7 Ottobre 2024

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Tangenti Grandi Opere, il ministro Lupi: "Mi dimetto"

Maurizio Lupi a Porta a Porta annuncia le dimissioni
Maurizio Lupi a Porta a Porta annuncia le dimissioni

Il ministro alle Infrastrutture, Maurizio Lupi si dimette sabato dopo l’informativa in Parlamento. La decisone è arrivata giovedi dopo un incontro a palazzo Chigi tra il premier Matteo Renzi, il ministro dell’Interno e leader di Ncd Angelino Alfano e lo stesso ministro.  “Per me la politica – spiega da Vespa, a Porta a Porta – non è un mestiere ma passione. E’ poter servire il proprio Stato. Non ho perso né l’onore né la passione”.

A convincerlo a fare un passo indietro, (Lupi sostiene di no) sarebbe stato il presidente del Consiglio d’intesa con Alfano dopo il faccia a faccia di oggi, ma soprattutto dopo le pressioni giunte da largo del Nazareno sia da minoranza dem che da ambienti vicini al premier, tra cui Delrio, Guerini, Orfini e altri che avevano espresso forti perplessità dopo che Lupi si era per così dire, “autoblindato”.

Lupi, seppure non indagato, è ampiamente citato in molte pagine dell’ordinanza della procura di Firenze sulla presunta cupola tangentista dei grandi appalti; “organizzazione criminale corruttiva”, ha scritto il gip, con a capo Ercole Incalza, il super manager che ha gestito il settore grandi opere tra la prima e seconda repubblica e passato indenne da 12 processi penali per presunti illeciti sulle grandi opere.

Matteo Renzi, sullo sfondo Maurizio Lupi (Ansa)
Matteo Renzi, sullo sfondo Maurizio Lupi (Ansa)

Il ministro delle infrastrutture è stato spinto a lasciare dopo le intercettazioni da cui sono emersi intrecci imbarazzanti tra i quattro finiti in manette, lui e il figlio Luca. Un ruolo “eticamente discutibile”, rimproverano ambienti Pd, che ha “messo in seria difficoltà” il partito e la maggioranza di governo.

Con le dimissioni di Lupi, il premier Matteo Renzi ha risparmiato la “gogna” della mozione di sfiducia presentata in parlamento dal Movimento 5 Stelle e da Sinistra ecologia e Libertà e che doveva discutersi martedi prossimo.

IL RESTROSCENA

Un provvedimento, quello delle opposizioni, che avrebbe certamente minato la già fragile unità interna, ovvero favorito l’assalto alla diligenza da parte della minoranza capeggiata da Bersani, Cuperlo e Civati che dopo le prime intercettazioni sul ministro avevano eretto barricate. Le persone più vicine al premier hanno pressato per un epilogo del genere, con un passaggio obbligato, però, con Angelino Alfano che, secondo quanto si apprende, avrebbe non solo espresso il suo disappunto (ricordando i casi di Poletti e dei sottosegretari Pd inquisiti) ma anche inteso “trattare” la successione di Lupi.

Il ministro dell’Interno, che per gli stessi motivi aveva già perso per strada Nunzia De Girolamo (ministro con il governo Letta, “dimessa” dopo l’inchiesta degli appalti all’Asp di Benevento) e il senatore Antonio Gentile (sottosegretario di Lupi per due giorni “dimesso” dopo il caso Oragate), ha fatto intendere di non accettare ulteriori “lasciti”. Perché, come dirà Lupi a Porta a Porta, non si può “indebolire” il governo facendolo diventare un “monocolore Pd“. Con ogni probabilità il ministero attenzionato dai pm andrà ad interim a Renzi e sotto il diretto controllo dei renziani.

Al Nuovo centrodestra, potrebbe tornare una postazione di governo (Gaetano Quagliariello?) in un altro dicastero, tenuto conto, nel prossimo imminente rimpasto anche della vacatio agli Affari regionali della “dimissionata” ministra Lanzetta. Per dire, è il ragionamento dei centristi, che “possiamo pure cambiare l’ordine degli addendi, purché il risultato non cambi” in termini di equilibri politici e soprattutto di poltrone. 

Pare che oggi, durante il faccia a faccia tra i tre, siano volate anche parole “sanguigne” a questo proposito. Il premier pare comunque orientato a erodere il “terreno” sotto i piedi di Alfano che, maligna più di qualcuno nel Pd, “ha tre importanti ministeri con una forza modesta che a livello nazionale esprime il 2 percento o poco più”. Per il dimissionario Maurizio Lupi potrebbe aprirsi la strada di capogruppo alla Camera di Ap.

Il ministro definisce le dimissioni “la decisione migliore” anche perché “ho fatto insieme a Renzi una legge che si chiama Sblocca Italia” non “è possibile continuare il proprio mestiere”, in presenza di ombre e sospetti.

“Credo che forse un mio gesto – che non vuol dire ritirarmi alla politica, perché non c’è bisogno di una poltrona per fare politica – questa mia decisione rafforzerà l’azione del governo”, ha spiegato il ministro Maurizio Lupi a “Porta a porta”. “Renzi mi ha detto: “io non ti ho mai chiesto né chiederò le tue dimissioni perché non posso chiederle, dico che è una tua decisione”. Lo ripeto: né il segretario del Pd, né il presidente del Consiglio mi hanno chiesto le dimissioni”.

Dopo questa vicenda, ha spiegato il ministro, “devo ringraziare anche il mio partito. Tutto il mio partito mi ha detto che non devo dimettermi perché non c’è ragione”.  Ncd, a cominciare dal ministro dell’Interno a finire a Schifani e Sacconi aveva fatto quadrato attorno al cofondatore.

Nell’annunciare le dimissioni di sabato dopo che riferirà in Parlamento, Lupi “avverte” quanti in questi giorni hanno messo sulla graticola il figlio sia per le “regalie” che per la “sistemazione lavorativa”: Spiega Lupi “Porta a porta”: “Attaccate me ma lasciate stare mio figlio. Mio figlio è stato mandato dal politecnico di Milano a fare sei mesi di tesi e di stage a tremila dollari al mese e per sei mesi lavora presso uno studio di San Francisco”.

Dalle intercettazioni, secondo i pm, emerge l’opposto, ma l’esponente politico insiste sulla sua versione di non essersi mai rivolto al super manager: “Ma perché dovrei chiedere a Incalza di fare pressioni su Perotti per raccomandare mio figlio se avrei potuto chiamarlo direttamente?”.

“La cosa migliore – aggiunge – è che io mi assuma tutte le mie responsabilità, ma salvaguardi la mia famiglia. Credo che sia interesse di Matteo Renzi non indebolire la coalizione, non dare l’impressione e la ragione politica di indebolire questo governo che non è un monocolore del Pd. Con Matteo Renzi ci siamo dati appuntamento per domani quando rientrerà dal Consiglio Europeo per discutere con me ed Angelino Alfano per discutere come non fermare l’azione del governo”.

Tunisi, l'Isis chiama i Musulmani: "Attaccate turisti occidentali". Aurorità: Arrestate 9 persone

armi dell'Isis
Le armi dell’Isis (Twitter)

“Musulmani, attaccate i turisti occidentali, soprattutto americani, britannici, francesi e israeliani”, in Medio Oriente e altrove. La chiamata alle armi delle milizie dell’Isis contro gli “infedeli” del “West” è stata annunciata attraverso “Ifriqiyah Media”, un gruppo multimediale jiadhista collegato con il battaglione “Uqba bin Nafi” in Tunisia, lo stesso che avrebbe rivendicato l’attacco di ieri al Museo del Bardo a Tunisi bollandolo come una “semplice operazione”. Lo riferisce “Site“, portale di monitoraggio sul terrorismo jiadhista.

A ventiquattro ore dall’assalto di giovedi nella capitale tunisina, le milizie islamiche radicali tornano a farsi vive utilizzando la “strategia del terrore” contro gli Usa, l’Europa e Israele.

il canale jiadistaSecondo quanto riporta il sito, il “Califfato”, mediante il canale mediatico, ha chiamato tutti i musulmani ad attaccare i turisti europei, statunitensi e israeliani dopo il massacro di ieri a Tunisi in cui sono stati trucidati circa 24 turisti (ancora incerto il numero esatto delle vittime) di cui 4 italiani. Sarebbero 13 i feriti. Da quanto è trapelato, alcune persone risulterebbero disperse.

Intanto, le autorità di Tunisi hanno fatto sapere che sono state arrestate 4 persone per il massacro di ieri. Altri 5 “sospetti” sarebbero stati fermati. 

Da quanto è emerso durante le prime indagini, uno dei terroristi che ha compiuto insieme ad altri l’assalto al Museo del Bardo, era già noto all’intelligence tunisina. I funzionari hanno rivelato i nomi delle due persone uccise nel blitz di giovedi. Si tratta di Yassine Laabidi e Hatem Khachnaoui. Al momento, scrive l’emittente araba Al Jazeera, “non si conosce chi dei due fosse conosciuto dai servizi segreti”.

Strage Isis a Tunisi, 24 morti e 50 feriti. Uccisi 4 italiani. Il Califfato festeggia

ostaggi nel museo del bardo a tunisiE’ gravissimo il bilancio dell’attacco terroristico a opera dell’Isis di mercoledi al museo del Bardo a Tunisi. Al momento sono 24 i morti, secondo quanto hanno fatto trapelare le autorità tunisine e almeno una 50ina di feriti. Il ministero degli Esteri italiano, in serata, ha confermato che 4 italiani sono stati uccisi, mentre altri 13 sono rimasti feriti. Ma il bilancio, avvertono dal ministero, “è ancora in evoluzione”, per cui potrebbe essere più grave. Le notizie filtrano con molta lentezza e molto parziali, mentre nel frattempo l’Isis festeggia la strage di innocenti.

Tunisini pregano davanti al cancello del museo
Tunisini pregano davanti al cancello del museo (Ap)

Tra le vittime, al momento si conoscono i nomi di Francesco Caldara, un pensionato 64enne di Novara che era in crociera con la compagna Sonia Reddi e Orazio Conte, un torinese che si trovava in Tunisia con la moglie, Carolian Bottari, (ferita), e altri due dipendenti comunali, Antonella Sesino e Anna Abagnale (che sarebbero disperte). Ignoti per adesso i nominativi degli altri connazionali uccisi dai terroristi islamici.

IL BLITZ DELLE TESTE DI CUOIO TUNISINE

Un blitz delle forze antiterrorismo tunisine ha messo fine dopo un paio d’ore all’assedio, con le immagini rimandate da tutte le tv degli ostaggi che fuggivano terrorizzati e protetti dalle unità speciali. L’Isis ha espresso il suo plauso per l’attacco, ma non una piena rivendicazione.

Due degli attentatori, entrambi di nazionalità tunisina, sono morti, uno sarebbe stato catturato, altri tre membri del commando sarebbero riusciti a fuggire. In serata due sospetti sono stati arrestati. Gli altri morti sono due tunisini, tra cui un agente di polizia, e, oltre agli italiani, anche cittadini polacchi, tedeschi, spagnoli, colombiani. Pare ci siano anche francesi.

LA LIBERAZIONE DEGLI OSTAGGI


La Tunisia sembrava un Paese avviato sulla strada della normalità democratica dopo le elezioni presidenziali e politiche. Cinque uomini armati travestiti da militari hanno assaltato il celebre museo del Bardo, nel cuore di Tunisi, accanto al Parlamento, che forse era il loro obiettivo originario, dal quale sarebbero stati respinti.

Feriti nel massacro a Tunisi vengono portati in ospedale

C’è stata una sparatoria, un assedio con decine di turisti presi in ostaggio – drammatiche le immagini di ragazzi e bambini seduti a terra nel museo twittate dagli stessi ostaggi – e poi si è consumato il folle massacro nei saloni del museo del Bardo.

