7 Ottobre 2024

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Disastro Germanwings: “E’ stato il copilota”, ma qualcosa non torna sul kamikaze

Andreas Lubitz il copilota presunto "kamikaze" dell'A320 di Germanwngs
Andreas Lubitz il copilota presunto “kamikaze” dell’A320 di Germanwngs

Sarebbe stato il copilota a volersi suicidare con l’Airbus 320 della compagnia Germanwings. Il suo nome è Andreas Lubitz, 28 anni, tedesco con 630 ore di volo sulle spalle. Lo affermano le autorità francesi dopo aver ascoltato le tracce audio prelevate da quel che rimane dei flight data recorder.

Fino a ieri non c’erano prove a sostegno di questa tesi, ma non mancavano indizi che avvaloravano sempre di più la pista terroristica o un gesto suicida deliberato. Che poi cambia poco nella sostanza. Se fosse questa la ricostruzione reale, ci troveremmo davanti a un kamikaze in giacca e cravatta e senza cinture esplosive che avrebbe deciso di trascinare con sé altre 149 persone.

Ieri, il New York Times, citando fonti anonime del Bea, aveva pubblicato in esclusiva indiscrezioni circa un pilota rimasto fuori dalla cabina. La pista di un’azione suicida insieme a quella di un commando era l’unica rimasta per esclusione delle altre: nessuna avversità meteo, niente avarie, niente depressurizzazione, niente imperfezioni nel sistema computerizzato di bordo. Niente di tutto questo.

La cabina di pilotaggio di un Airbus 320 simile a quello precipitato della Germanwings
La cabina di pilotaggio di un Airbus 320 simile a quello precipitato della Germanwings

Ricostruzione verosimile basata su quanto dichiarato dalle autorità francesi che indagano sul crash. Tuttavia manca il movente. Perché l’avrebbe fatto, resta un mistero tutto da chiarire. Gli sviluppi potrebbero essere diversi poiché alcune cose non tornano.

Un soccorritore vicino ai resti del Germanwings
Un soccorritore vicino ai resti del Germanwings (Epa)

E’ altamente probabile che il presunto kamikaze per portare a termine la sua missione suicida abbia svuotato i serbatoi di carburante già prima di entrare nello spazio aereo francese da dove è cominciata la discesa verso la morte insieme al carico di passeggeri e membri dell’equipaggio. Un’azione “deliberata” che appare calcolata nei minimi dettagli. Appare.

Sui serbatoi, giovedi mattina avevamo pubblicato una ipotesi per cercare di fornire un elemento in più alla ricostruzione dell’accaduto. Sul luogo dell’impatto non sembrano esserci aree bruciate, al di là del poco fumo che si è visto nelle immagini. Dalle riprese dall’alto e dalle foto dei soccorritori i colori dei rottami appaiono vivi, non sfiorati dal fuoco, a differenza, invece, di altri disastri aerei come per esempio l’MH17, in Ucraina. Il jet della Malaysia Airlines quando è stato colpito dal missile sopra i cieli ucraini aveva nei serbatoi tonnellate di carburante, forse tre quarti o comunque a sufficienza per raggiungere Kuala Lampur, in Malesia. L’aereo, secondo immagini amatoriali, venne giù a picco schiantandosi a terra con tutto il carico di cherosene. Anche qui un’apocalisse, ma con chiazze d’olio bruciato dappertutto.

Andreas Lubitz il copilota presunto "kamikaze" dell'A320 di Germanwngs
Andreas Lubitz il copilota presunto “kamikaze” dell’A320 di Germanwngs

Nel caso del GermanWings lo scenario sembra molto diverso. L’aereo si infrange in migliaia di pezzi contro la roccia ma non va a fuoco. Non sembrano esserci aree oleose. Eppure doveva essere pieno di carburante per almeno tre quarti, avendo percorso meno di metà del tragitto.  Per farsi un’idea, basti pensare per un attimo all’esplosione dei Boeing subito dopo il catastrofico impatto con le Torri gemelle di New York, l’11 settembre 2001. E fra l’altro ad una velocità molto inferiore di quella “certificata” dal Bea per il Germanwings. Nelle foto dell’attentato alle Twin Towers, si ricordano due giganteschi funghi di fiamme e fumo.

Un giallo? Forse. Se l’Airbus A320 non è andato a fuoco sulle Alpi significa che non aveva più carburante nei serbatoi. E’ stato fatto quello che in gergo si chiama “fuel dumping”? Non è dato sapere. Avvalorando per un momento questo assunto, il punto di domanda ulteriore (sollevato anche nei forum) è: perché il giovane “suicida”, consapevole fino “all’ultimo respiro” del suo gesto aveva bisogno di svuotare i serbatoi del carburante?

L'impatto dei boieng sulle Torri gemelle l'11 settembre 2001
L’impatto dei boieng sulle Torri gemelle l’11 settembre 2001

Il procuratore di Marsiglia non accenna nulla al riguardo. Le procedure dell’aviazione dicono che i serbatoi, per sicurezza, devono essere svuotati in aria in caso di emergenza. Quindi, può essere che le cose siano andate diversamente? Cioè che il pilota abbia svuotato il carburante per tentare un atterraggio di emergenza in seguito a un guasto per la compagnia “inconfessabile” o altro? Ma perché non ha comunicato con in controllori di volo a terra? Un malore? Mistero.

Ecco la differenza tra i disastri A320 e MH17. A sinistra non appaiono segni di fuoco
Ecco la differenza tra i disastri A320 e MH17. A sinistra rottami del A320. Non appaiono segni di “fuoco” come invece a destra

E’ un dettaglio che inizialmente sembrava “irrilevante”, ma che ora assume molta importanza dopo gli sviluppi di giovedi in cui viene ufficializzata una “verità” “frettolosa” e non proprio chiara sullo schianto. Un pilota fino al giorno prima definito da tutti “impeccabile” ma che all’improvviso è diventato “matto, depresso e kamikaze”. I magistrati francesi avrebbero fatto bene a rendere immediatamente pubblici i file audio delle scatole nere per fugare da subito ogni lecito dubbio…Leggi le contraddizioni sul disastro.

[ultimo aggiornamento 28/03/2015 ore: 13:36]

Crash GermanWings, forse un pilota kamikaze. Avrebbe svuotato i serbatoi

Parte della fusoliera del A320. I colori sono intatti. Il colore scuro della roccia sono normali
Parte della fusoliera del A320. I colori sono intatti. Il colore scuro della roccia sono normali

L’ipotesi pubblicata dal New York Times di un pilota fuori dal “cookpit” non può escludersi a priori. Restano i dubbi sull’altro pilota rimasto in cabina. Un comandante a quasi metà tragitto, con velocità e altitudine di crociera, in genere attiva il pilota automatico.

Cosa è successo? Perché il pilota rimasto solo al comando lo ha disattivato e ha perso il totale controllo dell’aereo? Un malore? Può darsi. Un pilota kamikaze? Non è da escludere. Per accertare se il comandante fosse o meno fuori dalla cabina di pilotaggio potrebbero essere d’aiuto oltre agli audio dei flight data recorder, anche le tracce del suo plasma nell’abitacolo. Il “cookpit” come il resto dell’aereo è disintegrato, ma come già successo in passato (in Italia con il Dc9 di Ustica) è possibile ricostruirlo pezzo per pezzo.

Mh17 caduto in Ucraina, I   rottami e l'area del crash sono bruciati
Mh17 caduto in Ucraina, I rottami e l’area del crash sono bruciati

Ciò che al momento sembra strano è che dai rottami rinvenuti e fotografati non emergono “a vista” segni di “bruciatura”. Il luogo del disatro non sembra presentare chiazze di carburante bruciato come è invece accaduto in Ucraina. La comparazione delle immagini lo dimostrano. L’aereo insomma non sembrerebbe aver preso fuoco nell’impatto, ma si è infranto in migliaia di pezzi per l’urto violentissimo contro la parete rocciosa. I colori dei detriti appaiono vivi, non “imbruniti” dalle fiamme.

Resti del MH17 in un'area bruciata. Sullo sfondo la differenza con la vegetazione
Resti del MH17 in un’area bruciata. Sullo sfondo la differenza con la vegetazione

Ciò potrebbe significare che l’Airbus era a corto di carburante. Un aereo low cost, ma anche gli altri, non riempie mai i serbatoi. Tonnellate di kerosene in più incidono sui consumi e per un volo “classe economica” fare “il pieno” non conviene.

Nel caso dell’Airbus A320, i serbatoi erano stati riempiti giusto per la tratta Barcellona – Düsseldorf più un “5 percento” che in genere, secondo siti specializzati dell’aviazione civile, “serve per eventuali imprevisti”. Dipende tuttavia da aereo ad aereo, da rotta a rotta.

Un rottame dell'A320 dai colori vivi.
Un rottame dell’A320 dai colori vivi.

Davanti all’ipotesi di piloti kamikaze potrebbe darsi che i serbatoi siano stati svuotati prima di entrare nello spazio aereo francese. Da qui si spiegherebbe la “planata” verso le Alpi. Una perdita di quota regolare e costante fino al crash. Teoria, fra le tante, probabile. Ma per un riscontro si dovrà attendere l’esame sugli audio delle scatole nere oltre che sui resti dei passeggeri.

Tangenti, Gip: "Da Perotti soldi a personaggi istituzioni"

Un cantiere della tav
Un cantiere della Tav

Stefano Perotti resta in carcere, come Ercole Incalza. Per i due principali indagati nell’inchiesta fiorentina sui grandi appalti, dopo gli arresti della scorsa settimana “il quadro indiziario si è ulteriormente aggravato”. Negli interrogatori di garanzia entrambi hanno negato di aver “brigato” per pilotare alcune fra le più importanti opere pubbliche italiane, dall’Alta velocità alla Salerno-Reggio Calabria, ma il Gip non ha creduto alla loro versione dei fatti. Anzi. Perotti, scrive il giudice fiorentino Angelo Pezzuti, “di fatto, ha finanziato la società Green Field, che aveva come scopo quello di pagare personaggi istituzionali”. Quali? Incalza, appunto, e il suo collaboratore, Sandro Pacella, ora ai domiciliari.

