7 Ottobre 2024

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Giubileo, il Papa a corrotti e criminali: "Convertitevi, il denaro non vi darà felicità"

Papa Francesco Bolla Anno Santo Giubileo“Il mio invito alla conversione, si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita. Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita”. E’ questo uno dei passaggi centrali del testo della Bolla papale con cui il Pontefice indice l’Anno Santo straordinario col Giubileo della Misericordia che avrà inizio l’8 dicembre prossimo.

“Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, – aggiunge Papa Francesco – pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire”.

“Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamento la vita personale e sociale”, sottolinea Bergoglio invitando anche “le persone fautrici o complici di corruzione” avvertendole che “questo è il momento favorevole per cambiare vita” e “sottoporsi alla giustizia”.

Nella bolla di indizione del Giubileo il Papa stabilisce che in ogni Chiesa particolare, nelle diocesi e anche nei Santuari si apra per tutto l’Anno Santo una Porta della Misericordia, come le Porte Sante delle basiliche papali, affinché il Giubileo possa essere celebrato anche a livello locale, “quale segno di comunione di tutta la Chiesa”.

La prima parte della Bolla di indizione dell’Anno Santo straordinario si conclude con l’annuncio del motto del Giubileo, ovvero “Misericordiosi come il Padre”, tratto dal Vangelo di Luca (Lc, 6,36). Si tratta di “un programma di vita tanto impegnativo, quanto ricco di gioia e di pace”, sottolinea il Pontefice, che richiede la capacità di “porsi in ascolto della Parola di Dio”, così da “contemplare la sua misericordia” ed assumerla come proprio stile di vita.

“Ho scelto la data dell’8 dicembre – spiega Papa Francesco – perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia”.

Tribunali, Gratteri: "Tutti sotto i metal detector, anche i giudici"

polizia penitenziariaNiente istituti di vigilanza privati. Per rendere più sicuri i palazzi di giustizia occorre utilizzare la Polizia penitenziaria, “come i Marshall americani”, e istituire controlli al metal detector per tutti, anche a “presidente di tribunale e capo della polizia”: nessun “lei non sa chi sono io”. Lo ha detto all’Ansa Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, rifacendosi alla proposta di trasformare la Polizia penitenziaria in Corpo di polizia di giustizia, redatta dalla sua Commissione per la revisione delle normative antimafia.

“In questa riforma che il presidente Renzi mi ha dato e mi ha delegato abbiamo previsto” la “trasformazione da polizia penitenziaria a corpo di giustizia come i Marshall americani, cioè coloro che si occupano della sicurezza dei magistrati ma si occupano anche della sicurezza dei palazzi di giustizia”, ha spiegato Gratteri a margine dell’evento “Colloqui del Forte di Bard”, in Valle d’Aosta.

Il magistrato ha auspicato un sistema in cui “non esiste una differenza sostanziale tra chi è magistrato e chi è poliziotto o chi è avvocato, indagato o imputato. Tutti passano sotto al metal detector. Dove nessuno può dire “lei non sa chi sono io”, dove anche il presidente del tribunale, anche il capo della polizia è sottoposto a passare al controllo del metal detector”.

Il sistema di utilizzare accessi riservati con il solo controllo dei tesserini per avvocati e magistrati era stata istituito dalle procure generali su pressioni delle categorie al fine di evitare code davanti agli ingressi. Ma dopo la strage al palazzo di Giustizia di Milano è emerso che proprio da quegli accessi è stato possibile “eludere” la sorveglianza e introdursi armati all’interno del tribunale.

E c’è chi come il Savip, critica che nel tempo la sorveglianza nei tribunali sia passata dalla Polizia Penitenziaria, alle guardie giurate armate e da queste al personale Ots, (operatori tecnici di sicurezza), senza neppure una pistola; così come i portieri, largamente usati nei tribunali. Lavoratori che dovrebbero limitarsi a fare assistenza al pubblico, mentre in molti casi sono impiegati nel controllo degli accessi.

