastico, addirittura di un ciclo”.

Per quanto riguarda la stagione 2015-2016 “dovremo tornare ai commissari interni, niente più convocazioni da lontano. E un presidente di garanzia, che non deve arrivare per forza da fuori provincia. Chiuderei l’esperienza della tesina di fine anno, un atto compilativo che è diventato solo un fiore al bavero, una collanina graziosa. Gli studenti dovranno presentare un progetto che riguardi tutto l’anno trascorso: un lavoro più teorico per i licei e un prodotto finito per i tecnici. Ascolteremo i pareri, (anche dei sindacati) in questi due mesi, anche su questo argomento”.

Svezia, boom dell'ultradestra di Jimmie Åkesson. Triplicati i voti. Battuti i conservatori. Vince la sinistra con Verdi e postcomunisti.

Il leader del Sveriges Demokraterna Jimmie Åkesson
Il leader del Sveriges Demokraterna (ultradestra) Jimmie Åkesson

Il Sveriges Demokraterna (Svezia Democratica), movimento euroscettico che fa capo a Jimmie Åkesson, leader nazionalista di estrema destra, triplica quasi i voti rispetto alle ultime consultazioni. I Democratici, secondo le primissime proiezioni passano dal 5,7% di quattro anni fa a oltre il 13%. In un primo exit poll di YouGov erano al 10,5%.

Åkesson è la vera novità nelle elezioni per il rinnovo del parlamento e ricalca il risultato delle elezioni europee del 25 maggio scorso, dove partiti e movimenti euroscettici hanno stravinto un po’ dappertutto, sebbene in un ordine sparso tale da non consentire un’aggregazione compatta al Parlamento di Strasburgo.

Il premier uscente Fredrik Reinfeldt (lapresse)
Il premier uscente Fredrik Reinfeldt (Lapresse)

A conquistare il governo, nel rispetto del principio dell’alternanza, sempre secondo le prime proiezioni sono i  sono i socialdemocratici di Stefan Lofven, partito che avrebbe poco meno del 44% in un’alleanza che va dai Verdi, ambientalisti e postcomunisti. Le femministe non superano lo sbarramento. Sconfitto il centrodestra del premier uscente, il conservatore Fredrik Reinfeldt. Una sconfitta che a tarda sera ammette. I quattro partiti della sua coalizione sono al momento fermi sotto il 39%. Circa 5 punti in meno della coalizione di sinistra e la tendenza dello spoglio è costante su questo risultato.

L’estrema destra di Åkesson, – definita da lobby, oligarchi europei e dai media di regime “populista (ossia, che fa gli interessi del popolo e non dei poteri forti…) razzista, nazista e xenofoba”, come l’Ukip di Farange e il Front National di Le Pen – è stata dunque determinante nel cedere lo scettro della vittoria ai socialdemocratici.: “Saremo l’ago della bilancia”, ha detto a caldo Åkesson, un giovane che ha puntato molto in una campagna anti immigrazione. Il Sveriges Demokraterna conquisterebbe 47 seggi.

I socialdemocratici, secondo queste prime proiezioni si fermerebbero a 160 seggi, non sufficienti, però, alla quota minima di 175 per governare, mentre 142 andrebbero ai conservatori. Se fossero confermati questi dati si andrebbe verso un governo di minoranza (un po’ difficile da attuare) o di larghe intese, un modello quest’ultimo introdotto dalla Merkel e che funziona in Europa visto che di rado tra le formazioni odierne, siano esse socialiste o conservatori, si riesce a scorgere la differenza. Vedi in Italia Pd, Udc, Ncd e Fi.

Bernd Lucke di AdF festeggia la vittoria nei lander tedeschi
Bernd Lucke di AdF festeggia la vittoria nei Laender tedeschi

A proposito della Merkel, ieri secondo i primi dati delle elezioni regionali tedesche tenutesi nei Laender orientali di Turingia e Brandeburgo, il partito antieuropeista “Alternativa per la Germania” ha sfondato, rafforzando la sua sfida alla cancelliera Angela Merkel in regioni come la Turingia, dove ottiene il 10% e in Brandeburgo, cioè la vecchia Prussia, dove il fronte populista arriva al 12%. Il partito anti-euro tedesco, l’AfD, ha confermato così la sua forza alle elezioni regionali in due Laender dell’ex Germania dell’Est due settimane dopo il successo nel voto in Sassonia.

Alternative fuer Deutschland, guidato da Bernd Lucke, ha ottenuto secondo dati non ancora definitivi il 10,6% in Turingia e il 12,2% in Brandeburgo. “Sono felicissimo di questa dimostrazione di fiducia”, ha dichiarato Lucke, fiero del “rinnovamento” offerto dal suo partito. Il segretario generale della Cdu, il partito conservatore alla guida del governo federale tedesco, Peter Tauber, considera la vittoria dell’AfD una “sfida per tutti i partiti” e ha escluso qualsiasi alleanza con gli antieuropeisti.

Fitto sprona FI: "Uscire dal torpore e fare opposizione a Renzi". Pronti a elezioni anticipate

Raffaele Fitto intervistato su SkyTg24 da Maria Latella
Raffaele Fitto intervistato su SkyTg24 da Maria Latella

Forza Italia “deve rendersi conto” che non è più alleata del governo Letta. Che è arrivato il momento di fare vera opposizione al governo Renzi, nonostante un patto condiviso sulle riforme con la maggioranza. Il “dissidente” di Forza Italia, Raffaele Fitto torna protagonista del dibatitto politico italiano spronando il suo partito a smetterla con le “timidezze” e prepararsi anche ad un ritorno al voto, viste pure le “grandi perplessità” registrate sui temi sociali, economici e del lavoro nei sette mesi di governo Renzi. Mesi scaditi da una costante “politica degli annunci”.

“Forza Italia – dice intervistato da Maria Latella su SkyTg24 – deve essere pronta in caso di elezioni anticipate. Deve essere il motore trainante di una riorganizzazione del centrodestra. Ma se la percezione è quella di un’opposizione silenziosa che rischia di perdere credibilità, noi dobbiamo stare attenti e riposizionarci”.

Raffaele Fitto su SkyTg24“Le responsabilità del paese – argomenta l’europarlamentare pugliese – oggi sono nelle mani di Renzi e della sua maggioranza. Noi, seppur tra mille discussioni, abbiamo attivato con il patto del Nazareno un accordo sulle riforme e dobbiamo garantire, magari discutendo di più al nostro interno, un percorso per le riforme istituzionali, ma le politiche economiche e le scelte di questo governo a non ci appartengono”, chiarisce ai suoi Fitto.

Quindi “il tema che io pongo è che si caspisca e si faccia capire che noi siamo opposizione a questo governo e penso che sia indispensabile una opposizione a questo governo. Questo non solo per i nostri elettori, ma anche per un confronto dialettico, civile e democratico nel quale non ci sia un ragionamento intorno a Renzi. Vale a dire: se da dal nostro interno diciamo che Renzi è bravo e che dobbiamo addirittura sostenerlo non facendo opposizione, la cosa non va bene. In questo modo non ci comportiamo in linea con quello che è l’auspicio dei nostri elettori. E soprattutto non garantiamo una alternativa a questo governo. E l’evidenza che dimostra come vi sia bisogno di una vera opposizione l’ha data Renzi nella sua visita di ieri in Puglia”.

Matteo Renzi alla Fiera-del Levante a Bari (foto Ansa/Turi)
Matteo Renzi alla Fiera-del Levante a Bari (foto Ansa/Turi)

Troppo “immobilismo”, insomma, nuoce al partito il quale deve prepararsi a nuove sfide che non possono essere affrontate se fino al giorno prima si applaude il maggiore competitor.  Il pensiero del giovane leader è chiaro ed eloquente: per non rimanere schiacciati bisogna svegliarsi dal torpore e soprattutto parlarsi, non celarsi dietro uno deleterio unanimismo.

Poi sul suo ruolo di “dissidente” all’interno di Forza Italia ha sottolineato: “Io non sono abituato a rappresentare le fronde, perché le fronde si muovono nel silenzio, mentre io parlo pubblicamente. Da tempo vado dicendo che sia indispensabile aprire un dibattito nel partito. Non accetto, però, quanto accaduto l’altro giorno, perché nessuno ha titolo per dire alcune cose nel partito, serve un confronto aperto.

“Io non me ne vado. FI è il mio partito e intendo restarci”, ribadisce l’europarlamentare che riferendosi all’attacco nei suoi confronti da parte di Maria Rosaria Rossi rilancia: “Non accetto che mi si dica che le mie tesi le sostengo da un’altra parte: in quel caso replico. Io sostengo le primarie ed il bisogno di manifestare il fatto di essere una opposizione vera al governo Renzi. Qualcun altro no. Serve un dibattito sul territorio e un confronto per rivitalizzare.

Chi non è d’accordo lo rispetto, ma non accetto che si dica che le mie tesi vanno sostenute. Nel mio partito c’ero quando altri hanno compiuto scelte sbagliate e sono andati via. Ma sostenere le tesi che si faccia opposizione e che ci vogliono le primarie penso sia compatibile con la permanenza nel partito”, rileva Fitto. Con un monito: “Bisogna affermare con chiarezza chi siamo e il progetto politico che proponiamo. Siamo un partito sceso in cinque anni sceso da 13 a 4 milioni di elettori: a questo dobbiamo pensare”.

Raffaele Fitto intervistato su SkyTg24 da Maria LatellaRiferendosi alle elezioni per la Consulta, dove la candidatura di Catricalà pare sia stata impallinata proprio dai forzisti, Fitto stempera i toni e afferma che “i numeri indicano chiaramente che il voto è stato molto complesso tra i diversi gruppi parlamentari. Attribuire alle sole divisioni di Forza Italia l’esito della votazione sarebbe un errore. C’è un problema in diversi gruppi a partire dal Pd. Penso ci sia bisogno di un confronto maggiore con i gruppi parlamentari.

Lo dico senza polemica: sarebbe stato utile avere occasioni di un maggior coinvolgimento, avrebbe evitato situazioni da non attribuire a logica politica ma a un malessere generale. Violante e Catricalà – rileva – sono nomi di grande livello. Ma il tema è riuscire a fare in modo che i gruppi parlamentari non sappiano le indicazioni pochi minuti prima, ma siano maggiormente coinvolti. Questo eviterebbe i problemi. Ritengo che quanto sia successo non sia frutto del dissenso di un singolo o di un gruppetto, ma di una situazione più ampia”.

Critiche infine a Renzi sullo sblocco di investimenti per il Mezzogiorno e lo svincolo del patto di stabilità che erano anche questi “un annuncio” del premier. “Oggi è presidente del semestre europeo, ne sono passati tre e non se parla. Ieri in Puglia non ha accennato. Non ha ffornito finora nessuna terapia”. Poi sul ritorno del marò Latorre ribadisce “il clamoroso errore fatto dal governo Monti nel rispedirli indietro”.

Coppia inglese vuol investire in Italia, ma la Puglia dice no

Alison Deighton, voleva investire 70 milioni in un resort. Un sogno sfumato
BLOCCATA DALLA BUROCRAZIA. Alison Deighton voleva investire 70 milioni in un resort. No dalla Puglia

Almeno da trent’anni a questa parte vi sono proclami, corsi universitari, convegni a iosa dotte lezioni e interventi sui giornali su come attrarre investimenti in Italia. Renzi stesso ha capito l’importanza degli investimenti stranieri: in Africa. Ma chi viene in Italia con gruzzoloni di quattrini si trova spesso a dover fare i conti con politica e burocrazia che sempre, da trentanni in qua, frenano la crescita dell’economia locale e nazionale. Come? A colpi di carta bollata, certificati, permessi e contro permessi.

Ne sa qualcosa la signora Alison Deighton, una donna nata negli Usa che vive tra Londra e Italia, paese di cui si era innamorata fin dal primo incontro. Fulminata dalle bellezze della penisola. Circa 20 anni fa Alison comprò dei terreni in Umbria e nel Salento, in Puglia, pensando che un giorno potesse investire dei soldi per dedicarsi alla sua passione: fare l’imprenditrice turistica investendo 70 milioni di euro per costruire un villaggio turistico. Ma col tempo si è resa presto conto che in questo paese non è possibile investire. Ha conosciuto da vicino la politica e si è smarrita tra i meandri della terribile e asfissiante burocrazia italiota (questa volta pugliese).

Lord Paul Deighton, sottosegretario del governo inglese è marito di Alison
Lord Paul Deighton, sottosegretario del governo inglese è marito di Alison

Alison Deighton non è una donna del tutto ignota. E moglie di Lord Paul Deighton, sottosegretario al Tesoro britannico, ex dirigente della Bank of America e della banca d’affari Goldman Sachs, l’uomo per intenderci che ha organizzato e costruito le Olimpiadi di Londra. Un pezzo da novanta, insomma. Non per questo bisognava concedere tutto alla gentile signora. Ci mancherebbe. Ma gli investitori in genere hanno soldi. Molti soldi. E a che serve invitare a investire se poi si cerca sempre il pelo nell’uovo (oppure, per esempio in altri casi, le mazzette di denaro nelle 24 ore?). Ma tant’è! La regione Puglia le ha negato il permesso di costruire il resort. Sei anni di attesa per nulla.

In Calabria c’era un investitore ebreo, David Appel, che voleva costruire “Europaradiso”, un megavillaggio turistico a Crotone (la città più povera d’Europa) con la prospettiva di creare migliaia di posti di lavoro. Appel voleva investire centinaia di milioni di euro, mica noccioline. Sempre la Regione, in questo caso la Calabria, 7 anni fa lo ha fatto scappare a gambe levate tirando fuori le peggiori nefandezze sul progetto: “dal forte impatto ambietale, pericoloso, catastrofico…” e sull’uomo “corruttore, imbroglione, impostore ecc.”. Salvo poi disseminare la regione di migliaia di Pale eoliche per sfruttare il vento di eolo (e seguire quello dei soldi…). L’allora sindaco di Crotone, per protesta andò sotto la sede della giunta regionale portandosi dietro un gregge di pecore: “Ecco! – strillò – voi meritate la pastorizia”. Come dargli torto!

Gli unici che investono nel nostro paese sono mafia e cinesi riciclando denaro illecito. La mafia con i sistemi che conosciamo, i cinesi (e altri) non sempre in modo legale e trasparente, attraverso l’acquisizione di debiti pubblici, grosse proprietà terriere, interi immobili. Senza creare cose mastodontiche che possono dare all’occhio. Senza posti di lavoro per gli italiani. Nessun indotto perché è tutto made in China. I soldi ricavati sfuggono spessissimo al fisco e vanno direttamente in Asia. Parte dei grossi capitali viene impiegato per comprare pezzettino per pezzettino il mondo. L’Italia, che intanto attrae immigrati disperati, sarà destinata a morire con gli occhi a mandorla.

GOVERNATORE Nichi Vendola ha preparato addirittura un dossier contro la coppia Deighton
GOVERNATORE Vendola ha preparato addirittura un dossier contro la coppia Deighton

Tornando alla Deighton, lei voleva realizzare solo un resort in mezzo a ulivi secolari a Nardò, bella località in provincia di Lecce, stando attenta ai paletti sull’impatto ambientale e tutte quelle normicine sulle volumetrie del cemento, gli indici e stronzate varie. Un’azienda agricola, circa 250 villette  (per i turisti) su 17 ettari di terreno. Posti di lavoro e un indotto consistente per la comunità locale.

Accanto al suo terreno, racconta al Corriere della Sera, “hanno costruito un albergo. Anche lì c’erano gli ulivi. Adesso non ce ne sono più. Ci sono le ruspe, andate a vedere! Io invece gli ulivi secolari non li tocco”. Un progetto ambizioso fermo però “da sei anni per colpa della Regione”. Sempre col Corriere si sfoga: “Quando ho cominciato in Umbria ero così gasata. Ora capisco che l’Italia può essere molto difficile. Mio marito era contrario. Il suo lavoro è attirare investitori in Gran Bretagna. In questi giorni mi ha detto: “Non vogliono fare niente”. Adesso lo so. Investire in Italia mette paura”.

Da parte sua il governatore pugliese Nichi Vendola, non spiega nulla ma invita a intervenire la procura di Lecce, a cui consegnerà un dossier. “E’ una vicenda opaca sulla cui storia è bene che la magistratura dia uno sguardo”, ha detto. Invece di snellire le procedure, guidare la signora nella giungla burocratica, ringraziarla per l’attenzione riposta in Puglia, la risposta sua e dei burocrati è stata farla ricorrere al Tar. Dove ha pure vinto. Come dice Vendola, hanno addirittura realizzato un dossier contro l’investitrice. Chissà cosa ne verrà fuori dalla parola dei magistrati. Una cosa è certa. L’Italia, mette davvero paura.