Il succo delle accuse formulate dai pm Luca Turco, Giuseppina Mione e Giulio Monferini e dai carabinieri del Ros di Firenze è riassunto dal gip in cinque righe: l’ex capo della struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture, Incalza, “avrebbe procurato a Perotti”, ingegnere e imprenditore, “una serie di incarichi di progettazione e di direzione dei lavori in relazione a opere pubbliche o, comunque, l’avrebbe agevolato nel conseguimento dei suddetti incarichi, ricevendo, per sé e per Sandro Pacella, l’utilità costituita dalla loro partecipazione di fatto alla Green Field System, società che erogava in loro favore somme di denaro”.

Da quanto emerso nelle indagini, scrive il gip, che Incalza abbia favorito Perotti è “evidente e incontestabile”. Per quanto riguarda la Green Field, “snodo fondamentale della vicenda”, durante l’interrogatorio di garanzia Perotti “ha affermato, con chiarezza, di essere stato lui a costituire la società” e, aggiunge il gip, sebbene poi abbia cercato di fare marcia indietro, “sembra tuttora il vero amministratore della stessa e proprietario delle quote”. A cosa servisse la Green Field lo spiega in un’intercettazione un collaboratore di Perotti, Massimo Fiorini: “E’ una società di pubbliche relazioni con il mondo parlamentare”. E’ dopo aver riportato questo passaggio che il gip, per sottolineare i legami fra la Green Field e funzionari dello Stato, ricorda come Incalza “abbia ricevuto ingenti somme di denaro, fino al 2008, dalla stessa società” sotto forma di compensi per “prestazioni di consulenza”.

Ad aggravare il quadro indiziario contro Perotti, così come contro Incalza, ci sono anche le buste trovate dietro dei libri negli uffici della Green Field. Contenevano 2 mila euro: gli investigatori ritengono fossero il residuo di circa 50 mila euro in parte ‘dirottati’ verso Incalza e Pacella. E poi c’è la lettera trovata a Perotti. Era su carta intestata ‘Il ministro delle Infrastrutture e Trasporti’, era indirizzata a Palazzo Chigi e aveva “come oggetto – scrive il gip – la sollecitazione a fissare il calendario delle prossime riunioni del Cipe in relazione ad alcuni interventi”. Questo, annota il gip, “lascia ritenere che”, nonostante Incalza sia ‘in pensione’ da gennaio 2015, “il canale di relazioni tra Perotti e i soggetti istituzionali sia ancora aperto”.

Migranti, Dda: Isis al timone degli sbarchi per l’Italia

Sbarco di 482 immigrati al porto di Reggio CalabriaCi sarebbero gruppi armati libici a organizzare, per autofinanziarsi, molti sbarchi di migranti sulle coste italiane in particolare in Sicilia e Calabria. E’ quanto emerge da un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo che da tempo indaga sui cosiddetti viaggi della speranza ipotizzando il reato di tratta di esseri umani.

Da alcune intercettazioni emerge infatti un collegamento tra i trafficanti di esseri umani, già identificati e indagati, e gruppi di miliziani libici. “Abbiamo guadagnato un milione di dollari”, dice in una telefonata “ascoltata” dagli investigatori un personaggio che fa parte di un gruppo combattente. Ora i magistrati palermitani stanno cercando di ricostruire di quale tra le fazioni che si fronteggiano in Libia si tratti.

Come già detto dalle procure antimafia in passato, non si esclude che dietro gli sbarchi ci siano appartenenti all’Isis. A confermare il collegamento tra i cosiddetti viaggi della speranza e le frange armate libiche anche un episodio accaduto a febbraio scorso a largo delle coste del paese nordafricano: una motovedetta della Guardia Costiera, impegnata nelle operazioni di soccorso di un gruppo di migranti, fu assaltata da uomini armati.

Il personale della Capitaneria di Porto, temendo per l’incolumità degli extracomunitari che stavano per essere presi a bordo della motovedetta italiana, non rispose al fuoco. E i libici, che apparterrebbero allo stesso gruppo intercettato dalla Dda, riuscirono a riprendersi il barcone usato per la traversata del Canale di Sicilia. [Updated 15-4-2015]

Disastro A320 della Germanwings, avanza lo “spettro” del terrorismo

Un elicottero sul luogo del disatro areo Germanwings
Un elicottero sul luogo del disatro areo Germanwings

Ci sarebbe l’ombra del terrorismo dietro il gravissimo disastro aereo di martedi sulle Alpi merdionali francesi? Le autorità non citano lo “spettro”, ma cominciano a pensarlo per esclusione degli altri fattori.

Un mistero che solo l’analisi delle scatole nere, fra l’altro danneggiate, può aiutare a chiarire i motivi del disastro. Un incidente che risulta “inspiegabile” per tutti gli esperti e addetti ai lavori.

Le autorità stano battendo tutte le piste percorribili per risalire alle cause dello schianto. I punti oscuri sono tanti. Il primo che è appena balzato agli occhi del Bea – l’agenzia francese per la sicurezza dell’aviazione civile – è perché i piloti non abbiano lanciato immediatamente il famoso “mayday – mayday” e per quali motivi non abbiano risposto a tre contatti radio da terra.

Hanno avuto circa 15 minuti per farlo; da quando cioè l’aereo si trovava a quota 38.000 piedi (circa 11.500 metri) per poi cominciare a scendere progressivamente appena entrati nello spazio aereo francese. L’Airbus non è caduto in picchiata come si pensava in un primo momento: “E’ sceso ad un ritmo normale”, fanno sapere gli investigatori.

GLI ELICOTTERI SORVOLANO IL LUOGO DEL DISASTRO

Né si tende ad accreditare l’ipotesi di una esplosione a bordo. I rottami sembrano concentrati nel raggio di un chilometro. Inoltre, una eventuale “palla di fuoco” nei cieli sarebbe stata notata dagli abitanti delle città sottostanti.

Le condizioni climatiche erano normali o comunque tali da permettere un volo in tutta sicurezza. Un dato confermato da molti piloti (che volano in condizioni meteo molto peggiori) e dagli stessi istituti di rilevamento climatico.

Tra le ipotesi più accreditate vi è la depressurizzazione del vettore che sarebbe potuta avvenire a seguito dell’apertura o perdita di un componente o un guasto improvviso al sistema di ventilazione oppure ancora per una repentina perdita di carburante. Come già successo in passato, questa ipotesi avrebbe potuto causare ipossia, ossia l’annebbiamento dei sensi dei piloti per carenza di ossigeno. Per questi casi gli aeromobili sono dotati di mascherine ad hoc che consentono a membri dell’equipaggio e passeggeri di indossarle al volo (al bisogno cadono giù da sole) e continuare a respirare fino a quando l’aereo raggiunge una quota di “sicurezza” per l’ossigeno. A detta di molti comandanti, fra l’altro, è quasi impossibile che l’aereo precipiti, perché si attiva il pilota automatico mantenendo rotta e altitudine. La compagnia ha spiegato che il velivolo era in perfette condizioni, nonostante i suoi 24 anni di vita.

Il cockpit (cabina di pilotaggio) di un Airbus 320
Il cockpit (cabina di pilotaggio) di un Airbus 320

Negli anni trascorsi ci sono stati casi di depressurizzazione, pare anche su uno degli aerei della flotta GermanWings – Lufthansa. Un caso in particolare di depressurizzazione “fatale” è avvenuto sul volo cipriota della Helios Airways 522, precipitato con 121 persone in Grecia nell’agosto del 2005. L’aereo era andato in “tilt” poiché i piloti avrebbero azionato il sistema di pressurizzazione manuale anziché quello automatico. In questo caso, come venne accertato dalle commissioni d’inchiesta, vennero comunque giù le mascherine dell’ossigeno e i piloti riuscirono a comunicare più volte sia con la torre di controllo che con la compagnia prima di perdere i sensi e schiantarsi con i serbatoi a secco.

Oltre alle scatole arancioni, per comprendere se la causa del disastro GermanWings sia stata la depressurizzazione (ovvero un caso di decompressione esplosiva), è importante esaminare i poveri resti. Esistono tecniche che consentono di accertare se la morte è avvenuta a bordo per assenza di ossigeno oppure a seguito dello schianto. Ci vorrà comunque del tempo poiché le operazioni di recupero avvengono in un contesto estremamente difficile. Si parla di settimane.

Tornando dunque al principale mistero -il mancato Sos da parte dei piloti – si fa strada l’ipotesi di un possibile sabotaggio. Le autorità riferiscono che “non è la pista privilegiata”, ma non la escludono. L’aereo non precipita in picchiata ma perde quota in modo “normale”, cioè senza “traumi” per i passeggeri, né brusche virate da parte dei piloti. E si schianta frontalmente con il massiccio montuoso a oltre duemila metri di quota. Gli investigatori, come da prassi, stanno esaminando nei minimi dettagli la lista dei passeggeri per capire se a bordo vi fossero elementi sospetti riconducibili ad organizzazioni terroristiche. Non si esclude nemmeno “un’accertamento” sui membri dell’equipaggio: una volontà suicida da parte dei piloti?

Dopo l’11 settembre è vero che sono stati rafforzati i sistemi di sicurezza. Per entrare in una cabina di pilotaggio è oggi “un’impresa”, ma non improbabile se si ricorre a degli “escamotage”. Tuttavia, in questo caso manca il “movente politico” poiché i terroristi prediligono azioni eclatanti da compiere su obiettivi conosciuti per comunicare nell’immediato il “terrore” e la loro forza di minaccia. Una pista che sembrerebbe non convincere fino in fondo le autorità. Quel che però “inquieta” e alimenta i sospetti, è il silenzio radio dopo l’inizio della discesa verso la morte…Appunto, inspiegabile!

Disastro Germanwings, “Recupero complesso”. Danneggiata la scatola nera

Operazione di ricerca sul luogo del disastro A320Attese oggi le prime risposte sulle cause dello schianto sulle alpi francesi dell’Airbus della GermanWings, costato la vita a 150 persone: prevista una conferenza stampa sul ritrovamento di una delle scatole nere, che risulta però danneggiata. Tuttavia, riferiscono le autorità, il recupero dei dati è possibile.

Sul luogo della tragedia arriveranno intanto oggi Hollande, Merkel e Rayoj per Francia, Germania e Spagna. Oltre a cittadini turchi, non si escludono anche vittime britanniche. Ieri sera le condoglianze di Obama.

Sono riprese alle prime luci del giorno le operazioni sul massiccio dei Trois-Eveches, in Alta Provenza, sulle Alpi francesi al confine con l’Italia, dove ieri si è schiantato l’Airbus A320. Recuperata una delle scatole nere dell’aereo, soccorritori e forze dell’ordine sono impegnate ora nel difficile recupero di indizi che possano far luce sulle cause della tragedia.

