13 Ottobre 2024

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Ruby ter, i pm accusano: “Da Berlusconi più di 2 milioni alle olgettine”

olgettineNon c’è pace giudiziaria per Silvio Berlusconi. Dopo aver incassato l’assoluzione definitiva nel processo Ruby,  il leader di Forza Italia deve affrontare il “Ruby ter”, un altro filone dell’inchiesta in cui l’ex premier è accusato di aver “comprato” le olgettine, le ragazze che avrebbero frequentato a pagamento le ville del Cav.

I magistrati sono convinti che Berlusconi avrebbe dato circa 2 milioni e 150 mila euro tra il 2010 e il 2014 a una ventina di ragazze indagate nell’inchiesta Ruby ter. Questi versamenti sarebbero avvenuti tramite bonifici e assegni, come risulta da alcuni atti dell’indagine depositati al Tribunale del riesame di Milano.

In questo “conteggio” Ruby non è entrata. Tra le ragazze che hanno ricevuto più denaro da Silvio Berlusconi, attraverso il conto corrente Monte dei Paschi di Siena dell’ex premier, ci sono Alessandra Sorcinelli (390 mila euro) e Barbara Guerra (200 mila euro). Dagli accertamenti bancari effettuati nell’ambito dell’inchiesta “Ruby ter” emerge che “non risultano fonti di reddito delle indagate che non sono riconducibili in modo diretto o indiretto a Silvio Berlusconi”.

I movimenti bancari sono stati verificati dagli inquirenti e vanno dal 2010 ai primi mesi del 2014. Agli atti dell’inchiesta Ruby ter, ci sono anche le lettere scritte a ciascuna delle 20 ospiti alle feste ad Arcore in cui Silvio Berlusconi le informa di non poter più continuare a versare denaro e, come ultimo “aiuto” annuncia che le liquiderà con 25 mila euro “una tantum”.

Nella lettera, identica per ognuna delle ragazze, Berlusconi comunica di non poter proseguire nel suo sostegno economico per non causare a se stesso e a loro ulteriori guai con la giustizia. La missiva risale al dicembre del 2013. Sempre agli atti dell’indagine, c’è anche il verbale del ragioniere Giuseppe Spinelli, sentito quattro volte dagli inquirenti.

Spinelli racconta di essersi trovato di fronte a ragazze che gli dicevano di essere in difficoltà economiche quando gli chiedevano il denaro. Non viene mai nominato Silvio Berlusconi dalle ragazze intercettate al telefono per lo meno negli atti che ha depositato, fino a questo momento, la Procura di Milano al Tribunale del riesame, nell’ambito dell’indagine Ruby ter.

Tra loro le “olgettine” continuano a chiamarsi “amò”, mentre ci si riferisce al Cavaliere con un evocativo “lui”. I telefonini delle ragazze “agganciano” le celle di Arcore anche nel 2014, ma questo non significa che avessero ingresso a Villa San Martino. E’ anzi probabile, stando anche ad articoli di stampa usciti nei mesi scorsi, che le giovani rimanessero fuori dalla porta per volontà di Berlusconi.

Salute, dopo ebola è allarme morbillo. "In Africa a rischio molte vite"

bambino affetto da morbillo africaNei Paesi più colpiti dal virus ebola la prossima emergenza di salute pubblica, che potenzialmente metterebbe a rischio migliaia di vite, potrebbe venire da un virus più familiare: quello del morbillo.

In Guinea , Liberia e Sierra Leone , dove l’epidemia di Ebola che ha prodotto 10mila morti e oltre 24mila contagi è stata più intensa ed è ancora attiva, vi è stato infatti, secondo quanto riporta un sondaggio effettuato su medici e personale sanitario, un forte calo delle vaccinazioni per questa malattia (in alcune realtà pari al 75%) perché cliniche e ospedali erano chiusi o destinati esclusivamente alla cura dell’ebola.

Se si verificasse un’epidemia di morbillo dopo 18 mesi di interruzione della normale attività del sistema sanitario i casi potrebbero essere tra i 153mila e i 321mila e i decessi potrebbero dai 2mila ai 16mila. Questo il quadro tracciato in un articolo pubblicato sulla rivista Science dai ricercatori della Princeton University e della Johns Hopkins University.

Prima di ebola , e dopo le campagne di vaccinazione , tutti e tre i paesi nel periodo 2004-2013 avevano riportato in totale solo 6.937 casi di morbillo – evidenziano ancora i ricercatori – ma con l’avvento dell’epidemia di ebola circa 351mila bambini tra i nove mesi e i cinque anni (al ritmo di 19.500 al mese) non hanno effettuato il vaccino, che se sommati ai 778mila piccoli che prima dell’epidemia non erano stati vaccinati fanno la somma totale di un milione di bambini a potenziale rischio.

medici vaccinazione anti virus ebola morbillo africa“Anche nel momento in cui la minaccia di ebola comincia a retrocedere c’è il potenziale per altre epidemie di malattie infettive” ha evidenziato una delle autrici della ricerca, Saki Takahashi, evidenziando uno degli scopi principali del report e’ incoraggiare i governi e le organizzazioni sanitarie a promuovere le vaccinazioni.

“Campagne di vaccinazione su larga scala nei paesi colpiti da Ebola potrebbero essere la chiave per allontanare potenziali epidemie di morbillo” ha evidenziato infatti la studiosa. Dal report, che come evidenziano gli studiosi si è focalizzato sul morbillo perché tende in qualche modo ad essere conseguente alle crisi umanitarie, si evidenziano anche altri potenziali rischi causati dalla riduzione delle inoculazioni di polio ,l’indisponibilità di trattamenti per l’aids e la malaria, e una marcata diminuzione della cure prenatali.

Precari scuola materna, il governo li esclude dal piano assunzioni. E' rabbia tra i prof

scuola maternaDopo l’annuncio di Matteo Renzi al termine del Consiglio dei ministri di ieri sul “rafforzamento” dei poteri dei dirigenti scolastici in merito alle assunzioni dei precari della scuola, arriva la reazione stizzita dei docenti della scuola materna esclusi dal provvedimento del governo.

“Ieri sera, dopo l’annuncio del premier Matteo Renzi sull’esclusione di gran parte degli insegnanti di scuola materna dal piano di assunzione straordinaria, sono rimasta senza parole. In questi anni abbiamo fatto crescere questa scuola e ora non contiamo più nulla”. Maria Cristina Ceccarelli, 43 anni, è insegnate di sostegno all’istituto comprensivo di Civitella San Paolo (Roma). La sua carriera da precaria, cominciata nel 2004, è destinata a non trovare stabilità. Almeno nell’imminente. Rischia di essere una dei circa 23 mila precari della scuola dell’infanzia, sui 32 mila iscritti alle Graduatorie ad esaurimento, che non verranno assunti subito. Per loro la partita si chiuderà in un secondo momento, ha spiegato Renzi, dopo “aver chiarito con i comuni la strategia sulle materne” e comunque con la delega al governo sul piano di istruzione per i bambini dagli 0 ai 6 anni.

“Si stava meglio prima, quando eravamo precari – spiega Maria Cristina all’agenzia Ansa – perché almeno c’era la speranza che venissero veramente esaurite le Gae. Ora non sappiamo sulla base di quali criteri si rientrerà o meno nel piano di assunzione straordinario, ma io sono all’819/mo posto della mia graduatoria. Sarà dura”. Per recarsi al lavoro, Maria Cristina, sposata con due figli, macina ogni giorno 30 km, altri 30 per tornare a casa. “Ma pur di avere un posto fisso – spiega – mi sposterei anche in un’altra città più lontana. Non è questo il problema”.

“Stamattina c’è stato un fitto scambio di Sms tra me e altre colleghe precarie – racconta – tutte deluse dagli annunci di ieri. Stasera ci ritroviamo per preparare magliette e striscioni e il 17 marzo sciopereremo contro il piano del governo e andremo a manifestare. Vogliamo farci sentire. Stiamo anche pensando di far ricorso al tribunale ed essere così assunte a tempo indeterminato attraverso una sentenza”. Insomma, avverte, la battaglia continua.

Doccia fredda, ieri sera, anche per chi ha partecipato al concorso del 2012 ed è risultato idoneo: neanche per loro ci sarà l’assunzione a settembre. “Ho scritto un’e-mail al presidente Renzi”, spiega Marco Borghi, di Roma, che ha superato il concorso. “Noi siamo nelle graduatorie di merito e in tutto siamo circa 6 mila. Finché ci sarà bisogno di insegnanti a scuola, per almeno tre anni dobbiamo essere assunti. Siamo le risorse più fresche, risultate più preparate nel concorso più selettivo nella storia dei concorsi a cattedra. Il premier non ci deve disperdere”.

Ma a fronte della delusione di alcuni, un esercito di 100.701 insegnanti precari – per i quali si prospetta l’assunzione a settembre – ieri sera ha tirato un “cauto” respiro di sollievo. Tra questi c’è Sonia Sanpino, 43 anni, siciliana di origine, che oggi insegna alla scuola primaria Giorgio Franceschi di Roma. Scienze e matematica in seconda, Inglese nelle terze. “Il piano di assunzione straordinario confermato ieri sera da Renzi è un buon inizio, ma non so in effetti quanto di questo piano sarà realizzato. Aspettiamo fiduciosi”. “Sono precaria dal 1999 – racconta Sonia – ed è una situazione demoralizzante e mortificante, perchè ogni anno non sai che fine farai. Qualche settimana fa ho compiuto gli anni e il mio primo pensiero, il mattino del compleanno, è stato: ho 43 anni e nessuna stabilità. Un po’ triste, vero?”.

Terni, clandestino uccide ragazzo. E' polemica sulla sicurezza

La vittima del brutale omicidio David Raggi ucciso da un clandestino
La vittima del brutale omicidio David Raggi

Ucciso senza un perché. David Raggi, un ragazzo di Terni di soli 27 anni, è stato ammazzato in una piazza della città umbra nella notte tra giovedi e venerdi. A scagliarsi contro il giovane, sarebbe stato un nord africano ubriaco con una bottiglia rotta con cui ha colpito più volte David al collo. Inutile la corsa in ospedale. Il ragazzo è morto dissanguato.