LE REAZIONI DI ITALIA, FRANCIA E STATI UNITI VISTI DALLE TV ARABE

Al momento dell’attacco, nel luogo della sparatoria erano in circolazione tre bus turistici con i partecipanti alla crociera sulle navi Costa Fascinosa e Msc Splendida. Tra loro, un gruppo di dipendenti del Comune di Torino. Gran parte degli italiani coinvolti – e tutte e quattro le vittime, si è saputo in serata – facevano parte del gruppo appena sbarcato dalla nave Costa.

Attentato Tunisi Il bilancio provvisorio di quattro morti, già drammatico, poteva essere ancora più pesante: la Farnesina ha fatto sapere infatti che durante l’operazione sono stati messi in salvo cento connazionali. “L’Italia non si farà intimorire”, ha assicurato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha parlato di “inaudita violenza”.

Tangenti, Lupi non cede a pressioni. Guerini: “Chiarisca”. Il Gip: “Conti in Svizzera”

Aggiornamento del 21 gennaio 2022: la posizione degli indagati citati nel presente articolo è stata archiviata dal tribunale di Firenze.

Il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi non retrocede di un millimitero rispetto alle pressioni che giungono da più parti nel mondo politico dopo lo scandalo delle presunte tangenti sui grand appalti. Stamane a margine della inaugurazione della fiera “Made Expo”, a Rho, l’esponente politico ha ribadito la sua innocenza.

“Chiederò scusa innanzitutto alla mia famiglia, ai miei amici, alle persone che credono in me e agli italiani se avessi fatto o fosse riscontrato abbia fatto qualsiasi gesto sbagliato e irresponsabile. Ma finché io ritengo di non avere mai fatto tutto ciò, la mia azione è lì. Quando si dimostrerà l’opposto ne prenderò immediatamente atto, perché sarebbe giusto chiedere scusa a tutti”.

Poi spiega che vuole “andare in Parlamento e riferire sulle scelte del ministero”, ha ancora detto: “Devo dare tutte le risposte politiche e individuali e la maggioranza valuterà sulle mie parole”.

Per il leader Ncd e ministro dell’Interno Angelino Alfano, “Maurizio Lupi è una persona perbene e onesta è questo è il punto di partenza. La magistratura ha ritenuto di non indagarlo e questo è un altro punto. Io penso che non essendoci questione giudiziaria, ma alcuni pongono il problema politico, c’è un luogo in cui dire tutto: il Parlamento. E io sono convinto sia giusto accelerare l’informativa in Parlamento”, ha detto Alfano intevenendo sulla questione.

“Lui è prontissimo – ha aggiunto – a informare il Parlamento, che è il luogo ideale per dare tutti i dettagli che, tra l’altro, Lupi ha già dato. Noi lo sosteniamo e abbiamo piena fiducia in lui”.

Alfano ha poi ha smentito Delrio che ieri parlava di una “riflessione del ministro sulle dimissioni”. Il ministro, ha detto Alfano “non ha pensato all’ipotesi dimissioni. Noi riteniamo corretto non perdere tempo sull’informativa in Parlamento”.

A ritenere necessario un intervento in Parlamento, per chiarire i fatti, anche oggi il Pd, con le parole del vicesegretario Lorenzo Guerini: “Sicuramente il Parlamento è interessato a capire. E’ giusto che il ministro Lupi spieghi la situazione che si è venuta a determinare. Vedremo, vedremo nelle prossime ore”.

Intanto emergono nuovi elementi sull’inchiesta di Firenze che ha portato in carcere il manager del ministero dei Trasporti, Ercole Incalza.

Secondo il gip, sarebbe stato proprio il ministro Lupi (come il figlio, non indagato) a chiedere al burocrate di incontrare Luca per cercare una soluzione lavorativa. Incalza, secondo le intercettazioni dei carabinieri del Ros si sarebbe attivato informando Stefano Perotti. A distanza di qualche settimana dalla richiesta, a fine gennaio 2014, il figlio del ministro ottiene un incarico in un cantiere dell’Eni dove anche Perotti aveva ricevuto l’incarico della direzione dei lavori.

Ma le collaborazioni non finiscono lì. Il Gip, nell’ordinanza di custodia per i quattro arrestati scrive: “L’aiuto fornito da Stefano Perotti a Luca Lupi non è limitato al conferimento dell’incarico sopra descritto. Il 4 febbraio 2015 Perotti chiede all’amico Tommaso Boralevi che lavora negli Stati Uniti, di dare assistenza ad un loro ingegnere che al momento lavora presso lo studio Mor e verrà impiegato a New York. E dice: “Lavorerà in una prima fase per lo studio Mor come commerciale per cercargli delle opportunità eccetera. Gli abbiamo dato anche noi un incarico collegato per le nostre attività di direzione lavori, management, te lo volevo mettere in contatto che sicuramente tu che sei una specie di motore acceso, qualche dritta gliela puoi dare no?”.

CONTI IN SVIZZERA – Nelle carte dell’inchiesta “Sistema”, ci sono riferimenti anche a conti in Svizzera, che sembrerebbero smentire l’avvocato Titti Madia che ieri aveva parlato dell’assenza della “materia prima della corruzione: i soldi”.

Il magistrato fiorentino scrive: “Nel caso in esame una direzione dei lavori ha assunto, grazie a un collaudato sodalizio criminale, la funzione di mero strumento per far transitare su società e soggetti privati enormi somme di denaro (per compensi non inferiori all’1 per cento dell’importo dei lavori appaltati, ma in molti casi fino addirittura al 3 per cento), prive di sostanziale giustificazione quanto alle prestazioni professionali realmente rese, ed inquadrabili piuttosto nel prezzo di una dazione corruttiva, ossia di utilità illecite in favore del sodalizio medesimo, costituite dallo stesso conferimento dell’incarico professionale di direzione lavori, e spesso anche da una miriade di assunzioni od incarichi di consulenza collaterali alla gestione dell’appalto, del tutto fittizi, in favore “di amici degli amici” del pubblico ufficiale o di suoi prestanome o accoliti”.

LA PISTA – Riporta il Corriere della Sera, che proprio per rintracciare questi soldi che, dice l’accusa, sono finiti a Incalza e Perotti, si continua a battere due piste. La prima si concentra sugli affari della società «Green Field System». L’altra porta in Svizzera e in particolare alla Banca Julius Baer & Co. Sa con sede in Lugano, dove Christine Mor, moglie di Perotti, risulta avere un conto movimentato con un trasferimenti di denaro in Italia nel febbraio 2014, tanto da essere indagata per riciclaggio. I carabinieri del Ros hanno documentato alcuni viaggi in territorio elvetico della coppia e adesso si concentrano proprio su queste trasferte.

GIP: “GESTIONE AFFARI DA 25 MILIARDI DI EURO”
“Un direttore dei lavori compiacente verso l’impresa esecutrice delle opere” ciò ha consentito “sistematicamente che l’importo dei lavori delle grandi opere si gonfiasse a dismisura”. Questo il meccanismo, secondo il pm di Firenze, in base al quale funzionava l’organizzazione facente capo a Incalza. E’ sempre lui, infatti, “che suggerisce all’appaltatore il nome del direttore dei lavori, nome che “casualmente” – scrive il pm – è sempre lo stesso”, quello di Stefano Perotti. “Il nome di questo professionista – aggiunge il pm – è la chiave di lettura delle vicende delle grandi opere italiane degli ultimi vent’anni, delle ragioni delle lungaggini, della lievitazione dei costi, dell’assenza dei controlli nella regolazione dei subappalti”. Un professionista, “socio di affari di Incalza” che “ha gestito appalti attraverso gli incarichi di direzione dei lavori per almeno 25 miliardi di euro”.

Tunisi, strage di turisti al museo del Bardo. 24 morti, tra cui 4 italiani

Terrore in Tunisia, Militari tunisini vigilano davanti al museo di Tunisi
Militari tunisini vigilano davanti al museo di Tunisi (Al Jaazeera)

Terrore in Tunisia dopo che un gruppo di turisti stranieri, tra cui italiani, è stato preso in ostaggio all’interno del “Museo del Bardo”, a Tunisi, da un commando terroristico riconducibile all’Isis composto da tre uomini travestiti da soldati e armati fino ai denti.

Il bilancio provvisorio è drammatico: almeno 24 morti, Tra questi, 4 cittadini italiani e poi polacchi, spagnoli, francesi, tedeschi e tunisini. A seguito del sequestro dei terroristi islamici, il governo ha autorizzato un blitz tramite le forze speciali per liberare gli ostaggi stranieri nel Museo del Bardo. Vi sono al momento oltre 24 feriti di cui alcuni in gravi condizioni.

Il ministero degli Esteri, tramite l’ambasciata italiana a Tunisi ha attivato una unità di crisi per seguire gli sviluppi dell’attacco. Fra gli ostaggi dei terroristi, c’erano anche quattro cittadini torinesi. Secondo quanto risulta al Comune di Torino, si tratta di Carolina Bottari, Anna Bagnale, Antonella Fesino e Antonietta Santoro.

Lavorano all’Ufficio Patrimonio del capoluogo piemontese e fanno parte di un gruppo di dipendenti del Comune di Torino in crociera a bordo della Costa Fascinosa in un viaggio organizzato dal Circolo ricreativo del Municipio. Delle persone citate al momento non vi sono notizie circa un loro coinvolgimento nel conflitto a fuoco, sebbene la Farnesina in un comunicato parla di quattro vittime tra i turisti uccisi. 

L'immagine ripresa da uno degli ostaggi
L’immagine ripresa da uno degli ostaggi

Il sindaco di Torino Piero Fassino è in costante contatto con la Farnesina che nel frattempo è attiva per accertare se vi siano italiani fra le vittime. Un centinaio di connazionali era stato già messo al sicuro dalla forze di sicurezza tunisine.

L’attacco è stato rivendicato dalle milizie del Califfato islamico. La Tunisia, confinante con la Libia, vive da mesi momenti di forte preoccupazione per il continuo avanzare dei terroristi dell’Is. Il ritrovamento di arsenali di armi  – riferiscono media locali – da parte delle forze di sicurezza “è quotidiano”.

L’assalto al Museo è cominciato nelle prime ore di stamane a Tunisi. Dopo alcune ore dalla presa degli ostaggi sono stati uditi colpi d’arma da fuoco nei pressi del Parlamento, non lontano dal museo. Circostanza che ha fatto temere un assalto del commando islamico presso la massima istituzione rappresentativa della Tunisia. Gli agenti della sicurezza hanno cosi impedito a giornalisti e deputati di lasciare l’aula.

Al momento dell’attacco, i turisti presenti all’interno del “Museo del Bardo” erano circa 200, mentre l’emittente araba “Al Arabya”, aveva riferito che due uomini del commando di terroristi, sarebbero stati subito accerchiati dalle forze di sicurezza tunisine all’interno del museo. Poi la decisione del governo di fare intervenire le teste di cuoio.

Francoforte, scontri tra polizia e “Blockupy” per la nuova sede Bce

Bce, scontri a Francoforte tra Blockupy e Polizia tedescaNel giorno dell’inaugurazione della nuova sede della Bce, si registrano violenti scontri a Francoforte tra la polizia e il movimento anti-banche e anti-capitalismo “Blockupy”. Sono decine le persone ferite e 350 quelle arrestate. Lo riferisce la Bbc.

I movimenti avevano minacciato di rovinare con azioni di disturbo la cerimonia di apertura della nuova sede, per la quale è stato scelto un edificio alto 185 metri con due torri, intorno al quale sono stati srotolati dalla polizia centinaia di metri di filo spinato.

