6 Ottobre 2024

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Riforme, la nuova Costituzione secondo Matteo: Come cambia la Carta

Luca De Carolis per il Fatto Quotidiano

Addio al bicameralismo perfetto e al vecchio Senato, trasformato (o ridotto) in un ente di secondo livello con funzioni per lo più consultive. Corsia preferenziale per i disegni di legge del governo. Quorum più alti per eleggere il presidente della Repubblica e per le leggi di iniziativa popolare. Sono i punti principali della riforma costituzionale renziana, approvata in prima lettura in Senato lo scorso otto agosto. Oggi dovrebbe arrivare il sì della Camera, ma per arrivare al via libera definitivo la strada è lunga.

Il ddl di revisione costituzionale, come prevede l’articolo 138 della Carta, va approvato in doppia lettura conforme da Camera e Senato, e tra una votazione e l’altra devono trascorrere almeno tre mesi. Nel secondo passaggio è richiesto il sì della maggioranza assoluta (la metà più uno dei componenti di ciascuna Camera). Una volta approvato da Montecitorio, che l’ha sottoposto a lievi modifiche, il ddl di riforma dovrà tornare in Senato, dove si dovrà chiudere la prima lettura (ma si voterà solo sulle parti modificate).

Toccherà quindi di nuovo alla Camera (non prima di giugno) e poi a palazzo Madama, per quella che sarebbe l’ultima votazione. La Carta prevede l’obbligo del referendum qualora, in seconda lettura, il ddl costituzionale non venga approvato con la maggioranza dei due terzi in ciascuna Camera. Ma il governo vuole che la consultazione popolare si svolga in ogni caso, come ribadito nelle ultime ore da Matteo Renzi.

Addio al bicameralismo perfetto L’abolizione del bicameralismo perfetto (due Camere con uguali poteri) è il primo obiettivo della riforma, nonché il suo principale rischio a detta delle opposizioni e di diversi costituzionalisti, che temono un grave indebolimento del processo democratico di formazione delle leggi.

Con il ddl costituzionale, Montecitorio diventa la Camera “forte”, mentre il Senato viene trasformato in un organo a elezione indiretta, composto da 95 tra consiglieri regionali e sindaci, eletti dai Consigli regionali. A questi si aggiungono gli ex presidenti della Repubblica e i cinque senatori nominati dal Capo dello Stato: non più a vita, ma per 7 anni. I senatori rimangono in carica per la durata del Consiglio regionale che li ha nominati, e non percepiscono alcuna indennità parlamentare.

Ma a mutare sono soprattutto i poteri dei due rami del Parlamento.La Camera (che mantiene i suoi 630 membri) diventa l’unica a votare la fiducia al governo e a controllare il suo operato, e può approvare da sola la grandissima parte delle leggi. Con la riforma, dovranno essere approvate da entrambe le Camere solo le riforme e leggi costituzionali, le leggi elettorali del Parlamento e degli enti locali, la ratifiche dei trattati internazionali, e le leggi sui referendum popolari. Per le altre basterà il sì della Camera.

Ma il Senato può comunque intervenire, chiedendo di esaminare i ddl passati alla Camera entro 10 giorni dalla loro approvazione. Le proposte di modifica vengono inviate entro 30 giorni a Montecitorio, che deve dare il via libera definitivo al testo, e può anche ignorare i suggerimenti dei senatori. Il passaggio in Senato è obbligatorio per le leggi di bilancio. Capitolo a parte per le leggi “a tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica” o a tutela dell’interesse nazionale: in questo caso, la Camera può ignorare le modifiche proposte dal Senato solo votando a maggioranza assoluta.

Corsia accelerata per l’esecutivo Un altro punto cruciale è il “voto a data certa”, in base al quale il governo può chiedere alla Camera di deliberare che un ddl “essenziale per l’attuazione del programma del governo” venga votato in via definitiva entro 70 giorni. In pratica l’esecutivo può chiedere una corsia accelerata per i suoi provvedimenti, grazie a cui vengono dimezzati i termini per chiedere modifiche a disposizione del Senato. Il voto a data certa è escluso per pochissime leggi, tra cui quelle che vanno approvate da entrambe le Camere e quelle che concedono l’amnistia e l’indulto.

Dal Quirinale ai referendum, cambiano i quorum A eleggere il presidente della Repubblica saranno i parlamentari, senza più l’apporto dei delegati regionali. Si alza il quorum per l’elezione, che dal quarto scrutinio richiede la maggioranza dei tre quinti dei parlamentari (attualmente basta la maggioranza assoluta) e dal settimo scrutinio in poi vuole i tre quinti dei votanti. Modifiche anche per il referendum abrogativo: se a chiederlo sono 800 mila persone, il quorum per approvarlo diventa la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni politiche (e non più degli aventi diritto al voto). Per le proposte di legge iniziativa popolare serviranno 150 mila firme, rispetto alle 50 mila attuali (altra norma contestata).

Enti tagliati e nuove competenze La riforma incide sul Titolo V. Elimina il riferimento alle province come enti costitutivi della Repubblica e sopprime la competenza concorrente tra Stato e Regioni, ridistribuendo le singole materie tra amministrazione ed enti locali. Novità rilevante è la clausola di supremazia , che consente allo Stato, su proposta del governo, di legiferare su materie di competenza regionale a tutela dell’unità della Repubblica o dell’interesse nazionale.

Tosi: io non cedo, potrei correre. La Lega tenta l'ultima mediazione

Marco Cremonesi per il Corriere della Sera

La proroga. Poche ore appena, quelle necessarie all’ultimissimo tentativo di mediazione: l’ultimatum definitivo scade alle 14 di oggi. Poi, se Flavio Tosi non lascerà la sua creatura, la fondazione «Ricostruiamo il paese», sarà fuori dalla Lega.

In realtà, il termine massimo è già scaduto alla passata mezzanotte. Ieri, il sindaco di Verona ha espresso tutta la sua amarezza per le lacerazioni. Ma ha anche detto che lui, il passo indietro, non lo può fare: «Resto coerentemente all’interno della mia fondazione, e resto coerentemente leghista. Poi, se la Lega deciderà di allontanarmi, sarà una scelta scorretta e sleale nei miei confronti. Però, io spero sempre che le cose possano ricomporsi».

La grande domanda resta quella delle ultime settimane: si candiderà o meno contro il candidato ufficiale del suo partito, il governatore uscente Luca Zaia? «Potrei ritirarmi a vita privata, tornare a fare il programmatore elettronico, andare a curare l’orto, andare in seminario oppure, in ultimissima istanza, candidarmi a governatore».
Più o meno nelle stesse ore, nel quartier generale della Lega di via Bellerio, a Milano, si riuniva il comitato di garanzia del partito.

L’organo presieduto da Umberto Bossi che deve decidere, tra l’altro, sulle espulsioni. Tosi avrebbe dovuto esserci in una strana veste: quella del segretario della «Nazione» (regione) in cui è tesserato il militante che rischia l’espulsione. Peccato che, in questo caso, il militante sia proprio lui. Anche se, nel tentativo di scansare ricorsi e futuri problemi magari legali, il provvedimento per Tosi non sarà l’espulsione ma la cancellazione dalle liste dei militanti. Differenze per avvocati.

La situazione è comunque ormai al limite: neppure Matteo Salvini si è lasciato sfuggire una sola parola sull’argomento. Il segretario leghista ha però visto, e a lungo, Luca Zaia e gli ha tra l’altro promesso che sabato sarà con lui nel padovano. Secondo i commentatori interni al partito, il tentativo di recuperare la situazione potrebbe essere stato affidato proprio al governatore, anche se lui e Tosi sono antagonisti storici. Durante la riunione, a prendere le parti di Tosi sarebbe stato solo Umberto Bossi.

Che non ha mai amato il sindaco di Verona. Ma ritiene che la sua uscita innescherebbe una divisione dagli esiti funesti. Tra l’altro, i sostenitori di Tosi hanno già annunciato una manifestazione a Verona per il 17 marzo. Titolo, l’hashtag #siamocontosi che va diffondendosi sulla Rete.

Lui, il sindaco, deve aver saputo della difesa bossiana. Perché – riferisce chi lo ha ascoltato – ieri ha tributato al fondatore il suo riconoscimento: «Anche se ha prevalso la linea forcaiola, Bossi e l’unico che ancora ci capisca qualcosa. E nonostante mi abbia sempre dato addosso, è l’unico che mi abbia difeso. Anzi, l’unico che abbia fatto qualche proposta per superare la situazione».

E, in effetti, il «lodo Bossi» ad oggi sembra l’unica proposta in campo: e cioé, che Tosi e Zaia facciano le liste insieme.
La giornata ha avuto un momento di tregua, un po’ zuccherino, quando il sindaco di Verona ha fatto gli auguri via radio («Un giorno da pecora») a Salvini, che ieri ha compiuto 42 anni. Risposta del segretario: «Sono contento di sentire questi auguri, Flavio è stato dolce e le questione personali vanno al di là di quelle politiche, l’importante è essere amici».

Il Patto dello zanza

Alessandro Sallusti per il Giornale

Cosa succederebbe se, tra poche ore, Forza Italia dovesse andare in ordine sparso alla votazione sulla riforma costituzionale che abolisce il Senato elettivo? E cosa succederebbe se Tosi dovesse portare a compimento la prima scissione della Lega?

Immagino che il mondo continuerebbe a girare intorno a se stesso, così come le nostre vite non avrebbero alcun scostamento. Lo scenario politico, ormai così lontano dalle aspettative della gente, potrebbe invece subire forti scossoni.

