6 Ottobre 2024

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Strage in Ucraina, 15 morti alla vigilia del vertice di Minsk

Alla vigilia dell’atteso vertice a quattro a Minsk, in Bielorussia, tra Vladimir Putin, Francois Hollande, Angela Merkel e Petro Poroshenko per cercare un accordo di pace, si compie l’ennesima strage in Ucraina.

Dopo il massacro di civili a Mariupol di due settimane fa, alcuni razzi delle “milizie filorusse” avrebbero colpito (condizionale d’obbligo), questa mattina, il quartier generale delle forze armate di Kiev e una zona residenziale nella cittadina di Kramatorsk, nella “zona rossa” orientale del paese.

Il bilancio del raid è al momento di 15 morti e oltre sessanta feriti. Ma potrebbe salire.

Poco prima del massacro era giunta la risposta del Cremlino alle affermazioni del presidente Usa Barack Obama, che ieri aveva accusato Putin di aver violato gli accordi di Minsk per il cessate il fuoco.

Strage di civile in Ucraina“Se gli Stati Uniti decideranno di armare l’esercito di Kiev, nel sud-est ucraino ci sarà un’ulteriore escalation del conflitto” ha detto il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolai Patrushev.

Sempre in queste ore, 2mila soldati russi hanno iniziato le esercitazioni militari nel sud-ovest della Russia. La tensione è alle stelle nell’est europeo. Intanto non si ferma l’offensiva dei separatisti orientati alla conquista di Mariupol, città strategica per l’industria metallurgica

Barack Obama e Vladimir PutinSe gli Stati Uniti decideranno di armare l’esercito di Kiev, nel sud-est ucraino ci sarà ”un’ulteriore escalation del conflitto”: il monito di Mosca accompagna le ultime tese trattative notturne a Minsk alla vigilia del summit che è considerato da Whashington “l’ultima chance” diplomatica per riportare la pace nel martoriato Donbass.

In serata il presidente Obama ha telefonato a Putin e lo invita a cogliere l’occasione negoziale di Minsk, ma denuncia anche i nuovi scontri e le vittime delle ultime ore, ammonendo a sua volta che i costi per la Russia “aumenteranno” se non si fermeranno le sue “azioni aggressive” nell’Ucraina dell’est.

Stefano Caldoro: "Da dati Istat la Campania cresce e non perde ricchezza"

Stefano Caldoro
Stefano Caldoro

“Il report dell’Istat sull’economia nazionale italiana mostra due dati. Il primo riguarda il Pil e ci dice che che in questi ultimi due anni l’unica Regione che, insieme alla provincia di Bolzano, non ha perso ricchezza è la Campania”.

Lo ha spiegato il presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, commentando le statistiche pubblicate ieri e che si basano sul biennio 2011-2013.

“Il secondo dato molto significativo – ha aggiunto il governatore – è quello che riguarda l’occupazione. In questo caso l’unica Regione che sta un passo avanti alla Campania è la Lombardia (con un + 0.4%)e le Province autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente +1,3% e +2,2%).

Le altre regioni del Sud invece sono in fondo alla classifica. La Sicilia per esempio – ha sottolineato Stefano Caldoro – è a – 7%, la Puglia a – 5%. Questo dimostra che nel momento in cui c’è una crisi durissima il lavoro serio che abbiamo fatto qui in Campania ha prodotto risultati migliori che nelle altre regioni”.

Infine il numero uno di Palazzo Santa Lucia: “Quando ci sarà una ripresa consistente in Campania? Dipende dall’Europa dalle politiche nazionali. E’ evidente che dagli ultimi indicatori, si evince che forse, questa ripresa si vedrà nel 2015-2016 con un leggero incremento del Pil.

Anche perché – ha concluso Stefano Caldoro – in questo report sono assenti i dati che riguardano i cantieri aperti nell’ultimo anno, forse già dall’anno prossimo possiamo aspettarci un dato molto più che positivo.

Foibe, Mattarella nel giorno del Ricordo: "Pagina strappata"

Sergio Mattarella
Il capo dello Stato Sergio Mattarella

«Per troppo tempo le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell’esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia».

Lo ha dichiarato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo aver partecipato alla celebrazione del Giorno del Ricordo in memoria degli infoibati dal comunismo nel secondo dopoguerra.

«Il Parlamento – ha aggiunto Mattarella – con decisione largamente condivisa ha contribuito a sanare una ferita profonda nella memoria e nella coscienza nazionale.

Oggi la comune casa europea permette a popoli diversi di sentirsi parte di un unico destino di fratellanza e di pace. Un orizzonte di speranza nel quale non c’è posto per l’estremismo nazionalista, gli odi razziali e le pulizie etniche».


“L’Italia vi deve molto – ha detto rivolgendosi ai parenti degli esuli la presidente della Camera Laura Boldrini  – perché con il vostro instancabile impegno avete impedito che venisse cancellata definitivamente la memoria dell’orrore del quale rimasero vittime migliaia di uomini, donne e bambini. Perché un Paese che nasconde la verità non può mai essere un Paese libero e democratico”. In un Twitt Boldrini è presa di mira dalla rete per aver sbagliato l’anno dell’istituzione attribuendola al 1992, quando invece è del 2004. “92 è il numero della legge”, le ricorda Giorgia Meloni.

Il presidente del Senato, Pietro Grasso, sceglie invece Facebook per ricordare le vittime di Tito. “Non esiste futuro per un Paese che sottovaluta o dimentica il proprio passato”, ha scritto il presidente. Anche il premier Matteo Renzi su Twitter. “Onoriamo il #giornodelricordo per non dimenticare l’orrore delle Foibe e il dramma dell’esodo che toccò a tanti nostri connazionali”.

Un po’ in tutta Italia si sono svolte celebrazioni in ricordo delle vittime delle Foibe di Istria, Fiume e Dalmazia. In mattinata a Milano il prefetto, Francesco Paolo Tronca, ha consegnato i riconoscimenti conferiti dal presidente della Repubblica ai parenti di tre vittime delle foibe, Virginio Calegari, Angelo Meazzi ed Elena Pezzoli.

Corpi recuperati dalle FoibeIl sindaco di Roma, Ignazio Marino ha deposto una corona all’Altare della Patria per ricordare i morti delle foibe. “Quello delle foibe – ha affermato il primo cittadino – è un altro capitolo drammatico della storia del ‘900 e anche questa tragedia orribile, e quasi incomprensibile, deve essere ricordata e trasmessa ai nostri ragazzi, ai nostri figli e ai nostri nipoti.

Non dobbiamo mai stancarci o pensare di essere ripetitivi quando affermiamo la necessità di allontanarci dalla cultura dei nazionalismi che tanti lutti, violenza e dolore hanno portato nel nostro continente. Questo è assolutamente essenziale e lo è ancora di più oggi che riaffiorano movimenti che vorrebbero ricondurre a quelle ideologie che hanno portato guerra, devastazione e morte”.

Per l’ex premier Silvio Berlusconi “oggi il nostro pensiero va a tutti coloro che furono condannati ad una morte atroce per la sola colpa di essere italiani e di non volersi assoggettare alla tirannide comunista. Ricordiamo con loro anche tutti gli italiani dell’Istria e della Dalmazia, costretti a lasciare la loro terra, la loro casa, i loro beni”.

Poi il presidente di Forza Italia ricorda che “il nostro governo volle l’istituzione di questa giornata come risarcimento morale verso le vittime delle Foibe, ma anche per non consentire quella lettura di parte della storia Patria che la Sinistra per decenni ha tentato di imporre al fine di affermare una superiorità morale clamorosamente smentita dalla realtà”, ha conluso.

Foiba 149Gli fa eco il vicepresidente del Senato Maurizio Masparri: “A undici anni dall’istituzione della Giornata del Ricordo dei martiri delle Foibe non si è fatto ancora abbastanza per ricomporre la memoria della nostra Nazione”. Gasparri ha deposto una corona al monumento per i martiri delle Foibe di via Laurentina a Roma.

Secondo la governatrice del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani “come Paese abbiamo già fatto passi in avanti notevoli con il riconoscimento della “Giornata del Ricordo” (istituita da Ciampi nel 2004, ndr), ma il ricordo richiede un impegno civile quotidiano e questo vale anche per l’Europa i cui confini sono segnati da guerre terribili e da barbarie”, ha detto Serracchiani a margine della cerimonia alla Foiba di Basovizza.

Il leader della Lega Nord Matteo Salvini ha ricordato su Facebook gli “oltre 10.000 morti, compresi donne e bambini, massacrati (e a lungo dimenticati) solo perché non erano comunisti. Una preghiera e un impegno per non dimenticare”.

Mentre l’ex ministro e leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sempre su Twitter ha lanciato il “tweetstorm” con l’hashtag #10febbraio” in Ricordo dei martiri delle Foibe e del dramma dell’esodo giuliano-dalmata”.

Allarme terrorismo. Pugno di ferro del governo

Allarme terrorismo. Il governo approva norma severa
Pinotti, Alfano e Orlando durante la conferenza stampa di oggi

Stretta contro i fiancheggiatori della jihad islamica. Il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto legge per fronteggiare l’allarme terrorismo nel nostro paese. Un provvedimento d’urgenza che contiene regole più dure per il contrasto al terrorismo internazionale, in particolare di matrice islamica, i cui livello di allerta è salito dopo l’attentato a Charlie Hebdo il mese scorso a Parigi.

Il ministro dell’Interno Angelino Alfano in una conferenza stampa a Palazzo Chigi insieme ai ministri Pinotti e Orlando ha esposto anche la linea dura per chi va a combattare all’estero per lo stato islamico e non solo.

