5 Ottobre 2024

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Corruzione, l'asse Pd Ncd spinge la riforma. Forza Italia alle strette

Renzi e Alfano pd ncd
Renzi e Alfano

Non sono passate neanche 24 ore dalla rottura del patto del Nazareno tra Pd e Forza Italia che comincia in “sordina” la resa dei conti politica. A cominciare da quei provvedimenti tanto cari a Silvio Berlusconi come dalla norma sul falso in Bilancio.

Al termine del confronto anche l’asse Pd-Ncd rafforzato dal dopo Mattarella, ha trovato un punto d’intesa appunto sul falso bilancio, punito in modo ancora più duro in un testo messo a punto dal senatore alfaniano Nico D’Ascola (ex avvocato del Cavaliere). Il reato sarà perseguibile d’ufficio e non più a querela.

Si punta a restringere l’area della non punibilità tenendo conto della rilevanza del fatto e della dimensione dell’impresa, ci saranno sconti di pena per coloro che collaborano con la giustizia e il rafforzamento dell’efficacia del campo di azione delle norme, estendendole anche agli incaricati di pubblico servizio.

Resta l’inasprimento delle pene, cosi come disegnato sulle quali ci saranno interventi di armonizzazione. Ma ci sarebbe anche un rafforzamento di quelle accessorie con un aumento del divieto di contrattazione con la pubblica amministrazione per chi commette un reato di corruzione e passa da 5 a sei anni nel massimo la pena per il pubblico ufficiale a busta paga, ad oggi prevista con la reclusione da uno a cinque anni.

L’esame del ddl anticorruzione è stato chiesto a gran voce dal Movimento 5 Stelle che si è rivolto nei giorni scorsi anche a Mattarella, dopo che l’Aula del Senato ha bocciato una variazione del calendario che lo includesse e alla quale avevano detto si anche Sel e Lega.

Il provvedimento è, in realtà, in commissione Giustizia a Palazzo Madama e sul testo si sono innestate, sotto forma di emendamento, le proposte del governo. Da mercoledi si prosegue con l’esame del ddl che, ha detto oggi il Guardasigilli Orlando, ha già di fatto una corsia preferenziale. Anche se, aveva precisato stamane, il lavoro di approfondimento, non è mai tempo perso.

Nitto Palma (Fi): “Verificheremo col tempo, ma la norma proposta è criticata dalla stessa magistratura”
“Prendo atto con favore che il ministro Orlando ed il vice ministro Costa hanno annunciato che la maggioranza di governo ha raggiunto l’accordo sul testo in materia di corruzione. Il che fa immaginare che, finalmente, la commissione Giustizia del Senato potrà varare in breve tempo i disegni di legge in materia, troppe volte bloccati da iniziative governative spesso confuse o contraddittorie”, ha detto il senatore di Forza Italia Francesco Nitto Palma, presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama.

“Se poi il testo varato sarà davvero efficiente per il contrasto alla corruzione, sarà cosa che verrà verificata nel tempo. Certo è che molteplici, e a mio avviso fondate, sono le critiche che al testo governativo provengono dalla magistratura e dalla stessa autorità anticorruzione”, ha aggiunto.

Intanto, alla Camera si entra nel vivo sulla prescrizione: i termini per la presentazione degli emendamenti scadono il 12 febbraio in commissione Giustizia, dove pende il ddl che riguarda anche le intercettazioni, terreno di scontro da sempre fra centrosinistra e centrodestra. E in Transatlantico tra gli esponenti azzurri non manca chi giudica una “strana coincidenza” dell’annuncio fatto ieri dai vertici di Forza Italia sulla rottura del patto del Nazareno e l’accelerazione impressa dal governo sul fronte giustizia.

Troika contro la Grecia. Tsipras: "Siete finiti". Renzi plaude a Bce

Varoufakis  Tisipras
Manifestanti a Berlino durante la visita del ministro delle finanze greco Varoufakis. “Partendo dalla Grecia cambieremo l’Europa”

Lo schiaffo arrivato da Francoforte con il blocco del rifinanziamento delle banche elleniche fa male ad Atene, la cui borsa subisce un crollo. Con i bond a picco, male ovviamente anche lo spread decennale titoli greci-bund, a 960 (era 902 ieri sera). Mercati nervosi, in rialzo anche lo spread fra Btp e Bund.

“La Troika è completamente finita”, ha affermato oggi il premier greco Alexis Tsipras parlando ai componenti del gruppo parlamentare di Syriza (sinistra radicale) riunito ad Atene.

Ma poi ha assicurato: “Abbiamo un impegno con le regole dell’Unione europea anche se non siamo d’accordo con esse. Ma le rispettiamo e rispetteremo la regola che riguarda i bilanci senza deficit. Ma l’austerità e gli irraggiungibili avanzi primari non costituiscono le regole istitutive dell’Ue”.

Tispras
Tispras con Hollande a Parigi (Epa)

Schaeuble, Atene deve affrontare problemi con Troika  – La Grecia deve affrontare i problemi “con le tre istituzioni con cui ha affrontato il programma, la Bce, la Commissione Ue e il Fmi”. Lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble a Berlino, in conferenza stampa a Berlino con il collega greco Varoufakis.

Varoufakis, disposti a trattare, noi chance per Ue – “Noi siamo disposti a trattare. Siamo una chance per l’Europa. Noi abbiamo grande sostegno nel popolo greco, usateci per iniziare nuovo capitolo della storia dell’UE”. Lo ha detto il ministro greco Janis Varoufakis a Berlino, in conferenza stampa con Wolfgang Schaeuble. Il governo greco sta cercando di avere “un programma ponte fra adesso a fine maggio”, per avere “spazio” per “dei colloqui su un nuovo contratto con la Bce, la Commissione Ue e il Fmi”.

Troika contro la Grecia - Mario Draghi e Alexis Tsipras (Ansa)
Mario Draghi e Alexis Tsipras (Epa/Ansa)

Renzi, decisione Bce legittima e opportuna – “La decisione della Bce sulla Grecia è legittima e opportuna dal momento che mette tutti i soggetti in campo attorno ad un tavolo “. Così il premier Matteo Renzi. “In un confronto diretto e positivo – aggiunge il premier italiano – che, andando oltre una concezione burocratica tutta rivolta all’austerità, sia capace di rispettare e far rispettare gli impegni presi e di guardare con maggiore fiducia e determinazione ad un orizzonte europeo fatto di crescita e investimenti”.

Fmi, avanti programma per evitare contagio  – “Il programma per la Grecia è fatto per aiutare il governo greco e il popolo greco. E allo stesso tempo per evitare ogni pericolo di contagio. Continuare su questa strada porterà benefici alla Grecia e al resto d’Europa”: lo afferma il direttore della comunicazione dell’Fmi, Gerry Rice.

Alexis Tsipras (Epa)
Alexis Tsipras (Epa)

Hollande a Tsipras,”vai a trovare Merkel,ti riceverà”– “Ho detto a Tsipras ‘vai a trovare la cancelliera, perché è ciò che si deve fare quando si appartiene a una comunità. E lei ti riceverà”: lo ha detto il presidente francese, Francois Hollande, in conferenza stampa a Parigi. La decisione della Banca centrale europea di bloccare i rifinanziamenti ordinari alle banche greche “è legittima”. Per il capo dello Stato, la mossa di Eurotower “induce greci ed europei a mettersi intorno a un tavolo”.

Ue: Grecia, incertezza politica può rallentare ripresa – “L’incertezza della direzione delle politiche sta colpendo la fiducia e può danneggiare la velocità della ripresa” in Grecia. Così le previsioni economiche d’inverno della Commissione Ue, che danno il Pil della Grecia al 2,5% per il 2015 dopo l’1% del 2014. (Ansa)

Ncd, è Tonino Gentile il gran regista del voto a Mattarella

Raffaele Porrisini per Italia Oggi

E’ stato sottosegretario alle Infrastrutture del Governo Renzi fino a poco più di un anno fa, quando venne indotto a dimettersi per l’accusa di pressioni sull’editore del quotidiano l’Ora della Calabria per fermare la notizia di un’indagine a carico del figlio.

Ne seguì una bufera mediatica, presto dimenticata anche perché poi quel giornale ha chiuso i battenti. Adesso che sulla carta parrebbe soltanto un semplice senatore dell’Ncd confluito in Area Popolare, in realtà è tra i principali ispiratori della strategia di Angelino Alfano di votare al quarto scrutinio, dopo le tre schede bianche, per Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, piegandosi così ai voleri del premier Matteo Renzi.

Stiamo parlando di Antonio Gentile detto Tonino, coordinatore degli alfaniani in Calabria ma soprattutto ideatore della linea centrista volta a mantenere ben saldo l’asse col Pd. Con buona pace del ministro Maurizio Lupi e della portavoce alla Camera, Nunzia De Girolamo, che parlano invece di una ricostruzione del centrodestra.

Tonino Gentile
GRAN REGISTA il senatore cosentino Tonino Gentile. Presto al Governo?

L’idea di mollare al suo destino Forza Italia a Tonino Gentile era venuta già da qualche tempo. Alle elezioni calabresi di fine novembre, ad esempio, è stato lui – insieme al coordinatore regionale dell’Udc Gino Trematerra – a bussare alla porta del Pd per un’alleanza, salvo poi ritrovarsi con un due di picche in mano rifilato da Mario Oliverio.

Il senatore Ncd non ne ha fatto un dramma, ha messo in piedi la sua ben oliata macchina elettorale ed è riuscito a tenere a galla l’alleanza centrista portando il suo candidato presidente (il senatore Nino D’Ascola) a un ragguardevole 8,70%. Il dazio pagato per quest’avventura solitaria è stata l’uscita dal partito dell’ex governatore calabrese Giuseppe Scopelliti, che non ne ha voluto sapere di rompere con Fi.

Non bastasse, Tonino Gentile è pure riuscito a piazzare il fratello ed ex assessore regionale Giuseppe Gentile, per tutti Pino, sull’ambita poltrona di vicepresidente del consiglio regionale grazie anche al centrosinistra.

Il nuovo capo dello Stato Sergio Mattarella subito dopo la sua elezione il 31-1-2015
Il nuovo capo dello Stato Sergio Mattarella subito dopo la sua elezione il 31-1-2015

Forte di questo pedigree, s’è messo alla guida della fronda filogovernativa dentro Ncd, portando sulla sua linea lo stesso Alfano, forte del controllo di una decina di senatori decisivi per la tenuta del governo Renzi «Abbiamo fatto moral suasion all’interno del partito», ha infatti rivendicato, «perché sarebbe stato poco comprensibile non eleggere un presidente come Mattarella».

E ancora: «Il clima di eccezionalità politica che è iniziato nel 2013 deve essere portato a compimento con le riforme costituzionali». «Siamo fieri», ha aggiunto, «come parlamentari di Ncd di avere contribuito a rendere chiara la linea del partito».

Chi però non l’ha condivisa s’è dovuto fare da parte da parte; è il caso di Maurizio Sacconi, dimessosi da capogruppo a Palazzo Madama dopo che il gruppo guidato da Gentile aveva incontrato il ministro Maria Elena Boschi (il Corriere della Sera li ha chiamati «11 apostoli») per poi chiedere ufficialmente ad Alfano di sostenere Mattarella.

Tuttavia, nel caso non fosse più la sua strategia a prevalere, Gentile potrebbe essere pronto a portare fuori dall’Ncd i suoi senatori e fare da stampella al governo Renzi. Il quotidiano di via Solferino li chiama già «i nuovi responsabili».

Fitto fa saltare il patto. Fi al Pd: “Traditori”. I Dem: “Meglio cosi”

Non ci sta, Raffaele Fitto, a questa lunga agonia di Forza Italia. Una settimana si e l’altra pure cerca di spronare i vertici dall’immobilisimo e da “clamorosi errori” nella gestione del partito. Lo fa da quando Berlusconi salì le scale della sede del Pd per sancire, col patto del Nazareno, la “morte” di Forza Italia. Mai ascoltato, anzi ha subito la lapidazione interna e rischiato l’espulsione.

Alla fine lo fa saltare, il patto, “dopo l’evidenza dei fatti” di cui i dirigenti Fi hanno “finalmente preso atto” con dichiarazione inpensabili fino a venerdì scorso. Rotto, archiviato. Il Pd, dal canto suo, non esterna preoccupazione: “Meglio così”, ribatte.

Lui, il dissidente del Sud, assume ora un ruolo centrale nel partito di Berlusconi. Viene premiato, non dai suoi, ma dal suo impegno controcorrente rispetto all’unanimismo che ha caratterizzato Fi. E ancora una volta affonda sulla dirigenza e sull’assenza di democrazia e confronto.

Azzerare tutto
“Ancora una volta – ha detto Fitto in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati – mi trovo a ribadire la necessità di un azzeramento totale degli organismi di partito.

Raffaele Fitto
Raffaele Fitto

Dopo quanto accaduto negli ultimi giorni, Forza Italia ha bisogno di questa mossa per aprire un confronto democratico sulla linea politica e sulla legittimazione dei quadri dirigenti del partito, sulla linea politica e sul suo assetto”.

Basta derogare. Basta ipocrisie
“Si tratta – spiega il dissidente azzurro – di aspetti sui quali non possiamo derogare, una svolta che è necessaria dopo gli errori clamorosi degli ultimi tempi e che noi chiediamo con forza, restando all’interno del partito: se questo confronto non si aprirà, lo faremo noi andando in giro per il Paese”.

Operazione verità
Con la conferenza stampa di oggi, abbiamo voluto mettere in atto una vera e propria operazione verità. E’ indispensabile uscire da una condizione ipocrisia e dire con chiarezza le cose come stanno: siamo in una palude e l’obiettivo è uscirne. Non si può essere uomini di tutte le stagioni”. “Non si può più fare finta di nulla, i risultati sotto gli occhi di tutti sia per quanto riguarda la gestione politica degli ultimi mesi sia per quanto riguarda la gestione del partito e dire “l’avevamo detto” è solo una magra consolazione”.

Insomma, per Fitto serve una vera svolta attraverso un meccanismo democratico. “Se con un congresso o con le primarie, ne discuteremo” purché “diciamo basta al patto del Nazareno”. Che il dissenso interno fosse vivo e in lotta, lo si era capito proprio durante l’elezione di Mattarella dove, una quarantina di voti mancanti sarebbero ascrivibili proprio ai dissidenti di Forza Italia.