Marò, Latorre torna, Girone rimane nell'inferno indiano

Mario Monti con Massimiliano Latorre AP/Carconi
Mario Monti con Massimiliano Latorre AP/Carconi

Massimiliano Latorre “guadagna” dalla Corte suprema indiana il permesso di rientrare in Italia già nelle prossime ore, dopo i gravi problemi di salute sofferti nelle scorse settimane. Quattro mesi. In cambio, il governo italiano, per il tramite dell’ambasciatore italiano a New Dheli sottoscrive una “garanzia” di ritorno forzato, come quello siglato nelle due precedenti occasioni al tempo del governicchio Monti.

A quel tempo – coi marò di fatto a casa – i super tecnici potevano inventarsi di tutto per non rispedirli indietro. Anche l’arresto, come suggerito alla Procura di Roma dall’ex ministro Terzi di Sant’Agata. Non se ne fece nulla. Rientrarono per volontà di Mario Monti che accettò i “consigli” di Corrado Passera intento a curare “interessi” poco conosciuti con l’India. Senza scordare gli errori grossolani commessi dal governo tecnico e la marcata responsabilità e ingenuità dell’allora ministro della Difesa, Di Paola, il quale si fece ingannare dalle autorità indiane con un escamotage simile alle trappole di guerra vietnamite.

i Marò Girone e Latorre
i Marò Girone e Latorre

In questo quadro, le cose non cambiano. Tutto resta gessato, immutato. Il sentiero dei nostri “Prigionieri di Pace” in India è reso più incerto e totruoso. Di “fortuna”, per usare un termine inappropriato al caso, c’è voluta una ischemia a Latorre affinché la diplomazia riuscisse a centrare un obiettivo in questa torbida storia le cui pagine narrano oscure trattative. Un obiettivo parziale. Positivo a metà. Un risultato che conforta i familiari di uno ma sequestra e soffoca implicitamente l’altra, resa ostaggio delle debolezze italiche. Già, perché il governo indiano è riuscito ancora una volta ad assestare un duro colpo alla credibilità della diplomazia italiana. A mantenere saldo il coltello dalla parte del manico.

Scacco matto nel “Girone” dell’inferno, potremmo dire. giacché l’unica vera garanzia degli indiani non è affatto l’atto firmato e protocollato presso corti, consolati e studi legali, ma avere ostaggio tra le grinfie l’altro marò Salvatore Girone. L’ennesima trappola è abbastanza semplice da intuire: gli indiani diranno: “Noi vi diamo il malato Latorre per le cure. Se fate i furbi e non rientra per processo e detenzione, sappiate che non avremo indulgenza per il suo compagno Girone”. Un ricatto ad arte cui possono cedere ingenui e sprovveduti, come i nostri diplomatici, politici e governanti.

Salvatore Girone
OSTAGGIO SU GARANZIA il prigioniero di Pace Salvatore Girone. Rimarrà solo per 4 mesi in India.

Latorre, tra quattro mesi, probabilmente gennaio, sarà costretto a rientrare in India. Perché in fondo, Girone oltre a essere un collega di Massimiliano, è un suo amico. Con lui ha condiviso le sofferenze della prigione. Una persecuzione spietata in uno stato ostile come l’India, che sarà forse amica di Passera e Monti, non dell’Italia. Latorre non accetterebbe mai di fare “il codardo” lasciando il compagno da solo nella merda. Sa di essere stretto tra l’intimo desiderio di “evadere” e la razionale realtà di rientrare per non nuocere al compagno. Dopotutto l’India li ha nuovamente incastrati, i nostri fucilieri.

La partita diplomatica, dunque, slitta e si gioca sulla salute dei fucilieri. Probabilmente per il loro rientro definitivo dobbiamo “sperare” ancora in un accidente o in qualche malaugurata malattia. Vista l’Italietta, considerata l’inconsistenza dell’Europetta meglio che intervenga Obama. Forse le cose andrebbero diversamente. In alternativa basterebbe una licenza a Natale per Girone (come l’anno scorso) mentre Latorre è in Italia a curarsi. A quel punto intervenga la Procura di Roma…

Ferrari: La lite tra Montezemolo e Marchionne “assopigliatutto”

MELINA. La conferenza stampa tra Marchionne e Montezemolo
MELINA. La conferenza stampa tra Marchionne e Montezemolo

“Quello tra Luca Cordero di Montezemolo e Sergio Marchionne è stato uno scontro carsico che durava da anni”. Lo hanno riferito fonti vicino all’azienda di Maranello. “A seguito delle ‘continue pressioni’ a lasciare, Luca, piegato dagli ultimi insuccessi della Ferrari, ha ceduto il passo al suo diretto contendente, l’ad di Fiat Chrysler Marchionne” definito “assopigliatutto”.

L’avvicendamento, sempre secondo quanto riferito, “doveva avvenire già agli inizi dell’anno ma Montezemolo ha avuto la forza di resistere. E’ stato uno scontro senza esclusione di colpi dove a vincere è stato alla fine il più forte. Un golpe bianco portato condotto scientificamente da apparati lobbistici e poteri finanziari. Anche se questi restroscena non trapelano mai dalla stampa convenzionale. C’è solo melina”.

L’ex presidente Montezemolo ha passato ieri il timone della Ferrari a Marchionne. Il punto di non ritorno è stata la bruciante sconfitta della “Rossa” nel gran premio di Monza. E sono stati proprio i recenti insuccessi del Cavallino a spingere l’ad di Fiat Chrysler a sollecitare un passo indietro a Montezemolo.

Per la successione si era prima parlato di Lapo Elkan, un altro che ambiva a guidare l’azienda di famiglia (la Fiat) che oggi presiede Marchionne (“assopigliatutto”). Evidentemente era stato fatto il suo nome per bruciarlo in partenza, così come avviene in politica. Ad ogni modo, a Luca Cordero andranno circa 27 milioni di euro di liquidazione. Ieri la prima dichiarazione di Marchionne: “Sono stato incredibilmente vicino alla Ferrari. Ho iniziato con Luca in un momento difficile e ho condiviso con lui gli ultimi dieci anni nello sviluppo dei modelli. Non esiste nessun altro che potesse garantire continuità alla Ferrari per andare avanti”. Intanto sui social è polemica contro Marchionne.

Enrico Rossi è il governatore più amato d'Italia. Sud sul podio

monitor governatori settembre 2014Nella classifica stilata da Datamedia sul gradimento dei governatori italiani, il Sud si piazza sul podio. Il presidente della Campania Stefano Caldoro (Forza Italia) con il 52.5% guadagna il bronzo tagliando il traguardo come terzo governatore di regione con il maggiore indice di gradimento mentre Marcello Pittella (Basilicata – Pd) arriva secondo con il 55,3%. Caldoro perde tuttavia 5 punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione.

ORO per Enrico Rossi (Toscana)
ORO per Enrico Rossi (Toscana – PD)

Il presidente più amato d’Italia è Enrico Rossi (Toscana – Pd) con una percentuale pari al 56,5%. Per lui si tratta di un bis. Dopo l’argento del neoeletto Pittella e il bronzo di Caldoro – che condivide ex aequo con Luca Zaia (Veneto – Lega Nord), il quale perde una posizione rispetto al primo trimestre 2014 –
in quinta posizione si piazza il governatore del Lazio Nicola Zingaretti (sempre del Pd) col 52,0%, mentre al sesto compare Debora Serracchiani (Friuli Venezia Giulia – Pd) che con il 51,8% perde ben tre posizioni (era terza nel primo trimestre).

ARGENTO per Marcello Pittella (Basilicata - PD)
ARGENTO per Marcello Pittella (Basilicata – PD)

Secondo il monitoraggio di Datamedia, la società che fa riferimento a Luigi Crespi ex sondaggista di Silvio Berlusconi, perdono consensi Maroni Vendola e Crocetta che si piazzano agli ultimi posti. «Stiamo dando risposte concrete. I sondaggi confermano il trend positivo. Il momento è difficile ma c’è fiducia», ha commentato su twitter il governatore della Campania Caldoro. Ma c’è chi, come la deputata Pd, Michela Rostan, contesta la soddisfazione del presidente campano. «Francamente non comprendo le dichiarazioni soddisfatte su twitter del presidente Caldoro, perché una lettura più attenta del sondaggio mette in evidenza una costante flessione del suo consensi.

stefano caldoro
BRONZO per Stefano Caldoro (Campania – Forza Italia)

Nel 2013, secondo Datamedia, Caldoro sfiorava un gradimento del 58%, mentre ora non riesce andare oltre il 53%, con un saldo negativo di 5 punti percentuali. Caldoro, inoltre, non potrà più dire di essere primo governatore del Sud, perché il presidente della Basilicata, Pittella, ha ottenuto risultati assai più lusinghieri. La verità è che il sondaggio mette in evidenza un deficit di consenso, un trend negativo legato all’incapacità di affrontare i problemi dei cittadini.

L’era Caldoro è stata una palude dalla quale usciremo la prossima primavera con l’unico sondaggio che conta: quello delle elezioni». Un plauso al governatore campano arriva invece dal leader regionale di Forza Italia, Mimmo De Siano che ha dichiarato «Bene Caldoro: l’integrità morale, la serietà e l’impegno quotidiano sui problemi veri, pagano sempre».

gradimento governatori settembre 2014Nella top ten troviamo poi in settima posizione Gian Mario Spacca (Marche – Pd) che con il 50,8% perde due posizione rispetto al trimestre precedente. Segue poi in ottava posizione il neo-eletto governatore della Sardegna, Francesco Pigliaru (PD) con il 50,6%, mentre al nono posto con il 48,2% Claudio Burlando (Liguria – PD) e al decimo Catiusca Marini (Umbria – PD) con il 47,6%.

All’undicesimo posto Nichi Vendola (Puglia – SEL) con il 47,3%, mentre dodicesimo Roberto Maroni (Lombardia – Lega Nord) con il 46,6%. Chiudono la classifica Rosario Crocetta (Sicilia – Pd) che con il 46,1%, e Paolo di Laura Frattura (Molise – Pd) con il 45,4%.

Datamedia evidenzia che “che nell’arco degli ultimi dodici mesi i presidenti di regione, chi più, chi meno e nessuno escluso, hanno visto un forte ridimensionamento del loro consenso”.

In classifica non sono presenti i governatori di Piemonte e Abruzzo (che saranno inseriti nella prossima classifica) perché in corso di elezione nel momento della rilevazione ed i governatori dimissionari di Calabria ed Emilia Romagna.

Romano, (Corsera): "I Bronzi non sono della Calabria"

Bronzi di Riace“I Bronzi di Riace appartengono alla Nazione non alla sola Calabria”. Lo scrive l’editorialista del Corriere della Sera rispondendo a un lettore che chiede “un minimo di furbizia alla Regione Calabria” la quale “dovrebbe impegnarsi per rimuovere tutti gli ostacoli e acquisire una straordinaria vetrina davanti a milioni di visitatori”, in vista dell’Expò 2015 a Milano.

“Nel caso dei bronzi di Riace, – risponde l’ex diplomatico – il criterio dell’appartenenza alla Calabria, comunque, mi sembra un po’ tirato per i capelli. Sono stati rinvenuti da un pescatore subacqueo nell’agosto del 1972 a 300 metri dalla costa di un comune calabrese (Riace). Sono stati recuperati dai carabinieri, vale a dire da un corpo nazionale. Sono stati affidati dapprima ai tecnici della sovrintendenza calabrese, poi al Centro di restauro dell’Opificio delle pietre dure di Firenze: due istituzioni nazionali.

Il restauro dei Bronzi di Riace
Il restauro dei Bronzi di Riace

Appartengono alla Regione Calabria o alla nazione italiana? Esiste naturalmente il problema del trasporto. Ma i bronzi hanno già viaggiato dalla Calabria a Firenze, da Firenze a Roma , da Roma alla Calabria. Esistono valide ragioni per cui non dovrebbero fare un quarto viaggio? Quanto ai vantaggi che Reggio Calabria ricaverebbe dalla presenza dei bronzi a Milano in occasione dell’Expo, caro Gradi, credo che lei abbia ragione.

I visitatori non si misurerebbero in migliaia , come accade a Reggio, ma in milioni. Tornando a casa quelli dell’Expo racconterebbero ai loro connazionali che in Calabria esiste un Museo della Magna Grecia a cui vale la pena di dare un’occhiata”, conclude Romano.

EXPO 2015
L’area che ospiterà l’Expò 2015 a Milano

Sulla vicenda del trasferimento dei Bronzi da Reggio Calabria a Milano nelle scorse settimane c’è stata una forte polemica  tra i pro e i contro. A favore del trasferimento si erano schierati il critico d’arte Vittorio Sgarbi e il governatore della Lombardia Roberto Maroni. Dalla Calabria, un secco diniego motivato dalla soprindendenza calabrese dalla “fragilità” delle statue. Un parere supportato dalle parole del premier Matteo Renzi: “Restino in Calabria. Ho bisogno di portare turisti in Calabria”. Un botta e risposta culminato in uno scambio di accuse tra Milano e Reggio Calabria con in coda annunci di querele e controquerele. Protagonista degli strascichi giudiziari il vulvanico presidente della Commissione vigilanza Aurelio Chizzoniti e Sgarbi.

Paolo Pillitteri racconta la Milano da bere, i segreti e i misteri

Bettino Craxi con Paolo Pillitteri
Bettino Craxi con Paolo Pillitteri (foto Dino Fracchia)

Emiliano Fiuzzi per il Fatto Quotidiano, (8 settembre 2014)

Nella Milano che si scolarono lui era Pilli. Nel resto d’Italia il sindaco cognato. Uno degli ultimi craxiani dichiarati, Paolo Pillitteri, tré operazioni a cuore aperto, una decina di stent, cinque by pass. Ci tiene a precisare che lui da Milano non è mai andato via: «Sono generosi i milanesi, mi vogliono ancora bene, mi chiamano per strada. Stamani ero al mercato a comprare l’uva. Ti ricordi?, mi dicono.

Eh, hai voglia. Ma non mi ricordo nulla. Anche perché eravamo i socialisti, noi non avevamo nemici in quel decennio che va dagli Ottanta ai Novanta. Erano tutti amici nostri. In pochi stavano dall’altra parte e se potevamo politicamente li facevamo fuori, perché era la squadra che contava. Ne bastava uno e ti avrebbe sfasciato il partito».

Scusi Pillitteri, non vorrà venirci a raccontare la storia di Craxi grande statista?
«Lo è stato. Intanto governava col 14%. E metteva d’accordo tutti. Poi il Paese si muoveva. Il debito pubblico era di 400 miliardi, non di duemila come oggi. Diventò presidente del consiglio e l’inflazione era al 17%, la portò al 3. Basta leggere i dati che ogni tanto pubblica il Wall Street Journal».

Paolo Pillitteri
Paolo Pillitteri

L’estate che le ha cambiato l’esistenza?
«In quella Milano lì era sempre estate. Sicuramente a fine agosto del 1986 capii che presto sarei diventato il sindaco. Era già scritto che il mio predecessore, Carlo Tognoli, non riuscisse ad andare avanti. Da assessore diventai sindaco, il sindaco della mia città, della mia Milano».

Craxi è l’uomo della sua vita: le ha dato la sorella che lei si sposò e poi la poltrona di sindaco.
«Sicuramente. Io quando ci conoscemmo gli parlavo di cinema. Ascoltava, ma non gli piaceva. E disse: “II cinema non conta un cazzo, conta solo la politica”. Così diventammo amici. Lui era già Benedetto prima di diventare Bettino».

In che senso?
«Nel senso che era autoritario. Non autorevole. Autoritario, spiccio nei modi. E nelle parole. Provincialissimo: sempre il solito ristorante, sempre il solito cibo. La sera andavamo al Derby, cabaret in viale Monte Rosa, il lunedì da Matavei, storico ristorante. La squadra, quella era la sua fissazione».

Un po’ come Renzi?
«Esatto. Ma io lo ripeto a tutti: guardate che l’erede politico di Craxi è Renzi. Berlusconi, del quale sono amico, non c’entra niente con Craxi».

Amico di ferro: si fece sposare da lei con Veronica Lario.
«Ma lei è giovane cosa ne sa degli anni Ottanta? Giocava a soldatini…».

Ho letto molto, però.
«Sì, Berlusconi era amico mio, amico di Bettino. Ma è un’altra storia politica e, rispetto a quella socialista, si è mangiato il grande consenso che aveva. Lo ha sprecato».

Colpa delle donne, dicono. Anche lei e Craxi avevate un debole per le donne.
«Sì, ma io non me le portavo in giunta e lui non se le portava in parlamento. Berlusconi sì. Ma quel capitolo, e forse anche Forza Italia, si è chiuso».

Non mi dica che vota anche lei Renzi?
«Renzi è un genio. È riuscito dove neanche io. Le racconto una storia».