“Nella sostanza – ha affermato Alfano – andare a combattere all’estero è diventato reato. Prima era reato solo il reclutare, da stasera è reato andare a combattere all’estero”.

La norma prevede la reclusione da 3 a 6 anni di per chi si arruola in organizzazioni terroristiche e sono appunto pene per istigazione e apologia di terrorismo via Internet. Sarà stilata una lista nera dei siti che inneggiano al terrorismo e ci sarà da parte delle autorità competenti il potere di oscuramento dei siti.

Nel decreto legge è previsto l’arresto per chi detiene materiali destinati alla fabbricazione di esplosivi e per chi omette di denunciare il furto degli stessi.

Sono anche rafforzate le misure di prevenzione innalzandole ai livelli attuali per i mafiosi o sospetti tali. “Si potranno adottare nei confronti dei sospettati di terrorimo le stesse misure di prevenzione già adottate per i sospettati di mafia”, ha spiegato Alfano.

Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha annunciato anche la creazione di una procura nazionale antiterrorismo sul modello di quella antimafia.

Il governo ha poi deciso di potenziare il dispiegamento di militari a presidio degli “obiettivi sensibili”: da 3.000 passeranno a 4.800 nel quadro dell’operazione “strade sicure”.

Per quanto riguarda le espulsioni di sospetti terroristi, il ministro dell’Interno – affermando che gli stranieri espulsi dall’Italia perché giudicati pericolosi per la sicurezza nazionale sono aumentati da 9 a 15 – ha detto che “sono stati rafforzati i poteri di espulsione dei prefetti nei confronti di stranieri sospetti. Stretta pure su quanti chiedono il “ritiro del passaporto e di documenti validi per espatrio”.

Quanto all’Expo di Milano che inizierà il primo maggio per concludersi a ottobre, Alfano ha sottolineato che alla sicurezza dell’evento parteciperanno altri 600 militari in aggiunta alle forze dell’ordine già previste.

Il Consiglio dei ministri ha infine deliberato la proroga delle missioni militari all’estero, alle quali si aggiunge quella contro l’Isis in Iraq, ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti.

La Sinistra di Renzi e la Destra smarrita. Cosa manca a quest’area?

Matteo Renzi, sullo sfondo Silvio Berlusconi
Matteo Renzi. Sullo sfondo Silvio Berlusconi (R.Monaldo / LaPresse)

Ernesto Galli della Loggia per il Corriere della Sera

Tutto lascia credere che l’elezione del presidente della Repubblica, avendo mandato all’aria il cosiddetto patto del Nazareno, abbia posto fine a quella strategia dei «due forni» sulla quale il governo Renzi ha fin qui potuto contare: cioè l’uso di maggioranze parlamentari di volta in volta diverse, includenti oppure no Forza Italia, a seconda dei provvedimenti da votare.

Il che, tuttavia, non ha certo cancellato quello che è forse l’elemento chiave che nel nostro sistema politico nato nel 1994 assicura fisiologicamente, come un fatto abituale, un grosso vantaggio competitivo alla Sinistra rispetto alla Destra.

Beninteso, ve ne sono parecchi, di questi elementi fisiologici di preminenza: il fatto, tanto per cominciare, che la Sinistra ha dietro di sé settori della società civile più compatti e in certo senso più strategici (ad esempio i media e la cultura); che può contare in linea di massima su una maggiore motivazione, e quindi fedeltà, del proprio elettorato; che essa ha maggiore familiarità e conoscenze con personalità e circuiti politici internazionali.

Ce n’è uno però, come dicevo, più importante degli altri. Questo: la Sinistra, quando è al governo, sa e può fare,pur se entro certi limiti e per intenderci alla buona, politiche sia di sinistra che di destra, dal momento che sa che anche in questo ultimo caso conserverà comunque i propri voti, e in più attirerà quasi certamente voti dal campo avversario.

La Destra invece no: essa sa e può fare (quando pure ci riesce) solo politiche di destra; e dunque al massimo può conservare il bacino elettorale suo proprio non potendo tuttavia sperare di ampliarlo di molto.

Nella Seconda Repubblica ha funzionato così. Specialmente, come dicevo sopra, per effetto del diverso grado di fedeltà e di senso di appartenenza – o se si preferisce di «laicità» – che esiste in Italia tra il «popolo» di sinistra e quello di destra.

Anche se è vero che in compenso la Destra gode del vantaggio di partenza di rappresentare socialmente la maggioranza del Paese. Sta di fatto che nel gioco politico iniziatosi nel ’94 mentre la prima riesce a disporre di due strade la seconda è sembrata sempre capace di percorrerne una sola.

Di tutto ciò, come ha mostrato ieri su queste colonne Michele Salvati, l’azione finora svolta da Matteo Renzi è il massimo esempio – ma non il solo: negli enti locali i casi sono moltissimi – di quanto sto dicendo.

Pur con vari mal di pancia perché di certo in contrasto con molte sue premesse, la Sinistra renziana, infatti, può fare liberalizzazioni, riformare la Costituzione, cancellare privilegi nel mercato del lavoro, prendere di petto i sindacati, invocare inchieste e castighi sui vigili fannulloni di Roma, dare un’immagine di sé insomma (non importa che poi la realtà sia talvolta un’altra) diversa da quella sua tradizionale, e così facendo ricevere un gran numero di consensi pure dal centro e dalla destra. Che cosa è stata capace di fare invece di analogo in senso opposto nei suoi anni d’oro la Destra?

Certo, ha pesato molto la leadership berlusconiana, i cui limiti sono divenuti presto evidenti. Specialmente la sua scarsa determinazione e la sua inettitudine a tenere insieme la maggioranza e a guidarne l’azione di governo. Che infatti è apparsa fin da subito priva di un riconoscibile orientamento generale, di un qualunque disegno, sfilacciata in mille provvedimenti dettati dall’emergenza o da puri interessi particolari.

La conclusione è stata che nei loro lunghi anni di governo, Berlusconi e i tanti che erano con lui non sono riusciti a trasmettere al Paese l’idea di che cosa potesse voler realmente dire un programma politico di destra, quali principi – se mai c’erano – essa mirasse a realizzare. Tanto meno – figuriamoci! – Berlusconi e i suoi (anche quelli che poi lo hanno abbandonato) sembrano aver mai pensato di spingersi su una strada programmatica che potesse apparire «di sinistra».

Questo è forse il principale problema che il tramonto dell’ex premier lascia in eredità alla sua parte. Se la Destra vuole tornare ad essere elettoralmente competitiva deve prefiggersi una linea che sia riconoscibilmente alternativa a quella della Sinistra, naturalmente, ma che al tempo stesso sappia interpretare anche alcune esigenze di fondo dell’ elettorato di quest’ultima. Ciò sarà possibile, io credo, ma solo a una condizione.

Una condizione che si spiega con la storia particolare del nostro Paese e delle sue culture politiche. Tra le quali quella liberal-democratica nei fatti si è sempre mostrata fragile, poco radicata e soprattutto incapace di sorreggere vaste ambizioni.

Altrove sarà diverso, è certamente diverso, ma in Italia – come del resto in molti altri Paesi dell’Europa continentale – una sostanziale contaminazione della Destra moderata con punti programmatici diversi dai propri, i quali guardino verso sinistra, è possibile solo se la Destra riesce a integrare dentro di sé, stabilmente – non già in modo estrinseco sotto forma di fragili accordi di vertice che lasciano il tempo che trovano – la cultura del cattolicesimo politico.

Berlusconi ha pensato che fosse sufficiente un’alleanza con le gerarchie ecclesiastiche all’insegna di una strumentale condivisione di «valori irrinunciabili» (a lui e al suo ambiente peraltro del tutto estranei). Ma evidentemente non di questo si tratta.

Bensì di fare i conti con quel lascito di idee e di propositi che vengono da una lunga storia e che hanno alimentato un’esperienza che è stata decisiva per la vicenda della democrazia italiana.

Altrimenti, per una Destra che oggi miri a contrastare l’egemonia renziana l’alternativa è una sola: quella di puntare spregiudicatamente su un massiccio smottamento ideologico-emotivo delle masse (popolari e non) verso particolarismi anarcoidi, verso forme di xenofobia e di antieuropeismo radicali. È la via attuale della Lega: una via tenebrosa e senza ritorno.

Swissleaks, parla Hervé Falciani: Ecco come i paperoni frodavano il fisco

di Hervé Falciani per Chiarelettere che ha gentilmente concesso alcuni brani del libro “La cassaforte degli evasori” al Quotidiano Libero

La collaborazione con l’Italia cominciò a metà del 2009, dopo il mio colloquio con il direttore della Dnef, quando era ormai chiaro che le investigazioni in Francia erano state insabbiate. In quel periodo la vicenda dei documenti della Hsbc sequestrati nel mio computer non erano ancora di dominio pubblico e il mio caso, almeno ufficialmente, non esisteva per gli italiani. Lavoravo nel segreto più assoluto con la guardia di finanza, prendendo precauzioni per evitare che qualcuno venisse a conoscenza della mia collaborazione.

Ci trovavamo nelle caserme dove, per ragioni di sicurezza, spesso la notte mi fermavo a dormire. Quando gli incontri avvenivano in un hotel indossavo un cappello per non farmi riconoscere dalle videocamere. I miei spostamenti in Italia erano organizzati dagli uomini con cui collaboravo.