Fine del patto del Nazareno
Berlusconi riunisce l’ufficio di presidenza e si rammarica per la conferenza stampa convocata da Fitto in concomitanza con la riunione a palazzo Grazioli convocata dell’eurodeputato “capo” dei frondisti anti-Nazareno.

Liberi di valutare di volta in volta
Ma alla fine della giostra le dimissioni annunciate dai dirigenti vengono respinte e, dando ragione a Fitto, il patto fra Renzi e Berlusconi viene “annullato”. Nella nota diramata al termine dell’Ufficio di presidenza si legge che Forza Italia “sarà libera di valutare quanto proposto di volta in volta, senza alcun vincolo politico derivante dagli accordi che hanno fin qui guidato, nello spirito e negli obiettivi, un percorso comune e condiviso che oggi è stato fatto venir meno dalla nostra controparte”.

Il Mattinale di Fi: “Ci avete tradito”
“Il cosiddetto Patto del Nazareno finisce qui – conferma Il Mattinale di Renato Brunetta. Prendiamo atto della rottura degli accordi e del tradimento della nostra buona fede da parte del presidente Renzi”. In sostanza gli azzurri denunciano “il metodo scelto dal Partito Democratico per arrivare alla designazione del candidato presidente, Sergio Mattarella. 

Lotti Luca
Lotti Luca (Olycom)

Le critiche al metodo per la scelta di Mattarella
“La stima e il rispetto, umano e politico, per la persona designata – si legge ancora nella nota forzista – non possono farci velo nel giudicare inaccettabili le modalità adottate nella trattativa tra le forze politiche dal partito di maggioranza relativa”. Infine arriva il mandato ai gruppi parlamentari di valutare come attuare quanto deliberato dall’ufficio di presidenza.

Le reazioni del Pd
Le reazioni non si son fatte attendere. Il ministro Maria Elena Boschi interviene per dire che “abbiamo una maggioranza ampia alla Camera. Andiamo avanti. Se ci ripensano, siamo qui”, afferma con tono glaciale. “Noi andiamo avanti sulle riforme. La prossima settimana si voterà da martedì a sabato”. 

“Contenti loro, contenti tutti. Ognuno per la sua strada, è meglio per tutti. Per noi, sicuramente”, sottolinea il colonello renziano Luca Lotti, mentre il deputato e membro della segreteria Dem, Ernesto Carbone affida a Twitter il suo pensiero: “Non è morto il patto del Nazareno, è morta Forza Italia”.

Forza Italia ribatte: “Pd arrogante”
“Oggi si è compiuto un grosso passo in avanti verso il necessario chiarimento politico soprattutto con i nostri elettori. Del resto, la reazione arrogante al documento approvato dal Comitato di Presidenza di Forza Italia da parte di alcuni esponenti fidati di Renzi dimostra che abbiamo colpito nel segno e che questa è la direzione giusta”, ha dichiarato il senatore azzurro, Altero Matteoli.

“Il segretario del Pd – aggiunge l’ex ministro berlusconiano – contravvenendo con la designazione unilaterale del nuovo Capo dello Stato agli accordi intervenuti con il famoso Patto del Nazareno, così preferendo agli interessi generali quelli del suo partito, si è assunto una grave responsabilità politica.

Diversamente, Forza Italia a quegli accordi si era attenuta fino al 29 gennaio scorso nonostante che essi non collimassero pienamente con i suoi interessi. In politica, come in fisica – osserva – ad un’azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Credo – conclude Matteoli – che la nostra sia legittima, corretta e giusta”.

Il discorso di Mattarella oltre il grigio

Presidente Sergio Mattarella alla Camera durante il giuramento
Il Presidente Sergio Mattarella durante il suo discorso alle Camere in seduta comune. (Ansa/Lami)

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica

Rivolgo un saluto rispettoso a questa assemblea, ai parlamentari che interpretano la sovranità del nostro popolo e le danno voce e alle Regioni qui rappresentate.
Ringrazio la Presidente Laura Boldrini e la Vice Presidente Valeria Fedeli. Ringrazio tutti coloro che hanno preso parte al voto. Un pensiero deferente ai miei predecessori, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, che hanno svolto la loro funzione con impegno e dedizione esemplari.

A loro va l’affettuosa riconoscenza degli italiani. Al Presidente Napolitano che, in un momento difficile, ha accettato l’onere di un secondo mandato, un ringraziamento particolarmente intenso. Rendo omaggio alla Corte Costituzionale organo di alta garanzia a tutela della nostra Carta fondamentale, al Consiglio Superiore della magistratura presidio dell’indipendenza e a tutte le magistrature.

Avverto pienamente la responsabilità del compito che mi è stato affidato. La responsabilità di rappresentare l’unità nazionale innanzitutto. L’unità che lega indissolubilmente i nostri territori, dal Nord al Mezzogiorno. Ma anche l’unità costituita dall’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini. Questa unità, rischia di essere difficile, fragile, lontana.

L’impegno di tutti deve essere rivolto a superare le difficoltà degli italiani e a realizzare le loro speranze. La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese e ha messo a dura prova la tenuta del suo sistema produttivo. Ha aumentato le ingiustizie.

Ha generato nuove povertà. Ha prodotto emarginazione e solitudine. Le angosce si annidano in tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi. Il lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel Mezzogiorno, la perdita di occupazione, l’esclusione, le difficoltà che si incontrano nel garantire diritti e servizi sociali fondamentali. Sono questi i punti dell’agenda esigente su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo. Dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione.

Per uscire dalla crisi, che ha fiaccato in modo grave l’economia nazionale e quella europea, va alimentata l’inversione del ciclo economico, da lungo tempo attesa. E’indispensabile che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo. Nel corso del semestre di Presidenza dell’Unione europea appena conclusosi, il Governo – cui rivolgo un saluto e un augurio di buon lavoro – ha opportunamente perseguito questa strategia.

Sussiste oggi l’esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza. L’urgenza di riforme istituzionali, economiche e sociali deriva dal dovere di dare risposte efficaci alla nostra comunità, risposte adeguate alle sfide che abbiamo di fronte.

(In questa parte piuttosto scontata del discorso, Mattarella comincia a ripetere le tematiche della prima parte della Costituzione, la parte cosiddetta “programmatica”, piena anche di affermazioni apodittiche, per trarne però la conseguenza che, per realizzare quei diritti bisogna riformare profondamente la parte operativa della Costituzione, quella che definisce le funzioni degli organismi pubblici, che è diventata una camicia di forza che impedisce di dispiegare le energie del paese, cui fa riferimento subito dopo).

Esistono nel nostro Paese energie che attendono soltanto di trovare modo di esprimersi compiutamente. Penso ai giovani che coltivano i propri talenti e che vorrebbero vedere riconosciuto il merito. Penso alle imprese, piccole medie e grandi che, tra rilevanti difficoltà, trovano il coraggio di continuare a innovare e a competere sui mercati internazionali.

Penso alla Pubblica amministrazione che possiede competenze di valore ma che deve declinare i princìpi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alle sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicità degli adempimenti, coerenza nelle decisioni. Non servono generiche esortazioni a guardare al futuro ma piuttosto la tenace mobilitazione di tutte le risorse della società italiana.

Parlare di unità nazionale significa, allora, ridare al Paese un orizzonte di speranza. Perché questa speranza non rimanga un’evocazione astratta, occorre ricostruire quei legami che tengono insieme la società. A questa azione sono chiamate tutte le forze vive delle nostre comunità in Patria come all’estero. Ai connazionali nel mondo va il mio saluto affettuoso. Un pensiero di amicizia rivolgo alle numerose comunità straniere presenti nel nostro Paese.

La strada maestra di un Paese unito è quella che indica la nostra Costituzione, quando sottolinea il ruolo delle formazioni sociali, corollario di una piena partecipazione alla vita pubblica. La crisi di rappresentanza ha reso deboli o inefficaci gli strumenti tradizionali della partecipazione, mentre dalla società emergono, con forza, nuove modalità di espressione che hanno già prodotto risultati avvertibili nella politica e nei suoi soggetti.

(Qui si riprende la tesi, cara alla dottrina sociale della chiesa, della funzione dei corpi intermedi, cioè delle rappresentanze sociali e territoriali o associative parziali, delle quali però si riconosce la profonda crisi, particolarmente evidente nel campo più numeroso, quello delle organizzazioni sindacali. L’accenno alle “nuove modalità di espressione” probabilmente rappresenta un riconoscimento del sistema delle primarie, che però riguarda per ora solo i partiti, per meglio dire solo un partito. E’difficile pensare che ci sia anche un riferimento al sistema decisionale informatico dei grillini, che è effettivamente il più innovativo ma che confligge nel modo più netto con tutte le esperienze del cattolicesimo democratico che sono il retroterra fondamentale del pensiero del presidente. D’altra parte al riconoscimento positivo del ringiovanimento della rappresentanza parlamentare, che è effetto più della selezione grillina che delle primarie democratiche, aggiunge immediatamente una serie di ammonimenti sulla rappresentatività nazionale degli eletti che, portata all’estremo, diventa una giustificazione o addirittura una sollecitazione di comportamenti parlamentari che rifiutano la disciplina di partito fino ai fenomeni di secessione).

Questo stesso Parlamento presenta elementi di novità e di cambiamento. La più alta percentuale di donne e tanti giovani parlamentari. Un risultato prezioso che troppe volte la politica stessa finisce per oscurare dietro polemiche e conflitti. I giovani parlamentari portano in queste aule le speranze e le attese dei propri coetanei.
Rappresentano anche, con la capacità di critica, e persino di indignazione, la voglia di cambiare.

A loro, in particolare, chiedo di dare un contributo positivo al nostro essere davvero comunità nazionale, non dimenticando mai l’essenza del mandato parlamentare. L’idea, cioé, che in queste aule non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell’intero popolo italiano e, tutti insieme, al servizio del Paese. Tutti sono chiamati ad assumere per intero questa responsabilità.

Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti. E’necessario ricollegare a esse quei tanti nostri concittadini che le avvertono lontane ed estranee. La democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mutamento dei tempi. E’significativo che il mio giuramento sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un’ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione.

Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che competono al Parlamento, nella sua sovranità, desidero esprimere l’auspicio che questo percorso sia portato a compimento con l’obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia. Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico.

Vi è anche la necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo, bilanciando l’esigenza di governo con il rispetto delle garanzie procedurali di una corretta dialettica parlamentare. Come è stato più volte sollecitato dal Presidente Napolitano, un’altra priorità è costituita dall’approvazione di una nuova legge elettorale, tema sul quale è impegnato il Parlamento.

(Mattarella in sostanza preme per la approvazione rapida delle riforme costituzionali e di quella elettorale, il che rappresenta un incoraggiamento importante per Matteo Renzi e per la logica del Nazareno, e sembra smentire le previsioni di chi lo associava al fronte del rifiuto dei costituzionalisti conservatori, ma dà una bacchettata robusta al governo, e in realtà anche a Giorgio Napolitano, nonostante la citazione positiva dei suoi ammonimenti, sulla questione delle garanzie procedurali del processo legislativo, cioè in pratica critica l’abuso di decretazione e la prassi di scavalcamento degli emendamenti con la prassi del “canguro”, forse in una ricerca di benevolenza da parte delle opposizioni, soprattutto di quelle che osteggiano anche le riforme istituzionali. Lo dice come premessa all’impegno ovvio a esercitare il proprio potere in modo imparziale, accompagnato dalla richiesta, espressa in forma spiritosa, di correttezza da parte degli attori politici, cioè, in sostanza di ridurre o addirittura di evitare le pratiche ostruzionistiche).

Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione. E’una immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza. Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione. La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione.

Nel viverla giorno per giorno. Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro. Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro. Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza, anche utiliz zando le nuove tecnologie e superando il divario digitale. Significa amare i nostri tesori ambientali e artistici.

Significa ripudiare la guerra e promuovere la pace. Significa garantire i diritti dei malati. Significa che ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale. Significa che si possa ottenere giustizia in tempi rapidi. Significa fare in modo che le donne non debbano avere paura di violenze e discriminazioni. Significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità. Significa sostenere la famiglia, risorsa della società.

Significa garantire l’autonomia e il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia. Significa ricordare la Resistenza e il sacrificio di tanti che settanta anni fa liberarono l’Italia dal nazifascismo. Significa libertà. Libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva.

(Questa lunga elencazione dei diritti affermati, com’è noto in forma programmatica, cioè in sostanza retorica, dalla Costituzione, avrebbe potuto essere ancora più lunga. Si può osservare che tra i valori e i diritti rammentati ne spiccano alcuni oggi controversi, quello che rivendica il diritto a “ottenere giustizia in tempi rapidi” e i temi legati alle questioni eticamente sensibili, che il presidente ha giustapposto, chiedendo di “sostenere la famiglia, risorsa della società” e insieme di promuovere il “pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva”. L’equilibrio tra queste esigenze, che le posizioni più fondamentaliste tendono a contrapporre invece che a comporre, sarà uno dei temi più complessi dell’agenda politica e con queste parole Mattarella sembra porsi l’obiettivo di sottrarle al clima sterilmente polemico del passato, ma naturalmente tutto dipende dal modo concreto con cui saranno affrontati i nodi legislativi).

Garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità. La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute. La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile. Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini. Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato. Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci.

L’attuale Pontefice, Francesco, che ringrazio per il messaggio di auguri che ha voluto inviarmi, ha usato parole severe contro i corrotti: “Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini”. E’allarmante la diffusione delle mafie, antiche e nuove, anche in aree geografiche storicamente immuni. Un cancro pervasivo, che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti.

Dobbiamo incoraggiare l’azione determinata della magistratura e delle forze dell’ordine che, spesso a rischio della vita, si battono per contrastare la criminalità organizzata. Nella lotta alle mafie abbiamo avuto molti eroi. Penso tra gli altri a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. E una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere.

Altri rischi minacciano la nostra convivenza. Il terrorismo internazionale ha lanciato la sua sfida sanguinosa, seminando lutti e tragedie in ogni parte del mondo e facendo vittime innocenti. Siamo inorriditi dalle barbare decapitazioni di ostaggi, dalle guerre e dagli eccidi in Medio Oriente e in Africa, fino ai tragici fatti di Parigi.

Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano.