Mi dica.
«Era la Milano da bere, come la chiama lei. Io la intendo come la Milano che cresceva. Un giornale, Capital, mi chiede di posare in copertina con Armani e io lo faccio. Venne giù il mondo, il sindaco con uno che fa i vestiti. E giù quelle cose che ti spaccavano le gambe».

E che c’entra con Renzi?
«Che lui oggi indossa il giubbottino come Fonzie, va dalla De Filippi e convince tutti che dopo di lui nessuno. È la sua grande forza: far credere che oltre non ci sia assolutamente niente. Invece c’è sempre un dopo. Ma questo gioco lo usavamo anche noi. E poi Renzi ha un grande vantaggio».

Quale?
«L’anagrafe. È la più grande espressione di democrazia, ci pone tutti allo stesso livello. Quello non ha neanche 40 anni».

Voi non eravate per tutti allo stesso livello, a dire la verità. C’eravate voi, poi i cortigiani e i pagatori di tangenti.
«Allora per fare politica servivano quattrini. Oggi è il contrario, si arricchiscono con la politica».

Bettino Craxi la moglie. Dietro Berlusconi
Bettino Craxi la moglie. Dietro Berlusconi

Lei nella Milano da bere, che poi era uno spot dell’amaro Ramazzotti, ci sguazzava. Occhi azzurri, potente, vicino al boss. Amico degli stilisti.
«Gli stilisti erano una parte buona di quella Milano. un giorno passo davanti al negozio di Armani. E lo vedo che traffica con un manichino. Mi riconosce e mi chiama dentro. Mi dice che lui vuole precisione, non serve altro per il made m Italy».

Non solo Armani: erano socialisti i Versace, Nicola Trussardi, Krizia. Difatti amici suoi, giusto?
«Sì. Le ripeto un concetto, noi non avevamo nemici, a parole erano tutti socialisti e craxiani».

De Gregori ha scritto in una canzone di Craxi: è solo il capo banda, ma sembra un faraone. Si atteggia a Mitterand, ma è peggio di Nerone.
«Sciocchezze. Poi proprio dai cantanti? Erano tutti socialisti anche loro. A partire dal povero Dalla a Ron. Forse era dei nostri anche De Gregori stesso».

La sera il clan Craxi amava cantare. Anche lui come Berlusconi un fan degli chansonnier francesi?
«No, Bettino cantanti milanesi. Ma mi, era la canzone che adorava. Adorava tutto Jannacci».

Frequentavate anche il Derby?
«Come no. C’erano Jannacci, appunto, Cochi e Renato, Abatantuono, Boldi».

Vi sedevate vicini a Francis Turatello, prima che lo arrestassero, e sventrassero, nel carcere di Nuoro.
«Al Derby Turatello non me lo ricordo. Lo incrociavo un locale in zona Brera».

E gli imprenditori, moda a parte? Chi erano i suoi amici? Rizzoli lo sappiamo. Falk? Moratti?
«Sicuramente i Moratti, io ero amico del vecchio Moratti. Una grande famiglia. Non è un caso che io sia anche interista. Conosco Marco, Massimo, tutti in gamba».

Altri?
«Ho apprezzato molto Ernesto Pellegrini, quello che si comprò l’Inter. Ci conoscevamo da bambini, fece i soldi».

Vabbè, anche lei e Craxi faceste soldi, no?
«Noi arricchivamo la politica, non noi. Io faccio la stessa vita. Vado al mercato per risparmiare, non sono ricco».

Silvio Berlusconi con Veronica Lario
Silvio Berlusconi con Veronica Lario

Raoul Gardini non vi amava molto, giusto?
«Non creda. Non apprezzava Craxi, ma a me era molto legato. Un giorno eravamo a pranzo, accanto alla Scala. Lui a un certo punto mi gela: “Ma cos’è che vuole da me?”. E io: lo vede quello, è palazzo Marino. Guardi in quali condizioni è. Il giorno dopo Gardini mi mandò gli operai per rifare la facciata».

Non le chiese niente in cambio?
«Sì, voleva le scritte luminose del Messaggero, si ricorda che comprò il giornale? Figuriamoci, mi avrebbero fatto la pelle. A Milano, su palazzo Marino, la pubblicità del Messaggero. A Milano c’era solo il Corriere. E allora dettava legge».

Era amico anche dei direttori e dei giornalisti?
«Sì, venivano a chiedermi piccoli favori. Una volta una giornalista importante, mi faccia fare il signore, lo sanno tutti chi è. Era una firma di Repubblica, lavorava a Milano e oggi è più influente di allora. Mi chiese la casa. Il giorno dopo le feci avere la casa grande come la voleva lei. Funzionava cosi».

Non era un bel funzionare. Ma non vi siete mai resi conto che stavate esagerando nell’illegalità e nella disinvoltura?
«Abbiamo esagerato. È vero. Ma ci sentivamo intoccabili».

Quando capi che il vento cambiava?
«Nel 1990, quando arrivò la Lega. E con i referen dum di Mario Segni. Cresceva l’antipolica. Io amo la bicicletta, il sabato prima del referendum, sono al parco. Mi chiamano un gruppo di persone e mi dicono, allora domani tutti a votare. A quel punto chiamo Bettino e gli dico: ma non è che la stiamo sottovalutando questa cosa dei referendum. Lui si mette a ridere: ma cosa dici? Non ti preoccupare. Era iniziata la fine».

Lei non partecipò ai funerali di Craxi?
«Non me lo permisero i magistrati».

Dicono che la bara la spedì Ligresti, altro vostro grande amico. Era più piccola, per risparmiare. Dovettero piegargli le gambe per farcelo stare.
«Non saprei. So bene che prima di scappare aveva 30 avvisi di garanzia e 20 richieste di autorizzazione a procedere. Morì Balsamo e finì tutto sulle sue spalle».

Un motivo ci sarà?

«La politica funzionava così, era un do ut des».

Era anche l’abuso del potere che facevate?
«Il sistema funzionava così, non c’erano verginelli in giro».

Abbiamo capito come la pensa. Poi è stato male?
«Problemi al cuore. Una cosa dalla quale psicologicamente non si esce».

E infatti arrivò la depressione e un tentativo di suicidio.
«Non mi faccia parlare di queste cose. Mi viene ancora la pelle d’oca. Vorrei scrivere un libro, ma non lo so fare. Io ero nato per fare cinema».

Era nato per fare cinema, finì con le tangenti.
«Mi trovai per caso nella politica. Pensi che io nemmeno ero del Psi, votavo Psdi. Poi ci fu l’amicizia e la parentela con Craxi. Ma ci finii per un puro caso».

Paolo Pillitteri mentre parlaTornasse indietro?
«Non lo so, sono pragmatico. Indietro non si torna».

Un’ultima cosa.
«Basta mi avete fatto parlare anche troppo. Cosa volete che vi dica. Che gli anni Ottanta erano diventati un musical, scritto da me. Ma ci volevano troppi soldi, non sono riuscito a farlo».

Se la vostra ascesa e caduta fosse un film da dove inizierebbe?
«Dalla fine, non ci sono dubbi. Dal 1990».

Pilli era nato per fare il cognato o il sindaco?
«Era nato per fare il cineasta. Ma non ci sono riuscito. Una promessa: la prima volta che viene a Milano ci troviamo in galleria. Solo da lì sotto si può capire cos’è questa città. Roma è tutta un’altra storia. Appuntamento in galleria, come cantava Memo Remigi».

Socialista anche lui?
«Tutti qui erano socialisti. Come oggi sono tutti renziani. È l’Italia. Lo dicevo che lei è giovane».

Maria Rosaria Rossi "paparazzata in bikini". Siparietto tra Toti e Vespa

Il settimanale “Chi” ha pubblicato nei giorni scorsi alcune foto in bikini della senatrice di Forza Italia Maria Rosaria Rossi, la fedelissima “segretaria” di Silvio Berlusconi nota al grande pubblico per essere l’ombra dell’ex cavaliere e, alle cronache, per le intercettazioni con Emilio Fede ai tempi del Bunga Bunga ad Arcore.

SEXY Il lato B di Maria Rosaria Rossi
SEXY Il lato B di Maria Rosaria Rossi

Al forum di Cernobbio 2014 il conduttore di Porta a Porta Bruno Vespa e il consigliere politico del leader di FI, Giovanni Toti, commentano davanti ad una “imbarazzata” Rossi le foto apparse sul giornale, con la senatrice che “striglia” il consigliere di B. per il fatto di conservare le foto indiscrete sul suo smartphone. La tesoriera di Forza Italia lo redarguisce: “Ma che fai, tieni le mie foto sul cellulare? Cancellale”, mentre Vespa ironizza: “Ma hai fatto fare poster di queste?”.

Il giornalista, però, da profondo conoscitore del gossip, “sgama” la parlamentare facendo da subito intuire di essersi prestata al gioco dei fotografi: “…Un pomeriggio in posa…con il trucco…”.
Di solito molto riservata, la Rossi è la prima volta che si mostra in costume da bagno. Sarà stato il desiderio di mostrare le sue curve (tutt’altro che brutte…) così come sfornata da madre natura, anziché i soliti pantaloni che celano la sua vera femminilità.

Calabria, la politica abdica e il Tar decide la data delle elezioni

Aula Consiglio regionale della Calabria
Aula Consiglio regionale della Calabria

Giuseppe Baldessarro per La Repubblica

L’ultima parola l’ha pronunciata il Tar della Calabria imponendo ad Antonella Stasi, presidente facente funzioni della Regione, di indire elezioni entro dieci giorni. Un pronunciamento che mette fine ai continui rinvii, ai balletti di date e alla melina che da mesi vanno avanti. Questa volta non dovrebbero esserci ulteriori “imprevisti” anche perché gli stessi giudici hanno fin d’ora nominato commissario ad acta il prefetto di Catanzaro, Raffaele Cannizzaro, che in caso di mancata adozione del decreto di indizione deciderà «in luogo del vicepresidente della giunta regionale entro i successivi cinque giorni».

Il ricorso al Tar era stato presentato da un gruppo di associazioni rappresentate dagli avvocati Francesco Pitaro e Gianluigi Pellegrino (che già si era occupato del ricorso contro la Polverini nel Lazio). I giudici Salemi, Iannini e Raganella hanno chiesto di fissare la data del voto «entro il più breve termine tecnicamente compatibile con la normativa». Si andrà alle urne dunque entro 55 giorni (10 più i 45 previsti dal la legge ), ossia l’ultima domenica di ottobre. Per l’avvocato Pitaro «il muro di cemento armato, costruito con l’utilizzo di cavilli e furbizie, per impedire ai cittadini di tornare alle urne è stato abbattuto».

Tar Calabria
La sede del Tar Calabria

La Calabria non ha più una guida da fine marzo, data nella quale il governatore Giuseppe Scopelliti presentò dimissioni a seguito di una condanna in primo grado a sei anni di reclusione per falso in atto pubblico e abuso d’ufficio (reato commesso quando era sindaco di Reggio Calabria).Da allora uno stillicidio di rinvii, mentre in Consiglio e Giunta si è continuato a firmare decreti, assegnare finanziamenti e annunciare progetti.L’ultimo appiglio a cui si erano attaccati i politici calabresi era la legge elettorale approvata il 3 giugno scorso. Un atto che avrebbe dovuto chiudere la partita ed aprire la campagna elettorale. Invece no.

La maggioranza ci aveva messo dentro lo sbarramento al 15% per i partiti che non si presentano in coalizione e l’introduzione del consigliere regionale supplente, che va a ricoprire il posto di quello chiamato in giunta me assessore. Due elementi poi impugnati dal Governo e sui quali deve ancora pronunciarsi la Corte Costituzionale. Tra i primi a esultare per l ‘ esito del Tar il segretario regionale del Pd, Ernesto Magorno: «Chiedevamo da tanto, troppo tempo, di ridare voce ai calabresi». La Stasi dal canto suo ha fatto buon gioco a cattiva sorte affermando che «la sentenza del Tar non aggiungerebbe nulla rispetto alle procedure già avviate dalla Regione».

Expo 2015, è rissa sui Bronzi di Riace. Renzi: "Restino in Calabria"

La regina del Belgio Paola Ruffo di Calabria (giacca bianca) osserva uno dei due bronzi di Riace  durante la sua visita a Reggio Calabria nel 2001    Cufari/Ansa
La regina del Belgio Paola Ruffo di Calabria (giacca bianca) osserva i Bronzi di Riace durante la sua visita a Reggio Calabria nel 2001 Cufari/Ansa

E’ rissa sui Bronzi di Riace. Da qualche tempo Milano, che ospiterà l’Expò 2015, li richiede con insistenza per poterli esporre ai visitatori attesi da tutto il mondo. Una richiesta lanciata a più riprese anche dal noto critico d’arte Vittorio Sgarbi e dal governatore lombardo Roberto Maroni. La risposta calabrese è sempre stata negativa. “I Bronzi non si spostano. Chi vuol vederli venga al Museo di Reggio Calabria”.

RENZI: “MEGLIO CHE TURISTI VADANO IN CALABRIA A VISITARLI”
A dar man forte alla Calabria, il premier Matteo Renzi che ieri dai microfoni di Rtl ha fatto sapere la sua: «Io sono sempre stato un entusiasta dello spostamento di opere», ma non in questo caso. «Il punto è che spostarli a mio giudizio non ha alcun senso. Un conto è prendere opere italiani e portarle in giro al mondo – spiega il premier – ma per quale motivo dovrei spostare i Bronzi a Milano? Piuttosto dovrei portare i visitatori dell’Expo da Milano a Reggio, perché ho bisogno di valorizzare la Calabria. A mio giudizio questa vicenda qui non ha alcun senso, ma poi decideranno gli organi competenti».

Il ritrovamento dei Bronzi a Riace (Rc) nel 1972
Il ritrovamento dei Bronzi a Riace (Rc) nel 1972

MARONI E SGARBI ATTACCANO: “SEI UN BAMBINO FRENATO DAI LUOGHI COMUNI”
Immediata la reazione del presidente della Regione Lombardia, Maroni che attacca «Matteo Renzi fa i capricci sui Bronzi per Expo 2015 Milano. Proprio come i bambini, ha detto bene l’Economist». A ruota Sgarbi che afferma di aver «sempre avuto simpatia per Renzi, ma mi sembra che questa affermazione sui Bronzi di Riace dimostri che il suo apparente attivismo non porti a nessuna possibilità di rinascita per l’Italia. Anche lui, rispetto ad ogni ipotesi di sviluppo, è frenato dai luoghi comuni dell’immobilismo italiano. Questa mia provocazione sui Bronzi – prosegue il critico d’arte – fa capire bene chi vuole fare e chi non vuole fare in questo Paese. Portarli a Milano è la cosa più giusta del mondo e sarebbe vantaggiosa anche per la Calabria che, attraverso i biglietti dei visitatori dell’Expo, ne avrebbe anche un ritorno economico, secondo le mie proiezioni, di 20-30 milioni di euro. Se questa cosa non la capisce nemmeno Renzi vuol dire che non c’è speranza e che anche lui si bea di luoghi comuni. Quello che mi dispiace è che questa posizione sbagliata alla Tomaso Montanari può influenzare la decisione del ministro Franceschini», conclude Sgarbi.

I Bronzi di Riace esposti al Museo Archeologico di Firenze dopo la fine dei lavori di restauro nel 1980. Ansa
I Bronzi di Riace esposti al Museo Archeologico di Firenze dopo la fine dei lavori di restauro nel 1980. Ansa

LA REGIONE CALABRIA “FANNO PIACERE PAROLE DI RENZI”
La vicepresidente facente funzioni della Regione Calabria, Antonella Stasi, si ritiene invece soddisfatta dall’intervento di Renzi e attacca Maroni: «Non può che farci piacere che Renzi sia dell’idea che da sempre la giunta regionale porta avanti. Com’è noto noi ci saremmo messi di traverso di fronte a qualunque ipotesi di trasferimento dei Bronzi da Reggio Calabria. A Renzi semmai chiediamo di aiutarci, attraverso la soprintendenza, a completare i lavori nel museo dove finalmente solo pochi mesi i Bronzi sono tornati dopo il restauro». E a proposito delle dichiarazioni del governatore leghista, risponde: «Non siamo affatto d’accordo con Maroni quando dice che nessuno verrà in Calabria a vedere i Bronzi, anche perché questa visione è una diminutio dell’Expo stessa. L’Expo è l’esposizione universale italiana, non milanese».