A loro spiegavo come lavorava la banca, mentre aspettavamo di ottenere per via ufficiale, attraverso la richiesta di aiuto giudiziario, le informazioni complete sui conti della Hsbc, ma la Francia ha sempre rifiutato di consegnare all’Italia tutta la documentazione in suo possesso, limitandosi a trasmettere solo i dati relativi ai clienti classificati come italiani.

Hervé Falciani - Swissleaks
Hervé Falciani

Andavo spesso in Italia, soprattutto a Torino, e lavoravo in prevalenza per spiegare agli investigatori i sistemi della banca, fino a quando, dall’inizio del 2010, la guardia di finanza ricevette le prime liste della Hsbc grazie agli accordi di cooperazione amministrativa intemazionale, e allora cominciai a occuparmi anche di quelle informazioni. Poco tempo dopo, la Procura di Torino ebbe i file da Nizza.

Fu in quel periodo che in Italia si parlò per la prima volta della Lista Falciani. Fino a quel momento tutti avevano puntato a ottenere i dati sui clienti, senza occuparsi dei meccanismi, ma il procuratore della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli e l’aggiunto Alberto Perduca erano molto interessati a sapere come funzionava la Hsbc.

A loro ho raccontato molti retroscena del mondo bancario, ma non c’è stata la possibilità di fornire informazioni approfondite sul sistema degli intermediari, attraverso il quale è possibile ricostruire la rete di persone che si muovono intomo alla banca. L’Italia comunque ha avuto più informazioni degli altri paesi. La guardia di finanza ha lavorato intensamente sui dati della lista, e alcuni nomi di clienti della Hsbc di Ginevra sono finiti sui giornali. Tutto si è mosso a un livello informale e segreto ed è stato realizzato un lavoro con i servizi di investigazione su una parte ben precisa dei file della Hsbc. Gli investigatori cercavano soprattutto informazioni sui mafiosi e le hanno trovate.

A metà del 2011 alcuni funzionali dei servizi segreti italiani mi chiesero se i dati contenuti nel cloud, che non erano mai stati diffusi prima di allora, potevano essere utilizzati almeno a livello di intelligence. Mi fecero diverse proposte di lavoro, perché, una volta acquisiti i dati, bisognava sapere come analizzarli, e solo io ero m grado di farlo. Spiegai che avrei potuto continuare ad aiutarli come avevo sempre fatto, senza ricevere uno stipendio.

Il libro edito da Chiarelettere di Falciani e Micuzzi
Il libro edito da Chiarelettere di Falciani e Micuzzi

Non avevo molti soldi, ma lavoravo già all’Inria di Sophia-Antipolis e volevo essere libero di prendere le mie decisioni senza condizionamenti. Soprattutto non mi andava di essere alle dipendenze di un governo. Nonostante la mia disponibilità, l’ipotesi di entrare nel cloud fu abbandonata perché da Roma era arrivato uno stop: quei dati non si potevano ne acquisire ne analizzare. Era la fine dell’estate del 2011. In Italia il premier era Silvio Berlusconi e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

L’aspetto problematico della vicenda era che le leggi italiane, a differenza di quelle spagnole, non consentivano l’uso giudiziario di informazioni ottenute attraverso canali non ufficiali. Tuttavia la guardia di finanza ha indagato a lungo sulle banche svizzere ed è riuscita a capire che i conti aperti nella Confederazione potevano essere gestiti anche dall’Italia. Così nell’ottobre del 2009 ha perquisito le filiali italiane di diversi istituti svizzeri sequestrandone il materiale. L’operazione si è svolta contemporaneamente in tutte le sedi. Le banche però non sono mai finite sotto accusa: le indagini si sono indirizzate soltanto sui clienti che hanno depositato i soldi all’estero.

CON WASHINGTON
Nel 2009, quando cominciai a collaborare con l’Italia, fui contattato anche dagli inquirenti statunitensi, che mi proposero di andare a Washington per lavorare con loro. La questione era però complicata dal fatto che in Francia gli americani non trovavano un interlocutore a livello giudiziario per discutere del mio caso, nonostante diverse personalità francesi appoggiassero il mio viaggio negli Stati Uniti. Su questo punto ci fu uno scontro tra favorevoli e contrari. Il problema era come fare in modo che io lavorassi con gli americani restando leale ai francesi. Non volevo rischiare di diventare un nemico per la Francia, perciò decisi di collaborare con gli americani senza alcuna contropartita, restando in Europa.

Gli uomini del dipartimento di Giustizia e dell’Internai Revenue Service, che ricoprivano il ruolo di attachés all’ambasciata statunitense a Parigi ed erano protetti dall’immunità diplomatica, continuarono ad aiutarmi trasmettendomi informazioni che avrebbero potuto essermi utili, ma mi avvisarono: «Watch your back», «guardati le spalle», perché sapevano che ero in pericolo. Nel giugno del 2012, poco prima del rapporto ufficiale del Senato statunitense, il procuratore americano mi disse, riferendosi all’inchiesta sulla Hsbc, che la banca era stata beccata con le mani nella marmellata.

La tenevano in pugno, il che significava che erano m una buona posizione per negoziare. La giustizia negli Stati Uniti è una mercé di scambio, un gioco economico dove qualcuno vince e qualcun altro perde, una partita a poker con una posta in palio altissima. La banca infatti venne multata dal governo americano per una cifra di 1,9 miliardi di dollari, ma nessun dipendente fu condannato. Colpire le persone sarebbe stato come sancire il fatto che un dipendente può andare in galera se esegue gli ordini dei superiori. Così, fino a oggi, solo i lanciatori d’allerta hanno pagato con la prigione.

In fondo gli americani non sono nella condizione di poter condannare nessuno perché anche loro fanno le stesse cose: basta pensare al Delaware, a Miami e agli altri paradisi fiscali presenti negli Stati Uniti. Gli americani conoscevano tutti i segreti della Hsbc e avrebbero potuto mandare in prigione banchieri e top manager. Ma non l’hanno fatto. È stata una sorta di ricatto per indurre la banca ad accogliere le richieste degli Stati Uniti piuttosto che quelle della Svizzera. Agli americani interessa solo impedire che altri paesi possano acquisire la loro stessa forza.

Siamo nel bei mezzo di una guerra economica, ma mettere un dirigente di banca in prigione è rischioso perché è un attentato al sistema. Dire che la Hsbc è too big to jail, troppo grande per essere incriminata, è un modo per proteggere un modello economico e commerciale. Gli americani non hanno nessun interesse a mettere sotto accusa i meccanismi operativi e le transazioni bancarie. Hanno invece interesse a stabilire un accordo che porti loro qualche vantaggio e rafforzi. Non so se si possa parlare di giustizia. Tutto ciò assomiglia più a una trattativa commerciale.

La battaglia degli Stati Uniti contro la Svizzera è dovuta al fatto che gli americani hanno interesse che nel mondo circolino soprattutto capitali in dollari, mentre quelli depo- sitati nelle banche della Confederazione sono in franchi svizzeri. Gli Usa sono già avvantaggiati perché le transazioni intemazionali vengono effettuate con la loro moneta. Quando si negozia in dollari si partecipa all’economia americana e non c’è bisognodi essere negli Stati Uniti per farlo. Un mondo in dollari rappresenta la sicurezza che a decidere e a controllare tutto saranno gli Usa, perché tutti i movimenti avverranno con la loro valuta.

LEGGI ALTRI ESTRATTI DELLA LISTA FALCIANI

Può darsi che questa battaglia per la supremazia venga combattuta per non perdere posizioni nei confronti del renminbi, la moneta cinese, e che dunque il vero obiettivo sia la Cina. Ma in questo campo gli americani cercano alleati più che nemici. Hanno interesse a firmare accordi sul commercio perché i cinesi sono molto forti. Dopo aver rivolto alla Hsbc l’accusa pesantissima di aver riciclato i soldi dei narcotrafficanti, gli Stati Uniti hanno incassato la maximulta e poi si sono fermati. Probabilmente hanno stretto un accordo con gli svizzeri sul caso Hsbc, o almeno così mi è sembrato di capire lavorando con i funzionari americani.

Sicché i dirigenti della banca che non avevano dichiarato alle autorità fiscali statunitensi l’esistenza dei conti svizzeri dei clienti americani l’hanno fatta franca. Era dovere della Hsbc comunicare l’apertura di quei depositi all’Internai Revenue Service americano. Bastava andare su Facebook per capire che quelle persone lavoravano ed erano residenti negli Stati Uniti. Ma la banca non lo ha fatto.

LA BEFFA GRECA
All’inizio del 2014 incontrai a Parigi Kostas Vaxevanis, il direttore del magazine greco Hot Doc che aveva pubblicato qualche tempo prima la cosiddetta Lista Lagarde, ossia i nomi dei clienti di nazionalità greca della Hsbc Private Bank. Voleva concentrarsi su qualcosa che potesse essere spiegato con chiarezza ai suoi connazionali ed era interessato soprattutto ai casi di persone come l’ex moglie di un ministro dell’Economia o la madre dell’ex premier Papandreou. Gli dissi che è difficile chiarire la posizione di qualcuno in termini finanziari perché tutte le leggi vi si oppongono. Lui non si capacitava del fatto che fossimo costretti ad aggirare la legalità per fare in modo che le notizie sulla Hsbc e sui suoi clienti diventassero pubbliche.

Lo aveva sperimentato sulla propria pelle, visto che era stato arrestato e processato per aver divulgato i nomi della Lista Lagarde. La verità è che non è possibile ottenere queste informazioni se si rispettano le regole. Tutto è predisposto per impedirne la divulgazione, e chi si ostina a far conoscere la verità rischia di essere perseguitato dalla giustizia. In Francia la legge stabilisce che siano protetti solo i fùnzionari pubblici che rivelano un caso di corruzione, mentre per i dipendenti privati non è prevista nessuna forma di tutela.

