5 Ottobre 2024

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Oliverio, pellegrinaggio in abbazia: «Qui bisogna salvare il salvabile»

Mario Oliverio deposita la sua scheda nell'urna
Mario Oliverio deposita la sua scheda nell’urna

Andrea Garibaldi  per il Corriere della Sera

Nel giorno del voto Mario Oliverio, di buon mattino, è andato nell’abbazia del suo paese, San Giovanni in Fiore, fondata da Gioacchino da Fiore, eretico per aver pensato una chiesa troppo francescana. Oliverio lo chiamano il lupo e quindi è tutt’altro che spirituale, ma c’è qualcosa di semplice in lui, come risultava venerdì sera, al cospetto di Matteo Renzi, venuto a chiudere la campagna elettorale.

Matteo, alto e slanciato, in blu, coi pantaloni a sigaretta, le scarpe lucide e Oliverio in nero un po’ sgualcito, i pantaloni troppo lunghi, le scarpe grosse. «Qua si tratta di salvare il salvabile», dice, in attesa del risultato che l’avrebbe reso governatore delle Calabrie (perché sono tante e diverse).

Lei, Oliverio, ha stravinto le primarie contro un candidato di Renzi: andrà incontro a problemi con il governo? «Vengo dalla tradizione del Pci, ben diversa da quella di Renzi, ma non ci saranno problemi. Ci vorrà collaborazione, ma non busserò a quattrini tanto per bussare».

Se stesse a Roma, si unirebbe alla minoranza del partito? «Al congresso avevo una collocazione precisa, con Bersani, ma da allora è passato un secolo…. Ero membro della direzione del Pd, ora non lo sono più, nonostante questa regione abbia dato molti consensi a Renzi».

Come sta lavorando Renzi? «Ci mette molta energia e mi piace quando cerca di correggere la politica europea». Dopo l’abbazia, pranzo con tre dei 4 figli. Poi nel bosco, intervista con la Rai. Primo posto per disoccupazione, ultimo posto per reddito, povertà in crescita, 280 milioni di euro l’anno per curare calabresi negli ospedali di altre regioni, due miliardi di Fondi Ue non utilizzati per ritardi nella presentazione dei progetti.

Salvare il salvabile, da dove si comincia? «Dal dissesto idrogeologico, farò di tutto per non perdere quei fondi europei. E valorizzare il nostro patrimonio culturale». Ma è lei, che fa politica da 34 anni, l’uomo giusto? «Non sono stato scelto con le logiche dei caminetti. Ho vinto le primarie, hanno votato 131 mila calabresi».

Qui ad ogni elezione regionale si cambia colore della giunta e si ricomincia… «Non farò “sostitutismo”, dall’apparato nero a quello rosso». Dopo il voto, accordo con i signori del Nuovo centrodestra? «Se Ncd avrà un buon risultato dialogheremo, ma senza inciuci ». Perché la chiamano «lupo »? «Perché sono uomo della Sila e il lupo abita qui. Sa difendersi e sa trovare la via giusta per uscire dalle difficoltà».

«Mamma, ho perso la base». Lo choc del Pd tradito dagli elettori nella roccaforte rossa

Renzi con Bonaccini
Matteo Renzi con Stefano Bonaccini eletto governatore dell’Emilia Romagna

Francesco Alberti per il Corriere della Sera

«Mamma, ho perso la base». Benedetto il senso dell’humour in questa notte di streghe. Il funzionario di fede pd scivola come un’ ombra lungo gli interminabili corridoi delle Torri di Tange, sede dell’Emilia-Romagna e cuore pulsante del Partitone che fu.

Quando manca poco alle 2 di notte, Stefano Bonaccini, 47 anni, modenese, renziano della seconda ora, non si è ancora fatto vedere, non è ancora ufficialmente il successore di Vasco Errani (anche se il suo vantaggio sul leghista Alan Fabbri è netto), ma un posto nella piccola grande storia della Regione ex rossa, suo malgrado, l’ha già conquistato: nemmeno nei peggiori incubi, il partito prendi-tutto che qui governa dal Dopoguerra avrebbe mai immaginato un simile tracollo di votanti. Addio zoccolo duro, addio mobilitazione di coscienze.

Nella terra delle Feste dell’Unità, dell’associazionismo spinto, della passione con venature ancora dogmatiche, il militante si è fatto nebbia. «Vittoria mutilata» era il fantasma che aleggiava da giorni nei pensieri dei vertici pd. E così è stato. «Dove sono finiti gli Stakanov del voto?». Perfino Romano Prodi, che ne ha viste di ogni colore e che in mattinata aveva lanciato un appello alla partecipazione, a sera era basito: «È un dato preoccupante».

Era nell’aria la diserzione dalle urne. Ma non con queste proporzioni. Predestinato al successo, Bonaccini si è trovato a combattere contro un avversario subdolo e invisibile: la stanchezza-disgusto della gente per la politica. Altro che Alan Fabbri, il candidato leghista messo sotto tutela per tutta la campagna elettorale dal suo segretario Matteo Salvini.

O i 5 Stelle, abilissimi nel fare harakiri a colpi di espulsioni e lotte intestine. Il nemico si nascondeva nelle viscere dello stesso Pd. E se è vero che hanno contribuito anche fattori come la mancanza di un traino nazionale, l’inchiesta sulle spese «allegre» con i 41 consiglieri regionali indagati e la generale consapevolezza che il Pd avrebbe vinto, è altrettanto vero che tutto ciò non basta a spiegare una simile Waterloo di partecipazione.

Nel Pd già qualcuno si domanda quanto abbiano influito sul non voto la violenta polemica tra Renzi e Camusso sul versante lavoro. «La sofferenza è a sinistra» punta il dito il cuperliano Andrea De Maria. Bonaccini, fiutando l’aria, aveva provato a mettere un argine: «Ricordo a chi ha mal di pancia verso il governo – aveva detto – che stiamo votando per l’Emilia-Romagna, non per l’esecutivo nazionale».

Arrivando poi ad azzardare un non facile equilibrismo in quel triangolo rovente composto da Landini, Camusso e Renzi: «Qui con i sindacati c’ è una tradizione che ha dato buoni risultati, continueremo a cercare la concertazione». Per tutta risposta il leader della Fiom emiliana, Bruno Papignani, ha ordinato ai suoi il boicottaggio del candidato pd.

E pure nella Cgil, qui una potenza con 800 mila iscritti, c’ è stata una mezza sollevazione. «Chiunque vince non sarà totalmente legittimato» infierisce la candidata 5 Stelle Giulia Gibertoni. Il dopo Errani è iniziato e ha il sapore dell’anno zero.

Bonaccini e Oliverio nuovi governatori di Emilia e Calabria con l'astensione al 60%.

Oliverio con il premier Renzi
Oliverio con il premier Renzi alla chiusura della campagna elettorale a Cosenza

(02:35) Come largamente previsto, il centrosinistra vince la “non sfida” in Calabria e in Emilia Romagna. Lo spoglio è ancora in corso ma l’esito è abbastanza scontato, nonostante gli enormi ritardi con cui arrivano i dati dal Viminale, almeno in Calabria. L’ex presidente della provincia di Cosenza, Mario Oliverio si impone, al momento, con una percentuale che supera il 60% e si appresta a diventare il nuovo governatore della Calabria, mentre in Emilia Romagna il candidato dem Stefano Bonaccini riconferma il centrosinistra alla regione , dopo l’esperienza di Vasco Errani,

Oliverio quasi triplica sulla coalizione di centrodestra (monca di Udc e Ncd) guidata da una generosa Wanda Ferro, donna a capo di sole tre liste (FI, FdI e Cdl). Il Nuovo centrodestra rappresentato dall’avvocato Nico D’Ascola si sta battendo per raggiungere l’agognata soglia dell’8 percento e solo tra poche ore sapremo se avrà voce a palazzo Campanella. Per Ncd sono sufficienti circa 60mila su 850.000 voti validi circa, visto il calo affluenza). Dai primi risultati sembra essere definitivamente scomparso l’Udc di Casini e Cesa che viaggia, all’interno di “Alternativa popolare”, appena sotto il 2.5 percento in entrambi le regioni.

In Calabria grande flop del Movimento 5 Stelle che con il candidato Cono Nuccio Cantelmi non raggiunge il quorum e perde rispetto alle elezioni europee oltre 16 punti percentuali. Grillo va meglio in Emilia con Giulia Gibertoni che si sta difendendo con oltre il 13%. Il candidato calabro Domenico Gattuso per “L’Altra Calabria” ex lista Tspras è poco sotto il 2%

Ma protagonista indiscusso di questa tornata elettorale è stato l’astensionismo che ha raggiunto cifre impressionanti. Oltre il 60% degli aventi diritto ha disertato i seggi.

Matteo Renzi
Matteo Renzi a Cosenza

In Calabria si sono recati alle urne il 44.07% degli elettori, mentre in Emilia Romagna – altra regione chiamata al voto dopo lo “scioglimento” Severino – va molto peggio: solo il 37.67 percento ha espresso l’esercizio del voto. Un dato che serve a far riflettere vincitori e vinti sui perché di questa clamorosa e mai registrata disaffezione alla politica, sebbene la presenza di Grillo che negli ultimi due anni ha ben incarnato l’antipolitica divenendo la seconda forza del Paese.

Che non ci fosse partita tra i due maggiori schieramenti di destra e sinistra in Calabria era prevedibile sin dalla vigilia della presentazione delle liste. Le divisioni nel centrodestra hanno determinato la vittoria a tavolino del centrosinistra. L‘harakiri calabrese, per sua stessa ammissionelo ha deciso di suo pugno Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, che ha scelto il suicidio politico alla competizione elettorale.

Metodo seguito anche in Emilia dove, ponendo il veto sui vecchi alleati del Ncd, alla fine ha sostenuto Alan Fabbri, candidato leghista uscito sconfitto dalla sfida con Bonaccini. La novità, abbastanza clamorosa è che la Lega si accinge al sorpasso di Forza Italia. 