Il presunto omicida è stato individuato e arrestato dalle forze dell’Ordine che hanno rilevato anche la sua identità. Si tratta di Amine Aassoul detto Aziz, 29 anni, uno straniero del Marocco già espulso dall’Italia nel 2007 e rientrato poco dopo tempo. Il marocchino era arrivato a Terni negli anni scorsi dove aveva raggiunto la madre sposata con un uomo del posto.

Dopo alcuni furti compiuti tra Porto Recanati, Fermo e Civitanova Marche gli era stato revocato il permesso di soggiorno e rimpatriato nel 2007. Aassoul, riferiscono i media, era tornato in Italia nel maggio dell’anno scorso, sbarcando a Lampedusa. La sua richiesta di asilo politico era stata respinta a ottobre e la squadra volante di Terni gli aveva notificato la decisione. Il marocchino aveva però fatto ricorso nei 30 giorni previsti ed era in attesa di una decisione in merito.

A scatenare la sua furia la notte tra il 12 e il 13 marzo, sarebbe stato l’alcol con cui si è fatto “compagnia” tutta la serata in un locale della movida ternana. Secondo una prima ricostruzione, il presunto aggressore è stato allontanato da un locale notturno proprio per il suo fare molesto.

A quel punto, furioso, si sarebbe scagliato contro la gente che passava in piazza dell’Olmo, nel cuore di Terni uccidendo il 27enne con il collo di una bottiglia rotta. Raggi era un un informatore farmaceutico ternano e faceva volontariato col 118. Un ragazzo tranquillo, che frequentava spesso con gli amici i locali del centro di Terni.

L’omicidio ha scosso tutta la comunità ternana, umbra e nazionale. Il sindaco della città ha dichiarato il lutto cittadino, mentre nella giornata di venerdì sono state organizzate manifestazioni in suo ricordo. Cordoglio per il brutale omicidio è stato espresso da istituzioni, amministratori e molta gente comune sui social.

La scientifica nel luogo dell'omicidio
La scientifica nel luogo dell’omicidio

Il sindaco di Terni, Leopoldo Di Girolamo afferma di essere “sconvolto per quanto accaduto questa notte. Conosco   la famiglia di David da sempre, da quando i genitori erano fidanzati. Questa mattina sono andato a casa loro a portare le condoglianze di tutta la città per l’assurda scomparsa di un ragazzo conosciuto anche per la sua bontà d’animo.”

Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha spiegato a Radio 24 che il marocchino “ora deve pagare fino in fondo per l’ignobile omicidio, non deve uscire più dal carcere. Lo Stato deve fare paura a chi fa cose ignobili come quella di stanotte”.

Il presunto assassino Amine Aassoul
Il presunto assassino Amine Aassoul

La presidente dell’Umbria, Catiuscia Marini, scrive: “Provo un dolore enorme per la terribile e inaccettabile uccisione di David Raggi. Sono vicina a tutta la sua famiglia per una perdita che ha provocato in loro un dolore straziante e inconsolabile. In momenti come questi possiamo solo manifestare dolore e vicinanza alla famiglia di David ed alla comunità di Terni, profondamente turbata da questa inaudita violenza e di cui conosco il profondo senso di solidarietà e di convivenza civile. Altre parole, e ne sto leggendo tante, sarebbero e sono fuori luogo”.

La reazione di Matteo Salvini: “Morire a 27 anni, sgozzato per strada a Terni, innocente – scrive il segretario della Lega Nord Matteo Salvini su Facebook -. Pazzesco. L’assassino è un marocchino, ubriaco e drogato, già espulso. Era ri-sbarcato a Lampedusa, aveva chiesto asilo politico. Ora è in galera. Un altro morto sulla coscienza degli amici di Mare Nostrum. Una preghiera per il povero David e per la sua famiglia. E per l’assassino, niente galera in Italia, troppo comodo. Espulsione immediata a calci in culo nel suo Marocco, dove potrà davvero marcire in una galera adatta a un verme come lui”. Reazioni anche da Pd, M5S, Forza Italia e molti altri esponenti politici che sollevano la questione “sicurezza”.

Elezioni regionali e comunali 2015, si vota domenica 31 maggio

elezioni regionali e comunali 2015Sette Regioni e quasi 1.100 comuni andranno al voto con l’election day del 31 maggio: il Consiglio dei Ministri su proposta del ministro degli Interni, Angelino Alfano, ha approvato, infatti, un decreto legge che fissa l’election day e stabilisce che la prima domenica utile è il 31 maggio 2015 per le attese elezioni regionali e amministrative.

Le Regioni per le quali si andrà alle urne sono: Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Umbria, Campania, Puglia. In tutto si tratterà di poco più di 17 milioni di italiani, il cui voto, inevitabilmente, verrà letto in termini di tenuta degli schieramenti e delle alleanze politiche a livello nazionale e del peso del Governo.

Nella stessa giornata di maggio, destinata ad essere election day, si voterà anche per il rinnovo di consigli e sindaci di 1.089 Comuni (il 13,5% del totale dei comuni italiani), tra cui 18 città capoluogo (di cui 2 con meno di 15.000 abitanti), guidate idealmente da Venezia, in mano al commissario dopo lo scioglimento del comune in seguito alle dimissioni del sindaco di centrosinistra Giorgio Orsoni per il suo coinvolgimento nell’inchiesta sul Mose. Gli altri comuni capoluogo chiamati al rinnovo sono: Enna, Agrigento, Vibo Valentia, Matera, Andria, Chieti, Macerata, Arezzo, Rovigo, Trento, Bolzano, Mantova, Lecco, Aosta, Nuoro, Sanluri, Tempio Pausania.

 

Grecia, Atene vuole dalla Merkel i danni di guerra: 11 miliardi di euro più i tesori rubati dai nazisti

Il presidente del Parlamento greco Zoe Constantopoulou
Il presidente del Parlamento greco Zoe Constantopoulou

La Grecia da paese indebitato potrebbe diventare un paese “creditore” nei confronti di Berlino. Atene chiede che la Germania risarcisca i danni provocati durante la Seconda Guerra Mondiale. Il Parlamento greco ha approvato stamani all’unanimità la proposta del proprio Presidente, Zoe Constantopoulou, per la ricostituzione ed il rilancio di una Commissione Interparlamentare per la rivendicazione dei danni di guerra causati al Paese dai tedeschi durante il secondo conflitto. Non solo: Atene chiede anche la restituzione del prestito forzoso fatto da Atene al III Reich (almeno 11 miliardi di euro odierni secondo un recente rapporto ufficiale ellenico) e il ritorno in Grecia delle antichità rubate dai tedeschi.

Tsipras avverte, “Andremo fino in fondo” – Nel corso del dibattito, il premier Alexis Tsipras ha affermato che la questione dei risarcimenti dei danni di guerra “è molto tecnica e delicata”, ma ha anche ribadito che è un dovere andare sino in fondo. Da parte loro, tutti i rappresentanti dei partiti hanno sottolineato quanto sia importante seguire una linea strategica nazionale a livello politico e legale per ottenere il risultato voluto.

La Grecia è pronta a dare battaglia. Il ministro della Giustizia Nikos Paraskevopoulos è arrivato a ventilare l’ipotesi di firmare l’attuazione forzosa della sentenza emessa nel 2000 dall’Areios Pagos, il Tribunale Supremo della Grecia, che prevede la confisca dei beni tedeschi in territorio greco e riguarda il risarcimento dei parenti delle vittime dei nazisti a Distomo, un villaggio della Beozia, in cui il 10 giugno 1944 le SS uccisero 218 persone, tra cui diversi bambini, come rappresaglia dopo un attacco di partigiani. La Germania non ha mai pagato alla Grecia vere e proprie riparazioni generali di guerra che, secondo alcune stime, ammonterebbero a 70 miliardi di euro attuali. Negli Anni Sessanta Bonn si limitò a versare 115 milioni di marchi come forma di assistenza alla Grecia.

Il governo tedesco guidato da Angela Merkel ritiene “politicamente e giuridicamente chiusa la questione delle riparazioni di guerra”. Il portavoce dell’esecutivo Steffen Seibert, durante una conferenza stampa a Berlino aggiunge che “non so se le dichiarazioni del premier greco siano proprio esatte o se sono state iper-interpretate”.

In ogni caso, ha sottolineato il portavoce “abbiamo davanti a noi una strada difficile con la Grecia, sulla quale dovremmo concentrarci per il bene dei cittadini”. La Germania “è assolutamente consapevole della sofferenza arrecata a tanti paesi nella seconda guerra mondiale, ma questo non cambia la posizione del governo sulle riparazioni”.

Il funzionario ha anche fatto capirte che simili rivendicazioni non avranno alcun effetto sul negoziato che Atene e l’Ue stanno conducendo sul rifinanziamento del debito ellenico. Le minacce sulle confische di beni tedeschi all’estero “non influenzano la nostra posizione” nel confronto sul programma di aiuti, ha tagliato corto Siebert

Flavio Tosi: "Salvini di giorno è secessionista, di notte per l'Unità". Il segretario: "Non rispondo a insulti"

Flavio Tosi durante la conferenza stampa
Flavio Tosi durante la conferenza stampa

“Salvini ha scelto una linea dittatoriale di governo della Lega Nord e se ne assume la responsabilità”. Una linea di partito “discutibile” perché “non si può essere secessionisti di giorno e di notte essere per l’Unità d’Italia”. Il day after dopo l’allontanamento dalla Lega, Flavio Tosi lo spiega in una conferenza stampa a Verona dove torna ad attaccare Matteo Salvini, dicendosi convinto che al leader del Carroccio “andava bene arrivare a questa conclusione”.