Un soccorritore vicino ai resti del Germanwings
Soccorritore vicino ai resti del Germanwings

Nonostante il buio e le precipitazioni della notte, in quota è rimasta anche una squadra specializzata nell’individuazione delle vittime dell’incidente. In giornata è atteso l’arrivo al campo base di Syene-Les-Alpes del presidente francese Francois Hollande, che accoglierà la cancelliera tedesca Angela Merkel e il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy.

La prima scatole “nera” del volo A320 della compagnia Germanwings ritrovata a marzo

Sette investigatori della Bea – Bureau francese di analisi per la sicurezza dell’aviazione civile – accompagnati da consulenti tecnici della Germanwings, del Cfm International, e dell’agenzia Bfu, omologa tedesca del Bea, si sono recati sul luogo dell’incidente per una prima analisi sul disastro.

Terranno nel pomeriggio una conferenza stampa a Parigi. Gli inquirenti hanno ritrovato ieri una prima scatola nera, risultata danneggiata, che dovrebbe contenere le conversazioni dei piloti all’interno della cabina di pilotaggio.

Black box in the plane
Le scatole “nere” si trovnoa nella parte posteriore dell’aereo

 

Un team di soccorritori è alla ricerca del secondo box arancione (Flight data recorder). Nelle scatole nere (in realtà sono arancioni) vengono registrati tutti i dati del viaggio, dal decollo all’atterraggio, riferiti all’altitudine, la velocità, colloqui in cabina, i contatti con la torre di controllo e tantissime altre preziose informazioni.

La tragedia del volo Barcellona-Düsseldorf si è consumata in alta montagna, tra Digne-Les-Bains e Barcellonette in una zona impervia, accessibile solo a piedi o con l’ausilio degli elicotteri.

In quella che è una delle peggiori catastrofi aeree della storia dell’aviazione civile europea i morti confermati sono 150 tra passeggeri e personale di bordo.

Smantellata cellula Isis in Italia. Arresti a Torino e in Albania. Califfato recluta bambini

Un fotogramma del video della Polizia di Brescia addestramento isis
Un fotogramma del video della Polizia di Brescia

La Polizia di Stato ha scoperto e smantellato una cellula jihadista operante tra Italia e Albania. Col blitz scattato all’alba, sono finite in carcere tre persone ritenute vicine all’Isis. In manette due albanesi con l’accusa di presunto reclutamento con finalità di terrorismo e un vent’enne italiano di origine marocchina arrestato con l’accusa di presunta apologia di delitti di terrorismo, aggravata dall’uso di Internet.

Quest’ultimo, secondo gli inquirenti, sarebbe l’autore del documento di propaganda dell’Isis composto da un testo di 64 pagine interamente in italiano, apparso di recente sul web. Il documento si chiama “Lo stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”.

Le indagini sono state condotte dalla procura di Brescia e svolte dalla Polizia di Stato diretta dal questore lombardo, Carmine Esposito. Diverse sono state le perquisizioni in Lombardia, Piemonte e Toscana nei confronti di alcuni simpatizzanti del Califfato emersi nelle indagini, ha riferito la Questura.

ANCHE BAMBINI NELLA “PALESTRA” DEL CALIFFATO 

Dei due cittadini albanesi arrestati, zio e nipote, il primo è residente in Albania e l’altro in provincia di Torino. Anche il 20enne italiano di origine marocchina è residente nel Torinese

“Personale del servizio centrale antiterrorismo, della questura di Brescia e del servizio di cooperazione internazionale di polizia sta operando in Albania, nella regione di Tirana”, si legge nel in un comunicato diramato dalla Polizia di Brescia.

Il questore Esposito, ha spiegato che “le investigazioni hanno portato alla luce una filiera albanese di reclutamento di terroristi internazionali”.

“Tutto nasce dagli sforzi della Digos per rintracciare un italo marocchino, residente in provincia di Brescia, inserito nella lista dei 65 foreign fighters italiani, che era partito nel settembre 2013 dall’Italia per unirsi all’Isis”, ha aggiunto il questore.

I tre arrestati mercoledi mattina dalla polizia nel blitz antiterrorismo erano in contatto, sia telefonico che tramite Facebook, con Anas El Abboubi, uno dei foreign fighters italiani che si troverebbe attualmente in Siria.

Lo stesso Anas (arrestato dalla Digos nel giugno del 2013 e poi scarcerato dal tribunale del Riesame), pochi giorni prima di trasferirsi in Siria, aveva effettuato un viaggio in Albania, dove viveva uno dei presunti estremisti islamici bloccati dall’antiterrorismo.

Il giovane italiano finito stamane in manette, secondo le indagini, era attivissimo su Internet e avrebbe preparato il documento, di cui si è saputo solo lo scorso 28 febbraio, a novembre scorso. Il testo illustra nel dettaglio le attività del Califfato in Siria e Iraq, descrivendolo come uno Stato che offre protezione ai suoi cittadini ed è spietato con i nemici.

L’importanza del documento, sostengono gli investigatori, sta non tanto nei contenuti quanto nel fatto che è stato ideato specificatamente per il pubblico italiano. Le indagini hanno accertato che dopo esser stato messo in rete dal ventenne, il documento è stato rilanciato da diversi utenti, attraverso Facebook e siti internet.

Disastro A320, difficili i soccorsi. Meteo avverso nella notte

Airbus A320 della Germanwings
Airbus A320 della Germanwings

Molti soccorritori sono ancora impegnati nella ricerca disperata di eventuali sopravvissuti dopo il grave incidente aereo avvenuto martedi mattina in Francia, a “Trois évêchés”, vicino Digne-Les-Bains, Alta Provenza. Le speranze di trovare passeggeri in vita, sono minime. E le condizioni meteo non favoriscono certo le ricerche. In queste ore e per tutta la notte, nella zona dove è precipitato l’Airbus A320 della Germanwings, le previsioni sono di forti perturbazioni con nevicate oltre i 2.000 metri.

I soccorritori che stanno scandagliando palmo palmo l’area del crash, parlano di scenario “apocalittico”. L’aereo, nell’impatto, come si vede dalle immagini girate dagli elicotteri, si è totalmente disintegrato. I detriti sono sparsi nel raggio di oltre due chilometri. Il rottame più grande, hanno detto gli uomini che sono accorsi sul posto “è quanto un’automobile”, mentre per il recupero dei resti dei poveri passeggeri “potrebbero volerci giorni se non settimane”, hanno fatto sapere dal campo base allestito giù a valle dopo il disastro.

Ancora sconosciute le cause del disastro. Le autorità non escludono al momento alcuna pista. Molti piloti e addetti ai lavori sembrano escludere come causa le condizioni climatiche avverse in quanto nell’ora in cui il volo “Au 9525” è scomparso dai tracciati radar, il clima era buono. Sarà tuttavia una delle scatole nere ritrovata nel pomeriggio a dare maggiori dettagli sul misterioso incidente.

Il velivolo era decollato alle 10.01 (con circa 25 minuti di ritardo) dall’aeroporto di Barcellona, in Spagna, ed era diretto a Dusseldorf, in Germania dove era atteso per le 11. 40. A bordo 144 passeggeri e sei membri dell’equipaggio, tra cui due neonati e 16 studenti. Panico e disperazione nell’aeroporto tedesco dove parenti e amici attendevano un aereo mai atterrato.

la-rotta-del-A320
la rotta del A320

Secondo i tracciati di flightradar24.com, dal decollo, l’Airbus vola per circa 30 minuti, a quota 38.000 piedi con una velocità di crociera di 820 chilometri orari. Un volo normalissimo fino all’ingresso dello spazio aereo francese, quando alle 10.31 l’Airbus comincia a perdere quota sopra la “Baie des Nations”, a sud della Francia, tra Tolone e Marsiglia. Dopo circa 15 minuti l’aereo scompare dai radar quando l’altimetro segnava 6.800 piedi (2 mila metri),  un’altezza troppo bassa per superare la catena montuosa delle Alpi. Le autorità hanno parlato di “anomalie” nella rotta, oltre al mistero che la torre di controllo in quei minuti non avrebbe ricevuto nessun mayday dai piloti. Il flight data recorder potrà svelare la dinamica e le cause di un incidente che sembra avere molti punti oscuri.

Precipita in Francia Airbus della Germanwings. “150 morti”

Airbus A320 della GermanwingsE’ gravissimo il bilancio dell’incidente aereo avvenuto stamane sulle Alpi meridionali francesi. Sarebbero “150 i morti”, tra cui 144 passeggeri (anche due bimbi) e sei membri dell’equipaggio, fanno sapere le autorità francesi. Il dato, tuttavia, è incerto in quanto la zona “inaccessibile” sta per essere ispezionata dall’alto. Dagli elicotteri che sorvolano l’area del disastro, i soccorritori avrebbero visto dei corpi muoversi, ma non c’è conferma da parte della Francia su eventuali superstiti.

la rotta dell'Airbus A320 GermanwingsErano da poco passate le 10.40 quando un Airbus A320 della Germanwings, compagnia low cost della Lufthansa, è scomparso dai radar. Il velivolo si è schiantato nei pressi di Barcelonette, nel sud della Francia, sul Massiccio “Trois evechés”, a circa 1.800 metri contro una montagna alta quasi 3mila metri nelle Alpi dell’Alta Provenza, a circa 35 chilometri dal confine italiano.

L’aereo era decollato alle 10.01 da Barcellona ed era diretto a Dusseldorf dove era atteso per le 11.39. A bordo c’erano 150 persone tra cui molti spagnoli e tedeschi.

MOLTI UOMINI ALLA RICERCA DISPERATA: “SCENA RACCAPRICCIANTE”

 

Secondo “France Info”, l’aereo “volava troppo basso” a causa di una rotta che le autorità definiscono “anomala” rispetto al percorso tradizionale. Il luogo del disastro è stato individuato da due elicotteri in una zona di difficile accesso, rocciosa ed impervia, dicono alcuni responsabili dei soccorsi intervistati alla tv.

Circa 240 pompieri e tre squadroni della gendarmeria mobile sono partiti in direzione della zona ma non è certo che saranno in grado di raggiungerla entro la giornata. Tuttavia, il ministero dell’Interno francese ha fatto sapere che “non si esclude” la possibilità di trovare sopravvissuti.

