6 Ottobre 2024

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Grecia, l'Europa dice sì agli aiuti: "Ma ora servono più impegni"

Il ministro delle finanze della Grecia Yanis Varoufakis con il premier Alexis Tsipras
Il ministro delle finanze della Grecia Yanis Varoufakis con il premier Alexis Tsipras

Marco Zatterin per La Stampa

Nessuna sorpresa, molte riserve. Le tre istituzioni precedentemente note come la «Troika» – Bce, Fmi e Ue – sostengono che il piano di riforme del governo Tsipras è un insieme di buone ragioni per estendere il programma di finanziamenti alla Grecia che scade sabato e per scongiurare il pericolo di una bancarotta ellenica.

È un «sei politico» per quella che è un’ambiziosa lista della spesa priva di numeri, un giudizio di incoraggiamento segnato da dubbi ragionevoli che imporranno verifiche sino a giugno, tempo nel quale Atene vorrebbe negoziare un nuovo «bailout», il terzo, un «contratto». «Non ci sono proposte concrete su crescita e stabilità finanziaria, fatto comprensibile dato il tempo a disposizione – ammette Mario Draghi -. Però è una base evidente per proseguire nella revisione del piano e pensare ad intese future».

Si è deciso di non stangare il giovane governo greco, di dargli ossigeno e sperare che serva. La formula concordata fra «le istituzioni» è che l’elenco da 7 miliardi spedito da Atene poco prima della mezzanotte di lunedì è «sufficientemente ampio per essere un valido punto di partenza per una revisione positiva del programma», ossia ci sono gli elementi per mantenere intatto il filo del salvataggio greco.

Ognuna delle parti trova però qualcosa da ridire sui 12 capitoli della promessa rivoluzione fiscale, economica e amministrativa della repubblica ellenica. Incertezze pesanti La frase conclusiva scritta dai ministri dell’Eurogruppo dopo la riunione postprandiale in teleconferenza è diplomatica e ricca di significati: «Chiediamo alle autorità greche di sviluppare ulteriormente e ampliare la lista delle riforme, basandosi sugli accordi in vigore, e in piena intesa con le “istituzioni”».

La Bce ci aggiunge un «rapidamente» e ricorda che la piattaforma per il futuro deve essere il programma esistente. E il Fmi sottolinea che questo non basta per la revisione del programma che scade nel maggio 2016: bisognerà negoziare ancora per andare avanti con i pagamenti in arrivo da Washington.
Venerdì l’Eurogruppo ha chiesto alla Grecia, come condizione per poter continuare ad avere i prestiti per rinnovare i 320 miliardi di debito, di dimostrare di essere sulla strada delle riforme.

Con un giro di parole, e spinta dai duri tedeschi e spagnoli, si è domandato a Tsipras di accettare il vecchio programma del 2012 con qualche maquillage, a saldi invariati. Per un governo che aveva giurato «no all’austerità» sarebbe una spinta indietro, se non che il linguaggio è talmente sfumato da consentire a tutti di dire «abbiamo vinto».

Il piano del governo greco dice tutto quello che deve. Parte con la riforma dell’Iva e della tassazione collettiva, dal consolidamento dell’agenzia delle entrate. Segue l’impegno al riequilibrio del bilancio, la riforma della pubblica amministrazione e una spending review che corregga una situazione in cui appena il 44% della spesa riguarda salari pubblici e pensioni.

Questo introduce un’offensiva contro i baby pensionati e un approccio più contributivo per i vitalizi. C’è poi la lotta alla corruzione, il taglio dei ministeri da 16 a dieci, quello dei fringe benefit e i fondi per la politica. Si intensifica il recupero delle tasse e si proteggono i deboli che non riescono a pagarle. Avanti con privatizzazioni, riforma del lavoro e del catasto, interventi contro la povertà. Per ora nessuna traccia della ventilata tassa patrimoniale.

Il voto dei parlamenti E adesso? Mica è finita. Quattro parlamenti devono votare l’estensione, i tedeschi lo faranno venerdì, non senza mal di pancia. Mercati positivi, Borsa ateniese vola del 10%. Che si godano la festa. Il capitolo Troika è chiuso, mentre le «istituzioni» devono verificare i propositi greci per decidere sul pagamento della tranche da 7,2 miliardi, ultima del secondo piano di aiuto da 172 miliardi firmato nel 2012 che si chiude il 28. Il confronto in materia, assicurano ad Atene, è già avviato.

Rai, Renzi punta sul ddl. Testo pronto in 10 giorni. I dubbi del Colle sul decreto

La presidente Rai Anna Maria Tarantola con il dg Luigi Gubitosi
La presidente Rai Anna Maria Tarantola con il dg Luigi Gubitosi

Goffredo De Marchis per La Repubblica

Alla fine non sarà un decreto a cambiare la Rai. È stata una minaccia utile a smuovere le acque ed ad accelerare i tempi, visto che a maggio scade l’attuale consiglio di amministrazione della tv pubblica. Il governo sceglierà la via del disegno di legge e lo farà nei tempi promessi da Matteo Renzi presentandolo entro marzo, quasi sicuramente in occasione del consiglio dei ministri del 6.

Non sarà un decreto anche perché dal Quirinale sono filtrati i dubbi, le perplessità del presidente Sergio Mattarella. Non ci sono i motivi di necessità e di urgenza: Viale Mazzini non vive una crisi finanziaria e i suoi vertici possono essere prorogati di qualche mese in modo da nominare i nuovi con criteri diversi da quelli fissati nella Gasparri. Riflessioni che il capo dello Stato, per vie informali, ha fatto arrivare a Palazzo Chigi. Anche il premier ha spiegato il senso dell’ipotesi- decreto: «Contro l’ostruzionismo delle opposizioni è l’unico strumento a disposizione ». E i pericolo del percorso naturale della legge sono evidenti.

Tutte le forze politiche infatti a parole vogliono cambiare la governance del servizio pubblico, liberarlo dai partiti e dalla lottizzazione. Insomma, modificare la Gasparri. Finora però alla Camera è stata depositata una sola proposta di legge, firmata dal Pd Michele Anzaldi. Niente da parte di Lega, Sel o Forza Italia. Niente da parte dei movimento 5stelle che pure ha la presidenza della commissione di Vigilanza ed è entrato in Parlamento con l’idea di scardinare Viale Mazzini. Come se le forze politiche in realtà fossero soddisfatte della legge attuale. «Così sarebbe finita con la nomina dei nuovi vertici con le vecchie regole – spiega Anzaldi – . La voce del decreto è servita a svegliare tutti».

La voce scatena comunque le reazioni. «La riforma della Rai avverrà tramite decreto se ci sarà ostruzionismo parlamentare », dice il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, azionista al 95 per cento della tv pubblica. La presidente della Camera Laura Boldrini invece avverte: «Non c’è motivo per un decreto. Mancano i requisiti di necessità e urgenza». Una posizione che fa alzare il muro dei renziani. Il vicesegretario Lorenzo Guerini consiglia di rileggere la Costituzione: «Sul decreto decide solo il capo dello Stato.

La valutazione sulla necessità e urgenza di decreti legge spetta a lui e a nessun altro. Con tutto il rispetto, la responsabilità di Laura Boldrini è oggi quella di presidente della Camera e non di presidente della Repubblica. A chi difende la presidente suggerisce «un breve ripasso serale di diritto costituzionale ad uso della sinistra radicale che difende la Carta ma non la ricorda».

Ernesto Carbone attacca: «Qualcuno spieghi a Laura Boldrini che é la Presidente della Camera e quali sono le sue funzioni e le sue responsabilità». Padoan però difende anche l’attuale vertice di Viale Mazzini. Giudica ottimo il piano per la riforma dell’informazione varata dal direttore generale Luigi Gubitosi. Un piano che sarà all’esame del cda Rai giovedì per essere votato entro marzo. È giallo però dentro il governo perché il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli sostiene che le dichiarazioni del titolare di via XX settembre vanno considerate un equivoco.

Il disegno di legge che andrà in consiglio il 6 marzo fisserà le nuove regole di nomina degli amministratori Rai, sottraendo il controllo ai partiti e al Parlamento. Ma ci sono alcuni puntichiave da precisare. La proposta Anzaldi per esempio affida a una Fondazione la scelta dei consiglieri e dell’amministratore unico. Però non è facile trasferire le azioni dal Tesoro al nuovo ente. Quindi il governo manterrà un potere di nomina diretto? Sarà questo il terreno di scontro tra le opposizioni e Renzi?

Va definita anche la divisione dei ruoli tra presidente e consigliere delegato. È possibile che il primo abbia una ruolo più editoriale ovvero di gestione del prodotto e il secondo si occupi maggiormente dei conti e del coordinamento finanziario dell’azienda. Sono questi i dubbi mentre il cda sicuramente verrà ridotto da 9 a 5 membri. Comunque il disegno di legge affronterà in maniera diretta la sola questione della scelta dei vertici, ovvero la parte più urgente dell’intervento sulla televisione di Stato. Ad aprile infatti il cda approverà il bilancio e scadrà un mese dopo quel voto, a maggio. Renzi punta ad approvare la riforma entro luglio, prorogando di soli due mesi Tarantola e Gubitosi. Un intervento sulla mission dell’azienda avverrà invece a fine anno quando l’esecutivo interverrà sul contratto di servizio.