Nei prossimi giorni si verseranno fiumi di inchiostro per cercare di spiegare e commentare. E ognuna delle parti in causa ci farà una testa tanta per portare l’acqua al proprio mulino. Nella storia c’è chi si è ribellato – fino a provocare scissioni dal corpo che lo aveva generato – per nobili motivi. Ma non mi risulta rientrino in questa tipologia i casi di cui stiamo parlando.

Dietro entrambe le vicende c’è soprattutto il lavorio di Renzi per spaccare il fronte avverso – il centrodestra – ferito ma non ancora vinto. E ci sono le paure di chi, in Forza Italia e Lega, pensa di avere maggior futuro stando sotto l’ombrello renziano piuttosto che affrontare la tempesta e i rischi dell’opposizione.

Berlusconi aveva trovato l’unico compromesso accettabile: il Nazareno, cioè un tavolo dove trovare un punto di sintesi sulle riforme e sulle cose – come l’elezione del presidente della Repubblica – che anche la Costituzione invita a fare cercando la più ampia maggioranza possibile. Purtroppo è andato tutto a gambe all’aria per il vizietto di Renzi di voler incassare senza pagare i fornitori, in questo caso fornitori di voti senza i quali le sue riforme non avrebbero mai visto la luce.

Uno zanza – detto alla milanese – che pensava di poter fare il furbo a oltranza anche con Berlusconi e gli elettori di centrodestra. Modifica dopo modifica all’accordo iniziale sulle riforme e legge dopo legge (falso in bilancio, prescrizione e patrimoniali occulte, tanto per fare qualche esempio), Renzi stava facendo cose di sinistra con i voti di Forza Italia.

E sta cercando di sminare Salvini agevolando, per interposte persone, la scissione veneta di Tosi. Non essendo riuscito a fare presa con la sua musica suadente sull’elettorato che fu del Pdl, ora il pifferaio magico Renzi sta suonando direttamente per i politici smarriti di Forza Italia e della Lega. Qualcuno lo seguirà, ma occhio che in fondo alla corsa, come nella fiaba, c’è il laghetto dove finiranno annegati.

Riforme, Berlusconi al test dell'Aula: Diremo no

Paola Di Caro per il Corriere della Sera

Ribadisce il no alle riforme. Si appella, accoratamente, all’unità del centrodestra. Bacchetta quelli che nel suo partito peccano di «egoismo». Silvio Berlusconi torna sulla scena da leader che ha finito di scontare la sua pena e, in attesa del verdetto della Cassazione su Ruby previsto per domani, detta la linea a Forza Italia sui tre temi cardine che stanno caratterizzando il travagliato momento del centrodestra.

Lo fa collegandosi telefonicamente con Bari, dove viene presentato il candidato alla presidenza della Regione Schittulli in una convention che vede la plastica spaccatura che attraversa FI: ci sono Giovanni Toti e Maurizio Gasparri in rappresentanza del partito, la Poli Bortone, Quagliariello per Ncd mentre l’uomo forte della Puglia, Raffaele Fitto, parla da Palermo dove fa tappa il suo tour dei Ricostruttori.

Restano lontanissimi Berlusconi e Fitto. Il primo non cita nemmeno il suo sfidante, ma sembra alludere a lui quando chiede lo stop agli «egoismi e alle rendite di posizione». Il secondo, che a Bari ha organizzato per sabato prossimo una manifestazione pro Schittulli alla Fiera del Levante dove conta di portare molti più sostenitori di quelli radunati ieri, continua a lamentare nei suoi confronti azioni ostili, minacce, commissariamenti, espulsioni, un clima «da coprifuoco».

Il rischio che si finisca con le carte bollate resta alto, anche se Toti considera «fantascienza» l’ipotesi che possa essere inibito l’uso del simbolo a FI e a Berlusconi. Ma certo il clima è tesissimo: i fedelissimi dell’ex premier contano di escludere i fittiani dalle liste e sperano che l’ex governatore presenti una sua civica in Puglia, lui giura che non si presterà al gioco e accusa il leader che si rinchiude «nel bunker». A complicare la situazione, sono anche le divisioni interne al partito sulle riforme e quelle nel centrodestra sulle alleanze.

Sul primo punto, non c’è dubbio che in FI molti siano scettici sulla linea dura che Berlusconi ha ieri ribadito di voler sostenere: «Noi avevamo creduto fino in fondo al patto del Nazareno, accettando sulle riforme cambiamenti che non ci piacevano e che ci siamo resi conto servivano solo a rafforzare un’unica parte politica: il Pd ha l’arroganza e la prepotenza di chi si ritiene a torto moralmente superiore», e per questo «voteremo contro le riforme» e contro un Renzi che per Berlusconi ha violato i patti: quelli per cui sarebbe dovuta finire «la guerra civile» che divide da 20 anni il Paese.

Ma i verdiniani da una parte, i moderati azzurri dall’altra (da Romani a Gelmini) vedono con timore al solco che si sta allargando con Renzi, pur sapendo che in questa fase, con la Lega che pretende da FI scelte nette di opposizione per concedere un’alleanza, e con le regionali che impongono una linea non ambigua, Berlusconi non può che confermare il suo no alle riforme. Dopo, si vedrà.

Ma nonostante tutto, sulle alleanze l’accordo non c’è. «Non abbiamo ancora trovato un’intesa», conferma Altero Matteoli. Perché fino a quando Tosi non scenderà in campo e l’Ncd non farà la scelta di appoggiarlo, lasciando libera FI di sostenere Zaia, il quadro non potrà definirsi. E perché restano problemi con la stessa Lega, che presenta ovunque – dalla Liguria alla Toscana alle Marche – propri candidati senza consultarsi con i potenziali alleati, e provocando grossi mugugni fra gli azzurri.

Nelle Marche FI e Ncd sostengono Spacca, in Campania le pressioni di Renzi su Alfano per sostenere De Luca rendono non scontato il patto tra azzurri e centristi, che infatti ancora non è stato messo nero su bianco. Non a caso Schifani, capogruppo ncd, fa sapere che oggi «il centrodestra, con questa Lega lepenista, non può tornare insieme». Rischia dunque di cadere nel vuoto l’appello di Berlusconi ad evitare «i narcisismi, le corse solitarie» che condannerebbero i moderati alla «irrilevanza».

Nemtsov, Zaur Dadayev confessa. "Boris ucciso per soldi"

Zaur Dadayev
Omicidio Nemtsov, Zaur Dadayev ha confessato

Ucciso per “motivi de denaro”. Sarebbe questo il movente per cui l’oppositore di Putin, Boris Nemtsov, è stato freddato venerdi scorso 27 febbraio a Mosca. L’ex tenente della polizia cecena, Zaur Dadayev, uno dei 5 sospetti per l’omicidio e arrestato insieme a Anzor Gubashev ieri all’alba, ha confessato il suo coinvolgimento nel delitto.

Il giudice ha confermato il suo arresto. Confermato anche il fermo di Gubashev, ritenuto presunto complice dell’uccisione insieme a Dadayev. Non si conoscono ulteriori dettagli sulla confessione. Ci sono altri 3 sospetti che sono stati fermati. Si tratta di Shagit Gubashev, fratello di Anzor e cugino di Dadayev e 2 persone identificate come Ramzat Bakhaev e Tamerlan Eskerkhanov. I tre negano il loro legame con il crimine.

Un omicidio dunque commesso per “motivi di denaro, connesso con la rapina, l’estorsione o il banditismo”: è questa l’accusa annunciata oggi in tribunale in relazione alla convalida degli arresti dei cinque sospetti per la morte dell’oppositore Boris Nemtsov. Il codice penale russo prevede pene fino all’ergastolo. Tuttavia, la pista dei soldi non convince molto. Per alcuni media russi il movente è riconducibile alle posizioni di Nemtsov sull’Islam.

Mentre Zaur Dadayev, ex ufficiale del Ministero degli Affari Interni della Repubblica cecena (era membro del battaglione locale Sever “Nord”), avrebbe confessato le sue responsabilità nel delitto, il presunto complice Gubashev, davanti al tribunale si è dichiarato non colpevole, come i tre nuovi sospetti. In ogni caso i giudici hanno confermato l’arresto.

Sono tutte di origine cecena le persone sospettate di essere coinvolte nell’assassinio dell’oppositore russo. Un quinto sospetto si è fatto saltare in aria ieri a Grozny, secondo quanto riferisce Radio Free Europe citando fonti della polizia cecena. In base a quanto si è appreso, l’uomo si è tolto la vita facendo esplodere una granata quando la polizia ha cercato di fare irruzione nell’appartamento dove si era nascosto.

Il caso sembra essere chiuso. Investigatori e autorità giudiziaria stanno tuttavia cercando riscontri alla deposizione dei cinque per capire ulteriori dettagli sul movente del delitto eccellente che ha fatto pensare subito ad una esecuzione a sfondo politico.

La poltrona del ministro Lanzetta è vacante da un mese

Maria Carmela Lanzetta alla Camera
Maria Carmela Lanzetta alla Camera

Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera

Sul sito del governo italiano c’è scritto: «Il ministro per gli Affari Regionali, Maria Carmela Lanzetta, si è dimessa il 30 gennaio 2015». Due giorni dopo, ospite di Bruno Vespa, il premier Matteo Renzi disse: «Dovremo sostituirla nella squadra di governo: una è uscita, una entra». Come sempre sicuro, veloce, pragmatico.

Poi, va bene: sostituire un ministro richiede forse una riflessione in più, qualche comprensibile equilibrismo diplomatico all’interno della maggioranza. Però siamo ormai all’8 marzo e, a questo punto, un paio di sospettucci paiono legittimi: Renzi ha deciso che, per ora, è preferibile mantenere nella sua stanza di Palazzo Chigi anche le competenze di quel ministero?