Rispetto alle cause, le autorità di Francia, Germania e Spagna (che hanno aperto inchieste distinte) nelle ipotesi non escludono “nessuna pista”.

I gendarmi francesi hanno riferito di aver trovato una delle due scatole nere (arancioni). Da queste si possono avere maggiori dettagli sulle dinamiche del disastro e sulle cause.

Secondo i primi rilievi, vi sarebbe stato un primo segnale di soccorso, il cosiddetto “mayday – mayday ” alle 10.47, quando l’aereo si trovava già ad una quota di 5.000 piedi dopo aver perso improvvisamente i 38.000 in cui si trovava quando era visibile ai radar.Il luogo del disastro aereo del Germanwings

Il luogo del disastro aereo del Germanwings

Sul velivolo, che aveva “24 anni”, la compagnia ha fatto sapere che a bordo c’èrano anche due infanti e una classe tedesca composta da una 17 giovani studenti e due insegnanti. Oltre a spagnoli e tedeschi nella lista dei passeggeri vi sarebbero anche cittadini turchi.

Il luogo del disastro aereo del Germanwings a320
Il luogo del disastro aereo del Germanwings

Sempre la Germanwings ha riferito che il pilota aveva oltre 10 anni di esperienza e 6.000 ore di volo. Disperazione di parenti e amici negli aeroporti di Dusseldorf e Barcellona. Il disastro aereo ha suscitato la commozione del mondo. Reazioni da Hollande e Merkel, che hanno espresso la loro solidarietà per le vittime.

GUARDA IN VOLO L’A320 (SIMULAZIONE)

Governo, Quagliariello (Ncd): "Interim di Renzi lungo, ma io non sarò ministro"

L'ex ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello regionali campania
L’ex ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello

“L’interim di Renzi non sarà una cosa brevissima, andremo nell’ordine delle settimane, dei giorni e non delle ore. Renzi vorrà lasciare un’impronta del suo passaggio al ministero”. Così, intervistato a Radio Città Futura, il coordinatore nazionale di Ncd Gaetano Quagliariello, è intervenuto sulla successione di Lupi al ministero delle Infrastrutture.

“Non ne faccio un problema di poltrone, ma di peso politico. Questo ministero è libero per una scelta non richiesta dal presidente del Consiglio, che ha apprezzato la scelta di Lupi di dare volontariamente le dimissioni. Se uno non richiede le dimissioni e apprezza il fatto che siano state date, non si capisce perché poi dovrebbe penalizzare il partito di cui questo ministro fa parte.

Non credo sia più possibile la ricostituzione di un centro-destra classico. In Spagna e in Francia è nata un’altra destra, la destra della crisi, sollecitata dalla crisi economica e sociale, che non ha più nulla a che fare con una destra liberale e moderata”, ha poi aggiunto il senatore Quagliariello. “Quando si dice di andare fuori dall’euro, si hanno posizioni forti sull’immigrazione, non si scava un solco, si scava un abisso.

Io vorrei fare come Sarkozy in Francia, che vince chiudendo alla Le Pen e costruendo un’alleanza con i moderati e, in realtà, lo stiamo già facendo. Stiamo cercando di scrivere, insieme alla sinistra, le regole istituzionali, economiche, sociali e comportamentali del terzo tempo della Repubblica, in maniera differente dal passato, superando la dimensione “amico-nemico” e arrivando ad essere avversari.

Possiamo costruire un’alternativa alla sinistra solo dicendo che siamo una cosa completamente diversa da Salvini e aggregando tutti quelli che non credono sia un fatto positivo che in Italia ci sia un bipartitismo formato da Renzi da una parte e Salvini dall’altra”.

Dopo le dimissioni di Maurizio Lupi dalle Infrastrutture, a seguito dello scandalo tangenti sui grandi appalti, il nome di Quagliariello circolava per una ipotesi di rimpasto che probabilmente si farà dopo le regionali. Il suo nome era in pole per occupare la casella degli Affari regionali fino a gennaio ricoperta dall’ex ministro Maria Carmela Lanzetta. Ieri, intervistato da Sky TG24 ha smorzato le indiscrezioni che si rincorrevano.

“No, non sarò ministro”, ha detto l’ex ministro del governo Letta. “C’è un problema di peso – ha aggiunto – della nostra area politica all’interno del Governo e credo sia un problema presente anche al nostro presidente del Consiglio. Le dimissioni di Lupi mai richieste per cui non c’è ragione per cui Ncd debba essere penalizzato”.

Telekom Serbia, Matacena svela: "Tangenti a tre noti politici della Sinistra italiana"

Amedeo Matacena nell'intervista all'Ansa
Amedeo Matacena nell’intervista all’Ansa

Vi sarebbero tre noti esponenti della Sinistra italiana che avrebbero preso tangenti per l’affaire Telekom Serbia e depositati in conti svizzeri di cui l’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, condannato per mafia e oggi latitante a Dubai,  conosce i codici di accesso. Lo afferma lo stesso Matacena in una intervista all’agenzia Ansa.

“Le tangenti – racconta Matacena – furono portate con un aereo privato dalla Serbia in Svizzera. Un broker che conosco mise i soldi su tre conti correnti di tre importanti esponenti della sinistra italiana e mi consegnò quei numeri, che non sono l’unico a sapere”. Conti su cui, dopo lo scandalo Swissleaks (lista Falciani) e soprattutto dopo il recente e storico accordo Italia-Svizzera sull’annullamento del segreto bancario, la magistratura italiana potrebbe da subito fare luce “d’ufficio” dopo le dichiarazioni di Matacena.

L’ex politico calabrese, in riferimento alle dichiarazioni rese note dal membro Pd delle Commissioni Antimafia e Giustizia, Davide Mattiello (in cui diceva che Matacena “non rientra in Italia perché teme una brutta fine”) risponde che “bisogna capire per chi il collega Mattiello faccia il ventricolo”.

Nella sua nota di qualche giorno fa, l’esponente politico dem aveva lanciato un messaggio “criptato” con cui “collega” la vicenda della latitanza di Matacena, alle rivelazioni “a sorpresa” del collaboratore Nino Giuffrè che avrebbe gettato nuove ombre sull’omicidio di Luigi Ilardo, il confidente assassinato il 10 maggio del 1996 a Catania, dopo aver portato gli investigatori ad un passo dal covo di Bernardo Provenzano.

il parlamentare del Pd Davide Mattiello "preoccupato" per Matacena
Il parlamentare del Pd Davide Mattiello

“Le dichiarazioni di Giuffrè – spiegava Mattiello – un tempo braccio destro di Provenzano, oggi collaboratore di giustizia, che ieri (il 9 marzo 2015, ndr) nel carcere di Rebibbia ha deposto nell’ambito del processo di appello sul mancato arresto di Provenzano nel 1995, imputati gli ufficiali del Ros Mori e Obinu, sullo sfondo l’omicidio di Ilardo, mi fanno pensare ad Amedeo Matacena, che continua a stare latitante a Dubai. Sulla pelle delle persone che detengono informazioni dirimenti, – è la sua preoccupazione – si giocano partite molto complesse, ieri come oggi, ecco perché è urgente riportare Matacena in Italia sotto la miglior tutela possibile, così come è importante dare corso all’impegno già annunciato dalla Commissione Antimafia sul circuito del 41 bis“.

“Io credo – ha spiegato Matacena – che (Mattiello e chi – per il latitante – gli avrebbe chiesto di fare il “ventricolo”, ndr) siano venuti a sapere che se dovesse succedere qualcosa a me o ai miei familiari, verrebbero consegnati e pubblicati in Italia i numeri dei conti correnti svizzeri sui quali sono state depositate le somme delle tangenti dell’affare Telekom-Serbia prese da tre noti esponenti della Sinistra italiana”.

Davide Mattiello è il deputato della Commissione parlamentare antimafia che da tempo, con altri parlamentari, chiede che l’Italia si impegni per il rientro in Italia del latitante. Recentemente, l’Italia si è adoperata per siglare un trattato di cooperazione giudiziaria con le autorità degli Emirati che, quando concluso, porterà all’estradizione di Matacena. “Io sono qui – dice Matacena all’Ansa – anche se certo non faccio il tifo per loro”.

L’ex parlamentare reggino, nella lunga intervista a Valentina Ronconi, dice di essere dimagrito 16 chili in un anno e mezzo di latitanza. Matacena non risparmia le sue critiche al Centrodestra da cui è stato candidato alla Camera nel 1994 e nel 1996. “A Palermo – ricorda – testimoniai per due volte a favore di Marcello dell’Utri, la seconda anche se non ero stato ricandidato. A Caltanissetta, citato come teste da Berlusconi, testimoniai contro l’ex magistrato Caselli. Ma Fi mi ha usato come uno straccio vecchio. Sono stato sacrificato dal partito per dare in pasto alla stampa la notizia che il partito faceva pulizia nelle liste”. Di qui, spiega, la mancata ricandidatura nel 2001.

Amedeo Matacena con la moglie Chiara Rizzo
Amedeo Matacena con la moglie Chiara Rizzo

“L’unica persona che considero essere un uomo è Claudio Scajola – prosegue – furono lui e Berlusconi a decidere di non ricandidarmi nel 2001. Lo rividi anni dopo e fui ovviamente freddo. Lui se ne accorse e mi disse che riteneva di avermi fatto un torto nel non ricandidarmi. Poiché oggi nessuno dice ‘ho sbagliato’, se già qualcuno ammette una colpa per me merita stima”. Quanto all’accusa che Scajola e la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, abbiano favorito la latitanza di Matacena, tentando di agevolare un suo spostamento in Libano – per il fatto è in corso un processo a Reggio Calabria – l’ex deputato non ha dubbi: “Il fatto non esiste. In Libano ammazzano le persone per 500 dollari e c’è un accordo di estradizione con l’Italia che negli Emirati Arabi non c’è. Perché avrei dovuto tentare di andare in Libano?”.

Matacena descrive poi la sua latitanza a Dubai come “non dorata”. “Ho una stanza in affitto in una casa e sto cercando di fare qualche business. Tutto il mio patrimonio è stato sequestrato. Ho lavorato come maitre per un periodo in un noto ristorante, ma poi la notizia uscì sui giornali e mi fu chiesto di lasciare quel lavoro. Ora mi sto interessando ad una compravendita di prodotti petroliferi e di metalli: ho tante cose aperte, prima o poi qualcosa arriverà”. Non pensa certo a rientrare in Italia per scontare la pena a cui è stato condannato.