La polizia di Francoforte ha affermato in un tweet di aver subito un attacco ad un commissariato durante il quale sono state bruciate tre volanti. La polizia ha lanciato gas lacrimogeni.

scontri a francoforteUn portavoce della polizia citato dall’agenzia tedesca “Dpa” ha riferito che almeno un agente e’ rimasto ferito stamattina presto durante una fitto lancio di sassi dei manifestanti contro la polizia davanti all’Opera House.

Gli attivisti hanno bloccato un ponte nel centro di Francoforte e il percorso dei trasporti sull’arteria principale nella parte orientale della citta’. Diversi cassonetti dell’immondizia sono in fiamme.

Elezioni Israele, a sorpresa si impone Benyamin Netanyahu

Benyamin Netanyahu trionfa alle elezioni israeliane
Benyamin Netanyahu (AP/Oded Balilty)

Dopo una notte incollati davanti ai monitor con autoproclami di vittoria da entrambi gli schieramenti, Benyamin Netanyahu si è aggiudicata la riconferma di primo ministro per la quarta volta. E’ in carica da circa dieci anni.

Il suo Likud, formazione di centrodestra, prevale su “Campo Sionista” guidato da Isaac Herzog e spiazza tutti i sondaggisti che nelle previsioni della vigilia davano un netto vantaggio al centrosinistra. Gli “Arabi guidati da Tzipi Livni ottengono un lusinghiero” risultato, col terzo posto. Un record in assoluto per loro.

Il parlamento israeliano dopo la vittoria del Likud
Il parlamento israeliano dopo la vittoria del Likud

Il parlamento israeliano resta molto frammentato. Sui 120 seggi del Knesset, la conta finale è di 30 scanni per Netanyahu, 24 per i progressiti mentre la Lista Araba 14. A seguire “Yesh Atid” coon 11 seggi, Kalanu con 10, Jewish Home 8; 7 lo Shas, Uniti per la Torah 6, e altri sei seggi spettano a Yisrael Beytenu, 4 parlamentari vanno a Meretz.

Il leader di Campo Sionista Isaac Herzog
Il leader di Campo Sionista Isaac Herzog (Parush/Flash90)

“Formerò un governo entro due- tre settimane”, afferma Benyamin Netanyahu. Il premier – ha spiegato il partito – parlerà subito con “gli altri leader che prenderanno parte alla coalizione”.

Nei primi commenti, in molti rendono omaggio alla capacità di Netanyahu di recuperare negli ultimi due-tre giorni lo svantaggio che aveva di fronte a Herzog e ad aggiudicarsi un successo personale che ha stupito il suo stesso partito.

In Campo Sionista immediate le prime autocritiche: in particolare, viene affermato, sembra essere stato un errore trasformare la campagna elettorale in una sorta di referendum sulla figura di Netanyahu.

Alcuni sostenitori della Lista Araba
Sostenitori della Lista Araba (AFP/Gharabli)

Domani il presidente Reuven Rivlin riceverà i dati definitivi dell’elezione e non avrà altra scelta che affidare a “Bibi l’incarico di formare il nuovo governo. Netanyahu desidera includere Moshe Kahlon, il leader del partito Kulanu che si batte per l’emancipazione delle masse popolari e ha ottenuto 10 seggi.

Col suo sostegno e di altri, il premier conta di poter formare una coalizione di 67-68 deputati con cui affronterebbe la nuova legislatura con pieno controllo del parlamento. Netanyahu raggiungerebbe dunque l’obiettivo fissato nel novembre scorso quando a sorpresa aveva deciso di puntare alle elezioni anticipate per non essere più prigioniero di una coalizione indisciplinata e per lui “ingovernabile”.

Tangenti, tutti contro Lupi. "Si dimetta". Renzi in un angolo. Il ministro riflette

Matteo Renzi e Maurizio Lupi
Matteo Renzi e Maurizio Lupi

E’ bufera sul ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi dopo l’inchiesta della procura di Firenze su un presunto giro di tangenti nell’ambito delle grandi opere che ha portato agli arresti il super tecnico Ercole Incalza e altre tre persone.

L’indagine, condotta dal procuratore capo Giuseppe Creazzo, sta mettendo a soqquadro l’ormai fragile “equlibrio” che tiene la maggioranza del governo Pd Ncd guidato da Matteo Renzi.

MS5 E SEL PRESENTANO MOZIONE DI SFIDUCIA. 

Il ministro alfaniano, nonostante non sia indagato, è “accerchiato” dalle opposizioni e preso di mira, in modo più soft, dai renziani. Il Movimento 5 Stelle insieme a Sel presentano una mozione di sfiducia per chiedere le dimissioni, mentre Beppe Grillo dal suo blog ironizza “A Lupi, al Lupi” per poi affondare: “Restituisca i quattrini”. Lupi comunque riferirà in aula sulle intercettazioni in cui è coinvolto insieme al figlio. Secondo i pm, nell’inchiesta emerge un presunto “sistema corruttivo”.

LE TELEFONATE TRA MAURIZIO E MATTEO. DELRIO, LUPI VALUTA DIMISSIONI

Il ministro dei trasporti oggi si sarebbe sentito più volte telefonicamente con il premier Matteo Renzi, probabilmente per convincerlo a rassegnare le dimissioni. Il sottosegretario Graziano Delrio poi “conferma” questa ipotesi e afferma che il ministro effettivamente sta “valutando di dimettersi”. Forse lo farà già nelle prossime ore. Probabilmente, la decisione è stata concordata con il premier per evitare ulteriori attacchi mediatici dopo lo tzunami della procura di Firenze. 

Ma negli ambienti del Centrodestra, vecchio e nuovo, non digeriscono il “doppiopesismo” in voga in certi ambienti della sinistra. C’è chi, come il direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti che ricorda da Floris su La7, il caso del ministro Giuliano Poletti che “è stato addirittura fotografato insieme ai protagonisti di Mafia Capitale. Poletti non era indagato, come non lo è Lupi”, per cui, è il ragionamento del giornalista, se non si è dimesso Poletti perché dovrebbe farlo Lupi?

Ci sono tuttavia altri casi, ricordano da molti ambienti politici, che dovrebbero seguire una “linea di coerenza politica”. Con il caso di Annamaria Cancellieri (i rapporti della famiglia con Ligresti), nominata ministro della Giustizia con il governo Letta, proprio Renzi, allora fuori da governo, il 19 novembre del 2013 disse: “Sono per le dimissioni del Guardasigilli, avviso di garanzia o meno. E’ la Repubblica degli amici degli amici: insopportabile. Se diventerò segretario del Pd ne farò una battaglia culturale”. Ancora prima, il caso del ministro Idem, costretta alle dimissioni per degli errori sulle cartelle dell’Ici.

MATTEO ORFINI (PD): “INQUETANTE”

Ma dopo l’intervento di Renzi che ieri ha detto che “Un problema esiste”, la bordata inaspettata per il ministro arriva dal presidente dei democratici Matteo Orfini, renziano doc e commissario del Pd romano dopo lo scandalo di Mafia Capitale. “Ci sono cose che destano inquietudine e preoccupazione. C’è assolutamente la necessità che si chiariscano alcuni aspetti, poi si faranno le valutazioni”, ha detto l’esponente politico.

IDV: “RENZI LO ESTROMETTA”

Anche l’Italia dei Valori, partito fondato da Antonio Di Pietro, già ministro ai lavori pubblici che etromise Ercole Incalza durante il secondo governo Prodi (2006) chiede le “dimissioni di Lupi o che Renzi lo estrometta”.

VENDOLA: “DIMISSIONI DOVUTE, RENZI NON PUO’ CAVARSELA CON UN TWITT”

“Il premier Renzi”, rispetto al caso Lupi, “non può cavarsela con un twitt”, afferma il leader di Sel Niki Vendola. “La credibilità dello Stato oggi – aggiunge – è ampiamente compromessa e il primo atto, lo dico non per ragioni giudiziarie, ma per ragioni politiche, dovrebbe essere una bonifica radicale del ministero delle Infrastrutture, e anche le dovute dimissioni del ministro competente”

Il ministro dell'Infrastrutture, Maurizio Lupi (Ansa/Carconi)
Il ministro dell’Infrastrutture, Maurizio Lupi (Ansa/Carconi)

SALVINI: “SI CHIARISCA IN PARLAMENTO”

Il leader della Lega, Matteo Salvini non alza i toni anche per non dare “filo” a chi pensa voglia “facilmente strumentalizzare” la vicenda che coinvolge in pieno il Ncd. “Io non condanno nessuno, però – spiega – mi aspetto che il Ministro dell’Interno o il Presidente del Consiglio vengano in Parlamento a spiegare agli italiani se è tutto falso o se c’è qualcosa di vero. E se c’è qualcosa di vero non possiamo avere un Ministro dell’Interno e un Ministro delle Infrastrutture che lavorano con delle ombre del genere”.

IL SILENZIO DI FORZA ITALIA

In Forza Italia c’è prudenza. Ancora nessuna nota ufficiale per commentare lo scandalo delle presunte tangenti nei grandi appalti, ma alcuni esponenti dei berlusconiani insieme a tutto il Nuovo Centrodestra fanno quadrato attorno al titolare dei Lavori pubblici. Dal “Mattinale”, l’agenda politica del gruppo alla Camera, attacca invece Renzi per la mancata solidarietà al suo ministro, che non è neppure indagato. Mentre il senatore Lucio Malan chiede che Lupi venga riferisca in Aula, perché per il Parlamento è “doveroso conoscere bene la situazione” prima di decidere se votare o no la sfiducia nei suoi confronti. uScontata la difesa dei centristi. Il capogruppo al Senato Maurizio Sacconi si dice certo che il collega di partito “saprà in ogni sede descrivere la trasparenza e correttezza di tutti i processi decisionali”, mentre Renato Schifani blinda il ministro: “Nessun passo indietro è ipotizzabile” perché “il ministro non è indagato, e da quanto finora emerso non è rilevabile alcun comportamento né penalmente rilevante né politicamente censurabile”.

GRASSO: “SOLO PUNTA DELL’ICEBERG”. BAGNASCO: “UN REGIME”

E mentre il presidente del Senato Piero Grasso invita a correre e fare presto perché “la corruzione che viene scoperta, purtroppo, è soltanto la punta dell’iceberg”, il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco parla di “regime” del malaffare. “Purtroppo – ha aggiunto – lo spettacolo è deprimente e sembra crescere. Spero che la gente non si lasci deprimere o scoraggiare dai cattivi esempi che vengono da tante parti, soprattutto da chi ha maggiori responsabilità nella cosa pubblica”, ha detto il presidente della conferenza episcopale.

LA DIFESA DI ERCOLE INCALZA: “MANCA MATERIA PRIMA, I SOLDI”

“E’ un processo di corruzione in cui manca la materia prima, cioè i soldi”. Lo afferma il legale di Ercole Incalza, Titta Madia, sostenendo che nell’ordinanza del Gip di Firenze “non c’è traccia di altre utilità” ricevute dall’ex capo della struttura di missione del ministero delle Infrastrutture. Madia ha poi sottolineato che sta valutando la possibilità di sollevare nei prossimi giorni la questione della competenza territoriale perché, secondo la difesa, non è Firenze che deve indagare sui presunti reati. E sull’atteggiamento che terrà domani il suo assistito nel corso dell’interrogatorio di garanzia con il Gip, Madia afferma che la volontà di Incalza ogni volta che è stato coinvolto in vicende giudiziarie “è sempre stata quella di rispondere”. E anche “questa volta non ha nulla da nascondere”. Incalza, conclude, “ha avuto un ruolo importante per la realizzazione delle infrastrutture in Italia e anche questa volta lo sta pagando”.