Nel 2010 il ministro francese dell’Economia era Christine Lagarde e il responsabile del Bilancio era Francois Baroin, l’uomo che aveva rimpiazzato Eric Woerth, quello della lista dei tremila evasori francesi che avevano conti bancali in Svizzera. L’inchie sta appurò che i nomi emergevano in parte da informazioni provenienti dal ministero della Giustizia, in parte dai servizi segreti. Fu sufficiente questo annuncio per consentire ad alcuni clienti della Hsbc di avanzare il dubbio che i documenti fossero illegali perché, sostenevano, non c’era la certezza sulla provenienza dei dati. Un autogol per la Francia. Fu allora che il ministro dell’Economia Lagarde consegnò al governo di Atene la lista dei clienti greci della Hsbc.

Nel 2011 la guida delle negoziazioni con la Troika sul salvataggio della Grecia fu affidata a Sarkozy, che aveva quella lista e, conoscendone i nomi, poteva fare pressione su Papandreou. Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva lasciato che fosse il presidente francese a condurre le negoziazioni. Entrambi i paesi volevano preservare la possibilità di finanziarsi sui mercati ed evitare il rischio che la Grecia destabilizzasse il mercato del debito. Come era avvenuto negli Stati Uniti, la lista della Hsbc fu usata come arma di ricatto e mercé di scambio.

In Grecia l’elenco scomparve. Avevo chiesto a Kostas Vaxevanis di parlare con un magistrato di sua conoscenza e di metterlo in contatto con i francesi, ma non è stato possibile. Bastava un giudice in ogni paese per far aprire un’inchiesta, ma in Grecia, come altrove, non è mai stata avviata formalmente alcuna indagine”.

Venti di guerra in Europa. Gelo Usa-Russia. Obama: Invierò armi all’Ucraina

Soffiano venti di guerra in Europa. “Se la diplomazia fallisce gli Stati Uniti sono disposti a inviare armi letali a Kiev”. E’ questo “l’ultimatum” che gli Usa inviano a Mosca per bocca di Barack Obama. La Casa Bianca non ha ancora deciso “ma per difendere l’Ucraina dall’aggressione russa siamo pronti”, ha detto Obama in conferenza stampa con la cancelliera Angela Merkel.

Secondo Whashington Putin avrebbe violato gli accordi di Minsk. La cancelliera tuttavia si è detta “contraria”, all’eventuale decisione degli Usa di armare Poroshenko, l’esponente che è stato piazzato al potere dopo il colpo di Stato (con la cosidetta rivoluzione euromaidan), e il cui regime sta massacrando migliaia di persone nel Donbass, popolazione ucraina ma che sente filo-russa.

L’opzione in ogni caso “resta sul tavolo”, ha aggiunto Obama. “Stiamo considerando l’ipotesi di fornire armi” a Kiev “se la soluzione diplomatica dovesse fallire”. “La prospettiva di una soluzione militare è sempre stata bassa” ha detto il presidente americano e “si andrà avanti sulla strada delle sanzioni verso la Russia”, se non vi sarà da parte russa la reale volontà a collaborare per arrivare ad una soluzione sul conflitto civile a sud dell’Ucraina.

Merkel e Obama discutono della crisi Ucraina (Epa/Kappeler) venti di guerra in europa
Merkel e Obama discutono della crisi Ucraina (Epa/Kappeler)

Un corpo a corpo che fa tremare il vecchio continente e gela le diplomazie Ue, finora apparse (al netto della Germania) inadeguate ad affrontare una crisi di questa portata. E lo fanno intuire le deboli prese di posizione dell’Ue che fino al precipitare degli eventi, ha vagato nel vuoto. L’Italia è inesistente in politica estera. Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ieri aveva affermato che “non c’è alternativa alla soluzione diplomatica”, cercando di proseguire sulla linea del dialogo.

Una posizione che viene però indebolita oggi da Obama che ha eretto un muro nei confronti di Vladimir Putin a cui non vuole offrire altri margini per far acquisire a Mosca ulteriore credibilità nei confronti degli altri partner russi, quelli asiatici in primo luogo.

La linea dura del proseguimento delle sanzioni, che Obama pone come alternativa all’invio di armi a Kiev, è il fattore che più di tutti ha incrinato i rapporti tra Mosca e l’occidente dopo l’annessione della Crimea, a seguito del quale Ue e Usa in modo unilaterale hanno deciso di estromettere la superpotenza dal G8. Un braccio di ferro tra i due giganti che potrà portare ad uno scontro armato di proporzioni inimmaginabili. Con l’Ue costretta a fare da spettatore in casa propria.

Intanto Mosca rispedisce al mittente l’aut aut di Obama facend sapere che le intenzioni di nuove sanzioni alla Russia e di inviare armi a Kiev “mirano a destabilizzare la situazione”. Lo ha affermato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, secondo il quale la Russia è “realmente interessata a risolvere la crisi”. Ma, “al contrario – ha aggiunto – tutti gli altri progetti di rinforzare le sanzioni, isolarci, di inviare armi, sono tutti passi che, purtroppo, mirano a destabilizzare la situazione”, ha spiegato Peskov, citato dall’agenzia RIA news agency.

Come aveva già fatto il presidente Vladimir Putin, il suo portavoce ha poi negato che nell’incontro a Mosca tra il presidente russo, il Cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Francoise Hollande di venerdi scorso siano stati dati ultimatum a Mosca. “Nessuno può usare questi toni con noi”, ha avvertito.

Regge il patto tra Salvini e Berlusconi. "Uniti contro Renzi". Ma c'è il nodo Alfano

Incontro casuale Salvini Berlusconi a Cesano Boscone -- Oggi
Incontro tra Salvini Berlusconi a Cesano Boscone – (Oggi)

Il patto tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi comincia a prendere forma. Dopo una serie di telefonate e qualche incontro non ufficiale nei mesi scorsi i due si sono visti oggi ad Arcore per sancire la santa alleanza contro Matteo Renzi e il centrosinistra.

All’indomani dell’archivizazione del patto del Nazareno, il leader di Forza Italia è orientato a fare opposizione a tutto campo e cerca nella Lega il maggiore alleato a Nord quanto al Centrosud sia alle prossime regionali che saranno l’anteprima delle future politiche.

L’obiettivo non dichiarato è di tornare a essere la “gloriosa” Casa delle Libertà che ha permesso al centrodestra di iniziare a governare il ’94. Salvini, secondo quanto scritto nei mesi scorsi, avrebbe la responsabilità di raccogliere il consendo di quanti non votano più Forza Italia e mantenerlo negli argini del centrodestra.

I due nell’incontro formale di oggi hanno fatto il punto per prepararsi alle regionali di maggio con la Lega che si presenta in tutte e sette le regioni che torneranno alle urne. Salvini e Berlusconi hanno anche affrontato il nodo delle alleanze, argomento spinoso sia per l’ex premier che per il leader del Carroccio. E’ risaputo che entrambi non amano l’Ncd di Alfano, ma per evitare la disastrosa dèbacle in Calabria e Emilia Romagna, i due sono “costretti” a cercare un accordo elettorale con il ministro dell’Interno prima che Renzi faccia cappotto.

Tra Berlusconi è Alfano negli ultimi tempi le tensioni si sono “ammorbidite” ma persistono veti incrociati tra Ncd e la Lega, con il primo che in Campania non vuole Salvini in coalizione e il segretario leghista non vuole Alfano in Veneto.

“Ci è stato assicurato che Forza Italia rimarrà all’opposizione” del governo Renzi, “ma da qui a parlare di una accordo a 360 gradi ce ne passa”, ha riferito Salvini in una confernza stampa in via Bellerio dopo l’incontro di lunedi a villa san Martino con l’ex cavaliere. Una dichiarazione che potrebbe stemperare le tensioni nel Carroccio.

Salvini va avanti per spiegare ancora che “la decisione di Forza Italia di aver tagliato il cordone ombelicale con Renzi “ci riempie di gioia”. Ma questa evoluzione “non sta a significare che ci sono accordi duraturi e perenni, a livello locale e nazionale”.

“Se ci fossero domattina le elezioni politiche andremmo da soli, da Nord a Sud”, ha continuato. “Ci interessava capire, sperando che l’opposizione duri almeno una settimana, se si può discutere con Fi; cosa fino a ieri impensabile”, per via della “gabbia” del Nazareno.

“Vedremo – ha spiegato – se la fine del patto del Nazareno è una “crisi passeggera” o meno. Forza Italia la vediamo in aula nei prossimi giorni”, ossia quando si voterà la riforma costituzionale e l’Italicum.

“E’ chiaro che chi voterà per la ricentralizzazione di tutto nelle mani dello Stato non potrà pretendere di allearsi con noi”. Matteo Salvini ribadisce “una volta per tutte” che non vi sarà alleanza col Nuovo Centrodestra alle regionali, neanche dove ora governano insieme, come in Veneto.

“Laddove si tornerà al voto non è possibile che il simbolo della Lega sia affiancato al simbolo di Ncd di Angelino Alfano, di un partito che ha scelto Renzi”, ha affermato il segretario federale della Lega Nord in conferenza stampa.

