6 Ottobre 2024

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Parla Massimo Fini: “Il calcio con B, il poker con Gardini e l’Italia che ruba anche le mutande”

parla Massimo Fini
Il giornalista e scrittore Massimo Fini

Silvia Truzzi per Il Fatto Quotidiano

Si vedono i grattacieli dalla finestra di questa casa in zona Repubblica. Ma è molto più interessante guardare dentro il salotto che così tanto assomiglia a chi lo abita. Due macchine da scrivere, librerie sterminate, divani scoloriti, quotidiani sparsi, un tiro a segno al muro, pacchetti di Gauloises rosse a cui staccare il filtro.

Massimo Fini ha la sua divisa, maglietta e camicia di jeans, in faccia un sorriso irriverente, come tutto il resto di lui. Si comincia subito, quasi prima di sedersi, e subito la prima cosa sono i giornali (Il Fatto, l’ultimo approdo: del Fatto sul Fatto parleremo solo per lo stretto necessario).

La bussola dell’inquieto girovagare tra i quotidiani è la libertà: l’autonomia, la dignità, il potere, quelli che pagherebbero per vendersi. Con Dostoevskij nei Fratelli Karamazov, “Quale libertà ci può essere se l’obbedienza la si compra?”.

L’alba è il 1943, l’anno delle bombe terribili su Milano. “Potrei dire, con più ragioni di Bernard Henry-Levi, che sono figlio di due dittature. Mio padre era un pisano antifascista, a un certo punto è costretto a emigrare in Francia. Mia madre era un’ebrea russa: per motivi uguali e contrari fuggiva dal bolscevismo. S’incontrano a Parigi, dove vivono fino al ’40.

[su_highlight]MASSIMO FINI è nato a Cremeno, in provincia di Lecco, dove il padre toscano e la madre – un’ebrea russa, Zinaide Tobiasz – erano sfollati per i bombardamenti su Milano. Ha frequentato il liceo Carducci di Milano e l’università Statale, dove si è laureato in Legge. Il primo lavoro è stato come impiegato alla Pirelli, nel 1969, in seguito come copywriter e pubblicitario. Inizia la carriera giornalistica all’Avanti!, dal 1972 al 1979 è inviato all’Europeo, dove rientrerà come editorialista a metà degli anni Ottanta. Nel 1977 comincia a scrivere sul mensile Linus. Nel 1978, con Walter Tobagi e Franco Abruzzo, fonda la componente sindacale della rivista Stampa democratica. Nei primi anni Ottanta è animatore del mensile di politica e cultura Pagina. Poi, come inviato ed editorialista, entra al Giorno diretto da Guglielmo Zucconi. È stato editorialista di punta de L’Indipendente nei primi anni novanta e ha partecipato alla rifondazione del Borghese (1996). Scrive anche per Il Gazzettino di Venezia e Il Fatto Quotidiano, sin dalla fondazione, dove firma la rubrica “Battibecco”. Divorziato, ha un figlio, Matteo. [/su_highlight]

Quando Italia e Francia entrano in guerra, mio padre decide di tornare. E fa quel pochissimo di resistenza che si può fare al Corriere della Sera, senza vantarsene mai. Mia sorella nasce a Parigi nel ’35 e io nel ’43, nel momento più tragico della Seconda guerra mondiale, a Cremeno sul Lago di Como, dove i miei erano sfollati”.

E poi, Milano.

Prima vivevamo in periferia, in una casa diroccata, molto bella. Quando venne costruita la casa dei giornalisti ci trasferimmo. Mio padre faceva il giornalista, ma io sono entrato in questo mondo quando lui era morto da dieci anni e in un giornale, l’Avanti!, dove se avessero saputo che ero figlio di mio padre non mi avrebbero mai preso.

Il primo lavoro è stato alla Pirelli.
Era il ’69, mi ero appena laureato in Giurisprudenza. Avevo fatto un liceo sciagurato, tipo che in greco non avevo mai preso più di tre. Avrei voluto fare Filosofia, non avevo le basi.
Volevo fare bene l’Università e infatti ci sono riuscito perché mi sono laureato con la lode. Aggiungo che mi è servito aver studiato Legge. Non tanto perché ho cominciato come cronista giudiziario, ma perché la logica formale del diritto mi è stata utile. Soprattutto nelle polemiche.

Uno non s’immagina che lei abbia lavorato all’Avanti!
È stato un periodo meraviglioso. Erano socialisti molto diversi, non erano al governo. Era un ambiente molto libertario, che mi suonava dentro. Io poi lavoravo all’Avanti! di Milano che era molto meno politicizzato di quello romano. Il capo era Ugo Intini, una persona onestissima e la cosa è clamorosa perché è difficile mantenersi onesti in un posto dove poi quasi tutti sarebbero diventati ladri. Eravamo in 22, undici erano funzionari di partito ma non contavano nulla, facevamo tutto noi.

Era stato compagno di banco di Claudio Martelli.
Al liceo. Però mi sono allontanato da Claudio nel momento della sua ascesa: non concepisce che l’amicizia resti un’amicizia, avrei dovuto, secondo lui, supportarlo nella carriera. Ma io non sono nato per fare il servo né di Martelli né di nessun altro. Quindi si è rotto il nostro legame, ripreso nel momento della caduta. L’ho chiamato io, non c’era più nessun equivoco. [quote font=”1″ font_size=”14″ font_style=”italic”]Di Martelli sono stato molto amico. Mi sono allontanato da lui nel momento della sua ascesa. Non concepisce che l’amicizia resti un’amicizia: avrei dovuto supportarlo. Ma io non sono nato per fare il servo né di Martelli né di nessun altro. L’ho chiamato, dopo la caduta: non c’erano più equivoci [/quote]Per un po’ po’ ci siamo frequentati, anche con le nostre fidanzate. Lui ne aveva, come sempre, una molto carina che era la figlia dell’ex dirigente del Sisde Michele Finocchi, ma era una bravissima ragazza. Poi quando lui risale – anzi: pensa di risalire – scompare come fa sempre. Ricade e si rifà vivo. Come quando si è separato dall’ultima moglie, che lui aveva improvvidamente sposato quando aveva 58 anni e lei 28. Lei l’ha lasciato per un altro e questa cosa l’ha ferito a morte. Martelli è uno che quando tutti lo sfanculano, dice “ho sfanculato tutti”. In quel caso era veramente un uomo dolente.

Massimo FiniMa l’Avanti è una storia breve.
Dopo un anno e mezzo ricevo contemporaneamente due proposte, una dall’Europeo e l’altra dall’Espresso attraverso Camilla Cederna. Scelgo l’Europeo per ragioni totalmente irrazionali. Una sera un collega mi aveva detto: “Si sa com’è con quelli come te. Stanno da noi un anno e poi vanno all’Europeo”. E io scelsi l’Europeo sulla base di quest’affermazione.

Chi lo dirigeva?

Il mitico Tommaso Giglio, un sadico da cui io mi sono salvato in modo molto puttanesco perché ero molto giovane e lui non aveva figli. Era bravissimo, ma ci costringeva a non fare i riposi, spolpava i colleghi. Resto fino al ’79, quando arrivano i socialisti. E allora me ne vado: l’Europeo era sempre stato lontano dalla partitocrazia. Io lo definivo il giornale di destra più a sinistra o il giornale di sinistra più a destra. Succedevano cose incredibili, poco professionali. Un inviato arrivò da un altro giornale, a patto che fosse assunta anche la fidanzata, una con un bellissimo culo ma assolutamente incapace. Avevamo una straordinaria segreteria di redazione, rimpiazzata da bellissime ragazze che però non erano in grado di prenotare un volo: so ancora a memoria il numero dell’Alitalia di allora.

C’era anche Oriana Fallaci.
Con lei ho avuto un buon rapporto per un certo periodo. Poi siccome litigava con chiunque, ha litigato anche con me. Una piccola casa editrice le aveva chiesto di scrivere un’autobiografia per le scuole. Lei non aveva tempo e mi disse se volevo scriverla per lei. Accettai volentieri per stare a fianco di uno dei miti del giornalismo italiano.
Abbiamo lavorato a questa cosa per un po’ . [quote font=”1″ font_size=”14″ font_style=”italic”]Oriana Fallaci era megalomane. Passeggiavamo insieme e bisognava sempre nascondersi in qualche portone perché lei era convinta che la Cia la spiasse. Panagulis la trattava male, ma le dava dei limiti. Una sera a cena la prese a schiaffi davanti a tutti noi [/quote]Poi si è giustamente accorta che era uno spreco dare la sua vita a me. Ma siccome lei era fatta com’era fatta, non mi disse questo. Ma che improvvisamente aveva scoperto che ero una spia della Cia. Allora era antiamericana, quando passeggiavamo per Firenze bisognava sempre nascondersi dentro un portone perché, nella sua megalomania, era convinta di essere inseguita da qualche agente. Io sorridevo di questa megalomania, considerandola innocente. Poi mi sono un po’ po’ ricreduto.

Stava con Panagulis allora.
Lui era un viveur simpatico e divertente. La trattava in modo piuttosto rude. Mi ricordo una sera al ristorante, lui la prese a ceffoni davanti a tutti: era l’unico modo di trattarla, altrimenti lei ti mangiava, ti portava all’esasperazione. Era un periodo bello per Oriana: sentimentalmente era appagata anche se Alekos aveva altre donne. Quando lui muore, per lei è una mancanza terribile: perde lui e insieme i limiti che le dava. Il suo ego esplode.

Dopo l’Europeo?
Sto a spasso, vivo di collaborazioni. Poi faccio Pagina – una rivista liblab in cui io portavo l’anarchismo che è sempre stato il mio tratto – con Aldo Canale, un vero genio. Abbiamo molte colpe, però: abbiamo fatto scrivere per la prima volta Giuliano Ferrara, anche se lui nega. Ernesto Galli della Loggia e Pigi Battista che era il nostro ragazzo di bottega. Bravissimo, oggi totalmente guastato nel fare il mestiere. C’era anche uno sconosciuto Paolo Mieli.

Cosa nega Ferrara?
Che Pagina sia stato il suo esordio. In realtà lui aveva scritto solo per giornali sindacali. E Pagina era un giornale di nicchia che comunque vendeva 13mila copie. È durato cinque anni. Ma è stato una grande avventura.

Poi arriva il Giorno.

Mi telefona Guglielmo Zucconi e mi dice: “Vorrei far commentare l’enciclica del Papa Laborem exercens da un cattolico e da un laico. Te la senti? Manda per le 4”. Era mezzogiorno! Corro all’Ansa per avere delle anticipazioni, poi telefono a un mio amico comunista, perché i comunisti degli affari della Chiesa sanno tutto. Mi dà due dritte e faccio il pezzo, che sarebbe poi finito in prima. L’origine però era un’altra. Il vice di Zucconi, Magnaschi – il miglior direttore che io abbia mai avuto – mi leggeva su Pagina e gli piacevano molto le mie stroncature. È lui che mi ha inventato come polemista.
Con Zucconi, verso la fine degli anni Novanta, succede una cosa divertente: sono senza lavoro, lo chiamo perché lui è direttore editoriale del Giorno.
Mi porta a colazione in un ristorante in via Senato ma capisco che non è tanto convinto di spendersi per me. Usciamo e all’incrocio con piazza Cavour una ragazza che passa in bicicletta inchioda, ignorando completamente lui. E mi dice: “Tu sei Massimo Fini! Ti leggo”. Visto che lei era veramente bellissima, io ero preso da due contrastanti pulsioni. La cosa faceva un certo effetto al vecchio Zuc, ma non potevo chiederle il numero di telefono perché c’era lui. Ho lasciato andare via la ragazza, però sono rientrato al Giorno.

Il suo tempo di permanenza nei giornali è breve.
Non mi sono mai trovato bene in nessun ambiente tranne forse all’Indipendente di Feltri. Un’altra grande avventura. Eravamo liberi, liberi sul serio: il sogno di ogni giornalista. Quando venne arrestato durante Mani pulite il nostro amministratore delegato, noi uscimmo sparandolo in prima pagina, senza sconti. A Vittorio rimprovero di esserne andato: aveva fatto un miracolo, tenendo insieme teste, culture, visioni del mondo completamente opposte. È stato un grande giornalista, il miglior direttore della sua generazione. Purtroppo ha la moralità di una biscia.