Elezioni regionali Veneto. Secessione in casa Lega. Tosi con un piede fuori

elezioni regionali veneto, scontro nella Lega
Da sinistra Salvini, Tosi e Zaia (Ansa/Percossi)

Fabrizio de Feo per il Giornale

La guerra fratricida con Zaia per la candidatura a governatore del Veneto sta raggiungendo il culmine. Salvini: «Chi non è d’accordo con me può andarsene». Scontro totale. A pochi giorni dalla manifestazione romana di Piazza del Popolo, la disfida fratricida tra Luca Zaia e Flavio Tosi per la candidatura a governatore del Veneto, arriva al redde rationem.

«Zaia non si tocca. Chi vuole discutere uno dei governatori leghisti più amati di sempre lo fa fuori dalla Lega» attacca Matteo Salvini. «Se Tosi dà una mano a Zaia fa il suo mestiere, se ha altre idee lo dica», aggiunge. «Non esiste nessuna doppia candidatura, il candidato era ed è Zaia, chi non è d’accordo ha un mondo davanti a sé, che non è in Lega».

Insomma un chiaro invito a prendere la porta, anche se a precisa domanda su una possibile espulsione il segretario del Carroccio resta prudente: «Io non espello nessuno», ma «è qualcuno che eventualmente si autoesclude, chi non sostiene Zaia, sostenga la Moretti, Passera, sostenga Alfano». Salvini pizzica Tosi anche sulla sua possibile assenza alla manifestazione di sabato. «Ma come? In tanti perderanno la domenica di riposo e si alzeranno prima dell’alba.
Vieni. Punto. Poi discutiamo della Regione».

Parole dure arrivano naturalmente anche da Zaia che liquida come «abominevole» l’ipotesi di una discesa in campo di Tosi. A difesa del governatore uscente anche il sindaco di Padova, Massimo Bitonci: «La Liga veneta è forte come non mai, unita e si riconosce in Salvini e in Zaia. Non vedo alcuno scontro fra Lombardia e Veneto. L’unica frattura, purtroppo evidente, è quella fra un singolo esponente, impegnato in una lotta personale che non convince nemmeno i suoi fedelissimi, e il resto del movimento». Più morbido il giudizio di Roberto Maroni.

«Lo stimo, gli sono amico, ma non può mettersi contro Zaia. Sarebbe un errore gravissimo per lui e per la Lega».
La replica di Tosi è secca e circostanziata. «Se Salvini decidesse di espellermi? Spetta al consiglio federale, in ogni caso ognuno si assume le sue responsabilità. Dicevano che ero fuori dalla Lega perché ero contro la secessione, adesso nessuno è più secessionista». Regionali perse? «Non è detto, magari si candida Topo Gigio con una lista civica di centrodestra e diventa presidente della Regione».

Tosi, insomma, non indietreggia, e apre sulla partecipazione alla manifestazione romana: «Ho impegni istituzionali nella mia città e devo vedere la compatibilità, ma siccome c’è chi strumentalizza… e non parlo di Salvini, farò l’impossibile per esserci. Io dormo 4-5 ore a notte per lavorare, e poi c’è chi fa polemica, non è sul territorio e prende un pacco di soldi perché riveste ruoli istituzionali. Questa gente dovrebbe solo vergognarsi».

Per lunedì è stato convocato il consiglio federale della Lega Nord. Tra i punti all’ordine del giorno l’analisi dell’esito della manifestazione «Renzi a casa» e la questione delle Regionali. Una riunione durante la quale l’anima veneta del movimento più vicina a Luca Zaia è determinata a chiedere il commissariamento di Tosi, alla guida della Liga da due anni e mezzo. A maggior ragione se il sindaco di Verona non parteciperà alla manifestazione di sabato.

C’è anche la questione delle liste civiche da affrontare. Tosi da tempo, con la sua Fondazione «Ricostruiamo il Paese» ragiona sull’embrione di un progetto di una Lega più moderata, una Lega di governo, partendo dal presupposto che i toni di Salvini possono portare a una fiammata, ma non potranno mai rendere il Carroccio competitivo per la vittoria.

Diversa anche la sua idea delle alleanze, con un approccio meno improntato alla «purezza leghista» e più a una logica di coalizione. di Fabrizio de Feo Roma Gli anni che Flavio Tosi, 46 anni, ricopre la carica di sindaco di Verona. Eletto il 29 maggio 2007 è stato poi rieletto per un secondo mandato il 7 maggio 2012 Gli onorevoli fra Camera e Senato sui quali può far conto la Lega in Parlamento. Lo stesso Matteo Salvini alle Politiche 2008 è stato eletto deputato. Oggi è a Bruxelles.

Caso Lanzetta, le contraddizioni e il ring del Pd calabro

Maria Carmela Lanzetta saluta Rosy Bindi
Maria Carmela Lanzetta saluta Rosy Bindi

Enrico Fierro per il Fatto Quotidiano

Si potrebbe titolare alla Carlo Emilio Gadda, “quel pasticciaccio brutto dell’Antimafia e della Lanzetta”. Nel senso di Maria Carmela, ora di nuovo farmacista nella sua Monasterace (Calabria), ieri ministro della Repubblica voluta da Matteo Renzi, spedita in Calabria con l’obiettivo di entrare nella giunta regionale di centrosinistra, e disoccupata della politica dopo aver detto no a quel posto per la presenza ingombrante di un assessore.

Andiamo con ordine. L’altro giorno a Catanzaro arriva la Commissione antimafia e Rosy Bindi parla del caso Lanzetta. L’ho convocata tempo fa, dice la presidente, dopo una sua intervista al Corriere della Sera. L’ex ministra verrà sentita domani alle 8,30, l’intervista è del 2 novembre 2014, l’autore chiede alla Lanzetta notizie sulle minacce ricevute dalla ‘ndrangheta.

E lei, continua Rosi Bindi, risponde che no, di ‘ndrangheta non ha mai parlato. Mistero da chiarire. “Siccome era diventata un simbolo delle sindache anti-‘ndrangheta – aggiunge la Bindi -, e siccome in questa terra non è l’unico caso di contraddizione, la vicenda Girasole (sindaco antimafia di Isola Capo Rizzuto, poi finita in una inchiesta, ndr) insegna, io credo che la Commissione antimafia debba capire se una persona è oggetto di minacce da parte della ‘ndrangheta oppure no. Mi deve spiegare il prima e il dopo”. Tutto normale?

Non proprio. Quando era sindaco, a Maria Carmela Lanzetta bruciarono la farmacia di famiglia e spararono colpi di pistola alla sua macchina. In quel periodo calarono a Monasterace Pisanu, presidente dell’Antimafia, De Sena, allora deputato del Pd, Bersani.

A credere che quegli attentati avessero una chiara matrice mafiosa, fu la magistratura che affidò le indagini non alla procura ordinaria, ma alla distrettuale antimafia. Ma Rosi Bindi vuole capire se ci troviamo di fronte ad una “contraddizione”, o, peggio ancora, se c’è altro, tanto che si spinge a fare il paragone con l’ex sindaca Carolina Girasole.

L’Antimafia sa qualcosa sulla Lanzetta che l’opinione pubblica ignora? Se sì, siamo di fronte ad una notizia eclatante, perché quel “qualcosa” riguarda un ex ministro all’epoca scelto direttamente da Matteo Renzi proprio per le sue caratteristiche: donna e schierata contro la mafia.

La speranza è che la Commissione antimafia non si limiti a chiedere alla farmacista Lanzetta lumi su una intervista di tre mesi fa, ma le chieda anche il perché di quel rifiuto ad accettare la carica di assessore regionale. Lei lo ha già chiarito in tutte le salse con il sostegno del sottosegretario Graziano Del Rio e con note di Palazzo Chigi.

Non è entrata nella giunta di Mario Oliverio per la presenza di Nino De Gateano. Si tratta di un ex consigliere regionale i cui santini elettorali furono trovati in un covo del boss Giovanni Tegano. Un rifiuto che all’ex ministro è costato l’ostracismo dell’intero Pd calabrese. “Sei una stalker, da te non accettiamo lezioni di moralità”. Esaurite le curiosità sull’intervista, forse varrebbe la pena riflettere sul caso De Gaetano e non trasformare l’Antimafia in un ring fra correnti del Pd calabro.

Mafia, Dna: "Costante vitalità. Al Sud centro decisionale"

 rapporto dna 2015
Un momento della presentazione della relazione annuale della Dna

L’organizzazione mafiosa Cosa Nostra – nonostante sia stata fortemente colpita da indagini e arresti da parte delle forze dell’ordine – anche nel 2014 ha continuato a dimostrare una “costante vitalità” nelle varie parti del territorio siciliano nelle quali è presente, a cominciare dal Distretto di Palermo.

Lo afferma la relazione della Direzione nazionale antimafia presentata oggi dal presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi e dal procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti. Lo studio sottolinea come “tale analisi non coincide con indicazioni, anche autorevoli, di altri osservatori del fenomeno mafioso che teorizzano una sorta di “balcanizzazione” dell’organizzazione mafiosa Cosa nostra e un suo inarrestabile declino”.

“Deve peraltro confermarsi – scrive la Dna – che la città di Palermo è e rimane il luogo in cui l’organizzazione criminale esprime al massimo la propria vitalità sia sul piano decisionale (soprattutto) sia sul piano operativo, dando concreta attuazione alle linee strategiche da essa adottate in relazione alle mutevoli esigenze imposte dall’attività di repressione continuamente svolta dall’autorità giudiziaria e dalla polizia giudiziaria”.