Chi e cosa abbiano spinto il Cavaliere in questa direzione, lo sa solo lui e, forse, chi gli è fedelmente accanto. Non sono in pochi a chiedersi se questa decisione di regalare le amministrative a Renzi faccia anche parte del patto del Nazareno…

Sta nei fatti che la débacle annunciata – a parte l’affluenza che sarebbe stata comunque poco incisiva anche col 100 percento degli aventi diritto al voto – pone oggi Berlusconi in isolamento oltre che in una posizione di maggiore ricattabilità da parte dell’ “alleato in patti” (Renzi) che non ha perso tempo a cinguettare su twitter: «Affluenza male ma il risultato è 2-0 per noi». Come dire: “Abbiamo vinto nonostante l’assenza di spettatori e soprattutto senza la squadra avversaria, ma l’importante è il risultato”. Cui prodest il famigerato patto del Nazareno?

Regionali, tonfo affluenza. Alle 19 in Calabria vota il 34,6%. In Emilia il 31

Elezioni regionaliIl voto di oggi in Emilia Romagna e Calabria rischia un vero tonfo di affluenza. Mai così bassa. Alle 19 in Emilia si è recato alle urne solo il 30,9% degli aventi diritto. Alle precedenti regionali, quando si votò però anche lunedì, l’affluenza alle urne alla stessa ora era il 39,6%.

Ancora più allarmante il confronto con le europee del maggio scorso (allora si votava in una sola giornata come oggi) quando alle 19 fu del 52,3%. Situazione appena migliore in Calabria (34,62%). Alle precedenti regionali, nel 2010, l’affluenza, alla stessa ora, era stata del 28,7%. Anche in quella occasione si votava anche di lunedì fino alle 15, mentre adesso mancano meno di tre ore alla chiusura delle urne.

Alle 12 l’affluenza era bassissima: poco sopra l’8 percento nelle due regioni. La tendenza non fa sperare in un recupero di oltre il 30 percento in modo da riflettere un’astensione fisiologica attorno al 20/25 percento. Gli astensionisti si apprestano dunque a essere il partito di maggioranza assoluta. Complice la disaffezione alla politica e altri specifici fattori come, ad esempio, le divisioni nel centrodestra che, soprattutto in Calabria hanno reso il risultato scontato a vantaggio del centrosinistra. Bisognerà comunque attendere l’inizio dello spoglio per capire il dato finale e i margini di vittoria di Mario Oliverio.

La bassa affluenza fa precipitare anche la percentuale per il raggiungimento del quorum di piccoli partiti e dei voti utili per entrare nelle assemblee elettive regionali.

In Emilia Romagna sono chiamati a votare circa 3,4 milioni di cittadini: gli sfidanti sono Maurizio Mazzanti (Liberi cittadini), Stefano Bonaccini (sostenuto da Pd, Sel, Emilia-Romagna civica e Centro per Bonaccini), Alan Fabbri (Lega nord, Forza Italia e Fratelli d’Italia), Cristina Quintavalla (L’altra Emilia-Romagna), Giulia Gibertoni (M5s) e Alessandro Rondoni (Ncd).

Kenia, 28 persone trucidate dall'Is perché "non musulmane"

Terrorista islamico somaloUccisi perché non musulmani ovvero perché ignoravano il Corano. Sarebbe questo il motivo alla base dell’attacco sferrato alle prime ore di sabato contro un autobus di trasporto pubblico a Mandera, nel Kenya settentrionale, al confine con la Somalia. Il gruppo islamista somalo degli Al-Shabaab ha rivendicato l’assalto nel quale 28 persone sono state uccise e diverse altre ferite.

L’attacco è da considerarsi una rappresaglia per “la profanazione di moschee, le uccisioni, gli arresti e altre violazioni di luoghi sacri e di diritti” dei musulmani in Kenya, ha dichiarato a nome del gruppo Ali Mohammed Rage, che ha chiesto anche il ritiro dei militari kenyoti – che sostengono il governo locale contro gli Shabaab – dalla Somalia e la fine delle operazioni militari condotte contro il gruppo.

Secondo fonti ufficiali, il gruppo formato da un centinaio di militanti armati ha fermato il mezzo diretto a Nairobi e ha fatto scendere tutti i passeggeri. Gli assalitori – riferisce la ‘Bbc’ citando fonti locali – hanno riunito in un gruppo tutti quelli che ritenevano non fossero musulmani prima di ucciderli.

Canone Rai in bolletta. Insorgono i consumatori: "E' Illegale"

Sede Rai a Viale Mazzini - RomaLa norma non c’è ancora, per il momento è stata solo annunciata, eppure già la protesta è accesa. Il canone Rai collegato alla bolletta elettrica solleva minacce di ricorsi e provoca fibrillazioni nella maggioranza di governo. Insorgono, oltre alle compagnie energetiche e ai consumatori, anche i centristi e la Lega Nord. E il presidente dell’Autorità per l’Energia, Guido Bortoni, avanza forti perplessità dal punto di vista tecnico: “E’ una modalità impropria di riscossione ed è di difficile applicazione – afferma -. La bolletta della luce è già composta da una serie di voci che sono al di fuori del prezzo dell’energia. Si rischia di creare ulteriore difficoltà nella comprensione della bolletta”. Già il presidente di Assoelettrica Chicco Testa aveva parlato di “un abominio”, spiegando che “gli oneri di gestione sarebbero enormi”.

Il governo è consapevole che la materia è delicata – Per questo il Tesoro sta rivedendo l’articolato con l’obiettivo di inserirlo in un emendamento alla legge di Stabilità da presentare tra un paio di settimane al Senato. Da stabilire ad esempio se il canone sarà rateizzato nelle bollette bimestrali della luce o arriverà con un bollettino distinto annuale a tutti i titolari di un’utenza.

E’ assodato, invece, che a pagare saranno non solo i possessori dell’apparecchio televisivo, come accade ora, ma anche degli altri device, come tablet e smartphone (un particolare che verrà specificato in un decreto ministeriale dopo il via libera alla riforma). Il governo, a partire dal premier, sa bene che il canone è la tassa più odiata dagli italiani ed è consapevole che farla pagare a tutti potrebbe costare in termini di popolarità. Per questo punta a creare una larga fascia di esenzione e a ridurre notevolmente l’importo rispetto agli attuali 113,50 euro. La cifra media sulla quale si sta ragionando è 60 euro.

Chi è sotto la soglia Isee di 7500 euro potrebbe non pagare nulla o una cifra ridotta, gli altri invece pagare un importo tra i 60 e gli 80 euro. Il ministero dello Sviluppo Economico ha svolto una simulazione, basata sugli ultimi dati dell’European Broadcasting Union, secondo cui pagando 60 euro il canone sarebbe tra i più bassi d’Europa. Già attualmente in Italia si paga meno rispetto agli altri grandi paesi europei dove c’è peraltro un’evasione molto inferiore. Con il pagamento legato alla bolletta elettrica (un sistema già utilizzato in Albania, Portogallo, Romania e Turchia), si ridurrebbe notevolmente l’attuale alta evasione.

Il progetto sta provocando anche fibrillazioni nella maggioranza di governo.Canone Rai nella bolletta della luce è un’assurdità – “L’introduzione del canone Rai nella bolletta della luce è un’assurdità e ci opporremo con forza”, fa sapere la capogruppo Ncd alla Camera, Nunzia De Girolamo, seguita da diversi esponenti del suo partito. Sulle barricate anche la Lega Nord: “è una vergogna – dice Matteo Salvini -. Costringere gli italiani a pagare anche se non hanno la tv in casa è una vergogna assoluta. Faremo ricorso ovunque, anche in Europa”. Pronte alla battaglia anche le associazioni dei consumatori che minacciano ricorsi alla Corte Costituzionale.

Federconsumatori ed Adusbef: “E’ illegale” – “E’ balzana ed illegale l’idea di addossare sulle bollette elettriche l’ennesimo, assurdo, odioso balzello, per far pagare il canone Rai, con arbitraria norma ad hoc nella Legge di Stabilità, anche a famiglie, cittadini, consumatori ed utenti che non hanno la televisione, imponendo alle aziende elettriche l’ingrato compito di fungere da esattori”. Lo dichiarano Federconsumatori ed Adusbef. “Un conto è combattere l’evasione del canone Rai – affermano -, altro è l’inammissibile obbligo di addossare nelle bollette dell’energia elettrica, l’ennesima tassa di scopo, come quella del canone Tv anche a coloro che hanno la libertà di non voler possedere in casa un televisore”.

Una norma illecita che offre spazio, fra l’altro, a utilizzare il “prelievo forzoso” (di questo si tratta, poiché se non paghi la bolletta elettrica ti staccano l’energia) in questo modo anche per le altre tasse come i rifiuti, le tasse sulla casa, quelle regionali e comunali e, per esempio, le stesse multe. Un prelievo forzoso che ricorda molto i metodi di Equitalia che operavano indisturbati sui conti correnti di sventurati cittadini…

Se la Rai vuole avere a disposizione più risorse faccia la sua parte: operi a tutto spiano tagli agli sprechi, ai privilegi, agli abusi e si concentri sull’offerta di un servizio pubblico di qualità che punti veramente sui contenuti, sulla cultura e sull’informazione”.Il Codacons: “Impugneremo qualsiasi provvedimento” – Netta bocciatura anche da parte del Codacons. “Si tratta di una barbarie nei confronti degli utenti, e siamo pronti ad impugnare qualsiasi provvedimento in tal senso – afferma il Presidente Carlo Rienzi -.

La legge afferma che tale imposta è dovuta da chi possiede un apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive, ma imporre al cittadino l’onere di dimostrare di non avere tali strumenti nella propria abitazione, pena l’addebito diretto in bolletta, appare un atto abnorme che finirà per complicare la vita ai cittadini. Invece di ricorrere a misure che sembrano un diktat, farebbe meglio il Governo a concentrare la propria attenzione sul canone speciale, quello cioè a carico di uffici, esercizi commerciali, alberghi, sedi di partito, circoli, associazioni, studi professionali e istituti religiosi, per il quale si registra una elevatissima evasione”, conclude Rienzi.

Tante speranze (quasi) tradite. Una democrazia da rifondare.

Matteo Renzi e le slide di promesse

Ernesto Galli della Loggia per il Corriere della Sera

Jobs act, legge di Stabilità, Italicum, illazioni sul Quirinale, e poi tutto il resto che ogni giorno ammannisce la politica italiana, fatta di progetti di legge discussi per anni, di sentenze del Tar, di pronunce del Csm, di dibattiti tra i partiti più o meno sempre eguali.

