6 Ottobre 2024

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Omicidio Ilaria Alpi, il teste ritratta: "Ho accusato un innocente"

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Colpo di scena sull’omicidio di Ilaria Alpi nella foto insieme a Miran Hrovatin

Colpo di scena sull’omicidio di Ilaria Alpi. Omar Hashi Hassan, il somalo in carcere con l’accusa di aver ucciso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin “è innocente”. Lo ha detto alla trasmissione “Chi l’ha visto” il suo accusatore Ahmed Ali Rage, supertestimone del processo sull’omicidio della giornalista del Tg3 e del suo operatore, avvenuto a Mogadiscio il 20 marzo 1994.

Ali Rage ha in sostanza ritrattato: “Gli italiani – si legge in una nota del programma – avevano fretta di chiudere il caso e gli hanno promesso denaro in cambio di una sua testimonianza al processo: doveva accusare un somalo del duplice omicidio.

“Io non ho visto chi ha sparato, non ero là. Mi hanno chiesto di indicare un uomo”, ha detto Ahmed Ali Rage detto Jelle, irreperibile ma raggiunto dall’inviata di Federica Sciarelli, a cui ha ribadito che gli italiani avevano fretta di trovare un colpevole.

Jelle indicò il giovane Omar Hashi Hassan al pm Ionta durante un interrogatorio, ma poi non si presentò a deporre al processo e fuggì all’estero. Per la sua testimonianza il giovane Hashi fu arrestato e condannato all’ergastolo con sentenza passata in giudicato. L’uomo sta scontando la pena nel carcere di Padova.

Per quegli omicidi, dopo anni di indagini, l’unico colpevole riconosciuto è Hassan, arrivato a Roma per testimoniare sulle presunte violenze di militari italiani ai danni della popolazione somala, si ritrovò catapultato in una storia e in responsabilità più grandi di lui.

Chi lo ha ingiustamente accusato ora esce allo scoperto e afferma di aver mentito. “Quell’uomo è innocente”. Il vero colpevole, secondo Jelle, è ancora a piede libero così quanti lo avrebbero pagato per accusare il giovane somalo. Spetta alla procura riaprire il caso cercando mandanti ed esecutori materiali.

La super cannabis aumenta il rischio di malattie mentali

super cannabisFumare cannabis potente, come la “skunk”, aumenta del 24% il rischio di malattie mentali, schizofrenia e disturbo bipolare. Lo dice uno studio del King’s College di Londra che ha condotto la ricerca mettendo a confronto 410 pazienti di un ospedale psichiatrico tra i 18 e i 65 anni che presentavano i primi sintomi di psicosi con 370 persone sane.

Un rischio, affermano gli studiosi, che è cinque volte più alto per chi fa uso di cannabis ogni giorno.

La ricerca, pubblicata su Lancet Psychiatry, è stata realizzata dal 2005 al 2011 in quartiere del sud di Londra, dove il consumo di droga è molto diffuso.

“Il nostro punto di partenza è stato che le persone che fumano super cannabis sono un po’ strane comunque”, ha spiegato il professor Robin Murray, “ma alla fine abbiamo scoperto un rapporto di causa-effetto tra l’uso di cannabis pesante e la malattia mentale”.

Chi invece faceva uso di hashish non è esposto ad un incremento dei rischi, precisano i ricercatori. “E’ come l’alcol, bere un bicchiere di vino ogni tanto va bene ma una bottiglia di whisky al giorno ti puo’ mettere nei guai”, dice Murray aggiungendo che quando lo studio è finito, nel 2011, circolavano tipi di cannabis piu’ potente.

In generale nella “skunk”, sottolineano i ricercatori, il tetrahydrocannabidinolo (THC) si presenta in una quantita’ 25 volte maggiore dell’hashish. Lo studio, conclude Murray, dimostra che “si potrebbero prevenire almeno un quarto di casi di malattie mentali se nessuno fumasse cannabis potente”.

Califfato Libia, Alfano: “E’ alle porte di casa. l’Onu lo fermi”

Angelino Alfano
Angelino Alfano

Alberto D’Argenio per Repubblica

Non bisogna perdere un minuto, bisogna intervenire in Libia con una missione Onu, la comunità internazionale deve capire che è cruciale per il futuro dell’Occidente». Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è sulla stessa linea del premier Renzi sull’ipotesi di una missione di peacekeeping a Tripoli.

Ministro, l’avanzata dell’Is in Libia aumenta il pericolo di azioni terroristiche contro l’Italia? Anche in queste ore l’Is ha minacciato Roma.
«Le minacce contro il nostro Paese purtroppo non sono una novità e il nostro allerta era già elevatissimo, lo prova il decreto antiterrorismo approvato la scorsa settimana e potenzieremo ulteriormente l’attività che da dicembre ha portato all’espulsione di 17 sospetti. Martedì inoltre incontreremo i rappresentanti dei colossi web per intensificare la cooperazione nell’allerta precoce sul transito in Rete dei messaggi degli estremisti e giovedì sarò a Washington per un summit organizzato dalla Casa Bianca tra 20 paesi per il contrasto del terrorismo internazionale».

La nuova ondata di barconi in arrivo non vi fa temere che tra gli immigrati si possano nascondere terroristi?
«Nessuno può escluderlo, ma non si può creare un nesso. Certo, l’avanzata del Califfato in Libia accentua tutti i profili di rischio».

L’Italia aumenterà i pattugliamenti per evitare altre stragi in mare?
«Ora il problema non sono Triton o Mare Nostrum, ma la Libia: la scelta forte di politica estera che riguarda la comunità internazionale e l’Onu del fare della Libia una priorità assoluta. Se le milizie del Califfo avanzano più velocemente delle decisioni della comunità internazionale come possiamo spegnere l’incendio in Libia e arginare i flussi migratori? Rischiamo un esodo senza precedenti e con una difficoltà di controllo. Per controllo intendo la capacità di ridurne il numero e quella di intercettare potenziali jihadisti».

In che tempi volete il mandato Onu per spedire un contingente di peacekeeping sul terreno?
«Vogliamo restare nel quadro delle Nazioni Unite, alle quali chiediamo di comprendere che la Libia è una vera e propria priorità. La situazione è di tale urgenza che è superfluo dare i tempi, bisogna farlo subito. Ad esempio, quanto successo oggi alla nostra motovedetta avvicinata da una barcone con quattro persone armate di kalashnikov è la prova di quanto spregiudicata, inumana e criminale sia l’azione della più macabra agenzia viaggi del mondo, quella dei trafficanti di esseri umani».

È preoccupato per le minacce dell’Is al ministro Gentiloni?
«Abbiamo deciso di elevare al massimo la sua protezione».

Vista la situazione sul terreno si può dire che andremo a fare la guerra: l’Italia è pronta?
«Non entro nei dettagli che competono al Parlamento e ad altri colleghi di governo, ma a Washington ribadirò che la lotta al terrorismo interno parte dallo spegnere i fuochi che divampano nell’altra sponda del Mediterraneo: non si può perdere un solo minuto».

Che tipo di missione immaginate? Chiederete anche un ombrello Nato?
«La cosa essenziale è trovare tutte le formule perché ci sia una copertura internazionale, non può trattarsi di un gruppo di volenterosi perché sarebbe la prova che non tutti hanno capito che questione libica è strategica per il futuro dell’Occidente».

Romano Prodi incolpa chi ai tempi del Colonnello seguì Francia e Gran Bretagna. Al governo c’era il centrodestra.
«Senza alcuna indulgenza da parte mia nei confronti di Gheddafi, la gestione di quella vicenda da parte della comunità internazionale e ancor di più di quanto avvenuto dopo pesa ancora nella coscienza e nella responsabilità di chi fece quegli errori il cui conto salatissimo è stato pagato dall’Italia e che l’Italia non può più pagare da sola».

Berlusconi sosterrà un’azione militare: un annuncio che può cambiare il clima politico dopo la rottura del Nazareno?
«È una dichiarazione in linea con la sua tradizione di politica estera che mi fa piacere e non mi meraviglia. Ma proprio per lasciare la politica estera alla propria altezza e nobiltà, distinguerei queste parole da una più generale azione di riavvicinamento al governo».