Allo stato gli investigatori registrano una cooperazione di tipo orizzontale tra le famiglie mafiose della città di Palermo, “volta a garantire la continuità della vita dell’organizzazione ed i suoi affari. Tra questi in particolare devono segnalarsi un rinnovato interesse per il traffico di stupefacenti e per la gestione dei “giochi” sia di natura legale che illegale”.

 rapporto dna 2015
Il procuratore nazionale della Dna Franco Roberti (Ansa/Fusco)

“In tal modo l’organizzazione mafiosa nel suo complesso sembra, in sintesi, aver attraversato e superato, sia pure non senza conseguenze sulla sua operatività, il difficile momento storico dovuto alla fruttuosa opera di contrasto dello Stato ed aver recuperato un suo equilibrio”, conclude la Dna. Tra i latitanti “eccellenti” di mafia – scrive inoltre la Direzione nazionale Antimafia – ancora si sottrae alla cattura Matteo Messina Denaro, capo indiscusso di alcune famiglie mafiose.

“Il suo arresto non può che costituire una priorità assoluta ritenendosi che, nella situazione di difficoltà in cui si trova Cosa Nostra, il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire un danno enorme per l’organizzazione”.

“Bisogna tornare a chiedersi – scrive la Dna – se il legislatore non debba approntare, per le ipotesi accertate di reiterazione nel delitto di cui all’art. 416 bis c.p., un meccanismo sanzionatorio particolarmente rigoroso per escludere per un non breve periodo di tempo dal circuito criminale quegli appartenenti all’organizzazione mafiosa che dopo una prima condanna, tornino a delinquere reiterando in tal modo la capacità criminale propria e dell’organizzazione.

Quantomeno, nella contestazione dei delitti per soggetti che rispondono a tali caratteristiche deve auspicarsi un maggiore ricorso alla richiesta ed all’adozione nella sentenza dell’affermazione di delinquente abituale ai sensi dell’art. 109 del codice penale”.

Il presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi alla presentazione della relazione 2014 della Dna ha detto:”La lotta alla corruzione è anche lotta alla mafia. Noi paghiamo il prezzo di un sistema che si è rilassato, basta pensare alla prescrizione”.

“Le leggi sul falso in bilancio e l’abolizione di alcuni reati – ha spiegato Bindi – hanno un nome e cognome; io mi sono sempre opposta a questi tipi di provvedimenti. “C’è un giudizio sommario sugli ultimi 20 anni che io non accetto.

Chi oggi si batte per modificare norme su prescrizione o falso in bilancio sono alcune persone e forze politiche”. E tuttavia per Bindi la sensibilità su questi temi “va aumentando. Le iniziative del Governo non sono perfette ma il tempo è favorevole” per intervenire su una serie di aspetti.

Relazioni, il tradimento della donna? E' nel Dna. Colpa di un gene

Tradimento marito moglie tradire infedeltàLa donna è più predisposta al tradimento rispetto all’uomo a causa di un gene che alcuni ricercatori australiani dell’Università del Queensland, in Australia, hanno scoperto dopo alcuni anni di ricerca.

Il gene, che non sarebbe presente negli uomini, è scientificamente definito “AVPR1a” e sarebbe ereditato da madre in figlia. Il tradimento in rosa, secondo lo studio, risiede dunque nel Dna della donna.

Al contrario dell’uomo, la donna che tradisce non viene spinta unicamente dall’attrazione fisica, ma soprattutto da un fattore cerebrale che diventa determinante per far scattare la molla “dell’infedeltà”.

Il gene “AVPR1a” può stimolare il gentil sesso al punto da indurlo a cadere tra le braccia (e nel letto) di un altro uomo senza tanti scrupoli o rimorsi di coscienza, quasi come se si trattasse di uno stato ipnotico.

Lo studio australiano è stato condotto su un campione di oltre 7mila persone firlandesi di sesso femminile e avrebbe accertato come il gene sia tramandato da madre in figlia.

tradimentoDopo una serie di interviste, gli studiosi hanno potuto constatare come la maggior parte delle donne “esaminate” abbia confessato di aver tradito il proprio partner almeno una volta, a dimostrazione di come l’“AVPR1a” sia un fattore importante di condizionamento.

Alcuni osservatori in passato hanno rilevato come il tradimento da parte di entrambi i sessi non debba essere per forza fisico: è infatti il solo desiderio che fa della donna o dell’uomo un “infedele”. Basta desiderare per consumare il tradimento? Certo, non è la stessa cosa di trovare la propria donna a letto con un altro ma è comunque una forma carsica di “infedeltà”.

Non a caso è riportato nei Dieci comandamenti: “Non desiderare la donna d’altri”. Un testo a cui si potrebbe tranquillamente aggiungere “l’uomo”. A quanto sembra, e gli studi lo confermerebbero, uno dei comandamenti più violati in assoluto con la donna che sarebbe maggiormente predisposta a cambiare partner (e stanza da letto).

Il sesso fa bene. Ecco perché in 8 punti

orgasmo fa bene al cervello Il sesso fa bene

Germana Carillo per NextMe.it

Il sesso fa bene, altro che farmaci per l’eterna giovinezza! Per chi ancora non lo avesse capito, avere con una certa frequenza dei sani rapporti sessuali giova, per la stragrande maggioranza dei casi, alla mente e al corpo. E ora anche scienza conferma, snocciolando gli 8 effetti del sesso sul cervello.

Con buona pace di sudoku, cruciverba e simili, il vero allenamento per il cervello è l’orgasmo: l’apice del piacere di maschietto e femminuccia mantiene attiva la sfera cerebrale, allevia il dolore, migliore l’umore e un altro gruzzoletto di bella roba.

In occasione dell’imminente festa degli innamorati, il Time ha ripreso varie ricerche effettuate negli States e ha elencato 8 validi motivi per cui non bisognerebbe mai smettere di fare l’amore.

1. Il sesso è come una droga – La sua azione è infatti simile a quella della cocaina o del cioccolato: il rilascio di dopamine, neurotrasmettitori stimolati anche dalle droghe, innesca il cosiddetto “effetto ricompensa”. E il risultato è paradisiaco…

2. Il sesso è un antidepressivo – Alcune sostanze contenute nel liquido seminale, come estrogeni e prostaglandine, avrebbero proprietà antidepressive. Secondo una ricerca dell’Università americana di Albany, le donne che hanno rapporti stabili e che praticano sesso senza preservativo, soffrono molto meno di sintomi depressivi rispetto alle donne con rapporti casuali, “mediati” dal condom.

3. Il sesso è un antidolorifico – Niente scuse di mal di testa: fare sesso può anzi alleviare il dolore. Sul totale di un campione preso in un esperimento tedesco, il 60% soffriva di emicrania, mentre il 30% di cefalea a grappolo: fare sesso durante un attacco di mal di testa era benefico nella maggior parte dei casi, alleviando o addirittura eliminando il dolore.

4. Il sesso calma – Molti studi dimostrano come spesso, dopo aver fatto sesso, si riesca reagire in maniera efficace a situazioni di forte tensione e stress emotivo, come ad esempio parlare in pubblico.

5. Il sesso migliora la memoria – Alcuni esperimenti dimostrerebbero che, con rapporti regolari, c’è una crescita maggiore di neuroni nell’ippocampo, responsabili del buon funzionamento della memoria.

6. Il sesso ha un’azione soporifera – Un autentico “effetto torpore” (per i maschietti!) che, secondo i ricercatori, è da collegare alle conseguenze dell’eiaculazione sulla corteccia prefrontale, che, dopo l’orgasmo, sembra proprio assopirsi. Inoltre il rilascio di ossitocina e serotonina concorre al classico “crollo” post sesso.

7. MA C’E’ UN MA… – Tra gli studi analizzati dal Time, alcuni dimostrano alcuni effetti non esattamente positivi. Ogni anno, quasi 7 persone su 100mila subiscono la cosiddetta “amnesia globale transitoria”: una improvvisa e temporanea perdita dei ricordi. Sono diverse le condizioni che provocano questa amnesia, come lo stress, gli stati di dolore, le lesioni minori alla testa, tuffi nell’acqua bollente o ghiacciata: fra questi vi sono anche i rapporti particolarmente intensi.

8. … e può deprimere – Così come allontana la depressione, il sesso può anche avere l’effetto opposto ugualmente grazie al rilascio di dopamine. La “disforia post-coitale” è un effetto che agisce per lo più su noi femminucce: un senso di tristezza appena dopo il rapporto. Qualcuna lo tiene presente?

Isis ‘Ndrangheta, politica silente. Dieni (M5S): “Ipotesi inquietante”

Miliziani dell'Isis - Isis 'ndranghetaL’allarme su una possibile “alleanza” Isis ‘Ndrangheta lanciato dal procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho ha lasciato per lo più indifferente la politica italiana che “conta”.

Domenica il premier Matteo Renzi si è limitato a rassicurare sul fatto che l’emergenza del terrorismo islamico è trattata da media come “una esagerazione”, ma al tempo stesso ha affermato di essere “pronto” a schierare le truppe qualora dalle minacce si passasse a qualcosa di più serio e preoccupante. “Non siamo la Cia, ma la nostra intelligence in Libia è la numero uno”, ha detto. Sarà.

In attesa che la Dda di Reggio Calabria indaghi a tutto campo o ci riveli qualcosa in più “Site“, il portale che monitora il terrorismo jihadista nel mondo, per adesso si registra l’intervento della parlamentare del M5S, Federica Dieni che in una nota afferma:

“Ancora una volta, guardando al rischio terrorismo connesso all’Isis, pensiamo che il nostro punto debole sia all’esterno quando invece è al nostro interno ed ha il solito nome: ‘Ndrangheta”.

“Molti – sostiene la deputata reggina – guardano ai barconi di immigrati pensando che questi siano pieni di gente pronta a farsi saltare in aria. La realtà è che l’Isis non entra attraverso questi canali, ma cerca di combattere la battaglia della propaganda per il reclutamento”.