“Con Ncd, con tutto il rispetto possibile per la sensibiltà di ciascuno, e fatte salve le esperienze di governo insieme nelle Regioni e nei Comuni”, ha affermato Salvini, con riferimento alla Regione Lombardia, “laddove si rinnovano questi patti non posso propormi di governare” con chi sostiene Renzi”. Dichiarazioni che cozzano con l’intesa complessiva su cui Berlusconi ha già in mente la sua strategia di alleanza prima di dare a Renzi l’ennesima vittoria elettorale. Da cui ne uscirebbe a pezzi. Toccherà al presidente azzurro trovare una sintesi e smorzare i toni tra Ncd e Lega poiché “solo uiniti si può vincere”.

Strage di migranti nel canale di Sicilia. In 29 muoiono assiderati

Strage di migranti nel canale di Sicilia
Il soccorso dei migranti

L’ennesima strage di migranti nel canale di Sicilia. 29 persone sono morte assiderate la notte scorsa. Il barcone della speranza, su cui erano imbarcate 106 migranti, è stata soccorsa nella notte dagli uomini della Guardia Costiera italiana che hanno prestato i primi soccorsi e notato i corpi senza vita dei migranti. I corpi sono stati trasferiti a Lampedusa a bordo di due motovedette.

La chiamata di soccorso, che informava di un barcone alla deriva a largo delle acque libiche, è pervenuta nel primo pomeriggio di domenica al Centro nazionale di Soccorso della Guardia Costiera di Roma, tramite telefono satellitare.

Dopo aver effettuato la localizzazione sono stati dirottati sul punto i mercantili Bourbon/Argos e Saint Rock che navigavano in zona, e contemporaneamente sono state inviate la CP 302 e la CP 305 da Lampedusa. Arrivate sul punto intorno alle 22.00 le due motovedette hanno eseguito il trasbordo dei 105 migranti per poi dirigere verso il porto di Lampedusa.

L’impegno della Guardia Costiera
“Le condizioni del mare sono proibitive, gli uomini stanno operando in condizioni difficilissime”, afferma la Guardia Costiera, che da ieri notte è impegnata nel canale di Sicilia nel tentativo di salvare il maggior numero di migranti.

Una delle due motovedette della Guardia costiera che ha  portato a Lampedusa i cadaveri dei migranti morti nel canale di Sicilia (Ansa/Desiderio)
Una delle due motovedette della Guardia costiera che ha portato a Lampedusa i cadaveri dei migranti morti nel canale di Sicilia (Ansa/Desiderio)

Soccorsi in mare a forza 8 tra onde alte 9 metri
“I nostri uomini sono allo stremo – dice il portavoce delle Capitanerie di Porto, Filippo Marini – stanno affrontando un mare forza 8, con onde alte nove metri, come un palazzo di tre piani. Operare in queste condizioni è proibitivo e riuscire a portare in salvo decine di persone è un miracolo”. Gli uomini e le donne che sono a bordo delle motovedette partite da Lampedusa, aggiunge, “stanno mettendo a rischio la propria vita”.

Due i gommoni carichi di migranti
I due gommoni, secondo quanto apprende l’Ansa, si trovavano al largo della Libia, nella zona dove è stato soccorso nella notte un barcone con 106 migranti a bordo, di cui 29 sono morti per ipotermia. A bordo del primo c’erano 2 persone che sono state avvistate dall’Atr della Guardia Costiera. Dal velivolo è stata lanciata una zattera di salvataggio e i due sono stati tratti in salvo. Il secondo gommone, con a bordo una trentina di migranti, è invece stato soccorso da un mercantile dirottato in zona.

Lo Stato islamico recluta prostitute in Marocco per i suoi miliziani

L'is recluta prostitute in Marocco
Miliziani dell’Isis

Lo Stato Islamico (Is) avrebbe reclutato tra le 200 e le 500 prostitute in Marocco per il “jihad del sesso” con i suoi miliziani. Lo ha denunciato il direttore del Centro marocchino di Studi strategici, Mohamed Benhamou, spiegando che l’Is sta dando soldi alle prostitute per convincerle a un “sincero pentimento”, dopo il quale è possibile celebrare “matrimoni del jihad” tra loro e miliziani in Iraq e in Siria.

Lo studioso di Rabat ha inoltre detto che “lo Stato islamico ha iniziato lo sfruttamento della prostituzione marocchina attraverso intermediari in Turchia”. Le donne vengono “rapite e vendute all’organizzazione in Siria e Iraq dove sono costrette a fare quello che viene chiamato il matrimonio del jihad”.

Benhamou ha quindi affermato che l’Is tenta le prostitute con soldi e stipendi mensili, ma anche con pressioni psicologiche sostenendo che sposare i jihadisti è un’occasione per pentirsi ed espiare le colpe dei rapporti sessuali a pagamento avuti in passato.

Cassazione: No ai matrimoni gay. Si allo statuto coppie di fatto"

Corte Cassazione RomaLa corte di Cassazione dice no ai matrimoni gay. Niente matrimonio e pubblicazioni di nozze per le coppie omosessuali: l’Europa e la Costituzione – afferma la Cassazione – non impongono al legislatore di estendere il vincolo del matrimonio alle persone dello stesso sesso che, invece, hanno il diritto ad uno “statuto protettivo”, già “azionabile”, con diritti e doveri delle coppie di fatto.

Ad avviso della Cassazione – che ha respinto il ricorso di una coppia gay che voleva sposarsi in Campidoglio e pubblicare le nozze – “la legittimità costituzionale e convenzionale della scelta del legislatore ordinario, in ordine alle forme ed ai modelli all’interno dei quali predisporre per le unioni tra persone dello stesso sesso uno statuto di diritti e doveri coerente con il rango costituzionale di tali relazioni, conduce ad escludere” che l’assenza di una legge per le nozze omosessuali produca la “violazione del canone antidiscriminatorio”.

Per la Cassazione, quel che occorre – e su questo i supremi giudici sollecitano “la necessità di un tempestivo intervento del legislatore” – è dare “riconoscimento”, in base all’articolo due della Costituzione che tutela i diritti umani dei singoli e della loro vita sociale e affettiva, a “un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia” e affermare la “riconducibilità” di “tali relazioni nell’alveo delle formazioni sociali dirette allo sviluppo, in forma primaria, della personalità umana”.

Inoltre, i supremi giudici – per avvalorare la loro decisione, in linea con quanto già stabilito da altre sentenze della Consulta, da ultimo con la n. 170 del 2014 – passano in rassegna la Carta dei diritti fondamentali della Ue e osservano che “l’articolo 12, ancorchè formalmente riferito all’unione matrimoniale eterosessuale, non esclude che gli Stati membri estendano il modello matrimoniale anche alle persone dello stesso sesso, ma nello stesso tempo non contiene alcun obbligo”.

Gli Stati possono regolarsi con ampia autonomia sul tema delle nozze gay. “Nell’art. 8 – prosegue ancora il verdetto – che sancisce il diritto alla vita privata e familiare, è senz’altro contenuto il diritto a vivere una relazione affettiva tra persone dello stesso sesso protetta dall’ordinamento, ma non necessariamente mediante l’opzione del matrimonio per tali unioni”. Ma le coppie omosessuali – come tutte le coppie di fatto – non è che non abbiano ‘protezione’, dato che possono “acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali scaturenti” da tali relazioni.

Intervista a Stefano Fassina: Ok unità del Pd ma Renzi non s’illuda

Intervista a Stefano Fassina
Stefano Fassina

Antonio Vastarelli per Il Mattino

Visto che il Pd, unito, ha ottenuto un risultato di grande valore con l’elezione di Mattarella, approfittiamo della rottura del patto del Nazareno per migliorare le riforme, a cominciare dall’Italicum». Stefano Fassina, da sempre trai più critici nel Pd verso Renzi, nonostante il premier abbia già detto no ad ulteriori modifiche alla legge elettorale, si dice ottimista sulla possibilità di un accordo.

Fassina, il patto del Nazareno è sciolto.Renzi dice di avere la maggioranza per portare a termine le riforme anche senza Berlusconi. La pensa così anche la minoranza del Pd?
«L’elezione di Mattarella è stata un passaggio importante che ha dimostrato che il Pd può essere unito e arrivare a soluzioni di grande valore. Auspichiamo che questa ricerca dell’unità vada avanti anche sulle riforme, soprattutto dopo il cambiamento nei rapporti con Belrusconi. Nei mesi scorsi, il patto del Nazareno è stato una sorta di gabbia che ha limitato la dialettica. Ora si lasci che, su legge elettorale e sullriforma della Costituzione, le posizioni possano emergere da una discussione parlamentare».

Si dice sempre che le riforme vanno fatte con le opposizioni. Non è più così?
«Il rapporto con le opposizioni non è mancato, e va ricercato anche oggi, perché è giusto coinvolgerle. La verità è che il rapporto con Forza Italia, in passaggi importanti, ha precluso la possibilità di discutere».

L’ultima versione dell’Italicum, però, ha già accolto alcune richieste arrivate proprio dalla minoranza del Pd, a cominciare dall’elezione di una parte dei deputati con le preferenze.
«È vero, ma il percorso che ha portato a quei miglioramenti è stato tumultuoso. All’inizio ci fu un atteggiamento di chiusura brutale che portò alle dimissioni di Gianni Cuperlo dalla presidenza del Pd. Oggi, invece, il senso di liberazione con cui il governo e il partito hanno salutato la scelta di Berlusconi di dichiarare rotto il patto del Nazareno mi porta adire che ci sarà maggiore disponibilità al miglioramento delle riforme».