Salvini dice che i barconi andrebbero lasciati in mezzo al mare.
«Incommentabile, come quasi tutto del suo dire».

Invece il M5S si dice contrario a un’azione militare.
«Facile dirlo, ma non si è mica capito come i grillini fermerebbero il Califfo e i trafficanti di esseri umani».

Agente Lisa Facebook avverte: Dal Social il virus dei pedofili

stop foto facebook bambini
ALERT Non pubblicare foto di bambini su Facebook

“È di questi giorni la segnalazione di un nuovo ‪‎virus‬ che si diffonde tramite i profili ‪Facebook‬”. Lo rende noto la Polizia di Stato attraverso il suo profilo Facebook “Agente Lisa”.

Secondo le forze dell’Ordine, gli utenti del colosso social di Palo Alto “possono ritrovarsi taggati in un video o in una foto da un loro amico (si tratta quasi sempre di pornografia) solo che l’amico non ne sa nulla e se, incuriositi, si clicca sul link, il Pc sarà infettato da un virus”.

“Si tratta – spiega Agente Lisa – di un programma malevolo che si insinua nel computer e tra i vari effetti può carpire anche i dati sensibili. Questo virus, inoltre si può trasmettere da contatto a contatto, ad esempio si può insinuare nella chat, quindi se chattate con un amico “infetto” potreste essere infettati anche voi”.

La polizia lancia l’allerta: “Fate attenzione poi anche agli smartphone, perchè il virus si può diffondere anche sui telefonini”.


Come difendersi?
Nel post del profilo della Polizia vi sono anche le istruzioni per come difendersi “dall’intrusione”.
“Innanzitutto evitate di cliccare su link che vi sembrano strani (possibile che un mio amico mi tagghi in un video porno sulla mia bacheca?)”, si chiederebbe l’ignaro utente.

Agente LisaInstallate un buon antivirus aggiornato.
“Usate il passaparola con i vostri contatti di Facebook. Una buona idea è quella di scrivere un post sulla vostra bacheca dicendo a tutti gli amici che non avete taggato nessuno su video o foto e di non aprire link inviati a vostro nome perché si tratta di un virus. Pochi accorgimenti che sicuramente basteranno a salvaguardare il vostro computer”, conclude la nota della Polizia.

Soprattutto sui Social crescono a dismisura le organizzazioni di pedo-pornografia che fanno enormi profitti smerciando foto e video di bambini rubate dai profili Social. La cosa migliore, condivisa anche dai maggiori esperti, è quella di “non pubblicare foto di bambini”.

Il colosso di Zuckemberg è ancora oggi criticato per le falle (non solo di sicurezza) nel sistema di privacy di Facebook. Secondo tantissimi utenti è molto “complesso” configurare la sezione per non far filtrare informazioni personali che si rivelano molto “preziose” per i criminali del web.

E' morto Michele Ferrero, re della Nutella. Aveva 90 anni. Disse no a Nestlé

è morto michele ferrero
Addio al grande Michele Ferrero

E’ morto Michele Ferrero, re della Nutella. Aveva 89 anni. L’hanno assistito fino all’ultimo istante la moglie Maria Franca ed il figlio Giovanni. L’imprenditore è spirato sabato a Montecarlo. La camera ardente sarà allestita nella fabbrica di Alba (Cuneo)- dove ha sede la multinazionale – e la cerimonia funebre avrà luogo nella Cattedrale cittadina. Ferrero è stato l’imprenditore della cioccolata, inventore della Nutella, degli ovetti Kinder, del Ferrero Rocher e tanti altri prodotti conosciuti in tutto il globo.

Michele Ferrero può essere annoverato senza dubbio tra i più grandi protagonisti dell’industria italiana del secolo scorso e inizio del terzo millennio. Secondo Forbes, era l’uomo più ricco d’Italia (23,4 miliardi di dollari nel 2014) e il 29* al mondo.

Con l’avvento della globalizzazione seppe dire di no a Nestlè, suo maggiore concorrente nel mondo che si distingueva però per la produzione dolciaria “geneticamente modificata”. Questo modo di fare industria non ha mai convinto Ferrero che decise la “qualità”, alla massa per soli profitti. “Il segreto del successo? Pensare diverso dagli altri e non tradire il cliente”, ripeteva spesso a chi lo intervistava. E’ stato il simbolo della “felicità” di tante generazioni di bambini e non solo.

Nato a Dogliani il 26 aprile del 1925, Michele Ferrero, fin da bambino decide di proseguire e dare impulso alla azienda dei genitori, Pietro Ferrero e Piera Cillario che, entrambi figli di contadini, decidono di lanciarsi nell’industria dolciaria.

Pietro infatti di fare il contadino come il padre non aveva nessuna voglia e cosi, insieme al fratello Giovanni, decide di lasciare i campi e di trasferirsi nella cittadina, a Dogliani, dove si mette a lavorare come garzone di un pasticciere.

Dopo il matrimonio, Pietro e Piera aprono un negozio a Torino, nella centralissima via Berthollet. In questo periodo c’è un episodio che mostra chiaramente la vena imprenditoriale del giovane Ferrero: tenta un’avventura in Somalia per vendere panettoni. Allo scoppio della seconda guerra mondiale i coniugi decidono di tornare ad Alba dove aprono un laboratorio dolciario nel 1942 in via Rattazzi, nel quale iniziano a sperimentare la creazione di nuove golosità.

Da quel laboratorio nelle Langhe comincia la storia di uno dei più grandi gruppi dolciari al mondo. Il 14 maggio del 1946 viene costituita formalmente l’azienda fondata da Pietro ma a cui il giovane Michele, appena 21enne, dà un apporto decisivo alla sua veloce crescita. Nel 1949, alla morte del padre, Michele prende le redini insieme alla mamma Piera e allo zio Giovanni.

Da quel momento inizia la velocissima corsa di un’azienda destinata a conquistare il mondo. Sono di Michele tutte le invenzioni grazie alle quali il gruppo passa dai mille dipendenti degli anni Cinquanta ai 4 mila del 1960, per poi salire a diecimila nel 1990, fino agli attuali 19 mila (in tutto il mondo).

Oggi la Ferrero è presente in 53 Paesi, ha 20 stabilimenti produttivi, di cui 3 operanti nell’ambito delle imprese sociali in Africa ed Asia, e 9 aziende agricole.

Le realizzazioni si chiamano Mon Cheri (1956), Tic Tac (1969), Estathè (1972) e Rocher (1982). Ma soprattutto sono famosi i Kinder Sorpresa. “Perchè i bambini vogliono le uova di Pasqua al cioccolato? Per la sorpresa: allora dobbiamo dargliela tutti i giorni”, disse un giorno Michele. E fu un successo.

Fu uno dei precursori a conquistare i mercati esteri. Creò Ferrero Germania e Ferrero Francia che rappresentano i primi esempi di internazionalizzazione dell’industria nazionale. Successivamente esporta i prodotti ed il marchio Ferrero oltreoceano, dall’Australia (1974) all’Ecuador (1975).

Nei primi anni ’70 Michele Ferrero intuisce le potenzialità della televisione e l’azienda decide di puntare nella pubblicità televisiva, nel primo spazio appositamente creato, il Carosello. A fine anni ’70, periodo dei sequestri di persona per estorsione, manda i due figli Pietro e Giovanni a studiare a Bruxelles.

Torneranno poco dopo nell’azienda di famiglia. Quando Michele Ferrero lascia la carica di amministratore delegato, va a vivere a Montecarlo, dove ha sede un’altra società del Gruppo Ferrero, Soremartec (Societè de recherche de marketing et technique), i cui compiti vanno dall’innovazione del prodotto al rinnovamento dei sistemi di produzione, fino ai test di mercato.

Nel 1983 per sua volontà è nata la Fondazione Ferrero, con sede sempre ad Alba. Essa ha il duplice obiettivo di prendersi cura degli ex-dipendenti Ferrero e di promuovere iniziative culturali ed artistiche. Nel suo logo compaiono i tre verbi che la caratterizzano: “Lavorare, Creare, Donare”. Michele non ha mai voluto quotare in Borsa l’azienda e non ha mai fatto acquisizioni rilevanti.