Ma non è solo la politica italiana. È questa in genere la politica democratica: fatta di riti un po’ stucchevoli, di discussioni pompose che preludono di regola a compromessi al ribasso realizzati da figure perlopiù mediocri. E infatti finora è stata più o meno quasi sempre questa la politica anche negli altri Paesi l’Europa: in quell’Europa dove, non a caso, siede oggi alla testa dell’Unione un grigio politicante lussemburghese come Jean-Claude Juncker, abile a restare per decenni al potere tra servizi segreti ed evasori fiscali.

Ma almeno nel nostro continente, e qui da noi in modo particolare, tutto l’universo storico in cui questa politica delle democrazie – grigia e costosa, ma per molto tempo efficace – è stata iscritta, scricchiola. Il mito della continua crescita economica non è più che un mito; il lavoro sta cessando di avere un valore coesivo tra individui e strati sociali: aumenta sempre più il divario tra chi ha e chi non ha, così come la differenza tra i destini dei singoli o tra ciò che significa vivere in un luogo o in un altro, mentre la secolarizzazione aggredisce alla radice l’ntero mondo valoriale e simbolico dei tradizionali rapporti tra gli individui (dalla parentela alla genitorialità).

In tutta Europa, insomma, si profila una crisi profonda dai contorni ancora imprecisi ma di sicuro inquietanti. Improvvisamente la democrazia si è trovata davanti un ospite inatteso: la povertà in crescita. Mentre masse sempre più ampie appaiono ideologicamente allo sbando, mentre si afferma dovunque e ad ogni occasione un rabbioso sentimento di rivolta contro le élites.

L’Italia vede tutti questi fenomeni aggravati dalla congenita inconsistenza, non solo organizzativa, del nostro Stato – mangiato dal partitismo, dalle corporazioni, dall’ordinamento regionale e dalla malavita, spesso uniti in un unico intreccio – corroso dalla sostanziale latitanza della legge. La disintegrazione ormai fisica della Penisola a cui assistiamo in queste ore appare quasi il segno di una metafora e insieme di un presagio. Naturalmente di fronte a tutto ciò c’è chi pensa che ogni cosa finirà comunque per aggiustarsi (anche se non si sa come).

Renzi e il lavoroMa forse è più ragionevole chiedersi se l’Europa che abbiamo conosciuto non sia ormai entrata nella prospettiva di una vera e propria nuova fase storica, segnata tra l’altro dai terremoti che dal Medio Oriente all’Europa sud orientale, all’Africa subsahariana, stanno sconvolgendo tutti gli scenari nelle nostre vicinanze. Una nuova fase storica che per la democrazia ha il valore di una sfida. Se non vorrà essere travolta, infatti, essa dovrà trovare la forza e la capacità di rinnovarsi profondamente.

Di uscire dalla normale amministrazione, dalle pratiche e dalle procedure collaudate, da molte delle sue idee consuete; dovrà probabilmente mettere in discussione i preconcetti dei quali si è fin qui nutrita e sottrarsi alla deriva esasperatamente « discutidora » che l’insidia in permanenza; dovrà andare oltre l’orizzonte cautamente «mediano» che finora è stato perlopiù il suo.

Sarà obbligata, in altre parole, a fare la cosa forse per lei più difficile: e cioè passare dalla «politica» al «politico». Vale a dire mettere da parte una prassi orientata alla «via di mezzo», al «c’è sempre qualcosa per tutti», e viceversa provare a pensare la realtà in modo inedito e radicale (che vada alla radice delle cose), organizzando in tal senso anche il meccanismo delle decisioni: senza vietarsi ad esempio di immaginare pure regole e istituti nuovi.

Alla fine, riscoprire il «politico» dovrebbe voler dire per la democrazia innanzi tutto questo: riscoprire e riformulare il concetto di sovranità, e con esso la necessità creativa imposta periodicamente dalla vicenda storica. La sfida che essa dovrà affrontare in futuro consisterà probabilmente nel restare se stessa, con i suoi principi costitutivi – il consenso, le libertà individuali e il «governo per il popolo» – ma avere il coraggio di osare, di uscire dalle forme del suo stesso passato, di trovarsi vesti nuove, un nuovo soffio ispiratore.

I leader democratici, quando sono veri leader, servono per l’appunto a una tale opera di rifondazione. E io credo che proprio in quest’ottica molti italiani, con maggiore o minore consapevolezza, hanno guardato a Matteo Renzi. L’impressione, però, è che il presidente del Consiglio non sia riuscito finora a compiere lo scatto necessario per andare nella direzione auspicata. Che egli, ad esempio, fatichi molto a mettersi al di sopra della baruffa quotidiana dei tweet, delle dichiarazioni, delle schermaglie; che neppure per un giorno riesca a sottrarsi all’attrazione fatale del triangolo romano delle Bermuda (Parlamento – Palazzo Chigi – largo del Nazareno) e al gorgo del chiacchiericcio politicistico che vi staziona.

La sua eloquenza – scoppiettante quando si trattava di mettere nell’angolo gli avversari da «rottamare» – non si è mostrata finora capace di trovare i toni di drammatica verità e di serietà che sarebbero necessari a indicare davvero un nuovo cammino al Paese; e quindi di trasmettergli quella scossa anche emotiva senza la quale esso non potrà mai rimettersi in piedi. L’ispirazione che anima Renzi è volata finora troppo bassa, ha avuto una voce troppo tenue, per dare vita ad una visione del destino della nazione e della società italiana che preluda davvero alla loro rinascita entro una rinnovata forma democratica. Almeno finora è andata così. Intanto però il tempo passa. Pian piano le grandi speranze si consumano. E tra poco, inevitabilmente, esse si sentiranno tradite: per un uomo politico non c’è quasi nulla di peggio.

Elezioni in Emilia e Calabria. Domenica al voto in 5.3 milioni

Urne elettorali
Urne elettorali

Domenica al voto per 5,3 mln di elettori in Emilia Romagna e Calabria dove i cittadini sono chiamati ad eleggere il presidente della Giunta e dell’Assemblea legislativa delle due regioni chiamate a esprimersi dopo essere state “sciolte” dalla legge Severino (Vasco Errani e Giuseppe Scopelliti)

Rispetto agli anni passati, le elezioni saranno concentrate in un solo giorno. Le urne saranno aperte dalle 7 alle 23. Nel dettaglio, le elezioni regionali in Emilia Romagna, in 340 comuni – spiega una nota del Viminale – interesseranno 3.460.402 elettori. Le elezioni regionali in Calabria, in 409 comuni, interesseranno invece 1.897.729 elettori.

In Emilia Romagna i candidati alla presidenza sono, in ordine alfabetico, Stefano Bonaccini, sostenuto da una coalizione di centrosinistra; Alan Fabbri, per FI, Fdi, Lega Nord; Giulia Gibertoni, per M5S; Maurizio Mazzanti, sostenuto dalla lista civica ‘Liberi Cittadini’; Cristina Quintavalla, sostenuta da ‘L’Altra Emilia-Romagna’; Alessandro Rondoni, per Ncd e Udc.

In Calabria i candidati alla presidenza per il dopo Scopelliti sono, in ordine alfabetico, Cono Cantelmi, sostenuto dal Movimento 5 Stelle; Nico D’Ascola per Nuovo centrodestra e Udc; Wanda Ferro, sostenuta da Forza Italia e Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale; Domenico Gattuso, de ‘L’Altra Calabria’, che si rifà alla lista “L’altra Europa di Tsipras” presentata alle ultime elezioni europee, e Mario Oliverio, per il centrosinistra.

Come si vota in Emilia Romagna
La votazione, spiega il ministero dell’Interno, avviene su un’unica scheda recante i nomi e cognomi dei candidati alla carica di presidente della Giunta regionale, scritti entro un apposito rettangolo, al cui fianco sono riportati il contrassegno della lista circoscrizionale oppure i contrassegni di più liste circoscrizionali, con cui il candidato presidente è collegato.

L’elettore, con la matita copiativa, può: votare solo per un candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale tracciando un segno sul relativo rettangolo; votare per un candidato alla carica di presidente della Giunta regionale, tracciando un segno sul relativo rettangolo, e per la lista o per una delle liste a esso collegate, tracciando un segno sul contrassegno di tale lista.

Può votare disgiuntamente per un candidato alla carica di presidente della Giunta regionale, tracciando un segno sul relativo rettangolo, e per una delle altre liste a esso non collegate, tracciando un segno sul contrassegno di una di tali liste; votare tracciando un segno solo sul contrassegno di una lista.

In tal caso, il voto si intende espresso, oltre che per la lista, anche a favore del candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale a essa collegato. Può esprimere uno o due voti di preferenza per candidati alla carica di consigliere regionale ricompresi nella lista votata, scrivendone, nelle apposite righe della scheda, il cognome o il nome e cognome. Nel caso di espressione di due preferenze, esse devono riguardare candidati della stessa lista di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza.

Come si vota in Calabria
La votazione avviene su un’unica scheda recante i nomi e cognomi dei candidati alla carica di presidente della Giunta regionale al cui fianco sono riportati, all’interno di appositi rettangoli, il contrassegno della lista circoscrizionale oppure i contrassegni di più liste circoscrizionali, con cui il candidato Presidente è collegato.

L’elettore, con la matita copiativa, può votare solo per un candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale tracciando un segno sul relativo nome; votare per un candidato alla carica di Presidente della Giunta regionale, tracciando un segno sul relativo nome, e per la lista o per una delle liste a esso collegate, tracciando un segno nel rettangolo contenente il contrassegno di tale lista. Può votare tracciando un segno solo nel rettangolo contenente il contrassegno di una lista.

In tal caso, il voto si intende espresso, oltre che per la lista, anche a favore del candidato alla carica di presidente della Giunta regionale a essa collegato; esprimere un solo voto di preferenza per un candidato alla carica di consigliere regionale ricompreso nella lista votata, scrivendone, nell’apposita riga a fianco del contrassegno di lista, il cognome o il nome e cognome. Non è ammesso il cosidetto voto disgiunto, cioè votare contemporaneamente per un candidato alla carica di presidente della Giunta regionale e per una delle liste a esso non collegate.

Gli ex consiglieri regionali: I vitalizi di d'oro sono «diritti acquisiti»

I Presidenti Bianco e Priolo
I Presidenti dell’associazione nazionale ex consiglieri regionali Bianco e Priolo

 

Sergio Rizzo per il Corriere della Sera

A l grido «i diritti acquisiti non si toccano!», gli ex consiglieri regionali che ogni mese incassano i vitalizi, hanno dissotterrato l’ascia di guerra. La valanga dei ricorsi per sommergere ogni tentativo di limitare certi trattamenti ormai scandalosi e inaccettabili, per un Paese incapace di crescere e devastato dalla disoccupazione, non si arresta.