DALLE CARTE NUOVI PARTICOLARI: CONSULENZE DA CAPOGIRO

Secondo il Gip, Incalza era il “dominus totale” che ha ricevuto lo stesso incarico “da ogni compagine governativa che si è succeduta negli anni” dirigeva “ogni grande opera, predisponendo le bozze della legge obiettivo e individuando di anno in anno quelle da finanziarie e quelle da bloccare”.

Per i Carabinieri del Ros il manager “sceglieva” gli appaltatori “amici” suggerendo poi loro il nome dei direttori dei lavori, sempre persone riferibili a Perotti. In cambio riceveva compensi per consulenze, come i 500 mila euro ottenuti da una società impegnata nella Av Firenze-Bologna o i 700 mila dati da un’altra ditta a suo genero, Alberto Donati.

Il blitz ha portato ai domiciliari l’imprenditore Francesco Cavallo e Sandro Pacella, stretto collaboratore di Incalza. Coinvolti gli ex sottosegretari ai trasporti Rocco Girlanda e Antonio Bargone, l’ex deputato Stefano Saglia, poi nel cda di Terna, Vito Bonsignore, ex presidente del gruppo Ppe, e l’ex manager di Expo, Antonio Acerbo. Ognuno di loro, secondo l’accusa, ha avuto un ruolo nei presunti appalti pilotati.

IL GIP: “DA CHIAIRIE AMICIZIA TRA PACELLA E FINANZIERE”

Sandro Pacella, l’uomo di Ercole Incalza aveva legami con un ispettore della Guardia di Finanza in servizio presso la segreteria del viceministro delle Infrastrutture Riccardo Nencini. Lo scrive il Gip di Firenze nell’ordinanza di custodia cautelare sottolineando che il rapporto tra i due è tuttora “da chiarire”. L’ispettore, prima di passare al ministero, era in sevizio presso la sezione di polizia giudiziaria della procura di Firenze. Il 6 agosto dell’anno scorso, scrive il Gip, riceve una telefonata di Pacella che gli chiede se fosse stato in procura: “Volevo sapere come è andata”. L’ispettore risponde di non esserci stato, ma aggiunge che “avrebbe acquisito notizie l’indomani” relative “a quella questione”. Ed in effetti, annota il giudice, il giorno dopo il militare telefona a Pacella, che era fuori ufficio, e gli dice che ha bisogno di vederlo per “parlare a voce” con lui. Nel pomeriggio dello stesso giorno, il 7 agosto, i due prendono infine accordi per vedersi nell’ufficio di Pacella.

[Ultimo aggiornamento 17-3-2015 ore 23:31]

Tangenti Grandi Opere, il ministro Lupi: "Non mi dimetto". Gelo di Renzi: "Un problema c'è"

Il ministro Maurizio Lupi
Il ministro Ncd Maurizio Lupi

Il ministro alle Infrastrutture, Maurizio Lupi, il cui nome insieme al figlio compare nelle carte dell’inchiesta fiorentina respinge le accuse. Intervistato da Repubblica l’esponente Ncd risponde alle sollecitazioni di dimissioni avanzate dai grillini.

“No, le dimissioni no”, afferma Lupi, “anche se, per la prima volta, vedendo tirato in ballo ingiustamente mio figlio, mi sono chiesto se il gioco valga la candela. Se fare politica significhi far pagare questo sacrifico alle persone
che ami. Sa la battuta che faccio sempre a Luca? Purtroppo hai fatto Ingegneria civile e ti sei ritrovato un padre ministro delle Infrastrutture”.

Sul Rolex regalato da Perotti a Luca Lupi in occasione della Laurea, il ministro dice: “l’avesse regalato a me non l’avrei accettato”.

Su Ercole Incalza, protagonista chiave dell’indagine condotta dal procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, il ministro si appella “alla presunzione di innocenza”, ma “è chiaro che se dovessero risultare fondate le accuse sarebbe una sconfitta per tutti”, afferma il ministro.

Il super consulente arrestato ieri, per Lupi è tuttavia “uno dei tecnici più stimati nel suo settore, anche in Europa ce lo invidiavano”, un uomo che “ha lavorato con tutti i governi”, eccetto con Di Pietro nel primo governo Prodi.

Nel merito dell’intercettazione forse più “imbarazzante” per l’esecutivo Pd-Ncd (“Se chiudono la struttura di missione cade il governo”), l’esponente politico spiega che si trattava di “una battaglia politica, non difendevo la persona (Incalza, ndr), che dal 31 dicembre 2014 non avrebbe più ricoperto quell’incarico, ma l’integrità del ministero”.

“Si stava – aggiunge Lupi – discutendo di legge di Stabilità e del futuro della nuova Struttura tecnica di missione e il dibattito era tra chi voleva tenerla dentro al mio ministero, oppure, come diceva Incalza: c’è chi vuole chiuderla o trasferirla alla presidenza del Consiglio”, con la conseguenza di “amputare il braccio operativo” del ministero.

Una intervista con cui il ministro alfaniano cerca di chiarire la sua posizione in una inchiesta delicatissima che viene fuori proprio quando il premier Renzi porta avanti il piano anticorruzione studiato da Raffaele Cantone. Ma “non c’è dubbio” che per il presidente del Consiglio la vicenda Incalza agita la maggioranza Pd. Per Renzi “un problema c’è e serve fare la massima chiarezza, cosa che dovrà fare anche Lupi”.

Ieri sera il sottosegretario Delrio dalla Gruber a “Otto e mezzo” ha affermato che “è prematuro chiedere le dimissioni del ministro Lupi”, facendo intuire che effettivamente il problema tra Pd e Ncd esiste, ma è preferibile agire con “cautela”. Tuttavia, il disagio nell’ambiente renziano serpeggia in modo evidente per una vicenda che dà l’assist alla minoranza dei democratici di fare “incursioni” sulla questione morale molto cara alla sinistra del Pd.

Tangenti Grandi Opere, quando Incalza influenzava la politica. Del Basso De Caro e il "curioso favore" a Ercole

Da sinistra il sottosegretario Umberto Del Basso Caro e Ercole Incalza
Da sinistra il sottosegretario Umberto Del Basso Caro e Ercole Incalza

Il potere che esercitava Ercole Incalza nei gangli dello Stato andava al di là della sola sfera burocratica. Il potentissimo supermanager, secondo i magistrati di Firenze che hanno scoperchiato la presunta cupola tangentista attorno alle grandi opere, era capace di influenzare anche il mondo politico e istituzionale ai suoi più alti livelli. All’alto burocrate, ormai settantenne, la norma che vieta di ricoprire incarichi pubblici a chi ha raggiunto i limiti di età non deve essergli piaciuta molto, al punto che si dà da fare per farla modificare quasi “ad personam”.

Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip accenna anche a un emendamento presentato dalla deputata Pd di Cosenza, Enza Bruno Bossio (estranea all’inchiesta) allo scopo di far rimanere il funzionario in capo alla struttura di missione anche dopo la pensione. Nell’ottobre del 2014 a preoccupare Ercole Incalza è infatti la legge numero 114 dell’agosto 2014 che impedisce ai soggetti in quiescenza di ricoprire incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione.

Tra i contatti che il manager attiva per trovare una soluzione alla questione, c’è anche il sottosegretario alle Infrastrutture Umberto Del Basso De Caro, (anche lui estraneo) a cui il 20 ottobre 2014 segnala che non è stato presentato – si legge nell’ordinanza del gip di Firenze – un emendamento che riguarda la Struttura Tecnica di Missione: “… invece ci siamo guardati la cosa… la commissione.. non hanno messo l’emendamento della struttura Tecnica di Missione.. ti ricordi?”, dice il manager al politico.

Del Basso assicura che provvederà subito a far presentare dalla deputata Bruno Bossio un emendamento che gli consentirebbe di mantenere il suo incarico fino al termine del 2015: “… lo dobbiamo far presentare ora … quello era decaduto come sai … proposto .. quindi noi lo dobbiamo far mettere per l’Aula entro l’una ..ora me l’ha detto Giusy ora chiamo subito Enza Bruno Bossio”.

Poco dopo, il sottosegretario rassicura Incalza dicendo che la parlamentare Enza Bruno Bossio ha depositato l’emendamento. Sarà però la sua collaboratrice, Ida Tramonti, il giorno successivo, a comunicargli che l’emendamento è stato bocciato, anche se la donna gli garantisce che sarà riproposto nella legge di Stabilità presentata direttamente dal governo “avendo – scrive il gip – Umberto Del Basso De Caro già parlato con il ministro Lupi”.

Un obiettivo che al momento non si è realizzato. Al 31 dicembre 2014, infatti, Incalza lascia l’incarico così come impone la norma, ma viene “ripescato” dal governo Renzi come “consigliori” di riferimento sulle Grandi Opere per via della sua “grande esperienza”. “Scrive infatti il Gip: “Quel che preme sottolineare in questa sede è il fatto che, ancorché Incalza abbia cessato il proprio incarico ministeriale, lo stesso continua a frequentare il Ministero e ad esercitare la propria influenza. Incalza stesso – aggiungono – si è assicurato che l’incarico da lui ricoperto venisse affidato a Signorini Paolo, così come in effetti è avvenuto”. [paragrafo aggiornato il 18-3-2015 ore 19:43]

I magistrati annotano pure una singolare “curiosità”. Tre giorni dopo la richiesta di Incalza a Del Basso De Caro per l’emendamento Bossio, il 23 ottobre 2014 il sottosegretario alle infrastrutture chiede sostegno al dirigente affinché lo aiuti a fare approvare un emendamento per un’opera che gli sta a cuore: “…Mi affido come sempre – dice il politico sannita a Incalza – al tuo senso di responsabilità ed alla tua esperienza della quale ho assoluto bisogno per realizzare l’opera…”.

In sostanza, un politico (Del Basso) chiede a un burocrate (Incalza) di intervenire sulla politica di cui De Caro è un “autorevole” esponente, oltre che sottosegretario di Stato. Non fosse scritto nell’ordinanza sarebbe da non credere…

Interpellata da Secondo Piano News, la parlamentare Enza Bruno Bossio, (del tutto estranea all’inchiesta) spiega “l’accanimento giornalistico” per questioni che sono da relegare al “gossip”. “Non vedo sui grandi giornali la stessa attenzione su importanti iniziative che pure sto portando avanti, tipo quella sul reddito minimo e tantissme altre cose” (le battaglie sul reddito minimo di Bruno Bossio in Calabria, sono note da moltissimi anni, quando ancora non esisteva il M5S, ndr). “Presento migliaia di emendamenti, ed essendo una prerogativa di un parlamentare, non ci vedo nulla di strano presentare un atto su richiesta di un mio collega, come il sottosegretario”. “Rattrista – si sfoga la deputata – come i giornalisti cerchino “il sensazionalismo” e scrivano di gossip anziché di notizie”. Su questo punto, afferma, “ne parlerò oggi in commissione Antimafia (di cui è membro) con il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti”.

[Aggiornato il 18-3-2015 ore 19:43]

Tangenti, le intercettazioni tra Lupi e Incalza: "Se abolita la Struttura di Missione cade il governo"

Maurizio Lupi e Ercole Incalza
Maurizio Lupi e Ercole Incalza

Si arricchisce di particolari l’inchiesta “Sistema” condotta dalla procura di Firenze che ha portato oggi in carcere Ercole Incalza, potentissimo dirigente del ministero delle Infrastrutture, e altre tre persone con l’accusa presunta corruzione. In alcune intercettazioni del Ros dei Carabinieri viene captato Maurizio Lupi (ministro dei governi Letta e Renzi) con Ercole Incalza sulla paventata chiusura della struttura tecnica di Missione.