L’argomento scotta, in particolare se si pensa ai tagli alla sicurezza e al sistema Giustizia prodotti negli anni dai vari governi. Tagli che hanno indotto a promuovere gare d’appalto ai privati dove magari se le aggiudica chi propone il massimo ribasso, con tutto ciò che ne consegue in termini di sicurezza del lavoratore e del luogo che deve poi vigilare.

Sorveglianza Tribunali, così la sicurezza nelle principali città

Metal detector per la sicurezza nei tribunaliIl giorno dopo la strage di Milano, il tema della sicurezza nei tribunali è balzato in primo piano. Se in alcune città ci sono stati oggi controlli più rigidi, i fatti di ieri inducono a fare il punto della situazione in alcuni centri.

Nella cittadella giudiziaria di Piazzale Clodio a ROMA i varchi all’ingresso sono gestiti dalla polizia penitenziaria tranne quello della Corte d’Appello controllato da carabinieri. Al varco per il pubblico 5 rapid scan, metal detector di ultima generazione. Avvocati, magistrati e personale amministrativo entrano solo con tesserino/permesso rilasciato dall’ufficio sicurezza della Corte d’Appello.

A NAPOLI sono allo studio verifiche più stringenti per l’accesso di avvocati, giudici e personale, che ora entrano col tesserino di riconoscimento. Il pubblico accede passando da metal-detector e scanner a raggi x. Al palazzo di Giustizia di PALERMO, sia nell’edificio principale che in quello più recente, pubblico, avvocati, cancellieri e giornalisti passano dal metal detector, mentre le borse sono controllate ai raggi X. Solo i magistrati accedono da un ingresso riservato. Gli accessi sono controllati dai carabinieri. Da oltre un anno, l’accesso di avvocati e giornalisti a Procura e Procura generale avviene previa presentazione dei tesserini dell’ordine di appartenenza.

A TORINO l’unico accesso al pubblico è presidiato dagli operatori di un’agenzia privata e da carabinieri: si passa sotto i metal detector, lasciando le borse su un rullo, e si viene sottoposti a un controllo con una ‘paletta’ per la rilevazione degli oggetti metallici. Gli avvocati sfilano da un varco vicino e, oltre a posare le borse su un rullo, come richiesto loro sin dal 2008, devono mostrare il tesserino. Due i metal detector a VENEZIA all’ingresso della ‘Cittadella’ a Piazzale Roma: sono fermi, ma saranno attivati nei prossimi giorni con un potenziamento dei controlli, secondo un piano previsto da tempo.

Nel Tribunale di ANCONA l’ingresso è attrezzato con un metal detector (non però la ‘corsia’ degli avvocati) ed è presidiato da una guardia giurata. I corridoi interni dell’edificio sono monitorati da telecamere e c’è un sistema di videosorveglianza esterno. Tredici negli ultimi 5 anni le denunce per il tentativo di introdurre coltellini e anche un teser. Nuove disposizioni da oggi a BOLOGNA: all’ingresso principale, tutti sono controllati e passano sotto metal detector, le borse fatte passare nello scanner ad infrarossi, avvocati compresi. Il tutto è seguito da due guardie giurate armate e da altro personale che controlla il monitor. Come conseguenza, un po’ di fila e qualche malumore.

A FIRENZE il nuovo palazzo di giustizia alla periferia nord della città, ha 2 ingressi vigilati da guardie private armate e metal detector, tranne un varco riservato a legali e cronisti. Stamani i controlli sono stati più accurati del solito. Controlli più serrati anche a GENOVA, dove una lunga coda si è formata al metal detector dell’ingresso principale, che in passato, per due volte, ha rilevato la presenza di un coltello addosso a un imputato. A BARI dal 17 aprile una postazione per il controllo dei documenti di chi accede al Palagiustizia sarà gestita dai carabinieri con colleghi in congedo grazie a una convenzione con l’associazione carabinieri in congedo.