“Quella di Salvini è stata una scelta dittatoriale per liberarsi del sottoscritto” scandisce Tosi che ricostruisce tutta la vicenda che ha portato alla sua espulsione dal Carroccio. “La decisione del segretario federale nei miei confronti – dice Flavio Tosi – è stata più un pretesto che altro. Perché visto il nuovo corso che Salvini ha dato alla Lega, l’impressione è che non ci sia qualcuno che ricordi quali sono i valori fondativi su cui è nata la Lega. Non si può essere la mattina secessionisti e alla sera sostenere l’unità d’Italia, cosa che è avvenuta in maniera clamorosa”.

“La scelta di Salvini rischia come non mai di creare tensioni interne nella Liga Veneta e di spaccare, quindi, i rapporti interni nel centrodestra in vista delle prossime elezioni. E il ragionamento fatto mi sembra del tipo: “Mi devo liberare di Flavio Tosi a prescindere dal rispetto e dai risultati elettorali”.

Altra logica non la vedo, altrimenti ci si sarebbe confrontati sulle liste. Cosa che non è avvenuta nonostante per mesi e mesi io abbia chiesto incontri su questo. L’obiettivo era evidentemente quello di arrivare al controllo dittatoriale della Lega Nord. È una scelta di Salvini e se ne prenderà la responsabilità

Flavio Tosi durante la conferenza stampaE a chi gli chiede se scenderà in campo per le elezioni regionali in Veneto, Tosi risponde: “Mi prendo un paio di giorni per decidere. Anche perché la botta è stata forte e queste decisioni devono essere prese a mente fredda e oggi non è così”.

Sulla divisione nella Lega che potrebbe danneggiare la corsa di Luca Zaia, Tosi sottolinea: “E’ chiaro che le tensioni nel centrodestra favoriscono il centrosinistra. La scelta è stata del segretario Salvini che è passato sopra alla Liga Veneta e alla sua autonomia”.

“Io non ho chiesto a nessuno di seguirmi – spiega ancora – non imporrò a nessuno questo tipo di scelta. Ma liberamente di decidere cosa fare nel momento in cui, malauguratamente, ci fosse una rottura. Sarebbe scorretto forzare la mano. Adesso ognuno liberamente deciderà cosa fare”.

“La Liga Veneta – ribadisce Flavio Tosi – è stata umiliata da via Bellerio. E credo che a Matteo Salvini andasse bene arrivare a questa conclusione. Non era mai successo che la Liga Veneta fosse commissariata in 20 anni e all’inizio della campagna elettorale, calpestando la sua autonomia”.

Da parte sua il segretario del Carroccio replica a distanza: “Non rispondo a chi insulta – dice Matteo Salvini ai microfoni di Radio Padania – se c’è da ragionare di politica, di economia, pensioni, scuola, ospedali, immigrazioni, io lo faccio, ci sono. Di solito mi danno del dittatore, dello sleale e dello scorretto Alfano e Renzi, se si aggiunge qualcuno non mi tocca. Io le risposte concrete le dò ai cittadini”. “Puntiamo – annuncia – a fare 300 gazebo in 300 piazze venete. La voglia di rovinare le cose di qualcuno può trasformarsi in un’iniezione di voglia di fare”.

Stando ai rumors, sarebbero 6 i parlamentari tosiani pronti a lasciare i gruppi della Lega di Camera e Senato. L’espulsione di Flavio Tosi dal Carroccio rischia di generare un vero e proprio terremoto anche a Roma, minando la composizione stessa dei gruppi parlamentari. Al Senato, riportano fonti parlamentari all’Adnkronos, sarebbero pronti a lasciare Patrizia Businella, compagna del sindaco ribelle, ma anche le senatrici Raffaela Bellot ed Emanuela Munerato. Il gruppo della Lega perderebbe così tre degli attuali 15 membri, scendendo a 12.

Al Senato il regolamento fissa a 10 il numero minimo di parlamentari per costituire un gruppo. Dunque, nel caso le tre senatrici leghiste lasciassero, non ci sarebbe alcun problema per la Lega a Palazzo Madama, e nemmeno per Matteo Renzi che di fatto andrebbe ad allargare la sua maggioranza dal momento che il feeling tra Flavio Tosi e Alfano pase sia “ottimo”. Le cose rischiano invece di complicarsi a Montecitorio, dove il regolamento fa salire l’asticella a 20, esattamente il numero di deputati di cui dispone la Lega. Ma tre veneti su quattro starebbero seriamente pensando di seguire Tosi, dando il benservito a Matteo Salvini.

Alcune indiscrezioni trapelate a Montecitorio indicano Matteo Bragantini, Roberto Caon e Emanuele Prataviera come possibili fuoriusciti. Resterebbe in Lega invece Filippo Busin, riferisce all’Adnkronos una autorevole fonte parlamentare. Bragantini ufficialmente è ancora cauto, pur riconoscendo che lo Statuto è stato disatteso. Se i tre deputati dovessero decidere per l’addio, il gruppo del Carroccio perderebbe i numeri, scendendo a 17 deputati. A quel punto, il capogruppo si vedrebbe costretto a richiedere una deroga per tenerlo in vita.

Riforme, il premier vince facilitato dalle divisioni degli avversari

Massimo Franco per il Corriere della Sera

I tre tronconi in cui è diviso il Parlamento sono usciti formalmente indenni dal voto sulla riforma costituzionale: almeno nel senso che non ci sono state scissioni né dissociazioni clamorose. Ma il saldo è diverso per Pd, FI e M5S. Il governo di Matteo Renzi riemerge rafforzato dal «sì» netto della Camera; e potenzialmente in grado di attrarre pezzi dell’opposizione. D’altronde, la minoranza del Pd si conferma divisa perfino sulle proposte alternative a quelle di Palazzo Chigi.

E FI si ritrova con diciotto deputati che avvertono Silvio Berlusconi di non essere d’accordo sul «no» alle riforme: avanguardie di un’attrazione forse fatale per Renzi, e di un malessere più profondo dei numeri ufficiali.
Quanto al Movimento 5 Stelle, è rimasto fuori dall’Aula, confermando la sua vocazione antisistema. Verrebbe da dire che Palazzo Chigi è circondato da un nugolo di avversari che però non sono in grado di contrastarlo né di insidiarlo seriamente. E, di forzatura in forzatura, come gli rimproverano le opposizioni, sta ottenendo quello che voleva.

Nessuno pensa che la guerriglia sia finita ieri. I numeri del Senato si presentano meno rassicuranti per il governo di quelli della Camera. È anche vero, però, che quando si voterà lì le elezioni regionali saranno già alle spalle. E i «no» berlusconiani e la compattezza di facciata di FI potrebbero sgretolarsi d’incanto. L’ex premier ha cercato di valorizzare la tenuta del suo partito, evocando una presunta centralità tra «nuova destra populista» e «falso riformismo della sinistra».

La sua analisi, in realtà, finisce per dare corpo alla tenaglia della Lega di Matteo Salvini, peraltro sua alleata, e di Renzi, che gli toglie spazio e ossigeno politico. Renzi ieri ha assegnato al vicesegretario Lorenzo Guerini il compito di spiegare il motivo di una riforma costituzionale approvata a maggioranza. E non gli è stato difficile additare le contraddizioni di FI, che al Senato aveva contribuito al «sì»: le stesse evidenziate da una dissidenza berlusconiana inquieta.

Il problema è che accadrà di qui a giugno. Dipenderà molto da FI. Se dopo le Regionali il centrodestra e Berlusconi riusciranno a contenere la diaspora, per il governo il Senato potrebbe diventare una trappola. Soprattutto sulla riforma dell ‘Italicum , gli avversari di Renzi nel Pd sanno di giocarsi la sopravvivenza come candidati alle elezioni. Ma il calcolo e la speranza di Palazzo Chigi sono altri.

Il premier confida che emerga un’area grigia di deputati e senatori d’opposizione, pronti ad appoggiare i suoi provvedimenti anche contro Berlusconi. Un po’perché temono che altrimenti si sciolgano le Camere.
Un po’ perché tendono a considerare chiusa la parabola dell’ex Cavaliere e vedono in Renzi un leader con valori che condividono: gli stessi che invece nel Pd fanno covare una scissione.

Narcotraffico, blitz in Calabria e altre regioni. 32 arresti

guardia di finanza - colpo al narcotrafficoTrentadue persone ritenute legate al “locale” di ‘ndrangheta di Corigliano Calabro e alla cosca degli zingari di Cassano allo Ionio, sono state arrestate dalla Guardia di finanza con l’accusa di narcotraffico.

Parte degli arrestati erano stati fermati nell’operazione “Gentleman” del 16 febbraio scorso. Secondo l’accusa, l’organizzazione aveva accesso ai mercati sudamericani per la cocaina ed a quelli dell’est europeo per eroina e marijuana, importando ingenti partite di droga.

Dalle indagini, durate due anni, sarebbe emersa l’esistenza di una fitta rete di pericolosi narcotrafficanti internazionali in grado di movimentare grossi quantitativi di marijuana dall’Albania verso l’Italia, avvalendosi di vettori marittimi dell’organizzazione, nonchè di cocaina ed eroina, mediante l’impiego di automezzi modificati nella struttura al fine di ricavarne appositi vani funzionali all’occultamento.

Nel corso dell’inchiesta sono state sequestrate più tre tonnellate di stupefacente, tra cocaina, eroina e marijuana, per un valore sul mercato di 45 milioni di euro; sono state rinvenute numerose armi, tra le quali kalashnikov, ed è stato catturato un latitante.

Vincenzo Antonio Lombardo e Vincenzo Luberto
Il capo della Dda di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo e l’aggiunto Vincenzo Luberto

L’operazione è stata condotta dai finanzieri della sezione Goa del Gico di Catanzaro, del Goa di Brescia, della compagnia di Policoro (Matera) e dello Scico, coordinata dal procuratore della Dda di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo, dagli aggiunti Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto, e dal pm Domenico Guarascio, in collegamento con il procuratore aggiunto di Brescia Sandro Raimondi, e col pm di Matera Alessandra Susca.