LA POSIZIONE DI IDV CON MESSINA: “HA RAGIONE IL PREMIER”
Pure il segretario nazionale di Italia dei Valori Ignazio Messina rema contro il presidente lombardo: “Sui Bronzi – dice l’esponente politico – non si fanno i capricci, come ha dichiarato Maroni ma si tratta di dare il giusto valore e la giusta considerazione, con un occhio lungimirante e innovativo. Ha ragione, invece, il premier Matteo Renzi a dichiarare che non ha senso spostarli da Reggio Calabria a Milano”. Secondo Messina “la scelta giusta è offrire ai turisti il modo per visitare le grandi bellezze, sia che si trovino a Milano sia che si trovino a Reggio Calabria, città che non ha nulla da invidiare ma ha solo bisogno di politiche accurate per rilanciarne peso ed immagine. Per questa ragione, la nostra proposta è organizzare dei voli ad hoc per far viaggiare i turisti che vogliono visitare i Bronzi. L’Expo sta dando l’occasione per fare in modo che l’economia circoli da Nord a Sud e che ne benefici tutto il Paese, perché è giusto sia così. A questo servono i grandi eventi: a dare occasioni e possibilità di conoscenza e di crescita. Partendo da un evento, – conclude – ne creiamo molti di più, in tutta la penisola, con un ritorno considerevole per tutti.”

LE QUERELE. CHIZZONITI ANNUNCIA ESPOSTO CONTRO MINISTRO FRANCESCHINI E SGARBI CHE CONTROQUERELA
Ma la querelle sul trasferimento dei Bronzi apre strascichi giudiziari con annunci di esposti e controquerele. Il presidente della Commissione di Vigilanza e Controllo del Consiglio regionale calabrese Aurelio Chizzoniti ha reso noto di avere presentato denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano nei confronti del ministro per i Beni e le attività culturali Dario Franceschini e di Vittorio Sgarbi. Sgarbi, a sua volta, ha annunciato «una querela per diffamazione», in risposta alle dichiarazioni di Chizzoniti, che aveva riferito di aver denunciato «il prof. Vittorio Sgarbi per il sistematico tentativo di violenza privata» ai danni della dottoressa Simonetta Bonomi, responsabile della Soprintendenza dei Beni archeologici della Calabria. Sgarbi avrebbe minacciato «di deferirla all’Autorità giudiziaria per la reiterata e documentata opposizione avverso l’asfissiante richiesta di trasferimento dei Bronzi all’Expo». «Ma quale violenza privata – replica Sgarbi – io ho espresso soltanto la mia opinione, ed ho anche inoltrato la mia domanda al Ministro Franceschini sulla fattibilità o meno del trasferimento dei Bronzi di Riace. Ipotesi che nei giorni scorsi ha avuto illustri pareri positivi». Per il professore «la sua denuncia è un’insensatezza logica. Lui parla di irregolarità che non esistono mentre le mie affermazioni sono tutte argomentate».

Marò, ecco la verità dell'ex ministro Giulio Terzi di Sant'Agata

Giulio Terzi di Sant'Agata con i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
Giulio Terzi di Sant’Agata con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

Estratto dal libro “Marò, le voci dei protagonisti” scritto dalla giornalista Carla Isabella Elena Cace per l’editrice “Pagine”  

Ambasciatore Terzi, lei ha seguito il caso sin dalle primissime fasi in qualità di Ministro degli Esteri. Ce ne vuole parlare?

“Appena ho avuto notizia di questo incidente, avvenuto fuori dalle acque territoriali indiane (come riconosciuto successivamente dalla sentenza della Corte Suprema indiana del 18 febbraio 2013) e della richiesta della Guardia Costiera indiana di far invertire la rotta alla Enrica Lexie per indirizzarla verso il porto di Kochi, ho subito detto che la nave non doveva assolutamente lasciare le acque internazionali. Mi è apparso subito evidente che dovevamo tenere la nostra nave e i nostri militari in sicurezza: in acque internazionali la giurisdizione italiana sulla propria nave di bandiera era incontestabile. Gli indiani non avrebbero potuto in alcun modo agire con un atto di forza in alto mare. Modificando invece una situazione di fatto favorevole alla nave e ai nostri militari italiani avremmo corso gravi rischi. Mandai immediatamente una e-mail urgente al mio Capo di Gabinetto chiedendogli di sottolineare immediatamente questa posizione al Ministero della Difesa.

Mi era perfettamente chiaro che la Farnesina non aveva certo autorità o titolo per “dare istruzioni” in un ambito rientrante nella catena di comando militare: una linea gerarchica costituita da Squadra Navale, Comando Operativo Interforze fino ad arrivare al Ministro della Difesa, come si deduce dalla normativa che regola la presenza dei nuclei militari di protezione (Vessel Protection Detachment) a bordo delle navi mercantili. Mi era tuttavia immediatamente apparsa la necessità di rappresentare con nettezza alla Difesa una valutazione di fondamentale buon senso, maturata in base all’esperienza dalla Farnesina nella gestione di numerose crisi riguardanti nostri connazionali all’estero nelle quali la “situazione di fatto” influisce spesso, sin dall’inizio, assai più delle azioni diplomatiche e legali che poi seguono.

La risposta che mi arrivò subito mi sorprese e mi irritò: mi riferirono che l’incidente non era “appena avvenuto”, ma che si era verificato diverse ore prima, e che la nave aveva già invertito la rotta, eseguendo ordini e indicazioni del Ministero della Difesa, perciò si trovava, nel momento in cui mi era stata fatta la prima comunicazione già circondata da unità della Guardia Costiera indiana, e molto vicino al porto di Kochi. Chiesi subito copia di tutte le comunicazioni intercorse tra Unità di Crisi della Farnesina e Autorità militari, e dovetti constatare con estremo disappunto il fatto che il Ministero della Difesa aveva informato l’Unità di Crisi della Farnesina soltanto parecchie ore dopo, tutto questo risulta agli atti dei Ministeri interessati (…)”.

Ma allora si può ipotizzare che ci sia stato un preciso “disegno”, per come si sono svolti i fatti?
“(…) La volontarietà di tenere all’oscuro il Ministero degli Esteri è uno di quegli aspetti sul quale mi auguro che faccia piena luce una Commissione parlamentare d’inchiesta (…) Per la lunga esperienza che ho dei processi decisionali interni alle Amministrazioni dello Stato, mi sembra inimmaginabile che una decisione di questa rilevanza sia stata presa unicamente a livelli intermedi. Sono invece convinto, e non sono certo il solo, che essa sia stata presa ai livelli più elevati della catena di comando (…) Questo è stato il punto: l’aver gestito l’immediato seguito di un incidente, che può sempre avvenire, senza prestare la massima attenzione alla tutela dell’immunità funzionale e della sicurezza dei nostri militari. Prima di consegnarli ad un’autorità di polizia straniera bisognava porsi il problema con estrema serietà (…)”.

L'ex ministro Giulio Terzi di Sant'Agata
L’ex ministro Giulio Terzi di Sant’Agata

Quindi il ministro della Difesa, il Comando Operativo Interforze e la Squadra Navale sono i primi responsabili di questo disastro…
“Non è un’impressione. E’ scritto nelle carte, gli atti lo documentano. Tra l’altro, nell’ottobre del 2012, proprio il Ministro della Difesa Di Paola, rispondendo all’interrogazione del senatore Domenico Gramazio [toggle title_open=”Chiudi” title_closed=”ECCO INTERROGAZIONE E RISPOSTA | 7 MESI PER RISPONDERE A UN ATTO ISPETTIVO” hide=”yes” border=”yes” style=”default” excerpt_length=”0″ read_more_text=”Read More” read_less_text=”Read Less” include_excerpt_html=”no”]INTERROGAZIONE GRAMAZIO 13-3-2012

Atto Senato

Interrogazione a risposta scritta 4-07057
presentata da
DOMENICO GRAMAZIO
martedì 13 marzo 2012, seduta n.690
GRAMAZIO – Al Presidente del Consiglio dei ministri – Premesso che:

ampio risalto, in queste ultime ore, su tutta la stampa nazionale hanno avuto le dichiarazioni del Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, che ha affermato: “In nessun caso la nave doveva entrare in acque territoriali indiane” (si veda “Il Velino” del 12 marzo 2012). Infatti pochi giorni dopo l’arresto dei due sottufficiali di Marina, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, il Ministro si era recato in India per chiedere il rilascio dei due marò senza che questo sia avvenuto;

purtroppo, le affermazioni del Ministro non permettono di comprendere chi realmente abbia dato ordine al comandante della nave di entrare nel porto indiano con la conseguenza dell’arresto dei due marò,

si chiede di conoscere se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza di chi sia la responsabilità di aver creato una grave situazione di conflitto istituzionale tra Italia ed India, situazione che con il passare delle ore si fa sempre più complicata.

(4-07057)

[hr]

RISPOSTA MINISTRO DELEGATO DI PAOLA 23-10-2012

Atto Senato

Risposta scritta pubblicata nel fascicolo n. 185
all’Interrogazione 4-07057

Risposta. – L’azione condotta dal Governo, a seguito dell’incidente che il 15 febbraio 2012 ha coinvolto la petroliera italiana “Enrica Lexie”, è stata da subito e resta volta ad ottenere il rimpatrio dei due fucilieri di marina con tutti i mezzi politici e legali disponibili.

La ferma opposizione del Governo a ogni pretesa indiana di effettuare investigazioni sulla nave e sul personale a bordo, si è accompagnata, sin dall’inizio, alla decisa affermazione della giurisdizione italiana sul caso, in conformità al diritto internazionale generale e convenzionale, in quanto il fatto è avvenuto in acque internazionali su una nave battente bandiera italiana e ha visto il coinvolgimento di militari italiani, facenti parte del nucleo militare di protezione (NMP) a bordo del mercantile, operanti nell’ambito di un’operazione antipirateria raccomandata da norme internazionali.

In questa delicata fase conclusiva del processo dinanzi alla Corte suprema indiana, l’azione di difesa legale e di supporto diplomatico è stata massima e i nostri militari hanno potuto beneficiare del contributo di esperti internazionalisti italiani chiamati ad affiancare il team di legali fin da subito approntato a loro difesa.

Il Governo fa, quindi, affidamento sull’imparzialità di giudizio della Corte Suprema di Nuova Delhi ai fini di un pronunciamento che riconosca la piena giurisdizione italiana sul caso, l’immunità funzionale dei due militari italiani e il conseguente annullamento del processo penale presso le corti dello Stato indiano del Kerala.

Ciò posto, si precisa che la M/N Enrica Lexie è stata indotta ad entrare nelle acque territoriali indiane dalle autorità locali dello Stato del Kerala, che hanno chiesto al mercantile di dirigere in porto per collaborare all’identificazione di alcuni sospetti pirati fermati nell’area in cui l’unità era stata interessata all’evento.

Nella fattispecie, l’autorizzazione a procedere verso le acque territoriali indiane è stata data dalla compagnia armatrice, una volta contattata dal comandante della nave. Ciò, tuttavia, per la presenza del NMP a bordo, è avvenuto a seguito di preventiva informazione della catena di comando militare nazionale, che, peraltro, sulla base del quadro di situazione a quel momento noto, non aveva ravvisato elementi che potessero indurre a negare un’attività di collaborazione con uno Stato anch’esso coinvolto nella lotta alla pirateria.

Al momento della richiesta di dirigere in porto, quindi, non vi erano motivi per sospettare quanto sarebbe poi accaduto e soddisfare tale richiesta appariva in linea con la naturale collaborazione internazionale tra Stati. È evidente, dunque, che si è trattato di giudizi e conseguenti decisioni che solo successivamente hanno dovuto confrontarsi con un contesto di riferimento assai diverso e carico di ben più ampie criticità.

Peraltro, come noto, è stata recentemente approvata, presso la 4a Commissione permanente (Difesa) del Senato, la risoluzione XXIV-46 che prevede tra gli impegni al Governo anche quello di rivedere e di ottimizzare il protocollo d’intesa siglato tra il Ministero e la Confederazione italiana armatori (Confitarma).

Al riguardo, sono già in avanzato stato di definizione le modifiche al protocollo.

Concludendo, si assicura che il Governo continua a riservare alla vicenda la massima attenzione, concentrandosi sulle indagini in corso, sull’eccezione di giurisdizione e d’immunità funzionale, proseguendo nel contempo nell’opera di sensibilizzazione dei Paesi amici, anche in seno alle principali organizzazioni internazionali, con l’immutato obiettivo di riportare in Italia i due marò.

DI PAOLA GIAMPAOLO Ministro della difesa

23/10/2012
[/toggle] conferma che l’autorizzazione era stata data dal suo Ministero, condendo la ricostruzione dei fatti con considerazioni e giustificazioni piuttosto “acrobatiche (…)”.

Lei si recò pochi giorni dopo il 15 febbraio in India.
“(…) Mi recai a Kochi, per dare pubblicamente all’India la il segnale dell’elevatissima priorità politica che la questione dei nostri Maro’ aveva per il Governo e per l’intero Paese. Feci il punto della situazione con il team che stava lavorando al caso. Proprio in quel momento stavano emergendo attriti nella effettuazione della perizia balistica, perche’ gli indiani contrastavano la presenza dei nostri esperti nelle rilevazioni tecniche. Fu una visita utile: in primo luogo perché consentì di rafforzare la tesi che i Marò potessero e dovessero essere giudicati soltanto in Italia; in secondo luogo perché apparve evidente alle autorita’ indiane, a seguito delle mie pressioni durante la visita, che non era nemmeno immaginabile che i nostri Maro’ venissero messi in un carcere del Kerala, come inizialmente gli indiani volevano fare. Si ottenne che essi fossero sistemati in una guest house, in area si’ sorvegliata ma con la possibilità di una presenza continuativa dell’addetto militare da Nuova Delhi e assistenti delle nostre Forze Armate. Inoltre poterono mantenere la divisa in riconoscimento del loro status militare (…)”.

I due marò
I due marò

Come trovò i due marò quando passò del tempo con loro?
“Ho sempre constatato in Massimiliano Latorre e Salvatore Girone una forza morale straordinaria. Sono due uomini di grande carattere, assoluta dedizione al servizio dello Stato e di un grandissimo attaccamento alla Patria e al loro contingente. Ritengo siano il simbolo della fierezza e dell’orgoglio italiano e anche della grandissima qualità degli uomini che noi impegniamo nelle Forze di Pace. Per questo ho sempre considerato fondamentale il Paese e per la nostra politica estera trovare una soluzione che li riporti a casa (…)”.

Un momento molto delicato della vicenda fu quando annunciò la decisione di trattenere i Marò in permesso in Italia. Ma dopo qualche giorno lei stesso informò del loro rientro e si dimise. Cosa accadde realmente?
“La questione è molto semplice e tutto quello che ora ricostruisco è ampiamente documentato da lettere e comunicazioni ufficiali che sono state via via analizzate anche da trasmissioni televisive, dibattiti e interviste. Il primo ritorno dei nostri sottoufficiali in Italia, il cosiddetto “congedo natalizio” a fine 2012, lo avevo ottenuto personalmente a seguito di una conversazione con il mio “omologo” indiano Salman Khurshid, come gesto simbolico di buona predisposizione e di distensione dell’India nei confronti dell’Italia per il prosieguo di questa vicenda.

LEGGI POST “MARO’, INVITO ALL’EVASIONE…”

Lo ottenemmo sulla base di un affidavit (dichiarazione giurata, ndr), che poi venne replicato anche per la licenza elettorale del febbraio-marzo successivo. Nell’affidavit avevamo inserito una clausola importante che la disinformazione della stampa governativa della fine-governo Monti ha cercato di occultare e confondere. Con l’affidavit il governo italiano s’impegnava, tramite l’ambasciatore a Nuova Delhi, a fare “tutto il possibile” per far tornare i marò in India alla fine della licenza nell’ambito delle sue prerogative e dei suoi poteri costituzionali.

Giorgio Napolitano con Massimiliano Latorre EPA/Giandotti
Giorgio Napolitano con Massimiliano Latorre EPA/Giandotti

Questo era un passaggio chiarissimo anche per gli indiani che lo avevano accettato. Ciò significava che se la magistratura italiana, presso la quale erano aperti da inizio novembre 2012 due procedimenti penali per l’incidente che veniva addebitato a Latorre e Girone (uno presso la Procura militare e uno presso quella ordinaria), avesse trattenuto il passaporto ed emanato delle misure cautelari nei confronti dei due uomini, impedendo che ripartissero dall’Italia per tutto il periodo delle indagini e del processo in Italia, nessuno avrebbe potuto dire nulla.

Al primo rientro dei due Marò, mi attivai con il Presidente del Consiglio affinché si svolgesse un’opera di sensibilizzazione della Procura di Roma, come avvenuto in altri casi, ad esempio quelli Lozano e Baraldini. Il mio obiettivo era l’attivazione della magistratura e di conseguenza il trattenimento dei due marò almeno fino ad una sentenza che ne accertasse la responsabilità o meno per l’incidente che eravamo certi fosse avvenuto in acque internazionali (…)”.