(Mentre la perorazione contro la corruzione e la criminalità organizzata non esce dagli schemi, anche se naturalmente sull’ultima si riverbera la tragica esperienza famigliare vissuta dal presidente, il modo in cui viene trattata la questione del terrorismo internazionale presenta elementi di interesse. Intanto si indica con chiarezza il problema dell’utilizzo della fede religiosa come matrice impropria ma diffusa del terrorismo islamico, si sottolinea la necessità di difendere la comunità ebraica più esposta a questo pericolo, il che è lodevole, c’è una succinta ma convincente descrizione del carattere globale della sfida per la libertà e dei problemi di convergenza operativa tra gli stati che intendono unirsi nella lotta al terrore. Pare che l’esperienza concreta dell’ex ministro della Difesa a sostegno della sicurezza prevalga sulle problematiche del giurista a difesa delle garanzie individuali).

La pratica della violenza in nome della religione sembrava un capitolo da tempo chiuso dalla storia. Va condannato e combattuto chi strumentalizza a fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa. Considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore.

La minaccia è molto più profonda e più vasta. L’attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza. Per minacce globali servono risposte globali. Un fenomeno così grave non si può combattere rinchiudendosi nel fortino degli Stati nazionali. I predicatori d’odio e coloro che reclutano assassini utilizzano internet e i mezzi di comunicazione più sofisticati, che sfuggono, per la loro stessa natura, a una dimensione territoriale.

La comunità internazionale deve mettere in campo tutte le sue risorse. Nel salutare il Corpo Diplomatico accreditato presso la Repubblica, esprimo un auspicio di intensa collaborazione anche in questa direzione. La lotta al terrorismo va condotta con fermezza, intelligenza, capacità di discernimento.

Una lotta impegnativa che non può prescindere dalla sicurezza: lo Stato deve assicurare il diritto dei cittadini a una vita serena e libera dalla paura. Il sentimento della speranza ha caratterizzato l’Europa nel dopoguerra e alla caduta del Muro di Berlino. Speranza di libertà e di ripresa dopo la guerra, speranza di affermazione di valori di democrazia dopo il 1989.

Nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità; un approdo sicuro ma soprattutto un luogo da cui ripartire per vincere le sfide globali. L’Unione europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza e la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio. L’affermazione dei diritti di cittadinanza rappresenta il consolidamento del grande spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.

Le guerre, gli attentati, le persecuzioni politiche, etniche e religiose, la miseria e le carestie generano ingenti masse di profughi. Milioni di individui e famiglie in fuga dalle proprie case che cercano salvezza e futuro proprio nell’Europa del diritto e della democrazia. E’questa un’emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l’Unione europea più attenta, impegnata e solidale. L’Italia ha fatto e sta facendo bene la sua parte e siamo grati a tutti i nostri operatori, ai vari livelli, per l’impegno generoso con cui fronteggiano questo drammatico esodo.

(L’atteggiamento sull’Europa appare piuttosto apodittico, l’affermazione che “nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità” sembra una replica fin troppo esplicita alle critiche sul commissaria mento subìto o almeno sul carattere asimmetrico della interdipendenza in ambito europeo. Mattarella però usa questa affermazione iniziale come base per criticare implicitamente l’insufficienza dell’impegno europeo sia nella gestione dei flussi di immigrazione clandestina verso l’Italia, sia nella vicenda dei Marò detenuti in India. Si può notare una forma circolare nel ragionamento del presidente che si ripete più volte in campi diversi: loda in modo quasi esasperato la prima parte della Costituzione per giustificare l’esigenza di modificare radialmente la seconda, appoggia il progetto riformista del Nazareno che conferisce maggiore potere e stabilità all’esecutivo per criticare gli eccessi nello scavalcamento delle procedure legislative, nega la guerra di civiltà per chie dere un serrate le file dell’occidente nella lotta al terrorismo, per finire appunto con l’esaltazione del disegno europeo per poi criticare l’assenza di unità politica e di solidarietà concreta. Si vedrà se si tratta solo di una sorta di vezzo retorico occasionale o di una più profonda eredità del metodo di ragionamento moroteo, con i suoi caratteri di profondità ma anche di oscurità contraddittoria).

A livello internazionale la meritoria e indispensabile azione di mantenimento della pace, che vede impegnati i nostri militari in tante missioni, deve essere consolidata con un’azione di ricostruzione politica, economica, sociale e culturale, senza la quale ogni sforzo è destinato a vanificarsi.

Alle Forze Armate, sempre più strumento di pace ed elemento essenziale della nostra politica estera e di sicurezza, rivolgo un sincero ringraziamento, ricordando quanti hanno perduto la loro vita nell’assolvimento del proprio dovere. Occorre continuare a dispiegare il massimo impegno affinché la delicata vicenda dei due nostri fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trovi al più presto una conclusione positiva, con il loro definitivo ritorno in Patria. Desidero rivolgere un pensiero ai civili impegnati, in zone spesso rischiose, nella preziosa opera di cooperazione e di aiuto allo sviluppo.

Di tre italiani, padre Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli non si hanno notizie in terre difficili e martoriate. A loro e ai loro familiari va la solidarietà e la vicinanza di tutto il popolo italiano, insieme all’augurio di fare presto ritorno nelle loro case.

Onorevoli Parlamentari, Signori Delegati, per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo. Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi.

I volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà, il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti. Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto.

Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi. Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri. Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto. Storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose.
Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace.
Viva la Repubblica, viva l’Italia!
(Corsivi al discorso di Mattarella a cura di Sergio Soave per “Il Foglio“)

A Mattarella tanti applausi. Erano tutti sinceri?

Mattarella è presidente. Festeggiano tra i banchi del Pd. Al centro Guerini e Speranza esultano
Mattarella è presidente. Festeggiano tra i banchi del Pd. Al centro Guerini e Speranza esultano

Massimo Franco per il Corriere della Sera

Pensare che da domani l’Italia si adeguerà allo stile e ai valori indicati da Sergio Mattarella nel suo discorso di investitura davanti al Parlamento sarebbe ingenuo, se non velleitario.

Sarebbe ancora più miope, però, sottovalutare il cambio di fase che l’arrivo del nuovo capo dello Stato segna non solo nel mondo della politica ma anche nel rapporto tra istituzioni e società italiana. Ieri mattina, il successore di Giorgio Napolitano ha indicato una serie di obiettivi non subordinati ai tempi stretti, all’urgenza di decisioni affidate spesso alla velocità, ai blitz spiazzanti: tanto abili quanto, a volte, pagati con strappi e lacerazioni.

Quelli spettano ad altri, e riflettono il passo e le caratteristiche di poteri che hanno logiche e obiettivi diversi da perseguire. Mattarella ragiona sulla distanza di sette anni. E probabilmente sa bene che i frutti della sua semina, se riuscirà, arriveranno soltanto sul periodo medio e lungo.

Nell’immediato, si intuisce da parte della classe politica una sorta di istintiva continuità nei comportamenti, nel linguaggio, nello stile: quasi l’elezione fosse una parentesi virtuosa e felice, aperta e chiusa senza pensare troppo al suo significato. Forse anche per questo sembrano diventati tutti, a parole, «mattarelliani».

Massimo Franco, columnist del Corsera
Massimo Franco, columnist del Corsera

La rivendicazione di imparzialità del presidente della Repubblica non è un’affermazione di rito. Impressionano gli applausi arrivati da gran parte dei parlamentari del Movimento 5 Stelle e dalle file di Forza Italia, oltre che dal Pd. Dicono che in quell’ex giudice costituzionale planato sul Parlamento come uno sconosciuto, per molti quasi un marziano, gran parte degli avversari vedono un interlocutore.

Di più: un sincero rammendatore non tanto della politica ma di un’Italia divisa e logorata, che negli ultimi anni si è come rassegnata a tirare fuori il peggio da ciascuno; e che adesso si ritrova stanca di conflitti artificiosi, e ansiosa di ricominciare.

L’elezione di Mattarella chiude due ferite. Quella del Pd che meno di due anni fa aveva bruciato la candidatura di Romano Prodi, e prima di Franco Marini; e in parallelo quella delle dimissioni anticipate di Napolitano, uscito di scena anche perché non sentiva più intorno a sé l’appoggio che gli era stato garantito al momento della conferma. Va detto: se c’é Mattarella è perché c’é stato Napolitano, non a caso citato e ringraziato.

Il concetto di imparzialità contiene un secondo sottinteso, del quale presto si vedranno gli effetti: il Quirinale si ergerà a garante anche di quanti negli ultimi anni non si sono riconosciuti nelle istituzioni, sentendosi esclusi.

La scommessa di Sergio Mattarella è questa: rassicurare e ricucire socialmente l’Italia, riavvicinare le generazioni, le aree del Paese, le diverse culture, e offrire un impasto solido di memoria storica e di valori condivisi, ancorati ad una visione rigorosa della legalità: quelli che la Seconda Repubblica non è riuscita a cementare.

Il suo stile sobrio, la semplicità, l’assenza di gestualità ne fanno una sorta di presidente «radiofonico», più che televisivo. Non un brillante arringatore di folle, ma un uomo riflessivo, lievemente autoironico, che tende a mangiarsi le parole eppure le sa scegliere con parsimoniosa precisione.
Non sa comunicare, si dice. Ottimo: di grandi comunicatori l’Italia ne ha anche troppi.

Sergio Mattarella: "Priorità lotta alla mafia e alla corruzione"

Presidente Sergio Mattarella alla Camera durante il giuramento
Il presidente Sergio Mattarella alla Camera durante il giuramento (Ansa/Lami)

Con la consueta formula prevista dalla carta costituzionale, il neo presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha giurato fedeltà alla Repubblica e lealtà alla Costituzione. Accolto a Montecitorio dai vertici di Camera e Senato, Mattarella ha rivolto il suo discorso alle Camere. Tono pacato e molta emozione, il capo dello Stato ha fatto un forte richiamo all’unità nazionale, alla necessità di proseguire nel solco delle riforme istituzionali ma anche di quelle economiche.

Ma anche lotta al terrorismo, alla mafia e alla corruzione. La corruzione, ha detto, “ha raggiunto un livello inaccettabile sottraendo risorse ai cittadini” e c’è una “allarmante diffusione della mafia, un “cancro pervasivo che distrugge le speranze”. E si commuove quando cita “”gli eroi” Falcone e Borsellino trucidati da Cosa Nostra che, qualche prima gli avevano ucciso anche il fratello Piersanti davanti ai suoi occhi.

Un discorso di circa mezz’ora sottolineato da oltre 40 applausi e dell’Aula della Camera e nel quale si è registrato anche un piccolo imprevisto, quando ha saltato una pagina del suo discorso, subito si è scusato con un sorriso: “Avrei saltato un passaggio importante…”, ha detto agli oltre mille “delegati” assorti ad ascoltare il successore di Napolitano.

Sergio Mattarella
Mattarella riceve l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce dal presidente emerito Napolitano (Ansa)

Mattarella ha richiamato i valori della Resistenza e ringraziato le Forze dell’Ordine per il lavoro che stanno compiendo. Un pensiero è andato anche ai due marò, sulla cui vicenda Mattarella ha auspicato una “definitiva soluzione positiva”.

Avanti su riforme e legge elettorale – “Auspico – ha sottolineato – che il percorso delle riforme si porti a compimento” con l’obiettivo di “rendere più adeguata la nostra democrazia”. Il presidente ha assicurato di voler ricoprire il suo ruolo con terzieta: “L’arbitro sarà imparziale – ha evidenziato – ma i giocatori lo aiutino con la loro correttezza“. Come più volte sollelcitato dal presidente Napolitano, ha evidenziato ancora, un’altra priorità è costituita dall’approvazione di una nuova legge elettorale, tema sul quale è impegnato il Parlamento”.

New Italian President Sergio Mattarella arrives at Quirinale palaceAttenzione delle istituzioni al disagio sociale – Quelli economici – ha evidenziato – sono “punti di un’agenda esigente, su cui viene misurata la distanza tra istituzioni e popolo. Dobbiamo scongiurare il rischio che la crisi intacchi il patto sociale sancito dalla Costituzione”. In più passaggi del suo intervento, il presidente ha sottolineato la necessità di ridare speranza al Paese. Bisogna – ha detto – “dare al Paese un orizzonte di speranza che non deve essere un orizzonte astratto”. E ha invitato, in questo senso, anche a una tenace mobilitazione di tutte le forze della società italiana.

Un Parlamento di donne e giovani – Il presidente ha sottolineato come un “elemanto di novità e cambiamento” la presenza di molti giovani e donne in Parlamento, un “risultato prezioso” che, però, ha sottolineato “la politica stessa a volte finisce per oscurare dietro alle polemiche”. Mattarella ha ricordato che “i giovani parlamentari sono la speranza dei loro coetanei“.

Sergio Mattarella
Sergio Mattarella insieme a Matteo Renzi dopo la visita all’Altare della Patria (Ansa)

Diritto allo studio – Il Presidente della Repubblica – ha detto Mattarella – è garante della Costituzione. La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno. Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro.

Uniti contro il terrorismo internazionale – Contro le minacce globali “servono risposte globali”, non ci si può chiudere dentro al proprio fortino. Lo Stato deve “assicurare ai cittadini il diritto a una vita serena”

Mattarella lascia Altare Patria sale su Lancia FlaminiaL’Unione Europea sostenga l’Italia sull’immigrazione – Milioni di individui e famiglie in fuga dalle proprie case che cercano salvezza e futuro proprio nell’Europa del diritto e della democrazia. E’ questa un’emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l’Unione Europea più attenta, impegnata e solidale. L’Italia ha fatto e sta facendo bene la sua parte e siamo grati a tutti i nostri operatori, ai vari livelli, per l’impegno generoso con cui fronteggiano questo drammatico esodo.

Istituzioni rispecchino il volto dei cittadini –  Mi auguro – ha detto Mattarella – che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi. i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti.

Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto. Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi. il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri.
Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie.

“Mi impegno a confermare il patto Costituzionale – ha ancora detto il capo dello Stato – che ha mantenuto il paese unito e riconosce i diritti costituzionali e il patto di unità sociale che impegna a rimuovere gli ostacoli che limitano le libertà e l’uguaglianza”.

MATTARELLA FRECCE TRICOLOREL’auspicio di Mattarella è il “consolidamento finanziario” che deve essere accompagnata “da una robusta iniziativa di crescita da alimentare a livello europeo. Il governo ha opportunamente perseguito questa strategia”.