A L’AQUILA dopo il terremoto del 2009 a causa dei danni al palazzo di giustizia, i vari uffici sono sparsi per la città e c’è solo la vigilanza privata, che ha sostituito l’esercito con cui è scaduta la convenzione; al tribunale in località Bazzano, dove insistono anche procura e polizia giudiziaria, non ci sono particolari misure di sicurezza come pass obbligatori o metal detector. Stessa cosa nella sede della corte d’appello.

A CATANZARO tribunale e corte d’appello sono presidiate da guardie giurate e carabinieri. All’ingresso metal detector e al Tribunale è attivo uno scanner per il controllo delle borse.

Nel Palazzo di Giustizia di POTENZA l’ingresso è controllato da personale di un istituto privato di vigilanza che utilizza anche un metal detector. Pure l’ingresso alla Procura è vigilato e forze dell’ordine sorvegliano i piani dove vi sono le aule di udienza. Metal detector operativo all’ingresso, tre guardie armate e telecamere esterne ad AOSTA: tutti sono sottoposti ai controlli, tranne personale e avvocati. Il metal detector fu installato due anni fa, in concomitanza con l’arrivo dell’allora pm Antonio Ingroia, che rinunciò all’incarico.

Tre ingressi per il personale autorizzato e uno per il pubblico a CAGLIARI: tutti sono dotati di metal detector e presidiati da guardie giurate e carabinieri. Visitatori, imputati e pubblico, ma anche tutti quelli sprovvisti di tessera magnetica riservata ad avvocati e personale autorizzato, devono far passare le borse ai raggi X. L’intero palazzo è videosorvegliato.

Le Monde: "Il FN di Le Pen sotto accusa per finanziamento illecito"

Marine Le Pen ospite del  TF1 al programma « 20 heures » (Bruno Levy per "Le Monde")
Marine Le Pen ospite del  TF1 al programma « 20 heures » (Bruno Levy per “Le Monde”)

Il Front National finisce sotto accusa per finanziamento illecito e la presidente del partito, Marine Le Pen, finisce sotto inchiesta insieme a due stretti collaboratori e dirigenti del partito, David Rachline e Nicolas Bay. Lo scrive il quotidiano Le Monde che sarà in edicola nel pomeriggio.

“Andrò a difendermi, ovviamente, ma anche ad attaccare”: nello psicodramma familiare dei Le Pen è oggi l’anziano Jean-Marie – minacciato di espulsione dal Front National – a replicare alla figlia Marine, che ha annunciato ieri sera in un’intervista in diretta tv l’apertura di una procedura disciplinare nei suoi confronti.

Ieri sera, la presidente del FN, in diretta al tg delle 20 di TF1, ha annunciato la procedura disciplinare nei confronti del padre e fondatore del partito dopo le sue ripetute provocazioni di stile xenofobo e antisemita. Nell’ultima della serie, intervistato dal periodico di estrema destra Rivarol, aveva difeso il maresciallo Petain, capo della Francia collaborazionista con i nazisti.

“L’intervista della signora Le Pen – ha detto stamattina Jean-Marie alla radio RTL – mi lascia sbalordito. Non riesco a capire le cause delle sue azioni, le tappe della sua evoluzione. La signora Le Pen sta provocando l’esplosione, aveva la possibilità di avere risultati vincenti e si crea da sola un’enorme difficoltà con il fondatore del suo partito che, in più, è anche suo padre”.

L’appuntamento per decidere la sorte di Jean-Marie Le Pen – secondo quanto annunciato ieri sera dalla figlia – è ormai fissato per la riunione dell’ufficio esecutivo il 17 aprile. Attorno al tavolo, oltre al padre e alla figlia, saranno presenti i cinque vicepresidenti del Front, il tesoriere e il segretario generale.

Marine Le Pen ha annunciato di aver “avviato una procedura disciplinare nei confronti di Jean-Marie Le Pen. Sarà convocato dalle istanze competenti del partito. Dovrebbe – ha detto in diretta al telegiornale di TF1 – dimostrare saggezza e trarre le conseguenze del disagio provocato mettendo fine alla sue responsabilità politiche” lasciando intendere di auspicare le dimissioni del padre.