La slavina è partita dalla Lombardia, dove sono scattati i ricorsi al Tar contro il taglio del 10 per cento degli assegni. Poi il fenomeno si è esteso al Trentino-Alto Adige, dove ben 51 ex consiglieri hanno avviato una battaglia giudiziaria contro la richiesta di restituire parte delle somme incassate la scorsa estate come bonus per aver accettato il taglio dei vitalizi in pagamento: li assiste l’ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flick.

Le cifre, in qualche caso superiori al milione, si erano rivelate troppo generose e la Regione voleva indietro la differenza. In media il 28 per cento. Loro però si sono opposti, rivendicando come sempre accade il rispetto dei diritti acquisiti. Adesso è la volta degli ex consiglieri della Regione Lazio, che in base alle vecchie norme potevano riscuotere il vitalizio a cinquant’anni di età e dopo il versamento di appena cinque anni di contributi.

La settimana scorsa, alle due di notte, i loro successori hanno approvato all’unanimità, Movimento 5 Stelle compreso, una legge che innalza da 50 a 60 (e non 65 come era parso di capire all’inizio) l’età minima per intascare l’assegno, introducendo un contributo di solidarietà per chi già lo incassa. E gli ex non l’hanno mandata giù. Alcuni di loro, ancor prima che quel provvedimento venga pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, hanno preannunciato ricorsi a raffica contro tutto ciò che osi mettere in discussione il dogma dei «diritti acquisiti».

Ex consiglieri regionali. Quanto spende lo StatoCom’è stato già sottolineato su queste pagine, quel provvedimento è ancora lontano dal rappresentare la vera soluzione del problema, che potrà arrivare soltanto con una legge nazionale. Su tanti aspetti di quelle norme varate nottetempo dai consiglieri laziali ci sarebbe anzi da discutere: per esempio, quel passaggio che consente a chi ha il diritto al doppio vitalizio di rinunciare all’assegno regionale ma a patto che gli vengano resi i contributi versati, intende la restituzione al lordo o al netto di quanto già incassato?

Perché se si intendesse al lordo, assisteremmo al paradosso di persone che hanno già incassato tutto, o magari anche più di quanto versato, ai quali verrebbe concesso un bonus supplementare. Ma quelle norme almeno hanno il merito di mettere in discussione per la prima volta il tabù dei diritti acquisiti dei politici. Diritti finora intangibili, a differenza per esempio di quelli delle centinaia di migliaia di esodati o degli alti dirigenti statali ai quali è stato tagliato lo stipendio, nonostante la loro particolarità: perché parliamo di diritti che i titolari hanno garantito a se stessi con leggi votate da lor signori.

Fatti incontrovertibili, incapaci tuttavia di scalfire le convinzioni del «Coordinamento nazionale delle associazioni di consiglieri ed ex consiglieri regionali e di ex deputati delle assemblee regionali» guidato dall’ex consigliere della Regione CalabriaStefano Arturo Priolo. Il quale, una decina di giorni fa, ha spedito al presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, e a tutti i governatori una lettera al fulmicotone, preannunciando un diluvio di carte bollate «per resistere in giudizio ovunque contro l’attacco a giusti e legittimi diritti acquisiti».
Vedremo.

L’unica cosa che però non vorremmo è che le munizioni per sostenere quelle battaglie legali venissero fornite ancora una volta dai contribuenti. In ogni Regione esiste un’associazione degli ex consiglieri, che non si mantiene soltanto con le quote dei soci, ma pure con i contributi dei consigli regionali a cui vorrebbero fare causa nel caso di «attacco ai diritti acquisiti». E che oltre ai soldi mettono a disposizione di quelle associazioni strutture, spazi e personale.

Un esempio per tutti? L’associazione degli ex consiglieri del Lazio che tuonano contro la legge appena approvata ha avuto a dicembre 2013 l’ultimo contributo di 10 mila euro, e occupa attualmente alcuni locali negli uffici che ospitano il centro studi Arturo Carlo Jemolo della Regione. Con tanto di segretaria: dipendente e ovviamente stipendiata dal consiglio regionale.

Renzi a Cosenza come Gesù: Calabria alzati e cammina. Scontri

Scontri a Cosenza per Renzi e Alfano
Un momento degli scontri a Cosenza tra polizia e centri sociali (foto Ansa)

Scontri a Cosenza tra forze dell’ordine e manifestanti che protestavano contro Matteo Renzi in città per la chiusura della campagna elettorale del candidato Pd alla presidenza della Regione, Mario Oliverio. I manifestanti hanno lanciato bottiglie e fumogeni contro gli agenti. Tre poliziotti sono rimasti contusi. Ferito alla testa anche uno dei dimostranti.

Il corteo era composto da oltre un centinaio di persone che volevano sfondare il cordone di sicurezza nel centro storico di Cosenza, dove, al liceo Telesio, stava parlando il premier. Contestualmente in città era presente il numero due del governo delle larghe intese: Il ministro dell’Interno Angelino Alfano, leader di Ncd.

I manifestanti sono stati bloccati dalle forze dell’ordine a pochi metri dall’Auditorium dove era Renzi. Poi gli scontri con lanci di lacrimogeni, fumogeni e contatti fisici che hanno fatto temere il peggio. Si tratta di esponenti dei centri sociali e del comitato “Prendo casa”, lavoratori in mobilità in deroga e precari degli uffici giudiziari, alcuni dei quali provenienti dalla Basilicata.

Oliverio con il premier Renzi
Oliverio con il premier Renzi alla chiusura della campagna elettorale del centrosinistra in Calabria

Molti di loro indossano maschere con foto di Renzi e nasi di Pinocchio. I manifestanti reclamavano “reddito, casa e lavoro”. Alcuni reggevano uno striscione con la scritta “Sblocca Renzi”. Il corteo è proseguito in centro città con slogan contro la venuta di Renzi e di Angelino Alfano sceso in città per sostenere Nico D’Ascola, candidato di Ncd e Udc alla presidenza della regione.

“La sfida di cambiare l’Italia – ha detto Renzi – si può fare se si prende coscienza della frattura nel nostro Paese, diviso in due con un nord-est che va meglio della Germania e un sud in grande difficoltà. Tocca a noi togliere la Calabria dal pantano e consentire alle due Italie di riavvicinarsi. Non si può dire al nord di rallentare”.

“E’ inutile che aspiranti statisti in camicia verde – ha detto riferendosi a Matteo Salvini della Lega – ci dicano che il Sud è nelle condizioni di adesso perché è un fatto storico. Chi conosce la storia sa che il sud è stato mortificato dall’unificazione”.

“Non accettiamo che la Calabria sia considerata terra di ‘ndrangheta”, ha poi aggiunto Renzi. “La criminalità organizzata va combattuta giorno per giorno, casa per casa, strada per strada”.

Poi rivolgendosi “ai responsabili dello sfascio” calabrese dice: “Questa è la terra della Magna Grecia, prima del magna magna”. L’ex sindaco di Firenze ricorda che “è una cosa schifosa che i politici nazionali si ricordino della Calabria solo in campagna elettorale”.

Ma il primo aiuto – è il monito di Renzi alla platea dell’auditorium – lo devono dare proprio i calabresi”. “Vi chiedo di alzarvi voi per primi in piedi. Non c’è un demiurgo che vi può aiutare”. Ed ai ragazzi dice: «Non cedete alla cultura dei cervelli in fuga. Non consegnate a rosiconi e professionisti del pessimismo la fiducia del potercela fare”.

Quasi in contemporanea il leader del Nuovo centrodestra, Angelino Alfano, diceva che “la sfida elettorale regionale è un simbolo. Vogliamo che l’alleanza in Calabria tra noi e l’Udc a sostegno della candidatura di Nico D’Ascola alla presidenza della Regione – ha aggiunto – rappresenti il primo seme per un’area moderata popolare alternativa alla sinistra».

Infine gli strali contro Forza Italia: “Provo dispiacere nei confronti del partito di Berlusconi – ha detto Alfano – che ha scelto di fare compiere un sacrificio umano a Wanda Ferro, candidata alla Presidenza della Regione, condannandola ad una sconfitta preventiva. Se fossimo stati uniti saremmo stati competitivi con il candidato del centrosinistra”. Il suo partito punta a superare la soglia di sbarramento dell’8%.

Landini attacca Renzi: "Non ha il consenso degli onesti"

Maurizio Landini
Maurizio Landini

E’ bufera sul segretario generale della Fiom, Maurizio Landini dopo le dichiarazioni di questa mattina al corteo del sindacato a Napoli secondo le quali il premier Matteo Renzi non avrebbe ”il consenso di chi lavora e delle persone oneste”. Immediata la replica del presidente del Pd, Matteo Orfini che via Twitter ha risposto che il sindacalista così ”offende milioni di lavoratori” e del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi che ha detto di essere ”molto onesto onesto”, anzi ”più che onesto”.

Landini in seguito ha precisato le sue parole dicendo di non aver ”mai pensato che Renzi non ha il consenso degli onesti. Ho detto – ha spiegato – che il premier non ha il consenso della maggioranza delle persone che lavorano o che il lavoro lo cercano e che sono nella parte onesta del paese che paga le tasse”.

Si allarga quindi la frattura tra il sindacalista e il premier dopo l’iniziale ‘luna di miele’ e i diversi incontri prima e dopo l’inizio del mandato di Renzi alla guida del Governo, anche a palazzo Chigi, quando sembrava che il leader dei metalmeccanici della Fiom fosse stato scelto come interlocutore privilegiato per il rapporto diretto con i lavoratori. “Si salva il lavoro tenendo aperte le fabbriche e non alimentando polemiche – ha detto oggi Renzi senza mai citare Landini – risolvendo le crisi industriali e non giocando a chi urla più forte”.

Proprio sulla possibilità di tenere aperte le fabbriche nelle scorse settimane si era già scatenata una bagarre con la minaccia di Landini nel corso di una manifestazione di occuparle contro la riduzione dei diritti dei lavoratori e l’abbassamento dei salari. Sulle frasi di Landini si è scatenata ”solo una grande polemica” ha detto il numero uno della Cgil, Susanna Camusso. ”Alcune persone – ha aggiunto – mi pare che abbiano come unico scopo quotidiano costruire contrapposizioni con iniziativa dei lavoratori.