Oppure quello, così com’è strutturato adesso, è un ministero abbastanza inutile? Non s’è mai capito bene perché la Lanzetta lasciò: la voce è che Renzi e il sottosegretario Luca Lotti avrebbero convinto il governatore della Calabria, Mario Oliverio, a offrirle un assessorato, così da liberare un posto a Palazzo Chigi. Lei, ex sindaca di Monasterace (Locride), ex speranza dell’antimafia calabrese, una farmacista mite ma astuta, intuì subito che le conveniva togliere le tende: e così si dimise, prima accettando e poi rifiutando l’incarico in Regione.

Seguirono polemiche: comunque, a quel punto, era e restava fuori da Palazzo Chigi. Anche se, praticamente, tecnicamente, nessuno se ne è mai accorto. Perché per un anno è stato un ministro invisibile. Zero provvedimenti, zero interviste. Un paio di ex colleghe ministre, generosamente, testimoniano: «Arrivava puntuale in Cdm, era gentile e diceva sempre sì».

Debole lei o esile la forza politica ed economica del suo dicastero? Difficile trovare risposte. Allora, poiché a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina (cit. Giulio Andreotti), è possibile che Renzi, in vista di un bel rimpastone, abbia semplicemente stabilito che è meglio continuare a tenersi libera una poltrona da riassegnare.

Omicidio Nemtsov, quattro arresti. Incastrati da tabulati telefonici. Ricercate altre persone

Boris Nemtsov (ItarTass/ Dzhavakhadze) - Omicidio Nemtsov
Boris Nemtsov (ItarTass/ Dzhavakhadze)

Sono saliti a quattro gli arresti per l’omicidio di Boris Nemtsov. Nella notte, ha detto al quotidiano Ria Novosti, il segretario del Consiglio di sicurezza della regione Inguscezia, Albert Barakhoev, sono stati fermati due cugini dei due fermati ieri. Un quinto uomo, sospettato di aver preso parte all’organizzazione, secondo alcuni media russi, nella notte si sarebbe fatto esplodere con una granata nella capitale della Cecenia, Grozny.

Il 7 marzo, il capo del Servizio di sicurezza federale russo, (Fsb) Alexander Bortnikov, ha reso noto che sono state arrestate due persone per l’omicidio dell’oppositore russo.

Si tratta di Anzor Kubashev e Zaur Dadaev, poco più che trentenni, due uomini di origine caucasica fortemente sospettati dagli investigatori di aver ucciso Nemtsov la sera del 27 febbraio scorso sul ponte Bolshoi Moskvoretski.

Il funzionario ha subito riferito l’operazione al presidente Vladimir Putin. I quattro sospetti sono ora in carcere già a disposizione dell’autorità giudiziaria. Le indagini, ha detto Bortnikov, “proseguono a ritmo serrato”.

Indagini che mirano a capire anche il movente del delitto eccellente. Non si esclude la pista cecena. Jeanne Nemtcov, figlia dell’esponente politico ucciso, intervistata dal quotidiano tedesco Bild ha detto che si tratta di “un omicidio a sfondo politico. Papà doveva morire perché era contro il Cremlino”, ha detto.

GUARDA LA RICOSTRUZIONE DELL’OMICIDIO

Il servizio di sicurezza federale insieme a un gruppo di investigatori, li teneva sotto controllo da giorni e all’alba del 7 marzo è scattato il blitz con il fermo che potrebbe essere convalidato già il 9 marzo. Anche la fidanzata di Nemtsov, Anna Duritskaya, testimone oculare dell’omicidio, potrebbe essere convocata a Mosca per un riscontro sull’identità dei presunti autori. Il suo legale ha fatto sapere che la sua assistita è disposta ad andare a Mosca per un possibile riconoscimento.

La polizia scientifica russa nei rilievi accanto al corpo senza vita di Nemtsov
La polizia scientifica russa nei rilievi accanto al corpo senza vita di Nemtsov

Nelle ore successive all’agguato, la modella ucraina era stata interrogata dagli inquirenti senza però tornare utile alle indagini. La ragazza aveva reso “dichiarazioni confuse”: “Non ho visto il killer, ha agito alle spalle”. Probabilmente in uno stato di choc, la ragazza ha affermato di “aver perso la memoria”. Tornata in Ucraina, secondo alcuni media, avrebbe presentato denuncia per aver subito “minacce di morte”.

L’Fsb, ricostruita la dinamica dell’omicidio in base ad alcune telecamere di sicurezza, crede che la coppia abbia incrociato “frontalmente” il killer proveniente dalla scalinata che dal parcheggio di fronte alle mura di cinta del Cremlino conducono sul ponte (guarda ricostruzione video). In base a questa dinamica, l’assassino ha camminato verso la coppia, l’ha superata e avrebbe sparato Nemtsov alle spalle coperto da un mezzo della nettezza urbana.

Scena omicidio Boris Nemtsov
Il killer scatta fulmineo verso il bersaglio

Il killer infatti ha agito proprio mentre passava il veicolo cercando di “aggirare” una telecamera di sicurezza utilizzata da un Tv di Mosca come sfondo per le proprie trasmissioni. Questa circostanza fa pensare a un omicidio progettato nei minimi dettagli.

Fonti della polizia citate da Lifenews, la tv vicina ai servizi di sicurezza, avrebbero detto che l’Fsb è sulle tracce di altre persone, ricercate perché sospettate di aver fornito armi  e supporto logistico ai presunti assassini. Nella notte tra sabato e domenica sono stati fermati i cugini e altre due persone sarebbero nel mirino degli investigatori. Le autorità sono risalite ai presunti autori del crimine, analizzando i tabulati telefonici e incrociando i dati del traffico sulle Celle presenti nel centro di Mosca.

Altre fonti, citando l’agenzia russa Interfax, riferiscono la notizia – non confermata – che sarebbero state rinvenute “tracce biologiche” sull’auto dei killer, una berlina color chiaro rintracciata e posta sotto sequestro delle autorità russe. E’ molto probabile che nei momenti concitati nella fuga, il killer abbia lasciato in macchina anche micro tracce di polvere da sparo, facilmente individuabile con la tecnologia moderna.

Il capo dell'Fsb Alexander Bortnikov durante l'annuncio (Gazeta.ru)
Il capo dell’Fsb Alexander Bortnikov durante l’annuncio (Gazeta.ru)

Dopo il fermo dei quattro sospetti, gli inquirenti intendono risalire anche ai mandanti dell’assassinio che potrebbe avere sede fuori dai confini russi, dal momento che anche i compagni stessi di Nemtsov – uomo molto critico nei confronti di Putin – non credono allo zampino del numero uno del Cremlino: “Nessuno ucciderebbe il suo nemico sotto casa sua”, dicono.

Intanto, fa discutere in Russia l’intervista rilasciata il 6 marzo a Gazeta.ru da Alex Sherstobitov, un ex killer professionista condannato dopo una dozzina di omicidi. Per l’ex sicario l’esecuzione dell’agguato a Boris “non era niente di particolarmente sofisticato”, sebbene si tratti di un delitto professionalmente ineccepibile perché il killer, nella sua Makarov, ha usato pallottole di diversi produttori”. E sul possibili motivi ha affermato che non è esclusa “l’origine caucasica”. Forse, dice, i motivi “sono passionali”. La ragazza, secondo Alex, “potrebbe nascondere qualcosa” di inconfessabile. (Update 8-3-2015 11:44)

Renzi vola a Mosca per chiedere aiuto "all'odiato" Putin

Renzi con Putin
Renzi con Putin

Il premier italiano Matteo Renzi cerca sostegno oltre i confini dell’Ue per la questione libica. Si reca a Mosca da Vladimir Putin, “odiato” dagli Usa e da quasi tutto l’establishment di Bruxelles. Una visita che ha avuto molteplici obiettivi tra cui incassare il “sì” della federazione russa alla lotta “comune” contro l’Isis in Libia, l’ammorbidimento delle sanzioni (“reciproche”) dopo la guerra nel sud est dell’Ucraina e, non per ultimo, la questione energetica.

Renzi conosce bene l’importanza strategica dello storico partner commerciale. In Libia la questione “è seria” con il terrorismo islamico che avanza e di fatto influenza le dinamiche in tutto il Medio Oriente. L’embargo imposto da Obama nei confronti di Mosca ha effetti devastanti per l’economia europea perché la Russia è il più importante mercato per tutta la zona euro, Italia compresa.

Poi c’è la questione energetica. Putin ha le mani sui rubinetti del gas e, dal momento che il principale fornitore dell’Italia, la Libia, vive momenti di forte fibrillazione ci vuole molta prudenza a “puntare i piedi”, come vorrebbero gli Usa. “Cautela e dialogo”, sembrano dunque le parole chiavi del premier che cerca quel sostegno che gli Stati uniti hanno fatto mancare all’Europa dopo aver prima provocato la più grave crisi economica che la storia ricordi e in seguito aver imposto “assurde sanzioni” a Mosca, l’unico partner che può garantire “Pil” agli stati membri.

Un mercato dove l’Italia, e non solo, esporta gran parte delle proprie produzioni. Matteo Salvini, che non è uno sprovveduto, ha capito da tempo che l’embargo verso la Russia è un cappio al collo soprattutto per l’economia del Nord Italia. Non a caso si è recato nella capitale russa per “solidarizzare” per l’ingiusto isolamento. Molte aziende, infatti, soprattutto quelle che operano nel manifatturiero e nell’agroalimentare, soffrono e non riescono a piazzare i loro prodotti con conseguenze nefaste per l’economia e l’occupazione.