Ci querela.
Sono sempre stato la sua cattiva coscienza, anche se ora abbiamo litigato in maniera irrimediabile.

Lei è stato un grande giocatore di poker.
Ho giocato, tra i tanti, anche con Raul Gardini, quando nessuno sapeva ancora chi fosse. Ma da come giocava si poteva capire la fine che avrebbe fatto: alzava continuamente la posta. Io non sono un vero giocatore, a me piaceva vincere. Il mio educatore sentimentale, Diego, invece era un giocatore. Come aveva vinto a Campione bisognava precipitarsi ai cavalli – gli stramaledetti quadrupedi – dove perdeva tutto quello che aveva vinto. Conservo i miei quaderni del poker: su dieci partite ne vincevo otto. Il mio limite era che non accettavo di perdere e quando perdevo, perdevo parecchio.

Ha raccontato Tangentopoli: come ha potuto il sistema sopravvivere pressoché intatto?
Dopo Mani pulite nel giro di due anni, con tutti i testimoni del tempo ancora vivi, si sono trasformati i ladri nelle vittime, i giudici nei veri colpevoli. E i ladri nei giudici dei loro giudici. Tangentopoli era un avvertimento, il sistema non l’ha voluto ascoltare. Ed è continuato tutto come prima. Con un’aggravante: quello che viene fuori da Roma oggi è peggio. Dire che è un fenomeno mafioso è fare un torto all’onorata società. La mafia è un cancro individuato, teoricamente combattibile. Queste metastasi appartengono a tutto il Paese e non sono più controllabili. Siamo irredimibili.

Le monetine, infantile e violento rigurgito di coscienza, non hanno lasciato traccia. Perché?
Le monetine erano un eccesso. Il giustizialismo ovviamente non l’ha fatto la magistratura, l’ha fatto l’informazione. Feltri ipso, perché poi su quel giornale toccava a me difendere i figli di Craxi, che non avevano né i meriti né le colpe dei padri. C’era stata una reazione popolare, ma stampa e televisione aggiogate al potere hanno convinto la gente che i ladri erano vittime. Il Fatto non c’era, l’Indi era morto perché Feltri se n’era andato e se n’era andato con praticamente tutti tranne me.

Poi arriva Berlusconi. L’ha conosciuto?
Lo vedevo giocare a calcio dai salesiani, quand’era ragazzino: pretendeva di fare il centravanti e non passava mai la palla. C’era già tutto lui… Quelli così li chiamavano “Venezia”, non so più dire perché. Decenni più tardi, l’Europeo mi manda a fargli un’intervista sul calcio. Mi è parso subito molto fuori posto, rispetto a dove abitava: con Villa Casati-Stampa, così elegante, non c’entrava niente. [quote font=”1″ font_size=”15″]Berlusca l’ho visto giocare sul campo dei Salesiani, da ragazzino: non passava mai la palla. Nel ‘96 dovevo intervistarlo, gli mandai le domande ma lui si negò. Allora gli inviai un messaggio: “Cavaliere, non è da lei scappare come una lepre impaurita”. Rispose, coprendomi d’insulti [/quote]Ha altre qualità, non è un uomo elegante. Comunque a un certo punto, infastidito, mi dice: “Perché mi fa solo domande cattive?”. Alla fine sono arrivate Barbara ed Elenora: ho scritto che erano infiocchettate come uno pensa che i ricchi infiocchettino le loro figlie. Questa cosa l’ha fatto imbufalire, ovviamente ha protestato con il direttore. Un’altra volta ero a San Siro, ma non si poteva più andare nei popolari perché erano riservati agli abbonati e in curva nemmeno perché ero con mio figlio piccolo. Morale: finisco in tribuna d’onore, non proprio il mio posto. E c’era Berlusconi così vicino che avrei potuto ucciderlo, visto che non ci sono controlli all’ingresso. Ma non volevo passare alla storia per essere il killer di Berlusconi! Nell’intervallo molti colleghi importanti – Ostellino, Pirani – si affollano vicino al Cavaliere. Lui a un certo punto lascia tutta questa compagnia e si avvicina. E mi dice: “L’ho vista ieri al Costanzo Show”. Io, secco: “Lei guarda proprio tutto”. E me ne vado. Sapeva che io ero un antipatizzante, ma lui ha bisogno che tutti gli vogliano bene. Non rinuncia mai a sedurti. Nel ’96, sotto elezioni, mi chiama la direttrice di Annabella e mi chiede di intervistare Berlusca. Chiamo l’ufficio stampa a Roma e lì ho la prima sorpresa perché mi risponde Bonaiuti. Ora, quando eravamo a Roma Bonaiuti era più a sinistra di satanasso e io un fascista. Comunque, l’accordo è che io avrei inviato domande scritte e che poi ci saremmo visti ad Arcore. Bonaiuti, lette le domande, mi avvisa che ce ne sono alcune che non vanno bene. L’intervista non si è mai fatta. Allora gli ho scritto un biglietto: “Egregio cavaliere, l’ho sempre criticata ma non le ho mai negato il coraggio. Vederla fuggire come una lepre impaurita davanti a tre domande non mi sembra degno di lei”. Dopo tre ore arriva un fattorino gigantesco a questa porta e mi consegna una lettera piena d’insulti. Come scrive Nietzsche, anche la lettera più violenta è sempre meglio del silenzio.

Cosa poteva importare a Berlusconi di lei?
Lui ha questa attenzione agli altri, proprio per via del suo sconfinato narcisismo. Una cosa che la sinistra non ha ed è il motivo del suo fallimento: questi girano con un’immotivata puzza sotto il naso, un atteggiamento che poteva avere Amen-dola. Oggi un qualunque Pecoraro Scanio si permette d’ignorarti. Tornando alla domanda sul dopo Mani pulite e Berlusconi: quando il potere è in difficoltà si affida sempre all’uomo nuovo. Allora c’era il Berlusca, adesso c’è questo quaquaraqua.

Renzi, dice?
Sì, non mi piace per niente: basta guardarlo negli occhi per capire che è meglio non fidarsi. Sarò un uomo del Pleistocene, ma vorrei che le cose non fossero cinguettate via Twitter. Vorrei che venissero decise dal Consiglio dei ministri, portate in Parlamento, approvate. La politica degli annunci fa sì che non sai mai se un provvedimento esiste o è solo una chiacchiera. Renzi è un Berlusconi molto meno divertente.

Il governo è stato inaugurato dal proclama sulla parità di genere.
Una boiata. Non bisogna considerare le donne dei panda, è assolutamente insultante.

Tutte le volte che lei scrive qualcosa sul tema donne-uomini scoppia la terza guerra mondiale.
Mi odiano le femministe e le brutte.

Per favore, il razzismo estetico no.
Per noi la bellezza di lei è un valore perché sennò non siamo in grado di andarci a letto. Dice George Bataile ne L’erotismo che la bellezza, l’umanità di una donna concorre e a rendere sconvolgente l’animalità dell’atto sessuale. “Non c’è nulla di più deprimente per un uomo della bruttezza di una donna sulla quale non risalti la laidezza dell’atto sessuale. La bellezza conta in primo luogo perché la bruttezza non può essere sciupata, là dove l’essenza dell’erotismo risiede nella profanazione”.

Visione maschile di tutta la faccenda.
Vero. E sono generalizzazioni. Ma la penso così.

L’amore?
È un’illusione necessaria alla vita, per cui carichiamo l’altro di una serie infinita di aspettative. Poi ti svegli di notte, ti giri, guardi la donna che dorme vicino a te e pensi: perché sto con questa qui?

L’uomo più straordinario che ha incontrato?

Rudy Nureyev, magnetico. L’ho visto la prima volta a una festa di “ragazzi così” – il modo con cui allora s’indicavano gli omosessuali del jet set – in una villa di Monte Carlo. Alle tre arriva lui, completamente ubriaco: si aprivano bottiglie di vodka e, alla moda russa, si buttavano alle spalle. La casa però era piena di specchi… Lui prende un ragazzo italiano molto bello, lo trascina in un ballo forsennato e in un attimo sparisce con lui in una stanza. La seconda volta l’ho visto alla Scala. Balla per 5 minuti e si pianta in equilibrio perfetto su una punta. Dal loggione uno grida: “Dio”. La terza volta, lo intervisto al bar del Covent Garden di Londra e mi porto mia madre. Sapevo che gli omossessuali amano le vecchie signore e poi lei era russa. Era infagottato in un’orrenda tuta, eppure si percepiva chiaramente il sex appeal. Aveva occhi difficili da guardare, dentro c’erano come delle fiammelle dorate. E sotto una fissità maniacale.

In un’intervista al Corriere ha parlato del suo incontro con Vallanzasca.

Ho cenato a casa sua pochi anni fa. Non è più il bel Renè, ha tutta la faccia spaccata perché in prigione gliene hanno fatte di tutti colori. Rappresenta la vecchia malavita con un codice d’onore. La prima volta che lo prendono a Roma, negli anni Settanta, in mezzo alla folla sociologizzante dell’epoca un giornalista gli domanda: “Lei si ritiene una vittima della società?”. E lui: “Non diciamo cazzate”.
L’avrei graziato solo per questo. Ha sempre ammesso le sue responsabilità e ha sollevato altri che erano stati ingiustamente accusati al posto suo. È un bandito onesto in una società dove accade spesso che gli onesti siano dei banditi. Se mi chiede di scegliere tra Vallanzasca e la nostra classe politica, con gli affaristi di contorno, non ho dubbi. Quella malavita aveva codici e regole.[su_note]SCRITTORE Massimo Fini ha pubblicato il suo primo saggio nell’85, “La Ragione aveva Torto?” (Camunia). Seguono, tra gli altri “Il denaro, sterco del demonio” (Marsilio 1998); “Dizionario erotico. Manuale contro la donna a favore della femmina” (Marsilio 2000); “Sudditi. Manifesto contro la democ ra z i a ” (Marsilio 2004); “R aga z z o ” (Marsilio, 2007); “Senz’anima, Italia 1980-2010” (Chiarelettere 2010); “La guerra democratica” (Chiarelettere 2012). In febbraio uscirà per Marsilio la sua autobiografia, “Una vita. Un libro per tutti o per nessuno” [/su_note]

Che faceva negli anni della contestazione?
Il Sessantotto in Italia ha portato una sorta di conformismo al contrario. Non hanno capito che l’antifascismo non è un fascismo di segno contrario, ma è il contrario del fascismo. Se prima in Università dovevi andarci in giacca e cravatta, dopo dovevi andarci con l’eskimo. E poi i pestaggi trenta contro uno erano intollerabili, vili. Ho partecipato alle due prime occupazioni, poi ho levato le tende. Io sono nato negli anni Cinquanta, eravamo tutti poveri, nessuno se lo ricorda. Ma sulla strada c’erano regole: se uno cadeva a terra, non potevi toccarlo.

Fa il giornalista da quarant’anni: come sta il mestiere?
Non c’è più. E non voglio dire come faceva Bocca quando stava morendo che siccome lui stava morendo non c’era più il giornalismo. Fatico ad aprire i giornali, ormai. C’è troppo di tutto, non esiste più il merito. Le firme sono scomparse. Montanelli e Bocca, per dire i nostri maggiori, avevano fatto trent’anni di campo e poi scrivevano gli editoriali. Adesso fanno fare gli editoriali ai ragazzini, spesso non sono altro che temini del liceo.
Anche perché a trent’anni, cosa vuoi avere da dire?

E adesso, l’Italia?

Siamo un paese maleducato. Le persone si fanno continuamente sgarbi senza neanche rendersene conto, non esiste il rispetto dell’altro. Vedo molta mancanza di dignità, gente che si vende per niente. Se tu sei in uno stato di necessità e rubi, ti può essere perdonato. Ma non si può sputtanarsi per i cioccolatini o i boxer, e penso agli scandali dei consigli regionali. Una cosa che però si riverbera anche fuori dalla politica per cui se tu vai in piscina, ti fregano un paio di slip. Sporchi.