Federica Dieni Isis 'Ndrangheta
Federica Dieni alla Camera dei Deputati

“Trovo però inquietante l’ipotesi che a questo tipo di attività il Califfato possa affiancare una sorta di joint venture con organizzazioni criminali come la ‘Ndrangheta e utilizzare il mercato della droga e delle armi come terreno di scambio per costituire una piattaforma logistica che gli consenta l’insediamento sul nostro territorio”.

“Presenterò per questo un’interrogazione al Governo per chiedere se siano ipotizzabili, allo stato, dei contatti tra organizzazioni mafiose e organizzazioni terroristiche di matrice islamica. Oggi, con questa prospettiva, lo Stato e la società civile ha un motivo in più, oltre agli innumerevoli già noti, per contrastare la ‘Ndrangheta”, ha concluso Federica Dieni.

Eternit, tutto prescritto. "No ai risarcimenti dei parenti delle vittime"

Stephan Schmidheiny, il miliardario svizzero accusato di omicidio per le morti d'amianto e poi prescritto dalla legge italiana Eternit
Stephan Schmidheiny, il miliardario svizzero non dovrà sborsare un euro di risarcimento le morti d’amianto

I morti di eternit non solo non hanno ottenuto giustizia ma i parenti sono stati anche beffati. “Nessun risarcimento”, dice la Suprema Corte di Cassazione.

Il processo torinese per le morti da amianto era prescritto prima ancora del rinvio a giudizio dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny. Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni, depositate oggi, del verdetto di prescrizione che lo scorso 19 novembre ha, tra l’altro, annullato i risarcimenti alle vittime.

“Il Tribunale – scrive la Cassazione – ha confuso la permanenza del reato con la permanenza degli effetti del reato, la Corte di Appello ha inopinatamente aggiunto all’evento costitutivo del disastro eventi rispetto ad esso estranei ed ulteriori, quali quelli delle malattie e delle morti, costitutivi semmai di differenti delitti di lesioni e di omicidio”.

Ad avviso della Suprema Corte l’imputazione di disastro a carico dell’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny non era la più adatta da applicare per il rinvio a giudizio dal momento che la condanna massima sarebbe troppo bassa, per chi miete morti e malati, perché punita con 12 anni di reclusione. Lo scrivono i supremi giudici nel verdetto Eternit.

In pratica “colui che dolosamente provoca, con la condotta produttiva di disastro, plurimi omicidi, ovverosia, in sostanza, una strage” verrebbe punito con solo 12 anni di carcere e questo è “insostenibile dal punto di vista sistematico, oltre che contrario al buon senso”, aggiunge la Cassazione.

Secondo i giudici “a far data dall’agosto dell’anno 1993” era ormai acclarato l’effetto nocivo delle polveri di amianto la cui lavorazione, in quell’anno, era stata “definitivamente inibita, con comando agli Enti pubblici di provvedere alla bonifica dei siti”.

“E da tale data – prosegue il verdetto – a quella del rinvio a giudizio (2009) e della sentenza di primo grado (13 febbraio 2012) sono passati ben oltre i 15 anni previsti” per “la maturazione della prescrizione in base alla legge 251 del 2005”.

“Per effetto della constatazione della prescrizione del reato, intervenuta anteriormente alla sentenza di I grado”, cadono “tutte le questioni sostanziali concernenti gli interessi civili e il risarcimento dei danni”. L’imprenditore e miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, non dovrà risarcire i parenti delle vittime, morti per l’eternit killer.

Sclerosi multipla, al via nuova raccolta fondi. Sms solidale al 45599

Sclerosi multiplaParte oggi e prosegue sino al prossimo 15 marzo, una “Raccolta fondi con un SMS solidale” al 45599, per sostenere la ricerca sulla sclerosi multipla.

Si possono donare 2 euro da cellulare personale TIM, Vodafone, Wind, 3, Postemobile, e Coopvoce e con ogni chiamata allo stesso numero da rete fissa Vodafone e Teletu., oppure 2 o 5 euro chiamando lo stesso numero da telefono di rete fissa Telecom Italia , Infostrada e Fastweb.

L”Sms solidale 45599 è legato all’evento “la Gardenia di Aism” che si terrà in oltre 4.000 piazze italiane, in occasione della Festa della Donna, sabato 7 e domenica 8 marzo.

La sclerosi multipla è una grave malattia cronica del sistema nervoso centrale progressivamente invalidante, per la quale ancora oggi non esiste cura definitiva.

E’ una delle più frequenti cause di disabilità nelle persone giovani. Colpisce soprattutto le donne con una prevalenza di due volte superiore agli uomini.

I fondi raccolti andranno a sostenere importanti progetti che riguardano la ricerca sulle forme progressive di sclerosi multipla e in particolare studi che permettono di trovare nuovi bersagli terapeutici, nuovi trattamenti farmacologici e riabilitativi e nuove misure di avanzamento della malattia.

Stretta sui paradisi fiscali, via il segreto bancario. Storica firma tra Italia e Svizzera

La storica forma tra Italia e Svizzera paradisi fiscali segreto bancarioAddio al segreto bancario nei paradisi fiscali. Italia e Svizzera hanno firmato l’accordo in materia fiscale. L’intesa, che viene definita “storica” del Ministero, è stata siglata nella prefettura di Milano dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e la consigliera federale elvetica Eveline Widmer-Schlumpf.

Un passo verso “l’eliminazione dei paradisi fiscali”, ha detto il ministro nel corso della conferenza stampa a margine della firma, preannunciando che giovedì verrà stretto un accordo analogo anche con il Liechtenstein.

Il protocollo prevede lo scambio di informazioni tra i due paesi, passaggio che sarà automatico dal 2017, e che permette alla di uscire dalla “black list” dei paradisi fiscali. Il testo, che passa ora alla ratifica dei parlamenti, è frutto “di un lavoro durato molto tempo, difficile e complesso”, ha detto Padoan. Le parti hanno anche definito un accordo politico che fissa la road map per portare avanti “i negoziati sul trattamento dei transfrontalieri e la questione di Campione d’Italia”.


Il Protocollo prevede “lo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali secondo lo standard Ocse” e “pone fine al segreto bancario”, si legge in una nota del Mef. Una volta ratificato “le autorità fiscali italiane potranno richiedere alla Svizzera informazioni”, su tutti gli eventi a partire dalla data della firma, cioè oggi.

Le autorità italiane potranno “immediatamente individuare “potenziali evasori” in terra svizzera e questi, fino a settembre 2015, potranno “sanare le irregolarità pagando integralmente le imposte dovute, come prevede la legge sulla voluntary disclosure, e usufruendo di un regime sanzionatorio più conveniente e di termini di prescrizione dell’accertamento più favorevoli”.

La Svizzera entra così nelle “white lists italiane e uscirà dalle black lists basate esclusivamente sull’assenza dello scambio di informazioni”. Lo scambio, basato sul nuovo standard Ocse, “sarà automatico a partire dal 2018, con riferimento all’annualità 2017”. I “conti finanziari oggetto di comunicazione automatica all’Agenzia delle Entrate sono quelli di custodia, di deposito e i contratti di assicurazione con contenuto finanziario”.

“La road map – prosegue il ministero – delinea il percorso per la revisione dell’accordo sui frontalieri. L’accordo oggi in vigore, firmato nel 1974, riguarda solo i frontalieri italiani e prevede la tassazione esclusiva in Svizzera con il ristorno del 40% dei gettito ai Comuni italiani della zona di confine.

Il nuovo accordo – precisa ancora il ministero – è impostato su basi assolutamente innovative. Viene innanzitutto prevista la reciprocità: anche i frontalieri svizzeri che lavorano in Italia saranno compresi nell’accordo. I lavoratori frontalieri saranno assoggettati ad imposizione sia nello Stato in cui esercitano l’attività, sia nello Stato di residenza.

La quota spettante allo Stato del luogo di lavoro ammonterà al massimo al 70% del totale dell’imposta normalmente prelevabile alla fonte. Il Paese di residenza dei lavoratori applicherà l’imposta sul reddito delle persone fisiche tenendo conto delle imposte già prelevate nell’altro Stato ed eliminando l’eventuale doppia imposizione.

Il carico fiscale totale dei frontalieri italiani rimarrà inizialmente invariato e successivamente, con molta gradualità, sarà portato al livello di quello degli altri contribuenti. Non vi sarà più alcuna compensazione finanziaria tra i due Stati.

Il ristorno ai Comuni frontalieri italiani sarà a carico dello Stato, sulla base del principio di invarianza delle risorse. Nella road map Italia e Svizzera si impegnano anche ad individuare le migliori soluzioni pratiche per Campione d’Italia, exclave italiana circondata dal territorio svizzero.

L’obiettivo è di garantire alle imprese e ai cittadini di Campione d’Italia il corretto funzionamento delle attuali regole nazionali ed internazionali sulla fiscalità indiretta. Fino ad oggi la mancanza di disposizioni concordate tra i due Paesi ha creato criticità alle autorità preposte ai controlli ed anche ai cittadini e alle imprese.

La road map prevede la negoziazione in tempi più lunghi di un ampio accordo, non solo fiscale, che regolamenti e semplifichi i rapporti tra i due Stati relativamente al Comune di Campione d’Italia”.

Isis, Renzi: "E' una minaccia seria, ma siamo pronti a combatterla"

Matteo Renzi ospite da Lucia Annunziata Isis Renzi
Matteo Renzi ospite di Lucia Annunziata a “In Mezzora” (LaPresse)

La minaccia dell’Isis “è potenziale è forte”, per questo “siamo pronti” a combatterla.  E’ quanto ha detto il premier Matteo Renzi intervistato da Lucia Annunziata a “In Mezzora”, programma di approfondimento domenicale su Rai 3.