La Russia, dal canto suo è tranquilla perché se non esporta in Europa lo fa verso i più competitivi mercati asiatici, Cina in testa. Inoltre, Putin è l’unico a garantire affidabilità nella lotta al terrorismo. Il segretario del Pd in soldoni gli ha detto: Ascolta, Vladimir, ci devi dare una mano perché i nostri alleati se ne lavano le mani. Il leader russo ha oltretutto le chiavi dell’energia che serve a tutta l’Ue. Come dire: “Non potete venire da me a piangere ogni qualvolta avete bisogno”. Un messaggio chiaro alla Commissione Ue e un altro al presidente americano: “Sappiate che se vi accanite contro la Russia sarete costretti a rimanere al freddo o a comprare l’energia dai terroristi”. Un po’ quello che è successo con Gheddafi in Libia: tutti lo volevano nell’oltretomba e ora, dopo morto, tutti lo rimpiangono…

In conclusione, da queste scelte “avventate” dell’Occidente, Putin ne esce senza dubbio rafforzato. La politica estera di Obama si è rivelata del tutto fallimentare in Europa e questo “merito” gli è riconosciuto anche dai Democrat made in Usa. I Progressisti europei dal “Yes we can” di questi anni stanno riflettendo su come prendere le dovute distanze non tanto dallo storico alleato atlantico, ma dalla “dannosa” politica estera di Barack. Lo dimostra la visita di Renzi a Mosca, un leader che nella Ue ha il maggior consenso politico tra i socialisti e democratici (S&D). Non è mai troppo tardi: l’importante è rendersi conto dei propri errori e…correre ai ripari.

Boris Nemtsov, ecco la ricostruzione video "reale" dell'agguato

Venerdi sera 28 febbraio, il killer per fare l’agguato a Boris Nemtsov si sarebbe servito della scalinata che dal piazzale antistante le mura del Cremlino portano sul ponte Bolshoi Moskvoretski.

Secondo i media russi, erano le 23.29 quando l’auto con il killer a bordo passa sotto la strada che costeggia la “fortezza” russa. Lì, il complice alla guida “scarica” l’assassino che ha poi lentamente salito le scale per accovacciarsi sull’ultimo gradino in attesa del passaggio della coppia Nemtsov – Duritskaia.

Secondo l’orario mostrato in un primo video (di scarsissima qualità), il killer ha agito tra le 23.31,08 e le 23.31,15 (7 secondi in tutto), per poi darsela a gambe verso l’auto del complice che camminava dietro un mezzo della nettezza urbana automatizzato, uno di quelli dotati di spazzole rotanti per la pulizia delle strade.

Scena omicidio Boris Nemtsov
Il killer attende seduto sulle scale la coppia Nemtsov

Con l’ausilio di Google maps street view, SecondoPianoNews.Com ha ricostruito il possibile percorso dell’assassino con immagini reali riprese da “Big G” di giorno. In coincidenza col passaggio del veicolo l’uomo, probabilmente a viso coperto, è scattato fulmineo verso il bersaglio, l’ha superato e alle spalle ha sparato i proiettili che hanno centrato l’esponente politico.

Boris Nemtsov Uno degli spazzini meccanici in servizio quella sera a Mosca
Uno degli “spazzini” meccanici simile a quello in servizio quella sera a Mosca

Un dettaglio, questo, riferito dalla modella agli instigatori a cui ha detto di “non averlo visto…” e che “è stato colpito alla schiena”. Se corrisponde la ricostruzione fatta dalla tv Lifenews, la ragazza non potrebbe non essersi accorta del “passaggio frontale” del killer, come si nota nel video che vi mostriamo in alto.

Tra il primo gradino delle scale dove era seduto l’assassino e il primo lampione dove sono stati esplosi i colpi sotto i quali Nemtsov è caduto, vi sono quattro, cinque metri. Una distanza che si percorre in qualche secondo…Probabilmente la donna non l’ha visto in faccia, ma se la ricostruzione è verosimilmente questa, l’ha certamente incrociato.

Omicidio Nemtsov, si stringe il cerchio attorno al killer

La Ford del ministero delle finanze russo notata dalle telecamere di sicurezza
La Ford del ministero delle finanze russo notata dalle telecamere di sicurezza vicino al luogo dell’agguato

Il capo dei servizi di sicurezza russi (Fsb), Aleksandr Bortnikov, citato dall’agenzia Tass, ha riferito che sarebbero stati individuati i primi sospetti dell’omicidio di Boris Nemtsov, il leader anti-Putin assassinato venerdì sera davanti le mura di cinta del Cremlino.

Gli investigatori starebbero tenendo sotto osservazione due persone sospettate di avere molto a che fare con l’omicidio sul ponte Bolshoi Moskvoretski.

Secondo altri media, uno dei presunti responsabili potrebbe essere Aslan Alkhanov, militante del “Doku Umarov”, un gruppo fondamentalista ceceno, trovato morto “suicida” – in circostanze tutte da chiarire – in un appartamento di Mosca qualche ora dopo l’agguato a Nemtsov.

Alkhanov, riferiscono alcuni media, sarebbe arrivato da Kiev a Mosca qualche giorno prima del 28 febbraio proprio per uccidere Nemtsov. Sebbene non vi siano conferme, si parla di un “omicidio commissionato da una fazione paramilitare ucraina con l’obiettivo di far ricadere la colpa su Putin”. Nella stanza dov’è stato ritrovato Alkhanov vi sarebbe stato un computer che gli investigatori starebbero esaminando.

All’indomani del funerale di Nemtsov, gli investigatori puntano a chiudere il caso nel più breve tempo possibile. Al vaglio ci sono diverse telecamere di sicurezza sempre attive nel centro della capitale russa.

Oltre al primo video che riprende il killer e spiega la dinamica dell’omicidio, grazie all’ausilio di altre riprese è stato ricostruito il tracciato stradale fatto dall’auto che è sgommata subito dopo aver prelevato il killer.

In una clip trasmessa da LifeNews si vede un’auto di colore  chiaro che attraversa le strade del centro di Mosca per poi scomparire nel nulla.

Da altre telecamere è stata notata un’auto del ministero delle Finanze russo che è passata dal ponte Bolshoi almeno tre volte la sera dell’agguato. Si tratta di una Ford scura (foto in alto). L’uomo che aveva in carico la macchina ministeriale è stato già interrogato dalla Polizia e si sarebbe giustificato che proprio quell’auto (presumibilmente esterna al dicastero) veniva usata da lui come taxi abusivo per arrotondare lo stipendio.

Sempre secondo LifeNews, Nemtsov la mattina del 28 febbraio sarebbe tornato verso la capitale russa dall’aeroporto di Sheremetievo dove era andato a prendere la sua fidanzata Anna Duritskaia, proveniente dall’Ucraina. In questo percorso, l’auto del politico, una Range Rover, sarebbe stata pedinata all’inizio da una Chevrolet e poi da un’altra auto.

L’emittente russa riferisce che Boris sarebbe stato tenuto sotto stretto controllo durante l’arco dell’intera giornata e una volta arrivato ai Grandi Magazzini sulla Piazza Rossa, ha cenato con la compagna e detto al suo autista che sarebbe tornato a piedi.

Intuito questo, per il killer e i suoi complici è tornato tutto più facile. Alle 23.29 – ha riferito LifeNews – un’auto chiara avrebbe fatto un giro sotto l’inizio del ponte, (nella strada sottostante le mura del Cremlino) e un minuto dopo l’uomo sarebbe sceso dalla vettura per nascondersi sulle scale che portano al ponte in attesa del passaggio di Nemtsov, che ha colpito riparandosi dietro il mezzo della nettezza urbana.

Canale di Sicilia, trafficanti di uomini hanno fatto migliaia di vittime

migranti uccisi dal gelo
Fermo immagine di un video della Guardia Costiera

Con l’ennesima strage di migranti di oggi, si allunga l’elenco dei morti nel canale di Sicilia mentre continuano senza soste gli sbarchi dalla Libia verso l’Europa del Sud. I trafficanti di uomini in pochi anni hanno mandato al massacro migliaia di profughi. Quello di oggi è l’ultimo, disperato viaggio della speranza finito in tragedia. Ecco alcuni precedenti.

– 11 febbraio 2015: Sono 330 i migranti uccisi da mare e gelo nel canale di Sicilia.
In un primo momento, il 9 febbraio, si era pensato fossero 29 i morti assiderati. Superstiti hanno raccontato la tragica fine di centinaia di profughi. Si scoprirà che i barconi erano 4 e non due.

– 22 gennaio 2015: Nuova tragedia nel Canale di Sicilia: venti migranti dispersi in mare è il bilancio del naufragio di gommone al largo di Malta con un centinaio di profughi partiti sei giorni prima dall’Africa subsahariana.

– 26 dicembre 2014: Una ondata di sbarchi accompagna il periodo natalizio. A Santo Stefano in Sicilia sbarcano in 1.300. 5 saranno le vittime.

– 5 dicembre 2014: Un gommone naufragato sempre nel Canale di Sicilia causa 18 morti e 76 naufraghi tratti in salvo da Guardia costiera e Marina. Questa strage spinge l’Onu a dire che quella di Frontex “è una risposta insufficiente» e all’Ue che «bisogna fare di più”.

– 19 luglio 2014: Tragedia a largo di Lampedusa. Diciotto profughi muoiono asfissiati nella stiva di un barcone a circa 80 miglia dall’isola.

– 29 giugno 2014: Un barcone con a bordo circa 600 migranti e 45 cadaveri viene soccorso dalla Marina militare.

– 3 ottobre 2013: Al largo delle coste di Lampedusa si consuma una vera e proprio strage: in un naufragio muoiono 366 migranti.