Condotta portata avanti anche dai figli. Dal 6 giugno 1997 alla guida dell’azienda subentrano ufficialmente i figli Pietro e Giovanni Ferrero. Nell’aprile 2011 il figlio Pietro scompare in seguito ad un arresto cardiaco (come il nonno) avvenuto durante una missione nell’impresa sociale in Sudafrica. Dopo la prematura scomparsa del figlio Pietro, il figlio Giovanni è al vertice del gruppo come unico amministratore delegato, continuando a condurre l’azienda con successo.

Crisi Libia, chiusa l'ambasciata italiana a Tripoli

Crisi Libia

E’ alta tensione in Libia dopo la conquista di Sirte da parte dello Stato islamico. L’ambasciata italiana a Tripoli ha sospeso oggi le sue attività in relazione al peggioramento delle condizioni di sicurezza. Lo rende noto il ministero degli Esteri, precisando che il personale è stato temporaneamente rimpatriato via mare. I servizi essenziali saranno comunque assicurati.

Sono circa 60 gli italiani rimpatriati dalla Libia, imbarcati su un mercantile maltese. La nave, su cui sono stati imbarcati anche una ventina di mezzi, tra auto e camion, uscita dalle acque territoriali libiche, è sorvegliata dall’alto da un aereo senza pilota Predator.

Secondo quanto si legge sulla stampa maltese, gli italiani sono saliti a bordo del catamarano “San Gwann”, della società di navigazione maltese Virtu Ferries noleggiato dal governo italiano. Salpati da Tripoli intorno alle 12:15 è arrivata a Malta. Da lì ripartirà in direzione del porto siciliano di Augusta. Gli italiani, da quanto apprende l’Adnkronos, arriveranno lunedì in mattinata a Roma a bordo di un C-130 dell’Aeronautica militare.

Tra loro c’è anche l’ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Buccino. Restano intanto in Libia un centinaio di italiani, invitati ripetutamente dall’ambasciata a lasciare il Paese, ma che per il momento hanno deciso di restare nonostante il clima di forte “insicurezza” che si respira nel paese.

E’ stato il peggioramento della situazione a richiedere “un impegno straordinario e una maggiore assunzione di responsabilità, secondo linee che il governo discuterà in Parlamento a partire dal prossimo giovedì 19 febbraio”, ha affermato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Che ha aggiunto: “L’Italia promuove questo impegno politico straordinario ed è pronta a fare la sua parte in Libia nel quadro delle decisioni dell’Onu”.

Nelle ultime settimane, e fino a poche ore fa, la Farnesina e l’ambasciata a Tripoli hanno nuovamente e direttamente ribadito la raccomandazione agli italiani, in particolare a chi è in Libia per lavoro, a lasciare temporaneamente il Paese alla luce della crescente instabilità.

In mattinata fonti della Farnesina hanno ricordato che in un avviso pubblicato il primo febbraio scorso sul sito “Viaggiare sicuri” del ministero degli Esteri si ribadiva, che “a fronte del progressivo deterioramento della situazione di sicurezza” e “a seguito dell’attacco terroristico che si è recentemente verificato all’Hotel Corinthia, il pressante invito ai connazionali a non recarsi in Libia e a quelli presenti di lasciare temporaneamente il Paese”.

"Samantha Cristoforetti, lei che può, tenga le distanze…"

Samantha Cristoforetti dalla sua finestra dallo Spazio
Samantha Cristoforetti dalla sua finestra dallo Spazio

Aldo Grasso per il Corriere della Sera

Salvate il capitano Cristoforetti, Samantha Cristoforetti! Samantha è il nostro orgoglio, è la prima italiana a volare nello spazio. Pilota dell’Aeronautica militare e astronauta dell’Agenzia spaziale europea, è protagonista della missione «Futura»: sei mesi nel più grande laboratorio orbitante a 400 km dalla Terra.

Samantha è bella e buona, non sa dire di no ai collegamenti tv. A Natale ha fatto gli auguri al presidente Napolitano che commosso le ha detto: «Non la chiamerò capitano Cristoforetti: lei è Samantha per tutti gli italiani».

Poi si è collegata con «Che tempo che fa», poi gli auguri a Mattarella, poi l’inflight call con gli studenti, poi telecamera su Sanremo, con diretta farlocca.

Si sa come vanno queste cose: Samantha come fai galleggiare bene il microfono, Samantha mandaci un tweet, Samantha facci la capriola, Samantha, ti prego, una foto dell’Italia, Samantha mostraci cosa mangi stasera, Samantha di qua, Samantha di là…

La troppa confidenza fa perdere la riverenza e così entrano in scena i social: ad @AstroSamantha manca solo il telecomando; il seno di @AstroSamantha sfida le leggi di gravità; @AstroSamantha si deve sorbire Sanremo dallo spazio; @AstroSamantha non capisce la «gravità» della situazione; la valletta ha lo stesso taglio di capelli di @AstroSamantha… Insomma, Samantha rischia di diventare la prezzemolina dello spazio. Lei che può, capitano Cristoforetti, mantenga le distanze!

Paura in Danimarca. Terroristi sparano a Copenaghen. 2 morti. Ucciso attentatore

Terroristi sparano
La vetrina colpita dai proiettili. Nel tondo il vignettista Lars Vilks (Ansa)

Ucciso l’attentatore. E’ stato neutralizzato nella notte dalla polizia nei pressi di una stazione ferroviaria a Copenhagen, il presunto autore degli attacchi di sabato in un caffè e in una sinagoga che hanno provocato due morti e cinque feriti. E’ quanto riferito dalle autorità danesi in conferenza stampa. “Stiamo indagando, vogliamo sapere se ha agito da solo o no”, ha detto il capo della polizia, Jorgen Skov.

Secondo quanto riferito dalle autorità danesi, l’uomo è stato ucciso in un conflitto a fuoco verso le cinque del mattino davanti alla sua abitazione, in un quartiere multietnico. Ufficiali delle forze speciali lo hanno colpito quando ha aperto il fuoco. Per rintracciare l’attentatore determinante è stata la testimonianza di un tassista che lo aveva caricato a bordo dopo il primo attacco.

La televisione danese TV2 ha reso noto che, in relazione agli attacchi, sono stati effettuati due arresti a Copenaghen: i due sono stati fermati in un cyber-caffé situato nei pressi del luogo in cui è stato ucciso l’attentatore.

Sabato pomeriggio due uomini armati sono entrati nel pomeriggio in un bar della città danese sparando una quarantina di colpi contro il locale dove si stava tenendo un incontro pubblico sulla libertà di espressione in ricordo dell’attentato di Charlie Hebdo al quale partecipava anche l’ambasciatore di Francia in Danimarca, Francois Zilmeray e il vignettista svedese Lars Vilks, autore di numerose caricature del profeta Maometto nel 2007.

Sabato sera, sempre a Copenaghen, una incursione armata contro la Sinagoga della capitale danese aveva causato un altro morto e altri feriti.

Secondo quanto avrebbe ricostruito la polizia, l’obiettivo principale nel coffe-bar era proprio Vilks le cui vignette “blasfeme” avevano irritato non poco la comunità musulmana. Il vignettista è stato più volte minacciato e vive sotto oggi sotto scorta.

Poteva essere una strage. I terroristi avevano cercato di introdursi nel coffe-bar ma sono stati bloccati dal metal detector e così hanno sparato i colpi all’esterno dell’edificio. Un fattore che ha evitato che il bilancio fosse ben più grave. I due erano poi fuggiti con un’automobile che è stata ritrovata poco dopo dalla polizia. Le forze dell’ordine hanno reso noto che la prima vittima era un uomo sui 40 anni, ma al momento non è stato identificato.

L’allerta è altissima in tutta Europa contro i terroristi islamici. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è stato attaccato dal califfato libico: “Il ministro vuole fare il crociato”, affermano in riferimento alla posizione di Gentiloni dopo la conquista di Sirte, in Libia, da parte dello Stato islamico: “Siamo pronti a combattere”

L’organizzazione islamica fa sapere che Hayat Boumedienne, la compagna di Amedy Coulibaly, uno degli autori della strage di Parigi, è viva e ha raggiunto lo “Stato istamico”.