Renzi, però, ha già detto che l’Italicum non si cambia.
«E noi non siamo d’accordo. Alla Camera chiederemo l’abolizione dei capilista bloccati, non per piantare una bandierina, ma perché non va bene che i cittadini non possano scegliere chi li rappresenta, soprattutto se avremo un Senato di nominati, come quello previsto dalla riforma costituzionale. Il potere dell’esecutivo sarà rafforzato, non va quindi minata l’autonomia dei parlamentari».

L’ingresso degli 8 esponenti di Scelta civica nel Pd è il sintomo di un partito che si sta spostando “a destra”?
«Io penso che si è data troppa rilevanza politica a questi spostamenti che sembrano motivati soprattutto da ragioni personali. Il problema vero è lo spostamento del Pd in direzione dell’agenda Monti, in particolare sulla riforma del lavoro. Nei prossimi giorni il Parlamento dovrà dare il parere sui decreti attuativi del Jobs act, che sono più vicini alle posizioni di Sacconi e Ichino, che alle nostre.
È questo spostamento verso l’agenda Monti che va affrontato».

Lei appoggia la battaglia del premier Tsipras sul debito greco, ma molti sostengono che, se Atene non paga, danneggerà i suoi creditori, e tra questi c’è l’Italia.
«La verità è che la linea della troika è insostenibile: porterebbe al fallimento della Grecia, e in quel caso i creditori, e quindi anche l’Italia, ne avrebbero un danno. Tsipras vuole salvaguardare il valore nominale del capitale, ma rivedendo le scadenze per la restituzione del debito, legandole alla crescita economica. L’unico modo per tutelare i creditori, è innescare politiche che portino crescita. E questa ricetta non vale solo per la Grecia, ma anche per l’Italia e l’Europa».

A proposito di crescita mancata, si ipotizza il varo di un ministero per il Mezzogiorno: potrebbe essere utile?
«Se serve a coordinare l’azione dei ministeri e a fare pressione sull’agenda politica affinché ci sia l’attenzione necessaria, potrebbe avere un senso. Ma bisogna evitare il rischio di guardare a questo problema come questione territoriale. Nulla servirà, se non si cambia il segno della politica macroeconomica nazionale ed europea, orientandole verso la crescita».

Swissleaks, la lista dell'evasione globale vale 180 miliardi. 7mila italiani hanno evaso 7,5 mld di euro

SwissLeaksUn giro vorticoso di denaro di oltre 180 miliardi di euro. Soldi sfuggiti al fisco e veicolati nella filiale elvetica della banca britannica HSBC. Un sistema capillare e ramificato che ha formato negli anni la grande evasione globalizzata di cui fanno parte migliaia di persone tra dittatori, trafficanti d’armi, faccendieri, sceicchi, sportman, manager, imprenditori e insospettabili dello spettacolo.

20mila aziende e potentati economici da far tremare i polsia qualsisi capo di governo stretto dall’austerity imposta dall’Ue guidata da Jean Claude Junker, balzato agli onori della cronaca per aver favorito un sistema simile nel suo Lussemburgo.

Tutto nasce dall’inchiesta “SwissLeaks”, una complessa e articolata indagine condotta da una squadra di 45 giornalisti di tutto il mondo che sono venuti in possesso di preziosi documenti che attestano gli immensi patrimoni evasi e detenuti nella banca svizzera. Si parla di circa 100mila clienti di più di 200 paesi con 81mila conti censiti tra il 1998 e il 2007.

HSBC Private Bank a Ginevra. (foto: Pascal Frautschi/Tamedia)
HSBC Private Bank a Ginevra. (foto: Pascal Frautschi/Tamedia)

Il periodo vagliato è corrispondente a quello della “lista Falciani”, l’archivio dell’informatico francese che fornì al fisco i dati su migliaia di evasori rubati al suo datore di lavoro. Oltre 5,7 miliardi sarebbero stati espatriati da HSBC in diversi paradisi fiscali soltanto per conto di clienti francesi.

Secondo quando riportato dall’organizzazione senza fini di lucro ICIJ (Consorzio internazionale di giornalismo investigativo) i file comprendono anche più di settemila cittadini italiani, che nel 2007 custodivano circa sei miliardi e mezzo di euro. Lo riferisce anche il settimanale l’Espresso che è riuscito ad avere l’elenco che pubblicherà nella prossima edizione.

Tra gli italiani, i primi nomi resi pubblici sono quelli dello stilista Valentino, del pilota Valentino Rossi e dell’imprenditore Flavio Briatore. Valentino avrebbe avuto negli anni 2006/2007 oltre 100 milioni di euro sui conti della Hsbc. Mentre per Briatore si parla di 73 milioni in nove diversi conti; Valentino Rossi, 23 milioni.

Un’inchiesta “dai contorni spettacolosi”, con “cifre da far girare la testa”, ha scritto il quotidiano francese “Le Monde” anticipando il contenuto della prima parte di un’indagine che i suoi giornalisti hanno compiuto tra Parigi, Washington, Bruxelles e Ginevra, alla ricerca di un enorme e consolidato sistema di evasione nella britannica HSBC, tra i maggiori gruppi bancari mondiale, in particolar modo l’inchiesta è riferita agli affari della sua filiale svizzera HSBC Private Bank.

EvasioneLe indagini hanno preso corpo nel 2010, quando il governo francese ha distribuito la lista Falciani ad altri paesi, affinché verificassero le posizioni fiscali dei loro cittadini. Le autorità inglesi hanno scoperto oltre 3.600 nomi, su 5 mila, non erano in regola, riuscendo così a recuperare 145 milioni di euro di imposte non versate.

In Spagna si è raccolto ben di più, 230 milioni, un record rispetto anche ai 188 milioni recuperati da Parigi. In Italia molti personaggi sono stati indagati per frode fiscale da diverse procure ma sulla possibilità di usare i dati nelle dispute fiscali sono stati aperti numerosi ricorsi.

Palermo, vigile "prende in ostaggio bus". Ira dei passeggeri

E’ diventato virale il video postato su Youtube che mostra un vigile urbano libero dal servizio e in borghese che blocca un pullman di linea tra Palermo e l’aeroporto Falcone-Borsellino chiedendo con toni non proprio gentili la patente all’autista.

Il video postato il 5 febbraio scorso ha già raggiunto le 33mila visualizzazioni, un numero destinato a crescere vista l’ira che l’episodio ha suscitato tra la gente. I passeggeri, alcuni dei quali dovevano imbarcarsi in aereo, hanno tentato di calmare il vigile senza riuscirvi.

Palermo, vigile "prende in ostaggio" bus. Video diventa virale
L’autista che denuncia “abuso di potere”

Qualcuno ha filmato col telefonino tutta la scena. Poi è stato anche chiesto cosa fosse avvenuto all’autista che nel video parla di “abuso di potere” e spiega la dinamica di una presunta infrazione che ha fatto scattare la rabbia del poliziotto municipale.

Tanti anche i commenti contro il vigile urbano. ”Che vergogna – scrive una persona – che inciviltà. vigile o non vigile non ci si rivolge così. Merita una bella denuncia”.

Un altra persona sul canale video esprime “solidarietà al povero e sfortunato collega. Sono un autista di bus di linea urbana – afferma – e spesso succede di dover avere discussioni con altri utenti della strada ma questo li ha battuti tutti”.

Chi beve vino rosso campa cent'anni (ma non alla guida)

Chi beve vino rosso campa cent'anniChi beve vino rosso campa cent’anni, recita un antico adagio. Al tempo dei romani era la “bevanda” preferità dagli imperatori. Ancora prima, nel periodo ellenico, era definito il nettare degli Dei.

La storia del vino rosso è ultra millenaria grazie a precursori come Bacco e Dionisio che furono i primi a scoprire i benefici del vino.

Una storia tramandata da generazione in generazione fino ai giorni nostri. Per l’Italia il vino è uno dei prodotti “Made in Italy” più esportati al mondo. Perché piace, accompagna bene i pasti e, soprattutto, fa bene alla salute per riconoscimento scientifico.

Se rosso, tanto meglio perché gli antiossidanti presenti in questo nettare possono prevenire il deterioramento della memoria tipico dell’età avanzata.

Chi beve vino rosso campa cent'anni
Bacco rappresentato da Caravaggio

Un fatto noto che ribadisce uno studio americano dell’istituto texano A&M il quale si è basato anche su dati provenienti dall’Europa e dal Regno Unito.

La ricerca, pubblicata su Scientific Reports, ha mostrato in particolare le virtù del resveratrolo, un fenolo non flavonoide presente nella buccia dell’acino d’uva.

La sostanza, che è rintracciabile anche in alcuni frutti di bosco e nelle noccioline, secondo i ricercatori è quindi in grado di aiutarci con la memoria soprattutto superata una certa età, una funzione che finora era stata soltanto ipotizzata.

Il team di studiosi ha sottolineato in particolare gli effetti benefici del resveratrolo sull’ippocampo, quella parte del cervello la cui salute è essenziale per la memoria, l’apprendimento e l’umore.

Per gli esperimenti sono stati usati ratti da laboratorio, che hanno appunto mostrato un notevole miglioramento delle capacità mnemoniche se trattati con questo antiossidante. Buone opportunità di intervento si prospettano, precisano inoltre gli scienziati, anche per il trattamento delle depressioni negli anziani.

Quindi, chi beve vino rosso campa cent’anni? Bere del vino a tavola non fa male. Anzi, come molti studi confermano, aiuta a vivere meglio e più a lungo. Ciò che fa invece male sono, come sempre, gli eccessi. Attenzione anche a non bere quando si guida.