Infrazioni al codice della strada, presto multe senza frontiere

multe senza frontiere - infrazioni codice della stradaTempi duri per i trasgressori del codice della strada all’estero. Presto, i 28 paesi membri dell’Unione europea saranno in grado di scambiarsi informazioni e sanzionare subito gli automobilisti indisciplinati che si vedranno recapitare le multe nel paese d’origine. Sarà insomma difficile farla franca come un tempo.

La multe senza frontiere saranno presto realtà dopo il via libera dato da Europarlamento e Consiglio Ue a una nuova direttiva che ne consente l’estensione entro due anni anche a Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca. La direttiva Ue rivista fornisce una nuova base legale fondata ora sulla sicurezza stradale e non più sulla cooperazione di polizia, da cui sono esonerati Londra, Dublino e Copenaghen.

Con il sistema delle multe senza frontiere, che consente l’accesso ai registri d’immatricolazione di tutti i 28 stati membri, qualunque guidatore che commetta infrazioni gravi al codice della strada all’estero vedrà recapitarsi a casa l’ammenda. Le infrazioni per cui è previsto questo sistema sono eccesso di velocità, guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, guida senza cinture di sicurezza o senza casco, uso di corsie vietate, mancato rispetto del semaforo rosso e uso del cellulare durante la guida.

Gli stati membri devono recepire la direttiva rivista nei rispettivi ordinamenti nazionali entro il prossimo 6 maggio. Alla Gran Bretagna, all’Irlanda e alla Danimarca sono stati dati due anni in più per arrivare alla completa applicazione delle nuove norme. La Commissione Ue dovrà valutare l’efficacia della direttiva entro il novembre 2016 e, in seguito, potrebbe proporre dei cambiamenti. Le norme precedenti erano state bloccate lo scorso maggio dalla Corte di giustizia dell’Ue, dopo che Parlamento e Consiglio ne avevano cambiato la base legale.

Con questo sistema chi vìola il codice della strada all’estero viene sanzionato come se fosse nel proprio paese. In alcuni paesi Ue le infrazioni vengono attualmente punite con un’ammenda da pagare sul posto alla polizia, appunto per l’impossibilità di recapitare il verbale a casa allo “straniero” indisciplinato. In molti casi le volanti della “Polizei” riscuotono in cash oppure con carta, essendo dotati di pos. I poliziotti rilasciano anche una ricevuta. Può scattare il sequestro dell’auto e l’immediato ritiro della patente  in casi di violazioni più gravi come l’alta velocità e la guida in stato d’ebbrezza. In alcuni paesi Ue la “tolleranza” è zero anche per chi guida una bici.

L’Ucraina vieta i simboli comunisti nel giorno del ricordo di Bykivnia Graves

Komorowky Poroshenko Bykivnia Graves Memorial
Da sinistra il Presidente della Polonia Bronislaw Komorowski e il Presidente Petro Poroshenko durante la ceremonis al Bykivnia Graves Memorial (Afp)

La Rada, il parlamento ucraino, ha approvato a larga maggioranza una legge proposta dal consiglio dei ministri che equipara il comunismo al nazismo vietandone i simboli e la negazione del suo carattere “criminale”. Previsti fino a 5 anni di carcere per chiunque vìoli le disposizioni approvate dal parlamento di Kiev.

“Con questa legge il regime totalitario comunista esistente in Ucraina dal 1917 al 1991 viene riconosciuto come criminale e accusato di aver promosso una politica del terrore statale”, si legge in un passaggio della norma, che dà al regime la stessa definizione del nazismo. Inoltre è vietato usare il termine sovietico “Grande guerra patriottica” in uso in Ucraina e in alcuni ex paesi sovietici e riferito alla Seconda Guerra Mondiale.