“I cittadini chiedono trasparenza e coerenza nelle decisioni”, giacché “la democrazia non è una conquista definitiva”.

“Siamo tutti chiamati ad assumere la responsabilità primaria di riaccostare gli italiani alle istituzioni. Bisogna intendere la politica come bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti. E’ necessario ricollegare le istituzioni a quei cittadini che le sentono estranee”.

“Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del Capo dello Stato bel ruoo di un arbitro, del garante della Costituzione. E’ un’immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere e sarà imparziale. La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste nella sua applicazione, nel viverla giorno per giorno”, ha concluso Mattarella prima di concedarsi agli onori che tutti gli apparati dello Stato gli hanno tributato.  Insieme a lui il premier Matteo Renzi.

Domani è il Mattarella Day. Alle 10 il giuramento e poi al Colle

Incontro tra Sergio Mattarella e Giorgio Napolitano
Incontro tra Sergio Mattarella e Giorgio Napolitano

Campane a festa, salve di cannone, tutti gli onori militari: il giuramento del presidente della Repubblica, domani alle 10 nell’Aula di Montecitorio, è una vera e propria “liturgia” repubblicana. Ecco come si svolge, passo passo, questo rituale che va in scena per la tredicesima volta nella storia della Repubblica.

9.30: PRESIDENTE PARTE DA CASA. Il presidente della Repubblica viene prelevato dalla sua abitazione (in questo caso la foresteria della Corte costituzionale) dal segretario generale della Camera, Lucia Pagano, e accompagnato a Montecitorio a bordo di un’auto della presidenza della Repubblica scortata dai Carabinieri motociclisti.

9.30: SUONA LA CAMPANA DI MONTECITORIO. La partenza del presidente dalla sua residenza è segnata dalla campana maggiore di Montecitorio, che suona ininterrottamente fino al suo arrivo alla Camera.

9.40: L’ARRIVO ALLA CAMERA. Il capo dello Stato viene ricevuto dai presidenti di Camera e Senato e riceve nell’atrio gli onori militari da un reparto di Carabinieri in alta uniforme. Da lì, dopo un breve passaggio nella sala dei ministri lungo un percorso “punteggiato” da assistenti parlamentari in uniforme di gala, si dirige in Aula, ornata con 21 bandiere e drappi rossi. In Aula ci sono deputati e senatori, nelle tribune i delegati delle Regioni, i rappresentanti del corpo diplomatico e gli ospiti d’onore.

10: GIURAMENTO, SI SPARANO 21 SALVE DI CANNONE. Aperta la seduta, il Capo dello Stato si alza in piedi e pronuncia la formula del giuramento: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione”. In quel momento vengono sparate 21 salve di cannone e la campana di Montecitorio torna a suonare.

10.05: IL MESSAGGIO ALLE CAMERE. Il presidente della Camera cede il suo posto al centro del banco al nuovo presidente della Repubblica e invita i grandi elettori a sedersi; dopo di che il capo dello Stato rivolge il suo messaggio alla Nazione.

Sergio Mattarella in visita da Napolitano
Sergio Mattarella in visita da Napolitano

10.30: LASCIA L’AULA. Al termine del messaggio, la seduta del Parlamento in seduta comune viene chiusa ed il capo dello Stato, accompagnato dai presidenti di Camera e Senato e dai rispettivi segretari generali, lascia l’emiciclo raggiungendo l’atrio di Montecitorio, dove viene accolto dal presidente del Consiglio. Poi riceve il saluto del segretario generale del Quirinale, mentre un reparto di corazzieri in alta uniforme gli rende gli onori. Esce da Montecitorio e nella piazza ascolta l’Inno nazionale e passa in rassegna il reparto d’onore schierato con bandiera e banda.

10.45: L’OMAGGIO AL VITTORIANO. Il capo dello Stato viene accompagnato dal presidente del Consiglio e dal segretario generale del Quirinale all’Altare della Patria dove rende omaggio al Milite ignoto.

10.50: VERSO IL QUIRINALE. Quindi, scortato dai Corazzieri a cavallo e dai motociclisti, Mattarella sale al Quirinale lasciando Piazza Venezia e attraversando Via Cesare Battisti e via IV Novembre a bordo della Lancia Flaminia 335, l’auto decappottabile a sette posti, che per tradizione viene usata solo in due occasioni: per l’elezione e per la parata del 2 giugno. Naturalmente se le condizioni meteorologiche saranno avverse sarà usata una berlina.

11.00: INCONTRO CON NAPOLITANO Giunto al Quirinale riceve gli onori militari. Poi sale allo studio alla vetrata dove avrà un colloqui con il presidente uscente Napolitano, che consegnerà a Mattarella il collare di Gran Croce decorato di gran Cordone, la massima onorificenza della Repubblica.

11.30: Mattarella si trasferisce nel salone dei Corazzieri. Breve discorso del presidente del Senato Piero Grasso che ha svolto il ruolo di Presidente supplente della Repubblica, quindi prende la parola il nuovo capo dello Stato. Alla cerimonia assistono i vertici delle istituzioni e i leader politici, invitati da Mattarella.

Lo sgarbo di un metodo e il futuro del patto del Nazareno

Berlusconi si reca da Renzi nella sede del Pd. Nasce il patto del Nazareno
Berlusconi si reca da Renzi nella sede del Pd. Nasce il patto del Nazareno (Percossi/Ansa)

Angelo Panebianco per il Corsera

È una domanda, a volte implicita e altre volte esplicita, presente in quasi tutti i commenti sulla brillante operazione con cui Renzi, da campione di tattica quale è, ha portato alla presidenza della Repubblica Sergio Mattarella: e se avesse vinto «troppo»? Se la sua vittoria di oggi si rivelasse un boomerang domani? Il punto, naturalmente, riguarda il futuro della collaborazione fra Renzi e Berlusconi.

Certo, è assai probabile che, digerita la sconfitta, fattosi una ragione dello «sgarbo» subito (la politica è il luogo per eccellenza della sopraffazione: il più forte impone la sua volontà e il più debole subisce), Berlusconi sia di nuovo pronto, tra qualche tempo, a puntellare Renzi sulle riforme.

Come è stato osservato da tanti, egli non ha vere alternative. Ma se poi non ci riuscisse? Se, già debole per un insieme di ragioni, fosse ora diventato debolissimo a causa della botta inflittagli dal premier? Un Berlusconi troppo debole non servirebbe nemmeno a Renzi, perché non avrebbe più la capacità di trascinarsi dietro un numero di parlamentari sufficiente per sostenerne la politica.

A quel punto Renzi che farebbe? Fin qui ha usato Berlusconi come un machete per colpire i suoi nemici interni di partito e per aprirsi un varco nella boscaglia (parlamentare) attraverso cui far passare le riforme: legge elettorale, Senato, Jobs act, eccetera. Se in futuro questa possibilità, a causa dell’eccessivo indebolimento politico di Berlusconi, non ci fosse più, che ne sarebbe delle sue riforme?

In quel caso, i veri vincitori della partita sulla presidenza della Repubblica risulterebbero essere non i renziani ma i nemici di Renzi, e del patto del Nazareno.
Non sappiamo, naturalmente, se quella inferta da Renzi a Berlusconi sia la botta definitiva ma sappiamo che il centrodestra, sulla cui condizione di sbandamento ha scritto lucidamente Pierluigi Battista sul Corriere di ieri, difficilmente potrà bloccare il processo che lo spinge verso la frammentazione, il caos, e l’insignificanza politica.

Non è soltanto una questione di leadership: un capo in declino e nessun sostituto in vista. È anche questione di uno spostamento verso Renzi di rilevanti segmenti societari che in passato avevano guardato a Berlusconi. Ci sono sia ai piani alti (le élite economiche) che ai piani bassi (certi settori del ceto medio) una attenzione e una disponibilità a seguire Renzi, a prenderlo in parola, a scommettere sul suo riformismo, che automaticamente toglie spazio al centrodestra, ne riduce drasticamente il serbatoio elettorale.

Lo stesso successo (relativo) di Matteo Salvini, su posizioni estremiste, è in realtà una dimostrazione che, a causa dell’affermazione della leadership di Renzi, lo stritolamento elettorale della destra, e la sua ghettizzazione, non sono al momento contrastabili.

La politica, naturalmente, è imprevedibile. Ma è forse possibile scommettere che fin quando non si sarà esaurita (come disse Enrico Berlinguer della Rivoluzione d’Ottobre) la «spinta propulsiva» di Matteo Renzi, non ci sarà spazio per una rinascita del centrodestra.

Quella spinta propulsiva un giorno finirà e la parte della società italiana che, culturalmente, non ha nulla in comune con la sinistra, ma che è tuttavia oggi disposta a scommettere su Renzi, gli ritirerà improvvisamente la delega. E si metterà a cercare un nuovo cavallo su cui puntare a destra.
Solo a quel punto una destra di governo, ossia una destra in grado di sconfiggere elettoralmente la sinistra, potrà forse rinascere.
Verosimilmente, ciò non accadrà molto presto. La spinta propulsiva si esaurirà forse solo fra qualche anno. A meno che, tirando troppo la corda, e per eccesso di fiducia in se stesso, Renzi non si trovi, involontariamente, ad accelerare i tempi.

Quei 70 «franchi soccorritori» che fanno litigare Forza Italia

Maria Elena Boschi entusiasta - franchi soccorritori
Maria Elena Boschi entusiasta (Ansa)

Monica Guerzoni e Dino Martirano per il Corsera

Se Berlusconi chiamerà a processo i «franchi soccorritori» di Mattarella, Maurizio Gasparri (che possiede il copyright sul neologismo) produrrà le prove della sua innocenza: «Ho votato scheda bianca, il moviolone lo dimostra». Il moviolone, senatore? «Proprio così, noi siamo gli Aldo Biscardi di Forza Italia…».

Con il voto segreto, per certificare di aver seguito la linea del gruppo c’è chi ha fotografato la scheda e chi vi ha impresso un segno di riconoscimento. Jole Santelli, azzurra doc, è stata messa di sentinella in Aula a scrutare la posizione dei piedi dei colleghi impegnati a votare sotto il catafalco: «Chi li teneva verso l’uscita non stata scrivendo, chi invece li girava verso la tavoletta era impegnato a usare la matita».

La giornata di ieri è stata anche questo, una surreale conta per schedare i lealisti e i traditori, i falchi e le colombe, i soldatini e i franchi soccorritori, appunto. La «valanga» Mattarella ha incassato ben oltre i 629 voti previsti sulla carta. Se i grandi elettori sono 1.009, i votanti 995 e Mattarella ha raggiunto quota 665, mezza Forza Italia potrebbe aver tradito le indicazioni di Berlusconi. Dall’insalatiera di vimini sono uscite 105 schede bianche, 42 in meno rispetto ai 147 grandi elettori azzurri. Ma ci sono anche 13 nulle, 14 voti dispersi, due schede per Martino, una per Razzi, una per Verdini…

E poi c’è la possibilità teorica, ma anche molto realistica, che su una quota di bianche ci siano le impronte digitali del Pd e del Ncd. Fonti parlamentari contano 15 bianche targate Ncd e altrettante del Pd. Se il dato fosse vero, vorrebbe dire che le bianche di Forza Italia sarebbero solo 75, facendo così lievitare il conto degli azzurri pro Mattarella fino a 72. Quanti voti ha perso Berlusconi? «Dopo che Alfano si è accodato, ognuno ha fatto quello che voleva – geme Giovanni Toti, consigliere politico dell’ex Cavaliere -. A quel punto, per me potevano votare anche Pippo, Pluto o Paperino».

Stabilire con precisione quanti sono i dissidenti di Forza Italia è impossibile. A Palazzo Chigi ne hanno conteggiati 30/35. I verdiniani sparano più alto: «Una settantina». E di che area sono i disubbidienti, di Berlusconi, di Verdini o di Fitto? Molti amici dell’ex governatore della Puglia dicono di aver visto Maria Rosaria Rossi, l’ambasciatrice di Palazzo Grazioli, indugiare in cabina troppi secondi.

E lei, alla domanda «ha votato per Mattarella?», gira rapida i tacchi. L’ex sindaco di Roma Franco Carraro conferma la scheda bianca, poi corre davanti alle telecamere e denuncia «l’errore politico di non aver contribuito all’elezione del presidente, gli italiani ci chiedevano questo».
La guerra dei veleni si consuma nel centrodestra. Denis Verdini avrebbe dato ordine ai suoi di votare Mattarella, aprendo la resa dei conti in Forza Italia. E Raffaele Fitto?

infografica voto Quirinale Corsera - franchi soccorritori
IL VOTO AL QUIRINALE Infografica a cura del Corriere della Sera

Sospettato di aver dato una bella mano a Renzi per eleggere il giudice costituzionale, ha fatto la spola da una tv all’altra per denunciare «una manovra» contro i suoi 35 dissidenti: «Le persone che conducono insieme a noi una battaglia dentro al partito sono note, se le vedete passare velocissimamente dentro l’urna significa che hanno votato bianca». Se invece si fermano venti secondi o più, stile Saverio Romano? Vogliono far sapere urbi et orbi che stanno con Mattarella. Moviolone contro moviolone, dunque.

Peppe Ruvolo, agrigentino di Rivera, spedisce sms per certificare che i 14 voti di Gal sono approdati al Quirinale: «Siciliani e democristiani marciano compatti e combattenti attraversando tutto l’arco costituzionale». Ma i franchi tiratori si contano in tutti i gruppi. Una decina di grandi elettori di Area popolare si sarebbero ribellati alle direttive pro Mattarella di Alfano e Casini. Una manciata di ex grillini (Campanella, Orellana, Di Pietro, Bocchino, Bencini, Casaletto) ha votato con i democratici, andando a ingrossare l’esercito mattarelliano. Chi invece sperava in uno sgretolamento del blocco grillino ortodosso ha dovuto fare i conti con 127 voti per Imposimato e nessun cedimento.

Nel Pd Ettore Rosato conteggia appena «cinque, sei franchi tiratori, nulla di politicamente organizzato». Beppe Fioroni, che ha curato la regia dell’«operazione Mattarella» orchestrata dal vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, teme invece che siano stati una trentina. Ma il capogruppo Roberto Speranza assicura che «il Pd ha votato totalmente per Mattarella». Gli unici indizi lasciati nell’urna sono i voti per Napolitano (2), Prodi (2), Bonino (2), Amato (1), Bersani (1), D’Alema (1), Veltroni (1).