Spending Review, Renzi ha perso forbici e credibilità

Vittorio Feltri per Il Giornale

Quando in Senato è passata a notte fonda la cosiddetta Legge di stabilità (quasi) tutti hanno esultato in Aula, perfino quelli che l’avevano osteggiata.

Come mai questo miracoloso unanimismo? I senatori non ne potevano più di chiacchiere e avevano una voglia incontenibile di andarsene a dormire. Le maratone parlamentari sono considerate da lorsignori quali torture, dispetti di Matteo Renzi per sfibrarli e indurli all’obbedienza.

Se è così davvero, il premier ha colto in pieno l’obiettivo. Prendere la gente per stanchezza è una delle sue specialità più raffinate. Peccato che egli abbia invece la memoria corta.

Talmente corta da essersi dimenticato della spending review che doveva essere il cavallo di battaglia del governo, allo scopo di recuperare denaro destinato a rilanciare l’economia e, soprattutto, a ridurre il debito pubblico più alto d’Europa.

Solo a nominarla, la revisione della spesa (rinunciamo all’inglese) fa venire l’orticaria. Cominciò a parlarne Mario Monti quando entrò a Palazzo Chigi salutato dai fragorosi applausi della stampa; secondo lui, era la soluzione di ogni problema italiano.

Ma il presidente del Consiglio non riuscì a sforbiciare un bel niente. Glielo impedirono le «larghe intese» subito trasformate in «larghissime contese». E arrivò Enrico Letta impugnando le cesoie con la promessa di una ampia potatura degli sprechi.

I suoi buoni propositi furono frustrati. Una eccellente occasione colta a volo dal Rottamatore per impadronirsi dell’ esecutivo. Manco a dirlo, Renzi dichiarò urbi et orbi che, con l’ausilio di Carlo Cottarelli, avrebbe sfrondato le uscite di cassa, sistemando una volta per tutte il bilancio. Per dimostrare che faceva sul serio licenziò Cottarelli.

L’unico risparmio ad opera del giovin premier è rimasto questo: l’eliminazione dello stipendio del provetto tagliatore. Allontanato il quale, il primo ministro si è guardato dall’attuare il benché minimo alleggerimento della spesa, segnando così un’ autentica continuità con chi lo aveva preceduto al vertice del governo.

La Legge di stabilità infatti, per essere più stabile possibile, contiene vari provvedimenti (alcuni forse apprezzabili), ma nemmeno un taglietto, che dico, un graffio a conferma che la spending review è una boiata pazzesca che non inciderà neppure di uno zerovirgola sul debito.

Ergo, Renzi è un simpatico burlone: ci ha presi in giro esattamente come altri governanti. Farà la stessa fine non appena un burlone più furbo di lui (difficile) lo scalzerà. E il popolo che lo aveva issato sul piedistallo, godrà nell’udire il tonfo della sua caduta.

Legge Stabilità, via libera del Senato alla fiducia. Grillo: "Votano di notte come i ladri"

Il presidente del Senato Pietro Grasso
Il presidente del Senato Pietro Grasso

Blitz notturno della maggioranza al Senato per approvare il maxi emendamento alla legge di stabilità. Alle 4:40 il presidente dell’assemblea Pietro Grasso ha annunciato l’approvazione del ddl che ha scatenato polemiche e tensioni tra i partiti e su cui il governo aveva posto la fiducia. I sì sono stati 162, 37 i no e nessun astenuto. La lunga maratona notturna si è conclusa poi con il “disco verde” al ddl Bilancio che è arrivato alle 5:30. La manovra torna da oggi alla Camera per l’approvazione definitiva.

RENZI: FERMATO L’ASSALTO ALLA DILIGENZA
 “Abbiamo stoppato l’assalto alla diligenza e messo in cantiere la legge elettorale: indietro non si torna”. In contatto tutta la notte con il Senato, Matteo Renzi è più che soddisfatto nei commenti con i suoi parlamentari, dopo l’approvazione della legge di Stabilità (che”toglie 18 miliardi di tasse ai cittadini”) e l’incardinamento dell’Italicum 2.0, come ci tiene a sottolineare.

Ma il varo al Senato ha suscitato sia soddisfazioni degli esponenti della maggioranza che stizzite reazioni dell’opposizione che fanno immaginare un forte ostruzionismo nel passaggio del testo a Montecitorio.

il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi
Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi

GRILLO: VOTANO DI NOTTE COME I LADRI.
“Votare di notte come i ladri con un presidente del Senato senza dignità un testo con parti addirittura mancanti. Ieri notte è andata in onda l’ennesima pagliacciata di una Repubblica in mano a golpisti e tangentari. Il portavoce del M5S Vacciano – si legge nel blog di Grillo – ha chiesto a Grasso questa notte che testo si doveva votare visto che mancavano dei pezzi. Quello di Topolino? L’ineffabile Grasso ha risposto che il governo avrebbe integrato il testo. Ma chi crede di prendere per il culo? I cittadini dovranno subire una legge finanziaria che li massacrerà di tasse senza che il contenuto sia discusso e neppure scritto. Questa è dittatura con la vaselina”.

LA REPLICA DI GRASSO
“Sono abituato – ribatte il presidente del Senato a Grillo – per la mia precedente professione a tenere conto del dissenso. Le critiche possono arrivare, l’importante è che si riconoscano gli obiettivi raggiunti. Il mio compito è far votare in Aula quello che la maggioranza mette insieme per far andare avanti il Paese”.

ansa centimetri legge stabilitaPer la seconda carica dello Stato siamo davanti a un “grande traguardo raggiunto tempi così lunghi sono scontati per una legge finanziaria, ma una maratona così lunga credo sia un record. E’ stato reso possibile che il Paese abbia una legge di stabilità che la Camera avrà il tempo di approvare entro la fine dell’anno per evitare l’esercizio provvisorio”.

Piercarlo Padoan e Matteo Renzi
Piercarlo Padoan e Matteo Renzi

“AIUTI DI STATO ALLE LOBBY E A SISAL-SUPERENALOTTO”
D’altra parte, sempre i Cinquestelle attaccano: “Ci avevamo visto giusto: nel maxiemendamento arrivato in senato dopo una giornata grottesca ci sono gran parte degli “emendamenti marchetta” che il governo ha infilato in fretta e furia nella legge di stabilità per accontentare gli appetiti dei lobbisti.

Altre porcate sono state eliminate grazie alle nostre pressioni, ma questo non basta: come promesso, li faremo stare qui fino a natale”. Il riferimento, nello specifico è a Sisal, la società che gestisce il Superenalotto e altri giochi.

Secondo i grillini “oltre agli aiuti di Stato a Sisal-Superenalotto sono stati confermati dal governo gli emendamenti marchetta contro il pellet per le stufe domestiche e a favore di Eni e Multiutility come Iren ed Hera che distribuiscono gas; restano i provvedimenti a favore di Expo Spa, Italia lavoro, Salva Piemonte-Chiamparino, consulenze ministero infrastrutture e trasporti, l’impianto Total-Eni di Tempa rossa e tutti gli impianti di trivellazione”. “Grazie alle nostre denunce – hanno concluso i pentastellati – è stato invece eliminato il finanziamento a Telenorba e alla Syndial Spa, per la strada statale Telesina (Benevento) e le maggiori assunzioni nel Mef”.

Marlane. Calabria, Campania, Veneto: il "filo di lana" che lega gli operai malati a Marzotto

Marlane Marzotto
Lo stabilimento Marlane – Marzotto di Praia a Mare (Cs)

Giulia Zanfino e Emilio Grimaldi per Repubblica

C’è un filo di lana che lega tutta l’Italia, da Nord a Sud. È di marca. Si chiama Marzotto. Dal Veneto alla Campania. Dalla Campania alla Calabria. Un esercito di migliaia di operai che ha lavorato per il gruppo tessile. Più di cento i morti e gli ammalati di tumore.

Tante storie di dolore che sono al centro del processo di Paola conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati. Nell’introdurre la requisitoria, il 20 settembre scorso, il pubblico ministero Gambassi ha provato a tracciare un paradigma della vicenda giudiziaria: “Racchiude una sintesi della vita di molte persone, di uomini e donne che hanno prestato la loro opera di lavoro nella fabbrica tessile Marlane di Praia a Mare”.

Un corteo di testimonianze di quella “non rara coesistenza tra il bene ed il male, tra, nello specifico, un’occupazione che dà e ha dato sostegno a quelle famiglie, ma che allo stesso tempo ha nascosto rischi e ha generato anche dolore”. Emblematica, per il pm, è la storia di Giuseppe Console: ha lavorato in quella fabbrica dal ’69 al 20 ottobre 1992, giorno della sua morte, raccontata dalla moglie: “La mia fabbrica” diceva, la stessa fabbrica che l’ha ucciso”.

Lo stabilimento secondo le accuse avrebbe compromesso anche l’ambiente circostante, non solo la salute dei suoi dipendenti. Secondo il pm Maria Camodeca, il disastro “deve essere considerato ancora in corso di consumazione, in quanto la contaminazione dei siti industriali e zone ad esso limitrofe ha assunto caratteristiche di potenza espansiva del danno e di attitudine a mettere in pericolo l’ambiente, tale da poter essere ipotizzata come disastro tuttora in corso per la permanenza sul suolo delle sostanze pericolose riversate in modo massiccio.” Nello stesso recinto antistante lo stabilimento. Sulla spiaggia, nel mare cristallino dell’isola di Dino.

Nel corso del processo il Gruppo Marzotto ha proposto una transazione economica ai familiari delle vittime della fabbrica di Praia a Mare. Dai 20 ai 30 mila euro. Le parti civili, sfibrate da vent’anni di attesa e spaventate dal rischio prescrizione, hanno accettato. Tutti, salvo la figlia di un ex dipendente, Angelo La Neve, deceduto nel 2004. Per lei, Teresa, si è trattato di una “beffa”. “Il danno di aver perso papà e la beffa di un compenso dato solo per mettere a tacere le persone che potevano dire ciò che non volevano venisse detto.”

Spostiamoci più a Nord. A Salerno. Qui sono 1.200 gli operai che sarebbero stati esposti all’amianto nello stabilimento Marzotto Sud. Lo accerta una perizia del Tribunale. Ed è un batti e ribatti di ricorsi, in totale mille, contro l’Inps e l’Inail per il riconoscimento dei dovuti aumenti pensionistici. Per circa un centinaio di casi l’Istituto previdenziale ha sollevato dubbi procedurali e ha spedito l’incartamento in Cassazione.

Ma la vera patria di Marzotto è in Veneto. Nel triangolo vicentino e “marzottino”. A Valdagno, a Schio e a Piovene Rocchette. A Valdagno la statua in memoria del Conte Gaetano Marzotto, fondatore dell’impero, negli anni delle lotte per i diritti dei lavoratori, nel 1968, venne buttata giù dagli stessi operai perché sottoposti a ritmi di lavoro massacranti e poco retribuiti.

Oggi è diverso. Oggi è la salute il diritto da salvaguardare. Almeno venti le persone che sarebbero state colpite dall’amianto. Secondo l’esposto presentato da Medicina Democratica, gli operai non sarebbero stati forniti di sistemi di protezione.

Il campanello d’allarme nella comunità scatta nel 2009. Quando il partito dei Comunisti italiani e l’Unione sindacale di base leggono un trafiletto di giornale sul caso Marlane in Calabria. Indagano. E scoprono che si tratta della stessa fabbrica tessile di Marzotto. Nel febbraio 2012 promuovono un appello per la Calabria: “Verità e Giustizia per i morti della Marlane”. La prima firmataria è Margherita Hack. Poi a seguire Franca Rame ed Ascanio Celestini.

“Certe volte mi faccio schifo da sola. L’altro giorno stavamo pranzando a casa e dal naso è iniziato a colare sangue.” Inizia così l’emorragia. Sono le dichiarazioni shock rese in anonimato da un’ex operaia dello stabilimento Marzotto di Piovene Rocchette.

Ha una perforazione al naso. Una patologia che ha contratto, secondo i medici che l’hanno visitata dopo che fu licenziata, nel reparto di stracannatura, cioè dove “arrivavano le rocche (gomitoli di lana) colorate ancora fumanti dalla tintoria.” Ed è qui che “ho respirato paraffina a tutta carica”.