– 30 settembre 2013: Tredici migranti muoiono in uno sbarco sulla spiaggia di Sampieri, a Scicli, nel tentativo di raggiungere la costa. Presi a cinghiate i migranti, tutti uomini, erano stati costretti dagli scafisti a buttarsi in mare. Gli immigrati, circa 200, avevano raggiunto la costa ragusana a bordo di un peschereccio che si è arenato a pochi metri dalla riva.

– 10 agosto 2013: Sei migranti muoiono sulla spiaggia del lungomare della Plaia di Catania, nei pressi del ‘Lido Verde’, annegando, proprio nel tentativo di raggiungere la riva. Sull’imbarcazione arenatasi a circa 15 metri dalla riva, viaggiavano oltre 100 extracomunitari, soccorsi dalle forze dell’ordine e dalla guardia costiera e trasferiti nel porto di Catania per l’identificazione e i soccorsi.

– 11 ottobre 2012: Trentaquattro migranti, tra cui sette bambini e undici donne, sono le vittime di un naufragio a 70 miglia da Lampedusa. Il barcone su cui viaggiano si capovolge mentre i migranti si muovono per farsi notare da un elicottero in ricognizione. Circa 206 migranti vengono invece portati in salvo dalla Marina Militare.

– 1 agosto 2011: Venticinque profughi, tutti uomini e non ancora trentenni, muoiono asfissiati nella stiva di un barcone partito dalle coste libiche verso Lampedusa. I cadaveri vengono scoperti dagli uomini della Guardia costiera una volta terminato il trasbordo degli extracomunitari.

– 19 maggio 2011: Tragedia sfiorata per oltre 400 profughi partiti dalla Libia. A bordo del barcone in legno, a circa 20 miglia dalla costa di Lampedusa, si sviluppa un principio di incendio, spento solo grazie all’intervento di 4 finanzieri saliti a bordo prima di effettuare il trasbordo dei migranti.

– 8 maggio 2011: 527 profughi vengono salvati in extremis a Lampedusa da un barcone incagliato sugli scogli che rischia di capovolgersi, ma tre di loro, tutti giovanissimi, non ce la fanno e muoiono a un passo dal traguardo. I cadaveri vengono recuperati incastrati sotto il barcone a Cala Francese: due immigrati muoiono per annegamento, uno per schiacciamento.

– 6 aprile 2011: Un barcone partito dalla Libia con 300 persone a bordo si ribalta nel canale di Sicilia a causa delle cattive condizioni del mare. A più di 12 ore dalla tragedia sono 51 le persone tratte in salvo mentre i dispersi da quanto emerge dal racconto dei superstiti sono oltre duecento.

– 3 aprile 2011: I corpi di 70 migranti morti probabilmente durante una traversata per raggiungere, forse, le coste italiane vengono recuperati al largo della Libia, nei pressi di Tripoli.

– 30 marzo 2011: Nella notte tra il 29 e il 30 marzo un barcone con a bordo 17 immigrati partiti dalla Libia affonda a largo di Lampedusa. A raccontarlo sono i sei superstiti, secondo cui sarebbero annegati 11 loro compagni durante la navigazione.

– 14 marzo 2011: Nel canale di Sicilia affonda un barcone con a bordo una quarantina di tunisini. Solo cinque di loro riescono a salvarsi, gli unici che sapevano nuotare, salendo su un altro barcone diretto a Lampedusa. A raccontare i particolari del naufragio sono gli stessi superstiti appena sbarcati a Lampedusa. Tre dei naufraghi vengono trasferiti nella Guardia medica. Il natante si sarebbe ribaltato subito dopo la partenza da Zarzis, in Tunisia.

– 4 marzo 2011: Un barcone che trasporta 30 immigrati nordafricani naufraga nel Canale di Sicilia, a circa 40 miglia dalla coste del trapanese tra Marsala e l’isola di Marettimo. I migranti sono soccorsi dal motopesca mazarese Alcapa, ma durante le operazioni di trasbordo quattro di loro finiscono in mare, a causa del maltempo. Due vengono subito recuperati dai marinai del peschereccio mazarese, altri due invece scompaiono tra le onde del mare in tempesta.

– 16 febbraio 2011: Nel canale di Sicilia scompare un barcone di circa 45 metri con a bordo, forse, oltre 200 immigrati che non saranno più ritrovati.

Canale di Sicilia, ancora strage di migranti: 10 morti e 941 persone salve. Salvini: "Renzi e Alfano pericolosi"

(Ansa/Montana Lampo)
(Ansa/Montana Lampo)

E’ di almeno dieci morti il bilancio dell’ennesima strage di migranti nel Canale di Sicilia. Un barcone carico di profughi si è rovesciato probabilmente a causa del peso e del mare grosso. I corpi sono stati recuperati all’equipaggio della nave “Dattilo” della Guardia costiera, che li ha trasportati nel porto di Augusta, nel Siracurano, insieme ad altri 439 extracomunitari.

La Procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta per naufragio e omicidio plurimo colposi. Complessivamente sono stati 941 i migranti salvati solo nella giornata di ieri. La segnalazione è giunta nel pomeriggio alla Centrale Operativa dall’equipaggio del rimorchiatore “Ooc Cougar”, in servizio presso le piattaforme petrolifere libiche. Sul punto, insieme al rimorchiatore impegnato nelle operazioni di salvataggio, la nave Dattilo, con a bordo 318 migranti salvati in una precedente operazione, ha tratto in salvo altre 121 persone e pattugliato la zona con l’obiettivo di ricercare eventuali ulteriori superstiti.

In meno di 24 ore, sono state in totale sette le operazioni di soccorso in una zona di mare a circa 50 miglia a nord della Libia. Oltre alla Dattilo, sono impegnate un mercantile che sta portando 183 persone a Pozzallo. È invece previsto alle 14 l’arrivo a Porto Empedocle, dei 314 migranti a bordo del pattugliatore d’altura Fiorillo. Nelle operazioni sono stati soccorsi cinque gommoni e due barconi carichi di migranti, di sedicente provenienza siriana, palestinese, tunisina, libica e subsahariana. Tra le persone salvate oltre 30 bambini e più di 50 donne, di cui una incinta per la quale si è resa necessaria l’urgente evacuazione medica con una motovedetta della Guardia Costiera di Lampedusa.

Intanto la Commissione europea ha annunciato l’avvio dei lavori su nuova agenda. Quattro le aree individuate da Bruxelles sul lavoro di revisione della propria politica sull’immigrazione e che vanno da un sistema comune per l’asilo, a una nuova politica europea sull’immigrazione regolare, e che comprendono il rafforzamento del contrasto all’immigrazione irregolare e al traffico i esseri umani e del controllo alle frontiere esterne.

(Infophoto) ennesima strage di migranti nel canale di sicilia
(Infophoto)

Nell’esecutivo Ue, ha spiegato il primo vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, “c’è un grande senso di urgenza sul tema dell’immigrazione. A maggio presenteremo una nuova agenda sull’immigrazione”. Sulla gestione dell’immigrazione è intervenuta anche l’Alto rappresentante Ue agli Affari esteri, Federica Mogherini. La risposta “che deve dare l’Europa è quella del lungo termine.

Bisogna -ha detto- risolvere la crisi in Siria e affrontare la situazione nell’Africa del Nord. Occorre costruire un’autorità statale in Libia che abbia il controllo del territorio e delle frontiere, di terra e in mare”. Mogherini ha inoltre sottolineato che il tema delle politiche migratorie dell’Unione sarà in agenda del prossimo consiglio Ue esteri, “perché tragedie come quella della scorsa notte non si ripetano più”.

Anche la Chiesa fa sentire la sua voce attraverso autorità ecclesiali. “Una nuova tragedia, anche questa annunciata, da quando abbiamo abbandonato l’operazione Mare Nostrum che non si fermava semplicemente al semplice controllo delle frontiere ma che cercava di accompagnare ogni migrante verso un luogo di sicurezza”. E’ il commento rilasciato all’Adnkronos da Monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della fondazione Migrantes. “Dobbiamo capire – prosegue – come l’operazione Mare Nostrum possa essere ripristinata con un coinvolgimento dell’Europa e divenire uno strumento di sicurezza in un momento in cui al di là del Mediterraneo asistiamo a fatti di terrorismo”.

“La sicurezza nasce solo da strumenti che possono fare del Mediterraneo il nostro mare e non quello dei terroristi e di chi sfrutta i migranti. Occorre un’importante processo politico internazionale per riportare una situazione di stabilità e democrazia nei paesi critici. Nell’attesa -conclude- credo che l’unico aspetto certo sia la necessità di salvare persone e di tutelare i diritti dei migranti”.

Per il segretario della Lega, Matteo Salvini ci sono precise responsabilità. “Altri 10 morti e 900 clandestini pronti a sbarcare. A Roma e a Bruxelles ci sono tasche piene e mani sporche di sangue. Stop alle partenze, stop alle morti, stop invasione! Renzi e Alfano, siete pericolosi per gli italiani e per gli immigrati”, sostiene il leader del Carroccio.

L’Antimafia vista da Bolzoni per Repubblica: cosi “docile e oscurantista”

 antimafia
Uno striscione di “stimolo” per l’Antimafia

Attilio Bolzoni per La Repubblica

Da quando esiste – una cinquantina d’anni ufficialmente – non è mai stata così ubbidiente, cerimoniosa e attratta dal potere. Più attenta all’estetica che all’etica, l’Antimafia sta attraversando la sua epoca più oscurantista. Proclami, icone, pennacchi, commemorazioni solenni e tanti, tanti soldi. C’è un’Antimafia finta che fa solo affari e poi c’è anche un’Antimafia ammaestrata.