“Subisco un torto e non intendo certo farmelo diventare violenza”. Ammette tuttavia che la solitudine a Dubai è forte: “sento la solitudine in modo violento. Mia moglie, che è sotto processo, non posso sentirla. Tra noi, che siamo sposati da 18 anni, non può però finire così. Sento telefonicamente mio figlio, che ha 15 anni e vive con la sorella a Montecarlo”. La sorella è Francesca, 22 anni, figlia di Chiara Rizzo che l’aveva avuta da un precedente matrimonio, “ma che ho sempre considerato mia figlia. Francesca – spiega Matacena – non vuole più parlarmi. Mi ritiene colpevole della situazione che sta soffrendo la madre e posso comprenderla”.

La sua speranza è quella di riunire prima o poi la famiglia. “Se l’Italia non riesce a far scontare una condanna entro il doppio degli anni della pena – spiega – quella condanna decade. Io sono qui da un anno ed essendo stato condannato a tre anni, devo rimanerne a Dubai altri 5”. Infine, ipotizza di presentare una richiesta di grazia al capo dello Stato, “ma prima aspetto che altre cose arrivino a soluzione”: ovvero un ricorso, che i suoi avvocati stanno depositando, per chiedere la revisione della sentenza ed un ricorso alla Corte Europea di Strasburgo.

Elezioni in Francia, altro successo per il FN di Marine Le Pen. Giornali di "regime" daltonici: "Non sfonda"

Esulta Marine Le Pen del Front National
Marine Le Pen (Afp)

A un passo dal suo sogno. Marine Le Pen, al primo turno delle “dipartimentali” francesi attesta un duro colpo ai socialisti al governo e si piazza al secondo posto dopo l’ex presidente Sarkozy, a capo di una coalizione che raggruppa centristi e neogollisti. Il Front National agguanta un altro storico risultato dopo le presidenziali e aumenta di dieci punti rispetto alle “provinciali” del 2011.

“Siamo il primo partito di Francia perché l’Ump di Sarkozy è alleato con l’Udi”, puntualizza la leader del Fn. Il centrodestra che ha vinto il primo turno sotto la guida dell’ex presidente francese è infatti un’alleanza tra due grosse forze politiche. Quindi un solo partito, il Fn, contro un’alleanza organica e moderata. Il dato rilevante è che sia Le Pen che Sarkozy mettono a dura prova i progressisti del presidente Francois Hollande e del premier Manuel Valls. Il ballottaggio di domenica prossima non si annuncia comunque facile per la Le Pen in quanto, a meno di sorprese nelle urne, i socialisti rimasti fuori preferirebbero o disertare le urna oppure votare il “male minore”, rappresentato a loro avviso dal centrodestra moderato francese (Ump- Udi).

“Il voto massiccio per il Front National, che si radica elezione dopo elezione, mostra che i francesi vogliono ritrovare la libertà”, ha esultato Marine Le Pen, rivolgendosi – con toni trionfalistici – alle decine di giornalisti che l’attendevano nel quartier generale del partito anti-euro a Nanterre, alle porte di Parigi.

“Il risultato di questa sera è la più bella delle risposte all’attuale sistema”, ha continuato la Dama Nera, parlando di un vero e proprio “exploit”, con una progressione di “dieci punti” rispetto alle provinciali del 2011. Evocando la batosta della maggioranza socialista, le Pen ha poi chiesto le immediate “dimissioni” del premier socialista Manuel Valls, “sfiduciato” da questa elezione. Appena pochi minuti prima, dalle tv sistemate nella grande salone al piano terra della palazzina di Nanterre, la dirigenza lepenista aveva assistito in diretta alle parole di Valls, che invitava “tutti i repubblicani” a sbarrare la strada del Front National nel ballottaggio di domenica prossima.

Secondo le stime pubblicate alle 20:30 dall’Istituto Ifop-Fiducial per ITélé, il blocco di centrodestra composto da Ump- Udi e Modem ottiene il 29,7% delle preferenze. Il Front National segue al secondo posto con il 26,4%. Molto indietro, il partito socialista con appena il 20,9% dei voti. “La nostra formazione è in testa perché gli altri sono partiti aggregati”, conferma il numero due del partito, Florian Philippot, aggiungendo: “Siamo soddisfatti, realizziamo un risultato assolutamente storico per il Front National”. Nella sede del partito, dove sventola una grande bandiera francese al fianco della statua di Giovanna d’Arco, Marine Le Pen era arrivata intorno alle 18:00 del pomeriggio per attendere i risultati insieme ai suoi fedelissimi. Assieme a lei, c’era anche il padre, Jean-Marie Le Pen. Davanti ai giornalisti, ha riconosciuto che la formazione che contribuì a fondare negli anni settanta non è più il primo di Francia. “Ma non vuol dire niente”, ha puntualizzato l’europarlamentare ultraottantenne, aggiungendo che ciò che conta è la “progressione dei risultati”.

Esulta in Italia il segretario della Lega Matteo Salvini, stretto alleato del Front National oltr’Alpi. “Il Fn – scrive su Twitter – ottiene il massimo storico alle elezioni locali. Stiamo arrivando”. Il prossimo appuntamento utile per il Carroccio sono le elezioni regionali del 31 maggio.

Molti media di “regime” (soprattutto made in Italy) si mostrano “daltonici” e minimizzano (nonostante l’evidenza dei risultati) l’avanzata di Marine Le Pen: “Sarkozy frena Le Pen”, “Il FN non sfonda”, “Le Pen tradisce le aspettative”, si legge su molti giornali di sistema. Come per dire che Grillo, il quale “ambiva” al 51 percento per poter governare da solo, si fermò nel 2013 “soltanto” al 27,5% divenendo il primo partito italiano. Trascurata invece l’altra vera notizia che a uscire con le ossa rotte dalla consultazione di ieri è lo schieramento socialista di Hollande e Valls.

Tangenti, mons. Francesco Gioia, Perotti e la "spartizione dei beni"

Monsignor Francesco Gioia
Monsignor Francesco Gioia

Monsignor Francesco Gioia, il prelato che si attivò per trovare voti a Maurizio Lupi e chiese l’assunzione del nipote agli uomini del ‘Sistema’ scoperto dalla procura di Firenze, fu coinvolto nell’operazione messa in piedi per evitare che sul patrimonio accumulato dai Perotti potesse mettere le mani anche la seconda moglie del capostipite, quel Massimo Perotti già presidente della cassa del mezzogiorno e direttore generale dell’Anas rimasto coinvolto in Tangentopoli.

Sono le migliaia di pagine allegate all’inchiesta fiorentina a svelare l’ennesimo legame tra il monsignore e i soggetti finiti in carcere. La vicenda risale a un mese fa e prende il via il 9 febbraio quando Stefano Perotti, l’uomo che aveva in portafoglio appalti pubblici per 25 miliardi, avvisa il padre che sta arrivando a Lugano. “Si avrà modo di constatare nelle successive conversazioni – scrive il Ros – che Massimo Perotti intende ripartire i suoi ingenti beni (contante e proprietà in Brasile, Paraguay e Svizzera) fra i suoi tre figli di primo letto ed un quarto figlio avuto in seconde nozze, in un contesto familiare caratterizzato da forti contrasti con la seconda moglie”. Per “mediare lo sviluppo dell’operazione – proseguono gli investigatori – Stefano Perotti ha pensato di coinvolgere mons. Gioia, in stretti rapporti d’amicizia con il padre”.

“Stasera sei libero – afferma al telefono con Francesco Gioia proprio Perotti – perché io ho fatto “un pizzino” da papà…così ti racconto…siamo io e te”. Ma qual è la mediazione che deve fare il monsignore? La spiega lo stesso Stefano Perotti al fratello. Il padre, sostiene, sta per trovare un accordo che consentirebbe alla seconda moglie di “sfilargli il 40% delle proprietà”: lui, prosegue il figlio, “si tiene il 60 e questo 60 lo distribuisce tra noi tre ed una quota se la tiene per lui per campare…quindi dai conti verrebbero 2 milioni a testa…”. Per Stefano Perotti, invece, per “fregare” la donna c’è una soluzione diversa: “far sparire tutto”: “l’unico blitz che sarebbe da fare è fargli sparire tutto…cioè un’alternativa potrebbe essere quella di dire ‘intesti la società ai figli e l’hai fregata perché non entra nell’asse ereditario’.”

Ed è qui che entra in gioco monsignor Gioia. “Se glielo diciamo noi – dice infatti Stefano Perotti al fratello – è un problema…sto pensando di fare due chiacchiere con Francesco se eventualmente glielo può suggerire lui”. E così avviene: quella stessa sera del 9 febbraio, di ritorno da Lugano, Perotti va a casa di Gioia e il giorno dopo dà indicazioni alla sua collaboratrice di organizzare il viaggio del monsignore a Lugano: “Bisognerebbe prendere un treno presto e poi lo prenderebbe…e lo porta subito da mio padre”. La donna esegue e contatta Gioia per dargli le indicazioni sul biglietto e su chi lo aspetterà a Milano. Ma lui non vuole l’auto: “provvedo io – dice – non vi preoccupate…risparmiate questi soldi”.

Il 12 febbraio è il giorno dell’appuntamento: alle 9 del mattino il monsignore chiama Perotti e gli chiede di “rinfrescargli il discorso della società”. “Ma guarda – risponde lui – se intestasse…probabilmente ai futuri eredi la società…forse risolverebbe il problema di dover passare attraverso un accordo con lei…mettigliela come un ragionamento tuo perché non vorrei che pensasse”. Gioia capisce al volo: “voglio capire…come fare…il mio obiettivo è buttar fuori lei”. La telefonata delle 16 a Perotti sembrerebbe confermare che la missione a Lugano ha dato i suoi frutti. “C’è della gente e non posso parlare – racconta Gioia – è andato tutto bene però eh…poi ti do i particolari”. Dettagli che il monsignore riferirà la sera stessa in un incontro a quattr’occhi.