La sua testimonianza non c’è nel fascicolo aperto dalla Procura di Vicenza. Non fa parte dei 21 casi che si trovano sulla scrivania del pubblico ministero, Gianni Pipeschi. Ha paura di denunciare. “Lo faccio per i miei figli. Per le conseguenze che potrebbero pagare,” dice.

Processo Marlane: "Tutti assolti". L'ira dei parenti delle vittime

L'aula giudiziaria del processo Marlane
L’aula giudiziaria del processo Marlane

La storia si ripete. Dopo la prescrizione a novembre dei vertici di “Eternit”, la società per decenni guidata dal magnate svizzero Stephan Schmidheiny (condannato a 18 anni è poi prosciolto perché il reato è stato prescritto), il tribunale di Paola, in provincia di Cosenza, ha assolto gli ex responsabili e dirigenti della Marlane di Praia a Mare, accusati, a vario titolo, di omicidio colposo per la morte di lavoratori dello stabilimento e di disastro ambientale.

Tra gli imputati anche Pietro Marzotto, titolare dell’industria tessile che, secondo ambientalisti e familiari, avrebbe mietuto negli anni decine e decine di morti per tumore. La Procura aveva chiesto condanne da 3 a 10 anni. Perplesso uno dei legali di parte civile, Rodolfo Ambrosio: “Non mi aspettavo una assoluzione, mi sembrava abbastanza palese che le responsabilità ci fossero e fossero chiare”.

La formula di rito nel processo di primo grado è stata: “Il fatto non sussiste” e per “insufficienza di prove”. Erano undici, tra dirigenti e responsabili dell’azienda di proprietà del Gruppo Marzotto, gli indagati a vario titolo per omicidio colposo, lesioni gravissime, omissione dolosa di cautele sul lavoro e disastro ambientale.

Carlo Lomonaco, responsabile del reparto tintoria, dirigente dello stabilimento ed ex sindaco della cittadina, per lui la procura aveva chiesto dieci anni di reclusione. Silvano Storer, amministratore delegato; Antonio Favrin, amministratore delegato; Jean De Jaegher, amministratore delegato;  Attilio Rausse, responsabile dello stabilimento.

E poi ancora Lorenzo Bosetti, vicepresidente esecutivo della società ed ex sindaco di Valdagno (VI); Vincenzo Benincasa, responsabile dell’impianto; Salvatore Cristallino, responsabile del reparto tintoria; Giuseppe Ferrari, responsabile dello stabilimento; Lamberto Priori, amministratore delegato. Infine, il patron dell’impero della stoffa: Pietro Marzotto. Per lui i pubblici ministeri, Maria Camodeca e Linda Gambassi, avevano chiesto sei anni di reclusione.

Marò, il governo indiano «sta valutando» proposta dell’Italia

Il ministro degli esteri dell'India Sushma Swaraj
Il ministro degli esteri dell’India Sushma Swaraj

L’India per la prima volta afferma di “valutare” una proposta italiana per la soluzione della vicenda dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

Lo ha detto il ministro degli Esteri, Sushma Swaraj rispondendo ad una interrogazione di due membri del Partito comunista indiano (Cpi). Nell’interpellanza i due parlamentari chiedevano “se è un fatto che il governo italiano ha cercato una soluzione consensuale alla vicenda da tempo in sospeso dei due militari italiani accusati di omicidio di due pescatori indiani nel 2012 al largo delle coste del Kerala”. E, in caso di risposta positiva, si intendeva sapere “a che punto è il caso oggi e quale è la reazione del governo indiano alla proposta del governo italiano su di esso”.

Nella risposta scritta inviata ieri sera al Parlamento, il ministro Swaraj ha risposto sinteticamente “sì” alla prima domanda e sostenuto, riguardo alla seconda, che “la questione è attualmente all’esame della Corte suprema dell’India. Mentre la proposta del governo italiano è attualmente “all’esame del governo indiano”.

Anche il ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj ha ribadito che “l’India sta esaminando con spirito positivo” la proposta italiana di soluzione consensuale. Nel corso di un incontro per gli auguri natalizi con la stampa estera, il ministro ha detto di “non poter prevedere quanto tempo prenderà questo esame” ricordando comunque che la vicenda “è attualmente nelle mani della Corte Suprema”.

Tre giorni fa, infatti, la Corte Suprema indiana si è rifiutata di esaminare le richieste dei due marò: non valuterà la richiesta di Massimiliano Latorre di prolungare di altri 4 mesi la convalescenza in Italia dopo l’ictus di cui è stato colpito a settembre, permesso che scadrà il 13 gennaio.

I due marò
I due marò

I giudici hanno anche respinto la richiesta di Salvatore Girone di poter tornare a casa per Natale. Giorgio Napolitano si è detto “fortemente contrariato” dalle decisione dell Corte Suprema indiana. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha avvertito: “Massimiliano Latorre si deve curare qui in Italia, ce lo stanno dicendo i medici e non vedo quindi come possa tornare in India. Noi non ci muoviamo da questa posizione”.

Ma quella del ministro degli esteri è comunque un passo avanti rispetto alla posizione “rigida” assunta nei giorni scorsi dalla Corte indiana.

In seguito alla quale, la Farnesina aveva deciso di richiamare l’ambasciatore italiano in India, anche se il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva specificato che non si trattava di «una rottura delle relazioni diplomatiche».

Giochi del Quirinale, chi si muove per complicare gli accordi

Massimo Franco per il Corriere della Sera (19 dicembre 2014)

Più che gli insulti, ormai quotidiani, rivolti a Giorgio Napolitano, colpisce il tentativo del Movimento 5 stelle di inserirsi nei giochi per il Quirinale. Nel giorno in cui il capo dello Stato conferma «dimissioni imminenti», Beppe Grillo fa sapere di essere pronto a votare «un candidato di altri partiti totalmente al di fuori della politica».

Non si capisce a chi pensi. Si comprende però la logica della sua offerta: vuole sparigliare qualunque gioco parlamentare sulla presidenza della Repubblica, come fece nel 2013 proponendo un giurista come Stefano Rodotà e spaccando il Pd.

Era una mossa prevedibile. Grillo punta a impedire qualunque saldatura tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. E si rende conto che, proprio perché la sua leadership segnala qualche affanno, l’esigenza di dare un segno di vitalità ha nella competizione per il Colle il palcoscenico ideale.

Tra meno di un mese, Napolitano potrebbe essersi già dimesso. E lo stesso Parlamento che un anno e mezzo fa fu costretto a confermarlo, dovrà eleggere il successore. Renzi continua a dirsi sicuro che non si ripeterà il tiro al piccione di allora, che bruciò a uno a uno candidati come Franco Marini e Romano Prodi. «Credo che il Parlamento abbia imparato la lezione dell’aprile 2013 e riuscirà a fare quanto deve nei tempi stabiliti».

Parole impegnative. Riflettono o una strategia già delineata a Palazzo Chigi; o una forte dose di ottimismo; oppure, a sentire i detrattori del premier, una scarsa conoscenza dei meccanismi spietati che scattano quando si corre verso il Colle. Il tentativo è di utilizzare il cosiddetto «metodo Cossiga» che portò all’elezione immediata di Francesco Cossiga nel giugno del 1985.

Ma erano altri tempi e c’era un altro Parlamento. Oggi, significherebbe proiettare sul Quirinale l’asse istituzionale tra Pd e Fi: il patto del Nazareno. È l’alleanza che Grillo vuole far saltare, contrapponendo a questo schema il «metodo della Consulta»: il compromesso raggiunto in aula col Pd per votare insieme i giudici costituzionali. In quell’occasione, era ottobre, si parlò di maggioranze variabili e Fi gridò al tradimento.

In entrambi i casi, a emergere con nettezza è la centralità del partito di Renzi, che in teoria può optare per l’uno o l’altro interlocutore. Ma l’idea di saltare da Fi al M5S non è così semplice da realizzare. Presuppone gruppi compatti, che al momento non si vedono; e la sintonia con un Grillo coerente soprattutto nei suoi piani di destabilizzazione, e imprevedibile nei comportamenti. E poi, la sirena del candidato estraneo alla politica, oltre a essere ambigua e demagogica, verrà usata per alimentare gli umori antirenziani nel Pd.

Alfano: "I testimoni di Giustizia saranno assunti dalla Pa"

Angelino Alfano
Angelino Alfano

I testimoni di giustizia, al pari delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, potranno accedere ad un programma di assunzione in tutte le pubbliche amministrazioni, dello Stato e degli enti locali.

L’annuncio, atteso, è arrivato dal ministro ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che ha firmato il regolamento sulle assunzioni dei testimoni di giustizia nella pubblica amministrazione di concerto con il Ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, Maria Anna Madia.

“Un provvedimento – ha sottolineato Alfano – che va nella direzione di assicurare a chi ha offerto un contributo essenziale alla giustizia il necessario e doveroso riconoscimento dello Stato”. “Sarà possibile per questa categoria di persone, parificate per questo aspetto alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, accedere ad un programma di assunzione in tutte le pubbliche amministrazioni, dello Stato e degli enti locali”.

I testimoni di giustizia, ovvero coloro che hanno subito un reato o vi hanno assistito e hanno trovato la forza di denunciare in Italia sono 85, la maggior parte tra i 26 e i 60 anni. Nel programma di protezione del Viminale ci sono anche 253 loro familiari, di cui 103 hanno tra 0 e 18 anni.

Il ministero dell’Interno e le amministrazioni interessate alle assunzioni procederanno ora d’intesa alla ricognizione dei posti disponibili che verranno assegnati anche tenendo conto delle specifiche esigenze di tutela dei beneficiari.

Soddisfazione è stata espressa dai parlamentari che più si sono spesi per migliorare le condizioni di vita dei testimoni di giustizia. Per il Pd Davide Mattiello, componente delle Commissioni Giustizia e Antimafia e coordinatore del Comitato che in Antimafia ha recentemente messo a punto la relazione sul nuovo sistema di protezione dei testimoni di giustizia, approvata all’unanimità, “con questo decreto si rafforza il principio di responsabilità dello Stato nei confronti di chi denuncia: una responsabilità che non di esaurisce con la fine dei processi o con la capitalizzazione. La strada per una complessiva riforma della materia è imboccata”.

Per Rosanna Scopelliti, capogruppo Ncd alla Commissione Difesa della Camera e presidente del Comitato Beni confiscati presso la Commissione Parlamentare Antimafia, “finalmente lo Stato sta dimostrando con i fatti di stare veramente al fianco di coloro che hanno il coraggio ed il senso civico di non sottostare in silenzio ai soprusi del crimine”.

“Non è ancora il massimo, – conclude la parlamentare – perché i testimoni di giustizia devono ottenere anche altre gratificazioni e tutele, ma è già un segnale che va verso l’esortazione del capo dello Stato, e cioè che alle ingiustizie non si risponde con l’antipolitica ma con la buona politica”.

Elezioni regionali 2015 a maggio. Al voto 7 regioni e 1056 comuni

Elezioni 2013, votazioniLe elezioni di primavera si terranno domenica 31 maggio 2015. Lo ha deciso il Consiglio dei ministri nella seduta del 12 marzo 2015. Sono 7 regioni e 1089 Comuni che andranno al voto per il rinnovo dei Consigli regionali e comunali, nonché per l’elezione diretta dei governatori e dei sindaci.

Sarà “Election Day”, ossia si voterà nella stessa giornata di domenica. Questa, secondo il governo, consentirà un risparmio di circa 100 milioni. La data unica per rinnovare i consigli regionali e comunali era previsto da un emendamento alla legge di stabilità approvato in commissione bilancio.

Nelle Regioni, quattro attuali governatori sono in corsa per la ricorferma: Stefano Caldoro (centrodestra) in Campania, Enrico Rossi (Pd) in Toscana, Catiuscia Marini (Pd) in Umbria e Luca Zaia (Lega Nord) in Veneto. Si vota anche nelle Marche, in Liguria e in Puglia.