La legge arriva nel giorno in cui Polonia e Ucraina hanno preso parte a Kiev alla cerimonia in ricordo alle vittime del totalitarismo sovietico a Bykivnia Graves Memorial, una delle più grandi fosse comuni del regime comunista mai rinvenute nella storia.

Tra il 1937 e il 1941, la Nkdv, la polizia segreta sovietica, secondo le ultime stime, avrebbe “smaltito” in quelle foreste oltre 200mila uomini giustiziati perché ritenuti “nemici dello stato sovietico”. La metà dei quali erano cittadini ucraini.

Inizialmente sulla Croce commemorativa di Bykivnia era stata scolpita la “responsabilità del nazismo”, ma dopo varie commissioni d’inchiesta è stata accertata la “mistificazione del regime totalitario sovietico”: il massacro “è stato compiuto (come a Katyn per i polacchi, verità svelata da Gorbaciov nel ’90, ndr), dal regime comunista”.

Bykivnia Graves Memorial
Il Bykivnia Graves Memorial

Il presidente ucraino Petro Poroshenko e il suo omologo polacco Bronislaw Komorowski oggi hanno reso omaggio alle “vittime del terrore comunista” insieme a cittadini polacchi, ucraini e di altre nazionalità.

Poroshenko ha inoltre affermato come lo scoppio della Seconda guerra mondiale è da attribuire al “nazismo quanto al comunismo, regimi totalitari che avevano entrambi l’obiettivo di spartirsi l’Europa”. Grande commozione tra i leader e tra molti cittadini ucraini, polacchi e di altri paesi dell’ex Urss giunti a Bykivnia (Kiev) per commemorare le vittime dell’eccidio.

Marò, Latorre potrà restare in Italia fino a luglio. Girone ancora in India

i Marò Girone e Latorre
i Marò Girone e Latorre

Il fuciliere della Marina italiana, Massimiliano Latorre è stato autorizzato a rimanere in Italia fino al 15 luglio. Lo ha deciso la Corte Suprema indiana. La decisione è giunta dopo un dibattito durato una ventina di minuti, durante il quale è stato riesaminato brevemente l’iter giudiziario in cui sono sono coinvolti Latorre e Salvatore Girone, che si trova attualmente in India. In particolare i giudici indiani hanno ricordato l’esistenza di un ricorso italiano, accolto, contro la presenza della polizia antiterrorismo Nia, e hanno disposto la fissazione di un’udienza entro la fine di aprile.

A marzo era stato sospeso il processo a loro carico presso il tribunale speciale dopo l’accoglimento del ricorso italiano da parte della Corte suprema indiana. Ricorso con cui si “contesta in toto il diritto dell’India a condurre l’inchiesta e a giudicare i marò” avevano spiegato i legali dei fucilieri al termine dell’udienza. “Sono molto soddisfatto – aveva spiegato l’avvocato dei marò, Mukul Rohatgi – perché siamo riusciti a far accogliere la nostra posizione e a bloccare la presentazione dei capi di accusa da parte della polizia antiterrorismo Nia”.

Terrore al tribunale di Milano, uomo spara e uccide tre persone. Preso a Vimercate.

Uno dei feriti subito soccorso fuori dal tribunale di Milano
Uno dei feriti subito soccorso fuori dal tribunale di Milano (Ansa)

Terrore al tribunale di Milano. Un uomo imputato di bancarotta, ha sparato all’impazzata uccidendo tre persone tra cui un magistrato. Dopo essersi barricato nel palazzo di Giustizia, il presunto killer, Claudio Giardiello, è riuscito a dileguarsi in moto ed è stato catturato a Vimercate, alle porte di Milano. In tutto ha sparato tredici i colpi calibro 675. Il ministro dell’Interno Alfano ha detto che era pronto a uccidere ancora. “Volevo vendicarmi di chi mi ha rovinato”, ha detto il killer dopo la cattura.