“La minaccia terroristica – ha spiegato il premier – non arriva da chi arriva con i barconi, semmai sfrutta per fare soldi l’invio di barconi. Il contrabbando di stupefacenti e tanti tipi di reati sono gestiti da criminali in rapporto con le fazioni più estremiste. Dobbiamo intervenire anche su questo perché la minaccia potenziale è forte. Ma comunque siamo pronti” a combatterla, come aveva detto già il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.

“L’Italia – sottolinea Renzi – ha un servizio di intelligence che non è come la Cia, ma in Libia siamo i numeri uno. Noi conosciamo come stanno le cose in Libia, voglio dare segnale di tranquillità all’ Italia. Conosciamo come stanno le cose e siamo in grado di intervenire nel Paese”.

“Il tema Isis è molto delicato e serio”, ma “no alla esagerazione. Non siamo sotto attacco ma non possiamo sottovalutare niente. Occorre buon senso e fermezza. Dobbiamo avere la capacità di spiegare nel merito quello che accade veramente”.

E ancora: “Non potendo ucciderci, vogliono farci vivere come dicono loro. Una parte degli italiani vedono le immagini dell’Isis e si spaventano. È tuttavia un tema che voglio prendere in tutta la sua serietà perché voglio che la comunità internazionale si renda conto che quella del Mediterraneo è un’area strategica per i prossimi trent’anni. Niente fughe in avanti, nel merito bisogna avere la possibilità e la capacità di dire come stanno le cose.

“Il terrorista che si fa saltare in aria a Parigi – secondo Renzi – è un terrorista che è nato, cresciuto e che ha studiato in Francia. Se salta il Mediterraneo è un problema per l’Europa e per tutti” . Il premier ha detto anche di voler dare un messaggio alla comunità internazionale sul tema Isis, di “non preoccuparsi solo” delle crisi “in Siria e Ucraina”.

Per quanto riguarda i flussi migratori il capo del governo ha affermato che in Italia “non arriverà mezzo milione di persone dalla Libia perché interverremo prima in modo diverso. È già accaduto uno sbarco pazzesco di persone: 170 mila. Un livello enorme, che ha battuto tutti i record. Non è accettabile”.

Ragione per cui “abbiamo detto all’Europa non deve fare lo struzzo con la testa sotto la sabbia. È un valore che un bambino sia salvato dalle acque: a chi dice lasciamoli affogare rispondo che non mi dimetterò mai dalla dimensione di uomo”.

Altro tema d’attualità è il conflitto in Ucraina. “Putin – attacca il premier – è responsabile di aver violato l’integrità dell’Ucraina. Io sto provando di far passere un messaggio: se la Russia torna al tavolo della comunità internazionale saremmo tutti più tranquilli”, anche per affrontare “insieme la minaccia Isis”, ma “per andare al tavolo è chiaro che Putin deve uscire dall’Ucraina”.

‘Ndrangheta Isis. Ecco come entreranno i terroristi in Italia. Allerta tra 007 e Procure

Isis 'Ndrangheta
Il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho

‘Ndrangheta Isis, uniti nel business criminale? L’interrogativo, posto da SecondoPianoNews.Com a settembre 2014 rivolto ai magistrati in trincea contro la mafia, ottiene risposta affermativa dal procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho.

In un intervento all’università Mediterranea di Reggio Calabria, sede di una convention su intelligence e sicurezza, il procuratore ha lanciato l’allarme sulle strette relazioni tra terrorismo islamico e i clan della più potente organizzazione criminale del mondo.

All’indomani della visita in Egitto del sottosegretario all’Intelligence Marco Minniti, presente a Reggio Calabria insieme allo stato maggiore delle procure calabresi,  De Raho ha parlato dell’inedita alleanza tra gli eredi di Osama bin Laden  e la ‘Ndrangheta.

“Le ‘ndrine – ha detto il magistrato – possono fornire ai terroristi dell’Isis basi logistiche in Calabria in cambio di droga o altro”.

Isis 'NdranghetaIn sostanza, le cosche potrebbero prima fornire ai tagliagole “adeguata copertura” negli sbarchi di terroristi infiltrati tra i migranti; poi potrebbero essere “riparati” in zone franche come “aziende agricole” del reggino (e non solo) in larga parte sotto il totale controllo del crimine organizzato.

Ai miliziani dell’Is potrebbe essere garantita, oltre alla copertura “logistica” anche la fornitura di mezzi e documenti falsi per muoversi in tutta autonomia nel paese e in Europa.

“La provincia ionica calabrese – ha spiegato De Raho – è l’accesso del flusso di migranti. Il lavoro dell’intelligence in una situazione di sovrapposizione criminale è particolarmente importante.

Anzi è lo strumento necessario per poter contrastare efficacemente la criminalità sia mafiosa che terroristica. La ‘ndrangheta può fornire ospitalità ai terroristi in aziende agricole in cambio di droga”.

Sulle recenti minacce all’Italia è stato detto che il “pericolo non va sottovalutato”. Quanto alla Calabria, terra di frontiera con i paesi rivieraschi in mano allo Stato islamico, De Raho afferma che “non ci saranno attentati terroristici in un territorio controllato dalle ‘ndrine”.

Organizzazioni che per gestire gli affari malavitosi “vuole silenzio” e non clamore mediatico, ma “nel caso si dovesse realmente creare una simile “commistione” sarebbe realmente una “bomba atomica” per l’intero territorio”.

Isis 'NdranghetaGià nel 2012, la Direzione Nazionale Antimafia (DNA), presieduta allora dall’attuale seconda carica dello Stato, Pietro Grasso, a proposito della “grande alleanza” tra ‘Ndrangheta e terroristi islamici nella sua relazione annuale scriveva che “[…] la scoperta di nuove aree di incidenza del crimine organizzato o alla evoluzione di taluni gruppi criminali verso modelli organizzativi più sofisticati, maggiormente in grado di mimetizzarsi nell’economia legale e di relazionarsi, con metodo “persuasivo” e non più solo violento, ai pubblici poteri.

La più interessante e, al contempo, più allarmante fra le nuove emergenze registrate concerne, peraltro, l’intreccio fra la materia della migrazione illegale e quella del terrorismo internazionale di matrice fondamentalista islamica […]”.

Il procuratore, sollecitato domenica sulle possibili relazioni’Ndrangheta Isis, ha ribadito che l’ipotesi di una commistione tra terroristi e boss calabresi  è una strada da percorrere. “Una ipotesi su cui vale la pena lavorare e su cui tenere un’attenzione molto alta”, perché spiega, “la ‘ndrangheta è un’organizzazione criminale che si muove per finalità di profitto, quindi ovunque c’e’ un profitto, un interesse”.

D’altro canto, si chiede Cafiero de Raho, “per l’importazione delle armi con chi ha rapporti se non con determinati ambienti che sono vicini al terrorismo o che sono vicini alle guerre che si sono sviluppate negli ultimi anni in alcuni Paesi?”.

mappa della ndrangheta (1)Le cosche, attraverso il Califfato dell’Isis “riuscirebbero anche ad avere droga, soprattutto eroina. La ‘ndrangheta è protagonista nell’importazione di cocaina dai Paesi sudamericani ed è protagonista anche per l’eroina ma non attraverso lo stesso canale ma da quelli che provengono da Turchia, Iraq, Nigeria, vari paesi che consentono queste importazioni. Pensare ad uno scambio armi e droga con appoggi logistici penso sia una ipotesi da percorrere su cui vale la pena lavorare”.

mappa della ndrangheta (4)La Direzione distrettuale antimafia – prosegue De Raho – ha alcune inchieste in corso, “fondate sul monitoraggio internet, per verificare, con la polizia postale, se persone, soprattutto extracomunitari, che provengono dalle aree più calde e che risiedono nel territorio reggino possano avere rapporti con esponenti dell’Isis o comunque con quel mondo vicino al terrorismo o con persone che si sono addestrate in quei territori. Abbiamo indizi di vicinanza ma non intraneità al terrorismo”, ha detto il magistrato.

“Si tratta di persone giunte in vari modi nel reggino, molti dotati di permesso di soggiorno e alcuni già colpiti da provvedimento di espulsione del Ministero dell’Interno. “Alcuni – ha spiegato de Raho – dimostrano di condividere in pieno quella propaganda, addirittura quelle modalità operative, ma non ci risulta che siano già dentro l’area del terrorismo”.

ISIS-rebels-marching-in-syria“Il discorso che stiamo attenzionando – dice ancora il procuratore – è quello sul monitoraggio di determinati personaggi che attraverso internet, con ingressi in facebook od altri social, possano essere indirettamente o direttamente ricondotti a soggetti che sono inseriti in aree vicine all’Isis o che addirittura si sono addestrati con loro o che fanno propaganda di quel tipo. Il campo di indagine è molto ampio sotto questo profilo”.

Attenzione viene posta dalla Dda reggina anche sui flussi migratori per verificare “la possibilità che attraverso immigrazioni di massa come quelle dell’ultimo anno possano esserci anche terroristi o che, e questo avviene soprattutto sulle coste libiche, organizzazioni, anche con l’appoggio di militari, finiscano per governare un flusso migratorio di questo tipo”.

Isis mappaAl riguardo, Cafiero de Raho ha sottolineato l’esigenza che l’identificazione dei migranti avvenga appena arrivati. “I numeri – ha sottolineato il magistrato – sono molto elevati tanto che non è possibile una identificazione sul luogo di approdo”.