D'Alema attacca Renzi: "Gestione del Pd personale e arrogante"

Massimo D'Alema
Massimo D’Alema

La nostra è “una componente minoritaria in un partito a forte componente personale e anche di arroganza, può avere peso solo se si muove con coerenza e unità, definendo i punti invalicabili con assoluta intransigenza”. L’ex lider maximo del Pds-Ds Massimo D’Alema attacca frontalmente il premier e segretario del suo partito Matteo Renzi all’indomani delle dimissioni dell’ex ministro Ncd Maurizio Lupi. L’ex presidente del Consiglio approfitta della convention della minoranza dem a Roma dove si sono riuniti tutti gli esponenti della “vecchia” nomenclatura del Pd.

Bisogna “creare una vasta associazione di rinascita della sinistra che non sia un nuovo partito politico, ma uno spazio di partecipazione per tante persone”, ha spiegato D’Alema, che indica la strada da seguire per fare una “sana opposizione” interna al partito.

Massimo D'Alema alla convention della minoranza Pd (Ansa)
Massimo D’Alema alla convention della minoranza Pd (Ansa)

D’Alema si chiama fuori dalle correnti e puntualizza: “Io non sono partecipe di nessuno dei raggruppamenti in cui si suddividono le minoranze del Pd e non approvo che sia più di una. Diciamo che faccio parte della sinistra extraparlamentare – ironizza D’Alema -, però voglio dare due consigli: il primo, che non è un appello retorico, è che questa parte del Pd può avere un peso solo se raggiunge un certo grado di unità nell’azione, altrimenti non avrà alcun peso”.

“Il secondo consiglio – ha attaccato – è che una componente minoritaria in un partito a forte componente personale e anche di arroganza, può avere peso solo se si muove con coerenza, definendo i punti invalicabili con assoluta intransigenza”.

Parole che non piacciono ai renziani. “Dispiace che dirigenti importanti per la storia della sinistra – scrive su Twitter Matteo Orfini – usino toni degni di una rissa da bar. Cosi si offende la nostra comunità”.

A ruota una serie di dichiarazioni di sostegno alle parole di D’Alema: “Massimo D’Alema ha detto una cosa sacrosanta. C’è tanta gente nel PD in sofferenza e disagio. Bisogna trovare il modo, anche dal punto di vista organizzativo, per dialogare con questi mondi”, dichiara l’ex segretario Pierluigi Bersani.

Papa Francesco a Scampia: "Non arrendetevi al male. ‘A Maronna v’accumpagne!"

Papa Francesco a Scampia
Papa Francesco a Scampia

“La corruzione puzza, la società corrotta puzza e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, puzza”. Lo ha detto papa Francesco a Scampia.

Bergoglio, che è in visita pastorale nel napoletano, è stato accolto da centinaia di migliaia di fedeli. Papa Francesco ha incontrato la popolazione di Scampia in piazza Giovanni Paolo II e ha invitato tutti a “non lasciare l’ultima parola al male”.

Papa Francesco selfie a Scampia
Selfie – Il papa posa con i giovani di Scampia

“Se noi – ha aggiunto – chiudiamo la porta ai migranti, se noi togliamo il lavoro e la dignità alla gente, come si chiama questo? Si chiama corruzione e tutti noi abbiamo la possibilità di essere corrotti”. Bergoglio ha anche invitato a “andare avanti nella pulizia della propria anima, nella pulizia della città, della società”.

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“Chi prende volontariamente la via del male ruba un pezzo di speranza, – è il monito del Papa –  guadagna qualcosina ma ruba speranza a sé stesso, agli altri, alla società. La via del male è una via che ruba sempre speranza, la ruba anche alla gente onesta e laboriosa, e anche alla buona fama della città, alla sua economia”.

Poi si concede augurando “il meglio”, ai campani. “Andate avanti e San Gennaro, vostro Patrono, vi assista e interceda per voi”. “Benedico di cuore tutti voi, benedico le vostre famiglie e questo vostro quartiere, benedico i bambini che sono qui attorno a noi. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. ‘A Maronna v’accumpagne!”

FRANCESCO: “NON ARRENDETEVI AL MALE”

Il papa Scampia (Ansa/Fusco)
Il papa a Scampia (Ansa/Fusco)

In mattinata il Pontefice era stato a Pompei al santuario della Madonna: “Grazie tante! Grazie tante, per questa calorosa accoglienza”, ha detto il Santo Padre ai fedeli. “Abbiamo pregato la Madonna, perché ci benedica tutti: voi, me, e tutto il mondo. Abbiamo bisogno della Madonna, perché ci custodisca. E pregate per me, non dimenticatevi. Adesso vi invito a recitare tutti insieme un’Ave Maria alla Madonna e poi vi darò la benedizione”.

 

 

Isis, attacco kamikaze in tre moschee dello Yemen. 140 morti e 350 feriti

L'interno della Moschea distrutto dall'attacco kamikaze L’Isis colpisce ancora. Un attacco kamikaze è stato compiuto in tre moschee schiite in Yemen: due a Sanaa e una a Saada, nel Nord del Paese. Secondo la televisione Al Masirah, di proprietà dei ribelli Huthi che controllano la capitale yemenita,  il bilancio è di 137 morti e 345 feriti, tutti a Sanaa perchè a Saada sarebbe morto soltanto l’attentatore.

Gli attacchi a Sanaa sono avvenuti durante la preghiera collettiva del venerdi. Un kamikaze si è fatto saltare in aria nella moschea Badr, nel Sud della città, e un altro ha seguito il suo esempio all’esterno mentre i fedeli fuggivano atterriti.

L'interno della Moschea distrutto dall'attacco kamikazeUn terzo attentatore ha azionato la cintura esplosiva che portava su di sé nella moschea di Al-Hashahush, nel Nord di Sanaa. Secondo una fonte medica, tra le vittime vi è un importante religioso Huthi, Al Murtada bin Zayd al Muhatwari, Imam della moschea di Badr. Nessuno ha finora rivendicato gli attentati, ma i primi sospettati sono i miliziani di Al Qaida nello Yemen, che gli Usa considerano la branca piu’ pericolosa della rete terroristica a livello globale.

L'interno della Moschea distrutto dall'attacco kamikazeL’Isis ha rivendicato gli attacchi alle moschee, afferma il sito Site Intelligence Group, che monitora l’attività dei jihadisti online. L’Isis, scrive Site in un tweet, ha rivendicato “cinque attentati suicidi a moschee houthi nei governatorati yemeniti di Sanaa e Saada”. Poco prima, anche Rita Katz, la direttrice di Site, aveva scritto in un tweet che in alcuni account Twitter collegati all’Isis avevano affermato che lo Stato islamico è “dietro le cinque operazioni suicide di oggi in Yemen: quattro a Sanaa e una a Saada contro moschee houthi”.

Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, “condanna fermamente” gli attacchi terroristici a Sanaa, in Yemen, e lancia un appello a tutte le parti nel Paese a “cessare immediatamente le azioni ostili ed esercitare la massima moderazione”. “Tutte le parti devono rispettare gli impegni presi per risolvere le divergenze con mezzi pacifici – ha affermato in una nota del Palazzo di Vetro – e dovrebbero impegnarsi in buona fede nei negoziati facilitati dalle Nazioni Unite al fine di raggiungere un accordo”.

Scandalo tangenti, Lupi firma le dimissioni da ministro. Alfano: "Onesto e sincero"

Maurizio Lupi nell'informativa alla Camera
Maurizio Lupi nell’informativa alla Camera (Benvegnù-Guaitoli)

Dopo il rapporto al Parlamento in cui Maurizio Lupi ha spiegato i motivi del suo passo indietro dopo lo scandalo tangenti sulle grandi opere, l’esponente del Ncd ha rassegnato nel tardo pomeriggio di venerdi le sue dimissioni formal. Non sarà più ministro delle Infrastrutture.

L’interim andrà al premier Matteo Renzi che detiene anche quello degli Affari regionali non avendo ancora sostituito l’ex ministro Maria Carmela Lanzetta. E’ probabile che il premier farà un rimpasto di governo dopo le elezioni regionali di fine maggio. Negli ambienti di palazzo Chigi si fa il nome di Cantone per la successione, sebbene il Ncd voglia dire la sua per il prossimo rimpasto. Al ministero degli Affari regionali potrebbe andare Gaetano Quagliariello, già ministro con il governo Letta e non riconfermato quando a palazzo Chigi è salito l’ex sindaco di Firenze.

LUPI: “LASCIO A TESTA ALTA”

Come aveva annunciato giovedi sera da Bruno Vespa a “Porta a Porta” l’ormai ex ministro ha detto di andarsene “a testa alta”. “Non chiedo garantismo – puntualizza – perchè dai pm non c’è nessuna accusa”, che lo riguarda nella mega inchiesta della procura di Firenze.

“Il lavoro di questi 22 mesi al ministero non può essere cancellato in tre giorni”. Un lungo discorso in cui il politico ha spiegato le ragioni del suo gesto, definendolo di “rispetto verso il parlamento di cui sono membro da 14 anni”.

“A sole 72 ore dai fatti – ha detto Lupi – c’è la presa d’atto della necessità della mia scelta che sto compiendo e della mia comunicazione al presidente del consiglio e al presidente della Repubblica. A 72 ore dai fatti e a non da 72 giorni”.

Il ministro Alfano passa mostra a Lupi un foglietto Onesto, SIncero Concreto (Benvegnù-Guaitoli)
Il ministro Alfano mostra a Lupi un foglietto “Onesto, Sincero Concreto” (Benvegnù-Guaitoli)

“Come Ministro delle infrastrutture, – ha detto rivolgendosi a un’Aula semivuota – io sono artefice della loro realizzazione, ma anche custode del valore che le grandi opere ricoprono per il Paese, per la sua crescita, per la sua competitività internazionale. Ho assistito, in questi ventidue mesi, a un prolungato scontro tra giudizio e pregiudizio, diventato incandescente nelle ultime settantadue ore”.

Dal canto suo il premier plaude all’esponente di Ncd parlando di “una scelta politica degna, di sensibilità, giusta e con motivazioni che capisco bene”. Una scelta di natura “politica”, spiega che non c’entra con le indagini. E assicura che non ci saranno conseguenze sulla tenuta dell’esecutivo.

SALVINI DISERTA: NON DOVEVA DIRLO IN TV

La Lega non ha partecipato alla discussione protestando per il passo indietro annunciato in tv. Da parte di Alfano – attacca Matteo Salvini – su Lupi c’è stato “squallore politico e umano”. Anche Il Movimento cinque stelle ha attaccato il ministro. Alessandro di Battista ha chiesto a Lupi la restituzione degli emolumenti incassati in questi anni da ministro.