Ne è passato di tempo dalle uccisioni di Falcone e Borsellino e il movimento, che era nato subito dopo l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa e che aveva trovato nuova forza dopo le stragi del 1992, sopravvive fra liturgie, litanie e un fiume di denaro. Tutto ciò che conquista lo status di antimafia «certificata» si trasforma in milioni o in decine di milioni di euro, in finanziamenti considerevoli a federazioni antiracket, in contributi per «vivere la neve» (naturalmente con legalità), in uno spargimento di risorse economiche senza precedenti e nel più assoluto arbitrio.

È un’Antimafia sottomessa. Soggetta all’altrui benevolenza e alla concessione di un generoso Pon (Programma operativo nazionale Sicurezza e Sviluppo, ministero dell’Interno) o di somme altrettanto munificamente elargite dalla Pubblica Istruzione, la sua conservazione o la sua estinzione è decisa sempre in altro luogo. Così il futuro di un circolo intitolato a un poliziotto ucciso o a un bambino vittima del crimine, di uno “sportello” anti-usura, di un “Osservatorio” sui Casalesi o sui Corleonesi, di un Museo della ‘Ndrangheta, è sempre appeso a un filo e a un “canale” che porta a Roma. C’è chi chiede e chi offre. Il patto non scritto è non disturbare mai il potente del momento. Addomesticata, l’Antimafia è diventata docile e malleabile.

È un’inclinazione che naturalmente non coinvolge tutte le associazioni (anche se, in più di un’occasione, lo stesso don Ciotti ha strigliato i suoi per una certa inadeguatezza di conoscenza e un conformismo che si è diffuso dentro Libera), ma gran parte dell’Antimafia sociale ormai è in perenne posa, immobile, come in un fermo immagine a santificare “eroi” e a preoccuparsi di non restare mai con le tasche vuote.

È un’Antimafia consociativa. Dipendente da quella governativa che presenzia pomposamente agli anniversari di morte, che organizza convegni alla memoria, che firma convenzioni e protocolli con gli amici che sceglie a suo piacimento sui territori. A parte il caso estremo del presidente di Sicindustria Antonello Montante – indagato per concorso esterno, a capo di una consorteria che ha occupato ogni luogo decisionale della Regione, comprese quelle camere di commercio siciliane dove è stato appena arrestato il suo vice Roberto Helg per una tangente di 100mila euro – e a parte gli inevitabili approfittatori o i saltimbanchi che girano l’Italia come al seguito di un circo, la questione che stiamo dibattendo è molto più seria e profonda proprio perché è quasi l’intero movimento antimafia che si è svilito.

Attilio Bolzoni
Il giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni

In questo clima felpato e silenziato anche il fronte giudiziario ha perso molte delle sue energie. Se si escludono singoli magistrati, anche capi degli uffici – a Roma, Reggio Calabria, in Sicilia, a Milano, a Bologna – in troppi guardano molto al passato e poco al presente, alla faccia nuova del crimine. C’è difficoltà nell’intercettare le evoluzioni del fenomeno e nell’analisi.

Qualche giorno fa, la relazione annuale (periodo dal 1 luglio 2013 al 30 giugno 2014) del procuratore nazionale Franco Roberti non ha offerto un solo spunto originale, fra 727 pagine neanche qualche riga dedicata al mutamento dei rapporti delle mafie con la politica e con i poteri economici sospetti. Una relazione innocua. Unico «scatto» il riferimento ai silenzi della Chiesa (dimenticando gli effetti clamorosi nelle diocesi dopo il viaggio di Papa Francesco in Calabria dell’anno scorso) che ha provocato la reazione di Nunzio Galantino, il segretario della Conferenza Episcopale Italiana: «Procuratore, questa volta ha toppato».

È un’Antimafia sempre più cauta. Soprattutto quando si avvicina dalle parti del Viminale. Dopo Claudio Scajola (arrestato per concorso esterno) e dopo Annamaria Cancellieri (in rapporto trentennale intenso con una delle famiglie di più cattiva reputazione del capitalismo italiano) è arrivato dalla Sicilia Angelino Alfano. È uno di quelli che insieme al suo grande amico Totò Cuffaro (arrestato per mafia) rivendicò a Palermo la paternità dello slogan «la mafia fa schifo».

È sempre stato legatissimo al Cavaliere Silvio Berlusconi (sotto sospetto permanente di legami con Cosa Nostra attraverso Marcello Dell’Utri) fin da quando è entrato in Parlamento. È lui che qualche settimana fa ha ancora fortissimamente voluto Antonello Montante (indagato per mafia) all’Agenzia nazionale per i beni confiscati. La domanda rischia di scivolare nella banalità: come si combina la tanto sbandierata (e crediamo sincera) fede antimafia del ministro Alfano con quei rapporti politici e personali così stretti, con un’intimità così spinta verso personaggi che a svariato titolo e nelle più diverse situazioni non hanno certo titolo per vantare titoli antimafia realisticamente cristallini (Cuffaro e Berlusconi) o ricoprire incarichi istituzionali (Montante)? Ministro Alfano, non basta dire «la mafia fa schifo».

L’Antimafia ormai è materia sfuggente o addirittura materia d’indagine, come dimostrano negli ultimi giorni e negli ultimi mesi i “paladini” finiti in carcere o invischiati in losche faccende. Come fa a non saperlo anche Alfano che nell’ottobre del 2013 ha voluto portare a Caltanissetta – la città dove Montante ha il suo quartiere generale – il comitato nazionale di ordine pubblico e sicurezza? In Sicilia non accadeva dai giorni delle stragi Falcone e Borsellino. Cosa è avvenuto, nel centro Sicilia, di così straordinario o di così drammatico per far arrivare capo della polizia, comandanti di Arma e Finanza, i direttori dei servizi di sicurezza?

Nulla, assolutamente nulla. Ma anche lì, a Caltanissetta, serviva un bollo, uno di quei “certificati” per dichiarare quella città capitale dell’Antimafia. “Zona franca per la legalità” d’altronde l’aveva già battezzata il governatore Raffaele Lombardo, uno condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi per reati di mafia. Ecco perché, fra tanti travestimenti e ambiguità o semplici equivoci, forse è arrivato il momento di una riflessione su cos’è l’Antimafia e dove sta andando.

10 anni fa veniva ucciso in Iraq l'agente del Sismi Nicola Calipari

Nicola Calipari
Nicola Calipari

Dieci anni fa, il 4 marzo 2005, moriva Nicola Calipari, l’agente del Sismi che stava riportando a casa Giuliana Sgrena, la cronista del “Manifesto” rapita in Iraq dagli jihiadisti. L’Aula della Camera lo ha ricordato questa mattina mentre a Reggio Calabria si è tenuta una cerimonia di commemorazione in suo onore.

Calipari stava viaggiando con la giornalista su un’auto verso l’aeroporto di Baghdad dal quale devono partire per tornare in Italia. L’auto a pochi metri da un posto di blocco statunitense viene crivellata di colpi dal ‘fuoco amico’ Usa. Calipari fa scudo alla Sgrena, che viene ferita, e viene ucciso da un colpo che lo raggiunge alla testa. Gli americani stanno presidiando quella strada dalla quale deve passare l’ambasciatore Usa in Iraq.

Il soldato americano che ha sparato con una mitragliatrice alla Toyota sulla quale stavano viaggiando Sgrena e Calipari, Mario Lozano, dopo la richiesta di rivio a giudizio viene prosciolto dalla Corte d’Assise che  non può procedere per difetto di giurisdizione perchè le forze multinazionali in Iraq ricadono sotto la giurisdizione penale esclusiva dei rispettivi paesi d’invio.

Giuliana Sgrena
Giuliana Sgrena all’arrivo in Italia

Il ricordo della Camera – “Ricordare la figura di Nicola Calipari non è un atto formale e rituale” ma vuol dire “rendere omaggio a una figura che non ha esitato a sacrificare la propria vita” e avere “un’occasione per riflettere sulle drammatiche conseguenze dei conflitti armati, sulla ferocia del fanatismo e sulla necessità di contrapporre armi fondamentali come la democrazia, la solidarietà e la pacifica convivenza fra i popoli”. Lo dice la presidente di Montecitorio in Aula alla Camera in occasione dei dieci anni dalla morte del dirigente della Polizia ucciso a Bagdad mentre stava riportando in Italia la giornalista Giuliana Sgrena. L’Aula di Montecitorio ha risposto con un lungo applauso.

Cerimonia a Reggio Calabria – Si è svolta nella questura di Reggio Calabria una cerimonia per il decennale della morte di Nicola Calipari, il dirigente della Polizia di Stato ucciso nel 2005 a Bagdad mentre stava riportando in Italia la giornalista Giuliana Sgrena liberata dopo il suo rapimento. Alla cerimonia hanno partecipato dirigenti e dei funzionari della questura di Reggio Calabria ed una delegazione dell’Anps.

Durante la commemorazione si è tenuto un breve momento di preghiera e di raccoglimento con la partecipazione del Cappellano della Questura don Pasqualino Catanese, seguito dalla deposizione di fiori presso il monumento ai Caduti della Polizia di Stato.

L’iniziativa è stata fortemente voluta dal Questore Raffaele Grassi che ha conosciuto personalmente Nicola Calipari essendo stati entrambi colleghi presso il Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale della Polizia Criminale. A Reggio Calabria, inoltre, nel 2005 è stata intitolata la sala riunioni della Questura. Il Questore Grassi ha ricordato il collega come un uomo che credeva fortemente nello Stato e che serviva con dedizione e passione le istituzioni per garantire la libertà e la sicurezza ai cittadini.