LUPI GARANTISCE: “SE VIENE ABOLITA CADE IL GOVERNO”

“Su questa roba ci sarò io e ti garantisco che se viene abolita la Struttura Tecnica di Missione non c’è più il governo!”. Con queste parole il 16 dicembre 2014, il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi si rivolge ad Ercole Incalza in una telefonata intercettata dal Ros nell’ambito dell’inchiesta di Firenze denominata “Sistema” culminata oggi con l’arresto di quattro persone e 47 indagati.

Va precisato che il ministro Lupi non è indagatoIn quanto parlamentare, il ministro non poteva essere direttamente intercettato , ma è entrato “passivamente” nell’inchiesta per via delle sue conversazioni con Incalza tenuto dai Ros sotto “sorveglianza” telefonica. 

LUPI MINACCIA LA CRISI DI GOVERNO PER GARANTIRE INCALZA

Secondo i pm la conversazione “ben rappresenta” l’importanza della Struttura tecnica di cui era a capo Ercole Incalza. “Il ministro Lupi – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – a fronte della proposta di soppressione” della Struttura di Missione “o di passaggio della stessa sotto la direzione della presidenza del Consiglio arriva a minacciare una crisi di governo”.

A questo proposito, il ministro rassicura Incalza: “Vado io guarda… siccome su questa cosa…te lo dico già…però io non voglio…cioè vorrei che tu dicessi a chi lavora con te che sennò vanno a cagare!…cazzo!…ho capito!… ma non possono dire altre robe!… su questa roba ci sarò io li e ti garantisco che se viene abolita la Struttura Tecnica di Missione non c’è più il governo!...l’hai capito non l’hanno capito?!”.

LA STRUTTURA DI INCALZA PILOTAVA GLI APPALTI DA ANNI

La Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture, è scritto nell’ordinanza, opera alle dirette dipendenze del ministro ed è stata diretta per anni da Ercole Incalza, soggetto secondo gli inquirenti “in grado di condizionare il settore degli appalti pubblici per moltissimi anni”.

LA NOMINA DI RICCARDO NENCINI A VICEMINISTRO GRAZIE A INCALZA

Il viceministro alle Infrastrutture, Riccardo Nencini, sarebbe stato nominato grazie alla “sponsorizzazione” di Ercole Incalza. È quanto emerge da una telefonata tra Lupi e lo stesso Incalza riportata nell’ordinanza di custodia cautelare come esempio dello “strettissimo legame” tra i due e “dell’influenza” del super manager sul ministro.

CON I COMPAGNI SOCIALISTI “SEMPRE, SEMPRE PIU’ COPERTO”

La telefonata è del 28 febbraio 2014 e a chiamare è Lupi: “Dopo che tu hai dato…hai coperto…hai dato la sponsorizzazione per Nencini…l’abbiamo fatto viceministro”. “Ma ora non rompa i coglioni”. Nel corso di alcune successive telefonate Ercole Incalza fa presente che al ministero per le Infrastrutture sono arrivati due suoi compagni socialisti facendo riferimento a Nencini e a Umberto Del Basso De Caro. Il suo amico commenta tali nomine dicendo “complimenti…sempre sempre più coperto”. Il viceministro Riccardo Nencini, in serata smentisce: “È solo millantato credito”

I FAVORI DELLA CRICCA AL MINISTRO LUPI

“Stefano Perotti – l’imprenditore arrestato oggi nell’operazione “Sistema” condotta dalla procura di Firenze – ha procurato degli incarichi di lavoro a Luca Lupi”, secondogenito del ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi (Ncd).

LE REGALIE ALLA FAMIGLIA LUPI

Dall’ordinanza di custodia che ha portato in carcere Ercole Incalza e altre tre persone (con 47 indagati) emergono presunti regali che gli arrestati avrebbero fatto al ministro del governo Renzi e ai suoi più stretti familiari tra cui appunto il figlio Luca. Il ministro avrebbe ricevuto anche abiti sartoriali e un orologio Rolex dal valore di oltre 10mila euro in occasione della laurea in ingegneria del figlio. A donare il vestito al ministro, sarebbe stato Franco Cavallo, uno dei quattro andati in cella oggi. Secondo il gip, Cavallo aveva uno “stretto legame” con Lupi tanto da fare “favori al ministro e ai suoi familiari”.

PEROTTI – MOR, TUTTO IN FAMIGLIA. 

Giulio Burchi, indagato nell’inchiesta dei pm fiorentini “racconta anche al dirigente Anas, ing. Massimo Averardi, che Stefano Perotti ha assunto il figlio del ministro Maurizio Lupi”, presso lo studio Mor di Genova che fa capo a Giorgio Mor, il cognato di Perotti. Scrive il gip, nell’ambito della commessa Eni, che Perotti stipulerà un contratto con Giorgio Mor, affidandogli l’incarico di coordinatore del lavoro che, a sua volta, nominerà quale “persona fissa in cantiere” Luca Lupi per 2mila euro al mese.

UN LAVORO AL FIGLIO DEL MINISTRO PER DARGLI “SICUREZZA”

Dalle carte dell’inchiesta emerge come il figlio del ministro debba essere protetto, cioè messo in “sicurezza“. Il 1 luglio 2014 Burchi parla con Alberto Rubegni, consigliere d’amministrazione dell’Autostrada Torino-Milano: “Il nostro Perottibus – dice – ha vinto anche la gara, che ha fatto un ribasso pazzesco”. Non solo. Ha vinto “anche il nuovo palazzo dell’Eni a San Donato e c’ha quattro giovani ingegneri e sai uno come si chiama? Sai di cognome come si chiama? Un giovane ingegnere neolaureato, Lupi, ma guarda i casi della vita”. Quel Lupi è riferito a Luca, il figlio del ministro Ncd.

L’INTIMITA’ DI PEROTTI COL MINISTRO

Nell’intercettazione i due dicono: “Ho visto Perotti l’altro giorno, tu sai che Perotti e il ministro sono non intimi, di più. Perché lui ha assunto anche il figlio, per star sicuro che non mancasse qualche incarico di direzione lavori, siccome ne ha soli 17, glieli hanno contati, ha assunto anche il figlio di Lupi, no?”.

LA DIFESA DI LUPI: “MAI CHIESTO DI FAR LAVORARE MIO FIGLIO. NON E’ MIO COSTUME”

“Non ho mai chiesto all’ingegner Perotti né a chicchessia di far lavorare mio figlio. Non è nel mio costume e sarebbe un comportamento che riterrei profondamente sbagliato”. E’ questo il commento del ministro Maurizio Lupi dopo la pubblicazione di alcune intercettazioni che lo riguardano nell’ambito dell’inchiesta “Sistema” della procura di Firenze”.

“Mio figlio Luca – spiega Maurizio Lupi – si è laureato al Politecnico di Milano nel dicembre 2013 con 110 e lode dopo un periodo di sei mesi presso lo studio americano Som (Skidmore Owings and Merrill LLP) di San Francisco, dove era stato inviato dal suo professore per la tesi. Appena laureato – aggiunge il ministro – ha ricevuto un’offerta di lavoro dallo stesso studio per la sede di New York”.

“In attesa del visto per lavorare negli Stati Uniti (un primo visto l’ha ricevuto nel giugno 2014, subito dopo il matrimonio, per ricongiungimento con la moglie che è ricercatrice in Italia e in America ha lavorato da febbraio 2014 a febbraio 2015 presso lo studio Mor di Genova con un contratto a partita Iva per un corrispettivo di 1.300 euro netti al mese. Nel gennaio 2015 gli è stata reiterata l’offerta dello studio Som, gli è quindi finalmente arrivato il visto e dai primi di marzo mio figlio lavora a New York”, ha concluso l’esponente del governo.

STEFANO PEROTTI: “MICHELE EMILIANO E’ TERRIBILE”

Nel febbraio 2014, Stefano Perotti “mostra alla moglie tutta la sua preoccupazione per la possibilità che Maurizio Lupi non sia confermato come ministro per le infrastrutture” e, riferendosi alla possibilità che possa essere nominato al suo posto Michele Emiliano, commenta: “No, il rischio è questo Emiliano, che sarebbe un magistrato, che è terribile”. Lo scrive il gip di Firenze nell’ordinanza per l’inchiesta sui grandi appalti.

IL DIRETTORE DEI LAVORI SU ZANONATO: “UN MACELLO”

Un po’ di tempo prima, nel 2013, ricorda ancora il gip, “dopo le annunciate dimissioni dei ministri Pdl/Fi (fra i quali Maurizio Lupi) Ercole Incalza anticipa” a Perotti “che l’incarico di ministro ad interim verrà ricoperto dal ministro per lo sviluppo economico Flavio Zanonato”. Perotti commenta: “Un macello”. E Incalza di risposta: “Un macello sì, va buo'”.

Nel 2014, la possibile esclusione di Lupi dal Governo, continua il gip, fa emergere la preoccupazione di Perotti, che a Franco Cavallo mostra l’esigenza di “chiudere le ultime pratiche”. “Non è chiaro – scrive il gip – a quali “ultime cose” o “ultime pratiche” alluda Perotti, quello che appare certo è che esse debbano essere “fatte” o “chiuse” prima che sia nominato un diverso ministro dell’Infrastrutture e che, pertanto, la presenza di Maurizio Lupi in tale dicastero sia una condizione essenziale per realizzarla”.

Se vuoi dire la tua, puoi lasciare un commento sotto o vai sul forum comedonchisciotte.org

Tangenti Grandi Opere, ecco il "modus operandi" della cricca

Un cantiere della tav
Un cantiere della Tav

Il “modus operandi criminale” delle persone arrestate nell’inchiesta “Sistema” della procura di Firenze e del Ros dei Carabinieri è fondato, sottolineano gli investigatori, sui “reciproci rapporti di interesse illecito” tra gli indagati, tutti accusati di concorso in tentata corruzione per induzione, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e altri reati contro la Pubblica amministrazione.

In particolare, secondo l’accusa, le società consortili aggiudicatarie degli appalti delle Grandi Opere sarebbero state indotte da Ercole Incalza – capo della struttura di missione presso il ministero delle Infrastrutture, competente sulle Grandi opere – a conferire all’imprenditore Stefano Perotti, o a professionisti e società a lui riconducibili, incarichi di progettazione e direzione di lavori “garantendo di fatto il superamento degli ostacoli burocratico-amministrativi”;

Perotti, quale contropartita, avrebbe assicurato l’affidamento di incarichi di consulenza o tecnici a soggetti indicati dallo stesso Incalza (peraltro destinatario anch’egli di incarichi “lautamente retribuiti” conferiti dalla Green Field System srl, una società affidataria di direzioni lavori).

Ad uno degli altri indagati, Francesco Cavallo, sempre secondo l’accusa, veniva riconosciuto da parte di Perotti, tramite società a lui riferibili, una retribuzione mensile di circa 7.000 euro “come compenso per la sua illecita mediazione”.

Le Grandi opere attenzionate dalla procura di Firenze
Le Grandi opere attenzionate dalla procura di Firenze

A Perotti, responsabile della società Ingegneria Spm e ritenuto dagli inquirenti “figura centrale dell’indagine”, sono stati affidati da diverse società incarichi di direzione lavori per la realizzazione di numerose “Grandi Opere”, ferroviarie e autostradali.

Tra queste figurano la linea ferroviaria A/V Milano-Verona (tratta Brescia – Verona); il Nodo TAV di Firenze per il sotto attraversamento della città; la tratta ferroviaria A/V Firenze Bologna; la tratta ferroviaria A/V Genova-Milano Terzo Valico di Giovi; l’autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre; l’autostrada Reggiolo Rolo-Ferrara; l’Autostrada Eas Ejdyer-Emssad in Libia, l’A3 Salerno – Reggio Calabria.