Il dramma è successo intorno alle 11 nel Palazzo di Giustizia del capoluogo lombardo. I Carabinieri hanno subito fornito l’identità del killer. Si tratta di Claudio Giardiello, sotto processo per bancarotta fraudolenta. Secondo quando appreso dalle agenzie, l’uomo è imputato per il fallimento della società “Magenta Immobiliare” di Milano.

Secondo quanto raccontato dagli avvocati presenti in aula, l’uomo avrebbe esploso diversi colpi di pistola al quarto piano del tribunale, sul lato di via Manara, attorno alle 11 di mattina dopo che il suo difensore ha rinunciato al mandato, scatenando il caos all’interno dell’edificio. Pesante il bilancio: finora sono tre i morti e diversi feriti. 

Il giudice ucciso Fernando Ciampi
Il giudice ucciso Fernando Ciampi

Il magistrato che è stato ucciso da Giardiello è il giudice fallimentare Fernando Ciampi. A riferirlo è stato il procuratore della Corte d’Appello Giovanni Canzio. Ciampi sarebbe stato ucciso nel suo ufficio, al secondo piano del palazzo di Giustizia, raggiunto da Giardiello dopo che aveva già esploso almeno quattro colpi di pistola nell’aula della seconda sezione penale dove era in corso il processo a suo carico per bancarotta. Le altre due persone freddate sono il suo avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani e Giorgio Erba, coimputato nel processo.

Risulta ferito anche Davide Limoncelli imputato del processo in corso nell’aula della seconda sezione penale. Limoncelli sarebbe anche il socio della Magenta immobiliare. Ferito alla gamba anche un avvocato che ha incrociato l’assassino sulle scale.

Il killer subito dopo aver centrato i suoi bersagli, si è prima barricato negli uffici per poi dileguarsi fuori città dove è stato catturato dalle forze dell’Ordine. Le forze speciali di polizia e carabinieri subito dopo il fatto di sangue avevano evacuato l’intero edificio e chiuso tutte le uscite.

“Ho sentito degli spari e ho visto un uomo con una gamba insanguinata, ho avuto paura e sono scappato”, ha raccontato un testimone che si trovava in tribunale quando è avvenuta la sparatoria. Diverse persone hanno sentito il rumore degli spari e sono fuggite dai corridoi e si sono dirette verso l’uscite dell’edificio.

Sul posto erano subito accorsi, tra gli altri ,il capo della Squadra Mobile Alessandro Giuliano e il comandante del Ros, Giovanni Sozzo che hanno guidato il blitz contro il presunto autore.

Claudio Giardiello al centro tra i carabinieri
Claudio Giardiello al centro tra i carabinieri (Ansa/Bazzi)

Fuori dal Palazzo di giustizia si sono radunate centinaia di persone, tra dipendenti e persone impegnate in processi. “Appena ho sentito gli spari – ha detto una impiegata 40enne – e ho visto la gente fuggire mi sono chiusa all’interno della Cancelleria. Ho avuto tanta paura e ho cercato di lasciare al più presto il palazzo”.

Ora resta da capire come l’autore sia potuto entrare armato nel palazzo di Giustizia più sorvegliato d’Italia. Probabilmente è riuscito ad accedere insieme ad un avvocato dall’ingresso loro riservato, da dove si entra mostrando il tesserino di appartenenza all’ordine forense. Secondo il tribunale, tutti i metal detector “erano pienamente funzionanti”.

G8 Genova, il Pd chiede la testa di De Gennaro, ma Cantone lo difende: "Fu assolto"

L'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro
L’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro. Oggi è presidente di Finmeccanica

Ore difficili per Gianni De Gennaro, l’ex capo della Polizia che 14 anni fa avrebbe dato gli ordini di irrompere alla Diaz di Genova dov’erano accampati i manifestanti no global che protestavano contro il summit del G8. Dopo la pronuncia della Corte dei diritti dell’Uomo a Strasburgo – che ha qualificato il “trattamento” delle forze dell’ordine su centinaia di persone come “torture” – le reazioni del giorno dopo contro De Gennaro non si sono fatte attendere.