Il ministro Paolo Gentiloni: L'Isis è in Libia, alle porte dell'Italia

ministro Paolo Gentiloni
Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni

“L’Italia è minacciata dalla situazione in Libia, a 200 miglia marine di distanza”. Lo ha detto a SkyTg24, il ministro degli Esteri Gentiloni commentando le “notizie allarmanti” sulla presenza dell’Isis a Sirte, in Libia.

“Se non si trova una mediazione, bisogna pensare con le Nazioni Unite a fare qualcosa in più”. E l’Italia, ha sottolineato il ministro Paolo Gentiloni, è “pronta a combattere in un quadro di legalità internazionale”.

L’Isis avanza in Libia e riesce a conquistare Sirte e poco alla volta altre città. L’ambasciata d’Italia a Tripoli invita i connazionali a lasciare “temporaneamente” il Paese. Alla Farnesina si sottolinea come la situazione della sicurezza si stia progressivamente aggravando a causa dell’avanzata dei miliziani jihadisti.

Già presenti in Cirenaica, gli affiliati allo Stato islamico hanno di recente preso di mira Tripoli e rivendicato l’attacco kamikaze all’hotel Corinthia del 27 gennaio. Durante il quale sono morti almeno 5 stranieri.

Ieri alcuni account Twitter riconducibili all’Isis avevano annunciato l’uccisione di 21 copti egiziani rapiti all’inizio di gennaio a Sirte, mostrando alcune foto. Ma la notizia non era stata confermata da fonti ufficiali.

Trova invece diverse conferme la conquista, da parte dell’Isis, di alcune tv e radio locali sempre a Sirte. Da dove i miliziani dello stato islamico, secondo fonti libiche, hanno trasmesso un discorso del loro capo, il califfo Abu Bakr al Baghdadi.

Intanto prosegue l’esodo dalle coste libiche. Sono circa 700 i migranti soccorsi nelle acque davanti alla Libia dai mezzi della Guardia Costiera italiana e da alcuni mercantili, dirottati in zona dalla centrale operativa di Roma.

I migranti viaggiavano a bordo di 7 gommoni: tre sono stati soccorsi da Nave Fiorillo delle Capitanerie di Porto, altri tre dal mercantile Belle battente bandiera maltese, che sta ultimando le operazioni di trasferimento a bordo dei migranti, e uno dal mercantile Gaz Energy.

L’Eni ha voluto rassicurare sulla sicurezza dei propri dipendenti: “La presenza di espatriati Eni in Libia è ridotta e limitata ad alcuni siti operativi offshore, garantendo in collaborazione con le risorse locali lo svolgimento regolare delle attività produttive nell’ambito dei massimi standard di sicurezza”, ha riferito un portavoce della società petrolifera. “Eni continua a monitorare con estrema attenzione l’evolversi della situazione”.

Primarie Pd in Campania, nuovo rinvio. De Luca: "Una farsa"

Primarie Pd in Campania
Gennaro Migliore (Ansa/Di Meo)

Si profila l’ennesimo rinvio delle primarie del centrosinistra in Campania. Il terzo nel giro di due mesi. Questa volta a chiedere lo slittamento della consultazione “interna” già fissata per il 22 febbraio prossimo, ci ha pensato il parlamentare ex Sel Gennaro Migliore, da poco sceso “nell’arena” per la corsa a candidato governatore.

Le primarie campane erano fissate originariamente per il 14 dicembre scorso dove si prevedeva la sfida tra l’europarlamentare Andrea Cozzolino e il decaduto sindaco di Salerno Vincenzo De Luca.

La candidatura di Migliore è stata infatti ufficializzata la scorsa settimana. Una decisione condivisa aveva consentito di tenere aperti fino a sabato i termini per la presentazione delle firme. Migliore che provveduto alla procedura, ha poi chiesto di avere qualche settimana in più per la sua campagna elettorale. Si parla del 1 marzo, al massimo l’8, che però è festa della Donna.

In realtà il Pd prenderebbe tempo perché vorrebbe trovare un “candidato unitario” che non sia De Luca per via della sua vicenda giudiziaria (abuso d’ufficio) che  inficerebbe una sua eventuale elezione a palazzo santa Lucia a causa della legge Severino.

Il possibile nuovo slittamento ha suscitato la reazione stizzita dell’ex sindaco di Salerno. “Trovo che sia una farsa, un circo equestre” – ha commentato De Luca – “Credo che prima o poi ci arriviamo, prima o poi faremo ciò che stiamo chiedendo da mesi, ovvero dare la parola ai cittadini”.

“Le primarie – aggiunge – sono uno strumento che consente ai cittadini di scegliere candidati e gruppi dirigenti, uno strumento importante nelle mani dei cittadini per saltare la dimensione dei piccoli capicorrente, delle burocrazie di partito, di quelli che vivono di politica politicante e non di rapporti con i quartieri, con la gente di carne ed ossa”, ha poi concluso.

Alle primarie del centrosinistra, oltre a De Luca, Cozzolino e Migliore del Pd, sono in corsa anche Nello Di Nardo di Italia dei valori e Marco Di Lello del Psi.

Lotta contro il cancro, importante scoperta italiana

Lotta contro il cancro
Il Prof, Alberto Mantovani che ha condotto lo studio

La lotta contro il Cancro segna un importante passo in avanti grazie a una ricerca tutta italiana.

I ricercatori dell’Istituto Humanitas di Rozzano (Milano) hanno infatti scoperto che un particolare gene, definito Ptx3, è capace di “spegnere” il cancro con un meccanismo “nuovo e unico”.

Il loro studio è appena stato pubblicato sulla rivista scientifica Cell. La ricerca è stata coordinata da Alberto Mantovani, e finanziata dall’Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro (Airc).

Lotta contro il cancroGli scienziati, in particolare, hanno dimostrato che in alcuni tumori questo gene “viene “spento” precocemente portando il tumore a reclutare i macrofagi, cellule del sistema immunitario che finiscono per promuoverne la crescita e l’instabilità genetica.

Si tratta – hanno spiegato gli studiosi – di una scoperta inattesa, da cui ci aspettiamo importanti implicazioni sul fronte clinico”.

I ricercatori ora stanno lavorando per cercare di trasformare le potenzialità di Ptx3 in una cura concreta, attraverso una sperimentazione clinica che potrebbe aprire nuove positivi orizzonti nella difficile lotta contro il cancro.

Lupi: "Berlusconi decida tra i diktat della Lega e il dialogo con Ncd"

Maurizio Lupi
MINISTRO NCD Maurizio Lupi

Paola Di Caro per il Corriere della Sera

Egoisticamente parlando, il passaggio all’opposizione dura e pura di FI, con la rottura del patto del Nazareno, potrebbe diventare «un regalo» per Ncd: «Schiacciandosi sulla Lega, Berlusconi lascia enorme spazio libero per una forza moderata che voglia rappresentare le istanze più originali e profonde del nostro elettorato tradizionale». Ma per Maurizio Lupi, ministro dei Trasporti ed esponente di peso di Ncd, non è il momento di ragionare in termini tattici: «Noi speriamo ancora di lavorare con FI per ricostruire un grande schieramento di centrodestra che sia competitivo col Pd di Renzi». E per farlo, è necessario non rompere i ponti: «Le Regionali saranno un passaggio importante. Sta a FI decidere se farsi imporre veti e diktat dalla destra populista che Salvini rappresenta, o continuare a dialogare e a governare con noi dove stiamo facendo bene come in Veneto e Campania».

Il no di Salvini ad alleanze con voi è netto, come lo è la volontà di Berlusconi di riallacciare il rapporto con la Lega: come se ne esce?
«I toni e gli argomenti usati da Salvini ci riempiono di gioia: mostrano quanto sia diverso il populismo e la demagogia di una certa destra dal senso di responsabilità di un centrodestra che, invece, sta governando bene in Regioni guidate da governatori leghisti come Maroni e Zaia, che dichiarano quanto sia proficua l’alleanza con Ncd. Lo spieghi ai veneti Salvini che, per prendere una manciata di voti di lista in più, va buttata a mare un’esperienza che funziona. E decida FI cosa fare».