Elezioni regionali in Veneto, Salvini sbatte la porta a Ncd e Fi: "Con Zaia vinceremo da soli"

Elezioni regionali in Veneto -  Matteo Salvini con Luca Zaia
Matteo Salvini con Luca Zaia

“No ai ricatti di Ncd e Forza Italia, Alfano non può fare patti con noi in Veneto”. Matteo Salvini in una intervista al Mattino di Padova chiude ad ogni ipotesi di allearsi con le altre due gambe nel centrodestra perché, a suo avviso, alle prossime elezioni regionali in Veneto il governatore uscente Luca Zaia “vincerà da solo”.

Il leader del Carroccio critica la politica dei due forni del ministro Ncd: “Alfano è un campione – aggiunge – perché a Roma fa una cosa con Renzi e a Venezia l’esatto opposto con Zaia: i due principali problemi dell’Italia oggi sono lavoro e sicurezza. Le risposte del governo Renzi con il Jobs Act sono fallimentari mentre sulla sicurezza Alfano è addirittura il ministro dell’invasione clandestina. Zaia – ha detto Salvini – può vincere da solo perché è il miglior governatore d’Italia e la Lega è in grande ascesa”.

Elezioni regionali in Veneto - Mattino di Padova intervista Matteo SalviniLa strategia di Salvini punta a creare una nuova forza di centrodestra attorno a due emergenze: la disoccupazione e l’immigrazione. “In Veneto – dice – vogliamo portare avanti senza intoppi quello che abbiamo fatto in questi cinque anni. Senza stare lì a mediare, a trescare, a forzare la mano con gli alleati. Il Veneto è la regione meglio amministrata d’Italia e i giochini della vecchia politica non debbono diventare ostacoli sulla strada di Luca Zaia che gode di un vastissimo consenso, come dimostrano i sondaggi diffusi da istituti demoscopici autorevoli e indipendenti”.

I rapporti con Forza Italia Salvini non vuole romperli, ma sottolinea che il metodo portato avanti finora non è gradito alla Lega. “Vediamo – afferma – come si sviluppa il dibattito in Fi su Nazareno sì o no, riforme e Renzi sì o no. Sono divisi su tutto”. Per quanto riguarda la Lega alle prossime elezioni regionali in Veneto: “noi stiamo già scrivendo il programma e la squadra dei prossimi 5 anni perché si vota tra quattro mesi”.

“Zaia mi chiede di poter lavorare in tranquillità. La Lombardia ha copiato due sue proposte: gli ambulatori degli ospedali aperti di sera e nei giorni di festa per le visite e il contributo alle mamme e ai papà divorziati. Maroni li ha introdotti anche a Milano e quindi squadra che vince non si cambia a meno che qualche giocatore si metta da parte da solo o faccia dei clamorosi autogol. Alfano ha scelto un’altra strada e con Forza Italia vediamo come finirà il confronto sulle riforme istituzionali”.

Nei giorni scorsi, in Campania, altra regione chiamata al voto di maggio, era stato il coordinatore campano Gioacchino Alfano a sbattere la porta in faccia a Salvini dicendo a Stefano Caldoro (che ha annunciato la sua ricandidatura) che la prima condizione per l’alleanza con Forza Italia è quella di escludere la Lega di Salvini. Movimento che sarà presente in tutte le regioni chiamate alle urne.

Veti incrociati che già a novembre condussero alla bruciante sconfitta in Emilia Romagna e Calabria. Che Alfano e Salvini non si amino politicamente è risaputo. Bisognerà attendere la mediazione di Berlusconi per convincere all’unità del centrodestra, poiché come aveva detto Caldoro, solo “uniti si vince”. In Campania, in Veneto e nelle altre cinque regioni.

Tutte le mosse di Raffaele Fitto per scalare Forza Italia

Gianluca Roselli per Formiche.net

Cosa vuol fare da grande Raffaele Fitto? Silvio Berlusconi nei mesi scorsi aveva avuto un’idea: offrire a Fitto il ruolo di coordinatore unico del partito, ma l’europarlamentare ha rifiutato. “Non m’interessano le cariche concesse in questo modo, io voglio un partito vero, dove si vota, con le primarie. E dove dai congressi locali e dal territorio emerga la nuova classe dirigente”, spiega l’europarlamentare.

L’ex ministro, alla testa di una quarantina di parlamentari di Forza Italia critici verso il cerchio magico berlusconiano da un lato e il cripto renzismo alla Denis Verdini dall’altro, ha appena annunciato un tour, partenza il 21 febbraio a Roma, al Teatro Ghione. “Siamo costruttori, non rottamatori”, lo slogan della campagna che poi toccherà Veneto, Piemonte, Lombardia e Campania.

Vuole dare la scalata a Forza Italia, Fitto, ma a modo suo. Su questo percorso, il primo passo è quello di scrollarsi di dosso l’immagine di essere solo un uomo del Sud. Obiettivo: essere percepito come un leader nazionale – che interloquisce con Renzi, Salvini e Meloni – e non più come un capataz locale alla guida di un manipolo di parlamentari pugliesi.

Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto Lapresse
Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto (Lapresse)

Passo fondamentale per sperare di conquistare simpatie, e voti, al Nord. A questo stanno lavorando tre persone a lui molto vicine: Luigi Crespi, l’ex spin doctor di Berlusconi, che cura il blog, i social e la campagna eventi; il fedelissimo deputato barese Trifone Altieri, detto Nuccio, che gli cura l’organizzazione; Daniele Capezzone che lavora su strategie e contenuti.

Per Fitto e Capezzone il percorso che deve compiere Forza Italia è chiaro: abbandonare il patto del Nazareno e tornare a fare opposizione dura, specialmente sui temi economici. Poi, però, Fitto ci mette il carico da Novanta: azzeramento di tutte le cariche nel partito, dai capigruppo in Parlamento ai coordinatori regionali. “Il Nazareno non ci ha portato nulla, anzi ci ha fatto ingoiare norme contrarie ai principi del centrodestra.

Renzi si è dimostrato inaffidabile, perché prima dice una cosa e poi cambia le carte in tavola. Come sull’Italicum. E infatti i parlamentari a me vicini hanno votato contro”, sostiene Fitto. Secondo cui, e non è il solo, approvare l’Italicum prima dell’elezione per il Colle “è stato un suicidio politico”.

Non si fida, però, l’ex governatore pugliese della manfrina andata in scena in questi giorni. “Hanno detto che il Nazareno è morto, io non ci credo finché non vedo. Sono curioso di vedere quale sarà l’ordine di scuderia di Forza Italia martedì, quando l’Italicum arriverà alla Camera”.

E denuncia, infine, il tentativo di fregarlo nella votazione per il Quirinale. “Tranne qualcuno, che l’ha dichiarato apertamente, noi abbiamo votato scheda bianca e le immagini lo dimostrano. Altri hanno portato voti in soccorso a Mattarella, almeno 60-70, per poi incolpare noi.

Ma l’operazione infangamento è fallita”, afferma Fitto. Cui non interessa entrare nel gioco delle trame di partito. “Io faccio politica alla luce del sole. Se critico Verdini, lo faccio su questioni politiche, non per prendere il suo posto”, spiega. Tra i due, nonostante le attuali distanze, c’è rispetto. Se non addirittura stima. Con lui il confronto è aperto. E di recente si sono visti spesso, a pranzo, in un ristorante vicino a Fontana di Trevi. Con altri, il cerchio magico per esempio, i rapporti stanno a zero.

Fitto, però, non se ne va. “L’errore peggiore che possa fare è diventare un altro Fini o un altro Alfano, sarebbe finito in due giorni. Mentre la battaglia interna alla fine rischia di premiare lui e far apparire inadeguato Berlusconi”, racconta Luigi Crespi.

Insomma, se in un eventuale duello con Renzi, Berlusconi è perdente in partenza, Fitto se la può giocare. Non foss’altro che per una questione anagrafica. Prendersi il partito per andare oltre. Porsi come soggetto che potrà avere un ruolo nel centrodestra del futuro. Questa è la sua mission. Ci riuscirà?

Expo 2015, Renzi: "E' un anno felix, ltalia può tornare a correre"

Renzi al convegno sull'Expò
Renzi al convegno sull’Expò 2015

Si avvicina il grande appuntamento dell’Expò 2015 a Milano. Manca solo qualche mese e ad avviso degli organizzatori sarebbe tutto pronto per ricevere milioni di visitatori da tutto il mondo. L’impegno del governo è massimo per fare bella figura, al di là degli aspetti giudiziari che nei mesi scorsi hanno svelato un giro di corruzione impressionante.

“Se l’Italia fa il suo mestiere e fa la sua partita nel mondo, siamo in grado di giocarcela con tutti, torna a ribadire il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, intervenendo al convegno “Le idee di Expò. “Il 2015 per l’Italia è un anno felix”, poiché, sottolinea il premier, “ci sono tutte le condizioni per il nostro Paese per tornare a correre”.

Il capo del governo non ci sta a far fare all’Italia una “figuraccia a livello internazionale”. E manda un messaggio chiaro ai lavoratori del teatro alla Scala di Milano, quelli aderenti alla Cgil che vorrebbero osservare la festa del lavoro” e impedire cosi che si alzi il sipario su Turandot la sera dell’inaugurazione di Expò 2015.

“Se c’è una qualche minoranza che pensa di poter bloccare, non nel nome del diritto allo sciopero che è sacrosanto, ma per l’inaccettabile diritto del boicottaggio di quell’opera, sappia che siamo pronti a intervenire anche a livello normativo, a evitare di fare una figuraccia a livello internazionale”, è il monito di Matteo Renzi.