E quando tornarono la seconda volta, quindi?
“Il dato certo è che quando tornarono la seconda volta, per il permesso elettorale, vi fu una serrata concertazione fra tutte le diverse Istituzioni coinvolte per capire se l’impegno per rimandarli in India dopo le votazioni politiche tenesse ancora, essendo sopravvenuta violazione indiana alla Convenzione sul Diritto del Mare (…) Vi era stato un nuovo importante sviluppo tra il primo ritorno di Latorre e Girone in dicembre e quello di fine febbraio.

Il 18 gennaio, infatti, la Corte Suprema indiana aveva emanato una sentenza sul ricorso intrapreso dai legali di Latorre e Girone (…) Qualcosa nella sentenza della Corte, fu a nostro favore. Per la Corte Suprema l’incidente nel quale era incorsa la Lexie configurava un’azione antipirateria avvenuta al di fuori delle acque territoriali indiane e quindi, era coperta dall’articolo 100 del Trattato UNCLOS (la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del mare).

STRATEGHI L'ex premier Monti con l'ex ministro della Difesa Di Paola
STRATEGHI L’ex premier Monti con l’ex ministro della Difesa Di Paola, responsabili del destino dei marò

Ciò è molto importante anzitutto perché la Corte Suprema indiana riconosceva l’applicabilità della convenzione UNCLOS alla controversia fra Italia e India. In secondo luogo, perche menzionava l’ articolo 100 ,che prevede delle consultazioni bilaterali tra i due Paesi in vista di una soluzione diplomatica. Se la Convenzione Unclos deve essere applicata, come dicono gli stessi indiani, allora entra in campo l’arbitrato quando le consultazioni bilaterali non hanno dato nessun esito, come infatti è avvenuto da due anni a questa parte. L’Arbitrato può essere di due tipi: consensuale se i due Paesi nominano di comune accordo i loro arbitri; obbligatorio se una delle due parti non accetta l’arbitrato.

La nazione che accetta l’arbitrato, a discapito di chi lo rifiuta, può chiedere la nomina d’ufficio e procedere comunque. In quel febbraio del 2013, dunque, dopo consultazioni interministeriali molto approfondite si decise di chiedere formalmente all’India l’attivazione di un arbitrato consensuale. L’India rispose, che non voleva saperne e reiterò questa risposta negativa ripetutamente. A quel punto, dinanzi ad un atteggiamento indiano completamente negativo, il Governo italiano annunciò di voler trattenere in Italia i marò fino a che l’Arbitrato obbligatorio, che parallelamente stavamo attivando, non avesse stabilito quale Paese avesse giurisdizione. Decidemmo altresì di attivare tutte le sedi internazionali spiegando quello che era avvenuto e chiedendo sostegno: l’Italia riteneva che l’India avesse disatteso impegni previsti dalla convenzione UNCLOS e reiterati dalla stessa Corte Suprema (…)”.

TRADITORE - Mario Monti con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
Monti in posa con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

Quindi, almeno fino a questo punto, nel governo sono tutti d’accordo nel trattenere i marò in Italia. Cosa succede poi?
“Tutti eravamo d’accordo, al punto che facciamo un comunicato del Governo in due occasioni diverse, a distanza di una settimana di tempo. Il primo l’11 marzo e il secondo il 18 marzo a nome dell’intero Esecutivo, pubblicati anche sul sito della Presidenza del Consiglio, in cui si spiegava quello che ho appena esposto non soltanto ai cittadini italiani, ma anche agli indiani e a tutto il mondo. Lo inviamo, infatti, a 150 sedi su tutta la rete diplomatica e lo spiegammo a Ban Ki Moon.

I toni indiani ovviamente a quel punto montano, con dichiarazioni della signora Sonia Gandhi, leader del partito del Congresso, ma tutto questo era scontato e previsto. Era evidente che ci sarebbe stato un po’ di ‘teatro’ perché ormai i due marò non erano più in mano indiana, e si era ribaltata la situazione di fatto. Tra l’altro tutte queste preoccupazioni legalistiche, compreso l’affidavit, erano perfino pleonastiche perché i due marò erano stati presi dall’India con l’inganno. Se anche li avessimo riportati a casa con altri mezzi, si sarebbe pur sempre trattato di un’operazione imposta dallo stato di necessità: quello di tutelare nostri uomini in divisa, senza lasciarli, come nessun Paese serio fa, “dietro le linee”.

Tornando ai fatti, i Comunicati del Governo furono seguiti dal reintegro immediato dei due fucilieri nei rispettivi reparti. Le loro famiglie e tutti gli italiani erano molto soddisfatti per la soluzione di un dossier cosi’ delicato, mentre la vicenda – cosa importante – veniva ricomposta sui binari del Diritto internazionale: si apriva formalmente una controversia fra due grandi Paesi; sarebbe stata gestita in modo civile , con tutti i dettami della legalità, senza forzature e colpi di mano. Il 21 marzo, dal nulla, parte invece una convocazione del Presidente del Consiglio per una riunione ristretta e riservata dei ministri più interessati alla vicenda.

Mario Monti con Massimiliano Latorre AP/Carconi
LA STRETTA DEL TRADIMENTO Mario Monti stringe la mano Massimiliano Latorre prima di rispedirlo in India (AP/Carconi)

Avevo avuto sentore che uno scivolamento si stava verificando perché il giorno precedente alla convocazione avevo ricevuto un paio di telefonate nelle quali mi si allertava che un collega di governo (Corrado Passera, ndr) si stava agitando freneticamente perché temeva per gli interessi economici in India e riteneva che i due marò dovessero essere rispediti indietro immediatamente. Quindi mi preparai a sostenere con tutto il dovuto vigore in sede di discussione la validità di una linea che era stata sino a quel punto fortemente condivisa soprattutto dai Ministri della Difesa e della Giustizia, oltre che da Presidente del Consiglio.

Con profonda tristezza, mi resi conto che nessuno, oltre a me, era disposto a confermare la linea collegialmente decisa dal Governo poche settimane prima e messa in atto dinanzi all’intera Comunità internazionale sino al giorno prima. Nonostante la mia netta opposizione ci si rivide la mattinata successiva, e lì la decisione era stata presa. Già il 21 sera, comprendendo che il Governo stava facendo qualcosa di incredibile, qualcosa che molti definiscono subito come la nuova ‘Caporetto’ o l’8 settembre della nostra Diplomazia, inviai una comunicazione formale scritta in cui esponevo le mie considerazioni di ferma contrarietà a questa vicenda (…). Questa lettera non ottenne nessuna risposta e, il giorno dopo, sappiamo quello che è successo:

Mario Monti con Salvatore Girone
Stesso copione con Salvatore Girone (AP/Carconi)

Il Ministro della Difesa Di Paola e il sottosegretario de Mistura si recarono a convincere Latorre e Girone affinché ripartissero; dando loro assicurazioni, a quanto mi risulta, che si sarebbe trattato di una permanenza in India di poche settimane e poi il caso sarebbe stato risolto. Sappiamo invece cosa è successo. Le garanzie non c’erano. Per più di un anno si è discusso persino sul fatto se la pena di morte potesse essere applicata o meno. Il governo indiano addirittura smentì su questo punto la Presidenza del Consiglio in maniera a dir poco imbarazzante. Ecco perché decisi di dare le dimissioni. Provai un grande dolore nel constatare di dover rappresentare nel mondo un Paese che si comportava dando così scarso valore alla propria Sovranita’ e interesse nazionale. E lo dico dopo 40 anni di servizio diplomatico in una Carriera che si è sempre battuta per tenere alto il nome dell’Italia e degli italiani nel mondo”.
E’ passato più di un anno da quei momenti. Cosa è stato fatto?
“Non è stato fatto assolutamente nulla…”

(Il seguito dell’intervista all’Ambasciatore Terzi, oltre ai contributi degli altre importanti personalità intervistate su questo delicato è importante dossier, è disponibile sul libro di Carla Cace dal titolo “Marò: le voci dei protagonisti”, ordinabile in libreria, editore “Pagine” (pagg. 150, Euro 16,00)

Fonte: Profilo Facebook di Giulio Terzi di Sant’Agata che ha ricevuto stralci del libro per gentile concessione dell’editore

Monti tradì i nostri marò, ora sparisca dalla scena politica

TRADITORE - Mario Monti con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
TRADITORE – Mario Monti con Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

Vittorio Feltri per il Giornale (3 settembre 2014)

Lui non se ne sarà mai accorto, però ho sempre avuto simpatia per Mario Monti, se non altro perché a metà circa degli anni Novanta mi invitò nella foresteria dell’università Bocconi per un pranzo – come si dice (con una forzatura) – di lavoro. Parlammo della rava e un po’ meno della fava, ma discorremmo a lungo dei problemi di allora dell’Italia, che poi sono gli stessi di oggi.

Da quel tempo, il professore ha fatto una carriera della madonna: è stato commissario europeo (su gentile segnalazione di Silvio Berlusconi, ricambiato come noto con un pernacchio dal raccomandato), poi è stato nominato da Giorgio Napoleone Napolitano senatore perpetuo e, in rapida successione, addirittura presidente del Consiglio.

Però, mica male per un docente diventato famosino grazie agli articoloni scritti per il Corriere della Sera, di contenuto assai diverso dalle opere che egli ha poi realizzato una volta chiamato a governare. Ma non è questo il tema. Il bocconiano ha un merito che gli riconosco volentieri e pubblicamente: è durato poco, un annetto scarso, all’apice dell’esecutivo.

Mario Monti con Massimiliano Latorre AP/Carconi
Mario Monti con Massimiliano Latorre AP/Carconi

Nonostante la brevità della sua permanenza al vertice del governo, si è assicurato un posto di spicco nella storia del nostro vituperato Paese con una prodezza memorabile: è riuscito a rispedire i marò Massimiliano Latorre (la cui salute è minata da un’ischemia speriamo davvero transitoria) e Salvatore Girone in India, che li aveva illegittimamente arrestati per una sparatoria in cui morirono un paio di pescatori awicinatisi alla nave che i militari erano incaricati di difendere dai pirati.

Si dà il caso che l’India stessa, consapevole di aver commesso un abuso incarcerando i due fucilieri, avesse concesso loro di rientrare in Italia in permesso premio per ben due volte. Un invito esplicito al nostro Paese a non restituirli ai loro carcerieri: di già che li avete lì, cari italioti, teneteveli e sia finita questa storia assurda.

Il ministro degli Esteri dell’epoca, Giulio Terzi di Sant’Agata, mio concittadino nonché diplomatico di lungo corso, mangiò la foglia, anzi tutto l’albero, e brigò per «inventare» la forma giusta allo scopo di garantire a Latorre e Girone il soggiorno definitivo in patria. Scrisse un rapporto impeccabile in cui specificava i motivi per i quali la restituzione dei soldati all’India non era necessaria, anzi inopportuna. Il governo Monti applaudì all’iniziativa del ministro, al punto che il premier si fece fotografare con i prigionieri riconsegnati, in segno di festa per la liberazione. Cribbio. LEGGI POST “MARO’, INVITO ALL’EVASIONE

Trascorrono alcuni giorni e l’esecutivo illuminato dalla scienza universitaria del capo bocconiano sorprende il mondo intero compiendo un’indecorosa retromarcia. L’ordine di Palazzo Chigi è perentorio: restituiamo subito i fucilieri all’India in maniera che vengano processati secondo le regole di quel Paese e sia di loro ciò che è giusto che sia. L’impiccagione? Quel che sarà, sarà.

Mario Monti con Salvatore Girone
Mario Monti con Salvatore Girone AP/Carconi

Chissenefrega. L’importante è che i rapporti (commerciali) tra italiani e indiani non siano compromessi da certe inezie che in fondo riguardano due terroni arruolatisi per disperazione e ragioni alimentari. Capito l’antifona? Terzi si dà da fare in nome del governo per scarcerare i prigionieri e Monti si dà da fare per rifilarli ai loro aguzzini.

Non mi sembra una bella cosa. Ma il dado è tratto e i poveri cristi rispediti a calci nel di dietro in galera. Una vicenda da brividi, di nuovo d’attualità perché Latorre, stressato, impaurito, stanco della detenzione, avvilito da quasi tre anni di lontananza dalla propria famiglia, si fa cogliere da un ictus, fortunatamente non esiziale, ma che costituisce un campanello d’allarme: occhio ragazzo che sei a rischio. Nei panni di Monti, davanti a una notizia simile, avrei scavato una buca e lì mi sarei nascosto senza alcuna intenzione di riemergere. Lui invece se ne è sbattuto e non ha proferito una parola.

Ci auguriamo che abbia taciuto per imbarazzo, ben sapendo di essere responsabile della puttanata sopra narrata. Il problema comunque per Latorre e Girone non cambia. Essi, in salute o malati, sono laggiù tra le grinfie degli indiani grazie a italiani più indiani degli indiani. Tutti se ne fottono dei marò comandati di svolgere una missione perfettamente eseguita, ma finita male perché i loro referenti si nascondono dietro un dito e non li difendono.

Che razza di gente siamo noi che sventoliamo ogni due minuti il tricolore e cantiamo Fratelli (o fardelli) d’Italia in piazza e nei cortili maleodoranti del potere, salvo scaricare due connazionali tra i pochi ad avere adempiuto al proprio dovere? Ma andate tutti in mona, come si dice in Veneto, e non fatevi vedere più in giro, né in Senato né altrove.

Scuola, le promesse di Renzi tra bugie e attese snervanti. Sirianni accusa: Governo prigioniero della Troika

 Enza Sirianni“La gatta frettolosa fece i gattini ciechi. Sarà stato questo il proverbio che, per il momento, ha fatto slittare la mirabolante svolta epocale annunciata nei giorni scorsi sulla scuola? Pare che il rinvio sia stato dettato dalla necessità di “non mettere troppa carne al fuoco”, così leggiamo sui giornali online da fonti di Palazzo Chigi. O sarà stata la prudenza suggerita dal Presidente della Repubblica al “confidente ingegno ” del nostro baldanzoso premier ossessionato dal mito della velocità? O, ancora, più semplicemente, perchè nozze con i fichi secchi non se ne fanno?

Una riforma della Scuola che voglia essere seria e affrontare i punti nodali del sistema istruzione in Italia, deve partire da investimenti importanti. La prima doccia fredda all’annuncio dell’assunzione immediata di 100.000 precari, falsa peraltro, è arrivata dal ministro Padoan che, per dirla terra terra, ha avvertito che la cassa è vuota.

Del resto, non si è riusciti a reperire le risorse per mandare in pensione 4000 docenti della famosa quota 96, immaginiamoci da dove trarre i soldi per un così consistente numero di nuove assunzioni! In merito a tali ventilate immissioni in ruolo, è doverosa una precisazione. Si tratterebbe del ruolo per precari storici che, secondo una direttiva europea del 1999 contro la reiterazione dei contratti a tempo determinato, vanno stabilizzati, pena pesanti sanzioni per il nostro paese.

Una riforma credibile, inoltre, non può approntarsi in pochi giorni agostani e, soprattutto, come più volte noi docenti della Scuola Pubblica Italiana abbiamo evidenziato, non può essere puntualmente calata dall’alto senza sentire innanzitutto noi, i tecnici, e poi i genitori e gli alunni, attraverso un’attenta rilevazioni dei bisogni, delle esigenze, delle aspettative e delle urgenze.
Insomma attraverso consultazioni preventive e capillari nel corso dell’anno scolastico, che abbiano il carattere del rigore scientifico.

Sempre se si vuole essere seri e non piuttosto fare partite truccate. Con rammarico, infatti, a seguito delle anticipazioni fatte in questi giorni dal Ministro Giannini al Meeting di Rimini, abbiamo immediatamente notato il trucco nascosto nella cosiddetta scommessa sulla Scuola, udite, udite, per il rilancio dell’Italia. Ci fa piacere che finalmente qualcuno cominci a comprendere la stretta correlazione che c’è tra istruzione e competitività del paese.

Ma la camera di rianimazione in cui stiamo, richiede soluzioni immediate, a breve termine, non proiezioni trentennali.
Per carità, pianificare a medio e lungo termine, è previdente e fruttuoso, ma la macchina è inceppata e bisogna farla ripartire subito, con soluzioni efficaci, mirate.

Siamo ufficialmente in deflazione, una brutta bestia peggiore dell’inflazione, per uscire dalla quale , occorreranno decenni, e siamo ritornati in recessione. Senza avventurarci in discorsi economici, lasciamoli agli addetti ai lavori, ma usando solo e semplicemente il buon senso, ci chiediamo come si possa rilanciare l’economia dando un altro durissimo colpo all’occupazione, i cui dati sono sempre più drammatici.