L’attività delle fiamme gialle ha delineato l’attività dei sodalizi criminali riconducibili a Filippo Solimando e Luigi Abbruzzese, ritenuti a capo del «locale» di Corigliano e della cosca degli zingari di Cassano, compagini ritenute dagli investigatori storicamente dotate di autonomia ed accertata operatività criminale nell’ambito del traffico internazionale di stupefacenti.

Nel corso degli anni, inoltre, «gli zingari» si sarebbero emancipati da una situazione di dipendenza che li relegava ai margini delle associazioni ‘ndranghetistiche sino ad assurgere alla posizione di un locale di ‘ndrangheta.

Oltre al sequestro della droga, l’operazione ha inflitto perdite economiche consistenti alle organizzazioni con il sequestro di beni immobili, quote societarie, autovetture di lusso ed imbarcazioni. I provvedimenti di custodia cautelare in carcere, emessi dal gip distrettuale di Catanzaro, sono stati notificati tra Calabria, Puglia, Basilicata, Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia.

Processo Ruby, Berlusconi assolto anche in Cassazione

Processo Ruby, la Cassazione assolve BerlusconiDopo una lunghissima Camera di Consiglio, la Cassazione ha reso definitiva l’assoluzione dell’ex premier Silvio Berlusconi dall’accusa di concussione e prostituzione minorile. In primo grado il leader di Forza Italia era stato condannato a sette anni di reclusione dal tribunale di Milano.

In appello, invece, fu prosciolto e ora gli “ermellini” hanno convalidato quella decisione rigettando il ricorso del sostituto procuratore della Corte d’Appello di Milano, Pietro De Petris. Nella sua requisitoria, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Eduardo Scardaccione, aveva sottolineato “la piena sussistenza” dei reati contestati all’ex premier.

Per quanto riguarda l’accusa più grave, quella di concussione, ad avviso del pg nella telefonata che Berlusconi fece al capo di gabinetto della questura di Milano, Pietro Ostuni, era stata esercitata “una pressione irresistibile per la sproporzione tra il soggetto che “subiva” la telefonata e il soggetto che da presidente del Consiglio, aveva chiamato”.

Secondo il pg questa è stata la “violenza originaria” che ha caratterizzato il reato concussivo. “La violenza di Berlusconi è stata grave, perdurante e inammissibile” ed inoltre fin dall’inizio “era consapevole che Ruby era minorenne”, tanto è vero che il capo della scorta dell’ex premier, Estorelli, “usa la parola affido parlando della ragazza”: “non c’è nessun dubbio che ci sia stata costrizione, in quella telefonata, e che la indebita prestazione, il rilascio di Ruby, sia stata ottenuta in un settore delicatissimo quale è quello della custodia dei minori”.

Scardaccione, inoltre, ha definito “l’episodio nel quale Berlusconi dice che Ruby è la nipote di Mubarak è degno di un film di Mel Brooks: episodio per il quale ci ha riso dietro il mondo intero”. Durissimo, infine, l’affondo del pg sulla “passione per le minorenni” nutrita da Silvio Berlusconi: ad avviso di Scardaccione “non è una coincidenza che, per usare le parole di Ruby, Noemi Letizia era la sua pupilla e Ruby il suo ‘fondoschiena’, ed entrambe erano due minorenni”. Nonostante il braccio rotto e il tutore, il professore Franco Coppi ha risposto alle obiezioni del pg catturando l’attenzione del collegio presieduto da Nicola Milo.

“La sentenza di assoluzione ammette che ad Arcore si sono svolte cene e prostituzione a pagamento, cosa che la difesa non contesta, ma nella sentenza non si trova la prova di alcuna minaccia implicita od esplicita rivolta a Ostuni”. Coppi ha poi aggiunto: “il mio assistito non me ne vorrà, ma io non posso calarmi il velo davanti agli occhi: queste ragazze frequentavano Berlusconi e lo chiamavano quando si trovavano nei guai o avevano dei problemi” ma l’ex premier – ha proseguito Coppi – non sapeva assolutamente che Ruby era minorenne, tanto è vero che nella telefonata nella quale la sente la notte tra il 27 e 28 maggio, le fa una scenata e da quel momento non la vuole più rivedere”.

Per quanto riguarda l’accusa di concussione, per Coppi, “a tutto voler concedere all’accusa, c’è solo stata una telefonata nella quale Berlusconi dice che c’è una consigliera regionale pronta a prendersi carico di Ruby”. La Minetti, spiega Coppi, “si rivelerà poi per quel che è, ma quella sera come consigliere regionale aveva tutte le carte in regola per ottenere l’affido di Ruby”.

E Coppi, in proposito, ha messo in evidenza come in questura quella notte “erano tutto ben contenti di ‘sbolognare’ la ragazza e di non averla tra i piedi”, e furono seguite “tutte le procedure per questi casi: identificazione, foto segnalazione e ricerca di una comunità”. Dopo Coppi ha preso la parola l’avvocato Filippo Dinacci, e anche lui ha chiesto il rigetto del ricorso del pg di Milano, De Petris, contro l’assoluzione. Tra circa un mese si conosceranno le motivazioni della decisione dei supremi giudici la cui estensione è affidata all’ex gip di Roma, Orlando Villoni.

“Tanta felicità”. Così da Arcore, dove Silvio Berlusconi ha appreso la notizia della sua assoluzione per il processo Ruby dopo nove ore di camera di consiglio dei giudici della Cassazione, commentano la sentenza della Suprema Corte. Il Cavaliere a quanti lo hanno raggiunto telefonicamente arrivando ad intasare i centralini della sua residenza milanese avrebbe semplicemente detto di essere appunto felice della notizia che mette fine ad un incubo: è stata ribadita la mia innocenza – è in sintesi il ragionamento dell’ex premier – cosa hanno combinato e cosa ho dovuto passare per un processo insensato e ingiusto. Ora aspetto buone notizie anche dalla Corte Europea. Con i suoi consiglieri il Cavaliere si è detto pronto a tornare in campo.

E c’è chi pensa che la sua prima battaglia sarà per modificare la legge Severino che gli impedisce di potersi candidare. E’ quello infatti l’ultimo passaggio a cui guarda Berlusconi fiducioso in una sua totale riabilitazione. La notizia dell’assoluzione dell’ex capo di governo ricompatta anche il partito dopo le divisioni e gli scontri delle ultime ore: “E’ un’ottima notizia che risarcisce però solo in minima parte tutto quello che ha subito Berlusconi”, è il commento di Giovanni Toti, consigliere politico di Forza Italia che a questo punto auspica che possa esserci “una riforma della giustizia che metta al sicuro l’equilibrio della democrazia nel nostro paese.

Dopo di lui sono in molti ad intervenire anche via twitter, da Maurizio Gasparri che parla di “fine di una persecuzione”, a Debora Bergamini che scrive: “Che grande gioia dopo tante amarezze e tante montature”. Tra i big azzurri però ci si chiede ora chi ripagherà il Cavaliere per quanto accaduto, tra i primi a domandarselo è Luca D’Alessandro: “la domanda è d’obbligo, chi ripagherà il leader di Forza Italia dalla denigrazione e dal massacro mediatico a cui è stato sottoposto in questi anni”. Al deputato azzurro fa eco Anna Maria Bernini, vice presidente dei senatori FI che affida ad un tweet il suo pensiero: “assolto, ma chi risarcisce Berlusconi della sofferenza e dei danni politici di questi anni?”.

Lega, Salvini caccia Tosi dal Carroccio. Duro il sindaco: "Sei un Caino travestito da Abele"

Roberto Maroni, Matteo Salvini e Flavio Tosi
ALTRI TEMPI Roberto Maroni, Matteo Salvini e Flavio Tosi

E’ andata a finire nel peggiore dei modi tra Matteo Salvini e Flavio Tosi. Il segretario del Carroccio ha deciso per l’espulsione del sindaco di Verona dalla Lega. L’epilogo si è consumato nella serata di martedi dopo che in giornata erano trapelate “speranze” di una ricucitura tra i due.

SALVINI CACCIA TOSI DALLA LEGA: VIA CHI E’ CONTRO ZAIA

“Dispiace – spiega Salvini su Facebook – che da settimane Flavio Tosi abbia scelto di mettere in difficoltà la Lega e il governatore di una delle regioni più efficienti d’Europa. Ho provato mediazioni di ogni tipo, ma purtroppo, ricevendo solo dei no, sono costretto a prendere atto delle decisioni di Tosi e quindi della sua decadenza da militante e da segretario della Liga Veneta – Lega Nord”. Tosi è di fatto fuori dal movimento.

“Se insisterà nel volersi candidare contro Zaia, magari insieme ad Alfano e a Passera, per aiutare la sinistra, penso che ben pochi lo seguiranno”, dice Salvini certo che le polemiche di queste settimane non scalfiranno in ogni caso la candidatura di Luca Zaia a governatore del Veneto.

Secondo Salvini “non si può lavorare per un partito alternativo alla Lega, non si possono alimentare beghe, correnti o fazioni. Da domani basta chiacchiere, e si lavora con tutte le sezioni e tutti i gli iscritti, che contiamo di raddoppiare in fretta per riconfermare il buon governo di Luca Zaia”.

“Ovviamente – conclude – le liste per il Veneto saranno fatte solo dai Veneti, dal commissario Gianpaolo Dozzo (uno dei padri della Liga Veneta, iscritto dall’83) e da tutti i segretari del territorio veneto. Senza rancore e facendo gli auguri a Flavio Tosi, saranno i Veneti a decidere”.

TOSI: “SALVINI E’ UN CAINO CHE SI TRAVESTE DA ABELE” 

A stretto giro la replica di Tosi che accusa il segretario leghista di falsare la realtà dei fatti. “Salvini mente sapendo di mentire. Mai avrei pensato di vedere in Lega il peggio della peggior politica. Un Caino che si traveste da Abele”. “Resta e resterà – prosegue Tosi – la stima, l’amicizia, l’affetto per tutti i veri leghisti”.