“Una anno fa la parola da associare all’Expo era scandalo”, ha detto Renzi, che ha espresso “gratitudine” a chi “è riuscito a trasformare questo evento in opportunità”, citando l’Ad Giuseppe Sala e soprattutto Raffaele Cantone, a capo dell’Anticorruzione.

“Non ci accontenteremo di aver sostituito la parola scandalo in opportunità”, ha proseguito. L’evento, ha continuato, deve diventare la “cartina al tornasole delle grandi ambizioni che ha l’Italia”. Da “patria di quelli che ce l’hanno già fatta”, l’Italia deve diventare la patria “di quelli che ci provano ogni giorno”, ha sostenuto il presidenet del Consiglio.

Nei mesi scorsi anche l’ex presidente Giorgio Napolitano aveva sottolineato come l’appuntamento dell’esposizione universale fosse una occasione unica per rilanciare l’immagine scalfita dell’Italia: “E’ necessario l’impegno di tutti perché tutti ci abbiamo messo la faccia”.

Dello stesso tono anche il messaggio di papa Francesco, del ministro ai Beni culturali Dario Franceschini e del capo dello Stato Sergio Mattarella.

Elezioni regionali in Campania. Primarie a 5 a sinistra. A destra Caldoro è pronto, ma Alfano dice no a Salvini.

Stefano Caldoro con Gioacchino Alfano - Elezioni regionali in Campania
Stefano Caldoro con Gioacchino Alfano

Saranno cinque i candidati alle primarie del centrosinistra del 22 febbraio in vista delle elezioni regionali in Campania: l’ultimo a formalizzare la propria candidatura è stato stamane Gennaro Migliore, deputato del Pd, che si aggiunge ai compagni di partito Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno dichiarato decaduto dal tribunale di Salerno per incompatibilità sindaco-viceministro, e Andrea Cozzolino.

Gli altri due in lizza sono il socialista Marco Di Lello e l’esponente dell’Idv, Nello Di Nardo. Angelica Saggese (Pd) ha ritirato la propria candidatura.

Una corsa molto attesa per il centrosinistra campano che intende “porre fine alla gestione di Stefano Caldoro” che guida il governo di centrodestra dal marzo 2010. E su questo versante politico non sono ancora chiare le alleanze tra Forza Italia, partito di cui è espressione Caldoro, e il Nuovo Centrodestra che in Campania è retto da Gioacchino Alfano.

Negli ultimi due mesi sono stati fatti timidi passi avanti rispetto alla decisione di Silvio Berlusconi di remare da solo con Fdi e Lega come è accaduto in Emilia Romagna e Calabria, regioni che dopo la frattura tra Ncd e Fi sono andate a Renzi.

Il governatore uscente è comunque orientato a ricandidarsi. Lo fa sapere su Twitter (il social diventato ormai “la quarta “Camera” dopo Vespa). Caldoro scrive che è “pronto a un nuovo mandato con l’unità della coalizione”.

140 caratteri che suscitano reazioni a suo supporto. Come quella dell’ex ministro Ncd Nunzia De Girolamo: “Stefano Caldoro, solo uniti si vince”, è l’assist che condividono pure Lorenzo Cesa e Edmondo Cirielli. Il riferimento insistente all’unità fa ovviamente pensare che nessuna delle due forze alle prossime elezioni regionali in Campania voglia fare harachiri come in Emilia e Calabria.

Prudente il deputato Ap-Udc Giuseppe De Mita. L’uscita di Caldoro “appare più un auspicio che un fatto”. Al Velino il coordinatore regionale Ncd, Gioacchino Alfano, sempre su  Twitter commenta l’uscita del governatore ma mette paletti: “Apprendo con piacere che Caldoro, che noi sosteniamo, risponde alla nostra prima domanda, ma è indispensabile chiarire altri punti”. I nodi da sciogliere “sono tanti” e quasi tutti centrati ad una maggiore collegialità nella gestione di governo. Ma anche di tipo politico elettorale che certamente creeranno molti malumori in casa azzurra e non solo.

“Spero un chiariremo al più presto – ha spiegato Alfano – su alcuni punti oscuri. Intanto sottolineiamo che non accetteremo nella coalizione liste della Lega, collegate a Matteo Salvini, con il quale non potremmo mai allearci. Necessario sarà poi scrivere con Caldoro il patto di fine governo e i gli obiettivi per il bene dei campani per i futuri 5 anni”.

Infine “non vogliamo – ha concluso il coordinatore Ncd – liste che guardino solo ai fini elettorali”. Un veto, quello posto da Ncd alla Lega che somiglia molto a quello posto dai leghisti e Fi ad Angelino Alfano in Emilia Romagna. Opposizioni che Caldoro sa bene rischiano di compromettere a priori il suo eventuale bis a palazzo santa Lucia. Berlusconi dovrebbe essere in Campania per la metà di marzo, ma i giochi sulle alleanze potrebbero chiudersi molto prima senza “traumi”.

Negli ambienti forzisti le posizioni assunte da Alfano fanno già discutere: “Se si esclude – si chiede più di qualche forzista – una forza come la Lega, che nei sondaggi vola a gonfie vele anche al Sud, dove andremo da soli noi col 15% Ap con il 9 percento e altre sigle minori alle elezioni regionali in Campania?”.

Dubbi che nei prossimi giorni potrebbero impensierire Caldoro, non tanto Gioacchino Alfano che a mali estremi potrebbe sempre decidere di rimediare facendo da “spalla istituzionale” al Pd, come è successo in Calabria dove gli alfaniani, dopo la traumatica rottura con Fi, hanno ottenuto la vicepresidenza del Consiglio regionale (quota opposizione) e si sono resi disponibili a sostenere la maggioranza guidata da Mario Oliverio (Pd) in un’ottica di “cooperazione istituzionale”.

I più però sostengono che tra Pd e Ncd calabresi si sia consumato un “inciucio” con il battesimo romano. “Accordune” smentito però sia dal presidente calabrese che dai vertici regionali di Ncd.

Patto del Nazareno, parla Berlusconi: "Con riforme di Renzi rischio deriva autoritaria"

Silvio Berlusconi esce dal comitato di presidenza di FI il 4 febbraio 2015
Silvio Berlusconi esce dal comitato di presidenza di FI il 4 febbraio 2015 (Ansa/Percossi)

“Per come si sta delineando la nuova legge elettorale, con una sola camera eletta dal popolo, con il terzo premier non eletto dagli italiani, avvertiamo il rischio che vengano meno le condizioni indispensabili per una vera democrazia che ci si possa avviare verso una deriva autoritaria”.

Rompe il silenzio Silvio Berlusconi. Per la prima volta parla del dopo Mattarella e della rottura del patto del Nazareno che aveva siglato insieme al premier Matteo Renzi. Lo fa in una intervista al Tg5 in cui l’ex premier spiega che “non era questo il patto del Nazareno che volevamo, non era questo l’obiettivo che volevamo raggiungere insieme per il bene del Paese”.

“E’ inaccettabile – attacca – che il Presidente del Consiglio impegni tutti gli sforzi del governo e del Parlamento per affrontare leggi certamente di rilievo ma che non hanno urgenza alcuna, stante la drammatica situazione in cui versa il Paese”.

“Lavorerò – aggiunge Berlusconi – con rinnovato impegno perché il centrodestra possa ritornare unito e possa offrire al paese quelle urgenti soluzioni che finché ho avuto l’onore di presiedere il governo avevano garantito agli italiani più benessere, più sicurezza, più libertà. Il Paese ha necessità di riforme strutturali ben diverse da quelle proposte dalla sinistra”.

“Berlusconi che parla di deriva autoritaria è quasi commovente”. Così il vicesegretario Pd Deborah Serracchiani replica su twitter all’attacco del Cav sulle riforme. A seguire altri interventi critici del maggiorenti Pd.

Nei giorni scorsi, subito dopo le elezioni del Quirinale, c’è stato un duro scontro politico tra Pd e Forza Italia con gli azzurri che hanno cominciato a impallinare l’accordo nato ufficialmente per scrivere le regole insieme: “Il patto è morto”, hanno dichiarato. Prima ancora il leader dei dissidenti interni a Forza Italia, Raffaele Fitto, aveva chiesto l’azzeramento dei vertici forzisti per via della gestione dissennata che ha portato il partito al suicidio.

Il Pd dal canto suo replicò a muso duro: “Non è morto il patto ma Forza Italia”, “Meglio così”, hanno detto gli esponenti Dem spinti dal presidente del Consiglio sicuro dei numeri in Parlamento (ieri ha incassato 7 new entry di Scelta civica) “Ce la faremo anche da soli a portare avanti le riforme”, ha detto Renzi. Ieri il premier aveva affermato che “il metodo non ha convinto Forza Italia che ha dunque annunciato la rottura del Patto del Nazareno. Il collegamento mentale è quanto mai curioso”.

E non solo perché – ha detto ancora – tutti i partiti – anche Forza Italia – negli incontri di delegazione avevano espresso condivisione per il metodo scelto dal Pd. Il punto è che il Patto del Nazareno non è un papiro segreto con dentro chissà cosa (con buona pace di qualche direttorone di giornale che forse ammetterà finalmente di aver scritto una bufala [riferito a Ferruccio De Bortoli direttore del Corsera che aveva scritto di un patto che odora di massoneria, ndr]), ma un accordo alla luce del sole su tre punti centrali: legge elettorale; sistemata ai rapporti tra Stato e Regioni e infine l’eliminazione del bicameralismo paritario con il superamento del Senato”, ha spiegato Renzi

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