Per scaramanzia, i democratici in arrivo a Montecitorio hanno avuto cura di non passare davanti al Capranica, il luogo dove due anni fa si consumò il delitto. L’unanimità della scelta non ha sciolto del tutto le tensioni interne. Con Bersani accusato sottotraccia di non aver favorito l’elezione di un ex ds e Sposetti puntato a dito come non simpatizzante di un cattolico al Quirinale.

Daniele Marantelli ci tiene molto a far sapere che i «turchi» di Matteo Orfini si sono contati e pesati: 65 schede con su scritto «Mattarella S.». Da non confondersi con «S. Mattarella» e «On. Sergio Mattarella», sigle di altre aree politiche. Il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio (M5S) ha dichiarato che la minoranza del Pd avrebbe scritto «Mattarella Sergio», ma la cosa non risulta e il bersaniano Davide Zoggia smentisce: «In una giornata importante come questa non si gioca».

Quirinale, Ncd in crisi. Ipotesi Maurizio Lupi per la segreteria

Maurizio Sacconi mentre vota. Si è dimesso da capogruppo  Maurizio Lupi
Maurizio Sacconi mentre vota. Si è dimesso da capogruppo (Mistrulli/Emblema)

Amedeo La Mattina per La Stampa

Brucia sulla pelle di Ncd, come un ferro rovente. La candidatura e poi l’elezione di Mattarella al Colle ha lasciato una ferita profonda dentro il partito e tra Alfano e Renzi. Non ci sono solo le dimissioni del capogruppo del Senato Maurizio Sacconi (al suo posto sono in corsa Quagliariello e Schifani) e l’uscita dal partito della portavoce Barbara Saltamartini, che sta passando all’opposizione con la Lega in cerca di sicurezza per essere rieletta. Il capogruppo leghista a Palazzo Madama Gianmarco Centinaio racconta che sono tra 10 e 15 i senatori di Ncd e Fi che bussano alla sua porta.

È girata voce che pure Nunzia De Girolamo abbia intenzione di approdare nel partito di Salvini: il capogruppo alla Camera rimane invece nel partito. Dilemma Il contropiede di Matteo Renzi, che ha costretto Alfano prima a schiacciarsi su Berlusconi e le schede bianche e poi a votare a favore di Mattarella, ha aperto il dilemma su come stare nel governo. Area Popolare (Ncd-Udc) è solo un vassallo di «una maggioranza monocolore» (per dirla con Cicchitto) oppure è una forza politica che non può accettare i continui ricatti del premier? È un film già visto in tante oltre occasioni, dal Jobs Act alla legge elettorale e alla riforma costituzionale. Ma la dolorosa vicenda del Quirinale ha prodotto una quantità incredibile di tossine.

Per Renzi tre ministri Alfano, Lupi e Lorenzin, in particolare quello dell’Interno, non potevano votare scheda bianca, la loro permanenza nel governo sarebbe diventata contraddittoria. Sostiene Alfano che il premier non gli ha mai detto «o ti adegui o te ne vai», ma Ncd ha comunque un problema esistenziale.

Lupi via da governo? «Abbiamo molto da discutere», dice Quagliariello e si riferisce sia al partito che al governo. In Ncd è in corso un aspro confronto sull’opportunità di affidare la segretaria a Lupi o ad Alfano: l’uno o l’altro dovrebbero però lasciare il loro ministero. Da questa posizione politica, svincolato dal governo e dai ricatti di Renzi, Alfano o Lupi potranno incalzare il governo, fare proposte e contro proposte. Alfano vuole evitare una soluzione del genere.

In ogni caso non gli passa per l’anticamera del cervello di lasciare il Viminale. Vuole tenere i rapporti aperti con Berlusconi e agire con calma il riposizionamento nell’esecutivo. Intanto tira un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo: «Ho sentito il presidente Mattarella. Auguri e congratulazioni. Gli italiani possono gioire». Ma nel suo partito lo incalzano con la domanda: Renzi comanda da solo? Occorre rafforzare il partito e Lupi alla segretaria per alcuni è la soluzione. Ma si tratta di un’operazione azzardata, soprattutto se l’idea è tirare fuori Alfano o Lupi da un ministero pesante. Chi lo ha detto che Renzi metterebbe un altro esponente di Ncd al loro posto?

Berlusconi chi? Ncd è un vespaio. Giuseppe Castiglione e Tonino Gentile, coordinatori di Sicilia e Calabria, sono accusati di avere spiazzato Alfano mentre trattava il passaggio dalla scheda bianca al voto favorevole a Mattarella. Infatti 11 senatori dell’area siculo-calabrese l’altro ieri pomeriggio sono usciti con una nota per dire che avrebbero detto sì all’ex giudice costituzionale.

E questo nelle ore in cui Alfano cercava di convincere Casini a trangugiare la mancata candidatura che qualcuno del Pd gli aveva ventilato. Cercava di convincere anche Berlusconi a superare la posizione della scheda bianca. Votando insieme si sarebbe consolidato il nuovo percorso del centrodestra prima dell’arrivo delle elezioni regionali. Ma anche su questa alleanza a destra non c’è un sentire comune nell’Ncd.
«Berlusconi non esiste più», dice Castiglione.

Sergio Mattarella è il nuovo presidente della Repubblica

Mattarella è presidente. Festeggiano tra i banchi del Pd. Al centro Guerini e Speranza esultano
Mattarella è presidente. Festeggiano tra i banchi del Pd. Al centro Guerini e Speranza esultano

Tutto come previsto. Con 665 voti, Sergio Mattarella è stato eletto nuovo presidente della Repubblica. La sua elezione arriva al quarto scrutinio dopo tre fumate nere. Non ci sono stati franchi tiratori (solo 110 schede bianche) ma addirittura voti in più di quanto si aspettasse il premier Matteo Renzi.

Subito dopo la proclamazione da parte della presidente della Camera Laura Boldrini, il nuovo capo dello Stato ha ricevuto a stretto giro la notifica dell’elezione al palazzo della Consulta, a pochi metri dal Quirinale, dai vertici delle due camere.

Quando gli avvicinano il microfono lui preferisce non parlare ma pronuncia soltanto un auspicio: “Il mio pensiero va soprattutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini”.

Lungo applauso dell’Aula, “è un garante imparziale delle riforme costituzionali”, afferma il predecessore Giorgio Napolitano. “Buon lavoro, Presidente Mattarella! Viva l’Italia”, cinguetta Matteo Renzi,  vero regista (insieme a Napolitano) dell’elezione di Mattarella.

Il presidente della Repubblica esce dalla Consulta con la sua Panda e come primo atto visita le Fosse Ardeatine: “Uniti contro il terrore”, ha detto. Il nuovo inquilino del Colle giurerà martedi a Camere riunite. Tanti saranno gli attestati di auguri provenienti dall’Italia e dall’estero. “E’ un giurista. Non è uno che fa passare qualsiasi cosa. Certe sciocchezze incostituzionali non le farà passare”, ha detto Pier Luigi Bersani punzecchiando la maggioranza Dem. Osservazioni che non sono state accolte con giubilo dai renziani.

La presidente Boldrini comunica al presidente della Repubblica Sergio Mattarella il verbale della sua elezione
La presidente Boldrini comunica al presidente della Repubblica Sergio Mattarella il verbale della sua elezione

“La verità è che noi siamo riusciti dove loro hanno fallito. Renzi – spiega un esponente del Pd – ha chiaramente messo in conto che Mattarella sarà una figura autonoma, è stato lui stesso a sottolineare la sua imparzialità”. Un ministro fa notare come ora si apra una fase nuova nel rapporto tra le istituzioni.

Il premier è riuscito a compattare la maggioranza fugando i sospetti che il patto del Nazareno tra lui e Silvio Berlusconi avesse la meglio. Così non è stato. Maggioranza ampia in Parlamento al Colle e maggioranza che, dicono fonti parlamentari del Pd, si amplia anche nel partito.

Mattarella c'è l'ha fatta. la soddisfazione di Napolitano
Mattarella c’è l’ha fatta. la soddisfazione di Napolitano

“Ora – affermano dalla minoranza del Pd – saremo noi quando sarà necessario a fare opposizione”. Opposizione che in qualche modo con l’elezione di Sergio Mattarella è stata allegerita. Anche il capo di Sel Niki Vendola ha gioito per Mattarella. Cuperlo e Civati guardano tuttavia all’Italicum quando tornerà alla Montecitorio. Ma lo stesso premier ha spiegato ai suoi che non giova affatto avere una liquefazione di FI. Ergo, quel patto è ancora in vigore per le riforme poiché come ha sempre detto l’ex sindaco di Firenze “le regole si scrivono insieme”.

Intanto nel partito azzurro è cominciata la resa dei conti. Molte sono le ferite anche nel Ncd, sebbene Alfano plaude all’intesa (secondo alcuni “ricatto”) con Renzi. Sul banco degli imputati sono finiti gli ambasciatori del Nazareno ma anche i capigruppo.

E non è solo Raffaele Fitto ad alzare la voce, c’è una voragine tra i dissidenti e l’inner circle di Fi. I fittiani vogliono chiarimenti sulla gestione della partita del Quirinale. “Il patto è morto, porteremo avanti le riforme ma il clima è cambiato”, spiega Giovanni Toti.

Il Cavaliere ha sentito i suoi, ha mantenuto fino alla fine il punto sulla scheda bianca, non nascondendo i dubbi sulla strategia portata avanti. All’appello mancano 30-40 voti e – fanno sapere i dissidenti – non sono nostri. Ora l’ex governatore pugliese farà passare qualche giorno prima di tornare alla carica.

Il neo capo dello Stato Mattarella esce dalla Consulta
Il neo capo dello Stato Mattarella esce dalla Consulta

“Ho imparato dai democristiani, un passo alla volta…”, dice Maurizio Bianconi. Ma il colloquio durato venti minuti tra Toti e Civati alla Camera rappresenta comunque una novità. La telefonata di due giorni fa tra Renzi e Berlusconi ha lasciato trascichi.

E anche in Ncd ci sono appunto ripercussioni dopo il tira e molla di Angelino Alfano che questa mattina alla riunione di gruppo, pur scindendo le questioni Quirinale e governo ha comunque detto che da lunedi si aprirà “una riflessione”, per cercare di capire il futuro e soprattutto recuperare credibilità e affidabilità tra i suoi:  si è dimesso da capogruppo Maurizio Sacconi mentre Barbara Saltamartini ha lasciato l’incarico di portavoce.

“Non ci sono lividi nella maggioranza, il Pd ha suturato le ferite del 2013, si va avanti con le riforme”, ha affermato Lorenzo Guerini mentre in Transatlantico a festeggiare – lacrime agli occhi – erano soprattutto gli ex Dc, il “glorioso” partito cui apparteneva Sergio Mattarella.

Patto Alfano Renzi. L'Espresso: "Grande inciucio Calabria". Oliverio: "Un nuovo brand per la regione"

Mario Oliverio festeggia la vittoria alle regionali 2014 patto alfano renzi
Mario Oliverio festeggia la vittoria alle regionali 2014

Gianfrancesco Turano per “L’Espresso” (30 gen. 2015)

Bisogna ricostruire il brand della Calabria», dice a “l’Espresso” il governatore Mario Oliverio, eletto il 23 novembre, primo ex comunista nella storia della regione. Lo dice come se davvero fosse esistito un brand Calabria prima dei disastri amministrativi, industriali e criminali che la regione ha dovuto subire negli ultimi decenni.

L’approccio di Oliverio presuppone una dose di ottimismo che non è precisamente una materia che abbonda fra il Pollino e l’Aspromonte. Oliverio stesso, finora, ha fatto ben poco per tenere viva la fiducia degli elettori in un risorgimento che non vuole arrivare e in cui pochi credono.

Ci sono voluti oltre due mesi per nominare una squadra di governo che non è nemmeno definitiva. I quattro nominati lunedì 26 gennaio, due esterni e due eletti in consiglio, non sono esattamente il Dream team. L’ex ministro degli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta, responsabile della cultura e delle pari opportunità, è stata strappata al governo Renzi con una manovra di calciomercato a parametro zero degna del Milan di questi tempi.

Due giorni dopo si è dimessa perché non gradiva la compagnia degli altri tre. Enzo Ciconte, Carlo Guccione e Nino De Gaetano sono indagati nella Rimborsopoli calabrese con tutti gli altri consiglieri della legislatura precedente. Ma soprattutto De Gaetano ha rischiato l’arresto per i suoi rapporti con il clan Tegano di Archi.

L'insediamneto della prima Giunta Oliverio - patto alfano renzi
L’insediamneto della prima Giunta Oliverio

Lanzetta, minacciata dalla ‘ndrangheta, ha detto: o me o lui. Il match a eliminazione diretta si gioca in un quadro sconfortante. La Calabria è la regione più povera e con più disoccupati d’Italia (23,5 per cento nei primi nove mesi del 2014) è vincolata a un piano di rientro sanitario che fa impallidire l’austerity greca, usa male i fondi mandati dall’Europa e ha un pil di 29 miliardi di euro che è quasi la metà dei ricavi stimati di ‘ndrangheta srl (53 miliardi di euro all’anno).

La partecipazione al voto è ai minimi storici. Alle regionali di novembre è andato alle urne il 44,07 per cento degli elettori. È vero che in Emilia-Romagna non si è raggiunto il 38 per cento. Ma la nuova giunta si è insediata a Bologna un mese dopo. In Calabria la riforma dello statuto ha bisogno di altri sessanta giorni per arrivare in porto e consentire a Oliverio di raggiungere l’obiettivo dichiarato in partenza: un modello presidenziale puro e sette assessori presi tutti da fuori.

VIDEO VENDETTA CONTRO IL SEGRETARIO PD
“La vendetta in Calabria gioca in casa. L’ex governatore ed ex sindaco Pdl di Reggio Giuseppe Scopelliti, estromesso dalla guida della giunta regionale nell’aprile del 2014 dopo una condanna in primo grado a sei anni dovuta alle irregolarità nei bilanci comunali, ha aspettato più di quattro anni per divulgare un video imbarazzante per i suoi avversari del Partito democratico.