VENTURI (TOSIANO): “FLAVIO CANDIDATO IN VENETO”

“E’ chiaro – sottolinea Fabio Venturi, coordinatore della Fondazione “Ricostruiamo il Paese”, creata dal sindaco di Verona per attrarre l’elettorato moderato di centrodestra – che c’era un disegno: quello di cacciarci dalla Lega. A questo punto penso che la strada maestra possa essere la candidatura di Flavio Tosi alle regionali in Veneto”.

ZAIA: “FINE ALLE BEGHE, ADESSO SI VOLTA PAGINA”

“La buona notizia è che questa sera si mette la parola fine a beghe e polemiche incomprensibili che sono durate fin troppo. Resta l’amarezza per come è andata a finire, ma ora si deve voltare pagina”. Commenta così Luca Zaia dopo la decisione di Salvini su Tosi. “Il mio impegno – prosegue Zaia – sarà ora quello di continuare a governare, di dire ai veneti quanto di buono è stato fatto in questi anni e quanto ho ancora voglia di fare per loro. Sono convinto che tutti i nostri militanti, sostenitori e simpatizzanti sapranno essere al mio fianco in questa battaglia per il buon governo della Regione”.

LA GUERRA DI “SUCCESSIONE”

La guerra tra Tosi e Salvini, (detta anche di successione…), è nata all’indomani del ciclone che ha travolto la Lega negli scandali prodotti (rimborsi, gestione del partito, “denaro in Tanzania”, “diamanti di Belsito” eccetera) dal cosiddetto cerchio magico che ruotava attorno al leader storico, Umberto Bossi.

Fatto da parte il fondatore, subentrò alla guida Roberto Maroni che cercò alla meglio di far pulizia nella Lega, nel frattempo precipitata ai minimi storici nei sondaggi. Gli impegni per la Regione Lombardia, di cui è governatore, e qualche “tiratore”  interno gli consigliarono di passare la mano.

L’ex ministro dell’Interno prima di lasciare raggiunse un accordo con Salvini e Tosi. Il primo doveva diventare segretario federale della Lega, (ancora non c’era l’ambizione di estendersi al Centro Sud); il secondo indicato come segretario della Liga Veneta con prospettive “leaderistiche” a livello nazionale e la “promessa” di essere il dopo Zaia nella regione veneta. Da come sono andate a finire le cose, fu così solo in parte. Tosi prepara il “suo” futuro anti-Renzi e costituisce la fondazione “Ricostruiamo il Paese” che ha un orizzonte tutto italiano e si ramifica un po’ dappertutto, con l’obiettivo di “agguantare” i moderati del centrodestra sfuggiti intanto al controllo di Berlusconi.

“IL PATTO TRADITO”

Le cose nel tempo sono mutate. La candidatura di Salvini capolista alle europee in Veneto, generano più di qualche malumore all’interno della Liga che, va ricordato, è fortemente identitaria (appunto federale); cioè non ama troppe “ingerenze” dei lumbard.

Poi qualche giorno fa l’inizio della fine. Salvini a Milano impone Zaia tout court, “bypassando” i veneti della Liga, sebbene Tosi afferma di non aver “mai posto in dubbio la candidatura del governatore uscente” come invece “va ripetendo Salvini”.

Anzi, per non avere “intralci al nuovo percorso leghista”, Matteo va oltre e commissaria la Liga Veneta, deputata ad avere l’ultima parola sulla formazione di liste e alleanze, che “da statuto” sono prerogativa del segretario, cioè (erano) di Tosi.

Il sindaco, al contrario del segretario, si è mostrato sempre più “dialogante” con il Ncd di Alfano e i moderati (in Lega si parla con insistenza di un accordo Tosi-Passera e Ncd per costituire in Veneto un nuovo partito, ndr). Una posizione opposta a Salvini che invece aveva posto veti sui neocentristi: “Con Zaia andremo da soli”, disse due mesi fa mettendo a rischio anche l’alleanza con FI.

Piazzato Giampaolo Dozzo al suo posto nella Liga, si forma la goccia che fa traboccare il vaso. Il sindaco di Verona avverte Salvini: “Rispetta i patti e ripensaci,  altrimenti mi candido io in Veneto”. Ne è seguita una querelle velenosa culminata con l’espulsione (di fatto) di Tosi.  Adesso però, la partita per le prossime regionali in Veneto si complica. Tra i due litiganti “a godere” della spaccatura potrebbe essere la candidata del Pd Alessandra Moretti…

MORETTI: “CREDEVO CHE ESPULSIONI FOSSERO SOLO NEL M5S”

“Pensavo che le espulsioni e i dissidenti appartenessero solo al M5s. E invece non è così”. Alessandra Moretti, candidata alle regionali in Veneto per il centrosinistra, commenta così l’uscita di Tosi dalla Lega. “Non è mai una pagina di buona politica – aggiunge – quella che racconta l’allontanamento di un leader di un movimento da parte del proprio segretario. Sono gesti a cui si fatica ad abituarsi e che denotano una scarsa tolleranza e democrazia interna”. (Update 11-3-2015 ore 18.23)

Lega, è lotta continua tra Tosi e Salvini. E il Pd si frega le mani

Flavio Tosi Luca Zaia eterni duellanti nella Lega

 

 

Slitta di un giorno l’ultimatum di Matteo Salvini a Flavio Tosi. Uno spostamento che avrebbe come obiettivo il tentativo di “ricucire” dopo lo strappo tra i due leader della Lega; il primo a favore della candidatura di Luca Zaia a governatore del Veneto, il sindaco di Verona molto perplesso sulle modalità che hanno portato alla formazione delle liste per le prossime elezioni di maggio. E tra i due litiganti, alle prossime elezioni di maggio, a godere è Alessandra Moretti del Pd che guarda lo “spettacolo” fregandosi le mani. “Non dovrà fare neanche campagna elettorale”, commentano amari ambienti del centrodestra.

Una settimana tesissima per il Carroccio che vive momenti di forte fibrillazione interna che rischiano di “regalare” la vittoria al Pd di Renzi. Nel pomeriggio, dopo l’ennesimo tira e molla, è spuntata anche una che Tosi avrebbe recapitato a Salvini per “mediare”. Ma da via Bellerio smentiscono. “Matteo Salvini non ha ricevuto alcuna lettera inviatagli da Flavio Tosi con proposte di mediazione. Il segretario è sempre pronto a valutare una proposta che tenga però conto di quanto stabilito dall’ultimo consiglio federale”. Allo stesso tempo, fonti vicine al sindaco veronese affermano di “non essere a conoscenza di documenti” inviati da Tosi.

La riunione di lunedi del Comitato di disciplina deputato a decidere sulle espulsioni, aveva rinviato ogni decisione a oggi pomeriggio ma non s’è fatto nulla. Ieri è anche scaduto “l’ultimatum” del Consiglio federale che ha sancito l’incompatibilità tra chi fa parte della Fondazione di Flavio Tosi, il sindaco “ribelle” di Verona e la militanza nel Carroccio.

Intanto Salvini, in uno dei tanti passaggi quotidiani sui media, rispondendo alle domande dei cronisti afferma con sicurezza, che non esiste “nessun rischio di perdere il Veneto: Zaia ce la fa anche se mi candido io, Gesù bambino e tutti quanti messi assieme, per quello che ha fatto”. La guerra intestina di questi giorni fa apparire invece un quadro molto diverso rispetto alle convinzioni del leader leghista.

Il fedelissimo di Tosi, Matteo Toscani butta comunque acqua sul fuoco delle polemiche: “A mio avviso – dice – dovrebbero fare un passo indietro tutti e tre, Salvini, Tosi e Zaia, per motivi diversi, se lo facessero, si ricomporrebbe la frattura e andremmo vincenti verso le elezioni di maggio”.

“Tosi – ha spiegato il fondatore del gruppo “Impegno veneto” – è piuttosto avvilito e demoralizzato per la situazione, non solo per lui e per chi lo sostiene, ma anche per la Lega”.

Se la commissione presieduta da Bossi voterà per l’espulsione di Tosi che non appare intenzionato a rinunciare alla sua Fondazione, è “probabile, anzi inevitabile – secondo Toscani – che Tosi si candidi lo stesso alle prossime elezioni regionali. L’auspicio è che non accada.

L’uscita di Tosi dal partito sarebbe devastante per la Lega, perché favorirebbe una vittoria della candidata di Renzi in Veneto (Alessandra Moretti, ndr), che è sempre stato governato bene dal centro-destra e sarebbe un peccato perderlo per lotte intestine. È una rottura non ancora consumata, ma evidente e tangibile”.

Riforma Titolo V, passa il Ddl Boschi. Spaccati PD e FI

camera approva riforma titolo vC’è il via libera della Camera alla riforma Titolo V della Costituzione. L’Aula di Montecitorio ha approvato il Ddl sul nuovo Senato con 357 sì e 125 no e il testo ora torna a Palazzo Madama in terza lettura. Il Movimento Cinque Stelle è rimasto fuori dall’Aula al momento del voto. Sinistra ecologia e libertà ha protestato mostrando il libro della Costituzione, mentre escono spaccati Forza Italia e Partito democratico con qualche “distinguo” tra chi vota “Si” come i bersaniani e chi vota “No” come Civati.

La tensione nel partito di Renzi è palpabile. La minoranza vota a favore a patto che il governo modifichi l’Italicum. Mentre Forza Italia si divide e in 17 scrivono all’ex Cavaliere criticando le scelte sul provvedimento: “E’ offensivo fare le stesse cose del M5S o di Sel”, hanno detto. Aspra la replica di Silvio Berlusconi che chiede a chi come Gianfranco Rotondi, Luigi Cesaro, Paolo Russo, Luca D’Alessandro, Laura Ravetto, Daniela Santanchè, Ignazio Abrignani, Gregorio Fontana, tra i firmatari della missiva, di stare compatti e rinunciare a “protagonismi” e “distinguo”.