Turismo, Sib: Ue può mettere a rischio economia balneare: 87mila imprese per 500mila occupati

Riccardo Borgo Sib
Il presidente del Sib Riccardo Borgo

La burocrazia europa può mettere a rischio l’economia balneare che conta oggi in Italia circa 87 mila imprese, 418 mila occupati, consumi per 24 miliardi di euro e un valore aggiunto di 14 miliardi di euro. E’ quanto emerso in un convegno (“la certezza dell’impresa per il sistema balneare italiano”) organizzato dal Sindacato Italiano Balneari (Sib) aderente a Fipe-Confcommercio.

Riccardo Borgo, presidente dell’associazione che raccoglie circa 10.000 imprese balneari, lancia l’allarme: “L’offerta dei servizi di spiaggia in Italia nasce da lontano, ma oggi rischia di non avere più un futuro”.

“Questo sistema turistico balneare italiano oggi – continua Riccardo Borgo – va difeso con forza perché i rinnovi delle concessioni demaniali esistenti con procedure di evidenza pubblica, così come ci imporrebbe l’Europa, avrebbero come conseguenza la fine dell’attuale concezione di “fare impresa”, senza alcun beneficio per l’economia e soprattutto per il nostro turismo”.

Le presenze in spiaggia degli italiani – secondo i calcoli del Sib – in 6 anni sono crollate del 41%: dai 241.759.000 del 2008 ai 140.612.000 dello scorso anno. Ma il mare si conferma la prima destinazione turistica italiana con il 30% delle presenze complessive ed un trend in costante crescita per il turismo straniero (+13% dal 2008).

“Rammentiamo che la nostra categoria oltre al pagamento di un canone concessorio pari a circa 120 milioni di euro – prosegue Riccardo Borgo – fornisce una serie di servizi di carattere pubblico che ci impegnano a una spesa, solo per il 2014, che può essere stimata in 190 milioni di euro per il salvamento e in 450 milioni di euro per la manutenzione dell’arenile”

Il presidente del Sib chiede al governo quattro cose per rilanciare l’economia balneare:

1)  una durata più lunga delle concessioni demaniali marittime, (minimo 30 anni), da applicare, in ossequio ai principi costituzionali di eguaglianza e parità di trattamento, anche alle imprese attualmente operanti, al fine di salvaguardare la peculiare caratteristica di gestione familiare della balneazione italiana attraverso la preminenza del fattore ‘lavoro’ su quello del ‘capitale investito’;

2) l’alienazione con diritto di opzione in favore dei concessionari delle porzioni di demanio marittimo che, da tempo, hanno perso le caratteriste della demanialità e della destinazione ai pubblici usi del mare;

3) il riconoscimento del ‘valore commerciale’ dell’azienda balneare da trasformarsi in ristoro a favore del concessionario nel caso di cessione coattiva in favore di terzi;

4) la modifica dei criteri di determinazione dei canoni demaniali marittimi ex art 1, comma 251, legge 27 dicembre 2006, n. 296 che li renda ragionevoli, equi e sostenibili (oggi circa 200 aziende, non essendo in grado di pagare le spropositate cifre richieste, rischiano la decadenza del titolo concessorio).

“Siamo convinti che il Governo vorrà e saprà difendere le 30.000 imprese balneari italiane – spiega Riccardo Borgo – dal momento che è ben consapevole delle possibili gravissime conseguenze alle quali andrebbe incontro il turismo italiano, soprattutto in tema di qualità dei servizi, immagine ed occupazione.

Ma non c’è più tempo: gli imprenditori balneari sono già al lavoro perché tra poco più di un mese inizia la stagione turistica 2015 e molti, troppi, non conoscono ancora oggi quale sarà il proprio destino e quello delle loro famiglie.

Non sanno, cioè, se il prossimo anno potranno ancora aprire lo stabilimento balneare, potendo contare su un lavoro, oppure dovranno abbandonare tutto e ricominciare da capo, (a 50, 60 o 70 anni), perché il proprio Stato non li ha voluti o potuti tutelare e si è ripreso un “bene”, la spiaggia, concessa “nuda e cruda” molti anni fa, sulla quale è stato costruito il “fiore all’occhiello” dell’offerta turistica italiana con un contributo fatto di duro lavoro, di sacrifici, di investimenti, di vera passione, spesso, da parte di generazioni di persone”, ha concluso il presidente del Sib.

Campania, il caso De Luca spiegato dal Costituzionalista Pertici

Stefano Caldoro e Vncenzo De Luca
Stefano Caldoro e Vncenzo De Luca

Andrea Pertici* per il Blog di Pippo Civati

Le elezioni primarie per la candidatura a presidente della Regione Campania per il Pd e i suoi alleati sono state vinte da Vincenzo De Luca, che, da sindaco di Salerno, era stato condannato in primo grado a un anno di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici, con pena sospesa, per abuso di ufficio nell’ambito della procedura per la realizzazione di un termovalorizzatore, come ampiamente documentato dagli organi di informazione.

A seguito della condanna (di primo grado, e quindi non definitiva), ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 235 del 2012, il sindaco di Salerno era stato sospeso dalla carica. Infatti, secondo la normativa prevista dalla “Severino”, mentre una sentenza non definitiva dà luogo a una conseguenza (che non è una sanzione) come l’incandidabilità, la condanna in via non definitiva determina la sospensione.

E ciò in virtù del principio di presunzione di non colpevolezza previsto dalla Costituzione, secondo quanto ribadito anche dalla Corte costituzionale in relazione alle cause di incandidabilità previste sin dalla legge n. 55 del 1990 (sentenza n. 141 del 1996). In ogni caso, il provvedimento prefettizio di sospensione era stato immediatamente impugnato dall’interessato al TAR Campania, che, in viacautelare, ha reintegrato il sindaco nella sua carica (come già era avvenuto per il sindaco di Napoli De Magistris), investendo la Corte costituzionale della questione di costituzionalità della norma.

Andrea Pertici
L’esperto di Diritto Andrea Pertici (Twitter)

La decisione finale, in questo giudizio – come di quello di de Magistris (anch’egli sospeso dalla carica di sindaco di Napoli e reintegrato in via cautelare) – dipende soprattutto da ciò che stabilirà la Corte costituzionale.
È da precisare che, nel frattempo, il 3 febbraio, la Corte d’Appello di Salerno ha fatto in ogni caso decadere De Luca da sindaco per incompatibilità tra questa carica e quella di viceministro delle Infrastrutture ricoperta durante il governo Letta. Ma De Luca è rimasto in pista: vinte le primarie, sarà candidato alla presidenza della Regione Campania contro Stefano Caldoro (esattamente come cinque anni fa).

De Luca si potrà candidare perché la legge – come abbiamo cercato di spiegare poco sopra – non prevede la incandidabilità di coloro che sono stati condannati in via non definitiva (si veda l’articolo 7 del decreto legislativo 235). Per questi, se sono in carica, è prevista, però, la sospensione dalla stessa, in attesa della pronuncia definitiva.

La conseguenza è che De Luca parteciperà alle elezioni, ma, una volta eletto (non solo alla presidenza, ma anche come semplice consigliere, ove fosse Caldoro a prevalere come cinque anni fa), in forza dell’art. 8 del decreto legislativo 235 del 2012, dovrà essere sospeso dalla carica. Potrà fare ancora una volta ricorso al TAR – come del resto ha già annunciato– che magari adotterà ancora una decisione di reintegra, rimettendo alla Corte costituzionale – presumibilmente – questione di legittimità costituzionale anche delle norme sulla sospensione dei rappresentanti regionali (dopo avere rimesso quella degli amministratori locali).

A meno che non intervenga nel frattempo la decisione della questione sollevata nel caso De Magistris o in quello dello stesso De Luca come sindaco, che potrebbe risolvere (direttamente o indirettamente, ci limitiamo a dire per non entrare troppo nel tecnico) anche la questione per le cariche regionali.
La questione è aperta alla soluzione della giurisprudenza. Ma qualcuno invoca una soluzione legislativa, sempre poco opportuna quando rischia anche solo di dare l’impressione di essere stata adottata per risolvere un caso specifico. È il caso – assai noto nell’Italia degli ultimi anni – delle leggi ad personam. Che spereremmo di non vedere più.

* Avvocato e Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Pisa

Mattarella a Bruxelles: "Profughi problema di tutta l'Ue"

Sergio Mattarella con Martin Shultz (Ansa/Quirinale)
Sergio Mattarella con Martin Shultz (Ansa/Quirinale)

“Il problema dei profughi è drammatico e interpella tutta l’Unione europea”. Lo ha detto il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel suo primo incontro con l’Ue e con Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo.

Il presidente della Repubblica, ha affrontato con il numero uno di Strasburgo anche il tema della crisi libica, ribadendo che si deve sostenere lo sforzo di Bernardino Leon, l’inviato Onu per la Libia, per un governo di unità nazionale e l’auspicio di “stabilità” in tutta l’area.

“L’Italia è una grande democrazia umanitaria”, ha invece detto Schulz a Mattarella, durante il lungo e cordiale colloquio avuto martedi mattina. Schulz ha affermato che non avrebbe mai potuto immaginare l’enorme sforzo della Marina militare italiana per l’impegno umanitario senza precedenti rappresentato da Mare nostrum.

Mattarella ha discusso anche della Grecia, considerando che “l’ipotesi dell’uscita della Grecia dall’euro non è neppure da prendere in considerazione”. Mattarella ha parlato di “paradosso” per quel che riguarda la considerazione che si ha dell’eurozona: uno dei più grandi risultati dell’Unione europea viene percepito come un ostacolo e non come un valore.