E proprio “per evitare che possano entrare sul territorio persone non identificate, stiamo spingendo affinché le identificazioni vengano fatte immediatamente, per cui, ogni volta che c’è uno sbarco sulle coste del reggino, le forze dell’ordine siano in numero sufficiente per poter provvedere a tutte le attività di identificazione, quanto meno per impronte e foto-segnalamento. Su questo stiamo mettendo a punto, con il Prefetto e le Forze dell’Ordine, un protocollo per potere avere, appunto, certezza dell’identificazione”, ha concluso il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria.

Addio a Luca Ronconi, un grande regista e maestro di vita

Il regista Luca Ronconi
Il regista Luca Ronconi

Addio a Luca Ronconi. Il regista è morto sabato sera al Policlinico di Milano dove era ricoverato da alcuni giorni. Nato l’8 marzo 1933 avrebbe compiuto fra pochi giorni 82 anni. Il mondo del teatro perde uno dei suoi più grandi protagonisti contemporanei.

Dal Piccolo teatro di Milano fanno sapere che domani, con le persone che gli sono più vicine, saranno concordati i modi più giusti per onorarlo. Luca Ronconi da tempo aveva problemi di salute e da alcuni giorni era in ospedale per complicazioni probabilmente legate al virus influenzale.

Cordoglio per la scomparsa di Ronconi arrivano da tutte le parti del mondo. Il Teatto alla Scala di Milano domani esporrà la bandiera a mezz’asta e un po’ in tutto il paese, nei luoghi calcati dal grande regista, vi saranno omaggi per ricordarlo.

“Sono qua in ospedale, stasera non me la sento proprio di fare dichiarazioni, trentaquattro anni di lavoro insieme, ora c’è da affrontare la morte, poi si vedrà”. Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano, è profondamente sconvolto dalla morte dell’amico e regista. Troppo presto, dice, anche per parlare di funerali e manifestazioni. “Di sicuro gli attori domani all’inizio della recita lo ricorderanno – anticipa – poi vedremo. È ovvio che il Piccolo era la sua casa e farà tutto quello che è possibile fare. Ma c’è da rispettare lui, le sue volontà di uomo sempre riservato. Decideremo insieme alle persone a lui care”.

“È un triste giorno per il teatro italiano – ha commentato il ministro dei Beni Culturali Franceschini – la scomparsa di Luca Ronconi ci priva di un artista riconosciuto in tutto il mondo, che ha saputo portare sulla scena, con fantasia e rigore, i grandi classici teatrali, della lirica e della letteratura italiana.

Con lui – conclude Franceschini – se ne va un intellettuale lucido, che ha saputo interpretare al meglio il proprio talento e non ha mai smesso di sperimentare ed innovare. Il teatro perde oggi un suo grande protagonista”.

Direttore del Teatro stabile di Torino (1988-93), del Teatro stabile di Roma (1994-98) nonché direttore artistico per oltre un decennio del Piccolo Teatro di Milano, Luca Ronconi ha firmato nella sua lunga carriere regie teatrali e liriche sempre nel segno dell’innovazione.

Dopo il diploma nel 1953 all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico di Roma, negli anni Cinquanta è stato attore. Ha esordito come regista con La buona moglie di Goldoni (1963), cui seguirono I lunatici di Th. Middleton (1966), Misura per misura e Riccardo III di Shakespeare, Il candelaio di Bruno, Fedra di Seneca, e il fortunato Orlando furioso (1968; ed. telev. 1975), esempio di sintesi fra avanguardia e tradizione.

Segno distintivo del suo stile, l’essenzialità della recitazione tesa fra l’astrazione e lo straniamento. Tra i suoi lavori più celebri l’Orestea di Eschilo (1972), Il pappagallo verde di Schnitzler (1978), Ignorabimus di Holz (1986), Mirra di Alfieri (1988), Strano interludio di O’Neill (1989).

Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus (1990), Re Lear (1994). Dal 1975 (Valchiria di Wagner) è stato anche regista lirico (Orfeo e Euridice di Gluck, Fetonte di Jommelli, Lo zar Saltan di Rimskij-Korsakov; Viaggio a Reims di Rossini; L’Europa riconosciuta di Salieri; Falstaff di Verdi; Turandot di Puccini).

Nel 1977 ha avviato il Laboratorio sperimentale di Prato. Dopo le esperienze di Torino e di Roma, assunta la direzione artistica del Piccolo Teatro di Milano, ha messo in scena, tra l’altro, La vita è sogno (2000), allestimento del dramma di C. de la Barca, e Peccato che fosse puttana (2003) di J. Ford. In occasione delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 ha ideato e diretto, in collab. con W.

Le Moli, il Progetto Domani, composto di cinque spettacoli che, attraverso il teatro, hanno esplorato temi universali della storia, della politica e della guerra (Troilo e Cressida; Trilogia della guerra; Lo specchio del diavolo; Il silenzio dei comunisti; Biblioetica).

Del 2007 è invece il Progetto ‘Odissea doppio ritorno’, dittico comprendente Itaca di B. Strauss e L’antro delle ninfe da Omero a Porfirio, mentre negli anni successivi ha firmato le regie di La compagnia degli uomini (2010) di E. Bond, La modestia (2011) di R. Spregelburd, Sei personaggi in cerca d’autore (2012) di L. Pirandello, Pornografia di W. Gombrowicz (2013), Danza macabra di A. Strindberg (2014), queste ultime quattro rappresentate al Festival dei Due Mondi di Spoleto.

Tragedia sulle Alpi, valanga killer uccide 4 sciatori italiani

La Combe des Morts sul Gran San Bernardo
Un momento dei soccorsi a La Combe des Morts

Tragedia sulle Alpi. Sono stati travolti da una valanga mentre salivano all’ospizio del Gran San Bernardo dal versante svizzero della montagna. Quattro scialpinisti italiani sono morti nel pomeriggio di sabato a causa di una grossa slavina staccatasi a 2.300 metri di quota, mentre un quarto è ricoverato in rianimazione e un altro se l’è cavata con lievi ferite.

L’incidente è avvenuto verso le 13.30. La comitiva era impegnata nella salita quando, in località La Combe des Morts, si è staccata la valanga. Il fronte della massa di neve era largo un centinaio di metri ed è sceso a valle per circa 200 metri. Immediatamente è scattato l’allarme ma le operazioni sono state rallentate dal maltempo che ha impedito agli elicotteri di salire in quota per molti minuti: i soccorritori sono stati quindi ‘scaricati’ a una quota più bassa e sono risaliti a piedi fino al luogo della slavina.

Tragedia sulle Alpi Combe des Morts Gran San Bernardo
La Combe des Morts sul Gran San Bernardo (foto Vincent Delaloye)

Gli scialpinisti erano sepolti sotto una spessa coltre di neve, alcuni fino a due metri e mezzo. Una trentina di uomini, con l’ausilio di sonde e cani da valanga, hanno scavato a lungo per estrarre i feriti, che sono stati trasportati a valle con gli elicotteri di Air Glaciers. I quattro più gravi – sia per i traumi da caduta sia per ipotermia – sono stati ricoverati nei reparti di rianimazione di vari ospedali del Vallese. Tre di loro sono arrivati in fin di vita e i medici elvetici hanno solo potuto constatare il decesso, il quarto era in gravissime condizioni ed è morto domenica.

L’itinerario dove è avvenuta la tragedia è considerato una ‘classica’ dello scialpinismo. Il percorso parte dall’uscita del tunnel del Gran San Bernardo, vicino ai vecchi impianti del Super Saint-Bernard. La salita avviene quasi esclusivamente lungo una strada asfaltata e ricoperta di neve, senza particolari pendenze.

Tragedia sulle Alpi Combe des Morts Gran San Bernardo“E’ un itinerario facile – spiegano le guide alpine della zona – anzi facilissimo. Al colle del Gran San Bernardo si sale tutto l’anno, in qualsiasi condizione. L’unico tratto pericoloso è quello dove si trovavano i cinque: si tratta di circa 300 metri, sul fondo di una stretta valle proprio sotto l’ospizio, che sono esposti alle slavine”. Già in passato si sono verificati analoghi incidenti proprio in quel punto.

Il pericolo valanghe in questi giorni non è particolarmente elevato tra Italia e Svizzera, con grado 2-moderato su una scala di cinque punti. Sul versante svizzero, però, nelle ultime 24 ore ha soffiato un forte vento che ha provocato accumuli di neve. Proprio il cedimento spontaneo di uno di questi potrebbe aver provocato la valanga.

Mario Giarrusso (M5S): "Tagli a forze dell'Ordine favoriscono l'Isis"

Mario Giarrusso M5S Isis
Il senatore del Movimento 5 Stelle Mario Giarruso

“L’Italia è a fortissimo rischio di qualunque pazzo abbia in testa di fare qualcosa di grave, visto che il presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno, inspiegabilmente, tagliano le forze dell’ordine”.

A dirlo, in una intervista di Valentina Roncati per l’Ansa, è il senatore M5S Mario Giarrusso, componente della Commissione parlamentare Antimafia dove coordina il gruppo di lavoro che si occupa di “Infiltrazioni mafiose nelle istituzioni territoriali e negli enti locali”.

“Non c’è una posizione del Governo italiano sulla Libia – attacca il senatore – prima Renzi voleva la guerra, poi ha fatto marcia indietro tutta. Ma soprattutto, in questo momento così delicato, invece di dotare le forze dell’ordine di uomini e mezzi, affinché possano combattere il terrorismo e le mafie, si spendono decine di miliardi per gli F35, che certo non proteggeranno i nostri cittadini dal terrorismo: la prima cosa da fare sarebbe infatti essere sicuri a casa nostra ma come facciamo ad esserlo se stanno chiudendo le caserme dei carabinieri e i commissariati di polizia e diminuisce in generale il numero delle forze dell’ordine?”.