Quella che ha suscitato più clamore, l’intervento del presidente del Pd Matteo Orfini che ha bollato senza mezzi termini “una vergogna” che l’allora capo della Polizia nel periodo del G8, sia oggi presidente di Finmeccanica. Incarico affidatogli da Enrico Letta e confermato poi da Matteo Renzi.

De Gennaro, alto dirigente dello Stato, ai tempi del G8 del 2001 era capo della Polizia di Stato. Secondo gli antagonisti fu lui “il mandante” del sanguinoso blitz contro i manifestanti nella scuola allestita come dormitorio nel tentativo di scovare gli autori della guerriglia urbana a Genova il primo giorno del summit. Una tesi che non trovò riscontri processuali. De Gennaro è stato infatti indagato e prosciolto da ogni accusa.

Dopo le sentenze che hanno prima condannato i funzionari di polizia sui fatti del G8 e quella di martedi 7 aprile 2015 con cui la corte dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per le “torture” alla Diaz ecco arrivare la reazione di Orfini che scatena un caso politico.

Per adesso il premier Matteo Renzi non risponde alla forte posizione di Orfini che espone tutto il Pd, ma dalle opposizioni incalzano chiedendo la testa di Gianni De Gennaro.

Il Movimento Cinque Stelle afferma che “la risposta per chi governa un Paese non è portare in aula un testo che si limita a simulare l’introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale, ma avere il coraggio, o più semplicemente il senso del pudore, di rimuovere dalla presidenza di Finmeccanica Giovanni De Gennaro, fra i principali protagonisti dei terribili fatti della Diaz”.

Al Senato è l’ex capogruppo Nicola Morra a chiedere esplicitamente la testa dell’ex capo della Polizia: “De Gennaro lasci Finmeccanica. Non può rappresentare l’Italia dopo la condanna di Strasburgo: ne prenda atto e si dimetta subito”, attacca il parlamentare calabrese. Protesta anche Sinistra Ecologia e Libertàche chiede la testa dell’ex superpoliziotto.

Per Forza Italia, è Gianfranco Rotondi a difendere l’operato di De Gennaro: “Vergognoso è l’attacco inopportuno, fuori luogo, molto strumentale e gratuito che viene da una parte del Pd a Gianni De Gennaro che andrebbe ringraziato quale servitore dello Stato riconosciuto, per le sue straordinarie doti professionali, anche all’estero”.

Ma la difesa forte all’ex capo della Polizia arriva da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione: “Gianni De Gennaro – dice – è stato indagato e assolto. L’assoluzione conta pure qualcosa, quindi non può pagare le responsabilità complessive di una macchina intera”.

Strage di Ustica, la Corte d'Appello di Palermo: "E' stato un missile ad abbattere il DC-9"

Il DC-9 dell'Itavia ricostruito nell'hangar di Pratica di Mare
Il DC-9 dell’Itavia ricostruito nell’hangar di Pratica di Mare (Ansa/Maniaci)

La strage di Ustica del 27 giugno 1980 è da addebitarsi a un missile lanciato contro il Dc-9 da un altro aereo che intersecò la rotta del volo Itavia. E’ quanto afferma la sentenza della prima sezione civile della Corte d’Appello di Palermo, che esclude le ipotesi alternativa della bomba collocata a bordo o del cedimento strutturale, in merito a quanto avvenne nei cieli del basso Tirreno.

Secondo la Corte d’Appello rimane confermata la responsabilità dei due dicasteri per non aver assicurato adeguate condizioni di sicurezza al volo Itavia 870. Secondo la sentenza, quanto avvenne nei cieli del basso Tirreno quella notte è da addebitarsi a un missile lanciato contro il Dc-9 da un altro aereo che intersecò la rotta del volo Itavia e sono da escludersi le ipotesi alternativa della bomba collocata a bordo o del cedimento strutturale. La Corte d’Appello ha dichiarato la prescrizione al risarcimento da depistaggio per intervenuto decorso del termine quinquennale. Ha però confermato il risarcimento da fatto illecito rinviando all’udienza del 7 ottobre 2015 per l’esatta quantificazione del danno.