Sergio Mattarella con Donald Tusk (Epa/Hoslet)
Sergio Mattarella con Donald Tusk (Epa/Hoslet)

Il Parlamento europeo “è cresciuto per compiti e importanza” ma, secondo il presidente della Repubblica, “deve crescere ulteriormente per riconquistare la fiducia dei cittadini europei”. Schulz, dal canto suo, ha concentrato molto della sua attenzione sull’eurozona e sui momenti di crisi vissuti nelle ultime settimane, sottolineando che l’ipotesi dell’uscita della Grecia dall’euro non risolverebbe ma anzi aggraverebbe la situazione.

Il presidente dell’Europarlamento ha infine lodato le riforme di Matteo Renzi. Il governo italiano – ha detto – è coraggioso, non è facile riformare l’Italia in tempi brevi e questo qualche volta a Berlino non si capisce”.

Mattarella a Bruxelles nell'incontro con Schulz (Ansa/Quirinale)
Mattarella a Bruxelles nell’incontro con Schulz (Ansa/Quirinale)

Dopo l’incontro con Shultz, Mattarella ha incontrato tutti gli europarlamentari italiani, come primo appuntamento nella sua giornata a Bruxelles. Un gesto di grande attenzione nei confronti dell’organo elettivo come hanno sottolineato i due vicepresidenti, Antonio Tajani (Fi) e David Sassoli (Pd). Appena giunto nell’area in cui si sta tenendo l’incontro, gli europarlamentari hanno rivolto un applauso al capo dello Stato.

Il capo dello Stato ha incontrato l’Alto rappresentante per la politica esteri Federica Mogherini e il presidente del Consiglio europeo, il polacco Donald Tusk con cui ha pranzato insieme. Nell’agenda del Colle è previsto un incontro a Palazzo Reale con il re Filippo di Belgio. La giornata si è conclusa con un colloquio con il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker.

Aids, ricerca italiana scopre la "tana" cellulare del virus Hiv

Aids, ricerca italiana scopre la "tana" cellulare del virus HivUno dei maggiori ostacoli allo sviluppo di un farmaco che curasse il virus dell’Hiv era, fino ad oggi, il fatto che quando il virus penetra nella cellula da infettare scompare, se ne perdono le tracce. L’efficacia dei farmaci in commercio – poco più di una trentina – si ferma all’ingresso della cellula.

Con il risultato di rallentare l’evoluzione del virus ma non di debellarlo. Ciò che hanno scoperto i ricercatori dell’Icgeb (International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology) di Trieste, coordinato dal genetista Mauro Giacca, è la “tana” del virus. Era insomma un enigma la ragione per la quale il virus sceglie soltanto alcuni dei 20mila geni umani per integrarsi e, soprattutto, come riesce all’interno di questi geni a nascondersi.

Fotografando la struttura del nucleo delle cellule infettate, il team di ricercatori ha scoperto che il virus integra il proprio Dna vicino al guscio esterno che delimita il nucleo, in corrispondenza alle strutture del polo nucleare. Quello stesso polo attraverso il quale ha avuto accesso all’interno.

La scoperta italiana mostra come sia proprio l’architettura del nucleo dei linfociti e le zone che il virus sceglie per localizzarsi a favorirne il mascheramento e a impedire quindi ai farmaci di incidere e sconfiggere definitivamente la malattia. Non è un caso se dall’inizio degli anni ’80, quando l’epidemia di AIDS cominciò a dilagare, quasi 80 milioni di persone siano state infettate dal virus (stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) e di queste nemmeno una sia guarita debellando il virus.

Da subito gli scienziati avevano compreso che il virus si nascondeva ma nessuno era mai riuscito a spiegare dove finisse e quale fosse il meccanismo che regolava questo fenomeno. La ricerca ha un rilievo enorme perché spiana la strada allo sviluppo di farmaci che potranno essere più efficaci, con un bersaglio più preciso da colpire. E, Aids, ricerca italiana scopre la "tana" cellulare del virus Hivovviamente, i conseguenti aspetti commerciali, non certo secondari.

La scoperta è stata pubblicata sul sito di “Nature”, la principale rivista scientifica internazionale, ed è il frutto del lavoro dei ricercatori dell’Icgeb, in collaborazione con Dipartimento Medicina dell’Università di Trieste, Università di Modena e Genethon di Parigi.

L’Icgeb, centro mondiale di eccellenza per la ricerca nelle scienze della vita, è un’organizzazione internazionale delle Nazioni Unite che opera dal 1987 a Trieste, con sedi a New Delhi (India) e a Cape Town (Sudafrica). Il Centro, diretto da Mauro Giacca, è sostenuto da più si 60 Paesi e sviluppa attività di ricerca e formazione di eccellenza nel campo della ricerca molecolare e delle biotecnologie.

Sesso, un italiano su 3 nasconde al partner le proprie "fantasie erotiche"

sogni erotici maschili - fantasie eroticheSogni e fantasie bollenti, celati per pudore e paura. Un italiano su tre spesso ha fantasie erotiche, ma non ne parla con il proprio partner per il timore che il rapporto possa cambiare. E quando si trova il coraggio di raccontare le proprie fantasie, a farlo sono soprattutto gli uomini. Sono i risultati di un sondaggio dell’Eurodap, Associazione europea disturbi da attacchi di panico, eseguito su un campione di 500 persone tra i 30 e i 55 anni, e descritto all’Adnkronos Salute.

“Delle 500 persone che abbiamo coinvolto nel sondaggio tutte hanno avuto almeno una volta una fantasia erotica, ma nella maggior parte dei casi non l’hanno mai rivelata al partner – afferma Paola Vinciguerra, psicologa, psicoterapeuta, presidente Eurodap – Il dato importante che dà lo spunto ad una serie di riflessioni è che un intervistato su tre, sia tra gli uomini sia tra le donne, ha spesso fantasie erotiche, ma in generale ne parla raramente con il partner”.

Risultato? Silenzi, incomprensioni, malumori. Oggi la coppia “è in crisi per una serie di motivi, e lo è anche la sfera sessuale – spiega l’esperta – Ma la buona notizia è che un grande aiuto per questa parte della vita appiattita dalla routine, dalla monotonia, dallo stress, dal cambio velocissimo nel modo di comunicare tra le persone con l’uso sfrenato e alienante di smartphone e di tablet al primo posto, sono proprio le fantasie erotiche”.

Queste fantasticherie “non devono ritenersi pericolose e non bisogna avere paura di parlarne al proprio partner. Sono, anzi, un mezzo per conoscere meglio il proprio immaginario e se stessi, e per farsi conoscere. E’ però importante che le nostre fantasie erotiche vengano prima accettate e comprese da noi stessi, per poi condividerle anche con i nostri partner”. Ecco perché, in questo periodo in cui al botteghino trionfano le ‘Cinquanta sfumature di grigio’, l’esperta suggerisce una serata al cinema.

“Cinquanta sfumature di grigio” andrebbe visto soprattutto da quelle coppie che si sono un po’ addormentate dal punto di vista sessuale – afferma Vinciguerra, anche direttore della Clinica dello stress – Nel film la componente erotica è fortissima e può essere lo spunto per parlare della propria situazione di coppia rispetto al sesso. Non bisogna avere paura di parlare e comunicare al proprio partner un desiderio sessuale. La comunicazione e la condivisione sono importantissime”.

Secondo l’esperta “bisogna fantasticare, perché anche le fantasie erotiche stimolano l’emotività. Abbiamo così modo di sperimentare emozioni. Esplorare sensazioni, pulsioni e desideri. Il tutto per sconfiggere la routine e la linea piatta sul versante sesso che spesso si stabilisce in un rapporto di coppia”. E rischia di farla addormentare.

Salvini: "Ue peggio del fascismo. Usano lo spread al posto del ricino"

Matteo Salvini
Matteo Salvini

“A Bruxelles c’è ben di peggio di Mussolini, non hanno camicia nera o olio di ricino ma hanno spread e finanza, fanno peggio del fascismo”. Lo ha detto l’europarlamentare e leader della Lega, Matteo Salvini, parlando a Radio Padania.

Salvini ieri intervenendo da Vespa a Porta a Porta ha ribadito che un accordo con Forza Italia alle prossime elezioni regionali dipende da “programmi e progetti politici”. E a Canale 5 oggi rilancia: “Non vogliamo frittate o stare con chi toglie sangue alle regioni”. Salvini esclude, al momento alleanze con l’Ncd di Angelino Alfano: “Non mi alleo con chi sta con Renzi”, anche se, ieri sera, nel salotto di Bruno Vespa i toni con il ministro Ncd Maurizio Lupi sono stati abbastanza morbidi, lasciando intravedere qualche spiraglio di intesa.

A tentare di portare Salvini alla “ragionevolezza”, l’ex ministro di Fi Mara Carfagna che ha sottolineato “l’unità” del centrodestra quale elemento per battere il Pd di Renzi. Su un’alleanza con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni Salvini ha ribadito come “su molte cose” la pensano come la Lega. Meloni e lo stato maggiore di Fdi erano sabato alla manifestazione leghista di piazza del Popolo a Roma.

Per il governatore della Lombardia Roberto Maroni, il Consiglio federale “non ha chiuso la porta” all’alleanza con Fi alle Regionali e ha dato “pieno mandato” a Salvini per discuterne.

Quanto alle tensioni interne in Veneto, Salvini si augura che Flavio Tosi resti nel partito perché “chiunque esce dalla Lega poi non va da nessuna parte”. Il riferimento è alla prova di forza andata in onda ieri al Consiglio federale in via Bellerio dove il segretario del Carroccio ha candidato ufficialmente Luca Zaia e commissariato la Liga in Veneto che era presieduta dal dissidente. “Tosi – ha detto Salvini a Porta a Porta – è un ottimo sindaco, ha cambiato Verona in meglio e nella Lega che immagino io ci sarà spazio per persone in gamba come lui”.

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