C’è la possibilità che non corriate assieme né in Veneto né in Campania?
«Lo ripeto, scelga FI, veda Berlusconi se essere il Sancho Panza del “Don Chisciotte no-euro” – come magistralmente lo illustra Giannelli sul Corriere – o no. In Campania poi la questione mi sembra surreale: Salvini può permettersi di porre veti anche in una regione in cui elettoralmente non esiste?».

Con la Lega ostile e FI in difficoltà, non c’è la possibilità che – almeno a macchia di leopardo – vi ritroviate alleati al Pd?
«Noi siamo alternativi alla sinistra, semmai in realtà come l’Umbria, le Marche e la Toscana stiamo lavorando ad esperienze interessanti di allargamento del nostro progetto, con il sostegno a candidati della società civile come il sindaco di Assisi, o il movimento civico che sostiene Spacca».

Comunque si concluda la partita delle Regionali, con la rottura del Nazareno non rischiate l’isolamento?
«Chi corre rischi con la rottura del Nazareno è FI, non noi. L’interruzione di un percorso che prevedeva una fase di governo con la convergenza di una parte del centrodestra e il centrosinistra per far uscire dall’emergenza il Paese e il contestuale confronto tra maggioranza e opposizione sulle riforme indispensabili all’Italia, è un grande errore di Berlusconi. Primo, perché mette FI al traino della Lega per la prima volta in 20 anni, e la costringe ad inseguire un’opposizione irresponsabile. Secondo, perché se come credo vinceremo la sfida per la modernizzazione del Paese e lo porteremo fuori dal guado, l’unica cosa che davvero interessa agli italiani, FI non parteciperà ai “dividendi” politici di questo grande sforzo».

E voi sì? Senza sponde esterne non temete di rimanere schiacciati da Renzi, che peraltro anche a voi fa sapere di avere «i voti» necessari per andare avanti qualunque cosa accada?
«Noi lo sappiamo per averlo provato sulla nostra pelle: di “Responsabili” si muore. Quando il governo Berlusconi, dopo la rottura con Fini, ricorse a loro ebbe per un po’la maggioranza numerica ma smise di fatto di esistere, perché una cosa è avere a che fare con partiti pur agguerriti, altri con piccoli gruppi di potere che possono condizionarti e legarti le mani su tutto. Il rischio della nostra presenza al governo lo vediamo, ma lo prendiamo come opportunità: continueremo a portare avanti le nostre idee senza le quali oggi non avremmo eliminato quella vergognosa tassa sul lavoro che era l’Irap e non ci sarebbero questi decreti sul lavoro».

In FI è guerra, la fronda di Fitto mira in alto: crede che il vostro interlocutore per ricostruire il centrodestra sarà ancora Berlusconi?
«Ho rispetto per le dinamiche interne agli altri partiti e non vi entro. Dico solo che noi, in coerenza con la storia di un partito che nasce sulla leadership assoluta di Berlusconi, quando ritenemmo che le scelte fossero sbagliate e incompatibili con il bene del Paese uscimmo da FI, per intraprendere una difficile e stimolante nuova avventura…».

Riforme, rissa alla Camera tra M5S e Sel contro il Pd: "Ignora nostre proposte"

Rissa alla Camera 12-2-15Desolante rissa alla Camera. Deputati in piedi sui banchi a strattonarsi, il vicepresidente Roberto Giachetti costretto a sospendere più volte la seduta che è diventata incandescente dopo l’attacco al partito democratico da parte di Roberto Fico sulle riforme.

In precedenza era finito con un nulla di fatto la ricerca di un’intesa tra Pd e M5s per emendare il ddl sulle riforme. I due gruppi si erano incontrati negli uffici del governo e il Pd sembrava aver mostrato un’apertura.

Tre i temi indicati in aula dai grillini ci sono proposte di legge di iniziativa popolare, referendum senza quorum, il ricorso davanti alla Consulta sugli atti approvati dalla Camera. Ma a quanto riferito dal Movimento, i dem non hanno accettato la mediazione ed è andata in onda una delle scene già viste a Montecitorio.

“La pausa non ha portato buoni frutti e siamo al nulla di fatto. La nostra proposta di democrazia dal basso si poteva accettare. Alziamo le mani. Auguriamo buon lavoro e buona giornata ai colleghi”, ha detto la cittadina-deputata del M5s Fabiana Dadone, annunciando che non c’è l’accordo sulle riforme.

La rissa è scoppiata improvvisamente tra un deputato di Sel ed uno del Pd, con il primo che si è slanciato verso il secondo gridando “pezzo di m…”. Immediato l’intervento dei rispettivi colleghi dei due deputati e dei commessi, e la sospensione della seduta – ancora una volta – da parte del vicepresidente Giachetti.

Dopo l’intervento di Fico i deputati grillini hanno cominciato a gridare in modo ritmato “onestà, onestà”, battendo sui banchi le mani e i faldoni degli emendamenti. Giachetti ha iniziato a richiamare all’ordine i deputati di M5s, senza però riuscire a placare gli animi. Costretto a espellere Alessandro Di Battista, Carla Ruocco e Alfonso Bonafede, i più nervosi, Giachetti ha sospeso i lavori per consentire ai commessi l’allontanamento dei tre deputati dall’aula.

Rissa alla Camera 12-2-2015Il vicepresidente, dopo le sospensioni, ha fatto riprendere i lavori per una lunga seduta notturna ma è stata di nuovo rissa alla Camera. Dopo la bagarre in Aula e soprattutto dopo la lite tra deputati di Pd e di Sel, i gruppi di M5s, Fi e Lega hanno chiesto ripetutamente di interrompere i lavori e di riprenderli venerdì mattina, ma Giachetti ha spiegato che ciò non era possibile cedendo alla richiesta di Gianluca Pini di una breve interruzione “per prendere un caffè” e ritrovare un clima più sereno. Interruzione che non è riuscita a riportare la calma tra gli onorevoli.

I grillini si erano detti pronti a fare ostruzionismo a Montecitorio, dove è in corso l’esame del ddl. “Non posso garantire un andamento del tutto istituzionale dell’Aula. Sicuramente non voteremo tutti gli emendamenti uno per uno”, aveva infatti ribadito la Dadone.

In realtà sono sette i punti che il Movimento di Beppe Grillo chiede alla maggioranza di prendere in considerazione: la possibilità di sottoporre al controllo di costituzionalità le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera e del Senato, incluso l’Italicum; l’esame obbligatorio delle proposte di iniziativa popolare da parte delle Camere; il referendum confermativo su tutte le leggi parlamentari; il referendum propositivo ed abrogativo senza quorum; la sottoposizione a referendum delle leggi di ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze i modificazioni leggi; il quorum per l’elezione dei giudici della Corte costituzionale; il ricorso alla Corte da parte delle minoranze (rappresentative di almeno 1 decimo degli eletti).

Quando ha appreso della bagarre, il premier Mattero Renzi, durante il vertice Ue di Bruxelles, ha fatto sapere che “stupisce che ci sia chi esprime non tanto un dissenso, che sarebbe legittimo, ma che siccome ha le idee in minoranza prova a fare ostruzionismo e tentativi di blocco. La nostra maggioranza non si blocca. Molto bene, avanti tutta”.

Salvataggio Grecia, Ue e Bce aprono a Tsipras. Merkel, pronti a compromesso

Salvataggio greco
Il primo ministro greco Alexis Tsipras (Epa/Ansa-Mayo)

La Grecia e l’Ue cominciano a parlarsi e fanno un primo passo in avanti dopo lo scontro all’Eurogruppo: Tsipras accetta di far lavorare i suoi tecnici con quelli della “ex” Troika, che cambia nome dopo le sue proteste, ed entro lunedì si cercherà un terreno comune per siglare un accordo all’Eurogruppo.

I leader europei si dimostrano per ora disponibili verso il nuovo Governo e lavorano tutti ad un compromesso che non faccia perdere la faccia a nessuno. Il tempo è poco ma la volontà c’è, anche con l’aiuto della Bce che ha aumentato la linea di liquidità d’emergenza (ELA) alle banche greche che avevano esaurito il tetto.