GRILLO: “PROBLEMA NON E’ ROLEX MA GLI APPALTI GONFIATI DEL 40%”

In coincidenza con l’eclissi solare di stamane, Beppe Grillo sul suo Blog ha lanciato l’hashtag #EclissiDiLupi raffigurando il logo del movimento che “oscura” il volto dell’ex ministro.

Poi, in un post, il leader M5S scrive: “Di cosa parliamo, di cosa parlano tutti in questi giorni? Di un Rolex regalato al figlio di Lupi e di un biglietto aereo di circa 400 euro per sua moglie? Roba forte, che cattura l’immaginazione. Ma del 40% di maggiorazione su un giro di appalti di 25 miliardi gestiti dal ministero delle infrastrutture nessuno parla. Fanno circa 10 miliardi di tasse dei cittadini a cui vengono chiesti sacrifici, girate ai ladri di Stato e ai loro complici. A chi sono finiti questi 10 miliardi?

IL BIGLIETTO DI ALFANO E LE IRONIE SUI SOCIAL

Il ministro Alfano passa mostra a Lupi un foglietto Onesto, SIncero Concreto (Benvegnù-Guaitoli)
Alfano a Lupi: “Onesto, Sincero, Concreto” (Benvegnù-Guaitoli)

Durante il discorso, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha  mostrato un curioso biglietto a Maurizio Lupi che sta suscitando ironie in rete. Sul foglio, il presidente Ncd ha scritto tre parole mostrate poi al dimissionario: “Onesto, Sincero, Concreto”. L’intenzione di Alfano è complimentarsi con Lupi per il suo discorso e gli dice che è stato “onesto e sincero”, ma il messaggio si presta a facili interpretazioni.

Sui Social è subito rimbalzata la “notizia” con commenti graffianti verso l’esponente politico:  (“Per suggerirglielo Alfano…”).  Il riferimento, evidentemente ironico, è agli interventi sulla stampa e al ministero che da ministro si sarebbe fatto suggerire da Ercole Incalza, il manager delle Infrastrutture arrestato lunedì dalla procura di Firenze.

Eclissi solare, Italia in penombra. Oscurità totale nell'Artico

Eclissi al picco, in Italia copertura dal 40% al 70% (Ansa/Dal Zennaro)
Eclissi vista a Milano. Il picco in Italia ha avuto una copertura dal 40% al 70% (Ansa/Dal Zennaro)

L’eclissi di Sole ha raggiunto il picco e, poichè sull’Italia è soltanto parziale, l’intera penisola è in penombra. Il Sole è stato oscurato al 70% nelle regioni settentrionali, dove in alcune località la presenza di nuvole ha rischiato di rovinare lo spettacolo, il 60% è al centro e il 40% nel Sud.

ecclissi solare a Roma
Ecclissi parziale a Roma

Telescopi puntati su questo evento imperdibile migliaia di persone sta ammirando lo spettacolo. Nell’evento organizzato a Roma, dal Parco regionale dell’Appia Antica in collaborazione con il Virtual Telescope, ci sono duecento ragazzi.  Molta gente ha indossato i famosi occhiali scuri per godersi l’equinozio di primavera.

Il fenomeno si presenta invece totale nell’Artico, cioè con pieno oscuramento. Il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) ha invitato a seguirlo in diretta streaming dalla base “Dirigibile Italia”, nell’arcipelago norvegese. Il picco di massima oscurità, cioè quando la Luna si sovrappone perfettamente al Sole, si è verificato dalle 11:10 alle 11:13.

Fotogramma dell'evento ripreso dall'Università Tor Vergata
Fotogramma dell’evento ripreso dall’Università Tor Vergata

L’osservazione dell’eclissi solare è stata proposta dal Laboratorio di Fisica Solare dell’Università di Roma Tor Vergata. Sono state mostrate immagini del Sole in tre diverse bande spettrali: Ca II K, H-alfa, e continuo rosso, che hanno svelato diversi strati dell’atmosfera solare durante l’occultamento da parte della Luna. Sono state mostrate anche immagini del laboratorio durante la presa dati.

“Le immagini Ca II K – scrivono i curatori dell’evento Francesco Berrilli, Dario Del Moro, Luca Giovannelli e Liù Catena -mostrano le regioni magnetiche attive del Sole, sorgenti delle tempeste solari, che risultano più chiare rispetto al resto della stella.

eclissi solare nell'articoLe immagini H-alfa hanno mostrato le protuberanze sul bordo del Sole ed i filamenti sul disco (più scuri del resto della stella). Anche queste gigantesche strutture, più grandi di Giove, sono create dal campo magnetico solare. Le immagini continuo rosso, mostrano il Sole come è percepito dai nostri occhi. Gli strumenti dei tre modi di osservazione sono montati sul tavolo ottico visibile dalla webcam del laboratorio”.

Forza Italia, Fitto come Tosi: "Mi candido in Puglia"

Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto a novembre 2010
Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto nel 2010

Il dissidente di Forza Italia, Raffaele Fitto, leader dei “Ricostruttori”, potrebbe candidarsi come governatore della regione Puglia contro il candidato scelto da Silvio Berlusconi, Francesco Schittulli. Lo fanno sapere sindaci, amministratori e sostenitori di Raffaele Fitto in Puglia. L’europarlamentare sarebbe sostenuto da due liste civiche.

“La posizione – fanno sapere i fittiani – è quella di restare in Fi ma se in modo immotivato veniamo lasciati fuori dalle liste, allora si apre un’altra riflessione e non è da escludere la candidatura di Raffaele Fitto. Diamo il via ad una nuova fase”. La decisione è stata presa dopo che Berlusconi avrebbe riferito a Schittulli che “le liste di Fi le facciamo io e Vitali”, il commissario regionale di Fi nominato in Puglia dall’ex premier.

Dopo la scissione della Lega in Veneto, con Flavio Tosi espulso dalla Lega che si è ufficialmente candidato contro l’uomo di Matteo Salvini, Luca Zaia, a Sud i fittiani prendono “le misure” per avvertire l’ex premier che se non cambia strategia e soprattutto “atteggiamento” il canovaccio potrebbe essere simile a quello veneto.

Non era la soluzione auspicata da Fitto dopo il lacerante tira e molla in casa azzurra ma, raccontano gli uomini dell’ex governatore, “siamo in un angolo”, stretti tra una gestione “autoritaria” e una linea politica che “non è affatto cambiata”, nonostante gli appelli e le fallite mediazioni degli ultimi mesi.

Tra i fittiani pugliesi brucia ancora il commissariamento di Forza Italia in Puglia. Il presidente di Forza Italia a febbraio aveva piazzato Luigi Vitali, già sottosegretario alla Giustizia e uomo di fiducia di Berlusconi, scatenando la reazione di Fitto e dei suoi che in segno di protesta, avevano tutti lasciato gli incarichi politici all’interno del partito.

Lo stesso eurodeputato, dopo il commissariamento, aveva parlato di “epurazione” e comunque di un “atto di debolezza del partito”, una forza politica ormai “in via di estinzione” da nord a sud. L’esponente azzurro ha più volte incalzato l’ex cavaliere per un cambio di rotta del partito ma senza ottenere risposte concrete, anzi ha più volte rischiato l’espulsione per il suo dissenso.

La ragione della possibile scissione e pari pari a quella veneta: la rottura nella Lega avviene infatti quando Salvini sottrae a Tosi il potere di sindacare sulla formazione delle liste e anche per diversità di vedute politiche.

Il leader salentino, che da Forza Italia da tempo afferma di non voler lasciare, con l’annuncio dei suoi uomini, prepara di fatto i bagagli per abbandonare la casa madre e avviarsi coi suoi “Ricostruttori” verso una nuova avventura politica. Difficilmente Berlusconi, di fronte a chi gli getta il guanto in segno di sfida, cederà spazio politico. Chi lo conosce bene dice che preferisce fare come Sansone…, pur di non cedere al dissidente l’eredità del tempio azzurro.

Ustica, il supertestimone: “Ecco cosa successe col Mig libico, i due Mirage e il Tomcat”

di Andrea Purgatori 

“Fu all’inizio degli anni Ottanta. Una domenica in cui giocava l’Italia. Partii da Roma armato, con una scorta armata, e questo documento classificato segretissimo nella cartella. Una relazione completa sulla strage di Ustica che doveva essere controfirmata dal ministro della Difesa Giovanni Spadolini e trasmessa urgentemente al presidente del Consiglio Bettino Craxi. Arrivai alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, da lì una gazzella dei carabinieri mi portò nella sua residenza a Pian dei Giullari. Spadolini mi ricevette in biblioteca, indossava una vestaglia da camera rossa. Mi conosceva bene, lavoravo già da qualche anno nella sua segretaria particolare, mi chiamava per nome. Gli consegnai il documento. Lui si sedette, cominciò a leggere. Erano sette o otto pagine: il resoconto dettagliato di ciò che era accaduto quella sera, con allegate alcune carte del Sismi, il servizio segreto militare. Si parlava di due Mirage, di un Tomcat, si parlava del Mig. Mi resi subito conto che quello che c’era scritto non gli piaceva, scuoteva la testa. Finché a un certo punto sbattè un pugno sulla scrivania. Era infuriato. Ricordati, Giuseppe – mi disse – non c’è cosa più schifosa di quando i generali si mettono a fare i politici. Ma alla fine, controvoglia, firmò”.

Il maresciallo Giuseppe Dioguardi oggi (alla data dell’intervista di ottobre 2013, ndr) ha 53 anni, ha prestato servizio in Aeronautica fino al 2008. Alla scadenza del suo nullaosta di segretezza, il Cosmic, che è il livello più alto, è stato ascoltato da Maria Monteleone ed Erminio Amelio, i due magistrati della Procura di Roma che indagano sulla strage di Ustica. Parte dell’interrogatorio è ancora secretato, ma il maresciallo ha accettato lo stesso di raccontare quello che sa. E sa molto. Nei 33 anni che ha trascorso nell’arma azzurra e alla Difesa, in posizioni di estrema responsabilità e delicatezza, un filo rosso lo ha tenuto sempre agganciato, spesso da supertestimone, a questa storia. Fin da quella sera del 27 giugno 1980, quando si trovò nella sala operativa della Prima regione aerea a Milano. Esattamente negli istanti in cui il DC9 Itavia veniva abbattuto nel cielo di Ustica.