Dall’indagine è emerso anche come Perotti abbia influito illecitamente, secondo l’accusa, sulla aggiudicazione dei lavori di realizzazione del cosiddetto Palazzo Italia Expo 2015; di realizzazione del nuovo terminal del porto di Olbia, di molatura delle rotaie da parte dalla società Ferrovie del Sud Est e sempre di molatura delle rotaie in favore della società Speno International a lui riconducibile.

In particolare l’inchiesta ha documentato le relazioni instaurate da Perotti con funzionari delle stazioni appaltanti interessate alle opere in questione, “indotti – affermano gli investigatori – ad inserire specifiche clausole nei bandi finalizzate a determinarne l’aggiudicazione”.

Sempre Perotti ha ottenuto anche, in favore di società a lui riconducibili, l’incarico di direttore dei lavori di un appalto Anas relativo a un macro lotto dell’autostrada A3 Salerno Reggio Calabria e il conferimento dell’incarico di progettazione del nuovo centro direzionale Eni di San Donato Milanese.

Tangenti sulle Grandi opere, in manette Ercole Incalza e altri tre. 50 gli indagati

Ettore Incalza
Il super dirigente dei lavori pubblici Ercole Incalza

Tangenti sulle Grandi opere. Quattro arresti e 50 indagati in un’operazione del Ros dei Carabinieri coordinata dalla procura di Firenze diretta dal procuratore Giuseppe Creazzo.

In manette finiscono Ercole Incalza, “storico” super manager del Ministero dei lavori pubblici oggi “esterno”, gli imprenditori Francesco Cavallo e Stefano Perotti nonché Sandro Pacella, stretto collaboratore di Incalza.

L’accusa è la gestione illecita degli appalti sulle Grandi opere. Agli indagati vengono contestati i reati di corruzione induzione indebita, turbata libertà degli incanti.

Le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite a Roma e a Milano dalle prime ore di questa mattina. Dall’inchiesta sarebbe emersa un presunto “articolato sistema corruttivo che coinvolgeva dirigenti pubblici,imprese aggiudicatarie degli appalti ed esecutrici dei lavori”.

Nell’indagine dei pm fiorentini ci sono oltre 50 indagati, tra cui imprenditori e alcuni politici. I carabinieri del Ros stanno eseguendo decine di perquisizioni nei domicili degli indagati e anche negli uffici di diverse società tra cui Rfi e Anas international Enterprise.

“IL SISTEMA CORRUTTIVO” NELLE GRANDI OPERE

Tutte le principali Grandi opere, tra cui la Tav e alcuni appalti nell’ambito di Expò 2015, sarebbero state oggetto del “sistema corruttivo” individuato dai pm.

Un cantiere della tav
Un cantiere della Tav

Secondo l’agenzia Ansa tutto sarebbe partito dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per il sotto-attraversamento della città. Da lì l’inchiesta si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia ed a una lunga serie di appalti relativi ad altri Grandi Opere, compresi alcuni relativi all’Expo.

In primo piano nell’indagine, i rapporti tra il manager dei lavori pubblici Ercole Incalza e l’imprenditore Stefano Perotti cui sarebbero state affidate nel tempo la progettazione e la direzione dei lavori di diverse grandi opere in ambito autostradale e ferroviario, dietro compenso.

Secondo l’accusa sarebbe stato proprio Incalza – definito “potentissimo dirigente” del ministero dei Lavori Pubblici, dove è rimasto per 14 anni, attraversando sette governi, fino all’attuale – il principale artefice del presunto “sistema corruttivo” scoperto dalla procura di Firenze.

grandi opere, in manette Incalza
Una riunione a palazzo Chigi del febbraio 2011 sulla TAV Torino Lione Nella foto: Gianni Letta, Altero Matteoli, Ercole Incalza, ultimo a destra. (Scrobogna/LaPresse)

Sarebbe stato il manager, in particolare, in qualità di “dominus” della Struttura tecnica di missione del ministero dei Lavori pubblici, ad organizzare l’illecita gestione degli appalti delle Grandi opere, con il diretto contributo di Perotti, cui veniva spesso affidata la direzione dei lavori degli appalti incriminati. Riguardo agli altri due arrestati, Pacella è un funzionario del ministero, stretto collaboratore di Incalza, così come gravitava nell’ambito del dicastero anche Cavallo, presidente del Cda di Centostazioni Spa, società del gruppo Ferrovie dello Stato.

CHI E’ ERCOLE INCALZA

Ercole Incalza nasce a Francavilla Fontana (Brindisi) il 15 agosto 1944. E’ ingegnere e architetto. La sua carriera inizia nel pieno della Prima Repubblica, grazie alla sua “fede” socialista, negli anni ’70 entra nella Cassa per il Mezzogiorno dove divenne dirigente.

In seguito approda al ministero dei Trasporti con il socialista Claudio Signorile. Nel 1983 è consigliere del ministro dei Trasporti, poi nel giugno 1984 assume la responsabilità di capo della segreteria tecnica del Piano Generale dei Trasporti. Dal gennaio 1985 dirigente generale della direzione generale della Motorizzazione civile e dei trasporti in concessione, passa alle Ferrovie dello Stato nell’agosto 1991, per diventare Ad della “Treno Alta Velocità – Tav Spa” dal settembre 1991 al novembre 1996.

LA SCALATA AL POTERE DOPO LA LEGGE OBIETTIVO DEL 2001

Già dirigente di lungo corso del ministero delle Infrastrutture, Incalza ha avuto una svolta nel 2001 con la nomina a capo della segreteria tecnica del ministro Pietro Lunardi quando sotto il governo Berlusconi diede avvio al piano delle Grandi Opere (legge obiettivo).

Il manager è poi rimasto al ministero per quattordici anni, attraversando ben sette governi in modo bipartisan, lasciando l’incarico solo il 31 dicembre dello scorso anno. Ha ricoperto per un brevissimo periodo l’incarico con Antonio Di Pietro, ministro dei Lavori pubblici con il governo Prodi. Poi l’ex pm di Mani pulite lo sostituì. Poi rientrò come capo struttura di missione promosso da Altero Matteoli, Pdl, confermato da Corrado Passera, titolare del dicastero con Mario Monti e ancora con Maurizio Lupi, ministro di Enrico Letta fino a febbraio 2014 e Matteo Renzi oggi.

La struttura di missione delle Infrastrutture è lo snodo di tutte le grandi opere del Paese, il nucleo dirigenziale del governo che sovrintende all’attuazione della legge obiettivo, al piano nazionale delle infrastrutture al monitoriaggio di tutti gli investimenti.

14 PROCEDIMENTI GIUDIZIARI, NE E’ USCITO SEMPRE PULITO

Ercole Incalza è stato coinvolto in 14 procedimenti giudiziari e in tutti e 14 i casi ne è uscito con il proscioglimento. Il suo avvocato Titta Madia, lo considera un campione di slalom processuale: “Per lui ci sono stati 14 proscioglimenti e mai una condanna. Un vero e proprio recordman”, ha detto con orgoglio.

IL M5S: “ORA LUPI SI DIMETTA”

“Più volte il Movimento 5 Stelle ha chiesto le dimissioni dell’ingegnere Ercole Incalza come capo della struttura di missione sulle Grandi opere. Ma la risposta del ministro Lupi è stata sempre la stessa: Incalza è l’uomo giusto al posto giusto. Adesso è la magistratura a spiegarci cosa volesse intendere il ministro”, attaccano i deputati del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Trasporti e Infrastrutture e Ambiente.

“Non importa – aggiungono – che oggi, come sottolinea il ministro in un pronto comunicato stampa, Incalza non ricopra più ruoli pubblici. Lo sappiamo bene che da qualche mese è ufficialmente pensionato. Ma Lupi lo ha difeso quando era pluri-indagato. Quando solo la prescrizione lo salvava dalle indagini, quando le intercettazioni rivelavano il suo “impegno” per le Grandi Opere. Incalza in 14 anni ha attraversato indenne sette governi. Ora il ministro dovrebbe fare un’unica scelta di dignità: dimettersi”, concludono i parlamentari grillini.

Ue chiede ancora sacrifici alla Grecia. Ma a che serve andare al voto?

Grecia partenone UeAngelo Panebianco per il Corriere della Sera (15 marzo 2015)

Il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, tra un attacco alla Germania e l’altro, ha anche dichiarato che, per arrivare a un accordo con l’Europa, il suo governo è pronto a rinviare alcune promesse elettorali. Poiché i greci non vogliono suicidarsi e il resto d’Europa (con l’apparente eccezione del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble) sembra pensare che Grexit, l’uscita della Grecia dall’euro, sarebbe un disastro per tutti, è possibile che alla fine si riesca a trovare un compromesso. In tal caso, la speranza di aver chiuso definitivamente la partita greca sarebbe talmente forte che governi, autorità dell’Unione, mass media, cercherebbero di presentare il compromesso come un grande successo.

Però, stiano attenti alla natura del compromesso che si realizzerà (se si realizzerà) perché il suddetto «successo» potrebbe anche essere l’anticamera di un più generale fallimento, quello dell’Unione. Quale è il grande e irrisolto problema dell’Europa oggi? È il «disallineamento» in atto da tempo fra il patto europeo e le regole e i principi su cui si reggono tuttora le democrazie nazionali (europee): il primo (il patto) impone che gli impegni presi reciprocamente fra i governi dell’Unione debbano essere rispettati, i secondi (le regole e i principi) impongono che i governi rispondano prima di tutto ai loro elettorati e soltanto dopo, solo in seconda istanza, all’Unione. La data emblematica in cui prende il via, platealmente, il processo di disallineamento è il 2005.

Fino ad allora, integrazione europea e democrazie nazionali avevano quasi sempre marciato insieme (con qualche eccezione, soprattutto all’epoca del gollismo negli anni Sessanta).Nel senso che gli accordi in sede europea erano sempre stati tacitamente accettati e sottoscritti dai vari elettorati.
Nel 2005, il referendum francese che affondò il trattato costituzionale europeo fu il primo segnale della grande svolta: ormai non era più pacifico o automatico che gli elettorati trangugiassero senza fiatare tutti i cocktail (o gli intrugli) preparati a Bruxelles.

Poi la crisi economica ha fatto il resto: oggi il disallineamento è assai forte. Da un capo all’altro del Vecchio Continente ci sono ormai tanti leader politici che ottengono grandi ascolti e mietono successi elettorali contrapponendo la democrazia (nazionale), le prerogative degli elettori, i diritti dell’uomo comune, alla «dittatura» europea, al potere, più o meno anonimo, delle eurotecnocrazie, alla «arroganza» della Germania, eccetera, eccetera.
Conta poco il fatto che nella propaganda antieuropea ci siano, oltre a qualche verità, anche diverse bugie.

Importa che, per effetto sia di una lunga crisi economica che degli errori commessi nel corso del tempo dalle autorità europee, quella propaganda faccia breccia in porzioni non irrilevanti degli elettorati.
Allora, attenti alla natura del compromesso che ci sarà (se ci sarà) fra i greci e l’Europa. Se potrà essere letto soprattutto come una vittoria dei greci, scatenerà i rancori dell’opinione pubblica tedesca e dei Paesi più vicini all’orientamento tedesco: sarà letto come il successo degli imbroglioni (quelli che truccano i conti), degli scialacquatori, dei parassiti che vivono alle spalle altrui. Niente di buono si preparerebbe allora per l’Unione.

Se il compromesso sarà invece letto come una sconfitta del governo greco, allora il messaggio generale – che verrà usato e rilanciato da tutti i leader antieuropei – sarà che la democrazia, in Europa, non conta nulla, che è irrilevante ciò che gli elettori vogliono mandando al governo questo o quello. Anche in questo secondo caso un futuro piuttosto cupo si preparerebbe per l’Unione. Un’uscita della Grecia dall’euro sarebbe una catastrofe per l’Europa, dicono quasi tutti. E se lo dicono quasi tutti, sarà vero.