Forse potrebbero dedicare il loro tempo a qualcos’altro”. E mentre si prepara lo sciopero del 12 dicembre di Cgil e Uil contro il ddl di stabilità e il Jobs act e per il rinnovo dei contratti dei lavoratori pubblici (il neo segretario della Uil, Carmelo Barbagallo ha detto ”Renzi inventi una scusa per evitare lo sciopero”) la tensione resta altissima. “Renzi non sta creando lavoro – ha detto Landini – ma sta trasformando le condizioni di chi lavora in schiavitù. Stiamo assistendo ad un tentativo pericolosissimo di far passare l’idea che pur di lavorare uno deve essere pronto ad accettare qualunque condizione”.

“La dichiarazione di Landini, secondo la quale il governo non avrebbe ‘il consenso delle persone oneste’, se vera, si rivelerebbe molto indicativa della cultura democratica del leader della Fiom – ha detto il capogruppo dei senatori di Ncd, Maurizio Sacconi – insisto a ritenere, sulla base del vissuto italiano degli ultimi 40 anni, che le parole sono pietre. Poi non ci si stupisca se…”. Renzi non ha risposto ma con l’hashtag #bastainsulti su Twitter ha annunciato l’accordo per la Ferriera di Trieste con 410 posti diretti salvati e oltre 1.000 nell’indotto.

Eternit Casale Monferrato, la giustizia è stata prescritta

Stephan Schmidheiny, il miliardario svizzero accusato di omicidio per le morti d'amianto e poi prescritto dalla legge italiana  Eternit
REATO PRESCRITTO Stephan Schmidheiny, il miliardario svizzero accusato di omicidio per le morti d’amianto e poi prescritto dalla legge italiana

Nessun colpevole. Sentenza senza appello né ricorsi. E’ finita (forse) così, nel più triste dei modi. All’italiana. Per i morti di tumore a causa dell’amianto, la giustizia è stata prescritta. La sentenza della Suprema Corte è “inappellabile”. Per i decessi da inquinamento dell’azienda Eternit risultano tutti assolti, come chiedeva il procuratore generale: “Annullamento senza rinvio della condanna a 18 anni per Stephan Schmidheiny, (magnate svizzero per decenni amministratore delegato della Eternit) perché tutti i reati sono prescritti”.

Eternit Casale Monferrato
Alcuni cartelli con la foto di Stephan Schmidheiny (Ansa)

Alla lettura della sentenza l’ira dei parenti ha fatto frastuono tra le mura gelide dell’aula del tribunale: “Vergogna – vergogna – vergogna”, e tanti altri epiteti.  I circa tremila morti “accertati” causati dall’inquinamento soprattutto da amianto di Eternit nella popolazione di Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera  e Bagnoli restano senza colpevoli.

Il sindaco di Casale Monferrato, Concetta Palazzetti si dice “sconvolta”. Dopo la Siamo dispiaciuti e increduli ho bisogno di qualche ora per capire come reagire, devo discutere con la giunta prima di prendere qualunque provvedimento”.

Raffaele Gauriniello, il Pm che ha coordinato l’accusa, afferma che “il reato comunque esiste” e adesso si passerà a giudicare gli omicidi: “La Cassazione non si è pronunciata per l’assoluzione. Il reato evidentemente è stato commesso, ed è stato commesso con dolo. Abbiamo quindi spazio per proseguire il nostro procedimento, che abbiamo aperto mesi fa, in cui ipotizziamo l’omicidio”.

Transfughi. "Votate Oliverio", così gli amici di Scopelliti saltano sul carro del vincitore

Francesco Nucara e Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi e Francesco Nucara

Sebastiano Messina per “La Repubblica”

Cosa ci fa il repubblicano Francesco Nucara, già viceministro berlusconiano, a cena da solo con Mario Oliverio, il superfavorito candidato del Pd alla carica di governatore della Calabria? Gli dà consigli, gli chiede notizie e soprattutto gli conferma che domenica gli porterà i suoi voti. Ma come, gli domando, lei non stava con il centrodestra?

Non era il più grande sostenitore di Giuseppe Scopelliti, il presidente spodestato dai giudici? Nucara non si scompone. «Purtroppo la Calabria è un malato terminale, e a me non interessa se il medico è un comunista, mi basta che sia un bravo medico». Poi gli spunta sulla bocca un sorriso malizioso: «Lo sa che mi ha fatto la stessa domanda il segretario del Pd, Ernesto Magorno? Allora è vero, mi ha detto, che appoggi un comunista. Erne’, gli ho risposto, lo appoggio perché è un comunista. Se era del Pd non lo appoggiavo».

Nucara, che a 74 anni ormai è una vecchia volpe della politica, non è un’eccezione, anzi. Qui, nella regione più povera, più disoccupata e più depressa d’ Italia la perenne ricerca dei calabresi perbene dell’ uomo che li tirerà fuori dall’inferno è puntualmente accompagnata da una massiccia transumanza dei professionisti della politica e del loro seguito di vassalli, valvassori e valvassini, che fiutano il vento prima di tutti gli altri e stanno sempre dalla parte giusta: quella del vincitore.

E poiché in Calabria più che altrove la politica odora di favori concessi e di promesse tradite, eppure rimane l’ unica corda alla quale aggrapparsi per non affondare nella disperazione, ogni volta che si volta pagina si riaccende la speranza che sia la volta buona.

Mario Oliverio
Mario Oliverio (Pd)

Questo spiega perché alle primarie del centrosinistra, vinte da Oliverio battendo il renziano Callipo, si siano presentati in 110 mila, più del doppio dei 58 mila che sono andati ai seggi del Pd nella rossissima Emilia Romagna, che pure ha due volte gli abitanti della Calabria. Spiega perché abbia vinto non un rottamatore ma un capitano di lungo corso della politica calabrese (a 61 anni, Oliverio è già stato consigliere e assessore regionale, sindaco di San Giovanni in Fiore, segretario provinciale dei Ds, deputato per quattro legislature e presidente della Provincia di Cosenza).

E spiega anche perché, una volta ottenuta l’ investitura, lui abbia messo in campo otto liste e 240 candidati per essere certo di fare il pieno dei voti. Otto liste nelle quali sono stati esclusi quasi tutti gli uscenti del Pd ma è stato trovato un posto per molti alleati dell’ ultima ora, dall’ ex sottosegretario berlusconiano Elio Belcastro all’ex presidente (di centrodestra) della commissione regionale Antimafia, Salvatore Magarò.

«Trasformismo!» accusa la principale rivale di Oliverio, Wanda Ferro, 45 anni, che pure ha imbarcato nelle sue tre liste (Forza Italia, Fratelli d’ Italia e Casa delle Libertà) i dissidenti dell’ Udc e soprattutto dell’ Ncd, due partiti che ora appoggiano il terzo incomodo, il sessantenne senatore Nico D’ Ascola.

Lei ha contato trenta ex del centrodestra nelle otto liste del centrosinistra, e ora descrive con finto distacco «quest’ ondata di transfughi che ogni volta passa da una sponda all’altra, tutti folgorati alla vigilia delle elezioni sulla via di Damasco», e racconta di aver proposto un patto al suo avversario: «Chiudiamo le porte ai trasformisti, gli ho detto. Ma lui ha preso di tutto e di più».

Wanda Ferro
Wanda Ferro (Fi)

È difficile trovare qualcuno in tutta la Calabria che scommetta sulla sua vittoria, con il centrodestra diviso in due tronconi, eppure lei non getta la spugna: «Anche nel 2008, a Catanzaro, dicevano che non ce la potevo fare, e invece sono stata la prima donna in Calabria a essere eletta presidente della Provincia.

Io faccio politica da quando avevo 14 anni, nel Fronte della Gioventù, sono una che non molla». Lontano dal palcoscenico che calcava da mattatore, Giuseppe Scopelliti – esiliato dalla scena politica per una condanna a sei anni per abuso d’ ufficio e falso in atto pubblico a cui non si rassegna non è affatto uscito dal gioco: lui che era stato uno degli otto fondatori del Nuovo Centrodestra è tornato con Berlusconi, e solo 4 dei 19 consiglieri del suo gruppo sono rimasti con Alfano.

Adesso, dopo aver visto il giovane Giuseppe Falcomatà trionfare con il 61 per cento nella stessa città dove lui stravinceva con il 70 per cento, riflette sulle amarezze della vita: «Questa è una terra ingovernabile, un terra maledetta. Siamo circondati dai ricattati e dai ricattatori. La politica perde perché non ha la schiena dritta. Io ho lottato, mi sono battuto contro tutto e contro tutti, e alla fine ho perso. Ma non mi arrenderò mai, devo difendere un sogno nel quale credono ancora tanti calabresi».

Il voto di domenica chiude l’ ignobile sceneggiata della finta riforma elettorale, quella che prevedeva uno sbarramento da record al 15 per cento e introduceva l’ inedita figura del «consigliere regionale supplente», norme scritte e approvate a rotta di collo dai consiglieri uscenti dopo le dimissioni obbligate di Scopelliti con l’ unico trasparente obiettivo di far impugnare la riforma dal governo e chiedere una sentenza della Corte costituzionale, allungando artificialmente la vita di un Consiglio regionale già tecnicamente morto, mentre là fuori la Calabria continuava a sprofondare e ad accumulare record nazionali uno peggiore dell’ altro, dal reddito pro capite più basso (7412 euro) al tasso di disoccupazione più alto (22,2 per cento), con sei giovani su dieci senza lavoro.

Giuseppe Scopelliti e Salvatore Magarò
Giuseppe Scopelliti e Salvatore Magarò

Seduto dietro il lungo tavolo della sala convegni del Consiglio regionale, accanto a Luca Lotti – il vero alter ego di Matteo Renzi -Mario Oliverio deve sentire sulle sue spalle il peso delle mille speranze affidate alla sua vittoria, perché dopo aver ascoltato le sacrosante parole del sindaco Falcomatà («Bisogna che in questa terra progredisca chi conosce qualcosa e non chi conosce qualcuno ») avverte il giovane sottosegretario arrivato da Roma: «Noi non verremo a Palazzo Chigi col cappello in mano, però la Calabria deve avere quello che le spetta».

Sul tavolo, per cominciare, ha messo il progetto per rilanciare il porto di Gioia Tauro trasformandolo in una «zona economica speciale» che darebbe lavoro ad altri 2700 calabresi. Ci vogliono 892 milioni, che sono meno della metà dei fondi europei che la Calabria rischia di perdere.