“L’Ue cerca sempre il compromesso, questo è il suo successo. La Germania è pronta ma va detto che la credibilità dell’Ue dipende dal rispetto delle regole e dall’essere affidabili”, ha detto la cancelliera Angela Merkel entrando al vertice europeo.

C’è ancora qualche giorno prima di lunedì, ha spiegato, e l’Ue deve valutare le proposte greche. Lo stesso Tsipras, al suo primo vertice Ue, si è detto “molto fiducioso che troveremo una soluzione accettabile per tutti, per mettere fine all’austerità e far tornare la Ue sulla strada della coesione sociale”. Ottimista anche il presidente del Parlamento Ue, Martin Schulz, perché “anche se non appare, uomini e donne politici a volte sono ragionevoli”.

Con queste premesse Grecia e Ue fanno un passo avanti rispetto all’Eurogruppo di ieri, finito con uno scontro a viso aperto tra Atene e i suoi partner: ora la Grecia accetta che l’Ue valuti le sue proposte. E’ un piccolo passo, ammettono i diplomatici, ma fondamentale per far proseguire quello che ancora non è un negoziato ma per ora solo un dialogo, per giunta pieno di insidie.

E’ stato il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem a proporre a Tsipras, durante un bilaterale a margine del vertice europeo, di avviare il confronto tecnico in vista di lunedì, per non lasciare che l’impasse di ieri rallentasse anche il prossimo appuntamento.

Lo stallo si era creato per un problema ‘formale’ che ne nascondeva uno sostanziale: il comunicato finale dell’Eurogruppo conteneva la parola ‘estensione’ del programma, di cui Tsipras non vuole sentir parlare e ha quindi bloccato la diffusione del comunicato.

Oggi, invece, il premier greco ha accettato la proposta di Dijsselbloem ma ha chiesto che nel comunicato con cui i due sancivano l’accordo la parola ‘Troika’ venisse sostituita con ‘istituzioni’: “Tsipras e Dijsselbloem hanno deciso di chiedere alle istituzioni di impegnarsi con le autorità greche per avviare il lavoro su una valutazione tecnica del terreno comune tra il programma attuale e i piani del Governo greco, per facilitare la discussione all’Eurogruppo del 16”, si legge nel comunicato. Le riunioni, che si terranno a Bruxelles, dovrebbero iniziare già domani.

Dopo questo lavoro tecnico servirà poi una decisione politica, che l’Eurogruppo dovrebbe essere in grado di prendere lunedì. Il vertice europeo non affronta solo la questione greca, che volutamente lascia ai margini proprio per non trasformarla in una discussione politica.

Altri i temi sul tavolo: l’Ucraina e l’accordo di Minsk, accolto con soddisfazione da tutti i leader che però non abbassano la guardia. “Dà speranza ma non è ancora abbastanza, il vero test sarà il rispetto del cessate il fuoco sul terreno”, ha detto il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk. C’è poi l’immigrazione, con la richiesta del premier Renzi di affrontare il problema Libia. E infine il terrorismo, con una stretta sui controlli alle frontiere e un rafforzamento della cooperazione tra intelligence.

Libertà di stampa, l'Italia scivola giù al 73° posto

Libertà di stampaNel mondo la libertà di stampa ha subito un calo “brutale” nel 2014, con i due terzi dei 180 Paesi monitorati che hanno subito un arretramento negli standard rispetto all’anno precedente.

Male anche l’Italia che perde 24 posizioni, scivolando al 73esimo posto, dietro la Moldavia e davanti al Nicaragua. E’ quanto emerge dal rapporto annuale di Reporter senza Frontiere. Il “deterioramento complessivo” della libertà di stampa, afferma Christophe Deloire, segretario generale di Rsf, è causato da fattori congiunti, tra cui l’azione di gruppi islamisti radicali come lo Stato Islamico o Boko Haram, che “si comportano come despoti dell’informazione”.

Nel caso italiano a pesare è l’intimidazione della mafia nei confronti dei giornalisti, vittime anche di processi per diffamazione abusivi. “Da Boko Haram all’Isis, attraverso i narcotrafficanti o la mafia, il modus operandi – scrive Rsf – per bloccare la stampa è lo stesso: paura o ritorsioni”.

I Paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti sono la Siria (177esimo posto), dietro la Cina (176), e davanti ai fanalini di coda: Turkmenistan (178), Corea del Nord (179) ed Eritrea (180). Iraq compare alla 156esima posizione e la Nigeria alla 111esima.

Questi ultimi due Paesi hanno visto quest’anno la comparsa di ‘buchi neri dell’informazion’, si legge nel rapporto. A occupare le prime posizioni continuano a essere i Paesi scandinavi: per il quinto anno consecutivo è la Finlandia a mantenere il primo posto, seguita da Norvegia e Danimarca.

Nella classifica anche piccoli Stati come Lussemburgo (dal quarto posto al 19esimo), Liechtenstein (dal sesto al 27esimo) e Andorra (dal quinto al 32esimo). “Qui – osserva l’Ong – la vicinanza tra poteri politici, economici e media genera conflitti di interesse estremamente frequenti”. Tra i Paesi dell’Unione Europea, ultimo posto per la Bulgaria (106). Male anche la Grecia alla 91esima posizione, dietro il Kuwait.

La Francia conquista un posto in più rispetto all’anno scorso anche se la classifica non tiene conto dell’attacco alla redazione di Charlie Hebdo. Rsf inoltre denuncia una “intensificazione della violenza contro giornalisti e cittadini che coprono le proteste” citando il caso di Ucraina, Hong Kong, Brasile e Venezuela.

Per quanto riguarda gli Stati africani, nonostante la Costa d’Avorio sia salita nelle posizioni di 15 posti, Congo e Libia sono indietreggiati di 25 e 17 posti rispetto all’anno precedente.La classifica annuale di Rsf si basa su sette indicatori: livello di abusi, pluralismo, indipendenza dei media, autocensura, quadro giuridico, trasparenza e infrastrutture.

Sedentari? Apple Watch "ti salverà la vita". Parola di Tim Cook

L'Apple Watch presentato dal Ceo di Cupertino Tim Cook (Monica Davey/Epa)
L’Apple Watch presentato dal Ceo di Cupertino Tim Cook (Monica Davey/Epa)

“Con l’Apple Watch il nostro obiettivo è cambiare il modo in cui vivete”. L’ambizione è del Ceo di Apple, Tim Cook, che alla conferenza annuale sulla tecnologia organizzata da Goldman Sachs ha magnificato l’orologio della “Mela”, in arrivo ad aprile.

Sarà utile a fare “attività fisica fondamentale”, e a contrastare la sedentarietà, che è “il nuovo cancro”, ha detto Cook in un intervento a 360 gradi in cui ha annunciato l’investimento da 850 milioni in un impianto solare in California.

Prima dell’avvento dell’iPod, i lettori Mp3 “avevano un’interfaccia utente pessima e serviva una laurea per usarli”, ha detto Cook. “La categoria degli smartwatch è simile.

L'Apple Watch presentato dal Ceo di Cupertino Tim Cook (Monica Davey/Epa)
(foto by Monica Davey/Epa

Ci sono diversi oggetti chiamati “orologi intelligenti”, ma non sono sicuro che si possano chiamare così. Non ce n’è stato uno che ha cambiato il modo di vivere della gente”.

A sorprendere sarà l’ampio ventaglio delle cose che si potranno fare con l’Apple Watch, ha proseguito Cook, sottolineando la funzione che avvisa quando si sta fermi per troppo tempo: “Molti medici pensano che la sedentarietà sia il nuovo cancro. L’attività fisica è fondamentale per tutti”.

L'Apple Watch presentato dal Ceo di Cupertino Tim Cook (Monica Davey/Epa)
(foto by Monica Davey/Epa

Nell’intervento il numero uno di Apple, che ieri ha superato il valore record di 700 miliardi di dollari, ha dato rassicurazioni sulla privacy per l’Apple Pay, il sistema di pagamento via iPhone, si è detto soddisfatto dall’alleanza con Ibm nel settore aziendale e ha annunciato l’accordo con First Solar per

“il più grande e coraggioso progetto di sempre”: un investimento da 850 milioni di dollari per costruire un impianto solare in California grande più di 500 ettari, pari a circa 750 campi da calcio.