Nelle linee della riforma, è previsto infatti la creazione di un organico funzionale di rete al posto di quello attuale di diritto, per cui ci sarebbero dotazioni di docenti per un numero di scuole dello stesso ordine che dovrebbero coprire ore curricolari e supplenze.
A parte, il carico aggiuntivo di lavoro e l'”uso” dei docenti di ruolo come tappabuchi in questo o quell’istituto, con ricadute frustranti sul loro lavoro, altro che miglioramento della didattica, lo scopo dichiarato dallo stesso ministro sarebbe quello di eliminare le supplenze e dunque escludere 400.000 aspiranti insegnanti che, di solito, hanno conseguito lauree finalizzate all’insegnamento appunto.

Un giovane che si sia laureato in lettere, matematica, filosofia, impedito di cominciare a lavorare, sia pur da precario, nella scuola, oggi in Italia, quale altra possibilità d’inserimento consona agli studi fatti, avrebbe? Nessuna.

Dunque, la riforma del cosiddetto rilancio, già conterrebbe un consistente numero di cadaveri.
Ma gli effetti devastanti sull’occupazione, non finirebbero qui.
Infatti, se come già tentato in passato sotto il governo Letta e poi rilanciato dal sottosegretario attuale del Miur, Reggi, si imponessero agli insegnanti le 24 ore settimanali, o addirittura le 36 ore, i posti che si perderebbero potrebbero arrivare a 600.000.

A questo punto ci viene un dubbio. La fretta della “rivoluzione” renziana sulla scuola, è dettata da una regia esterna, la stessa che sta imponendo il rigore suicida in Europa con la conseguente demolizione dello stato sociale?
Un altro dubbio. Detto fuori dai denti, dietro c’è l’ombra della Troika?

Noi propenderemmo per due risposte affermative.In Grecia,come è noto, la Troika, il micidiale composto di Fmi, Bce ed Ue, si è comportata non solo da usuraia con i prestiti del “salvataggio”, ma ha preteso immediate “riforme”, come il licenziamento brutale di un tot numero di dipendenti statali e di insegnanti della scuola pubblica greca. In Italia, non ancora ufficialmente commissariata dall’Ue, certe pulizie, per vari motivi, non sarebbero possibili.

L’Italia non è la piccola Grecia e bisogna agire con cautela.
Lo schianto economico dello stivale, la bancarotta per intenderci, avrebbe gli effetti devastanti di un elefante nella cristalleria dell’Europa. Dunque si tratta l’ammalato terminale con prudenza, imponendo le solite cure da cavallo camuffate con escamotages vari.

Non dimentichiamo infatti che noi, come gli altri nostri coinquilini, siamo sotto la tagliola degli aberranti trattati europei, in primis lo stritolante Fiscal Compact ed altri ancora. Sfuggirvi è impossibile se non si ha il coraggio di rifiutarli e ridiscuterli alla luce della situazione economica degli stati membri dell’eurozona e delle ulteriori sofferenze che provocheranno alle già vessate popolazioni europee, soprattutto a quelle dei paesi periferici, i poveri PIIGS.

Altro che farfugliare di flessibilità e poi calarsi le braghe dinnanzi ad uno Schäuble, tanto per fare un nome, peraltro ministro tedesco delle Finanze, quello che ha freddato persino un Draghi sul ricorso a misure non convenzionali a contrasto della deflazione.
Allora si fanno annunci e si attuano decimazioni mascherate con il nome di riforme.
Per la Scuola Pubblica Italiana sta avvenendo esattamente questo.

Un piano di lento smantellamento iniziato da tempo che , ora, si sta accelerando. Sic et simpliciter. Ma le criticità della scommessa Renzi-Giannini sono tante. Non si tratta solo di un problema occupazionale, qui brevemente evidenziato per la contraddizione con le necessità della crescita di cui i vari esecutivi, da Monti in poi, hanno solo favoleggiato.

Il paese è nella morsa delle sabbie mobili e vi sprofonda sempre di più, senza uno spiraglio di fatti, non parole, che comincino a trascinarlo fuori dal pantano in cui sta si sta compiendo la sua dolorosa agonia. I punti controversi su cui i docenti della Scuola Pubblica, insieme alle famiglie e ai ragazzi, sono pronti a dare battaglia, sono molteplici : dal taglio ipotizzato dell’ultimo anno delle superiori, chiaramente non per migliorare la qualità dell’offerta formativa ma per le solite logiche di risparmio,

all’introduzione di capitali privati, esattamente come gli sponsor di una squadra di calcio, alla classificazione dei docenti in fasce con lo sbandieramento del panno rosso del merito, un miserevole osso di pochi euri mensili per scatenare guerricciole tra poveri, al ruolo dei dirigenti, costretti a fare i funzionari asburgici e a decidere chi debba avere qualche soldino in più e chi , eventualmente, vada punito, secondo le testuali parole della Giannini, e condannato nel girone dei licenziabili, al finanziamento delle scuole paritarie contro il dettato costituzionale, ai nuovi programmi in cui , senza pudore, ritornano come novità l’inglese e l’informatica di berlusconiana memoria.

Non ci siamo. Questa riforma ha il sapore di propaganda di regime, o di mera strategia di marketing come si preferisce, sotto cui si cela il nulla. Un nulla riferito alle sorti della Scuola Pubblica Italiana, da annientare appunto. Le logiche del piano sono marcatamente neoliberiste , da azienda e mercato. A questa mercificazione e distruzione del sapere libero, pluralista, accessibile a tutti che solo la scuola pubblica può garantire, superfluo ribadire che ci opporremo con tutte le nostre forze”.

Enza Sirianni
Referente coordinamento insegnanti calabresi

Il Telegraph a Renzi: "L'Italia deve tornare alla Lira"

euroAmbrose Evans-Pritchard per il Telegraph

“E’ un fatto incontrovertibile che il disastro che dura da 14 anni in Italia coincide con l’adesione all’Unione Economica e Monetaria (UEM) dell’UE. L’Italia è in depressione da quasi sei anni. Il crollo è stato costellato da false riprese, sopraffatte ogni volta dai dilettanti monetari responsabili della politica UEM. L’ultima ripresa è svanita dopo un solo trimestre. L’economia è di nuovo in recessione tecnica. La produzione è crollata del 9.1% dal suo picco, indietro a livelli di 14 anni fa. La produzione industriale è scesa a livelli del 1980.

Ci vogliono errori di politica economica madornali per realizzare un tale risultato in una economia moderna. L’Italia non ha subito niente di simile durante la Grande Depressione, facendo segnare una crescita del 16% tra il 1929 e il 1939. Nemmeno Mussolini era così maniacale da perseguire i suoi deliri sul Gold Standard fino all’amaro finale. Le autorità italiane intravvedono segnali di ripresa, come le guardie della fortezza nel Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, ingannati dalle illusioni ottiche dell’orizzonte senza vita. I prestiti bancari alle imprese sono ancora in calo a un tasso del 4.5%. Moody’s dice che quest’anno l’economia si contrarrà dello 0.1%. Société Génerale prevede -0.2%.

Il crollo della proprietà immobiliare non ha ancora toccato il fondo. La Banca d’Italia ha detto che il numero dei mesi necessari per vendere una casa è salito a 9,4, da 8,8 della fine dell’anno scorso. L’indice del peggioramento delle condizioni di mercato è passato da 19.6% a 34.7% in tre mesi. “Non possiamo andare avanti più a lungo”, hanno dichiarato alla filiale di Taranto dell’associazione degli industriali italiana, Confindustria, in una lettera aperta al Presidente della Repubblica. La regione sta diventando un “deserto industriale”, hanno avvertito, con le piccole imprese sull’orlo della chiusura e dei licenziamenti di massa. Il mix letale di contrazione economica e inflazione zero sta portando la traiettoria del debito in Italia a crescere in maniera esponenziale, nonostante l’austerità e un avanzo primario del 2% del PIL.

Ambrose Evans-Pritchard
Ambrose Evans-Pritchard

Nel primo trimestre il debito pubblico è salito al 135.6%, dal 130.2% dell’anno prima. Questo è un effetto meccanico, il risultato dell’onere dell’interesse composto su una base nominale statica. I tassi di interesse reali sullo stock del debito italiano di € 2.100 miliardi – con una scadenza media di 6,3 anni – sono in realtà in aumento a causa dell’arrivo della deflazione.

Il rapporto del debito può arrivare al 140% entro la fine dell’anno, in acque inesplorate per un paese che in realtà si indebita in D-Marks. “Nessuno sa quando i mercati reagiranno” ha detto un banchiere italiano.
La recessione sta erodendo le entrate fiscali così gravemente che il premier Matteo Renzi dovrà venirsene fuori con nuovi tagli, dai 20 ai 25 miliardi di €, per soddisfare gli obiettivi di disavanzo dell’UE, perpetuando il circolo vizioso.
Il compito è senza speranza. Uno studio del think-tank Bruegel ha rilevato che l’Italia deve realizzare un avanzo primario del 5% del PIL per stabilizzare il debito con un’inflazione al 2%. L’avanzo sale al 7.8% a inflazione zero. Qualsiasi tentativo di raggiungere questo obiettivo porterebbe ad una implosione autodistruttiva dell’economia italiana.

Ashoka Mody, fino a poco tempo fa alto funzionario del piano di salvataggio del FMI in Europa, ha detto che gli studi interni del Fondo hanno ritenuto impossibile realizzare avanzi primari nella scala necessaria. Egli consiglia alle autorità italiane di cominciare a consultare “dei bravi avvocati per garantire una ristrutturazione ordinata del debito sovrano”. “Non deve essere un cataclisma. Ci sono modi di dilazionare gli obblighi di pagamento nel corso del tempo. Ma non c’è nessuna ragione di attendere fino a che il rapporto giunga al 150%. Dovrebbero andare avanti in questo senso da subito” ha detto.

Prezzo delle caseEugenio Scalfari, il decano de “La Repubblica” e leader dell’establishment UEM in Italia, dice che la ricaduta degli ultimi mesi ha ucciso tutte le illusioni. Ha raccomandato a Renzi di prepararsi a un salvataggio. “Devo esprimere una amara verità, perché tutti noi possiamo vedere la realtà davanti i nostri occhi. Forse l’Italia dovrebbe mettersi sotto il controllo della Troika di Commissione, BCE e FMI” ha detto. Scalfari sembra pensare che la democrazia in Italia dovrebbe essere sospesa per salvare l’euro, che il paese dovrebbe raddoppiare le politiche di terra bruciata, imbarcandosi in uno sforzo ancora più draconiano per recuperare competitività attraverso un svalutazione interna.

Il giovane Renzi – appena 17enne quando fu firmato il Trattato di Maastricht, e quindi libero dal peccato originale – potrebbe equamente concludere il contrario, che l’euro dovrebbe essere abbandonato per salvare l’Italia. E’ un fatto incontrovertibile che il disastro italiano che dura da 14 anni coincide con l’adesione all’UEM. Questo non prova che ci sia causalità. Ma suggerisce che l’UEM ha messo in moto una dinamica molto distruttiva per le particolari condizioni dell’Italia, ed è molto chiaro che l’UEM ora impedisce al paese di uscire dalla trappola.

Ci dimentichiamo che l’Italia registrava abitualmente un surplus commerciale nei confronti della Germania nel periodo pre-UEM. Le industrie italiane del nord erano viste come concorrenti formidabili, quando la lira era debole.

Il PIL dell'italiaAntonio Guglielmi, di Mediobanca, dice che l’Italia teneva, prima di agganciare la lira al marco nel 1996. Solo allora è entrata in una “spirale negativa della produttività”. In un rapporto che è una condanna, egli ha mostrato come negli ultimi 40 anni la crescita della produttività e della competitività in Italia ha vacillato ogni volta che la valuta nazionale è stata agganciata a quella tedesca. E si è ripresa dopo ogni svalutazione.

Una ragione è che l’economia Italiana ha un “gearing” del 67% sul tasso di cambio a causa dei tipi di prodotti che fabbrica, rispetto al 40% della Germania. Il tallone d’Achille è la metà arretrata dell’economia Italiana, soprattutto il Mezzogiorno, che compete testa a testa con la Cina e le economie emergenti dell’Asia, la Turchia e l’Europa orientale in settori sensibili ai prezzi.

Non vorrei tornare sul dibattito stantio sul perché l’Italia ha continuato a perdere competitività del lavoro nei confronti della Germania per un decennio e mezzo, se non per dire che questo dimostra solo quanto sia difficile piegare le culture profondamente radicate dei paesi europei alle esigenze di un esperimento monetario. Gli economisti avevano detto che le nazioni UEM avrebbero dovuto convergere. Gli antropologi e gli storici hanno sostenuto che una cosa simile non sarebbe accaduta.

E ora siamo arrivati qui, la situazione è ormai insostenibile. L’Italia è sopravvalutata del 30% rispetto alla Germania. Non può recuperare attraverso la deflazione, in quanto la stessa Germania è vicina alla deflazione. Le élite della UEM esortano l’Italia a fare le “riforme”, un termine che viene buttato là liberamente. “E’ tutto un pio desiderio. Le metriche del mercato del lavoro per la Germania e l’Italia non sembrano così diverse. Non è più facile assumere e licenziare in Germania”, ha detto Modi, che era il direttore del FMI in Germania.

Euro disastro EuropaIl professor Giuseppe Ragusa, della Luiss Guido Carli di Roma, ha detto che il principale fallimento in Italia è la mancanza di investimenti in capitale umano. “Ciò che veramente colpisce è quanto siamo indietro nell’istruzione”, ha detto. I dati dell’OCSE mostrano che l’Italia spende solo il 4.7% del PIL per l’istruzione, rispetto al 6.3% di tutta l’OCSE. La quota di giovani di età compresa tra 25-34 anni che hanno completato gli studi superiori è del 21%, rispetto ad una media del 39%. Gli insegnanti sono pagati una miseria.

Questo è davvero un grosso problema strutturale, ma non può essere risolto dalle “riforme”, figuriamoci dall’austerità. Pochi contestano che lo Stato italiano ha bisogno di una revisione radicale. Ma ciò di cui l’Italia ha bisogno è anche un New Deal, un massiccio investimento in infrastrutture e competenze, sostenuto da uno stimolo monetario per sollevare il paese dalla sua soffocante tristezza cosmica. Renzi deve ormai aver capito che questo non può essere fatto sotto l’attuale regime dell’UEM. Improvvisamente si ritrova nella stessa situazione terribile di Francois Hollande in Francia. Da outsider, si è scagliato contro l’ austerità dell’UEM, solo per sottomettersi tranquillamente una volta in carica, rassicurato dai suoi consiglieri che la ripresa era a portata di mano. Entrambi si ritrovano con il cappio al collo.

La differenza è che Hollande è oltre ogni possibilità di salvarsi. Il regime depressivo dell’UEM ha distrutto la sua presidenza. Le Figaro sta pubblicando una fiction estiva in cui si esplora la possibilità di dimissioni anticipate. Il signor Renzi non ha ancora bruciato il suo capitale politico, ed è un giocatore d’azzardo per natura. Non c’è più alcuna possibilità che Italia e Francia conducano una rivolta dei paesi latini, mettendo insieme una maggioranza in seno al Consiglio europeo e alla Banca centrale per imporre una strategia di rilancio a livello dell’UEM che cambi completamente il panorama economico.

Con l’adesione alla Germania a tutti i costi, la forza politica di Hollande è bruciata. Gli Spagnoli pensano – sbagliando – di essere fuori dal guado, e di non averne bisogno. Renzi è solo. Egli si trova davanti una BCE che ha sostanzialmente violato il suo contratto con l’Italia, lasciando cadere l’inflazione a 0.4% sapendo che questo avrebbe fatto andare in metatstasi la crisi italiana. Egli si trova davanti una Commissione subentrante che promette di attuare le stesse disastrose politiche economiche che si sono già dimostrate rovinose.

Non vi è alcuno spazio di negoziazione. Queste istituzioni non sono riuscite a garantire un aggiustamento simmetrico che costringa sia il Nord che il Sud ad adottare delle misure per chiudere il divario intra-UEM da entrambe le estremità, assumendosi pari responsabilità per la cattiva gestione della joint venture UEM nei suoi primi anni. Sostenendo solo la volontà dei creditori, hanno messo a terra l’unione monetaria. Non hanno più alcuna legittimità.

1000 lireL’Italia deve badare a se stessa. Si può riprendere solo se si libera dalla trappola UEM, riprende il controllo dei suoi strumenti di politica economica e ridenomina i suoi debiti in lire, con controlli dei capitali fino a quando le acque si calmano. L’Italia non si troverebbe ad affrontare una crisi immediata di finanziamento, dal momento che ha un avanzo primario di bilancio. La sua posizione patrimoniale netta sull’estero è al -32% del PIL, a fronte di un -92% della Spagna e -100% del Portogallo.

Il paese non soffre di eccesso di debito da un punto di vista fondamentale. Il debito ipotecario è molto basso. Il debito aggregato è circa il 270% del PIL, molto inferiore a quello di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Giappone, Stati Uniti, Svezia e Paesi Bassi. Il problema principale è un disallineamento del tasso di cambio che crea una crisi del debito pubblico non necessaria, attraverso i meccanismi perversi della UEM.