Oliverio, che del tenente Kojak ha la pelata ma anche l’occhio furbo, fa i conti: «Sono un miliardo e 800 milioni, che l’ Unione europea si riprenderà se non riusciremo a spenderli entro il 2015. Abbiamo tredici mesi per progettare, fare le gare, aprire i cantieri, realizzare le opere e mandare i rendiconti. Sarà una corsa contro il tempo». Lotti lo ascolta, poi guarda il grande orologio digitale appeso alla parete e dice: «Vedo che è fermo al 9 maggio. Dev’essere il 9 maggio di quattro anni fa. Adesso vi propongo il patto dell’ orologio: noi vi daremo una mano, ma voi lunedì mattina fatelo ripartire, quell’ orologio».

Della Valle a Renzi: "Subito al voto. Basta con scorie e rimasugli"

Il patron di Tod's e secondo azionista Rcs Della Valle a Renzi
Il patron di Tod’s e secondo azionista Rcs Diego Della Valle

“Subito al voto perché altri due anni così e il Paese muore”. L’alert viene dal patron di Tod’s, Diego Della Valle che accusa il palazzo di essere arroccato su se stesso e lancia un messaggio chiaro al premier Renzi per andare al voto anticipato. Per Della Valle l’idea che la legislatura debba finire a scadenza naturale, nel 2018, “è dannosa” per il futuro dell’Italia.

L’imprenditore approfitta dell’incontro di ieri sera tra Renzi e Berlusconi per esprimere, a Pambianco in Piazza Affari, il suo forte disaccordo. In altre parole, basta stare impantanati ad aspettare gli eventi, litigare su soglie, patti e contropatti, quando famiglie e imprese arrancano e l’economia del Paese non cresce. La responsabilità? Di “rimasugli e scorie” afferma sicuro Della Valle, di cui il paese “ha necessità di liberarsi”.

Per questo è convinto che “bisogna votare il prima possibile. Prima che sia troppo tardi. Prima che il Paese muoia”. Questo per dare la possibilità a “chi vince di governare” legittimamente e assumersi le proprie responsabilità. “So che in parlamento – aggiunge – c’è qualcuno che sentendo questo salta sulla sedia perché vorrebbe restare fino alla fine”.

Il patron di Tod’s riconosce che “in quel marasma (il parlamento, ndr) ci sono anche persone in gamba, ma sono sommersi da quelli che hanno capito che per loro è l’ultima occasione per stare su quella sedia”. Votare subito, dando la possibilità ai cittadini di eleggere i propri rappresentanti. “Sarebbe meraviglioso – spiega – eleggere chi si vuole nel Parlamento con le preferenze, ma dovrebbe essere così anche per il Presidente della Repubblica.

E’ una figura che deve garantire i politici, e non mi va che lo eleggano i politici”. Invoca quindi l’elezioni diretta del capo dello Stato e che nell’Italicum siano previste le preferenze per l’elezione dei futuri onorevoli. No quindi all’ipotesi di liste bloccate dove i big dei partiti continueranno a nominare parlamentari che risponderebbero solo a logiche di partito e non agli italiani. E’ un Della Valle, come nel suo stile: fuori dal coro, che non teme di essere additato come un “gufo” come dice sempre il presidente del Consiglio.

Attacca anche Marchionne. “Ferrari ha salvato quel bidone che è la Fiat”, affonda della Valle. Il riferimento è all’uscita di Luca Cordero di Montezemolo e al successivo annuncio di quotazione del gruppo di Maranello. Secondo Della Valle, “è vergognoso” il modo in cui Montezemolo è stato mandato via e “il motivo è evidente”.

L’uscita di Montezemolo “si poteva fare in modo più educato” sostiene Della Valle, convinto che l’operazione Ferrari in questo modo “depaupera l’azienda”. E ora, prosegue, “quotano un pezzettino di Ferrari per ripianare i debiti di Fiat mentre il resto se lo prendono gli azionisti. È vergognoso”. Infatti, quando Ferrari sarà “quotata, per cifre enormi, servirà – secondo Della Valle – a coprire il debito di Fca e magari anche a fare macchine”. Inoltre “assegnare le azioni di Ferrari in quel modo, se anche la procedura fosse lecita, e io andrei a controllare, eticamente non funziona”.

Quanto alla sua partecipazione in Rcs ammette che “l’investimento è stato tutto sbagliato da parte mia. Il mio pensiero era di poter portare la voce dell’impresa nel posto dei poteri forti, che erano quasi tutti mummificati e autoreferenziali. Lì non sono riuscito quasi a toccare palla.
E’ un mondo che fortunatamente se ne sta andando” conclude Della Valle sottolineando che “l’Italia non cambierà finché rimarranno questi rimasugli, queste scorie”.

Forza Italia e il patto a perdere nelle strettoie del Nazareno

patto del nazareno“Il patto del Nazareno tiene”, hanno fatto sapere ieri sera i due firmatari Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, facendo trapelare quello che alla vigilia dell’incontro a palazzo Chigi non pochi osservatori temevano. E cioè che l’accordo lo ha sapientemente blindato Renzi attorno alle debolezze del Cavaliere. Il premier sa bene che Berlusconi è vulnerabile e tira la corda senza paura di romperla.

Il Cavaliere, dal canto suo, sa altrettanto bene di avere scarse possibilità di manovra nella “strettoia” del Nazareno. All’accelerazione dei dem sulla riforma elettorale, fa buon viso al “cattivo gioco” renziano di introdurre non tanto la soglia di sbarramento al 3 o 4 percento (a B. gli importa tanto quanto può tornargli utile ad affossare il “traditore Alfano”), bensì il premio di maggioranza alla lista sull’Italicum, che in caso di elezioni anticipate, (ieri smentite “Si andrà avanti fino al 2018”) tout court, non gli lascerebbero scampo.

Il leader di Forza Italia accusa il colpo e gioca in difesa cercando di opporre resistenza all’assalto dell’avversario, terrorizzato da due fattori che gli impediscono di muoversi in contropiede. Primo perché col suo partito in caduta libera, non è pronto ad elezioni anticipate né per il prossimo anno né lo sarà il 2016. Secondo, è che l’orizzonte del 2018 è eternamente lontano dalle sue fiacche ambizioni di tornare sulla scena politica da protagonista.

Il primo fattore potrebbe facilmente spiegarsi con una metafora: una volta scappate le galline (gli elettori) dal pollaio è difficile nel breve periodo riacciuffarle e metterle in gabbia. Ci vuole tempo e pazienza, sempreché, nel frattempo, non riesca a prenderle qualcun altro…E il “mandato” a Salvini di estendere la Lega al Centro Sud per contenere l’emorragia azzurra e far risorgere la “gloriosa” Casa delle Libertà, non è operazione che si sviluppa dall’oggi al domani.

Ecco perché, suo malgrado, Berlusconi nel patto a “perdere” è costretto a recitare il ruolo consultivo di comprimario, nella consapevolezza che il messaggio renziano: “le regole le scrivo con chi ci sta”, lo tiene ostaggio dalla volontà di svincolarsi dall’accordo. Perché se un giorno decidesse di stare alla larga dal Pd sa bene che balzare “all’opposizione vera” – come richiede da tempo il leader della fronda interna Raffaele Fitto – si renderebbe ancor meno credibile e forse più ridicolo agli occhi della pubblica opinione.

Oltretutto, dietro di lui esiste una fila sterminata di “cani sciolti” e gruppi parlamentari (ad esempio M5S, intanto diventato il secondo partito del Paese) pronti a soccorrere Renzi o, meglio, a scrivere “le regole del gioco” con lui. L’elezione per i membri della consulta sono state riuscite prove tecniche di trasmissione per non dire di forza…

C’è tuttavia un elemento non secondario di cui capo il governo, così come il suo “principale avversario” ha ben monitorato: che a partire dalle cabine più remote del Transatlantico fino al ponte di comando, nessuno si sogna di tornare alle urne anzitempo. Tutto resta immutato, dunque, tranne il vortice dell’aria che evapora dai proclami.

Quando Renzi farà definitivamente scacco matto al leader di Forza Italia? Lo sapremo nella partita per il Quirinale, dove pure il presidente di Fi ambisce ad un ruolo da protagonista. E per non farsi bagnare le polveri dell’ultima cartuccia rimastagli, Silvio persevera diabolicamente nell’assecondare il premier in un patto che è già morto prima di nascere. Poiché finora nei fatti non ha portato a niente, se non all’abissale rafforzamento del Pd e alla progressiva disintegrazione di quello che un tempo era il primo partito d’Italia. Laddove hanno fallito in vent’anni D’Alema, Bersani e Co. ci riesce un astuto leader che non usa mezzi mediatici per smacchiarlo, denigrarlo e distruggerlo, ma solo il “dialogo”…

Bronzi, gaffe di Sgarbi: "La Calabria non è in Italia". Nel 2000 fece vincere Chiaravalloti

Bronzi, gaffe di Sgarbi: "Calabria non è in Italia"Il consulente alle belle arti del governatore lombardo Roberto Maroni, Vittorio Sgarbi, non si arrende e attacca di nuovo quanti, in Calabria, avrebbero “ostacolato” il trasferimento dei Bronzi di Riace a Milano, all’Expò 2015. «Gli unici che hanno rotto i c… sono quelli di Reggio Calabria, che non è nemmeno in Italia, la Calabria non è in Italia visibilmente».

In una conferenza stampa di aggiornamento dei progetti tenuta con il presidente Maroni, il critico d’arte è stato duro sul mancato prestito a Milano delle statue greche ritrovate a largo di Riace nel ’72. «I Bronzi – spiega – si potevano trasportare, il no è stata una scelta politica di una commissione di deficienti, il primo dei quali nominato da noi e che ha votato contro di noi».

Le reazioni non si sono fatte attendere: «Al professor Vittorio Sgarbi rammento che è l’Italia a non essere in Calabria e non viceversa», afferma il senatore e coordinatore regionale di Ncd Tonino Gentile. «Le sue dichiarazioni – aggiunge – sono inaccettabili. Si scusi con i calabresi o Maroni lo faccia dimettere». Presa di posizione a cui segue quella di Nico D’Ascola, candidato governatore di Alternativa popolare: «Maroni rimuova Sgarbi, sue parole offensive e poco aderenti alla storia».