Vertice di Minsk, accordo raggiunto sull'Ucraina. Guerra lontana

I quattro protagonisti del vertice di Minsk
I quattro protagonisti del vertice di Minsk

E’ stato raggiunto l’accordo per il cessate il fuoco, a partire dal 15 febbraio, in Ucraina. è questo il risultato del vertice di Minsk tra i leader di Russia, Ucraina, Francia e Germania. A dare l’annuncio è stato Vladimir Putin, che ha affermato: “Siamo riusciti a raggiungere un accordo sui punti essenziali” che prevedono anche il “ritiro delle armi pesanti”. Dal canto suo Whashington ha fatto sapere che “la Russia deve adesso porre fine al suo sostegno ai separatisti”, ed a far rientrare a Mosca “mezzi e uomini dall’Ucraina”.

Al vertice di Minsk hanno partecipato il presidente russo Vladimir Putin, quello ucraino Petro Poroshenko, la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande, che si sono confrontati in quella che è stata una vera e propria guerra di nervi, che ha finalmente dato esito positivo. Concordato anche il ritiro dalla linea del fronte delle armi pesanti che, ha detto Poroshenko, saranno portate via entro 14 giorni.

La zona “cuscinetto” sul fronte ucraino sarà larga 50-70 chilometri a seconda del tipo di arma, scrive l’agenzia Interfax, secondo cui l’area di sicurezza per l’artiglieria pesante sarà di 50 chilometri, quella per i lanciarazzi multipli di 70 chilometri. Discorso a parte per i missili Tornado-S, Uragan, e Smerch e i missili balistici Tochka-U, che dovranno essere schierati a non meno di 140 chilometri dal fronte.

Stretta di mano tra Putin e Poroshenko Vertice di Minsk
Stretta di mano tra Putin e Poroshenko

Putin ha detto che, finché non sarà raggiunto un cessate il fuoco completo, tutte le parti dovrebbero mostrare “moderazione” ed evitare “spargimenti di sangue inutili”. Kiev, ha aggiunto il presidente russo “dovrebbe ora fare una riforma costituzionale per rispettare i diritti della popolazione dell’Ucraina dell’est”. Accordo fatto anche per attuare la legge sullo status speciale per l’Ucraina sud-orientale approvata in precedenza.

Il presidente ucraino Poroshenko ha affermato che gli accordi di Minsk non prevedono nessuna autonomia per le aree controllate dai ribelli, nell’est del Paese. Nei negoziati, ha aggiunto, “ci hanno proposto diverse condizioni inaccettabili”, ma “noi non abbiamo accettato nessun ultimatum e abbiamo rimarcato la nostra posizione ferma: il cessate il fuoco deve avvenire senza condizioni preliminari”. Poroshenko ha infine sottolineato che “abbiamo ottenuto il ritiro di tutte le truppe straniere dal territorio ucraino. Tutti i mercenari devono essere ritirati dal territorio ucraino nel prossimo futuro”. Kiev e i suoi alleati occidentali accusano infatti Mosca di sostenere militarmente i separatisti con armi e combattenti.

(Foto Mikola Lazarenko/Afp-Getty Images)
(Foto Mikola Lazarenko/Afp-Getty Images)

Putin ha precisato che sulla città chiave Debaltseve manca l’accordo. I ribelli separatisti chiedevano la resa dell’esercito ucraino che sarebbe accerchiato in una specie di “sacca” che impedisce i collegamenti tra due zone in loro controllo. Il presidente ucraino “non riconosce che l’esercito sia accerchiato – ha aggiunto Putin – e la cosa lascia molti dubbi”. Vladimir Putin ha comunque aggiunto di essere d’accordo con il collega ucraino per chiarire la questione.

Anche il presidente fracese Francois Hollande ha confermato che è stato raggiunto un accordo globale sul cessate il fuoco e un accordo politico globale sulla crisi in Ucraina. Ma, pur evocando una “speranza seria”, ha precisato anche che “non tutto è stato ancora risolto. Tutte le questioni sono state trattate attraverso questo testo che è stato firmato dal gruppo di contatto e dai separatisti”. Ha poi assicurato che Francia e Germania verificheranno e monitoreranno il percorso di pace.

A rivendicare il successo di un primo accordo di pace è la cancelliera tedesca Angela Merkel secondo cui “dà speranza il risultato raggiunto a Minsk. “Germania e Francia – ha detto Merkel – hanno dimostrato insieme che noi, in accordo con l’Europa, abbiamo dato un contributo. Vorrei ringraziare Francois Hollande. Io credo che il fatto che noi tutti insieme ci siamo accordati e ci siamo imposti, anche con i ministri degli Esteri, ha comportato che si potesse raggiungere questo risultato”.

Vertice di Minsk
Un momento del summit in Bielorussia tra Francia, Germania, Ucraina e Russia

Un risultato, ha continuato la cancelliera tedesca su cui ancora “molto resta da fare. Abbiamo un segnale di speranza. Abbiamo concordato l’implementazione complessiva degli accordi di Minsk. Ma naturalmente passi concreti devono essere fatti. E ci sono ancora grandi ostacoli davanti a noi”. “Alla fine – ha precisato – anche il presidente Putin ha fatto pressione sui separatisti, affinché fossero d’accordo che da sabato alle 24 ci sia il cessate il fuoco”.

Merkel, Hollande e Poroshenko volano a Bruxelles – Una volta terminato il vertice, i tre leader europei Merkel, Hollande e Poroshenko hanno lasciato il palazzo dell’Indipendenza di Minsk per volare a Bruxelles, per partecipare a un summit Ue.

Dal primo ministro italiano Matteo Renzi e dall’alta rappresentante Ue per gli affari esteri e la sicurezza, Federica Mogherini “è un passo avanti importante, per quello che abbiamo letto come un ottimo risultato”. “Ai colloqui di Minsk – ha detto Mogherini – si è fatto un passo avanti molto importante ma non risolutivo. Si è aperto uno spiraglio: dobbiamo lavorare con tutte le nostre energie per consolidarlo”.

La pennichella fa bene. Lo conferma uno studio parigino

La pennichella fa beneLa pennichella fa bene. Anche di soli 30 minuti, il riposino pomeridiano consente di recuperare i guasti di una notte insonne o quasi. Lo rivela uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism (JCEM) e condotto da Brice Faraut della Université Paris Descartes-Sorbonne Paris Cité.

La carenza cronica di sonno è ormai divenuta un problema di salute pubblica in molti paesi. Strozzati tra mille impegni, distratti da tablet e smartphone, sono tantissimi coloro che perdono ogni notte preziose ore di sonno nonostante sia ormai assodato che dormire poco fa male alla salute, rallenta i riflessi, riduce la produttività, incide sul rischio di malattie come diabete e obesità.

Gli esperti hanno coinvolto un campione di maschi di 25-32 anni, “ospitandoli” per alcuni giorni nel loro laboratorio del sonno. La prima notte i volontari – sottoposti a un’alimentazione controllata – hanno dormito otto ore; la notte successiva solo due ore, con la possibilità o meno di fare una pennichella il giorno seguente.

La pennichella fa beneAnalizzando campioni di urine and saliva di ciascun volontario, varie sostanze sono state monitorate, ormoni ma anche molecole con importanti funzioni immunitarie. Dopo la notte semi-insonne è emerso un netto squilibrio dell’ormone norepinefrina, una molecola molto importante del sistema nervoso che controlla tra le altre cose la frequenza cardiaca. La noreprinefrina risulta più che raddoppiata in seguito a carenza di sonno. Invece una molecola con funzione immunitaria (interleuchina 6) risulta diminuita nella saliva dopo la notte quasi insonne.

Ma la concentrazione di queste due molecole torna esattamente alla normalità se alla notte semi-insonne segue la pennichella pomeridiana il giorno successivo. Fare un riposino il pomeriggio è stato più volte riferito come un toccasana per la salute di grandi e piccini; questo studio inizia a svelare le basi scientifiche dei suoi effetti.