“Noi siamo d’accordo” sull’election day, ha detto il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi: “Si va a maggio e questo ci consente anche di lavorare su alcuni temi importanti con maggiore approfondimento: noi siamo intenzionati a portare la riforma sanitaria presto, a discuterla e ad approvarla in questa legislatura. Dobbiamo approvare il piano del paesaggio, abbiamo da fare la legge sulle cave e da proporre al Consiglio il riordino istituzionale. Queste sono le cose più importanti. Se andiamo fino a maggio, abbiamo ancora tre mesi pieni di lavoro che dobbiamo bene utilizzare”.

In Veneto lo slittamento della data delle elezioni regionali e comunali non mette d’accordo Alessandra Moretti, sfidante per il centrosinistra, con il governatore uscente Luca Zaia, ricandidato dalla Lega. “Tutto come da copione. La paura di andare al voto fa allungare al governo la campagna elettorale – ha detto Zaia – per quanto mi riguarda nessun problema, ma resta comunque scandaloso che una città come Venezia subisca un commissariamento record di quasi un anno. Questa è la prova provata del bene che il governo vuole al Veneto”. Il Veneto “dovrà aspettare qualche mese in più per cambiare verso davvero. Il Governo ha fatto bene a promuovere l’election day. Noi continueremo fino all’ultimo giorno utile con lo stesso entusiasmo. Non avremo un giorno di stanchezza. Il ritorno del Veneto a casa merita tutti i nostri sforzi”.

L’europarlamentare vicentina Moretti (che alle europee raccolse 230mila voti) ha vinto il 30 novembre le primarie del centrosinistra battendo l’on. Simonetta Rubinato, trevigiana e il capogruppo Idv in Consiglio regionale Antonio Pipitone. Il totale dei votanti ha sfiorato i 40 mila. Il M5S ha già archiviato le “regionarie” svolte in rete tra 107 attivisti “autocandidati”, nelle quali ha prevalso una 25enne di Chioggia, Erika Baldin, con 307 preferenze.

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In Liguria l’election day “non influirà sulle primarie perché ormai sono fissate per l’11 gennaio e quindi le svolgeremo, siamo in piena attività, non si può fermare un treno in corsa”, ha commentato Raffaella Paita, uno dei candidati alle primarie del Pd per la presidenza della giunta regionale ligure. “Una cosa che viene bene al Paese e anche a noi, perché ci dà un po’ di tempo per gestire la fase successiva, ma sulle primarie non avrà conseguenze. Avremo anche il tempo per poter cambiare la legge elettorale”.

Per l’altro candidato delle primarie, Sergio Cofferati l’election day “è un’ottima cosa in ottica spending. Anzi finalmente abbiamo una data certa. Le primarie che si terranno a gennaio? Il percorso ligure non cambierà, non c’è alcuna ragione per modificare ciò che è già stato deciso”. Cofferati poi perderà le primarie…

Il governatore delle Marche, Gian Mario Spacca, è soddisfatto per lo slittamento del voto. “La definizione della data di maggio è positiva perché chiarisce in modo scandito l’orizzonte temporale per le prossime consultazioni regionali. Si potrebbe dire in questo caso – ha proseguito – che il ‘tempo sarà galantuomo’ perché farà emergere probabilmente un confronto più riflessivo e maggiormente alla ricerca della formula di governo più adeguata per dare una risposta concreta ai problemi della comunità marchigiana, liberando il dibattito dalle incrostazioni più polemiche e dagli interessi di breve respiro”.

“Giusta” per il presidente Spacca anche la scelta dell’election day “per risparmiare risorse che potranno essere utilizzate in servizi ai cittadini”. Nelle Marche la situazione delle candidature è ancora nebulosa: Spacca (che vorrebbe correre per il terzo mandato) ha fondato con il presidente dell’Assemblea legislativa Vittoriano Solazzi il partito di Marche 2020; il Pd si oppone al terzo mandato ma non ha ancora individuato un candidato unitario, in assenza del quale dovrebbe indire le primarie. Il centrodestra si concentra per ora sul programma, e aspetta le mosse di Marche 2020. In Campania appare scontato che il centrodestra punti su Caldoro, anche se lui non ha ancora sciolto la riserva.

L’attuale governatore chiede unità e che i partiti alleati prendano impegni precisi riguardanti la riforma delle Regioni. Sul fronte opposto, lo slittamento delle elezioni regionali non sembra per ora mutare gli scenari per il Pd che l’11 gennaio terrà le primarie di coalizione. Dall’entourage dei due principali candidati alle primarie, Andrea Cozzolino e Vincenzo De Luca, si apprende infatti che la campagna elettorale per le primarie continua senza alcuna variazione rispetto al calendario previsto.

Per il candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Puglia, il segretario regionale del Pd, Michele Emiliano, l’election day è un’opportunità per scrivere in maniera più approfondita il programma con il coinvolgimento di tutti i cittadini. Avremo la possibilità di condurre al meglio questo lavoro, allargando il più possibile la partecipazione e il coinvolgimento dei territori sui contenuti”.

In tutto gli italiani che andranno alle urne saranno poco più di 17 milioni di elettori, il cui voto, inevitabilmente, verrà letto in termini di tenuta degli schieramenti e delle alleanze politiche a livello nazionale. Saranno un test anche per il Governo. 

Domenica 31 maggio, giornata destinata ad essere Election Day, si voterà anche per il rinnovo di consigli e sindaci di 1.089 Comuni (il 13,5% del totale dei comuni italiani), tra cui 18 città capoluogo (di cui 2 con meno di 15.000 abitanti), guidate idealmente da Venezia, in mano al commissario dopo lo scioglimento del comune in seguito alle dimissioni del sindaco di centrosinistra Giorgio Orsoni per il suo coinvolgimento nell’inchiesta sul Mose. Gli altri comuni capoluogo chiamati al rinnovo sono: Enna, Agrigento, Vibo Valentia, Matera, Andria, Chieti, Macerata, Arezzo, Rovigo, Trento, Bolzano, Mantova, Lecco, Aosta, Nuoro, Sanluri, Tempio Pausania.

Assegno di mantenimento non versato alla ex perché licenziato. La Cassazione valuta il disagio

Coppia separata Assegno di mantenimentoLa Cassazione tende una mano agli ex mariti rovinati dalla crisi che non versano più l’assegno di mantenimento: prima di emettere una condanna per violazione degli obblighi di assistenza familiare – dice la Corte – il giudice penale deve valutare bene se il mancato versamento dell’assegno di mantenimento non sia effettivamente dovuto al reale peggioramento delle condizioni economiche dell’ex, invece che dalla semplice volontà di non provvedere più alla moglie separata.

Rinviando per un approfondimento il caso di un uomo della provincia di Aosta che, dopo essere stato licenziato aveva fatto mancare “l’assistenza morale e materiale” alla ex moglie, la sesta sezione penale ricorda che “l’assegno in favore del coniuge separato ha una funzione di mantenimento dello stesso tenore della vita coniugale”, ma bisogna tener conto del fatto che le “variazioni di reddito tali da poter incidere sul tenore di vita avrebbero inciso anche in caso di persistenza del rapporto di matrimonio”.

Occorre dunque valutare se il mancato versamento dell’assegno è per “difetto di considerazione degli obblighi” o “di incapacità di adempiere”. Nel caso dell’imputato il giudice di merito, il tribunale di Aosta, e poi la Corte d’appello di Torino, non hanno verificato “se la condizione economica dell’interessato consentisse l’adempimento”. Accertamento delegato ad un nuovo giudizio di appello.

Strage di bambini in Pakistan. 140 morti per mano dei Taliban

Strage di bambini in Pakistan
Strage di bambini in Pakistan. Almeno 140 morti per mano dei Taliban che rivendicano l’attacco (Epa)

È stata una strage senza precedenti quella compiuta stamattina dai talebani pakistani contro una scuola pubblica militare che ospita studenti tra i 7 e i 18 anni a Peshawar, nel Pakistan nord-occidentale. I bambini rimasti uccisi sarebbero più di cento, e il numero complessivo delle vittime continua a salire: si parla di almeno 141 morti, tra cui 132 bambini, e di circa 150 feriti.

L’assedio dei taliban è durato circa nove ore. I terroristi – almeno nove – sono tutti morti, dopo l’operazione dell’esercito pakistano. Nella scuola, al momento dell’attacco, erano presenti circa 500 studenti. Molti risultano ancora dispersi. Almeno sette i militari rimasti feriti durante l’operazione. L’attacco è stato rivendicato dai talebani del TTP.

Le vittime dell’attacco secondo quanto riferisce la tv “all news” Express News, sono al momento salite a 120. Secondo la stessa emittente, mentre continua uno scontro a fuoco, pochi minuti fa si sono sentite altre nuove esplosioni all’interno dell’edificio. “Abbiamo scelto con attenzione l’obiettivo da colpire con il nostro attentato. Il governo sta prendendo di mira le nostre famiglie e le nostre donne.

Vogliamo che provino lo stesso dolore”. Cosi’ il portavoce dei talebani pachistani, Mohammed Umar Khorasani, ha rivendicato l’attentato. Il governatore della provincia di Khyber Pakhtunkhwa, Pervez Khattak, ha decretato tre giorni di lutto nella provincia, annunciando che il premier Nawaz Sharif ha lasciato Islamabad per Peshawar per prendere in mano il coordinamento delle operazioni.

I feriti ricoverati sono 83. Sessanta cadaveri si trovano nell’Ospedale militare della città ed il resto nel Lady reading Hospital. Il governatore provinciale ha infine elevato ad otto-dieci il numero dei militanti che hanno attaccato la Scuola pubblica militare. Immediata la reazione sdegnata in tutto il mondo. Il premier Matteo Renzi: “Bambini uccisi a scuola. Inconcepibile. Il mondo deve reagire all’orrore”, ha scritto il primo ministro.

Col passare delle ore emergono dettagli raccapriccianti sulla strage. Secondo quanto raccontato da una fonte dell’esercito alla tv americana NBC, i terroristi avrebbero dato fuco ad un insegnante e costretto i bambini a guardarlo mente moriva. “Sono entrati in classe e gli hanno gettato della benzina su tutto il corpo e gli hanno dato fuoco”, ha raccontato un testimone.

"Spesa sanitaria cresciuta del 43 percento". Lo dice FederAnziani

spesa sanitariaUna spesa sanitaria che cresce del 43% in poco più di un decennio, ma comunque meno degli anni passati, perché a pagare sono soprattutto i cittadini, specie se anziani e quindi più bisognosi di cure, visto che, a causa del rincaro dei ticket, sempre più spesso pagano di tasca propria.

La conseguenza è che si rinuncia a quello che non è strettamente necessario, tanto che quasi un over 65 su tre non va dal dentista. E’ quanto emerge dall’ottavo Compendio SIC (Sanità in Cifre), lo studio annuale di FederAnziani sul Servizio Sanitario Nazionale, presentato oggi al Ministero della Salute.

La spesa sanitaria – secondo la rielaborazione fornita a partire da dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze – è passata dai 79 miliardi del 2002 ai 113 del 2012. E dal 2001 al 2011, inoltre la crescita registrata era stata anche superiore, da 76 a 112,3 miliardi (+48%). Ma questi aumenti, pur se altissimi, hanno subito un rallentamento negli ultimi anni: infatti le spese di 2009, 2010, 2011 e 2012 sono state rispettivamente di 109,063 miliardi, 110,77, 112,248 e 113,036.

Aumenta d’altronde la quota pagata direttamente dai cittadini: la compartecipazione passa da 21,8 euro pro capite del 2011 a 24,1 euro nel 2013, con un aumento percentuale del 10%.

Per la spesa farmaceutica la quota pagata dal Ssn diminuisce del 9,37% dal 2011 al 2013, mentre quella a carico dei cittadini aumenta dello 0,95%, e per l’anno passato è pari in media a 436 euro ciascuno. Ad esser tartassati dai costi per la salute, soprattutto chi di prestazioni e medicinali ne ha più bisogno, ovvero gli anziani.

Ma questi ultimi, secondo la fotografia ‘scattata’ attraverso i Registri della Salute, attraverso la somministrazione di questionari presso gli oltre 3.500 centri aderenti a FederAnziani e presso gli studi dei medici di medicina generale, sembrano anche poco attenti alla prevenzione.