Non vi è un modo facile di uscire dall’euro. Le strutture ad incastro dell’unione monetaria sono andate ben oltre un aggancio di cambio fisso. Gli interessi costituiti sono potenti e spietati. Eppure non è impossibile. La faccenda sicuramente precipiterà quando la traiettoria del debito italiano entrerà nella zona di pericolo. Questa volta potrebbe non essere così evidente che il paese vuole essere salvato alle condizioni europee. Renzi può giustamente concludere che l’unico modo possibile per adempiere al suo compito di un Risorgimento per l’Italia, e costruirsi il proprio mito, è quello di scommettere tutto sulla lira.”

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Edward Luttwak: "Israele troverà il tesoro di Alarico a Cosenza". L'esperto della Casa Bianca in Calabria sulle tracce del re dei Visigoti

Il sindaco di Cosenza Occhiuto con Edware Luttwak
Il sindaco di Cosenza Occhiuto con Edward Luttwak

Da Israele a Cosenza per scovare, non i tunnel della temuta Hamas a Gaza ma, attraverso sofisticati congegni militari, il tesoro del re dei Visigoti Alarico, morto nella città dei Bruzi 1600 anni fa. E’ quanto ha annunciato a Cosenza il politologo americano ed esperto di strategie militari Edward Luttwak, in visita nella città calabrese dove nell’anno 410 la leggenda narra fu sepolto il barbaro che saccheggiò Roma.

“Sono riuscito a contattare – sono le parole di Luttwak – un giovane ingegnere militare che si occupa dei combattimenti di Gaza e lui mi ha garantito che può venire a Cosenza a presentare il “menù” militare per costi e metodologie da avviare sulle tracce di Alarico. Tutti gli storici del mondo – ha detto Luttwak – potrebbero venire a Cosenza a vedere non dico la Menorah (il candelabro ebraico), ma almeno le monete, i monili e ciò che si potrà trovare”.

Accolto dal sindaco di Cosenza Mario Occhiuto e altri esperti, il consulente del Pentagono, di origine ebraica, in una conferenza stampa ha mostrato estremo interesse per la storia di Cosenza e in particolare per il tesoro di re Alarico. All’incontro, probabilmente impossibilitato, era assente lo storico cosentino, Coriolano Martirano, che ha dedicato parte della sua vita al mistero del tesoro del re gotico.

Solo otto giorni fa, si legge in una nota del portavoce del sindaco Occhiuto, Luttwak ha ospitato “nella sua villa a Washington il sinologo Francesco Sisci, calabrese di origine e amico personale di Mario Occhiuto. “L’ho portato a incontrare il capo dell’intelligence al Pentagono”, ha spiegato Luttwak . Poi ci siamo seduti attorno alla piscina di casa mia e così siamo finiti a parlare di Cosenza e di Alarico. A quel punto l’ho condotto nella mia biblioteca e gli ho mostrato il testo di Jordanes…”.

Una ricostruzione della sepoltura di Alarico
Una ricostruzione della sepoltura di Alarico

Lo storico gotico Jordanes narra della scomparsa improvvisa di Alarico, sepolto nell’alveo del Busento insieme a tutti i suoi tesori. Un racconto dal quale nei secoli a venire è stato coltivato il mito del re dei Goti. “Sisci – ha proseguito Luttwak – ha comunicato della nostra chiacchierata al vostro sindaco, che non è esattamente una figura provinciale, e nel giro di poche ore Mario Occhiuto mi ha fatto modificare i miei piani, organizzando nei dettagli il mio viaggio qui”.

La circostanza era stata già accennata poco prima dal Sindaco quando, introducendo il prestigioso ospite, aveva tenuto ad esporre brevemente i progetti dell’Amministrazione comunale attorno alla figura di re Alarico: “Il mio Esecutivo ha pensato da subito di farne un’attività di interesse tant’è che abbiamo ottenuto un finanziamento di 7 milioni di euro per abbattere l’ex hotel Jolly e farvi sorgere il museo di Alarico. Cosenza – ha rimarcato Occhiuto – è sede dell’Accademia cosentina, del centro studi telesiano e poi attrae numerose presenze proprio per il famoso barbaro che con il tesoro trafugato forse nel sacco di Roma sarebbe sepolto nell’alveo del fiume”.

“In sintesi – ha continuato Occhiuto – realizzeremo nel centro storico il museo di Alarico e le botteghe di Alarico, riqualificheremo i fiumi, ovvero tutte attività che portiamo avanti perché convinti di poter puntare concretamente sulla promozione turistico-culturale del nome del re dei Goti. Naturalmente abbiamo preso al balzo l’opportunità di avere questo scambio importante con il professor Luttwak, che ringrazio. Con il suo aiuto vorremmo aumentare l’interesse attorno a questo tema”.

Edward Luttwak ha ricordato che “l’unico testo che menziona questa storia della morte di Alarico a Cosenza dopo che aveva saccheggiato Roma è quello di Jordanes. Il saccheggio di Roma non era la devastazione che ci fu dopo, era il saccheggio di gente affamata.

A Roma non hanno distrutto molto, hanno distrutto pochissimo, hanno lasciato i dipinti, prendendo oro e argento, qualcosa di bronzo, cose leggere. Nelle case senatoriali trovavano infatti ori e argenti. C’è pochissima documentazione su questo. I goti usavano i letti dei fiumi, è comprovato. Seconda cosa: questi Goti erano dei capobanda, degli imprenditori del saccheggio”.

[flagallery gid=8]Luttwak ha quindi spaziato sulle tecniche militari, nonché su altre nuove metodologie che consentirebbero di poter perlustrare il terreno dove potrebbe essere stato sepolto Alarico. Infine il consulente della Casa Bianca ha concluso. “Sono riuscito a contattare un giovane ingegnere militare che si occupa dei combattimenti di Gaza e lui mi ha garantito che può venire a Cosenza a presentare il “menù” militare per costi e metodologie da avviare sulle tracce di Alarico. Tutti gli storici del mondo – ha concluso Luttwak – potrebbero venire a Cosenza a vedere non dico la Menorah (il candelabro ebraico), oggetto di culto multireligioso, ma almeno le monete, i monili e ciò che si potrà trovare”.

Il tesoro di Alarico negli anni ha interessato storici e archeologi di tutto il mondo nonché alimentato anche qualche polemica. Si narra che alla morte del re, giunta per la malaria, il condottiero fu sepolto nel Busento al punto di incrocio con il fiume Crati. Negli ultimi decenni sono stati avviati scavi ma senza esito. Contestualmente le ricerche sono state estese alle porte di Cosenza, fino a Mendicino, dove è stata rinvenuta una grotta in cui sono stati ritrovati reperti di origine gotica.

Re Alarico
Re Alarico

L’unico testo disponibile, come diceva Luttwak, è quello di Jordanes (o anche Giordane), che nel V secolo d.C. scrisse il “De origine actibusque Getarum”; la storia dei Goti in dodici libri in cui si racconta anche la morte del barbaro: «Raccolta, pertanto, una schiera di prigionieri in catene, scavano in mezzo all’alveo (del Busento presso la città di Cosenza, ndr) il luogo della sepoltura, tumulano Alarico nel centro della fossa con molte ricchezze, riportano il fiume nel suo alveo e, affinché il luogo non sia riconosciuto da alcuno, uccidono tutti gli scavatori».

Il monaco longobardo Paolo Diacono nel ‘700 confermava il testo:«I Goti, deviando il fiume Busento dal suo alveo con il lavoro dei prigionieri, seppelliscono Alarico con molte ricchezze nel mezzo dell’alveo e restituendo il fiume al proprio corso, uccidono i prigionieri che avevano partecipato, affinché nessuno potesse rilevare il luogo».

Nell’estate 2013, all’annuncio del sindaco Occhiuto di ricordare con un museo il re dei Goti, lo storico Battista Sangineto, aveva polemizzato: «Perché festeggiare un invasore, saccheggiatore, violentatore, assassino, ma, soprattutto, perché celebrare, intitolando loro una piazza, persino quei Visigoti che trucidarono, 1600 anni or sono, centinaia di nostri progenitori?».

Interrogativi che hanno generato un dibattito nazionale sull’opportunità o meno di dedicare tanta attenzione al “condottiero assassino”. Quesiti analoghi, tuttavia, ai tanti carnefici che affollano i libri di storia eretti a “eroi” da molti “cultori” contemporanei…

Riproponiamo la poesia di August von Platen tradotta da Giosuè Carducci sulla morte di Alarico: [quote]«Cupi a notte canti suonano / Da Cosenza su ‘l Busento, / Cupo il fiume gli rimormora / Dal suo gorgo sonnolento. // Su e giù pe ‘l fiume passano / E ripassano ombre lente: / Alarico i Goti piangono / Il gran morto di lor gente».[/quote]

Pantani nel Giro del ’99 dopato con l’inganno. Vallanzasca raccontò a mamma Tonina. Dietro “l’omicidio” la malavita

Il boss Renato Vallanzasca
Renato Vallanzasca

Se Marco Pantani è stato “suicidato” con una dose massiccia di droga non si può escludere che nel Giro del ’99 a Madonna di Campiglio gli sia stato reso lo stesso servizio.

L’omicidio del campione potrebbe essere maturato per contrasti nel mondo del doping e delle scommesse sportive gestite dal crimine organizzato. Già nella tappa a Trento il ciclista potrebbe essere stato dopato con l’inganno da chi aveva in mano il losco business delle scommesse sul Giro d’Italia.

Pantani avrebbe, prima di quella gara, assunto a sua insaputa, una miscela dopante manipolata ad arte da prezzolati criminali al fine di stopparlo ai controlli e fargli perdere gara (col ritiro obbligato), immagine e credibilità. Operazione a quanto pare riuscita perfettamente, con conseguenze nefaste per il campione che fu sbeffeggiato, denigrato e deriso dal mondo sportivo e non solo. Fatto a pezzi dalla gogna mediatica.

Tra le righe di una lettera che il boss della Comasina, Renato Vallanzasca, scrisse nel 2007 a Tonina Pantani, è riflesso l’epilogo cui sono giunti i Pm di Rimini grazie alla nuova tesi difensiva dell’avvocato Antonio De Rensis, alla perizia del professor Avato e alla tenacia della mamma di Pantani. In questa missiva il re del crimine parla di strani avvicinamenti in carcere a Opera dove “amici” gli avrebbero consigliato di scommettere sui due concorrenti diretti di Pantani, il campione imbattibile che vinceva tutto. Ma in Trentino quella volta era “destinato a perdere”, perché questo avevano deciso i Signori delle scommesse.

L’ombra della malavita in questi passaggi pare esserci tutta ed è pure abbastanza ingombrante. Dunque, prima della tappa a Madonna di Campiglio una squadra di malviventi ben organizzata avrebbe fatto assumere al Pirata una forte dose di sostanze dopanti per far sì che risultasse positivo al test antidoping per poi costringerlo alla squalifica. Non è la verità ufficiale ma è ciò che affiora ripercorrendo a ritroso le tappe inquinate di questa vicenda. Non torna nulla.

Dai dubbi sui test di laboratorio, ai flaconi alterati, alle piastrine prima nella norma e poi sballate. Tutti elementi che pian piano schiariscono il mosaico delle omissioni sul caso del ciclista. I pm di Rimini pare vogliano far piena luce soprattutto su quella dannata tappa per arrivare al giorno in cui il campione sarebbe stato ucciso. Perché è a Madonna di Campiglio l’inizio della fine…

I TEST E LE FREGATURE SUBITE DA PANTANI – Se Rimini è stata la fine, Madonna di Campiglio è stata l’inizio di tutto. Su quel test, non un controllo antidoping, ma a tutela della salute dell’atleta, a distanza di quasi 15 anni continuano i dubbi: il valore fuori norma dell’ematocrito (51,9) era il reale risultato oppure un fattore esterno (in buona o in malafede) lo ha modificato? Chi e perché aveva interesse a “fregare” Pantani? Sono domande senza risposta e, in mancanza di un testimone chiave dei fatti, i sospetti sono destinati a restare tali.

SI POTEVA ANNULLARE — Intanto quel test si poteva annullare con un semplice ricorso. Il motivo? I medici avevano violato il protocollo del Comitato Olimpico (che deve seguire anche l’Unione ciclistica internazionale): la provetta dove è stato riposto il sangue di Pantani è stata scelta a caso dal medico. Non si poteva e non si può fare: spetta all’atleta questo gesto perché il flaconcino deve essere al di sopra di ogni sospetto. L’ispettore di Campiglio, Coccioni, nel libro In nome di Marco, spiega: “Il test poteva essere cassato. Ma nessuno sollevò il problema…”.

PRIMA E DOPO — I dubbi vanno al di là dell’episodio e della frase sibillina detta dal medico a Pantani prima del controllo: “La vedi? È la tua provetta, non voglio contestazioni dopo”. La sera precedente il 5 giugno, come tutti i corridori di vertice, Pantani si misurò in hotel l’ematocrito. Aveva 48 e piastrine normali. Roberto Rempi, medico della sua squadra (la Mercatone Uno), ha confermato a Italia 1 questo fatto. Al mattino il riscontro dell’Uci è di 51,9 con piastrine sballate: il medico Rempi ha mostrato il grafico dei controlli effettuati a tutti i ciclisti, compreso Pantani, e soltanto le piastrine del Pirata presentavano un valore così anomalo e non giustificato dall’ematocrito. Marco squalificato torna a casa (“questa volta non mi rialzo”) e si ferma a Imola per un nuovo test: l’ematocrito è di nuovo a 48 con piastrine normali. Proprio questa altalena delle piastrine è giudicata anomala: il professor Tura, perito della Procura di Trento nel processo a carico del Pirata, lo fa notare. L’ipotesi è che la provetta sia stata riscaldata (in via accidentale o in maniera dolosa) per far salire l’ematocrito e stoppare la corsa di Pantani. È il tarlo che ossessiona sino alla fine il campione di Cesenatico.

“TROPPE PUNTATE” — A chi faceva comodo questo scenario? Il bandito Renato Vallanzasca ieri su Italia 1 è ritornato a rilanciare l’ipotesi della criminalità e le scommesse clandestine. Troppe puntate su Pantani, il banco rischiava di saltare. E così si sarebbe scelto di escluderlo in modo indolore. Vallanzasca non ha mai rivelato il nome del detenuto che gli spiegò l’inghippo. Forse dopo 15 anni potrebbe cambiare idea.

Fonte: Gazzetta dello Sport del 15 febbraio 2014

Firma dell’inviato Francesco Ceniti Un piano diabolico, una macchinazione raffinata che il crimine organizzato può condurre solo se ha dei complici ben piazzati nei centri che contano in quegli ambienti corrotti. “L’operazione Pantani” a Madonna di Campiglio ha generato guadagni stratosferici nel mondo delle scommesse.  Oltre al business, evidentemente, la malavita ha preteso che il ciclista finisse in Trentino la sua “ultima” corsa e, progressivamente, la sua carriera. Fino alla morte, avvenuta con una miscela più potente. Molto più potente di un’anabolizzante. Coca purissima. Una morte voluta probabilmente perché Pantani sapeva troppo…E così è stato. Poi è stata messa in piedi la scena del “suicidio per overdose”…

“Vedrai, Renato, il Pirata non vincerà”, diceva “l’amico” di Vallanzasca a Opera. Al controllo antidoping, infatti, nella corsa di Madonna di Campiglio il Pirata “beccato” e punito. Era forse l’unico modo per fermare il suo successo. Tutto pianificato alla perfezione da geni del crimine e che probabilmente potrebbero essere in relazione con quello che accadde quattro anni più tardi nel resort di Rimini: Il delitto.

Cosi come ipotizzano i magistrati di Rimini che hanno riaperto le indagini per omicidio. Marco sarebbe stato ucciso da una dose letale di acqua e cocaina purissima somministratagli con la forza da alcune persone al momento non identificate.

Già nel ’99 Vallanzasca nel suo libro autobiografico “Il Fiore del Male”, svelò i retroscena del mondo parallelo (criminale) del ciclismo in cui dedicò alcune pagine al Pirata romagnolo. Sette anni più tardi, nel 2007, Renato scrisse appunto la lettera alla madre di Marco, la quale qualche giorno prima dai microfoni della Rai aveva espresso la volontà di incontrarlo per capire di più sulla “strana morte” del figlio.

"Il Fiore del Male" di Renato Vallanzasca
“Il Fiore del Male” di Renato Vallanzasca

Il boss della Comasina pochi giorni prima che Pantani fosse fermato durante il Giro d’Italia del ’99 al controllo antidoping di Madonna di Campiglio, aveva appreso da conoscenti nel penitenziario che il Pirata non avrebbe indossato la maglia rosa, nonostante fosse più che favorito.