Calabria, 40 milioni per un centro cuore d'eccellenza. Mai aperto

Centro Cuore
Il Centro Cuore di Reggio Calabria

Centro Cuore fantasma. Era stato progettato e costruito per diventare un centro all’avanguardia per la prevenzione e la cura delle patologie cardiovascolari, ma ultimato nel 2011 nessuno ha mai tagliato il nastro d’inaugurazione. E’ rimasto chiuso con all’interno attrezzature biomedicali nuovi di zecca.

Nel mirino del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza è entrato il “Centro Cuore” di un’ospedale di Reggio Calabria, già noto alle cronache nazionali. I finanzieri hanno denunciato alla Corte dei conti sei funzionari pubblici per un presunto danno erariale di circa 40 milioni di euro, tanti quanto sarebbe costata negli anni l’intera struttura.

Le indagini hanno permesso di rilevare che il Centro non è mai entrato in funzione a causa della mancata previsione, in fase progettuale, delle risorse finanziarie necessarie all’assunzione di personale specializzato. Le ragioni, secondo la Gdf  sarebbero riconducibili alle strette del “Piano di Rientro dal disavanzo della spesa sanitaria”.

Le moderne e costose apparecchiature biomedicali, acquistate con un leasing in 18 rate da 500.000 euro, per le quali l’Azienda Ospedaliera ha ancora in corso i pagamenti unitamente alle spese di manutenzione, giacciono inutilizzate e destinate a diventare obsolescenti in breve tempo.

Il nucleo investigativo ha anche evidenziato che l’assenza del servizio ha comportato, per molti pazienti, la necessità di spostarsi altrove per ricevere cure specialistiche con costi per la sanità pubblica calabrese stimati in oltre 7 milioni di euro annui.

Secondo i finanzieri, che hanno ricostruito tutti gli step fatti per la realizzazione del Centro, a bandire la gara d’appalto con procedura aperta era stata l’Azienda ospedaliera nel 2006. La commissione, nel valutare le offerte proposte da tre Associazioni temporanee d’impresa, nel settembre del 2007 aveva aggiudicato l’appalto all’Ati “Siemens Medical Solution Spa”, con un’offerta di quasi 13 milioni, “chiavi in mano”.

centro cuoreNel novembre 2007 una delle Ati  concorrenti, composta dalla società lombarda “GE Medical System Italia Spa” e dalla ditta reggina “Edil Minniti”, ha fatto ricorso al Tar per l’annullamento dell’aggiudicazione.

Il ricorso, prima accolto dal Tar, è stato a sua volta impugnato dall’Ati vincitrice davanti al Consiglio di Stato che ha respinto l’istanza, aggiudicando definitivamente i lavori alla “GE Medical System Italia Spa – Edil Minniti”di Reggio Calabria.

L’appalto, affidato nel marzo del 2010, prevedeva un esborso di 18.031.862 euro, per la realizzazione delle infrastrutture, comprensive di arredi e per la fornitura di costosi macchinari biomedicali.

Secondo quanto scriveva il Corsera nel 2013, l’idea di costruire a Reggio Calabria il «Centro Cuore» “era venuta nel 2005 ad Agazio Loiero, ex presidente della giunta di centro sinistra della Calabria. Tre anni dopo la Regione aveva ottenuto il finanziamento per realizzare quello che sarebbe diventato il fiore all’occhiello della sanità calabrese.

centro cuore Nei programmi dei politici del tempo c’era l’intenzione di rendere fruibile la struttura anche ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, oltre a limitare l’emigrazione dei calabresi stessi, costretti a viaggi della speranza in strutture del Nord Italia. Ben presto, però, quell’idea dovette fare i conti con il campanilismo dei calabresi.

Qualcuno oggi si spinge a ipotizzare che dietro la mancata apertura del Centro Cuore ci sia l’atavico antagonismo con la città di Catanzaro. Nel capoluogo, infatti, esiste già un centro d’eccellenza per malati di cuore. La scelta di costruire la struttura reggina, all’epoca, ebbe comunque l’avallo di tutte le forze politiche esistenti in Consiglio regionale”.

centro cuore
Demetrio Battaglia (Pd)

Un campanilismo che si scorge dalle parole del parlamentare reggino del Pd  Demetrio Battaglia il quale in una interrogazione sul caso al Ministro alla Salute, Beatrice Lorenzin, rammenta che “l’inerzia del Ministero rispetto ad un centro di eccellenza, agli investimenti effettuati ed alle attese dei cittadini non è più accettabile considerato che il predetto Ministero non ha impedito anzi, forse ha autorizzato, altre realtà sanitarie calabresi a procedere ad assunzioni che non hanno certamente le caratteristiche, in termini di utilità, di quelle previste per il funzionamento del Centro Cuore.

Il deputato chiede alla Lorenzin “quali iniziative intenda attivare, con urgenza, per consentire lo sblocco delle assunzioni del personale specializzato, in deroga al Piano di Rientro, consentendo finalmente l’apertura per i cittadini del “Centro Cuore” di Reggio Calabria”.

Francesco Macchia sul centro cuore accusa
Francesco Macchia presidente Ipes

Francesco Macchia, presidente dell’Istituto per la promozione dell’etica in Sanità, nel commentare la vicenda ha affermato che quella del “Centro cuore” di Reggio Calabria “è solo la punta di un iceberg”. “La sanità pubblica deve smettere di essere terreno di conquista per malapolitica e corruttori”, accusa Macchia ricordando che “nel nostro Libro bianco sulla corruzione in Sanità abbiamo messo nero su bianco tutte le voci di spesa in grado di rivelare un accordo corruttivo tra amministrazione sanitaria e fornitori di servizi. A Reggio sono stati capaci di andare oltre, impiegando decine di milioni di euro per non approdare a nessun risultato concreto per i cittadini.

Concordia, Francesco Schettino condannato a 16 anni

Schettino in aula in uno degli interrogatori che lo vede imputato per omicidio colposo nel processo Concordia (Ansa/Russo)
Francesco Schettino in aula (Ansa/Russo)

Si conclude con la condanna a 16 il primo dei gradi di giudizio contro Francesco Schettino, ex comandante della Costa Concordia naufragata a pochi metri dall’Isola del Giglio nel gennaio 2012.  Durante la lettura della sentenza l’imputato non era in aula. L’accusa aveva chiesto 26 anni e tre mesi di reclusione.

Prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio per decidere il verdetto, Schettino aveva reso dichiarazioni spontanee. “Il 13 gennaio 2012  – ha detto – sono in parte morto anche io”.

“Dal 16 gennaio la mia testa è stata offerta con la convinzione errata di salvare interessi economici” afferma Francesco Schettino. Forse un atto di accusa alla compagnia Costa Crociere che all’indomani della tragedia lo avrebbe subito scaricato.

Fin dall’inizio del processo, ha detto ancora il comandante, “la divulgazione di atti processuali prima che fossero analizzati e la frasi offensive hanno avvalorato l’immagine di uomo meritevole di una condanna”.

“Sono stato accusato – ha aggiunto – di mancanza di sensibilità per le vittime: cospargersi il capo di cenere è un modo per esibire i propri sentimenti”, scelta “che non ho fatto.

Il dolore non va esibito per strumentalizzarlo”, ha aggiunto. Poi ha parlato di “momenti di dolore che ho condiviso coi naufraghi a casa mia”, ma si è messo a piangere e si è interrotto. Giudici ora in camera di consiglio per la sentenza.

L’udienza è cominciata con la conclusione della replica della compagnia Costa Crociere, interrotta a causa di un malessere dell’avvocato Marco de Luca. Tornato in aula è intervenuto criticando le richieste di risarcimento delle parti civili alla compagnia di navigazione. Sono seguite poi le repliche degli avvocati e le dichiarazioni spontanee di Schettino. I giudici si sono ora ritirati in camera di consiglio.

L’accusa aveva chiesto 26 anni di carcere per il comandante della nave naufraga all’isola del Giglio la notte del 13 gennaio 2012 in cui morirono 32 persone. Una richiesta ritenuta dalla difesa “spropositata” rispetto al reato di omicidio colposo.

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