Come mai quella sera lei era nella sala operativa della Prima Regione aerea? “Per puro caso, ero andato a trovare un collega di turno”.
Quindi, seguì tutto in diretta? “Sì, fin dalla prima comunicazione della base radar di Monte Venda”.
Che cosa sentì? “Rimbalzavano notizie confuse. Non si capiva cosa era successo, dicevano che un aereo era stato abbattuto. C’era molta tensione. E appena l’ufficiale di servizio comunicò quello che stava succedendo al comandante della Regiona aerea, che all’epoca era il generale Mura, il Centro operativo dello Stato Maggiore da Roma alzò il livello d’allarme al grado più alto in tutte le basi italiane”.
Cosa che non accade per un semplice incidente aereo. “No. Quel tipo d’allarme scatta solo se c’è un pericolo concreto per la sicurezza del Paese. Che so, un attacco a una base o una minaccia dall’esterno al nostro spazio aereo. Per capirci, lo stesso allarme del giorno dei missili libici su Lampedusa o della notte di Sigonella”.
Dalla prima comunicazione all’allarme quanto tempo trascorse? “In quella situazione, la sala operativa della Regione aerea aveva un tempo massimo di cinque minuti per avvertire Roma. Faccia lei i conti”.
Che altro fece il generale Mura? “Chiese a chi non era in servizio di uscire subito dalla sala. Poi la mattina dopo, al circolo, mi chiamò e mi disse che bisognava stare sereni e tranquilli, che purtroppo erano situazioni che potevano capitare e che stavano cercando di capire chi aveva provocato cosa”.
Le comunicazioni che ascoltò erano telefoniche? “Certo. Ma dallo Stato Maggiore di Roma arrivarono anche messaggi classificati che vennero decrittati e letti”.
Cerchi di essere più preciso. “Non posso, i dettagli sono nelle parti dell’interrogatorio secretate dai magistrati. Diciamo che la confusione era provocata dal fatto che si sapeva che c’erano dei caccia in volo ma non la nazionalità, né la provenienza o la direzione. E comunque, un allarme c’era già prima dell’abbattimento…”.
Chi lo aveva lanciato? “I due piloti che poi sono morti nell’incidente delle Frecce tricolori a Ramstein nel 1986, Nutarelli e Naldini. Loro hanno incrociato il DC9 tra Bologna e Firenze e hanno visto quello che si muoveva intorno al velivolo civile… loro sono rientrati alla base di Grosseto segnalando il pericolo con la formula da manuale, attivando il microfono senza parlare. E tutte le sale operative delle tre regioni aeree, che sono collegate da una linea diretta, stavano cercando di capire. La fase più concitata è andata avanti per circa un’ora e mezza e l’allarme massimo è stato tolto solo dopo sette, otto ore”.
I radaristi militari di Ciampino hanno dichiarato negli interrogatori di aver visto dei caccia americani, hanno addirittura chiamato l’ambasciata per sapere qualcosa da loro. “Nella relazione del Sismi controfirmata da Spadolini si parlava di due Mirage, e all’epoca quei caccia li avevano solo i francesi, e di un Tomcat, che era un caccia imbarcato sulle portaerei americane”.
Possibile che nessuno dei nostri radar, ad eccezione di Ciampino, li avesse visti e identificati? “Mettiamola in questo modo. Quella sera c’erano dei siti radar aperti, che nel giro di due o tre anni da quell’evento sono stati chiusi, ufficialmente per un riordino interno. Uno addirittura dopo sei mesi. E chi ha indagato nella prima fase di questa inchiesta, o non ha saputo cercare i nastri radar giusti o non li ha voluti trovare”.
Ma quella notte, dopo la confusione, si capì come erano andate le cose. “Le dico di più. La mattina dopo, al circolo ufficiali, parlavano tutti dell’abbattimento. E siccome era un sabato, chi stava lì c’era perché aveva lavorato tutta la notte nella sala operativa o nei centri dove passavano le comunicazioni classificate”.
Si parlava di aerei italiani coinvolti, a parte l’F-104 di Nutarelli e Naldini? “No. E il loro coinvolgimento fu molto preciso. Vedere un caccia militare sotto la pancia di un aereo civile non è una cosa normale”.
Se per giunta non è italiano… “Il modello non era italiano. E quando non ci sono nemmeno coccarde che lo identifichino, fai fatica a non sganciare il pulsante d’allarme”.
Si fa fatica anche a non credere che almeno una base radar lo abbia visto entrare nel nostro spazio aereo. “Probabilmente, lo hanno visto”.
E cancellato… “Probabilmente”.
Ma nessuno lo ha mai confessato. “Gliel’ho detto. Se eri un militare e avevi a che fare con un documento o un’informazione a qualunque livello di segretezza, da riservato a segretissimo a top secret che sia per quelli Nato, e le rivelavi rischiavi fino a venti anni di reclusione. Ora la norma è cambiata. Ma allora era così. E guardi, non sono state le minacce o gli ordini dei superiori, che pure ci sono stati, a tappare la bocca ai militari. Era la paura di andare in galera. Ma la gente sapeva, e le carte c’erano”.
E sono sparite per sempre, queste carte? “Io ho spiegato ai giudici che ogni documento ha una vita. Molti sono stati distrutti ma molti esistono ancora. Bisogna saperli cercare. Prenda il giudice Priore. E’ arrivato a cinque centimetri dalla verità, ma non ha trovato la pistola fumante. I suoi finanzieri non sono potuti entrare nelle segreterie speciali o nelle stanze o nei depositi dove c’erano le carte classificate, perché ci vogliono dei permessi che un magistrato non può dare. E se ci fossero entrati, non avrebbero saputo cosa cercare e come. Un registro di protocollo classificato non si distrugge mai nella vita. Ma bisogna trovarlo e poi saperlo leggere. E adesso prenda me. Dopo Milano sono stato otto anni a Roma nella segreteria particolare di sei ministri della Difesa, poi a Bari alla Terza regione aerea, sempre col nullaosta di sicurezza Cosmic che al mio livello in Italia avevamo solo in ventiquattro. Priore ha chiesto di interrogare i componenti della segreteria speciale ma il mio nome non è mai stato inserito nell’elenco che gli ha fornito l’Aeronautica. Sarà un caso?”.
Torniamo a Spadolini, a quella relazione segreta e alla sua sfuriata. “Era fuori di sé. Prima di firmare fece anche una telefonata, a cui però io non ho assistito”.
Ce l’aveva coi generali perché cercavano di giustificare politicamente quello che era successo? “C’era un tentativo di girare le carte. D’altra parte anche De Michelis parlò di carte sopra il tavolo e carte sotto il tavolo. All’epoca i generali di squadra aerea erano solo tredici e ciascuno di loro aveva una linea telefonica diretta con un apparecchio criptato che comunicava con le altre dodici, una specie di teleconferenza via Skype ante litteram. Qualunque decisione dovevano prendere e presero, lo fecero insieme, in tempo reale”.
Mai nessuno fuori dal coro? “Il generale Moneta Caglio. Era un giorno di Pasqua. Vado a Roma a discutere questa faccenda, mi disse. Prese la macchina, andò a casa del capo di stato maggiore, ci fu una lite violentissima e lo misero in pensione con un anno d’anticipo”.
Non condivideva la linea sulla strage di Ustica? “Esatto. Chi ha gestito questa storia, chi era in determinati posti di comando e controllo, ha fatto carriere inimmaginabili. Generali che sono diventati capi di stato maggiore e sottufficiali che hanno avuto trasferimenti lampo in sedi dove c’era una lista d’attesa di quindici anni. Chi ha imbrogliato non è stata l’Aeronautica. È stato un numero ben preciso e ristretto di persone dentro l’Aeronautica. Gli altri ci hanno solo rimesso”.
Oppure sono morti. “Oppure. L’ultimo in ordine di tempo è stato il generale Scarpa. Tre anni fa”.
Trovato nella sua casa di Bari con la faccia tumefatta e una ferita alla testa. “Esatto”.
Aveva avuto a che fare con questa storia? “Diciamo che ci si era trovato vicino”.
Quando i piloti Nutarelli e Naldini sono morti nell’incidente di Ramstein, nessuno di voi si è fatto qualche domanda? “Come devo risponderle?”.
Non lo so. Ha fatto un sospiro. “Ecco. Ma mica è l’unico fatto strano”.
Per esempio? “Nessuno si chiede mai nulla sul povero generale Giorgieri”.
È stato ucciso dalle Brigate Rosse. “Era uno dei tredici generali di squadra, che erano tutti collegati fra loro. Era anche uno dei pochi che non aveva la scorta”.
In quelle pagine che hanno fatto infuriare Spadolini si parlava anche del Mig. “Era collegato”.
Perché anni dopo, terminata la sua audizione in Commissione stragi, disse: “Scoprite il giallo del Mig e troverete la verità su Ustica”. “E’ così. Glielo confermo al cento per cento”.
Di quella relazione non si è saputo mai nulla. Sparita. “Finché sono rimasto al ministero della Difesa a Palazzo Baracchini, una copia di quella relazione c’è sempre stata. E so da amici comuni che fu conservata per molto tempo anche dopo il 1988. Quando fui trasferito alla segreteria del comandante della Terza regione aerea a Bari e poi alla segreteria speciale del comandante di regione, anche nelle loro casseforti c’erano documenti su Ustica. Noi potevamo vederli, leggerli, avevamo il nullaosta giusto”.
Noi chi, scusi? “Noi della segreteria speciale, eravamo in otto e non dipendevamo da nessuno. La sera del 27 giugno, due di noi si trovavano a Monte Scuro, sulla Sila. Dove poi furono rimandati il 18 luglio a vedere ufficialmente i resti del Mig che avevano già visto segretamente il 27 giugno”.
Quella sera in cielo il Mig se l’erano perso o no? (pausa) “Non lo so”.
Però seppero subito dove era caduto. (pausa) “Non lo so”.
I magistrati le hanno chiesto perché ha aspettato tutti questi anni per raccontare quello che sa? “Certo. Lo dico anche a lei. Primo. Perché nel 2010 è scaduto il mio nullaosta di sicurezza e mi sono sentito finalmente una persona libera. Secondo. Perché in tutti questi anni, ogni volta che mi parlavano di Ustica mi sono sentito una merda”.

di Andrea Purgatori per Huffington Post pubblicato il 23 Ottobre 2013 [link originale]

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