Però, alla Grecia – un Paese che non avrebbe mai dovuto essere ammesso nell’Europa monetaria – si chiedono «riforme» che dovrebbero trasformarla in una «buona economia di mercato» (come ha osservato Giacomo Vaciago, Il Sole 24Ore , 11 marzo), in quanto tale compatibile con la moneta unica. Il punto, naturalmente, è che nessun governo greco è in grado di riuscire nell’impresa, men che mai in tempi brevi. Figuriamoci poi se può farlo un governo formato da una coalizione fra un partito di estrema sinistra (Syriza) e una formazione di destra (Greci Indipendenti).

Sarebbe come se in Italia qualcuno chiedesse a un eventuale governo presieduto da Nichi Vendola e appoggiato dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, di lavorare per il libero mercato. Vendola e Meloni (giustamente, dal loro punto di vista) penserebbero che a quel qualcuno manchi una rotella.
Grexit, dicono tante voci autorevoli, sarebbe un disastro. E chi siamo noi per dubitarne? Non tutte le alternative, però, sono migliori.

Pd, Felice Casson vince sui renziani alle primarie per Venezia

Felice Casson festeggia la vittoria alle primarie del centrosinistra - © Errebi
Felice Casson festeggia la vittoria alle primarie del centrosinistra
(foto Errebi)

Con il 55,62% dei voti, il senatore del Pd, Felice Casson ha vinto le primarie del centrosinistra per il candidato sindaco di Venezia, città che torna alle urne in anticipo dopo lo scandalo delle tangenti del Mose in cui fu coinvolto l’ex sindaco Pd Giorgio Orsoni.

Su un totale di 12.888 votanti, l’ex magistrato ha ottenuto 7.168 preferenze.

Alle sue spalle il giornalista Nicola Pellicani, con il 24,42% (3.147 voti), al terzo posto l’avvocato Jacopo Molina, con il 19,96% (2.573 voti). Felice Casson fa parte della minoranza dem, mentre Pellicani era il candidato dei renziani con l’appoggio dell’ex sindaco Massimo Cacciari.

Nella corsa alla candidatura di sindaco, l’ex magistrato era sostenuto dalla minoranza del Pd e anche da Verdi e Prc. E’ la seconda volta che Felice Casson tenta di conquistare la poltrona di sindaco di Venezia. Ci aveva già provato nel 2005, ma venne sconfitto per una manciata di voti proprio da Massimo Cacciari.

“Per Venezia – ha detto Casson – scatta da domani l’ora-zero. La città è in una situazione complicata, per le conseguenze dell’inchiesta Mose e il pesante buco di bilancio”, ha spiegato. “Ora lavoriamo tutti insieme per far vincere il centrosinistra. Bisogna ripartire – ha sottolineato

Felice Casson -, coinvolgendo le segreteria nazionali dei partiti e il governo, perché una città come Venezia, che è lo specchio del Paese nel mondo, non può essere abbandonata”.

“E’ stata una vittoria bella e netta – ha concluso Felice Casson -, in tutte le zone della città. I miei due “avversari”, Pellicani e Molina, sono stati i primi a chiamarmi, ancora a scrutinio in corso, assicurandomi che da oggi lavoreremo assieme per vincere le elezioni, senza alcun problema”.

Venezia, in seguito allo scandalo Mose che ha portato all’arresto del sindaco Dem Orsoni, è commissariata dal luglio 2014. A guidare l’ordinaria amministrazione è il commissario straordinario Vittorio Zappalorto. Con la città lagunare, il 31 maggio prossimo, giornata dell’election day, andranno alle urne altri 18 capoluoghi di provincia e oltre 1050 comuni italiani “minori”. Si voterà anche per le regionali che interessano sette regioni, Veneto incluso.

Ucraina, Putin: "La Russia era pronta alla guerra nucleare per la Crimea"

L'UOMO PIU' POTENTE DEL MONDO Vladimir Putin
Vladimir Putin

“La Russia era pronta a innalzare lo stato d’allerta nucleare durante le tensioni dello scorso anno sulla Crimea e all’indomani della destituzione del presidente ucraino Viktor Ianukovic”. E’ quanto ha rivelato il presidente russo Vladimir Putin in un’intervista in tv alla vigilia dell’anniversario dell’annessione della Penisola da parte della federazione.

“La Crimea – ha aggiunto Putin – è stata trasformata in una fortezza, con oltre 40 sistemi missilistici S-300 e una ventina di batterie mobili, insieme ad altre armi pesanti”, pronti per essere usate “pur di difendere la penisola”.

Durante l’intervista il presidente della federazione russa ha svelato di avere elementi per credere che sarebbero gli americani i “burattinai” del colpo di Stato a Kiev che portò – lo scorso anno – alla destituzione di Viktor Ianukovich in Ucraina e all’inizio delle tensioni tra i due paesi. “Gli Usa – ha detto Putin – hanno addestrato i nazionalisti”, i quali volevano “rimuovere fisicamente Ianukovich”, presidente fedele al Cremlino.

E’ passato un anno da quando è scoppiata la rivolta in Ucraina sfociata, dopo il sangue versato dai civili a Maidan, nella guerra civile che ha contrapposto il centro di potere a Kiev con il sud est ucraino in mano ai ribelli filo russi. A febbraio a Minsk viene firmato l’accordo per la tregua, tra i presidenti di Russia, Ucraina, Francia e Germania. Una tregua fragile disattesa più volte da ambo le parti ma al momento sembra reggere.

Il padre della Perestroika, Mikhail Gorbaciov lo scorso gennaio aveva “avvertito” Barak Obama che la nuova “guerra fredda” tra i due paesi potesse sfociare in una guerra vera e propria.

“Possibile – si chiedeva l’ultimo presidente dell’Urss – che tutti abbiano perso completamente la testa?”. A suo avviso, l’America “si è persa nella giungla e sta trascinando li anche la Russia”. Secondo Gorbaciov, “se si chiamano le cose con il loro nome ci ha già trascinati in una nuova guerra fredda, tentando di realizzare la sua idea di dominio. E dove ci condurrà tutto questo?

“La guerra fredda è già palesemente in corso. E poi? Sfortunatamente non posso dire con certezza che la guerra fredda non si trasformi in una guerra vera”. Il riferimento di Gorbaciov era al forte isolamento che gli Usa e l’Ue hanno avviato nei confronti di Mosca dopo la guerra in Ucraina e l’annessione della Crimea.

L’esclusione dal G8 e l’embargo occidentale non hanno prodotto gli effetti sperati dalla nomenclatura occidentale. Hanno anzi indebolito l’economia europea verso uno dei mercati più importanti del mondo. Questo atteggiamento ha rafforzato la leadership del leader russo.

La Lega e l'azzardo (perdente) di Matteo Salvini

Matteo Salvini - Lega
Matteo Salvini

Sarà sicuramente la sfida più importante delle prossime elezioni regionali, quella che si gioca in Veneto. Anche in questo caso, come lo fu in Emilia Romagna e Calabria lo scorso 23 novembre, il centrodestra, con la Lega, si appresta a correre diviso facendo largo a una non fortissima Alessandra Moretti, candidata del Partito democratico.

Lo scontro “fratricida” tra il segretario della Lega Matteo Salvini e il sindaco di Verona Flavi Tosi, culminato con l’espulsione dell’ex segretario della Liga Veneta, inciderà, salvo soprese, non poco nella partita del 31 maggio.

Il governatore uscente Luca Zaia, favoritissimo fino a un mese fa, rischia di non centrare l’obiettivo sebbene pezzi della Lega lo danno vincente. Un pezzo importante della sua maggioranza, almeno in Veneto, è stata espulsa dal movimento e alle prossime consultazioni vuole legittimamente “contarsi”.

Dalla loro, Salvini e Zaia possono forse contare sull’alleanza con Forza Italia (ancora incerta) che tuttavia non è più la macchina di voti di cinque anni fa, quando con Berlusconi nel pieno dei suoi poteri, raggiunse nel 2010 il 24,74, mentre la Lega “pre-scandalo” volò oltre il 35 portando Zaia in trionfo col 60 percento. Era il Popolo delle Libertà tutto unito. Non c’erano né Renzi né il M5S. Oggi il quadro è radicalmente cambiato.

Flavio Tosi
Flavio Tosi

E la tendenza (in discesa) è testimoniata da tre importanti appuntamenti elettorali come le politiche del 2013, le Europee di maggio 2014 e le regionali del novembre scorso. Solo la Lega ha superato le aspettative (e Forza Italia) in Emilia Romagna, ma la strategia “suicida” dell’ex premier coi veti al Ndc da Fi (e Salvini), ha dato la vittoria a tavolino al Pd di Bonaccini. Stesso copione in Calabria, dove però la Lega non esisteva.

In una intervista ad Affari Italiani, il leader leghista sottolinea la “grande fiducia” dei veneti verso Zaia. “Sicuramente – spiega – mi auguro che Forza Italia appoggi Luca Zaia in Veneto, perché è appoggiato dalla stragrande maggioranza dei veneti e quindi spero che con noi ci sia anche Forza Italia, visto che abbiamo lavorato bene insieme per cinque anni”. Cinque anni passati anche insieme al Ncd di Angelino Alfano così come nella Lombardia governata da Roberto Maroni.

Salvini si mostra ottimista e parla di sondaggi “molto buoni”, in favore della Lega. “Zaia – sostiene – è in vantaggio in tutti i sondaggi che ho visto”. Ma, al di là dei sondaggi, la strategia messa in atto dall’ambizioso leader leghista, ricorda per certi versi quella (perdente) di Berlusconi alla vigilia delle passate regionali.

Il segretario del Carroccio fino a qualche settimana prima della rottura con Tosi aveva un grande “consenso” nel paese, favorito dall’entusiasmo verso il nuovo soggetto politico nel centro sud e da timidi ma positivi umori circa il netto cambio di rotta della Lega. Temi di grande attualità come l’immigrazione, la crisi economica, l’Europa sono argomenti che tirano consenso. Ma come molti sondaggi del passato, il grande consenso non automaticamente si trasforma in voti nelle urne. Sarebbe un errore pensare il contrario. Solo per fare un esempio, nessun istituto di sondaggi immaginava il boom di Matteo Renzi che ha portato il suo Pd al 41 percento, quando quel partito non mostrava di avere “consenso” nel Paese, ma forte diffidenza rispetto al “governo delle slide”.

Alessandra Moretti
Alessandra Moretti

Certamente, un contenitore nazionale (Noi con Salvini) che si accinge per la prima volta a confrontarsi in altre regioni italiane sono tanto di guadagnato per il Carroccio, ma l’idea di sbilanciarsi troppo a Sud alla fine rischia di scoprire la “coperta” nelle regioni del Nord, il cui elettorato leghista è ancora scottato dalle inchieste sul cerchio magico bossiano. L’epurazione di Tosi non restituisce una bella immagine all’esterno. Anzi, il suo metodo dà la netta impressione che il vecchio cerchio magico è stato sostituito con il suo, quello del leader leghista…

Salvini sembra “sulla carta” vincente, non perché propone ricette e programmi credibili, ma soltanto perché c’è un grande vuoto nel centrodestra che chiunque, non solo Salvini, potrebbe colmare cavalcando il malessere della cosiddetta società civile. Lo ha dimostrato l’ex comico del M5S, Beppe Grillo che nel 2013 vinse facendo leva sullo stesso malcontento, abile però a sfruttare la sua “neutralità” identitaria che gli ha consentito di sottrarre voti a destra e a sinistra.