Nel filmato si vede l’attuale segretario regionale e deputato del Pd, il renziano Ernesto Magorno, celebrare Scopelliti e il suo modello amministrativo in una riunione pubblica a Diamante, cittadina del Tirreno cosentino guidata da Magorno  dal 2007 fino all’elezione in parlamento alle politiche del 2013 e nota per il suo festival del peperoncino. Nel suo intervento del 2010, l’allora sindaco democrat di Diamante si rivolge a Scopelliti con parole di elogio unite a un uso piuttosto flessibile di grammatica
e sintassi. «Io credo», dice Magorno rivolto all’esponente del centrodestra, «che la politica non può essere insulto, demagogia, improperie (sic) e ingiurie. La politica è una cosa alta. Vada avanti. Lei avrà il consenso, l’affetto, la sollecitazione (sic), il sostegno anche di quelle parti che in questo momento guardino (sic) alla Calabria (applausi) e vogliono che i cittadini calabresi diventino appellativo (sic) di cittadini italiani e cittadini europei (applausi scroscianti)». Da quel giorno del 2010 l’attrazione proibita di Magorno verso il metodo amministrativo seguito dall’ex governatore Giuseppe Scopelliti ha avuto tempo e modo per fare i conti con la realtà. Il cosiddetto modello Reggio si è saldato con una dichiarazione di pre-dissesto del Comune e un commissariamento dal 2012 al 2014 per infiltrazioni mafiose durante la breve gestione del successore e delfino di Scopelliti, Demetrio Arena”.

A questa squadra, che accentra il lavoro fatto da dodici assessori nella giunta precedente, potrà aggiungersi un membro del consiglio con delega del presidente su questioni particolari ma senza potere di firma. A volerlo tradurre in termini di politica alta, si tratta di separare il potere esecutivo (la giunta), dal potere legislativo (il consiglio). In fondo, anche il capo del governo nazionale non è parlamentare e fa uso di figure fiduciarie mai passate per le urne, come Marco Carrai, o al debutto con la legislatura in corso (Luca Lotti, Yoram Gutgeld, Maria Elena Boschi).

Nino De Gaetano
Il neo assessore Nino De Gaetano

Ma la politica non è sempre alta. Il silano Oliverio, 62 anni, consigliere regionale a 27 anni nel 1980 e assessore all’agricoltura nel 1986, si è comportato come qualunque politico vecchio o nuovo e, una volta al potere, ha patteggiato col nemico, come ha fatto Syriza ad Atene. Con il Nuovo centrodestra (Ncd) Oliverio ha sfruttato il doppio binario.

Prima lo ha escluso dall’alleanza elettorale in quanto partito dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti. Vinte le elezioni, il Ncd è rientrato dalla finestra con una vicepresidenza del Consiglio affidata all’ex assessore scopellitiano Giuseppe “Pino” Gentile, sopravvissuto con disinvoltura a una richiesta di espulsione rivolta al segretario-ministro Angelino Alfano dallo stesso Scopelliti, che imputa a Gentile la sua mancata elezione alle Europee dello scorso maggio.

Il neopresidente del Consiglio regionale Antonio Scalzo del Pd, spedito a Roma insieme a Oliverio per votare il nuovo presidente della Repubblica, ha ingaggiato come portavoce Giampaolo Latella, il responsabile dell’ufficio di presidenza calabrese di Forza Italia, assunto pochi mesi fa dalla coordinatrice locale Jole Santelli.

Maria Carmela Lanzetta - Giunta Oliverio
Maria Carmela Lanzetta

Anche le modifiche allo statuto si sono fatte con l’appoggio in aula del Ncd. Si è gridato all’inciucio ma, in fin dei conti, le larghe intese sono altrettanto larghe in parlamento. Il paradosso è che il governatore calabrese fa uso del renzismo senza essere renziano anzi si è imposto alle primarie sia contro il favorito del premier, Gianluca Callipo, sia contro la nomenklatura democrat, guidata dall’ex craxiano Ernesto Magorno.

Per Oliverio la qualificazione delle primarie, vinte con il 48 per cento, è stata più dura della gara vera e propria, vinta a mani basse con il 61,4 per cento. L’ex sindaco Pci di San Giovanni in Fiore non ha fatto la fine di Sergio Cofferati in Liguria per il semplice motivo che il Pd calabrese non esiste.

In aggiunta, il centrodestra è in piena faida interna e non avrebbe saputo quale avversario identificare a sinistra per appoggiarlo alle primarie Pd, come è accaduto in Liguria e come stava per accadere con il neosindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, un altro che flirta moderatamente con re Matteo primo.

Lo stesso Scopelliti il 23 novembre ha sostenuto in modo tiepido la corsa a governatore del suo ex amico ed ex legale di fiducia, il senatore Ncd Nico D’Ascola, mentre strizzava l’occhio alla candidata forzista Wanda Ferro, arrivata seconda a distanza abissale dal vincitore. Dopo avere battuto Ncd e forzisti, i sostenitori di Oliverio si aspettavano un inizio di partita più aggressivo.

In fondo, il governatore in carica avrebbe la possibilità di dire di no a tutti per tre motivi. Primo: ha resistito a Renzi e al Pd che lo bollavano come il vecchio che avanza. Secondo: ha stravinto le elezioni quasi da solo. Terzo: ha annunciato che non si ricandiderà. Questa possibilità è solo teorica.

A Roma non possono rischiare che la Calabria, l’antica Magna Grecia, diventi la piccola Grecia d’Italia: una regione periferica povera, sprecona, carica di debiti, che per di più pretende autonomia politica dai suoi finanziatori, lo Stato e l’Europa. Oltre ai problemi di bilancio e di pil, la regione è un palcoscenico del malcostume politico.

scopelliti ora parlo io
Giuseppe Scopelliti

Lo scorso aprile la Calabria ha dovuto affrontare le dimissioni del precedente governatore, Giuseppe Scopelliti, per una condanna in primo grado a sei anni. Dopo Scopelliti c’è stato un governo supplente tirato in lungo per sette mesi perché gli eletti sapevano che, a fine legislatura, le poltrone disponibili in consiglio sarebbero scese da cinquanta a trenta.

Qualcuno ha persino ipotizzato di eludere il taglio imposto dalla legge Delrio alle regioni con popolazione fra 1 e 2 milioni di abitanti mediante un censimento che ritoccasse la cifra ufficiale (1.958.238). Con centinaia di migliaia di emigrati fuori regione non sarebbe stato difficile. Ma non è aria.

Il disgusto per gli imbrogli è già ai massimi così come la pressione della magistratura. A parte Rimborsopoli che è un film proiettato in tutte le aule giudiziarie nazionali, i giudici hanno messo sotto inchiesta in blocco la giunta Scopelliti (2010-2014, centrodestra) per i finanziamenti all’edilizia sociale e tutta la giunta di Agazio Loiero (2005-2010, centrosinistra) per i finanziamenti alle imprese, escluso Loiero che al momento di votare il provvedimento sotto accusa era assente.

All’handicap dato in partenza dagli indicatori economici generali, vanno aggiunte alcune emergenze gravi che Oliverio ha affrontato, come sottolinea lui stesso, da solo e prima di nominare gli assessori. In testa all’elenco c’è il problema dei rifiuti seguito da vertenze occupazionali come quella dell’Infocontact di Lamezia Terme, un grande call-center che rischia di perdere la commessa con Wind e che potrebbe licenziare 1800 dipendenti in un colpo solo.

Ernesto Magorno alla Camera
Ernesto Magorno alla Camera

L’altra patata bollente preliminare all’insediamento della giunta è stata l’istituzione del cosiddetto ruolo unico dei dipendenti regionali. L’eredità dei moti per Reggio capoluogo del 1970-1971, ha spaccato la Calabria in due strutture. Nella città più grande, Reggio, ha sede il consiglio. Nel capoluogo amministrativo, Catanzaro, ha sede la giunta.

Ci sono impiegati del consiglio e impiegati della giunta. «Questa spartizione», dice Oliverio, «impedisce di razionalizzare le risorse come previsto dalla spending review. Spostare un dipendente dalla giunta al consiglio o viceversa equivale a chiedere un distacco dalla regione Lombardia. Poi si è voluto strumentalizzare la mia posizione in modo campanilistico ma ribadisco che la giunta a Catanzaro e il consiglio a Reggio non sono in discussione».

C’è poi la partita delle tante società in-house della Regione, nominifici clientelari che Oliverio definisce «cancerogeni» e sui quali ha promesso un’indagine interna. Un esempio per tutti è la fondazione Calabria etica, creata nel 2002 ma potenziata nell’era Scopelliti con un budget di 25 milioni di euro all’anno, 300 collaboratori a progetto scelti a discrezione della dirigenza e uno stipendio di 4,1 mila euro netti al presidente.

Assi nella manica ce ne sono pochi. Il turismo è allo sbando con un inquinamento marino ai massimi, un aeroporto chiuso (Crotone), uno che potrebbe chiudere (Reggio) e solo Lamezia come alternativa. L’atout individuato da Oliverio è il porto di Gioia Tauro. Peccato che sia in una zona controllata in modo ferreo dalla ‘ndrangheta e che Renzi, proprio per questo, sia molto titubante a investirci. «Gioia Tauro deve diventare una scelta strategica del Paese», ribadisce Oliverio.

«E questo presuppone un impegno forte contro il crimine. Sto facendo una ricerca per individuare una figura che dia un segnale netto di questo impegno della giunta contro la ‘ndrangheta». L’altro elemento di trattativa col potere centrale che ha condizionato la formazione della giunta è la nomina del nuovo commissario alla sanità. La questione, qui, è di sostanza, prima che di forma. Le spese sanitarie sono circa i due terzi del bilancio complessivo della regione.

La Calabria vive molto più di impegnative e ricette mediche che di industria, agricoltura e edilizia. La dichiarazione di dissesto ha imposto la nomina di un commissario. Nella precedente legislatura era Scopelliti, controllore di se stesso. Dopo le sue dimissioni nell’aprile dell’anno scorso la gestione è stata affidata al subcommissario Luciano Pezzi, ex generale della Guardia di finanza.

Il conflitto di interessi potenziale è stato risolto a livello nazionale da un provvedimento dello scorso 10 dicembre che dissocia la figura del governatore da quella del commissario straordinario. In un primo tempo, Oliverio ha provato a forzare il passo sostenendo che la norma non può essere retroattiva e che lui era stato eletto prima del 10 dicembre.

Renzi Magorno Oliverio
Matteo Renzi con Magorno e Oliverio

Ha anche annunciato per due volte – l’ultima il 7 gennaio – di essersi accordato con Roma ma la nomina non si è ancora concretizzata. Come andrà a finire dipende forse da ulteriori trattative con la dirigenza Pd. Per adesso è stato inserito un emendamento nel “mille proroghe”, è stato modificato il testo e, se la variazione passerà, la sanità tornerà in mano al governatore.

«Non è sete di potere. Ma la gestione del piano di rientro è stata ragionieristica », dice Oliverio con toni che evocano quelli di Alexis Tsipras. «Bisogna riordinare e riqualificare. Non è possibile pensare solo al pagamento degli interessi quando ci sono strutture come l’ospedale Annunziata di Cosenza che hanno sospeso i ricoveri ordinari. Ho parlato con Renzi nei giorni scorsi e da lui ho ricevuto incoraggiamento e sostegno. Del resto, l’ha detto lui che la Calabria è la madre di tutte le battaglie». In effetti, Renzi lo ha detto. Ha detto anche di stare sereno a Enrico Letta, più o meno un anno fa di questi tempi.

Guerra fredda Usa Russia, Gorbaciov avverte Obama: "C'è rischio di conflitto armato"

L'ex presidente sovietico Michail Gorbaciov
L’ex presidente sovietico Michail Gorbaciov

Gli Stati Uniti hanno trascinato la Russia di nuovo “in guerra fredda” e non è escluso che le tensioni possano sfociare in un conflitto armato: a denunciarlo è l’ex presidente dell’Urss, Mikhail Gorbaciov. “Oggi, sentiamo solo parlare di sanzioni contro la Russia sia dall’America, sia dall’Unione europea.

Possibile che tutti abbiano perso completamente la testa?”, si è chiesto il padre della Perestroika. A suo avviso, l’America “si è persa nella giungla e sta trascinando li anche la Russia”. Secondo l’ex presidente, “se si chiamano le cose con il loro nome ci ha già trascinati in una nuova guerra fredda, tentando di realizzare la sua idea di dominio. E dove ci condurrà tutto questo?

La guerra fredda è già palesemente in corso. E poi? Sfortunatamente non posso dire con certezza che la guerra fredda non si trasformi in una guerra vera”, ha avvertito l’ex leader sovietico. Il riferimento di Gorbaciov è al forte isolamento che gli Usa e l’Ue hanno avviato nei confronti di Mosca dopo la guerra in Ucraina.

L’esclusione dal G8 e l’embargo occidentale, in reazione alle politiche di Putin, non hanno prodotto gli effetti sperati dalla nomenclatura occidentale. Hanno anzi indebolito l’export Ue verso uno dei mercati più importanti del mondo. Azione che paradossalmente ha rafforzato la leadership del leader russo che, fra le altre cose, detiene le chiavi dei rubinetti dell’energia che fornisce a gran parte dell’Europa.

Elezioni Quirinale, Renzi e Berlusconi per un nome condiviso

 

Matteo Renzi tratta per l'elezione capo Stato
Matteo Renzi (Ansa)

Un nome credibile, che unisca, che eviti la slavina dei tiri al piccione e dei veti incrociati. La partita per il Quirinale entra nel vivo e Matteo Renzi apre la danze prima con i deputati e poi con i senatori Pd, in una giornata intessuta di contatti e colloqui.

Su tutti, quello a Palazzo Chigi con Silvio Berlusconi, che ieri aveva dato forfait ma che oggi si intrattiene un paio d’ore con il Presidente del Consiglio. “Con Renzi non abbiamo ancora individuato un nome, ma andiamo avanti nel confronto”, ha detto Berlusconi ai grandi elettori di FI.

Dall’incontro nessun veto dalle due parti in causa. Cosi, a quanto si apprende, si sarebbe concluso il faccia a faccia tra il premier e il leader di FI a palazzo Chigi. Un colloquio che chi ha parlato con alcuni partecipanti definisce “interlocutorio”. Si sarebbe convenuto di non porsi veti reciproci ma di affrontare senza preclusioni l’esame dei diversi candidati. Da parte del leader di Fi sarebbe venuta però l’istanza di sgombrare il tavolo degli ex leader Pd, considerati troppo marcati politicamente.