Solo uno su due, il 54,6% del totale, si vaccina contro l’influenza stagionale, nonostante sia fortemente consigliato dagli esperti. Inoltre non amano molto i farmaci equivalenti: tra coloro che soffrono di patologie cardiovascolari, il 32,3% nell’ultimo anno ha avuto il proprio farmaco sostituito con un generico, cambiamento che, sostengono, ha creato problemi nel 17,3% dei casi.

Il 18,5% degli anziani è malato di diabete, di questi ben il 28% ha avuto episodi di ipoglicemia e oltre uno su quattro complicanze legate alla malattia, il che significa più ricoveri e conseguenti ricadute economiche e sociali per la famiglia e per il Sistema Sanitario.

Un aspetto questo che potrebbe essere limitato migliorando la presa in carico da parte del territorio, altro tasto dolente della sanità pubblica. “Se dovessi dare un voto al nostro Servizio Sanitario Nazionale, direi dieci e lode per l’emergenza e le acuzie, perché da questo punto di vista è tra i migliori in Europa.

Mentre per la gestione delle cronicità, il voto estremamente insufficiente è ancora inadeguato”, commenta il presidente di FederAnziani Roberto Messina. “Senza una vera presa in carico del malato da parte da parte dei medici di medicina generale – conclude – il Ssn si sgretolerà”.

Addio a Totonno Chiappetta, l'artista sociale di Cosenza

Totonno Chiappetta
L’attore scomparso Totonno Chiappetta

 

E’ scomparso all’età di 59 anni il popolare attore cosentino, Totonno Chiappetta. L’artista era ricoverato a Monza a seguito di alcune complicazioni cardiache. Proprio al cuore, Chiappetta, da giovane, si era sottoposto a un delicato intervento negli Stati Uniti. Lascia la moglie Patricia e due figli, Luigi (Gigino) e Mauro. Sgomento nella città dei Bruzi dove l’artista era molto conosciuto e amato.

Chiappetta, originario di Carolei, piccolo borgo alle porte di Cosenza, aveva cominciato la sua carriera da giovane facendosi apprezzare in teatro, in televisione (Rai) e al cinema dove è stato interprete di numerose parti.

Inizia la sua attività di attore e di autore nel 1977, perché, raccontava lui stesso, “fui scaraventato su un palcoscenico per rimediare al flop di due musicisti” e lì Chiappetta raccontò la prima cosa che gli venne in mente: “Una storia che una guardia notturna gli aveva raccontato la sera prima”. Un esordio da cui si capì che era un attore nato.

L'artista Totonno Chiappetta
L’artista Totonno Chiappetta

L’artista ha lavorato in teatro, con la compagnia “Il Dromo” diretta da Luciano Capponi. Ha vissuto per un breve periodo negli Stati Uniti, dove ha lavorato nella compagnia “I Giullari di piazza” diretti da John La Barbera, a New York, sponsorizzati dalla New York University. Rientrato in Italia, ha recitato da protagonista, nel “Pulcinella e Jugale” di Casalini, Capponi e Chiappetta.

Totonno Chiappetta a Macao Rai 3 insieme ad Alba Parietti
Totonno Chiappetta a Macao Rai 3 insieme ad Alba Parietti

Ha interpretato da protagonista Il radiodramma “Skanderberg”. Su Rai 2, con la regia di Vincenzo Pesce, regista anche del primo spettacolo scritto da Totonno Chiappetta “Gliela diamo noi la dizione”.

Sempre in Rai ha partecipato a “Piacere Raiuno”, “Cifari eDiavuli” (Rai 3), “La linea retta” (Rai 2), “Se una notte a Monte Cocuzzo” (Rai 3), “Macao” con Alba Parietti (Rai 2), “Questa Italia” (Rai international), “Subbuglio” (Rai 1).

L’attore ha vinto l’importante premio teatrale “Castello d’oro” per l’interpretazione di Tonio ne “i Pagliacci” e Basilio nel “Barbiere di Siviglia”, due melodrammi in prosa tradotti da Crescenzo Gentile. Ha lavorato con Massimo Masini, regista, suo maestro, nella “Casa di pietra” di Vincenzo Ziccarelli, drammaturgo cosentino scomparso recentemente a cui Chiappetta era molto legato.

Di lui aveva interpretato quasi tutte le sue opere. E’ stato protagonista della versione televisiva, su Rai3, di “Cristina ‘a Spedesa” di Ziccarelli, interpretando la parte di “Mastru Fioravante”. Sempre di Vincenzo Ziccarelli, è stato attore protagonista in “Un caso di morte apparente”, dove interpretava la parte del morto. Poi, in Toscana, al Petrarca di Arezzo, ha ottenuto grandi successi di pubblico con il “Re nudo ” di Schwarz.

Totonno Chiappetta in una scena teatrale de "I Pagliacci"
Totonno Chiappetta in una scena teatrale de “I Pagliacci”

Al cinema ha preso parte a film come “Angela come te” di Anna Brasi, “Uomo contro uomo” di Sergio Sollima, “Un bambino in fuga” di Mario Caiano, “Angeli a sud” di Massimo Scaglione. Nel 2006 “La vera leggenda di Tony Vilar” diretto da Gagliardi presentato al festival di Roma.

Totonno Chiappetta in una scena del Flauto
Totonno Chiappetta in una scena del Flauto

E poi tanti ma tanti spettacoli di Cabaret: “Scostumati”, “Varie-eta’”, “Ciotie”, “Ce la mettiamo tutta la buona volonta’”. Si definiva un attore sociale. Per questo dedicava molte delle sue energie al recupero dei detenuti e dei quartieri delle periferie cosentine. La prima rappresentazione svoltasi nelle carceri di Cosenza risale al 1987, insieme a Carlo Napoletani, ma negli anni quello di dare “conforto” nei penitenziari fu una costante del suo percorso artistico. Celebri le sue romanzelle sul Cosenza Calcio, la sua squadra del cuore.

L’attore ha condotto trasmissioni originali nelle prime emittenti televisive locali sorte nella sua città. “Capitani Coraggiosi” (1987, Rete Alfa), “Bolle” (1991, Teleuropa), Gran Caffe’ (1992, Rete Alfa) e poi la mitica “Cataratta”, su Telecosenza nel 93. Molti di questi spettacoli Chiappetta li ripropose con successo anche in alcuni locali cittadini come l’Ipsum di Mendicino, Le Selle di Domanico e il Tinapica di Cosenza (e in altri), tutti e tre gestiti dal suo amico showman, Mimmo Palermo.

Totonno Chiappetta
Totonno Chiappetta

Chiappetta era insomma un artista versatile: attore, autore, cantante, poeta, scrittore, comico, cabarettista e drammaturgo. Era nipote di Antonio Chiappetta, l’autore del celebre “Jugale”, personaggio che Totonno ha fatto conoscere nella sua città, negli Usa e in Italia. Era orgoglioso delle sue origini e tutta la sua carriera è stata centrata sulla prosecuzione della cultura popolare e del dialetto cosentino. Aveva grandi doti umane e artistiche, un attore che sapeva improvvisare “sketch” in strada capaci di far divertire grandi e piccoli.

Totonno Chiappetta era molto legato al noto musicista jazz calabro newyorchese Enrico Granafei. Da sempre convinto socialista, l’artista era intimo amico del grande Giacomo Mancini ancor prima che diventasse sindaco di Cosenza. A suo sostegno fu candidato alle elezioni amministrative del ’97 dove Mancini fu rieletto primo cittadino per la seconda volta.

IL CORDOGLIO DEL SINDACO OCCHIUTO
“Sempre i migliori se ne vanno. Sembra una frase fatta, ma in questo caso non lo è affatto perché è quella giusta per esprimere il dolore di tutta la comunità cosentina per l’improvvisa scomparsa dell’attore Totonno Chiappetta”. Sono le parole del Sindaco Mario Occhiuto subito dopo aver appreso la notizia.

“Totonno Chiappetta era un buono per antonomasia, oltre che essere un artista versatile e dalle enormi risorse. Oggi la città di Cosenza – sottolinea il Sindaco Occhiuto nel suo messaggio di cordoglio – è certamente più povera, perché le mancheranno l’estro, la fantasia, la contagiosa simpatia e tutte le altre qualità, impossibile riassumerle tutte, che formavano un tutt’uno con la persona di Totonno Chiappetta.

Totonno Chiappetta insieme a Mimmo Toscano
Totonno Chiappetta insieme a Mimmo Toscano

Totonno – afferma ancora il Sindaco – era attore (di cinema e teatro), cabarettista, poeta, personaggio televisivo di successo, e tante altre cose ancora, tra le quali l’essere il continuatore ufficiale della tradizione del dialetto cosentino, lingua dalla quale non si separava mai e che aveva ereditato dal nonno.

Anche per questo era diventato ambasciatore della cosentinità in Italia ed anche oltreoceano. Di lui mi piace ricordare, in questo tristissimo momento, anche la capacità di relazionarsi con gli ultimi e con le persone in difficoltà, qualità quest’ultima che propagò il successo di Totonno anche all’interno delle carceri dove, dal 1987  portò i suoi spettacoli e dove tenne anche diversi laboratori teatrali molto partecipati.

Ma non vanno assolutamente dimenticati i ruoli in teatro, soprattutto nei lavori del drammaturgo cosentino Vincenzo Ziccarelli.
Alla moglie Patricia, ai figli e a tutti i familiari giungano, in questo dolorosissimo momento, i sentimenti del più profondo cordoglio di tutta l’Amministrazione comunale e l’abbraccio di tutta la comunità dei cosentini che l’hanno sempre amato e che grazie a lui – conclude Occhiuto – hanno potuto, anche per pochi istanti, scacciare con una sana risata le ansie della vita quotidiana. Non lo dimenticheremo!”

Diabete, Federsanità Anci, in 13 anni costi per malato -24%

Ospedale Vibo Valentia, per protesta si dimettono 15 primari |DiabeteGrazie a migliori cure, più programmazione e più prevenzione, in Italia la spesa per curare una persona con diabete è diminuita, in 13 anni, del 24%, passando da 3.625 euro del 1998 a 2.761 del 2011. Tuttavia, se questa è la media nazionale, il costo per ogni diabetico, se ben curato, oscilla da 867 a 1.189 euro, ma può arrivare a oltre i 6.300 se meno seguito e costretto ad almeno un ricovero. E’ quanto emerge dal Libro Bianco sulla gestione del Diabete presentato oggi e realizzato da Federsanità Anci, che riunisce Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere e Conferenze dei Sindaci per percorsi di integrazione sociosanitaria e assistenziale.

“Programmare significa risparmiare”, sintetizza Lorenzo Terranova, responsabile del Centro Studi di Federsanità Anci. “La vera sfida del sistema sanitario rispetto a quella che è una delle malattie croniche più frequenti e in crescita, è prendere in cura la persona e anticipare le situazioni gravi per le quali può finire in ospedale, ad esempio retinopatia, amputazione degli arti o scompenso.

Un’amputazione è un costo umano ma anche economico molto elevato. Quando si arriva a quel punto, vuol dire che qualcosa, prima, non è andato per il verso giusto”. Nella malattia diabetica, scrive in un messaggio il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, “l’impatto economico, sociale e sanitario ha imposto la ricerca di percorsi in grado di minimizzare il più possibile l’incidenza degli eventi acuti o delle complicanze invalidanti.

E’ ormai certo che un approccio multidisciplinare, con il coinvolgimento attivo delle persone con diabete può portare a risultati migliori, in grado cioè di ridurre il peso sociale della malattia, con un miglioramento della qualità della vita”. Proprio in questa direzione vanno le indicazioni fornite dal Libro Bianco.

“Qualità e ricerca devono diventare un binomio imprescindibile, senza dimenticare l’integrazione con gli altri mondi che ruotano attorno a quello sanitario, come i comuni, che rappresentano la risposta sul territorio”, ha concluso Angelo Lino Del Favero, presidente Federsanità Anci.