Il taglio lineare dei fondi alla sicurezza è un processo che dura da tempo, ammette il senatore, “ma il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, non si è battuto contro questi tagli. Il Viminale ha anche altre gravi responsabilità: chi è nei Cie potrebbe avere risposta, se può essere ospitato in Italia o deve essere rimpatriato, nel giro di una settimana, invece il tempo medio di attesa va da 6 mesi a 1 anno e mezzo.

La verità è che gli immigrati vengono tenuti là tutto questo tempo perché rende. Noi in Italia non abbiamo i soldi per i nostri disoccupati – attacca l’esponente M5S – ma li abbiamo per chi gestisce i centri di accoglienza, per il business in cui è coinvolta anche la criminalità, come si è scoperto con Roma Capitale”.

Altro motivo di attacco di Mario Giarrusso all’Esecutivo, è la modifica del 416 ter, il voto di scambio politico-mafioso. “Renzi – dice – ha affrontato con determinazione e pervicacia il tema mafia nel senso che ha tolto strumenti potenti nella lotta alla mafia, depotenziando il 416 ter.

La responsabilità di questa operazione è in capo tutta a Renzi e alla sua maggioranza: di fatto il 416 ter è stato reso inservibile e inutilizzabile, come ha detto recentemente anche la Procura di Bologna”. Il reato di voto di scambio, secondo Mario Giarrusso, è stato “depotenziato perchè è stata abbassata la pena del 42% rispetto a quella prevista dal Codice precedentemente, ed è di fatto stato reso impossibile perseguire il reato, inserendo una formula secondo cui, per poter condannare, bisogna dimostrare l’utilizzo del metodo mafioso. Meglio sarebbe tornare alla norma del ’92, sarebbe più efficace”.

Quanto ai lavori della Commissione Antimafia, di cui fa parte, Mario Giarrusso afferma che “sta affrontando tutti i temi che la realtà ci sta sbattendo in faccia, tranne uno che è quello principe: la trattativa Stato-mafia. Sembra essere un tema tabù. Il tema della trattativa è scottante, emerge all’Antimafia ad una seduta sì e l’altra pure: tuttavia della trattativa in Commissione viene negata persino l’esistenza”.

Come coordinatore del Comitato dell’Antimafia sulle “Infiltrazioni mafiose nelle istituzioni territoriali e negli enti locali”., Giarrusso spiega che “stiamo puntando l’attenzione al fenomeno della ricaduta nello scioglimento dei comuni per mafia, ciò al fine di proporre eventuali miglioramenti nella normativa di contrasto alle infiltrazioni mafiose negli enti locali ed evitare i ripetuti scioglimenti.

Abbiamo ascoltato vari protagonisti della gestione dello scioglimento dell’ente locale. Secondo me – ragiona l’esponente M5S – ci sono dei limiti negli strumenti a disposizione dello Stato per il contrasto alle infiltrazioni. Lo scioglimento rimuove amministratori che erano sotto il controllo della criminalità ma questo non è sufficiente ad evitare un ritorno dell’influenza della criminalità nell’ente locale. Dobbiamo fare sì che lo scioglimento degli enti locali sia l’eccezionale, altrimenti è sinonimo di una sconfitta dello Stato”, ha concluso Mario Giarrusso

Raffaele Fitto a Berlusconi: "Abbiamo avuto il grande torto di avere ragione"

Raffaele Fitto alla convention Ricostruttori
Raffaele Fitto mentre parla alla convention dei “Ricostruttori” (Ansa)

Si definiscono “Ricostruttori” della politica e all’interno di Forza Italia, lui, Raffele Fitto, a nome dei suoi ribadisce che vogliono starci. “Noi stavano, stiamo e staremo in Forza Italia, sia chiaro a tutti”.

“Siamo qui per rivendicare la nostra storia. Bisogna tornare a parlare di contenuti”, ha detto il leader azzurro ai circa duemila fedelissimi accorsi ad ascoltarlo all’auditorium Massimo dell’Eur di Roma.

La platea si scalda quando sul maxi schermo scorrono le immagini dei due marò Girone e Latorre. Stuzzica i dirigenti dell’altro fronte interno che hanno preparato una sorta di contromanifestazione in Lombardia: “È un fatto positivo, vuol dire che abbiamo centrato il risultato”, ironizza.

Un passaggio sul commissariamento di Forza Italia Puglia per dire che “è stato stato che non può passare sotto silenzio”.

Fitto Ricostruttori
(Twitter)

“Giungere a questa manifestazione – ha detto Fitto – non è stato per niente facile. Ma stiamo cercando di fare un gioco di squadra che possa rilanciare il nostro percorso perché siamo sicuri che questo dibattito possa dare slancio al partito.

Nella convinzione che la forza delle nostre idee ci proietterà nel futuro del Paese. Non vogliamo rompere con nessuno ma il nostro percorso lo porteremo avanti. Questa – evidenzia Fitto – non è una manifestazione di insulti. Non vogliamo rompere con nessuno, non vogliamo distruggere”.

Fitto Ricostruttori
(Twitter)

“Non sono qui per lanciare invettive contro Berlusconi. Anzi: mi è molto dispiaciuto leggere certe cose sui giornali, perché non si danno quindici giorni per decidere di uscire dal partito” ha detto l’europarlamentare in riferimento all’ultimatum, poi smentito, di Arcore.

“Io – ha scandito l’ex governatore pugliese – voglio dire a Berlusconi che le vittorie di questi vent’anni sono fondamentali per noi, non vogliamo distruggere ma essere d’aiuto.

C’è una differenza tra fedeltà e lealtà e quest’ultima richiede chiarezza nelle posizioni: i grandi risultati ottenuti non devono nascondere i grandi errori. Una riflessione critica del passato recente è ineludibile.

Fitto Ricostruttori
(Twitter)

Ora – ha spiegato -siamo di fronte a un bivio: distruggere il partito o seguire l’evoluzione e il percorso in atto nel nostro Paese, senza lasciare questo lavoro a Matteo Salvini. Berlusconi può accompagnare questo percorso verso la terza Repubblica”,

Raffaele Fitto alla convention Ricostruttori
(Twitter)

“L’ultimo anno di Forza Italia è sinceramente imbarazzante. Noi abbiamo avuto il grande torto di avere ragione”. E poi un attacco all’intesa Renzi-Berlusconi. “C’era chi sosteneva il Patto del Nazareno senza se e senza ma.

Forza Italia, un partito di opposizione, ha iniziato un suo percorso andando a braccetto con questo governo, non facendo opposizione. Qualche mese fa si è teorizzato addirittura il partito unico, che dovevamo stare con Renzi tutti insieme allegramente”, ha sottolineato Fitto, ma “la differenza tra me e Alfano è grande: io non scelgo la sinistra, ma rimango in Forza Italia”.

Teppisti Feeynoord, duro il Vaticano: "Orda di vandali e ubriaconi"

La Barcaccia del Bernini deturpata dai teppisti olandesi del FeeynoordLa devastazione del centro di Roma da parte dei teppisti olandesi tifosi del Feeynoord non è passata inosservata alla Santa Sede.

In un articolo pubblicato in prima pagina sull’Osservatore Romano, gli hooligans vengono definiti dal quotidiano “un’orda di vandali, incivili e paonazzi di birra”. L’Osservatore critica pure la gestione dell’Ordine pubblico, condotto con interventi ritenuti “tardivi”.

Duro il commento sugli “sfregi” alla città, in particolare quelli procurati alla Barcaccia del Bernini “trasformata in una discarica” dai tifosi olandesi del Feeynoord.

“Sopporterà anche questo, Roma”, è l’incipit dell’organo della Santa Sede. “Abituata da secoli, e forse oggi anche rassegnata, a saccheggi di ogni tipo, la città saprà ancora una volta mettersi tutto alle spalle. E tirare avanti”.

“Ma con qualche cicatrice in più – si sottolinea -, quelle inferte da un’orda di incivili olandesi paonazzi di birra che, di fatto indisturbati, per due giorni hanno seminato panico e immondizie di ogni genere. Non ci voleva un indovino per prevedere quanto sarebbe successo, ma nessuno è intervenuto in tempo.

Osservatore Romano vandali olandesi FeeynoordNeppure nei luoghi d’origine dei teppisti dove si è consentita la trasferta a personaggi la cui predisposizione alla violenza è facilmente verificabile attraverso la delirante simbologia delle loro organizzazioni.

E il giorno dopo si possono solo contare i danni. Con proteste e indignate dichiarazioni, ma senza rassicurazione che questo non accadrà mai più”, conclude il giornale della Chiesa.

Intanto resta aperto il fronte delle polemiche dopo le violenze di due giorni fa prima della partita Roma Feeynoord. Dopo gli interventi di Renzi, Franceschini e altri esponenti di governo, è polemica tra il sindaco Ignazio Marino, il questore Nicolò D’Angelo e il prefetto Giuseppe Pecoraro co Marino che afferma: “Suggerirei al questore e al prefetto di andare su internet e guardare le immagini. Se non hanno internet possono venire nel mio ufficio, io le ho”.

Queste le accuse con le quali il sindaco di Roma Capitale ha risposto dopo aver effettuato un sopralluogo in piazza di Spagna, epicentro degli scontri tra forze dell’ordine e tifosi del Feeynoord. A pagare le conseguenze della furia olandese è stata la Barcaccia del Bernini, recentemente restaurata, che secondo quanto riferito da alcuni sovraintendenti ai Beni Culturali di Roma risulterebbe gravemente danneggiata.