«Le gravissime parole usate da Vittorio Sgarbi contro i calabresi – aggiunge D’Ascola – meritano una censura seria: rivolgiamo l’invito al presidente Maroni di rimuoverlo dall’incarico per Expo 2015. Abbiamo stima di Sgarbi come critico d’arte ma le sue offese alla Calabria sono inaccettabili e peraltro poco aderenti alla storia: fummo noi, in Calabria, a dare il nome all’Italia».

Non è la prima volta che Sgarbi si mostra critico sul mancato trasferimento dei Bronzi. Attacchi che avranno anche strascichi giudiziari. Giusto per la cronaca, va ricordato che Sgarbi tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000 si è recato spessissimo “all’estero”, in Calabria, dove celebrò Gerace (Rc) come “il più bel borgo d’Italia”. La regione gli diede anche molte soddisfazioni politiche.

Nell’anno del Giubileo il critico d’arte fu coartefice della vittoria di Giuseppe Chiaravalloti (centrodestra), presentando la”Lista Liberal Sgarbi” che ottenne 15.689 voti (1.47%) e un consigliere regionale (Pezzimenti). Il candidato del centrosinistra era il giornalista Rai Nuccio Fava che si fermò al 49,02. Chiaravalloti vinse con il 50,9%. Determinante fu il “contributo” di Vittorio Sgarbi che aveva voluto nel listino l’ex consigliere regionale Franco Morelli, “poi sparito” durante il tragitto da Cosenza e Catanzaro a vantaggio di un uomo dei fratelli Gentile: Gianfranco Leone.

Fondi Ue al Sud, Pittella (S&D): "E' corsa contro il tempo"

L'europarlamentare Gianni Pittella, presidente del gruppo S&D
L’europarlamentare Gianni Pittella, presidente del gruppo a Strasburgo Socialisti e Democratici (S&D)

Norberto Vitale per il Quotidiano del Sud

“Un accordo tra le regioni meridionali e il governo per spendere i fondi inutilizzati, su grandi iniziative strategiche”. Gianni Pittella, capogruppo a Bruxelles dei Socialisti e Democratici, è preoccupato. Nella corsa contro il tempo per chiudere entro il 31 dicembre del 2015 progetti e investimenti per quasi tredici miliardi e mezzo nelle cinque regioni ex convergenza, occorre imboccare in tempi brevi un percorso virtuoso e concreto. L’europarlamentare lucano, chiede al premier Renzi di intervenire.

Intanto cosa non ha funzionato, dal suo punto di vista.
“Il deficit che abbiamo scontato in questi anni è stato quello di aver pensato di moltiplicare le iniziative, parcellizzando la spesa. Anche a fini assistenziali e clientelari”.

E’ una accusa alle classi dirigenti meridionali.
“Non voglio fare di tutta erba un fascio ma bisogna decidere una volta per tutte che questi fondi non possono essere spesi per il consenso ma per lo sviluppo. Nel Mezzogiorno ci sono amministratori e classi dirigenti che hanno speso bene le risorse su programmi molto competitivi e che hanno avuto grande fortuna. Dico però che ci sono stati anche effetti negativi e deleteri, quando si è pensato di utilizzare i fondi europei per finanziare la squadra di rugby piuttosto che la sagra della salsiccia. Quando si fa questo tipo di spesa, certamente non si modifica la struttura economica e sociale delle nostre comunità”.

Poche, grandi iniziative al centro dell’accordo tra le regioni ex convergenza e il governo: quali in particolare?
“Infrastrutture immateriali, alta velocità, innovazione, energia, ambiente insieme all’agroalimentare di qualità e alla costruzione di una offerta turistica integrata di tutto il Mezzogiorno”.

Ha messo nel conto la rivendicazione di autonomia da parte delle regioni?
“Non si tratta di espropriare le regioni della loro autonomia. Siamo davanti ad un bivio: utilizziamo questi fondi o li rimandiamo a Bruxelles? Credo che su queste priorità le regioni possano fare programmazione e gestione comuni. Il passato ci ha purtroppo insegnato che non si fanno passi in avanti se ognuno si fa il proprio programma per le infrastrutture, è turismo, l’ambiente. La valorizzazione di questi settori, oggi più che mai, passa attraverso una visione complessiva del Mezzogiorno”.

Intanto al Sud, sostiene Francesco Boccia, il presidente della Commissione Bilancio, sarebbero stati tolti 3,5 miliardi non utilizzati dal fondo per le aree sotto utilizzate per coprire gli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato previsti dalla legge di Stabilità. Sgravi che verrebbero spalmati su tutto il paese e non soltanto al Sud.
“Pur non conoscendo i dettagli, ritengo che la rimodulazione dei fondi assegnati al Mezzogiorno, deve restare nell’ambito delle stesse regioni. Sono contrario all’utilizzo dei fondi Fas per il Nord. L’ho detto quando lo facevano Berlusconi e la Lega e continuo a sostenerlo oggi. Va anche aggiunto però che le regioni del Sud devono darsi una mossa. Non possono stare ferme. Ecco perché dico: occorre un coordinamento delle regioni meridionali, in piena sintonia con Palazzo Chigi, per utilizzare queste risorse utili a raggiungere obiettivi che riguardano l’intero Mezzogiorno”.

Lei guida il secondo gruppo parlamentare europeo, che sostiene la commissione guidata da Jean-Claude Junker: sarà davvero un’Europa che punterà alla crescita?
“Questa è la nostra grande battaglia. Grazie ai Socialisti e Democratici e all’azione forte del presidente Renzi, Junker si è impegnato a lanciare entro la fine dell’anno un piano di investimenti pubblico-privati di trecento miliardi di euro per ridare slancio all’occupazione e alla crescita. Penso che sarà una legislatura di svolta”.

La scorsa settimana, a Napoli, ha lanciato la campagna Europa, Svegliati sull’emergenza immigrazione. Dopo Mare Nostrum e oggi con Triton, si muove qualcosa in termini di accresciuta sensibilità e responsabilità da parte degli altri paesi membri?
“Fino ad ora, a sopportare il peso di questa emergenza sono stati l’Italia, la Grecia, Malta. Non è giusto. Non è possibile lasciare da soli i Paesi di prima accoglienza nel fronteggiare flussi immensi di persone che giustamente scappano da miseria, guerre, dittature e persecuzioni e che bussano alle nostre porte. L’Europa deve mettere in campo una politica sull’immigrazione, capace di trattare le quote di arrivo con i Paesi di provenienza e di raccogliere le richieste di asilo direttamente nei paesi di origine, in modo da evitare le avventure drammatiche delle carrette del mare”.

Patto del Nazareno, Andrea Colletti (M5S) lo denuncia in procura

Andrea Colletti del M5S
ESPOSTO CONTRO IL PATTO DEL NAZARENO L’ha presentato Andrea Colletti M5S

Il Movimento 5 Stelle, per il tramite del deputato Andrea Colletti, ha depositato alla procura di Roma una denuncia formale contro il “Patto del Nazareno” stipulato lo scorso gennaio tra Renzi e Berlusconi nella sede nazionale del Pd. La procura guidata da Pignatone ha fatto trapelare di aver aperto un fascicolo, al momento senza ipotesi di reato nè indagati. L’esposto di Colletti risale al 7 novembre scorso e mira ad “accertare esistenza e contenuto del Patto del Nazareno fra Renzi e Berlusconi. Ho chiesto di verificare se il Patto sia stato effettivamente preordinato a pilotare illegittimamente le riforme in atto nel Paese e a decidere chi nominare come futuro inquilino del Colle”.

Beppe Grillo
Beppe Grillo

Il parlamentare pentastellato annuncia l’esposto in procura sui social: “Facciamo scricchiolare ancor di più il patto del Nazareno!”, accusato di “pilotare illegittimamente le riforme in atto nel Paese e a decidere chi nominare come futuro inquilino del Quirinale, trasformando la nostra Repubblica democratica in una dittatura mascherata”.

Nella lunga premessa dell’esposto (scarica) si legge che “i contorni di tale Patto (del Nazareno) sono alquanto fumosi giacché ignoto ne è il contenuto, ignoti ne sono i sottoscrittori, oltre a coloro già citati (Renzi e Berlusconi, ndr), ed ignoti ne sono i garanti”.

prima pagina dell'espostoColetti mette quindi in relazione il Patto del Nazareno con varie tematiche, da quella delle riforme a quella della giustizia. Senza mancare di citare il tema dell’elezione del presidente della Repubblica. Si fa rifermento a molti articoli, ad alcune inchieste giornalistiche e al noto editoriale di Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera in cui si parlava di un patto in odore di massoneria.

“Il patto del Nazareno conterrebbe anche linee guida per la nomina del futuro presidente della Repubblica o comunque indicazioni di un vero e proprio veto sulla candidatura di Romano Prodi alla successione a Giorgio Napolitano che è tornata al centro della discussione e potrebbe secondo alcuni concretizzarsi entro luglio 2015”.

Matteo Renzi
Il premier Matteo Renzi

Quindi, al termine dell’esposto lungo 31 pagine, l’esponente pentastellato chiede “di accertare se i fatti descritti in premessa siano corrispondenti al vero e, in caso affermativo, se siano stati integrati dei reati penali e a chi sia imputabile la responsabilità degli stessi”, sollecitando la procura ad “acquisire i tabulati telefonici dei giudici costituzionali , in primis di Giuliano Amato, nominato dall’attuale Presidente della Repubblica, se siano avvenuti contatti tra gli stessi giudici costituzionali, il presidente della Repubblica o altri alti funzionari del Quirinale e/o alti dirigenti d partito”

Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi

Intanto Matteo Renzi morde il freno sulla riforma della legge elettorale. Alle 18 è convocato il Consiglio dei Ministri con all’ordine del giorno, tra l’altro, la delega al Governo per la riforma del libro XI del Codice di procedura penale; un decreto legislativo in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto; composizione, attribuzioni e funzionamento delle commissioni censuarie. A seguire, in serata, vertice di maggioranza sulle riforme. Il pressing sul Cavaliere, d’altra parte, resta forte.