Soddisfatti invece la ministra Maria Elena Boschi e il premier Matteo Renzi che ha parlato di un Paese che ora è “più semplice e giusto”. E stasera, in vista delle prossime riforme in programma, il presidente del Consiglio incontrerà i parlamentari del Pd che si occupano rispettivamente di Rai e scuola.

La minoranza Dem critica contenuto e metodo utilizzato sulla riforme. Sul piede di “guerra” anche se ha votato sì, è l’ex segretario Pd Pierluigi Bersani: “Il Patto del Nazareno – avverte – non c’è più, non si dica che non si tocca niente. O si modifica in modo sensato l’Italicum o io non voto più sì sulla legge elettorale e di conseguenza sulle riforme perchè il combinato disposto crea una situazione insostenibile per la democrazia”.

“Oggi – spiega Bersani – tanti deputati hanno dato un’ulteriore prova di responsabilità confidando sulla possibilità di migliorare la legge perchè per noi doveva rimanere aperta la discussione sull’art.2 sulla composizione del Senato. Si è detto che se no il patto del Nazareno implodeva e quindi si è blindato il testo ma noi pensiamo che su questo punto si debba tornare”. Per l’ex leader Pd, però, la riforma istituzionale è “nel campo del pensabile ma se la si unisce al modello dell’Italicum, un modello iper-maggioritario con parlamentari per lo più nominati e senza che si capisca chi li nomina. Così si entra nel campo dell’impensabile e non ci può essere disciplina di partito che tenga”.

Critico anche D’Attorre che ai microfoni di TgCom 24 dice: “Il testo della riforma costituzionale e il suo collegamento con la legge elettorale non vanno bene. Noi riteniamo che sia un sistema attualmente squilibrato. E’ stato un voto – sottolinea Alfredo D’Attorre – per tenere accesa una fiammella di cambiamento. Se le correzioni non saranno consentite, i testi, così come sono, nel passaggio finale e definitivo, ritengo di non poterli sostenere”.

“Alla Camera – prosegue – ci sarà un confronto aperto sulla legge elettorale. Io credo che Renzi sia preoccupato del passaggio alla Camera tant’è che lo sposta in avanti. La scelta di approvare il pacchetto delle riforme spaccando il Pd e cercando un’alleanza con una parte di Forza Italia sarebbe una strada sbagliata. L’appello che faccio a Renzi è quello di non fare forzature”, conclude l’esponente Dem.

Anche Rosy Bindi e Gianni Cuperlo, cosi come D’Attorre hanno detto che si tratta del loro ultimo “Si”.

E mentre parte della minoranza vota a favore per mantenere “viva la speranza di cambiamento”, Pippo Civati su Facebook attacca i bersaniani a suo avviso stampella di Renzi:

“La cosiddetta minoranza – affonda Civati – non fa altro che alzare palloni alla maggioranza e al premier che li schiaccia (i palloni e non solo). La battaglia da affrontare è sempre la «prossima»: così è stato sul Jobs Act, così nei vari passaggi delle riforme. Così sarà sull’Italicum, ma poi magari si vota a favore anche su quello”, ha detto Civati.

Casalesi, blitz contro il clan Schiavone: 40 arresti. Trovati pizzini in bici

arma carabinieri contro clan schiavone casalesiScacco contro il clan dei Casalesi. La Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha dato il via ad una imponente operazione in tredici province italiane culminata con l’arresto di una quarantina di persone in odor di camorra.

All’alba di oggi i Carabinieri della Compagnia di Casal di Principe, hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Tribunale di Napoli su richiesta della locale Dda nei confronti di esponenti vicini al clan Schiavone ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsioni, detenzioni di armi e ricettazione, reati tutti aggravati dal metodo mafioso. Impiegati circa 200 militari, elicotteri e unità cinofile.

Gli arresti interessano le province di Caserta, Napoli, Avellino, Benevento, Terni, L’Aquila, Lecce, Cosenza, Cuneo, Prato, Frosinone, Trapani e Taranto. I destinatari del provvedimento restrittivo sono affiliati alla fazione Schiavone del clan dei casalesi; tra gli essi figurano Carmine e Nicola Schiavone, figli di Francesco Schiavone detto “Sandokan”.

L’operazione battezzata dagli inquirenti “Spartacus Reset”, ha portato alla luce un giro d’affari di circa 200mila euro al mese, proventi delle estorsioni e di altri 100mila euro mensili derivanti dalle imposizioni delle slot machine e delle scommesse on line.

I provvedimenti di custodia cautelare
I provvedimenti di custodia cautelare

Dall’analisi dei libri contabili è emerso che l’organizzazione avrebbe pagato agli affiliati in carcere somme pari a circa 60mila euro al mese. Alcune delle scritture del clan, sulle quali vi era annotata anche una lista degli affiliati che percepivano lo stipendio e degli imprenditori sottoposti a estorsione aggiornata al 2013, erano state trascritte a mano dallo stesso Carmine Schiavone, figlio del mammasantissima Francesco detto “Sandokan”, così come accertato con una perizia calligrafica eseguita dal Ris di Roma.

Il manubrio della bici dove venivano nascosti i pizzini
Il manubrio della bici dove venivano nascosti i pizzini

 

Schiavone junior, infatti, è stato il reggente della cosca fino all’arresto avvenuto il 21 gennaio 2013 nel centro storico di Aversa e grazie al suo ruolo di vertice aveva il compito di gestire le entrate e le uscite economiche dell’organizzazione camorristica.

Secondo quanto emerso dal provvedimento cautelare, Carmine Schiavone aveva un controllo, con referenti locali, su tutto il territorio dell’agro aversano.

Informazioni che gli consentivano di individuare gli imprenditori o i commercianti da sottomette alle estorsioni. Oltre al controllo dell’area, il reggente del clan esercitava “un vero e proprio comando su tutti gli affiliati, intervenendo – ha sottolineato il procuratore aggiunto della Dda di Napoli, intercettazioni casalesiGiuseppe Borrelli – nei loro confronti non solo per questioni relative alle dinamiche criminali, ma anche per aspetti legati alla vita privata ritenuti disdicevoli con lo status di appartenente al sodalizio”.

Gli inquirenti lo hanno potuto constatare in un’intercettazione ambientale nel corso della quale Carmine Schiavone non esitava, con altri affiliati, a pestare selvaggiamente una persona vicina al clan che intratteneva una relazione con una donna nonostante il divieto di frequentarla.

Un pizzino ritrovato in bici
Un pizzino ritrovato in bici

A prendere il posto di Carmine Schiavone alla guida del clan, dopo la sua cattura, fu Romolo Corvino, uno dei destinatari del provvedimento eseguito stamani nell’ambito dell’operazione “Spartacus reset”. Corvino era stato arrestato anche nell’ottobre 2013 per estorsione aggravata dal metodo mafioso.

“Pizzini”, scritti direttamente da Carmine Schiavone, erano nascosti nel manubrio di una bicicletta sui quali erano elencati i nomi delle imprese da vessare con le estorsioni.

Un’indagine condotta non solo attraverso intercettazioni e pedinamenti ma anche avvalendosi delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia che ha permesso la ricostruzione dell’organigramma del gruppo camorristico.

L'elenco delle somme del racketAi destinatari delle misure cautelari sono contestati i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, detenzione e porto illegale di armi e ricettazione con l’aggravante del metodo mafioso.

Nel corso dell’inchiesta sono state sequestrate armi, tra cui due kalashnikov, un fucile d’assalto, due a pompa, uno sovraesposto, uno mitragliatrice e quattro pistole. Accertati almeno 20 casi di estorsione con importi variabili tra i 1.500 e i 5mila euro.

Le vittime del racket erano indicate dallo stesso Carmine Schiavone nel corso di summit o attraverso la consegna di “pizzini” alcuni dei quali acquisiti dai carabinieri che nei mesi scorsi hanno trovato e sequestrato a Villa Literno un bunker utilizzato dai latitanti dei Casalesi. Otto gli arresti o i fermi eseguiti nel corso di questi due anni d’indagine.

Scontro fra elicotteri in Argentina. Dieci morti tra cui 8 francesi

I tre campioni francesi morti in Argentina
I tre campioni francesi morti in argentina

Francia di nuovo in lutto. A poco più di un mese dalla strage islamica di Charlie Hebdo, 10 persone, fra cui otto francesi impegnati in un reality televisivo, hanno perso la vita in un tragico incidente fra due elicotteri in Argentina.

Fra le vittime, tre noti sportivi francesi: la campionessa di nuoto olimpica Camille Muffat, l’ex pugile Alexis Vastine e la velista Florence Arthaud. Nella collisione, oltre ai due piloti argentini, sono morti anche i membri della troupe del programma Dropped, un reality di sopravvivenza simile all’Isola dei famosi realizzato in luoghi estremi per la rete televisiva Tf1.

L’incidente, sul quale sono in corso indagini, è avvenuto attorno alle 17,15, orario dell’Argentina, (circa le 21 in Italia) nella provincia di La Rioja, 2.000 chilometri a nord-ovest di Buenos Aires.

I due elicotteri avevano appena decollato dalla località di Villa Castelli, nella “pre-Cordigliera” delle Ande, e si sono schiantati dopo essersi urtati in volo quando erano a soltanto 100 metri di quota.

Il luogo della disatro in Argentina (Afp/Getty) - scontro fra elicotteri in Argentina
Il luogo della disatro in Argentina (Afp/Getty)

Particolarmente impressionanti le immagini dello schianto, che da questa mattina circolano in rete. Un’ora dopo l’incidente, la polizia della Rioja ha reso noto che non c’erano superstiti fra i 10 passeggeri.

Con i due piloti argentini c’erano otto francesi che erano da qualche giorno impegnati nelle riprese del telereality “Dropped”, un format norvegese trasmesso su TF1, che ha immediatamente cancellato il programma.