Il ragionamento sarebbe dunque rimasto circoscritto ai nomi di Sergio Mattarella, proposto dal premier, di Giuliano Amato, avanzato da Berlusconi. Outsider il nome di una donna: Paola Severino, ex ministro della Giustizia. Al termine delle due ore di colloquio le due parti hanno convenuto sul fatto che serve ora un po’po’po’di tempo per sondare i rispettivi partiti e alleati, per giungere al voto con una proposta condivisa, innanzitutto all’interno dei rispettivi fronti e poi con un nuovo punto.

Berlusconi: “Sia un politico esperto e non di sinistra” – Il prossimo Capo dello Stato deve essere un politico esperto, conosciuto a livello internazionale, e non una figura radicata in un partito della sinistra. Lo ha detto Silvio Berlusconi ai “grandi elettori” di Forza Italia, annunciando che con Renzi si rivedranno “per scegliere un nome condiviso”. Il prossimo incontro ci potrebbe essere già domani mattina.

Berlusconi conferma che Forza Italia e Area popolare voteranno scheda bianca ai primi tre scrutini e che “saremo in consultazione permanente per arrivare alla scelta di un nome di garanzia, un nome che possa darci garanzie”. “Saremo indispensabili per eleggere il nuovo Capo dello Stato”, ha detto ancora Berlusconi ricordando l’importanza del suo partito nella scelta di Draghi alla guida della Bce: è merito nostro, ha rivendicato.

Ma nella sede del governo è andato anche Pier Luigi Bersani. “Abbiamo cominciato a ragionare”, afferma alla fine, “La strada è ancora lunga, ci sono ancora alcuni giorni”. E “certo che abbiamo parlato di nomi”. Quali? Sergio Mattarella pare essere il primo. Il giudice della corte costituzionale starebbe raccogliendo la maggiore condivisione nel Pd. Pesa però il no di Forza Italia.

Stavolta, per dirlo con le parole di Renzi alle platee degli eletti Dem, non ci sarà una terna di nomi mentre è ormai acquisito che dalla tornata di ‘consultazioni di ieri “esce forte la richiesta di una figura politica”. Sostenuta da chi? “è un bene eleggerlo con Forza Italia” ma “noi non mettiamo veti e non accettiamo veti”, scandisce Renzi.

Berlusconi prende atto e riunisce i suoi parlamentari Il fatto è che “tutti i candidati al momento presentano dei rischi nel segreto dell’urna”, ammettono a mezza bocca i renziani. Sullo sfondo resta l’incubo del 2013, con i franchi tiratori a farla da padrone nelle prime votazioni e il Pd che entra in una profonda crisi politica. Renzi vuole assolutamente scongiurare ogni pericolo: ecco perchè non è escluso che possa prendersi ancora un po’po’po’di tempo e fare il nome direttamente sabato mattina.

A meno di sorprese comunque da domani l’indicazione che dovrebbe arrivare è quella di votare scheda bianca. I nomi li fanno anche i 5 Stelle. Dieci, per la precisione, che formeranno la ‘rosà da sottoporre al vaglio delle ‘Quirinariè on line. La lista di candidati arriva dall’assemblea dei parlamentari M5S: consensi e dissensi per Prodi, fortissimi i magistrati, da Imposimato a Cantone ai pm Antimafia a Cantone, e poi anche Benigni e Magalli, certo. Ma anche Pier Lugi Bersani. Che rassicura: “Alla fine una soluzione si trova, io sono ottimista, a tutto c’è una soluzione”. (Agi)

‘Ndrangheta al Nord, 163 arresti in tutta Italia

Un fermo immagine dell'operazione contro la 'Ndrangheta (Ansa)
Un fermo immagine dell’operazione contro la ‘Ndrangheta (Ansa)

BOLOGNA – Maxi operazione congiunta dei carabinieri contro la ‘ndrangheta in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia. 117 gli arresti disposti dalla magistratura di Bologna. Altri 46 provvedimenti sono stati emessi dalle procure di Catanzaro e Brescia, per un totale di oltre 163 arresti.

Risate sul terremoto in Emilia, come all’Aquila. Sono in un dialogo citato nell’ordinanza del Gip tra due indagati, Gaetano Blasco e Antonio Valerio: “E’ caduto un capannone a Mirandola”, dice il primo. “Valerio ridendo risponde: eh, allora lavoriamo là.. Blasco: ‘ah sì, cominciamo facciamo il giro…'”, si legge.

La conversazione intercettata è del 29 maggio 2012, il secondo giorno del sisma emiliano. La telefonata è delle 13.29, la scossa devastante, annota l’ordinanza era stata alle 9.03. Blasco e Valerio sono due indagati ritenuti tra gli organizzatori dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, contestata nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta Aemilia. I due avevano “contatti e rapporti d’affari” con la Bianchini Costruzioni, azienda coinvolta nell’indagine. La conversazione è citata quasi come simbolica in apertura di un capitolo dedicato proprio alle infiltrazioni nell’attività di ricostruzione post-terremoto.

PROCESSO AEMILIA INIZIA IL 23 MARZO 2016. LEGGI

Il procuratore Roberti: azione storica contro mafia nord “Un intervento che non esito a definire storico, senza precedenti. Imponente e decisivo per il contrasto giudiziario alla mafia al nord”. Così sull’indagine di Bologna il procuratore Franco Roberti. “Non ricordo a memoria un intervento di questo tipo per il contrasto a un’organizzazione criminale forte e monolitica e profondamente infiltrata”.

Dall’indagine “Aemilia” emergono riscontri di attività di supporto e tentativi di influenzare elezioni amministrative da parte degli affiliati al gruppo criminale in vari comuni dell’Emilia. Lo ha spiegato il procuratore Roberto Alfonso, nella conferenza stampa a Bologna, citando i casi di Parma nel 2002, Salsomaggiore nel 2005, Sala Baganza nel 2011, Brescello nel 2009.

Nell’indagine figura pure una cronista sottoposta a pressioni per non pubblicare notizie. Si tratta di Sabrina Pignedoli, corrispondente Ansa da Reggio Emilia e cronista del Resto del Carlino. “Il tentativo di compressione della libertà di stampa è stato respinto e io credo che la vostra collega per questo meriti un plauso” ha spiegato il procuratore di Bologna Roberto Alfonso.

Sequestri per 100 milioni, anche un intero quartiere. In particolare sono stati raggiunti dal provvedimento diverse società di Alessandro e Augusto Bianchini, imprenditori edili impegnati anche nella ricostruzione post-sisma 2012. L’esecuzione è ancora in corso da parte dei carabinieri del Ros, dalla Dia e dalla Guardia di finanza di Cremona. E’ stato inoltre sequestrato un intero quartiere, composto da circa 200 appartamenti a Sorbolo, comune del Parmense. La richiesta di sequestro, approvata dal Gip, è firmata dai Pm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi.

A coordinare l’inchiesta, denominata “Aemilia”, la procura distrettuale antimafia di Bologna, che ha ottenuto dal gip un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 117 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed altro.

Tutti reati commessi con l’aggravante di aver favorito l’attività dell’associazione mafiosa. Contestualmente, le procure di Catanzaro e Brescia – in inchieste collegate – hanno emesso altri 46 provvedimenti di fermo per gli stessi reati. Imponente lo schieramento dei carabinieri impiegati, anche con l’ausilio di elicotteri, in arresti e perquisizioni. In Emilia, sottolineano gli investigatori, la ‘ndrangheta ha assunto una nuova veste, colloquiando con gli imprenditori locali.

C’è anche il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (Forza Italia) tra gli arrestati nella maxi operazione “Aemilia” contro la ‘ndrangheta, coordinata dalla Dda di Bologna ed eseguita dai carabinieri di Reggio Emilia, Parma, Modena e Piacenza. I carabinieri lo hanno prelevato dalla sua abitazione a Scandiano (Reggio Emilia).

Arrestato anche il padre di Iaquinta – Ci sono anche importanti imprenditori del settore edile coinvolti nell’indagine Aemilia fra cui Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo campione del mondo, arrestato nel reggiano e Augusto Bianchini che ha partecipato agli appalti per la ricostruzione post terremoto in Emilia residente nel Modenese.

Coinvolti anche fratelli del boss Aracri – Ci sono anche i fratelli del boss già detenuto Nicolino Grande Aracri, Domenico ed Ernesto, tra le persone coinvolte nell’operazione contro la ‘ndrangheta condotta dai carabinieri e coordinata dalle Dda di Bologna e Catanzaro.

Domenico Grande Aracri, che è un avvocato penalista, è stato arrestato in esecuzione di una delle 117 ordinanze di custodia cautelare emesse su richiesta della Dda di Bologna, mentre Ernesto Grande Aracri è uno dei destinatari dei 37 provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Catanzaro. Dall’inchiesta sarebbe emersa la diffusione capillare in Emilia Romagna, ed in parte della Lombardia e del Veneto, delle attività della cosca di ‘ndrangheta dei Grande Aracri, sotto il diretto controllo e la guida di Nicolino Grande Aracri, con infiltrazioni in molteplici settori economici ed imprenditoriali.

Tra le persone coinvolte nell’inchiesta della Dda di Bologna ci sono imprenditori, professionisti, amministratori pubblici, rappresentanti delle forze dell’ordine e un giornalista. Lo ha spiegato il procuratore di Bologna, Roberto Alfonso. Il giornalista è Marco Gibertini, raggiunto da misura di custodia cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa, il quale “metteva a disposizione del sodalizio i suoi rapporti con i politici – ha spiegato Alfonso – con l’imprenditoria e con il mondo della stampa”, con interviste in tv e su un quotidiano.

Fra gli altri nomi fatti, sempre per concorso esterno, oltre quello di Pagliani, c’è il politico di Parma, Giovanni Paolo Bernini. Figura inoltre il nome di Augusto Bianchini, che ha lavorato con la sua azienda nello smaltimento delle macerie del terremoto e nelle opere di ricostruzione per il sisma del 2012.

Lanzetta a Oliverio.”Non entro con De Gaetano”. La doppia morale del Pd e lo “sgarbo” ricevuto dal ministro

IRRITATA Maria Carmela Lanzetta
IRRITATA Maria Carmela Lanzetta

E’ bufera in Calabria sulla giunta Oliverio, l’esecutivo nominato domenica scorsa dal governatore. Il ministro agli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta, con un annuncio clamoroso, afferma di non essere disposta ad entrare a far parte della giunta regionale della Calabria. Il pomo della discordia, sarebbe (sarebbe) la presenza nell’esecutivo dell’assessore Nino De Gaetano il cui ruolo (non è indagato) nell’inchiesta “il Padrino” – che ha portato alla sbarra il clan mafioso Tegano di Reggio Calabria – “non è chiaro”.

Una doccia gelata per il governatore, che proprio ieri l’altro aveva smorzato sul nascere le polemiche che avevano accompagnato l’esponente del governo Renzi dalla “larga” piazza Colonna alla “stretta” via Sensales, a Catanzaro, dove ha sede la giunta regionale: “Sono stato io a volerla in Calabria, dopo aver parlato con Renzi”, ha detto.

Nella conferenza stampa di ieri pomeriggio dopo la prima giunta, Oliverio plaude al “suo” assessore: “Non so da cosa derivino le perplessità. Ho nominato Nino De Gaetano non solo perchè lo conosco e sono sicuro di quello che ha fatto, ma anche perchè nella sua nomina c’è grande rispetto nella magistratura”.

Lanzetta, in una nota all’Ansa, spiega la sua decisione con il fatto che “non ci sono le condizioni di chiarezza sulla posizione dell’assessore Nino De Gaetano”. Proprio su De Gaetano stasera anche in una “velina” di palazzo Chigi attribuita al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, si legge di aver rivolto un messaggio al presidente Oliverio sostenendo che le vicende di voto di scambio di cui è al centro lo stesso De Gaetano, anche se quest’ultimo non è indagato, non sono sufficientemente chiarite. Una sfida aperta del governo al presidente calabrese. Nessun virgolettato. Ed  è giallo se effettivamente sia stato il renziano a far diramare quella nota che non è stata comunque smentita e questo genera non pochi dubbi sulla comunicazione tra lui e il premier Matteo Renzi…

“Io presenterò formalmente le dimissioni da ministro venerdì mattina – ha detto Maria Carmela Lanzetta -, dopo aver presieduto l’osservatorio sulle Regioni e la conferenza Stato-Regioni. Dopo avere parlato con Matteo Renzi e dopo aver approfondito la questione con Graziano Delrio riguardo all’accettazione della mia presenza nella Giunta regionale della Calabria, ringraziando fortemente Mario Oliverio, ho deciso di non fare parte dell’Esecutivo. Non c’è chiarezza sulla posizione di Nino De Gaetano, pur avendolo conosciuto come assessore regionale impegnato nella difesa dei lavoratori precari”.

I MALUMORI ALL’INTERNO DEL PD E DELL’ASSOCIAZIONISMO ANTIMAFIA

La scelta del ministro – che in molti ritengono “icona” antindrangheta per le minacce subite quand’era sindaco di Monasterace – è stata probabilmente “condizionata” anche dai malumori crescenti dentro il Pd e nel mondo dell’associazionismo antimafia e legalitario presente nella regione. Senza dimenticare che a palazzo Chigi operano pure persone del calibro di Nicola Gratteri.

Proprio ieri mattina, la presidente di “Riferimenti”, Adriana Musella si era dimessa dall’associazione antimafia in forte dissenso con la regione: “Non è una questione di sinistra o destra ma è una questione di sistema marcio che pervade la società politica a 360 gradi. Attualmente la regione è governata da forze massoniche trasversali. Chiedo ufficialmente alla Procura di Reggio Calabria un’indagine approfondita sul voto regionale”. Musella, vicina al presidente del Senato Piero Grasso, in conferenza stampa era accompagnata da Angela Napoli, presidente dell’associazione “Risveglio Ideale” ed ex storica esponente della Commissione parlamentare antimafia.

IL COINVOLGIMENTO DI DE GAETANO (NON INDAGATO) NELL’INCHIESTA PER PRESUNTO VOTO DI SCAMBIO

De Gaetano, ex Rifondazione comunista, approdato al Pd da un paio d’anni, nell’inchiesta “Il Padrino” non risulta iscritto nel registro degli indagati. Tuttavia, nel 2012 la Squadra mobile di Reggio Calabria aveva chiesto il suo arresto per presunto voto di scambio con le ‘ndrine.