Ebola, Australia apre un centro medico in Sierra Leone

Villaggio della Sierra Leone Ebola, Australia
Villaggio della Sierra Leone

Un centro medico per pazienti di ebola costruito da militari britannici e gestito dall’Australia ha aperto ieri in Sierra Leone vicino alla capitale Freetown. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri australiano Julie Bishop, precisando che in linea con la migliore pratica, i pazienti saranno diretti al centro, che comincerà le operazioni con cinque letti. “Le operazioni saranno gradualmente intensificate fino alla piena capacità di 100 letti, secondo strette linee guida per assicurare che le procedure di controllo dell’infezione operino con efficacia e che siano in funzione personale qualificato e pratiche di sicurezza.

In novembre l’Australia ha stanziato 20 milioni di dollari australiani (14 milioni di euro) in favore della compagnia privata australiana Aspen Medical per gestire il centro, dopo un periodo di critiche secondo cui il governo non agiva con abbastanza sollecitudine per aiutare a fermare la diffusione del letale virus. Bishop ha annunciato che lo stanziamento è stato aumentato a 25 milioni di dollari.

Il primo gruppo di personale medico australiano di 17 elementi che opererà nel centro è partito due settimane fa, e un secondo gruppo è partito lo scorso weekend. “Il centro è attualmente gestito dal primo gruppo di personale clinico australiano, affiancato da elementi locali addestrati”, ha detto Bishop, che ha accolto con soddisfazione il contributo del governo neozelandese di 24 operatori medici e di 2 milioni di dollari.

“I tassi di contagio dell’ebola rimangono molto alti in Sierra Leone, specie a Freetown, dove è situato il nuovo centro, e nei dintorni. Le capacità di trattamento e di isolamento continuano a essere una componente critica della risposta internazionale”, ha aggiunto.

"Quirinale nel Patto del Nazareno". Berlusconi agita la maggioranza

RomaPalazzoQuirinalePaola Di Caro per il Corriere della Sera

Lo dice con sincerità disarmante, Silvio Berlusconi: il patto del Nazareno a Forza Italia ha portato nell’immediato più guai che altro, anzi «ci ha dato e ci dà tanto fastidio» perchè «ci ha impedito una opposizione vera su tutto, ha creato delle difficoltà al nostro interno, ha confuso il nostro elettorato».

E però, spiega in collegamento telefonico con un convegno azzurro a Imola, quell’accordo – mai seriamente da lui messo in discussione nonostante i mugugni dei suoi – va mantenuto. Per almeno due buoni motivi. Il primo è una questione di coerenza: «Come facevamo a dire di no a delle riforme che erano e sono le nostre riforme?».

Il secondo è ancora più decisivo: la conseguenza «logica» del patto del Nazareno è che «non potrà essere eletto un capo dello Stato che a noi non sembri adeguato all’alta carica istituzionale che deve ricoprire». Insomma, è un’assicurazione sulla vita e soprattutto è un vincolo che, scritto o non scritto che sia, Renzi dovrà rispettare.

Che Berlusconi la pensasse così non è un segreto per i suoi, anzi è la ragione per cui finora si sono dovuti ingoiare bocconi amarissimi sia sulle riforme sia su una legge elettorale che continua a cambiare in senso sempre peggiorativo per Forza Italia. Ma, nonostante le proteste dei vari Brunetta, Fitto, Capezzone e non solo, mai è venuto a mancare il sostegno a Renzi, mai si è alzata davvero la voce.

Adesso è chiaro a tutti il perché: il capo dello Stato riveste un’importanza decisiva, anche se Berlusconi si dice comunque convinto che la sua agibilità politica sia comunque a un passo: «Dal 15 febbraio la riconquisterò» dice riferendosi alla fine dell’obbligo di prestare la sua opera per i servizi sociali al quale è sottoposto e il suo ritorno in campo sarà «un cambio assoluto nel nostro modo di relazionarci con gli elettori».

Peccato però che la rivelazione del Cavaliere metta parecchio in difficoltà il Pd. Che con due big della segreteria, Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini, replica a brutto muso all’avversario. «Se la scelta del capo dello Stato è nel patto del Nazareno? Assolutamente no – dice la prima -. Nel patto ci sono impegni importanti come le riforme costituzionali e istituzionali». Altrettanto netto l’altro vicesegretario del Pd: «Non è vero, non c’è nessun accordo nel patto del Nazareno che riguarda l’elezione del presidente della Repubblica.

Quando sarà il momento costruiremo un percorso in Parlamento parlando con tutte le forze politiche, come abbiamo sempre detto». E Angelino Alfano, da parte sua, avverte: «Sul Quirinale speriamo che Renzi non la ponga in termini di partito. Noi vogliamo uno che rappresenti tutti, crediamo che l’unto dal signore debba venire da fuori».
Insomma, la questione resta delicatissima.

E non a caso Berlusconi nelle scorse settimane aveva cercato di cautelarsi: «Prima votiamo il nuovo capo dello Stato, poi andiamo avanti sulle riforme….». Richiesta respinta da Renzi, ma che ancora aleggia, e rende il cammino delle riforme meno rapido di quello che il premier vorrebbe.
Forse, più accidentato.

Il piano di Berlusconi per far cadere il sindaco Marino

Paolo Emilio Russo per Libero

Il Cavaliere ha dovuto penare non poco per raggiungere il risultato: i consiglieri comunali eletti a Roma con Forza Italia presenteranno le loro dimissioni. La richiesta del leader era partita da Palazzo Grazioli martedì scorso e il coordinatore romano del partito, Davide Bordoni, non ha raccolto soltanto risposte entusiaste degli eletti, anzi. Il problema è che le dimissioni dei soli forzisti non saranno sufficienti a portare allo scioglimento del Comune, si rischia un pasticcio col subentro dei primi tra i non eletti e, di conseguenza, si è deciso di rinviare il momento della lettera di addio al Campidoglio al giorno in cui sceglieranno di dimettersi anche i consiglieri degli altri partiti d’opposizione.

Per non lasciare spazio ai dubbi su quale siano i desiderata del Cavaliere e la linea del partito, ieri mattina si sono presentati alla stampa nella sede di San Lorenzo in Lucina big del calibro di Giovanni Toti, Maurizio Gasparri e Antonio Tajani. «Serve un atto collettivo di almeno 24 consiglieri per tornare al voto: mi auguro che i consiglieri di altre forze politiche facciano come Forza Italia», ha detto quest’ultimo, già vicepresidente della Commissione europea. Ncd raccoglie: Roberto Cantiani e Lavinia Mennuni, i due consiglieri eletti col partito di Angelino Alfano, si potrebbero dimettere.

L’appello è dunque rivolto ora agli eletti con Fdi, ma anche a quelli della lista che sosteneva Alfio Marchini. Non c’è nessun imbarazzo per il coinvolgimento di alcuni esponenti del fu Pdl nell’inchiesta Mafia Capitale: «Fi è infinitamente meno coinvolta della sinistra», sottolinea Giovanni Toti. Per Maurizio Gasparri, che è anche vicepresidente del Senato, toccherebbe innanzitutto al Pd prendere atto che «la situazione è ingestibile, che il Comune di Roma è in un commissariamento di fatto».

Il coordinatore provinciale azzurro Davide Bordoni, che è anche consigliere comunale, ha annunciato una «raccolta di firme nei gazebo per chiedere le dimissioni di Ignazio Marino» e la proposta di una «commissione d’inchiesta». Difficile che il sindaco si dimetta.

La pressione sul leader Pd, i dettagli dell’inchiesta romana e di quella sul Mose a Venezia, sembrano avere però convinto Forza Italia che le elezioni anticipate nella Capitale sono un obbiettivo possibile e, in alternatva, una buona occasione per rinserrare le fila del centrodestra.

Se l’ex premier giovedì si è dedicato all’ambasciatore della Federazione Russa e ieri al Milan – con tanto di brindisi tra la figlia Barbara e Adriano Galliani -, nella Capitale i suoi sherpa stanno sondando alleati e potenziali tali per preparare una alternativa al sindaco in carica.

Una soluzione presa in considerazione è quella di “agganciare” Alfio Marchini, già candidato indipendente due anni fa della lista “Roma nel cuore”, facoltoso, proveniente da una famiglia di sinistra, telegenico. L’ex premier lo aveva addirittura «considerato» come possibile candidato premier: i due si sono incontrati nei mesi scorsi.

A riportare ottimismo in casa azzurri è il probabile buon esito della “trattiva” con Mara Venier, cui l’ex premier ha chiesto di candidarsi a sindaco di Venezia. «In tempi in cui la politica segna una distanza dalla gente, chi meglio di una donna del popolo veneziano, che ormai fa parte di ogni famiglia italiana, saprà guidare la macchina amministrativa?», dice entusiasta l’ex Guardasigilli Francesco Nitto Palma.

Stesso metodo, quello cioè di pescare fuori dall’ambiente politico, potrebbe essere utilizzato anche nella Capitale per individuare un candidato. Lo ammette anche il consigliere politico del Cavaliere, Toti: «Perchè no? Roma è una città piena di talenti, eccellenze e capacità…».

Il problema, semmai, sarà far digerire la scelta a Fdi e Lega. Nonostante la schiarita dei giorni scorsi, infatti, il Cavaliere non sembra intenzionato a partecipare all’evento organizzato da Matteo Salvini oggi a Milano sul tema della flat tax e le posizioni restano distanti.

L’aliquota unica sarà comunque parte di un pacchetto di misure economiche che il leader di Fi intende presentare a gennaio e che conterrà modifiche anche alle pensioni: potrebbe essere la base ideale attorno alla quale ricostruire la coalizione. In compenso Berlusconi ha dato un ordine: «È vietato rispondere alle provocazioni di Raffaele Fitto, va ignorato». E infatti la sua dichiarazione-provocazione di ieri su «Fi che attraversa un momento in difficoltà» non è stata raccolta da nessuno.

Natale e crisi. Tiene la tradizione, ma aumentano i costi

Natale e crisiLe vacanze di fine anno tengono, sebbene gli effetti della crsisi si facciano sentire. All’insegna del risparmio, gli italiani tendono a mantenere viva la tradizione più attesa dell’anno. Durante le feste saranno 10 milioni gli italiani in viaggio. Torna a crescere, ma di poco, la spesa media per persona, quest’anno a quota 622 euro.

E’ quanto si evince dal sondaggio Confesercenti-Swg, in cui si legge che saranno vacanze soprattutto italiane e spesso nelle città d’arte, che superano la settimana ad alta quota in montagna.

Non mancherà un pizzico di “romanticismo” con un piccolo boom dei viaggi di coppia. Ma tutto con prudenza, tanto che molti dei vacanzieri passeranno Natale e, più ancora Capodanno in casa di amici e parenti.

Capodanno rimane l’occasione più scelta per un viaggio: per la fine dell’anno sarà in vacanza quasi un italiano su dieci (il 9%). Il 5% degli intervistati ha invece indicato Natale, mentre il 7% andrà in villeggiatura in un altro periodo delle prossime feste.

Sciopero Cgil e Uil paralizza l'Italia. Più di un milione in piazza contro il Governo

Sciopero Cgil e Uil

“Oltre un milione e mezzo di persone tra lavoratori, pensionati, studenti e precari è sceso in 54 piazze per lo sciopero generale di Cgil e Uil. I sindacati fanno i conti della giornata “straordinaria” che segna “un passaggio cruciale” della mobilitazione “contro le scelte sbagliate del governo, per un cambiamento vero”, a partire dal Jobs act e dalla legge di stabilità. Una giornata che ha bloccato il Paese, accompagnata da nord a sud dallo slogan “Così non va”. Tra caos trasporti e disagi.

Scontri a Torino, Milano e Roma ma in cortei di gruppi di autonomi e movimenti per la casa. L’adesione media allo sciopero generale è stata superiore al 60%, sempre secondo i dati di Cgil e Uil. Centinaia i voli cancellati (oltre 300 solo a Fiumicino) e treni non garantiti fermi (in media il 50%), metro chiuse e autobus in deposito (oltre il 70%, con punte del 90%).