Sul posto è arrivato immediatamente un agente consolare francese, una unità di crisi è stata istituita all’ambasciata di Francia di Buone Aires, poi l’annuncio dell’identità delle vittime: la più famosa navigatrice in solitario, già vincitrice della Route du Rhum, Florence Arthaud, 57 anni, la campionessa olimpica di nuoto Camille Muffat, 25, e il pugile Alexis Vestine, 28, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pechino nel 2008.

Morti anche cinque membri dell’equipe televisiva di TF1, che erano con gli sportivi a bordo degli elicotteri e i due piloti. Si sono salvati alcuni sportivi partecipanti ma già eliminati, come l’ex nazionale di calcio Sylvain Wiltord, rientrato a Parigi da qualche ora, la ciclista Jeannie Longo e il pattinatore Philippe Candeloro.

L’ex stella del calcio francese Sylvain Wiltord, anche lui concorrente nello show che fortunatamente non è rimasto coinvolto, ha espresso su twitter il suo dolore. “Sono triste per i miei amici. Sto tremando, sono inorridito, non ho parole”.

Cordoglio per il disastro arriva da tutte le parti del mondo, fra cui molti colleghi degli sfortunati sportivi. Il presidente francese Francois Hollande: “I nostri connazionali hanno dato lustro alla Francia”. Intanto Parigi apre una inchiesta per individuare eventuali responsabilità nello scontro fra elicotteri.

Riforme, la nuova Costituzione secondo Matteo: Come cambia la Carta

Luca De Carolis per il Fatto Quotidiano

Addio al bicameralismo perfetto e al vecchio Senato, trasformato (o ridotto) in un ente di secondo livello con funzioni per lo più consultive. Corsia preferenziale per i disegni di legge del governo. Quorum più alti per eleggere il presidente della Repubblica e per le leggi di iniziativa popolare. Sono i punti principali della riforma costituzionale renziana, approvata in prima lettura in Senato lo scorso otto agosto. Oggi dovrebbe arrivare il sì della Camera, ma per arrivare al via libera definitivo la strada è lunga.

Il ddl di revisione costituzionale, come prevede l’articolo 138 della Carta, va approvato in doppia lettura conforme da Camera e Senato, e tra una votazione e l’altra devono trascorrere almeno tre mesi. Nel secondo passaggio è richiesto il sì della maggioranza assoluta (la metà più uno dei componenti di ciascuna Camera). Una volta approvato da Montecitorio, che l’ha sottoposto a lievi modifiche, il ddl di riforma dovrà tornare in Senato, dove si dovrà chiudere la prima lettura (ma si voterà solo sulle parti modificate).

Toccherà quindi di nuovo alla Camera (non prima di giugno) e poi a palazzo Madama, per quella che sarebbe l’ultima votazione. La Carta prevede l’obbligo del referendum qualora, in seconda lettura, il ddl costituzionale non venga approvato con la maggioranza dei due terzi in ciascuna Camera. Ma il governo vuole che la consultazione popolare si svolga in ogni caso, come ribadito nelle ultime ore da Matteo Renzi.

Addio al bicameralismo perfetto L’abolizione del bicameralismo perfetto (due Camere con uguali poteri) è il primo obiettivo della riforma, nonché il suo principale rischio a detta delle opposizioni e di diversi costituzionalisti, che temono un grave indebolimento del processo democratico di formazione delle leggi.

Con il ddl costituzionale, Montecitorio diventa la Camera “forte”, mentre il Senato viene trasformato in un organo a elezione indiretta, composto da 95 tra consiglieri regionali e sindaci, eletti dai Consigli regionali. A questi si aggiungono gli ex presidenti della Repubblica e i cinque senatori nominati dal Capo dello Stato: non più a vita, ma per 7 anni. I senatori rimangono in carica per la durata del Consiglio regionale che li ha nominati, e non percepiscono alcuna indennità parlamentare.

Ma a mutare sono soprattutto i poteri dei due rami del Parlamento.La Camera (che mantiene i suoi 630 membri) diventa l’unica a votare la fiducia al governo e a controllare il suo operato, e può approvare da sola la grandissima parte delle leggi. Con la riforma, dovranno essere approvate da entrambe le Camere solo le riforme e leggi costituzionali, le leggi elettorali del Parlamento e degli enti locali, la ratifiche dei trattati internazionali, e le leggi sui referendum popolari. Per le altre basterà il sì della Camera.

Ma il Senato può comunque intervenire, chiedendo di esaminare i ddl passati alla Camera entro 10 giorni dalla loro approvazione. Le proposte di modifica vengono inviate entro 30 giorni a Montecitorio, che deve dare il via libera definitivo al testo, e può anche ignorare i suggerimenti dei senatori. Il passaggio in Senato è obbligatorio per le leggi di bilancio. Capitolo a parte per le leggi “a tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica” o a tutela dell’interesse nazionale: in questo caso, la Camera può ignorare le modifiche proposte dal Senato solo votando a maggioranza assoluta.

Corsia accelerata per l’esecutivo Un altro punto cruciale è il “voto a data certa”, in base al quale il governo può chiedere alla Camera di deliberare che un ddl “essenziale per l’attuazione del programma del governo” venga votato in via definitiva entro 70 giorni. In pratica l’esecutivo può chiedere una corsia accelerata per i suoi provvedimenti, grazie a cui vengono dimezzati i termini per chiedere modifiche a disposizione del Senato. Il voto a data certa è escluso per pochissime leggi, tra cui quelle che vanno approvate da entrambe le Camere e quelle che concedono l’amnistia e l’indulto.

Dal Quirinale ai referendum, cambiano i quorum A eleggere il presidente della Repubblica saranno i parlamentari, senza più l’apporto dei delegati regionali. Si alza il quorum per l’elezione, che dal quarto scrutinio richiede la maggioranza dei tre quinti dei parlamentari (attualmente basta la maggioranza assoluta) e dal settimo scrutinio in poi vuole i tre quinti dei votanti. Modifiche anche per il referendum abrogativo: se a chiederlo sono 800 mila persone, il quorum per approvarlo diventa la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni politiche (e non più degli aventi diritto al voto). Per le proposte di legge iniziativa popolare serviranno 150 mila firme, rispetto alle 50 mila attuali (altra norma contestata).

Enti tagliati e nuove competenze La riforma incide sul Titolo V. Elimina il riferimento alle province come enti costitutivi della Repubblica e sopprime la competenza concorrente tra Stato e Regioni, ridistribuendo le singole materie tra amministrazione ed enti locali. Novità rilevante è la clausola di supremazia , che consente allo Stato, su proposta del governo, di legiferare su materie di competenza regionale a tutela dell’unità della Repubblica o dell’interesse nazionale.

Tosi: io non cedo, potrei correre. La Lega tenta l'ultima mediazione

Marco Cremonesi per il Corriere della Sera

La proroga. Poche ore appena, quelle necessarie all’ultimissimo tentativo di mediazione: l’ultimatum definitivo scade alle 14 di oggi. Poi, se Flavio Tosi non lascerà la sua creatura, la fondazione «Ricostruiamo il paese», sarà fuori dalla Lega.

In realtà, il termine massimo è già scaduto alla passata mezzanotte. Ieri, il sindaco di Verona ha espresso tutta la sua amarezza per le lacerazioni. Ma ha anche detto che lui, il passo indietro, non lo può fare: «Resto coerentemente all’interno della mia fondazione, e resto coerentemente leghista. Poi, se la Lega deciderà di allontanarmi, sarà una scelta scorretta e sleale nei miei confronti. Però, io spero sempre che le cose possano ricomporsi».

La grande domanda resta quella delle ultime settimane: si candiderà o meno contro il candidato ufficiale del suo partito, il governatore uscente Luca Zaia? «Potrei ritirarmi a vita privata, tornare a fare il programmatore elettronico, andare a curare l’orto, andare in seminario oppure, in ultimissima istanza, candidarmi a governatore».
Più o meno nelle stesse ore, nel quartier generale della Lega di via Bellerio, a Milano, si riuniva il comitato di garanzia del partito.

L’organo presieduto da Umberto Bossi che deve decidere, tra l’altro, sulle espulsioni. Tosi avrebbe dovuto esserci in una strana veste: quella del segretario della «Nazione» (regione) in cui è tesserato il militante che rischia l’espulsione. Peccato che, in questo caso, il militante sia proprio lui. Anche se, nel tentativo di scansare ricorsi e futuri problemi magari legali, il provvedimento per Tosi non sarà l’espulsione ma la cancellazione dalle liste dei militanti. Differenze per avvocati.

La situazione è comunque ormai al limite: neppure Matteo Salvini si è lasciato sfuggire una sola parola sull’argomento. Il segretario leghista ha però visto, e a lungo, Luca Zaia e gli ha tra l’altro promesso che sabato sarà con lui nel padovano. Secondo i commentatori interni al partito, il tentativo di recuperare la situazione potrebbe essere stato affidato proprio al governatore, anche se lui e Tosi sono antagonisti storici. Durante la riunione, a prendere le parti di Tosi sarebbe stato solo Umberto Bossi.

Che non ha mai amato il sindaco di Verona. Ma ritiene che la sua uscita innescherebbe una divisione dagli esiti funesti. Tra l’altro, i sostenitori di Tosi hanno già annunciato una manifestazione a Verona per il 17 marzo. Titolo, l’hashtag #siamocontosi che va diffondendosi sulla Rete.

Lui, il sindaco, deve aver saputo della difesa bossiana. Perché – riferisce chi lo ha ascoltato – ieri ha tributato al fondatore il suo riconoscimento: «Anche se ha prevalso la linea forcaiola, Bossi e l’unico che ancora ci capisca qualcosa. E nonostante mi abbia sempre dato addosso, è l’unico che mi abbia difeso. Anzi, l’unico che abbia fatto qualche proposta per superare la situazione».