Nella lettera indirizzata a mamma Tonina, Renato ha un approccio confidenziale: “Diamoci del tu”… E racconta: “Premesso che non vorrei passare per colui che vuol svelare il mistero di Fatima, posso dirti quanto è a mia conoscenza e che dissi senza togliere o aggiungere una virgola, al Pm di Trento che venne a interrogarmi, come persona informata sui fatti, subito dopo che la Gazzetta dello Sport aveva riportato uno stralcio del libro che sarebbe uscito da lì a poco”.

Il boss entra nei dettagli anche se, spiega, “non sapevo e neppure ora so cosa sia successo di preciso”. Per Renato “quel che è certo è che 4/5 giorni prima che fermassero Marco a Madonna di Campiglio, mi avvicinò un amico, anche se forse lo dovrei definire solo un conoscente, che mi disse: “Renato, so che sei un bravo ragazzo e che sei in galera da un sacco di tempo… per questo mi sento di farti un favore” ero in vero un po’ sconcertato, ma lo lasciai parlare… “Hai qualche milione da buttare?… Se sì, puntalo sul vincitore del Giro… Non so chi vincerà… ma sicuramente non sarà Pantani”… Da un lato ero certo che nessuno avrebbe mai pensato di potermi fare uno spiacevole scherzo… ma dall’altro vedevo Marco che viaggiava troppo forte…”

LEGGI LA LETTERA INTEGRALE DI VALLANZASCA A MAMMA PANTANI

Buongiorno Carissima Signora Tonina.
Scusandomi per il “famigliare Tu” che vuole solo esprimere tutto l’Affetto e il Rispetto che porto a Te e a tutta la Tua Famiglia, immediatamente dopo aver ricevuto il massaggio inviato al sito, mi precipito a rispondere a Te e a Tuo nipote Thomas.

Lascio poi a Te la decisione se dare il via libera ad Antonella se mettere o meno in rete questa mia… Perché se da un lato, per la mia immagine, la cosa potrebbe tornare più che utile… dall’altro, capisco perfettamente che si tratta di un Dolore Talmente Grande e Personale che potresti desiderare di voler tenere tutto per Te! Decidi Tu!!!

Nel caso che Tu decidessi di non mandarla blog, come mi dovrei regolare con le domande che mi sono giunte (da Marco, la freccia, Gabriele Guerini, Bruno e…) sempre riguardo alla Tragica vicenda del Tuo Compianto Marco, che mi ha coinvolto a causa del passaggio ne Il fiore del male?… Ignorarle non mi pare corretto… ma altrettanto sarebbe se dicessi loro le stesse cose!… Fammi sapere… Grazie!

Premesso che non vorrei passare per colui che vuol svelare il mistero di Fatima, posso dirti quanto è a mia conoscenza e che dissi senza togliere o aggiungere una virgola, al PM di Trento che venne ad interrogarmi, come persona informata sui fatti, subito dopo che la Gazzetta dello Sport aveva riportato uno stralcio del libro che sarebbe uscito da lì a poco.

Non sapevo e neppure ora so cosa sia successo di preciso: quel che è certo che quattro o cinque giorni prima che fermassero Marco a Madonna di Campiglio, mi avvicinò un amico, anche se forse lo dovrei definire solo un conoscente, che mi disse:

“L’AMICO” IN CARCERE 

DIALOGHI E PENSIERI RACCONTATI DA VALLANZASCA A TONINA PANTANI.

AMICO VALLANZASCA: “Renato, so che sei un bravo ragazzo e che sei in galera da un sacco di tempo. Per questo mi sento di farti un favore”.

VALLANZASCA: Ero in vero un po’ sconcertato ma lo lasciai parlare…

AMICO VALLANZASCA: “Hai qualche milione da buttare? Se si, puntalo sul vincitore del Giro! Non so chi vincerà, ma sicuramente non sarà Pantani!” 

VALLANZASCA: Da un lato ero certo che nessuno avrebbe mai pensato di potermi fare uno spiacevole scherzo, ma dall’altro vedevo Marco che viaggiava troppo forte! Glielo feci presente dicendogli testualmente per non farlo arrivare a Milano in Rosa, gli possono solo sparare… e lui continuò dicendo:

AMICO VALLANZASCA: “Senti Renato, non so come, ma il giro non lo vincerà sicuramente lui!!!”

VALLANZASCA: Sapevo chi era e quali erano le sue frequentazioni a livello di scommesse clandestine e così la presi per buona, anche se non avrei comunque scommesso perché, non sono uno scommettitore, ma anche volendo, non avevo disponibile una cifra così consistente da cambiarmi la vita…

VALLANZASCA: Le due sole possibili alternative allo strapotere di Marco erano, seppur molto alla lontana, Gotti e Jalabert, (i due maggiori competitori, ndr) quindi, nella logica di quell’amico, avrei solo dovuto sceglierne uno… Se non ricordo male, Gotti era dato a 2 e 1/2 e Jalabert a 4 o poco meno! E quando gli risposi no grazie. Anche perché soldi da buttare non ne avevo!

Mi rispose che era talmente certo che la dritta fosse garantita che, se avessi voluto, i soldi della giocata me li avrebbe anticipati lui e che se per assurdo Pantani avesse vinto, saremmo stati pari. Era un suo modo per rassicurarmi. Ma se io gioco difficilmente con i miei soldi, figurarsi se potrei mai farlo con quelli degli altri: così dissi di no!
Nei due o tre giorni seguenti Marco aveva guadagnato ulteriormente sui due rivali… ed io, dopo ogni arrivo, dicevo all’amico:

VALLANZASCA: “Si può solo sparargli…” e lui che era il solo che capiva anche se lo dicevo in presenza d’altri, mi rispondeva:

AMICO VALLANZASCA: “Vedrai”, e comunque, più lui vince e più ci si avvicina a Milano, più le quote degli altri salgono.

VALLANZASCA: Personalmente sono convinto che neppure lui sapesse dove stava il trucco. Cioè se, per fare un esempio, lo avrebbero fatto cadere, o se… uno spettatore impazzito gli avrebbe dato una martellata. Ma era certo che Marco NON avrebbe vinto!
Il sabato, il giorno del blitz a Madonna di Campiglio, non erano ancora le otto e chiesi di andare in doccia, mi preparavo per il colloquio… il tempo che mi aprissero e una volta in corridoio, nel tragitto per arrivare alla sala docce, dovevo passare anche davanti alla cella di quell’amico che, vedendomi, ancor prima di salutarmi, mi disse:

AMICO VALLANZASCA: “Hai sentito la Tv?… C’è stato un blitz dell’antidoping al Giro… Hanno fermato Pantani… ripartiranno senza di lui!”

VALLANZASCA: Mi sono detto “ecco dove stava il trucco”! Ma per non far capire nulla a nessuno, fossero essi detenuti o guardie, dissi solo: “Mi dispiace, ma ora devo andare a prepararmi per il colloquio. Del resto, se per qualche conoscente a Napoli non era troppo difficile truccare qualche partita di calcio, figurarsi quanto poteva essere semplice impedire al più forte di vincere! E queste, credimi, non sono supposizioni!!!

Mia Cara Signora, io non posso dirti quello che non so, ma è certo che 4 o 5 giorni prima di Madonna di Campiglio sono stato consigliato vivamente di puntare contro il tuo Ragazzo perché, poteva vincere Gotti, o Jalabert… o, al limite, chiunque altro… ma Pantani non sarebbe arrivato a Milano in maglia rosa!!!

Questi sono i fatti che ho raccontato anche al giudice di Trento!… Mi spiace che la mia testimonianza non sia approdata a nulla!! Sia perché avrei tanto voluto salvare l’Onorabilità di un Grande Sportivo qual è stato Marco… ma ancor più perché mi sono convinto (ma questa sì, che è solo una… drammatica supposizione!…) che… quell’episodio ha sconvolto la vita del Tuo Marco al punto, a quanto pare, da… consegnarlo alla droga!

Mi rendo conto che questa mia, più che lenire il tuo dolore, finirà probabilmente per acuirlo, ma tu mi hai fatto una domanda e io non ho potuto far altro che rispondere, pur consapevole che poco o nulla avrei potuto aggiungere a ciò che ho scritto nel libro e detto al magistrato!

Avrei voluto fortissimamente dirti qualcosa per aiutarti almeno in parte a capire, anche a costo di farti contattare personalmente e non attraverso la rete!! Purtroppo non posso farti clamorose rivelazioni su quello che non conosco!!!

Ritienimi sempre a tua completa disposizione per qualunque cosa! E se un domani riuscissi a saperne di più, anche solo per dare a te personalmente le risposte a quel che ti angoscia, sarà mia premura riferirtelo, hai la mia parola!!!
Ti Saluto e Ti Abbraccio unitamente a Thomas e alla tua famiglia tutta.

Con Stima ed Amicizia…
Renato

“Nei due o tre giorni seguenti Marco aveva guadagnato ulteriormente sui due rivali (Gotti e Jalabert, ndr)… e io, dopo ogni arrivo, dicevo all’amico: “Si può solo sparargli… e lui che era il solo che capiva anche se lo dicevo in presenza d’altri, mi rispondeva… Vedrai… e comunque, più lui vince e più ci si avvicina a Milano… più le quote degli altri salgono… Personalmente sono convinto – aggiunge Vallanzasca – che neppure lui sapesse dove stava il trucco, cioè se, per fare un esempio, lo avrebbero fatto cadere o se uno spettatore impazzito gli avrebbe dato una martellata, ma era certo che Marco non avrebbe vinto!”.

Poco dopo – prosegue il “bello” – il tizio in carcere gli dà conferma di quanto gli aveva anticipato:  “Hai sentito la Tv?… C’è stato un blitz dell’antidoping al Giro… Hanno fermato Pantani… ripartiranno senza di lui!” Guarda caso! Ecco che il mosaico, sebbene sia ancora incompleto, contiene tanti di quegli indizi suffiecienti a far indagare in questa direzione. La chiave di volta sembra essere tutta in questa lettera e nelle conversazioni che Vallanzasca ha avuto nel carcere di Opera.

STRALCI DE I FIORI DEL MALE IN CUI IL BOSS RACCONTA DI PANTANI E DEL RAPIMENTO DI GULLIT E VAN BASTEN – Il bandito condannato a quattro ergastoli rivela in un libro di Carlo Bonini che gli organizzatori di scommesse clandestine erano sicuri che il Pirata sarebbe stato fermato al Giro Vallanzasca: “In carcere sapevano tutto, mi dissero di puntare milioni contro la sua vittoria”

Dietro lo stop di Marco Pantani al “Giro d’ Italia”, l’ombra delle scommesse clandestine. E ancora: nell’estate dell’87 era pronto un progetto di sequestro degli allora giocatori del Milan Marco van Basten e Ruud Gullit. A svelarlo, dal carcere di massima sicurezza di Novara, dove sta scontando una pena definitiva di quattro ergastoli, e’ l’ “ultimo re dei banditi” Renato Vallanzasca, nell’autobiografia, firmata con il giornalista del “Corriere della Sera” Carlo Bonini, “Il fiore del male. Bandito a Milano”.

Il libro, edito dalla “Marco Tropea” e in uscita il 16 novembre, rivela i molti retroscena della vita del bandito milanese che, per la prima volta, dopo 28 anni di carcere, ha accettato di raccontare i suoi segreti. Il nome di Vallanzasca e quello degli uomini della sua banda sono legati ad alcune delle pagine piu’ note e drammatiche della cronaca nera tra la meta’ degli anni ‘ 70 e i primi anni ’80.

Dal sequestro “rosa” di Emanuela Trapani al conflitto a fuoco di Piazza Vetra a Milano, al duplice omicidio di agenti della Polizia a Dalmine, a decine di rapine. Del libro, ecco in anteprima brani sui casi Pantani e Gullit – Van Basten. “Nel 1987 volevo rapire Gullit e Van Basten. Avrei chiesto a Berlusconi un riscatto pari alla cifra che era stata pagata dal Milan per acquistarli Li avrei aggrediti con un mitra mentre si allenavano a Milano 3”.

“Ero a messa. Mi si avvicina un ragazzo che conosco e mi fa: “Renato, posso parlarti un attimo da solo?”. Ci appartiamo. E lui: “Renato, sei un bravo ragazzo, che merita tutto il mio rispetto, non foss’ altro che per il mare di galera che ti sei sciroppato, quindi vorrei farti un regalo…”. Lo stavano portando in Cassazione, cosi’ gli dissi di tagliar corto.

E lui: “Okay, se hai qualche milioncino da impegnare giocalo sul Giro d’ Italia. Puntalo su Gotti, Jalabert o chi meglio credi. Non so con certezza chi vincera’ , ma certo non sara’ Pantani. Ho appena saputo che al Pelatino andra’ male. E tanto piu’ forte pedalera’ in questi giorni, tanto piu’ potrai prendere scommettendo su un altro. Io ho gia’ dato disposizioni di giocare dieci milioni. Cinque su Gotti e cinque su Jalabert”.

Non che la cosa mi convincesse fino in fondo, ma se avessi potuto, quel pomeriggio stesso, avrei detto a Giuliana (la moglie di Vallanzasca ndr) di puntare un bel po’ di soldi su Gotti, anche a costo di andarli a chiedere in prestito alla banca. La soffiata si rivelo’ lungimirante. Pantani venne fermato per doping. “In realta’ , prima ancora che per l’ematocrito fuori legge, sul Pelatino cadde un’altra tegola.

E proprio nello stesso pomeriggio in cui avevo parlato con quel tipo. In salita gli salto’ la catena. Mi dissi: eccola la magagna. Ma non era cosi’ : risali’ in sella e vinse a modo suo. Quel giorno e anche nelle due, tre tappe successive. Ormai il traguardo finale di Milano si avvicinava e io mi dicevo: per fargli perdere il giro possono solo sparargli.

Cominciai anche a dubitare seriamente della dritta. Pero’ , ritenevo assai improbabile che qualcuno potesse essersi permesso di darmi un suggerimento che avrebbe potuto costarmi un bel po’ di milioni. Poi, la bomba: Pantani positivo all’ antidoping” (…).

Nell’ estate dell’ 87, dopo essere evaso, Vallanzasca progetta un doppio sequestro: i neoacquisti del Milan Ruud Gullit e Marco Van Basten. “L’ idea di mettere Silvio Berlusconi nel mirino l’ avevo da tempo. Almeno dal ‘ 77 (…) Cosa avrebbe pagato per Gullit e Van Basten, i suoi tulipani all’ occhiello? Io, poi, non intendevo specularci sopra. Avrei chiesto un riscatto pari alla cifra che era stata pagata per acquistarli (…).

Insomma, quasi: Van Basten era stato preso per un tozzo di pane, quindi mi sarei visto costretto a fare una piccola rivalutazione di mercato (…) Certo, non avrei piu’ potuto mettere piede a San Siro. A meno di non decidere di fare il salto del fosso e vestirmi in nerazzurro. Ma proprio perche’ ero e sono milanista non sarebbe stato corretto sequestrare un campione dei cugini…”. Aveva studiato diverse possibilita’:

“Milanello, la sede degli allenamenti del Milan, era da scartare. Non perche’ presentasse soverchie difficolta’ logistiche, ma perche’ il ciocco sarebbe stato immediato (…). Avevo dunque pensato a Milano 3, dove i due avevano inizialmente trovato casa. Era il luogo ideale. Per tenersi in forma, andavano la mattina presto a fare footing. Avrei dovuto soltanto indossare una tuta da ginnastica e al posto del walkman… un mitra (…). Mi e’ capitato spesso di chiedermi se per una volta, da bandito – tifoso, sarei stato in grado di cambiare il corso del campionato (…). E altrettanto spesso di pensare quale tipo di reazione da parte del Paese, delle forze dell’ ordine, avrei dovuto fronteggiare. Avrei spaccato le tifoserie? Sarei stato dipinto come l’ uomo che rompeva il giocattolo?” (…).

Fonte: Corriere della Sera novembre 1999

Marco Pantani con mamma Tonina
Marco Pantani con mamma Tonina

“L’apertura di un blog da parte di Vallanzasca ha anticipato la volontà di un incontro con lui – spiegava la Fondazione Pantani – per conoscere meglio i particolari narrati nel libro, e la richiesta di maggior conoscenza fattagli pervenire attraverso il blog si è tradotta in una sua lettera di risposta da ritenersi importantissima per la gravità dei contenuti.

Non siamo noi a poter stabilire la credibilità delle sue affermazioni, ma la lettera aggiunge particolari e presenta più di un motivo affinchè un magistrato si muova ad indagare. La famiglia Pantani e la Fondazione lo chiedono, ma dalla lettura del testo c’è da credere che siano in tantissimi, potremmo dire milioni, a volerlo”.

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