Marino ha infatti commentato i danni subiti dalla Barcaccia come di “una violenza inaccettabile” per la quale “non devono essere i romani a pagare”.

Sulle devastazioni degli hooligans del Feeynoord, Marino ha riferito di aver parlato a lungo con l’ambasciatore olandese in Italia per capire se il suo paese fosse orientato a ripagare i danni. Il diplomatico ha risposto picche alla richiesta: Il mio governo non può pagare questi danni.

Elezioni regionali Veneto. Il match Zaia-Tosi tra banche e poteri

Flavio Tosi Luca Zaia eterni duellantiMarco Cremonesi per il Corriere della Sera

«Chiedo di votare all’unanimità per Luca». La storia può cominciare con queste parole. Le pronuncia Flavio Tosi, pochi giorni prima del Natale 2009. E con quelle rinuncia, di fronte al Consiglio «nazionale» leghista, alla candidatura a governatore del Veneto. Luca, ovviamente, è Zaia, che l’anno successivo diventerà presidente della Regione. Tosi sarà poi eletto segretario della Liga veneta.

Tra i due, quella data segna l’inizio di una lunga, cordiale inimicizia che riempirà le cronache non soltanto in Veneto. Per la Lega, sarà una spina costante, capace di dividere la Regione «vetrina» in tifoserie infiammate prima, epurate poi.

Passano gli anni, le cose non cambiano: anche oggi, l’eterna contesa con il sindaco-segretario è il principale inciampo sulla strada di Zaia verso la riconferma alle prossime Regionali.

I duellanti hanno più o meno la stessa età – classe 1968 Zaia, Tosi un anno di meno – ed entrambi, in quel dicembre 2009, hanno già dato prove brillanti. Nel 1998, a trent’anni, l’oggi governatore è stato il più giovane presidente di Provincia d’Italia: la marca trevigiana sui giornali viene ribattezzata Zaiastan e assurge a simbolo stesso della buona amministrazione leghista.

Nel 2008, Zaia diventa anche ministro, all’Agricoltura. Tosi è capace di stregare gli elettori: ogni volta che si presenta nella sua Verona fa il pieno di voti e nel 2007 è eletto sindaco. La passione dei concittadini non finisce con le elezioni: per anni è il sindaco più amato d’Italia. I due non potrebbero essere più diversi: cauto e amante del basso profilo il governatore, diretto e spregiudicato il sindaco.

Al punto da andare spesso, unico nella Lega di allora, diritto contro Bossi. Il quale gli darà anche, pubblicamente, dello «stronzo». L’accusa? Aver portato nella Lega «un sacco di fascisti». Normale che, nella lotta all’ultimo sangue tra i bossiani e Bobo Maroni, Tosi sia – come Salvini – un pupillo dell’oggi governatore lombardo.

Che nel 2012 a Verona verrà accolto da uno striscione memorabile: «Semo Tosi con i Maroni». Una squadra, insomma. Ma in quel 20 dicembre 2009, Tosi è costretto a lasciare spazio al concorrente proprio per la scelta di Bossi: entrato Papa nel conclave, il sindaco di Verona resta cardinale. Le tensioni con Zaia non tardano.

Spesso, quasi sempre, sono giocate più sulle dichiarazioni dei rispettivi ultras che non su quelle degli interessati. Però, sottotraccia il confronto è duro. Se il governatore dice una cosa, il sindaco fa il contrario.

Persino sui cervi: Zaia non vorrebbe «la mattanza» di quelli in soprannumero nel Cansiglio? Tosi scrive in Regione nella veste inattesa di presidente di Federcaccia. E le banche? Nel 2010, il fondo sovrano di Abu Dhabi, Aabar international, vuole acquisire quote di Unicredit, di cui è storica azionista Cariverona.

Tosi non gradisce e lo dice: «Gli altri governi, quando qualcuno cerca di mettere i piedi in casa, difendono il patrimonio della nazione». Zaia, olimpico, spiega che «la nostra preoccupazione non è di chi siano le azioni, ma che i territori siano protagonisti».

Nel 2012, Tosi viene eletto segretario della Liga. E il confronto si fa più serrato. Tra l’altro, Tosi espelle i dissidenti a decine alla volta. Non è per la guerra tra Bossi e Maroni. Nel 2013, alle amministrative come alle politiche è il disastro, per la Lega è l’ora più nera. Anche Treviso, la roccaforte, cade e passa al centrosinistra.

Alle elezioni, la Lega arriva male. Poco prima, per esempio, Tosi invia 13 lettere ad altrettanti militanti colpevoli di dichiarazioni alla stampa. La prima a chi è indirizzata? Nientemeno che al governatore del Veneto. Sulle liste elettorali, il sindaco impugna il limite dei due mandati a livello nazionale per falcidiare quasi tutti i parlamentari uscenti. E pazienza se oggi contesta lo stesso limite per le regionali.

Commenta a suo tempo Zaia: «Siamo a una guerra fra bande e allo scambio di prigionieri». Poi, dopo il responso delle urne, il misurato governatore sbotta: «Tosi ha fallito. Ha fatto di una ferita una cancrena». Quanto al movimento presentato dal sindaco veronese tre giorni prima delle elezioni, il governatore è sprezzante: si potrebbe riunire in una «cabina telefonica».

Ora, in vista delle Regionali, la tensione è tornata ai massimi. Tosi protesta anche per un accordo tradito con Maroni e Salvini: quest’ultimo avrebbe dovuto diventare segretario mentre lui avrebbe dovuto essere il candidato della Lega alle primarie del centrodestra: «Non parlerei di duello ma di patti disattesi e di parole e non mantenute». Il fatto è che l’esplosione politico mediatica di Salvini ha occupato la scena.

E Tosi continua a non smentire l’intenzione di presentare proprie liste. Anche l’altra notte, nonostante si trovi negli Usa, avrebbe avuto una telefonata di fuoco sull’argomento con il segretario leghista. Zaia, per ora, tira diritto e non si lascia scappare sillaba. Ma l’eterno duello, di certo, non è finito.

Sondaggio elettorale Ixè, Salvini tra Nord e Sud al 23%. E il Centrodestra unito vola al 43%

Sondaggio elettorale dà a Noi Salvini il 9,5 %
Il leader della Lega presenta il nuovo simbolo di “Noi con Salvini”

La settimana scorsa Berlusconi gli aveva attribuito l’1,3% di voti. Secondo un sondaggio Ixè commissionato da Agorà Rai 3 e pubblicato venerdi 20 febbraio, invece, il dissidente Raffaele Fitto avrebbe, in caso di un’uscita da Forza Italia, un bacino elettorale più lusinghiero, calcolato tra il 2,5% e il 4% nazionale. Una ipotesi al momento poco plausibile poiché il ribelle ha sempre ribadito che non uscirà dal partito, a meno di non essere espulso.

Secondo le intenzioni di voto, stabili Pd e Forza Italia, cala il M5S e si consolida il sorpasso “interno” della Lega di Salvini su Fi. Ancora in monitoraggio la Lega Sud del Carroccio. L’Istituto Ixè sta verificando le intenzioni di voto di “Noi con Salvini”, il partito che secondo il “patto” tra il leader leghista e Berlusconi dovrebbe contenere l’emorragia di voti forzisti e prendere il posto della defunta An in una riedizione aggiornata della Casa delle Libertà del ’94.

In una settimana Ixè registra in questo movimento un leggero calo: la forbice di voti è tra il 6,5% e il 9,5% mentre il 13 febbraio era tra 7,8% e 10,8%. Se il dato complessivo dovesse confermarsi alle urne, Salvini tra Nord e Sud racimolerebbe il 23 percento diventando il secondo partito italiano. Ma la sorpresa è che sommando questo dato al 13 di Fi e alle percentuali degli altri partiti citati sotto, il centrodestra volerebbe (compreso il 3,9 di Ap) al 43 percento. Ma anche senza Alfano e Cesa il dato Berlusconi, Salvini e Meloni sarebbe del 39%. Una prospettiva che dovrebbe impensierire il premier Renzi dopo la rottura del patto del Nazareno…

Coalizioni. Secondo i dati dell’istituto Ixè il Centrosinistra prevale ancora con il 41,6 percento rispetto al 34% del Centrodestra. Flessione, invece, per il Movimento 5 Stelle (dal 19,1% al 18,7%).

Sale il dato sull’affluenza alle urne, che in una settimana passa dal 58,3% al 60,5%.

Alla domanda chi voterebbero gli italiani se si dovesse andare alle urne oggi, il campione ha risposto:

CENTROSINISTRA

-Partito Democratico-PD 37,8,
-Sinistra Ecologia e Libertà 3,6
-Scelta Civica 0,2
-Altro centrosinistra –
Totale centrosinistra 41,6

CENTRODESTRA

-Forza Italia 13,0
-Nuovo Centrodestra 3,0
-UDC – Unione di Centro 0,9
-Fratelli d’Italia – AN 2,9
-Lega Nord 13,8 (Senza Noi Salvini – “Lega Sud”)
-Altro centrodestra 0,4
Totale centrodestra 34,0

ALTRI PARTITI

-Movimento 5 Stelle 18,7
-Rifondazione comunista 1,1
-Italia dei valori 0,2
-Verdi 0,5
-Radicali 0,3
Altro partito 3,6

Aumenta di poco la fiducia nel governo Renzi. Il premier (40%) viene tuttavia superato da Sergio Mattarella (68%) quale politico più gradito. Terzo Salvini col 24 percento. Berlusconi a picco, scende all’11 percento.

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