E, in effetti, il «lodo Bossi» ad oggi sembra l’unica proposta in campo: e cioé, che Tosi e Zaia facciano le liste insieme.
La giornata ha avuto un momento di tregua, un po’ zuccherino, quando il sindaco di Verona ha fatto gli auguri via radio («Un giorno da pecora») a Salvini, che ieri ha compiuto 42 anni. Risposta del segretario: «Sono contento di sentire questi auguri, Flavio è stato dolce e le questione personali vanno al di là di quelle politiche, l’importante è essere amici».

Il Patto dello zanza

Alessandro Sallusti per il Giornale

Cosa succederebbe se, tra poche ore, Forza Italia dovesse andare in ordine sparso alla votazione sulla riforma costituzionale che abolisce il Senato elettivo? E cosa succederebbe se Tosi dovesse portare a compimento la prima scissione della Lega?

Immagino che il mondo continuerebbe a girare intorno a se stesso, così come le nostre vite non avrebbero alcun scostamento. Lo scenario politico, ormai così lontano dalle aspettative della gente, potrebbe invece subire forti scossoni.

Nei prossimi giorni si verseranno fiumi di inchiostro per cercare di spiegare e commentare. E ognuna delle parti in causa ci farà una testa tanta per portare l’acqua al proprio mulino. Nella storia c’è chi si è ribellato – fino a provocare scissioni dal corpo che lo aveva generato – per nobili motivi. Ma non mi risulta rientrino in questa tipologia i casi di cui stiamo parlando.

Dietro entrambe le vicende c’è soprattutto il lavorio di Renzi per spaccare il fronte avverso – il centrodestra – ferito ma non ancora vinto. E ci sono le paure di chi, in Forza Italia e Lega, pensa di avere maggior futuro stando sotto l’ombrello renziano piuttosto che affrontare la tempesta e i rischi dell’opposizione.

Berlusconi aveva trovato l’unico compromesso accettabile: il Nazareno, cioè un tavolo dove trovare un punto di sintesi sulle riforme e sulle cose – come l’elezione del presidente della Repubblica – che anche la Costituzione invita a fare cercando la più ampia maggioranza possibile. Purtroppo è andato tutto a gambe all’aria per il vizietto di Renzi di voler incassare senza pagare i fornitori, in questo caso fornitori di voti senza i quali le sue riforme non avrebbero mai visto la luce.

Uno zanza – detto alla milanese – che pensava di poter fare il furbo a oltranza anche con Berlusconi e gli elettori di centrodestra. Modifica dopo modifica all’accordo iniziale sulle riforme e legge dopo legge (falso in bilancio, prescrizione e patrimoniali occulte, tanto per fare qualche esempio), Renzi stava facendo cose di sinistra con i voti di Forza Italia.

E sta cercando di sminare Salvini agevolando, per interposte persone, la scissione veneta di Tosi. Non essendo riuscito a fare presa con la sua musica suadente sull’elettorato che fu del Pdl, ora il pifferaio magico Renzi sta suonando direttamente per i politici smarriti di Forza Italia e della Lega. Qualcuno lo seguirà, ma occhio che in fondo alla corsa, come nella fiaba, c’è il laghetto dove finiranno annegati.

Riforme, Berlusconi al test dell'Aula: Diremo no

Paola Di Caro per il Corriere della Sera

Ribadisce il no alle riforme. Si appella, accoratamente, all’unità del centrodestra. Bacchetta quelli che nel suo partito peccano di «egoismo». Silvio Berlusconi torna sulla scena da leader che ha finito di scontare la sua pena e, in attesa del verdetto della Cassazione su Ruby previsto per domani, detta la linea a Forza Italia sui tre temi cardine che stanno caratterizzando il travagliato momento del centrodestra.

Lo fa collegandosi telefonicamente con Bari, dove viene presentato il candidato alla presidenza della Regione Schittulli in una convention che vede la plastica spaccatura che attraversa FI: ci sono Giovanni Toti e Maurizio Gasparri in rappresentanza del partito, la Poli Bortone, Quagliariello per Ncd mentre l’uomo forte della Puglia, Raffaele Fitto, parla da Palermo dove fa tappa il suo tour dei Ricostruttori.

Restano lontanissimi Berlusconi e Fitto. Il primo non cita nemmeno il suo sfidante, ma sembra alludere a lui quando chiede lo stop agli «egoismi e alle rendite di posizione». Il secondo, che a Bari ha organizzato per sabato prossimo una manifestazione pro Schittulli alla Fiera del Levante dove conta di portare molti più sostenitori di quelli radunati ieri, continua a lamentare nei suoi confronti azioni ostili, minacce, commissariamenti, espulsioni, un clima «da coprifuoco».

Il rischio che si finisca con le carte bollate resta alto, anche se Toti considera «fantascienza» l’ipotesi che possa essere inibito l’uso del simbolo a FI e a Berlusconi. Ma certo il clima è tesissimo: i fedelissimi dell’ex premier contano di escludere i fittiani dalle liste e sperano che l’ex governatore presenti una sua civica in Puglia, lui giura che non si presterà al gioco e accusa il leader che si rinchiude «nel bunker». A complicare la situazione, sono anche le divisioni interne al partito sulle riforme e quelle nel centrodestra sulle alleanze.

Sul primo punto, non c’è dubbio che in FI molti siano scettici sulla linea dura che Berlusconi ha ieri ribadito di voler sostenere: «Noi avevamo creduto fino in fondo al patto del Nazareno, accettando sulle riforme cambiamenti che non ci piacevano e che ci siamo resi conto servivano solo a rafforzare un’unica parte politica: il Pd ha l’arroganza e la prepotenza di chi si ritiene a torto moralmente superiore», e per questo «voteremo contro le riforme» e contro un Renzi che per Berlusconi ha violato i patti: quelli per cui sarebbe dovuta finire «la guerra civile» che divide da 20 anni il Paese.

Ma i verdiniani da una parte, i moderati azzurri dall’altra (da Romani a Gelmini) vedono con timore al solco che si sta allargando con Renzi, pur sapendo che in questa fase, con la Lega che pretende da FI scelte nette di opposizione per concedere un’alleanza, e con le regionali che impongono una linea non ambigua, Berlusconi non può che confermare il suo no alle riforme. Dopo, si vedrà.

Ma nonostante tutto, sulle alleanze l’accordo non c’è. «Non abbiamo ancora trovato un’intesa», conferma Altero Matteoli. Perché fino a quando Tosi non scenderà in campo e l’Ncd non farà la scelta di appoggiarlo, lasciando libera FI di sostenere Zaia, il quadro non potrà definirsi. E perché restano problemi con la stessa Lega, che presenta ovunque – dalla Liguria alla Toscana alle Marche – propri candidati senza consultarsi con i potenziali alleati, e provocando grossi mugugni fra gli azzurri.

Nelle Marche FI e Ncd sostengono Spacca, in Campania le pressioni di Renzi su Alfano per sostenere De Luca rendono non scontato il patto tra azzurri e centristi, che infatti ancora non è stato messo nero su bianco. Non a caso Schifani, capogruppo ncd, fa sapere che oggi «il centrodestra, con questa Lega lepenista, non può tornare insieme». Rischia dunque di cadere nel vuoto l’appello di Berlusconi ad evitare «i narcisismi, le corse solitarie» che condannerebbero i moderati alla «irrilevanza».

Nemtsov, Zaur Dadayev confessa. "Boris ucciso per soldi"

Zaur Dadayev
Omicidio Nemtsov, Zaur Dadayev ha confessato

Ucciso per “motivi de denaro”. Sarebbe questo il movente per cui l’oppositore di Putin, Boris Nemtsov, è stato freddato venerdi scorso 27 febbraio a Mosca. L’ex tenente della polizia cecena, Zaur Dadayev, uno dei 5 sospetti per l’omicidio e arrestato insieme a Anzor Gubashev ieri all’alba, ha confessato il suo coinvolgimento nel delitto.

Il giudice ha confermato il suo arresto. Confermato anche il fermo di Gubashev, ritenuto presunto complice dell’uccisione insieme a Dadayev. Non si conoscono ulteriori dettagli sulla confessione. Ci sono altri 3 sospetti che sono stati fermati. Si tratta di Shagit Gubashev, fratello di Anzor e cugino di Dadayev e 2 persone identificate come Ramzat Bakhaev e Tamerlan Eskerkhanov. I tre negano il loro legame con il crimine.

Un omicidio dunque commesso per “motivi di denaro, connesso con la rapina, l’estorsione o il banditismo”: è questa l’accusa annunciata oggi in tribunale in relazione alla convalida degli arresti dei cinque sospetti per la morte dell’oppositore Boris Nemtsov. Il codice penale russo prevede pene fino all’ergastolo. Tuttavia, la pista dei soldi non convince molto. Per alcuni media russi il movente è riconducibile alle posizioni di Nemtsov sull’Islam.

Mentre Zaur Dadayev, ex ufficiale del Ministero degli Affari Interni della Repubblica cecena (era membro del battaglione locale Sever “Nord”), avrebbe confessato le sue responsabilità nel delitto, il presunto complice Gubashev, davanti al tribunale si è dichiarato non colpevole, come i tre nuovi sospetti. In ogni caso i giudici hanno confermato l’arresto.

Sono tutte di origine cecena le persone sospettate di essere coinvolte nell’assassinio dell’oppositore russo. Un quinto sospetto si è fatto saltare in aria ieri a Grozny, secondo quanto riferisce Radio Free Europe citando fonti della polizia cecena. In base a quanto si è appreso, l’uomo si è tolto la vita facendo esplodere una granata quando la polizia ha cercato di fare irruzione nell’appartamento dove si era nascosto.

Il caso sembra essere chiuso. Investigatori e autorità giudiziaria stanno tuttavia cercando riscontri alla deposizione dei cinque per capire ulteriori dettagli sul movente del delitto eccellente che ha fatto pensare subito ad una esecuzione a sfondo politico.

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