Oggi Matteo Salvini per molti (soprattutto per i media) sembra essere l’ombelico del mondo, ma non è, come egli crede di essere, l’unico detentore della “verità”. Levandosi di torno il sindaco di Verona ha commesso un grave errore politico che ha bruciato ogni sua ambizione di diventare un vero leader a disposizione del centrodestra, oltre che mettere a repentaglio il successo di Zaia. Un errore evitabile se solo fosse stato meno “narcisista” e un tantino più “lungimirante” poiché uniti si vince, divisi si perde.

Al popolo del centrodestra non resterà che il vuoto, o ancora puntare (giocoforza) sull’anziano leader, Silvio Berlusconi che a proposito delle alleanze gli ha mandato a dire più o meno così: “Non puoi scegliere di allearti quando e dove ti fa comodo. O lo fai in tutta Italia o non sosterrò Zaia”. Il “duro e puro” della Lega ne esce malissimo perché, dopo il clamoroso errore su Tosi, se vuole restare a galla, deve accettare di stringere alleanze anche col tanto odiato Alfano, che già ad esempio in Campania sostiene il candidato di Fi, Stefano Caldoro. E poi come lo spiegherà agli elettori del Carroccio?

Strage di cristiani in Pakistan. I Taliban uccidono 15 fedeli. Appello del Papa

Una delle chiese attaccate dai Taliban (Ansa-Ap/Chaudary)
Una delle chiese attaccate dai Taliban (Ansa-Ap/Chaudary)

E’ ancora strage di cristiani, questa volta in Pakistan. Due kamikaze talebani hanno causato oggi la morte di almeno 15 fedeli ed il ferimento di altri 78 che pregavano in due chiese di Lahore, capitale culturale pachistana, riportando ancora una volta sotto i riflettori la dura condizione di vita della minoranza religiosa perseguitata nel Paese.

I kamikaze erano vicini all’Is e appartenenti al Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP) Jamat-ul-Ahrar, che ha rivendicato l’attacco a sostegno dell’introduzione in Pakistan della Sharia (legge islamica), si sono fatti esplodere in mattinata all’ingresso delle due chiese, vicine fra loro, del quartiere di Youhanabad (la cattolica St John’s Church e la cristiana Christ Church), dopo essere stati bloccati da due agenti che hanno perso la vita nel gesto.

Gli attentati hanno investito in pieno i fedeli che entravano e uscivano dai luoghi di culto, causando la morte anche di numerose donne e bambini, mentre fra i feriti almeno 30 sono gravi e ricoverati in rianimazione negli ospedali di Lahore.

La disperazione dei fedeli dopo l'attacco kamikaze (Ansa-Ap/Khan)
La disperazione dei fedeli dopo l’attacco kamikaze (Ansa-Ap/Khan)

All’Angelus papa Francesco ha evocato la tragedia appena avvenuta: “Con dolore, con molto dolore ho appreso degli attentati terroristici contro due chiese cristiane a Lahore che hanno provocato morti e feriti. I cristiani sono perseguitati e versano il sangue solo perché cristiani”.

Dopo le scene di panico ed il fuggi fuggi seguiti alla duplice esplosione, una folla di manifestanti furiosi per l’accaduto si è impossessata delle strade della città, sottraendo fra l’altro a forza alla polizia due sospettati di aver collaborato agli attentati, che sono stati torturati in strada e bruciati vivi. Alcune migliaia di persone esasperate e armate anche di mazze si sono dirette verso Ferozpur Road dove, in un gesto insolito per la pacifica comunità cristiana locale, hanno danneggiato vetrine di negozi ed auto in sosta, assaltando anche una stazione del nuovo servizio urbano di Metro-Bus.

Molte centinaia di dimostranti sono scesi in piazza per molte ore anche in varie altre città (Peshawar, Faridabad, Multan e Quetta) ed a Karachi, nel sud del Pakistan, dove sono stati incendiati pneumatici per bloccare una via di grande scorrimento. Le autorità cristiane pachistane hanno decretato tre giorni di lutto per le vittime provocate dai talebani, mentre domani resteranno chiuse tutte le scuole cristiane del Punjab. Condannando gli attentati di Lahore, sua città natale, il premier pachistano Nawaz Sharif li ha definiti “non un attacco alla comunità cristiana ma allo stesso Stato pachistano”.

strage di crisitiani
La disperazione dei fedeli dopo l’attacco kamikaze (Ansa-Ap/Chaudary)

Da parte sua il ministro della Difesa, Khawaja Muhammad Asif, ha parlato di “un’aggressione contro l’umanità”. Dura anche la condanna da parte di Nazir S. Bhatti, presidente del Congresso cristiano pachistano (Pcc) il quale ha sostenuto che il governo del Punjab “non ha adottato sufficienti misure di protezione per le chiese”. “La violenza contro i cristiani – ha assicurato – sta aumentando in Punjab dove bambini, donne e uomini cristiani vengono bruciati vivi con il pretesto della legge sulla blasfemia e dove le case di molti cristiani vengono incendiate ogni settimana ed i responsabili restano in piena libertà”.

Nel 2011, fra l’altro, almeno due personalità politiche pachistane – l’ex ministro per le minoranze, Shahbaz Bhatti, e l’ex governatore del Punjab, Salman Taseer – sono state uccise per aver preso posizione a favore di Asia Bibi, la madre cristiana di cinque figli condannata a morte per un gesto blasfemo da lei negato. L’attacco odierno contro le due chiese è il più grave dal 2013, quando una duplice esplosione in una storica chiesa di Peshawar causò la morte di 82 persone.

Morto suicida l'ex giudice Giancarlo Giusti. Condannato per mafia, si dichiarò innocente

Giancarlo Giusti, ex giudice morto suicida
Giancarlo Giusti, ex giudice morto suicida

L’ex gip del Tribunale di Palmi, Giancarlo Giusti, agli arresti domiciliari dopo essere stato coinvolto in due inchieste delle Dda di Milano e Catanzaro su suoi presunti rapporti con esponenti della ‘ndrangheta, si è impiccato nella sua abitazione di Montepaone, un piccolo borgo nel catanzarese dove viveva da alcuni mesi.

Giancarlo Giusti, aveva 48 ann e viveva da solo da quando si era separato dalla moglie. Il corpo senza vita è stato trovato da un parente. Sul posto si sono recati il pm di turno della Procura della Repubblica di Catanzaro ed i carabinieri del Comando provinciale. Giusti era stato coinvolto nelle inchieste anti ‘ndrangheta delle Dda di Milano e Catanzaro contro i clan Valle-Lampada e della cosca Bellocco.

I guai giudiziari di Giancarlo Giusti cominciarono a novembre del 2011, quando la Dda di Milano portò alla luce una presunta rete criminale tra politici, ‘ndranghetisti e apparati dello Stato.

Il gip di Milano Giuseppe Gennari nell’ambito dell’inchiesta “Infinito”, condotta dal pm Ilda Boccassini, firmò l’ordinanza di custodia cautelate per decine di esponenti legati alla cosche Valle-Lampada.

Oltre ai presunti boss, in manette finirono, fra gli altri, Giuseppe Vincenzo Giglio, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria e il consigliere regionale del Pdl Francesco Morelli. Una inchiesta imponente che da Milano a Reggio Calabria, sfiorò anche il Campidoglio guidato all’epoca da Gianni Alemanno.

L’ULTIMA INTERVISTA A KLAUS DAVI: «VOLEVO MORIRE PER PROTESTARE LA MIA INNOCENZA»

L’ex togato Giancarlo Giusti, in questa operazione venne dapprima indagato per poi essere arrestato nel marzo 2012. Dopo l’arresto, venne sospeso dal Consiglio superiore della magistratura. A settembre dello stesso anno venne condannato con sentenza di primo grado a quasi quattro anni di reclusione per corruzione aggravata dalla finalità mafiosa. Sentenza confermata in Appello e resa poi definitiva in Cassazione.

ex Giudice Giancarlo GiustiNel carcere milanese di Opera, l’ex giudice tentò il suicidio ma venne salvato in extremis dalla polizia penitenziaria. Dopo il tentato suicidio venne accolta la richiesta dei legali per i domiciliari per le sue precarie condizioni di salute. Passa poco tempo, però, che l’uomo viene arrestato di nuovo. Questa volta nell’ambito dell’operazione “Abbraccio” contro la cosca Bellocco scattata la mattina del 14 febbraio 2014 su disposizione della Dda di Catanzaro diretta da Vincenzo Antonio Lombardo.

Nei provvedimenti restrittivi notificati a Giancarlo Giusti e ad altre sei persone vennero contestati, a vario titolo, i reati di corruzione in atti giudiziari aggravata dall’aver favorito una cosca di ‘ndrangheta e il concorso esterno in associazione mafiosa.

Accuse pesantissime davanti alle quali l’ex gip non ha retto e si è tolto la vita per il “troppo disonore”, come ha affermato lui stesso nell’intervista in video quando spiegò il tentato suicidio nel carcere milanese.

Giubileo, contro l'Isis Alfano invia a Roma 5mila agenti dall'Expo

Agenti in piazza San Pietro - Giubileo Papa Francesco“Non ci aspettavamo l’annuncio di un avvenimento così importante ed impegnativo”, come l’Anno Santo Straordinario ma, in ogni caso, “sotto l’aspetto della sicurezza, Roma sarà certamente pronta ad affrontare il Giubileo”.

E’ quanto afferma il ministro dell’Interno, Angelino Alfano in un’intervista apparsa stamane sul Messaggero. Il titolare del Viminale spiega che “la minaccia terroristica andrà riesaminata e sottoposta ad una valutazione nuova”, alla luce di due grandi eventi mondiali come l’Expò e il Giubileo.

“Allo stato i messaggi che l’Is così abilmente diffonde sono uno strumento di propaganda. Noi non sottovalutiamo niente. Abbiamo alzato il livello di allerta al massimo, sebbene a tutt’oggi non si registrino fatti che riconducano a una minaccia specifica”, afferma Alfano. “I nostri esperti continuano a temere più l’azione del singolo attentatore radicalizzato in Italia, che l’arrivo di terroristi organizzati”.

L’Expò, che impegnerà “5mila uomini”, “terminerà il 31 ottobre prossimo”, pertanto, spiega Alfano, “avremo un mese per trasferire l’apparato predisposto a Milano su Roma secondo un piano che già da lunedì vede il Dipartimento della Pubblica sicurezza impegnato”. Gli uomini seguiranno “a fine marzo, corsi antiterrorismo già previsti”, afferma il ministro.

“La prossima settimana – aggiunge – incomincerà ad operare una cabina di regia per le esigenze di sicurezza e di ordine pubblico presso il Viminale e saranno costituti gruppi di lavoro ad hoc. Immagino che serviranno parecchi uomini, ma sarà il lavoro di pianificazione a stabilire quanti”.

Anche la quantificazione dei fondi “sarà fatta al termine della definizione del piano. L’Italia è un grande Paese: faremo il nostro e certamente non chiederemo il sostegno del Papa in termini economici”, dice Alfano, secondo cui “è presto per dire se sarà necessario ricorrere a provvedimenti straordinari o a figure commissariali sul vecchio modello grandi eventi”.

Alla domanda se prevale la “paura” del terrorismo internazionale o “il carisma del Papa”, il ministro ha risposto che prevarrà “il messaggio di semplicità di Papa Francesco”.

L’Anno Santo Straordinario è stato annunciato il 13 marzo a sorpresa da Papa Francesco. Un Giubileo dedicato alla Misericordia che porterà nella città Eterna “cifre considerevoli”, ossia milioni di fedeli come nel Giubileo del 2000 indetto da Giovanni Paolo II.

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