Tra le richieste dell'esposto l'acquisizione dei tabulati telefonici di Giuliano Amato
Tra le richieste dell’esposto l’acquisizione dei tabulati telefonici di Giuliano Amato

“Noi siamo pronti, basta rinvii: martedì incardiniamo la riforma e a dicembre voglio l’ok dell’aula”, incalza Renzi confermando per oggi il vertice di maggioranza che sarà di fatto un altro strumento di pressione su Berlusconi che riunirà domani i suoi per parlare anche di riforme. Fi, d’altra parte, detta le proprie condizioni per un ok all’Italicum. “Se Renzi ha tanta fretta sulla legge elettorale – dice il capogruppo azzurro alla Camera Renato Brunetta – che porti in Aula al Senato, già mercoledì prossimo, l’Italicum come è uscito dalla Camera. Noi siamo pronti a votarlo, anche con la fiducia. Se invece Renzi vuole cambiare quel testo se ne deve discutere, come prevede il Nazareno”.

E stamani sul blog di Grillo un post a firma di Aldo Giannulli che avverte il premier: “Renzi non si illuda di nessuna politica dei due forni: il pane del M5S non si compra con qualche spartizione di posti. Bisogna ripensare le questioni nel merito”.

In mattinata parlando a Radio24 il senatore M5s Nicola Morra aveva chiuso a un’intesa sull’Italicum con i Democratici. “Un’intesa col Pd sulla riforma elettorale? No. Noi non siamo i sostituti che stanno in panchina e quando il titolare non ce la fa più o gioca male vengono chiamati in campo”.

A “chiamare” i cinquestelle in un’intevista al ‘Messaggero’ anche il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini. “Ci siamo sempre rivolti in maniera molto chiara a tutti. Per mesi dai 5Stelle non abbiamo ricevuto segnali. Poi la sberla elettorale alle europee li ha risvegliati dal torpore e hanno preso un atteggiamento non chiaro, ondivago. Se si vogliono rendere utili sono benvenuti, a patto che non si ricominci da zero: un pezzo di strada l’abbiamo già fatto”.

Vescovi contro nozze Gay: "Sono come un cavallo di Troia"

Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei (photo Ansa/Zennaro)
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei (photo Ansa/Zennaro)

Vescovi contro nozze Gay – “E’ irresponsabile indebolire la famiglia creando nuove figure, seppure con distinguo pretestuosi che hanno l’unico scopo di confondere la gente e di essere una specie di cavallo di troia di classica memoria, per scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano”.

Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, non cita le nozze gay all’assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana, ma si riferisce ad esse quando torna a difendere la famiglia quale “patrimonio e cellula dell’umanità, costituita da un uomo e da una donna nel totale dono di sé”.

Vescovi contro nozze Gay: "Sono come un cavallo di Troia"La famiglia, come è definita e garantita dalla Costituzione, sottolinea il presidente dei vescovi italiani, “continua ad essere il presidio del nostro Paese, la rete benefica morale e materiale che permette alla gente di non sentirsi abbandonata e sola davanti alle tribolazioni e alle ansie del presente e del futuro. Il forte senso della famiglia deve renderci fieri, in Italia e all’estero”.

“L’amore non è solo sentimento, è decisione”, ha aggiunto Bagnasco riferendosi ai lavori del recente Sinodo sulla Famiglia. “I figli non sono oggetti né da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio dei desideri degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto a un papà e a una mamma”. Poi ha concluso: “Il nichilismo, annunciato più di un secolo fa, si aggira in Occidente, fa clima e sottomette le menti”.

Il presidente della Cei affronta anche i temi della crisi economica. “Al Paese diciamo di tenere desta la speranza, di non scoraggiarsi nelle difficoltà persistenti e, per certi aspetti, crescenti come la disoccupazione che non accenna ad invertire la direzione” sottolinea. L’occupazione, nonostante l’impegno dei responsabili, rileva, “è in discesa.

Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei (photo Ansa/Lami)
Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei (photo Ansa/Lami)

Da quanto ascoltiamo, ci auguriamo che si ragioni non solo in termini di finanza, ma innanzitutto di produzione e sviluppo, assicurando con ogni sforzo che il patrimonio industriale e professionale, di riconosciuta eccellenza, possa rimanere saldamente ancorato in casa nostra: l’esperienza insegna che non esistono garanzie che tengano”.

Il presidente della Cei chiede poi anche di “rifondare la politica, rimettere a fuoco che cosa vuol dire stare insieme, lavorare insieme: non è un esercizio astratto, ma la premessa di ogni urgente dover fare”. Una premessa che, ricorda Bagnasco, “nell’Italia del dopoguerra, era chiara per tutti”. Oggi, “si sente parlare di patto sociale affinché, remando tutti nella medesima direzione, si possa uscire da onde travolgenti.

Qualcuno fa riferimento al nostro dopoguerra: dalle macerie delle case e delle persone, chi era in piedi ha realizzato quel patto sociale da cui è nata la Costituzione.

Papa Francesco celebra la messa nella Basilica di San PietroAllora c’era un tessuto connettivo del Paese e da quello partivano le legittime differenze che, però, non impedivano di intendersi sui principi fondamentali. Ma oggi?”, si chiede.

Oggi, “non ci sono macerie di case da ricostruire, sembrano esserci, invece, le macerie dell’alfabeto umano. In realtà, osserva il presidente della Cei, “insieme all’Europa, non attraversiamo soltanto una crisi economica e strutturale, ma siamo in mezzo ad una crisi culturale da prendere sul serio. In questo senso, l’Occidente dovrebbe mettersi maggiormente alla scuola di un’autorità alta, quella di coloro che soffrono, che stanno peggio, ricordando che l’ascolto delle sofferenze illumina e guida ogni politica che intenda essere forma alta di servizio”.

Sexi Toys nei rimborsi elettorali, bufera in Emilia Romagna

L'edificio della Regione Emilia-Romagna a  Bologna (photo Ansa/Benvenuti)
L’edificio della Regione Emilia-Romagna a Bologna (photo Ansa/Benvenuti)

Persino Sexi Toys nei rimborsi elettorali messi tra le spese di una consigliera regionale. Soprattutto rimborsi chilometrici e pasti. Ma anche regali, feste di compleanni, cene di beneficenza. Sono alcune delle voci contestate negli avvisi di fine indagine in notifica a 42 componenti dell’assemblea dell’Emilia-Romagna.

Sono stati infatti notificati oggi, a pochi giorni dalle regionali del 23 novembre, 42 avvisi di fine indagine per presunti rimborsi falsi dei consiglieri. La cifra complessiva contestata ammonta a oltre due milioni (2 milioni e 80mila euro circa). Oltre al peculato, tra le contestazioni c’è anche un caso di truffa. Gli avvisi nell’inchiesta sull’uso dei rimborsi pubblici coinvolgono tutti i gruppi dell’assemblea legislativa: Pd, Pdl, Ln, Idv, Fds, Sel-Verdi, Udc, M5S e Misto.

La somma più alta contestata ai consiglieri Pd, gruppo più numeroso in Assemblea: 940.000 euro per 18 indagati. Al secondo posto come cifra c’è l’Idv, con 423.000 euro, due consiglieri indagati. Secondo quanto si apprende sarebbero 11 invece gli indagati del Pdl (205.000 euro), tre della Lega Nord (135.000), due del M5S (98.000), due di Sel-Verdi (77.000 euro), uno del gruppo Misto (27.000 euro), uno di Fds (151.000 euro) uno dell’Udc (31.000 euro).

Gli avvisi che chiudono l’inchiesta sono firmati dai Pm Morena Plazzi e Antonella Scandellari, vistati dal procuratore aggiunto Valter Giovannini. I primi ad essere notificati dalla Guardia di finanza sono relativi ai capigruppo, che rispondono, secondo quanto si apprende, di peculato sia per le spese in proprio che per omesso controllo dei rimborsi dei consiglieri del loro gruppo. Ai capigruppo è dunque contestata l’intera cifra che si ritiene un gruppo abbia speso senza pertinenza con l’attività di consigliere regionale.

L’ex presidente della Regione Emilia-Romagna Vasco Errani non è compreso nella lista dei consiglieri che hanno ricevuto avvisi di fine indagine. Errani, che era anche consigliere del Pd, a luglio aveva dato le dimissioni da presidente dopo 15 anni, in seguito alla condanna ad un anno in appello nel processo Terremerse.

L’inchiesta era stata avviata oltre due anni fa. Da ottobre 2013 risultavano indagati i nove capigruppo che hanno ricevuto le notifiche. Hanno tutti ricevuto le notifiche, ad eccezione di Mauro Manfredini, il presidente del gruppo della Lega Nord deceduto lo scorso 10 ottobre. L’inchiesta riguarda il periodo giugno 2010-dicembre 2011. A fine settembre era stata stralciata e chiesta l’archiviazione per la posizione del candidato del centrosinistra alle Regionali, Stefano Bonaccini.

I nomi degli indagati: Si tratta dei consiglieri del Pd Marco Monari, Marco Barbieri, Marco Carini, Thomas Casadei, Gabriele Ferrari, Vladimiro Fiammenghi, Roberto Garbi, Paola Marani, Mario Mazzotti, Roberto Montanari, Rita Moriconi, Antonio Mumolo, Giuseppe Pagani, Anna Pariani, Roberto Piva, Luciano Vecchi, Damiano Zoffoli, Matteo Richetti. Del Pdl: Luigi Villani, Enrico Aimi, Luca Bartolini, Gian Guido Bazzoni, Galeazzo Bignami, Fabio Filippi, Andrea Leoni, Marco Lombardi, Andrea Pollastri, Mauro Malaguti, Alberto Vecchi. Del gruppo misto: Matteo Riva (ex Idv). In concorso con lui risponde l’impiegata del gruppo Rossella Bolino. Della Lega Nord: Manes Bernardini, Stefano Cavalli, Stefano Corradi. Con loro c’era Mauro Manfredini, nel frattempo deceduto. Di Sel: Gian Guido Naldi e Gabriella Meo. Della Federazione della Sinistra: Roberto Sconciaforni. Dell’Idv: Liana Barbati e Sandro Mandini. Del M5s: Andrea De Franceschi e Giovanni Favia, entrambi espulsi nel frattempo dal movimento.

Legacoop regione, creata turbativa clima elezioni
“La giustizia deve verificare tutto quello che deve verificare, ma lo può fare anche senza avere scadenze che possono creare turbativa nei ragionamenti e nel clima per le elezioni prossime, e secondo me la crea”. Lo ha detto Giovanni Monti, presidente di Legacoop Emilia-Romagna, a margine di un congresso, in merito agli avvisi di fine indagine notificati a 42 consiglieri regionali. (Ansa)

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