Traffico rallentato, se non in tilt nelle città. I cortei sono sfilati per lo più senza problemi. Scontri e tensioni si sono registrati a Torino tra gli autonomi e le forze dell’ordine (fermate nove persone e feriti due poliziotti); a Milano al corteo dello sciopero sociale con molti studenti (undici i contusi tra le forze dell’ordine); a Roma con i movimenti per la casa che hanno occupato uno stabile con conseguenti cariche (una decina i feriti e due arrestati). Episodi di violenza che la Cgil “condanna con fermezza”, che non sono “associabili alle pacifiche manifestazioni” del sindacato.

Proprio da Torino, al termine della sua visita alla città, è arrivato il richiamo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al “rispetto reciproco” tra le prerogative di governo e sindacati: “Non si vada ad una esasperazione come quella di cui oggi abbiamo il segno”. Senza entrare “nel merito delle ragioni degli uni o degli altri”, lo sciopero generale è “segno senza dubbio di una notevole tensione tra sindacati e governo”, ha detto ancora il capo dello Stato, auspicando quindi “la via di una discussione pacata”.

In piazza, Cgil e Uil hanno portato le loro ragioni. “Continueremo a contrastare le scelte sbagliate” del governo “per avere una prospettiva di lavoro in questo Paese”, che è la vera “emergenza”: un lavoro di qualità, di diritti e di tutele, ha insistito dal palco di Torino, il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, in corteo con cappotto e borsa rossi “il copyright del colore è nostro”, ha scherzato. “Oggi fermiamo l’Italia per farla ripartire nella direzione giusta”, ha detto il leader della Uil, Carmelo Barbagallo, dal palco di Roma, replicando anche al premier Matteo Renzi: “Noi veramente vogliamo cambiare l’Italia, non a parole”.

E assicurando che “non ci rassegniamo: faremo la nuova Resistenza contro coloro che pensano di poter fare a meno dei sindacati”. Ma “caro presidente del Consiglio – si è rivolto ancora a Renzi – ci stupisca, ci convochi e discutiamo del futuro del Paese”. E’ “una scelta del governo se continuare a provare a innescare il conflitto oppure discutere. Deve essere chiaro che noi non ci fermiamo”, ha insistito Camusso, tornando a dire basta con “i dilettanti allo sbaraglio”.

Nel mirino anche il Garante per gli scioperi, dopo il braccio di ferro sulla precettazione dei ferrovieri, prima ordinata e poi revocata dal ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, a fronte di una rimodulazione dello stop dei treni (da otto a sette ore oggi e poi nel weekend). Che non è bastata: lo sciopero nel settore ferroviario “resta in violazione delle regole” e saranno valutate eventuali sanzioni, ha detto il presidente della Commissione di Garanzia per gli scioperi, Roberto Alesse. “Più che essere un Garante, è un partigiano che fa le parti non nostre”, ha attaccato Barbagallo, sostenendo che “è stato strumentalizzato”, non escludendo l’ipotesi di dimissioni (“dovrebbe trarne le conseguenze”).

“Non ci fermiamo, Renzi può mettere tutte le fiducie che vuole, anche una al giorno, la lotta continuerà”, ha garantito il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. Ai diversi cortei hanno partecipato anche il leader di Sel, Nichi Vendola, ed esponenti delle minoranze Pd, come Stefano Fassina, Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre e Pippo Civati. Da Bari l’appello di Massimo D’Alema, poi contestato dai manifestanti: “La situazione del Paese è grave e spero che il governo ascolti la piazza”. Dal governo la replica del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: “Ascoltiamo la piazza ma siamo intenzionati ad andare avanti con l’attuazione delle riforme, non possiamo permetterci un colpo di freno, oggi l’Ue ci chiede di essere coerenti con gli impegni”.

Intanto oggi “abbiamo bloccato Roma, il Paese”, hanno detto dal palco gli organizzatori. Non senza un messaggio, infine, alla Cisl, non in piazza con Cgil e Uil: “Ci dispiace che non ci sia”, ha detto Camusso, ma la battaglia è anche per loro. (Ansa)

Audizione Pignatone in Antimafia: "A Roma tante cupole". Ecco la nuova tangentopoli

Audizione di Pignatone all'Antimafia
L’Audizione in Commissione Antimafia del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone con il suo aggiunto, Michele Prestipino (Foto Monaldo/LaPresse)

«NESSUN RISCONTRO CHE ALEMANNO PORTO’ DENARO IN ARGENTINA»
«Al momento non esistono riscontri sul fatto che l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno abbia portato del denaro frutto di corruzione in Argentina, come affermano alcuni indagati nelle intercettazioni». Lo ha detto il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone in audizione davanti la Commissione parlamentare Antimafia in merito all’imponente inchiesta denominata “Mafia Capitale” che ha svelato intrecci tra organizzazioni criminali e politica. «L’organizzazione che faceva capo a Massimo Carminati – ha aggiunto il magistrato -, per quanto grande, non è l’unica che opera su Roma». A differenza delle altre, però, questa «è romana e non può in quanto tale non avere rapporti con la politica» Nel corso dell’audizione, insieme al procuratore aggiunto Michele Prestipino, Pignatone spiega l’articolata ragnatela che ha legato la capitale del Paese .

LA FILOSOFIA DI CARMINATI E BUZZI. 
«La politica è una cosa, gli affari sono altro». Così Giuseppe Pignatone rivela come Salvatore Buzzi, in un’intercettazione spiegava i suoi rapporti con Massimo Carminati. Una filosofia che accomunava destra e sinistra, uniti “di notte” negli affari, ma divisi “di giorno” nella politica, come i ladri di Pisa, per usare un vecchio adagio. Dall’inchiesta di Pignatone e Prestipino emergono particolari inquietanti; presunti intrecci tra politica e organizzazioni mafiose tutte finalizzati al business da realizzare mediante la corruzione dei potentati politici di turno. Affari da centinaia di milioni di euro con appalti destinati al “cerchio magico” della cricca romana. Ma, secondo l’ex procuratore di Palermo e Reggio Calabria, che di mafia e ‘ndrangheta se ne intende, «non è finita quì. A breve – anticipa ai parlamentari dell’Antimafia – vi saranno altri sviluppi» che si immaginano clamorosi.

I RAPPORTI CON LE ULTIME DUE GIUNTE DI ROMA
Il capo? Carminati, continua Pignatone: «hanno un ruolo direttivo dal punto di vista “militare”, Brugia, sulla pubblica amministrazione, Buzzi. Un’altra caratteristica di questa associazione è la sua trasversalità interna, quindi già dentro l’associazione mafiosa stessa». Trasversalità che porta gli esponenti dell’organizzazione ad avere rapporti sia con la precedente giunta sia con l’attuale: «Con quella di Alemanno abbiamo alcuni componenti che coprono cariche amministrative di vertice, come Testa, Mancini e Panzironi, che sono vicini al sindaco. Con l’amministrazione successiva non c’è la presenza dei vertici perché sono cambiati, però rimane questa presenza esternamente». E per quanto riguarda il coinvolgimento di eventuali vip, Pignatone è netto, non c’entrano nulla: «I fatti che riguardano De Rossi, Belen eccetera non riguardano la Procura e tanto meno la commissione antimafia».

«ROMA TROPPO GRANDE PER ESSERE CONTROLLATA DA UNA SOLA ORGANIZZAZIONE»
La scoperta della cupola che faceva capo a Massimo Carminati per Pignatone rappresenta «un passo avanti». Resta comunque molto da fare: «A Roma ci sono una serie di investimenti mafiosi, ci sono alcune associazioni di tipo mafioso presenti nel territorio», come le due di Ostia, una collegata a Cosa nostra e una, quella dei Fasciani, autoctona. «Non c’è un collegamento con la mafia classica -continua Pignatone – rispecchia in qualche modo la società romana, originaria e originale». Perché, continua Pignatone, a Roma non c’è una sola associazione mafiosa e non è detto che la mafia sia il principale problema della città: «Non siamo come a Palermo, Napoli o Reggio Calabria: Roma è troppo grande per essere controllata da un’unica organizzazione».

MAFIA CAPITALE E LA ‘NDRANGHETA.
A dimostrazione dei rapporti con altre organizzazioni mafiose, continua il procuratore aggiunto Prestipino, è emerso un legame tra Mafia Capitale e ‘Ndrangheta. Nel 2008 due persone della coop di Buzzi «vengono accreditate presso la famiglia Mancuso, attraverso il canale dei Piromalli. Successivamente c’è stato lo “scambio reciproco” con l’affidamento a una persona dell’appalto per le pulizie dell’Esquilino». Per cui, spiega Prestipino, quando Carminati commenta la nomina di Pignatone alla Procura di Roma da parte del Csm dicendo: «questo non si fa inglobà dalla politica. Ha accappottato tutto in Calabria», non lo dice come una battuta, ma con cognizione dei fatti.

«BUZZI? UN DELINQUENTE. BLOCCATI AFFIDAMENTI MILIONARI A SUE SOCIETA’»
Il procuratore parla poi di Buzzi e delle Cooperative facenti capo all’uomo arrestato, spiegando come abbiano «1200 dipendenti che saranno nella quasi totalità persone perbene». E poi ci sono gli amministratori: «Buzzi in primo luogo, secondo me sono dei delinquenti». Ed a proposito di Buzzi, senza alcun collegamento con l’opinione di Pignatone, emerge che il Comune di Roma ha sospeso una gara da 25 milioni per Ater perché, continua il Procuratore: «si profilava un’affidamento alle società di Buzzi», ricordando come il presidente della regione Zingaretti abbia revocato un appalto per 60 milioni di euro per il Cup di cui era beneficiario Buzzi.

«SPUNTI SUL VOTO DI VOTO DI SCAMBIO, MA NON CI SONO RISCONTRI»
Pignatone, parlando del voto di scambio politico-mafioso, ha spiegato che «Non ci sono in questa indagine riferimenti significativi al settore del gioco. Sulla raccolta di voti ci sono degli spunti, ma non sono stati tali da contestare il reato del 416-ter». Pignatone poi aggiunge che non ci sono prove su un rapporto tra Carminati e i Servizi segreti: «Agli atti c’è una lunga conversazione tra Carminati e una persona non identificata con certezza in cui lui si abbandona ai ricordi, risalenti agli anni ’70 e ’80 e racconta di un viaggio in Libano, dove fu mandato da qualcuno dei Servizi a fare attività di vario tipo e natura. Pero’ questa è una traccia insignificante. Poi, nelle conversazioni di altri, emerge la convinzione diffusa che lui mantenga questo tipo di contatti, ma non vi è nulla di più».

ODEVAINE E IL MINISTERO DELL’INTERNO: «E’ LA PUNTA DELL’ICEBERG»
Il procuratore di Roma, rispondendo ad una domanda di Giulia Sarti, del Movimento 5 Stelle che aveva chiesto se le indagini di “Mafia Capitale” potessero riguardare anche il Ministero dell’Interno, ha spiegato di aver chiesto la misura cautelare per Luca Odevaine, ex vice capo gabinetto di Roma all’epoca di Veltroni «per un’imputazione specifica (corruzione aggravata, ndr). È altresì chiaro che la vicenda di Odevaine, in riferimento alla turbativa d’asta, è la punta dell’icerberg. E’ nostra intenzione approfondire non dico l’iceberg ma le parti del fenomeno che sono di nostra competenza».

«NUOVE OPERAZIONI NEI PROSSIMI GIORNI»
Pignatone promette che non finisce qui. Ci saranno infatti altre operazioni nei prossimi giorni. Si continuano intanto a cercare le armi, la cui esistenza è venuta alla luce nel corso delle intercettazioni e si lavorerà per capire meglio come funzionava l’organizzazione sgominata. A proposito di questo, Pignatone ha parlato del basso numero di omicidi riconducibili alla criminalità organizzata: «A Roma ci sono stati 30-32 omicidi nell’ultimo anno. Un dato quasi insignificante, la gran parte dei quali non riconducibili alla criminalità organizzata. Io sono invece convinto che c’e’ una consapevolezza diffusa di tutte le organizzazioni criminali, mafiose e non, di evitare di richiamare l’attenzione delle forze dell’ordine e della magistratura commettendo omicidi eclatanti. E’ un dato che appartiene ormai al patrimonio comune del crimine».

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