I suoi santini elettorali, riferiti alle elezioni regionali del 2010, furono trovati nel covo del presunto boss Giovanni Tegano, prima latitante e ora in carcere. Il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho lo scorso mese di dicembre affermò che sulla vicenda di De Gaetano “sono ancora in corso accertamenti”. L’esponente politico si è sempre difeso dichiarandosi estraneo alla vicenda. Che sarebbe tutta “una congiura” orchestrata ai suoi danni per troncargli la carriera politica.

In una nota, dopo che è scoppiato il caso, l’assessore fa sapere di aver fiducia nella magistratura e che è disposto a rassegnare le dimissioni qualora fossero accertate “reità” a suo carico. Anche Oliverio, in una dichiarazione, ha espresso rammarico anche se tra le righe ammette che lui andrà avanti.

ROMA HA ACCERTATO RESPONSABILITA’ DI DE GAETANO? 

Sul caso De Gaetano non è comunque escluso che i vertici romani abbiano appurato “responsabilità precise” dell’esponente reggino nell’inchiesta “il Padrino”, quindi meglio sollevare il problema oggi che dopo una ipotetica azione della magistratura. Del resto Renzi e Delrio hanno tutti i mezzi per accertarlo: lasciando da parte la commissione Antimafia, a palazzo Chigi operano magistrati come Gratteri e altri. Poi ci sono il ministero dell’Interno e della Giustizia e, fra gli altri. i Servizi segreti guidati da Marco Minniti. Non ci vuole poi tanto per avere notizie riservate e di prima mano.

IL PROBLEMA POLITICO DI OLIVERIO

Adesso per Mario Oliverio si apre un problema politico imbarazzante che mai avrebbe voluto affrontare: ossia, dare spiegazioni e scegliere tra il ministro e De Gaetano. Darà ascolto all’appello” di Delrio oppure procederà, appunto, per la sua strada? Ergo, (salvo clamorose decisioni…) sarà costretto a “dimissionare” proprio l’assessore che più di tutti è stato frutto di una sua decisione autonoma.

L’ex assessore al Lavoro, infatti, non era stato ricandidato dai vertici del Pd calabrese in osservanza al regolamento interno che sancisce massimo due mandati. Sebbene De Gaetano abbia fatto una legislatura con Rifondazione e una mezza col Pd. In cambio, la “promessa” del “candidato” Oliverio: in caso di vittoria lo avrebbe premiato come assessore. Una promessa mantenuta, ma evidentemente pagata a caro prezzo.

LA REAZIONE ALLA CACCIATA DA PALAZZO CHIGI

Perché nessuno immaginava la reazione della ministra che oggi ha restituito con gli interessi “l’operazione maldestra” che più di qualcuno avrebbe condotto ai suoi danni per defenestrarla dal governo (i bene informati sostengono sia raffinata (e presunta) opera di Marco Minniti, Matteo Renzi e Magorno per liberare una casella di ministro proprio per il sottosegretario con delega ai Servizi nel prossimo rimpasto. Oliverio, Lanzetta l’avrebbe solo subita o comunque trattata sotto compromesso politico, tant’è che ne rivendica la paternità: “L’ho voluta io”). Vista da un’altra angolatura, è anche lecito pensare che dietro il “rifiuto” della Lanzetta possa esserci proprio “lo sgarbo” subito a sua insaputa dai presunti autori sopra citati.

IL PRETESTO DE GAETANO, LA DOPPIA MORALE DEL PD E LE OMBRE NEL GOVERNO RENZI

Non è infatti azzardata l’ipotesi che De Gaetano potrebbe essere solo un pretesto, se è vero, com’è, che nel Consiglio dei Ministri l’ex sindachessa “antimafia” siede da un anno accanto a colleghi indagati o sotto processo. Una doppia morale che dice molto sul giallo delle dimissioni e del “trasferimento” d’ufficio nella giunta calabrese. Quel che è certo è che né lei né tantomeno il sottosegretario Delrio hanno mai diramato note di dissenso quando il caso Gentile ha fatto conoscere al mondo i sottosegretari inquisiti e che sono ancora al loro posto. Mai hanno posto problemi di ordine “morale” su Bubbico e compagni. Ecco perché De Gaetano appare un pretesto, nonostante l’imbarazzo che la sua nomina abbia potuto creare per la nota vicenda. Per Super Mario c’era solo una questione di opportunità politica, certo; ma ha voluto “sfidare” l’intellighentia salottiera, i cosiddetti detentori del potere morale dentro il Pd. 

LA VERITA’ SVELATA DOMENICA DALLA LANZETTA A REPUBBLICA

Domenica (lo stesso giorno dell’annuncio della squadra calabrese da parte di Oliverio) “La Repubblica” pubblicava un pezzo in cui Lanzetta svelava la sua verità. Eccola:

Scrive il giornalista Giuseppe Baldessarro, che ha sentito il ministro sabato per poi uscire domenica 25: “[…] Questo “richiamo a casa” sta infastidendo il ministro agli Affari regionali, quantomeno «per la poca chiarezza», dice lei, che aleggia attorno alla vicenda.

Lanzetta ha sempre detto di essere a disposizione del partito”. “E tuttavia non usa mezzi termini: «Sento Oliverio tutti i giorni per le vicende calabresi che riguardano il mio ministero e non mi ha mai proposto nulla. Dopo aver saputo le indiscrezioni che circolavano ho chiamato Delrio e Guerini, ed entrambi cadevano dalle nuvole».

Un giallo insomma, che la ministra prima di decidere qualsiasi cosa vuole risolvere: «Lunedì (domani per chi legge-ndr) a Roma ne parlerò direttamente con Renzi, tra di noi c’ è sempre stata lealtà, gli chiederò di essere esplicito come abbiamo sempre fatto tra componenti del governo».

Aggiornato il 28 gennaio 2015. Ore: 22:03

Scienza: scoperti nuovi tatuaggi sul corpo della mummia Otzi

Attraverso una tecnica fotografica non invasiva, i ricercatori dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’Accademia Europea di Bolzano (Eurac) hanno identificato tutti i tatuaggi “dell’Uomo venuto dal ghiaccio”, scoprendo sul torace un tatuaggio mai notato prima.

Il colore scuro della pelle della mummia rende infatti difficile l’osservazione a occhio nudo, ma attraverso l’utilizzo di tecniche fotografiche sofisticate è stato possibile individuare e classificare anche tatuaggi presenti negli strati più profondi della cute.

I tatuaggi dell’Iceman erano stati notati fin dal giorno del suo ritrovamento, il 19 settembre 1991. Da allora sono stati svolti diversi studi per cercare di identificarli e di contarli. La tecnica utilizzata da Marco Samadelli, ricercatore dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’Eurac, ha reso possibile la mappatura completa dei tatuaggi di Otzi che sono tra i piu’ antichi al mondo presenti su un corpo mummificato.

I 61 tatuaggi rinvenuti sul corpo di Otzi sono linee lunghe dai 7 millimetri ai 4 centimetri, nella maggior parte dei casi disposte parallelamente in gruppi di due, tre o quattro linee. Tra questi anche due croci. E’ stato poi notato un nuovo tatuaggio situato a destra sul basso torace, in una posizione insolita rispetto agli altri tatuaggi collocati soprattutto sulla parte bassa della schiena e sugli arti inferiori, nella zona compresa tra il ginocchio e il piede.

Basandosi sulla posizione dei tatuaggi, alcuni studiosi avevano ipotizzato che si trattasse di un trattamento terapeutico, una sorta di agopuntura, per alleviare il dolore alle articolazioni. Il nuovo tatuaggio sul torace riapre il dibattito sull’utilizzo dei tatuaggi in epoca preistorica.

Allarme meningite a Fano: muore bimbo, profilassi per 100 persone

Allarme meningite nel Fanese. è in programma per domani l’autopsia sul corpo di Francesco, il bimbo di 10 anni morto ieri mattina nell’ospedale “Santa Croce” di Fano, con il sospetto di una meningite meningococcica.

L’esame autoptico si andrà ad aggiungere ai prelievi già effettuati ieri mattina, in occasione del ricovero al pronto soccorso in codice rosso: si dovrà chiarire se a stroncare il bambino sia stata effettivamente una meningite fulminante.

Secondo quanto scrive l’Agi, il bambino, figlio unico di una coppia di Orciano, è stato bene fino a sabato, quando si sono manifestati i primi sintomi di una malattia, con vomito e febbre, che si sono aggravati nella notte. All’alba, i genitori hanno deciso di portarlo al pronto soccorso dell’ospedale di Fano, dove i medici hanno dovuto far fronte a “un quadro clinico allarmante” e lo hanno trasferito immediatamente in rianimazione, dove le sue condizioni si sono ulteriormente aggravate e, nel giro di meno di due ore, è morto.

Sono almeno un centinaio coloro che, sin da ieri, si sono sottoposti alla profilassi a base di antibiotico, avviata dall’autorità sanitarie fanese dopo la morte di Francesco. I farmaci erano già disponibili nel pomeriggio di ieri, grazie a una staffetta dei carabinieri, che li ha prelevati da Jesi.

La sala del consiglio del piccolo comune dell’hinterland fanese si è trasformata in una specie di pronto soccorso, grazie a un’attenta mappatura di tutti coloro che, a varie titolo, erano venuti a contatto con la vittima. Sulla vicenda sono stati coinvolti e invitati a vigilare anche le guardie mediche e i medici di base.

Si tratta di una prassi collaudata per quello che, al momento, è ancora un caso sospetto di meningite e che ha interessato – come hanno spiegato questa mattina Nicola Nardella, direttore medico dell’ospedale “Santa Croce” di Fano, Massimo Agostini, del dipartimento di salute pubblica, Cristina Cattò, della direzione sanitaria, e Giovanni Cappuccini – 20 operatori sanitari dell’ospedale, altri 24 adulti e 68 bambini, che si sono presentati in parte spontaneamente o che sono stati rintracciati tra coloro che, sabato mattina, avevano frequentato, insieme a Francesco, la mensa scolastica, la piscina e la parrocchia.

Anche questa mattina, altre persone hanno contattato le autorità sanitarie per chiedere di essere sottoposti alla profilassi: l’accoglimento delle richieste verrà valutato caso per caso. La profilassi per gli adulti prevede una sola dose di antibiotico, mentre “i bambini verranno trattati con una doppia somministrazione giornaliera per due giorni”.

Pirateria stradale: incidenti in calo, ma più pirati

Calano gli incidenti, crescono gli episodi di pirateria stradale. A parlare di “fenomeno incontenibile” è l’Osservatorio il Centauro-Asaps, che nel 2014 ha monitorato 1.009 episodi di omissione di soccorso (+3,7% rispetto al 2013) con 119 persone uccise e 1.224 ferite.

Il 57,8% dei “pirati” è stato smascherato (il 2% in più dell’anno precedente): dei 583 identificati, 121 sono stati arrestati (il 20,8% contro il 26,9% del 2013), 462 (il 79,2%)denunciati in stato di libertà. In un caso su 5 (il 19,6%) è stato accertato che i responsabili dei sinistri avevano fatto so di alcol o droga, “ma è un dato – spiega l’Associazione amici sostenitori polizia stradale – che deve essere accolto con largo difetto per essere considerato attendibile”.

Nel dettaglio, l’anno passato gli eventi mortali sono stati 116 (11,5%), quelli con lesioni 893 (88,5%). “L’Osservatorio – ricorda il presidente dell’Asaps, Giordano Biserni – prende in considerazione solo gli atti di pirateria più grave, quelli che ‘bucanò la cronaca o che i nostri 700 referenti sul territorio selezionano sulla scorta di precisi standard di riferimento”.

Lo studio tiene conto anche della presenza di pirati stranieri: nel 2014 sono stati 141, il 24,2% di quelli identificati; 111, invece, gli stranieri vittime di episodi di omissione di soccorso, pari all’11% del totale fra feriti e deceduti. L’84,3% degli atti di pirateria – 851 contro 158 – avviene di giorno. Ancora una volta sono le categorie deboli della strada, in modo particolare bambini e anziani, a pagare un prezzo altissimo in termini di mortalità e lesività: sono stati coinvolti 132 minori e 152 anziani, rispettivamente il’13,1% e il 15,1%.

“Tra i minori – sottolinea Biserni – quelli di età inferiore ai 14 anni, cioè i bambini, rimasti vittima di questo atto di vigliaccheria stradale sono stati in tutto 81 (55 lo scorso anno), 5 dei quali sono rimasti uccisi (4,2%) e 76 feriti (6,2%)”. I pedoni restano la categoria più tartassata, con 410 eventi: 46 le vittime, pari al 38,6% dei decessi complessivi, e 414 i feriti (33,8%).

Infine i ciclisti: 155 gli episodi, con 24 decessi (20,2%) e 145 ricoveri (11,8%). La geografia dei casi monitorati vede al primo posto la Lombardia, con 141 episodi (15,9%), al secondo l’Emilia Romagna con 105 eventi (11%), a seguire il Veneto (94), il Lazio (92), la Campania (88), la Toscana (71), la Sicilia (70), la Puglia (66). Un solo caso in Basilicata e due in Valle D’Aosta. Roma ha collezionato, da sola, 39 eventi gravi, il 3,9% del totale.

Quanto all’identikit del pirata, “nella maggior parte dei casi – ricorda il presidente dell’Asaps – si tratta di uomini di età compresa tra i 18 ed i 45 anni, spesso sotto l’effetto di sostanze alcoliche o stupefacenti. Sulla scelta di fuggire, hanno rilievo consistente il timore di perdere i punti della patente e lo stesso documento di guida. In netta crescita i casi di veicoli con assicurazioni scadute o addirittura false, circostanza accertata in almeno 52 circostanze, pari al 9% dei casi, ma probabilmente la cifra deve considerarsi più elevata”.

“Inconsistenti”, per Biserni, le pene previste: da tre mesi a tre anni. “Solo in caso di incidente mortale con fuga si rischia oggi di rimanere per un certo periodo in cella. Ma non si hanno notizie specifiche in proposito per i 119 pirati che hanno ucciso nel 2014, neanche nei casi di ubriachezza o droga. La condanna media per chi ha ucciso e si è dato alla fuga è quella assurdamente irridente di due anni e 4 mesi”. (Agi)

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