“Con queste quattro sentenze – commenta l’avvocato Daniele Osnato – la Corte di Appello di Palermo ha definitivamente chiuso, in punto di fatto, la vicenda giudiziaria identificando, al di sopra di ogni dubbio, che il Dc-9 sia stato abbattuto da un missile. Ogni contraria ipotesi è stata vagliata ed esclusa, compresa quella della bomba. Con buona pace di chi, ancora a distanza di 35 anni dal tragico evento, prosegue con informazioni deviate ed ipotesi del tutto prive di fondatezza”. “La verità processuale – sempre secondo il legale dei familiari delle vittime – coincide in questo caso con la realtà degli eventi e cioè che quella sera il Dc-9 dell’Itavia è stato abbattuto in un atto di guerra non dichiarata ad opera di un missile non identificato”.

La prima sezione civile della corte d’appello di Palermo ha quindi rigettato gli appelli che l’Avvocatura dello Stato aveva promosso contro quattro sentenze emesse nel 2011 dal tribunale del capoluogo siciliano in merito alla vicenda del disastro del Dc-9 Itavia precipitato al largo di Ustica il 27 giugno 1980 (81 morti). A ricorrere al rito civile, citando i Ministeri dei trasporti e della difesa, erano stati 68 familiari delle vittime assistiti dagli avvocati Daniele Osnato e Alfredo Galasso che in primo grado si erano visti riconoscere un danno pari a oltre cento milioni di euro.

Forza Italia, è tregua tra Fitto e Berlusconi. Anzi no

Il medico oncologo Francesco Schittulli Forza Italia candidato del centrodestra in Puglia
Il medico oncologo Francesco Schittulli candidato del centrodestra in Puglia

Sembra tregua in Forza Italia. Sembra. L’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi asseconda il dissidente interno Raffaele Fitto e ha dato via libera alla ricandidatura dei consiglieri uscenti in Puglia vicini all’europarlamentare. In un primo momento il presidente di Forza Italia aveva sbarrato la strada ai “Ricostruttori”, ma quando si è reso conto che la lotta interna stava logorando gli azzurri ha deciso questa conclusione per non compromettere l’esito delle imminenti elezioni regionali di maggio.

LA PAX DI VITALI
Una nota del commissario Forza Italia Puglia, Luigi Vitali, segna la pax. “A seguito dell’incontro tenuto ieri con i consiglieri regionali – si legge -, in accordo con Berlusconi, per favorire l’unità del centrodestra in Puglia Forza Italia conferma la disponibilità a ricandidare l’intero gruppo regionale”. Unità raggiunta e auspicata anche dal coordinatore regionale del Nuovo Centrodestra Massimo Cassano che fino all’ultimo ha sperato in questo esito.

Luigi Vitali - Forza Italia Puglia
Luigi Vitali, commissario di Forza Italia Puglia

“Forza Italia – è spiegato nella nota – tramite il segretario regionale onorevole Luigi Vitali conferma la disponibilità a ricandidare l’intero gruppo regionale, anche al fine di sgomberare il campo da tutte le polemiche divampate in queste settimane. Forza Italia ribadisce inoltre la convinzione che il centrodestra unito possa aspirare alla vittoria e la volontà, mai venuta meno, di sostenere la candidatura alla presidenza del professor Francesco Schittulli”, candidato da Berlusconi senza “consultare i fittiani” i quali erano andati su tutte le furie anche per il commissariamento del partito in Puglia. Acqua comunque passata, perché nel frattempo Schittulli è diventato anche il candidato di Fitto.

La partita pugliese metterebbe al riparo la candidatura di Stefano Caldoro in Campania e in Veneto, dove l’ex governatore pugliese aveva fatto trapelare la volontà di sostenere Flavio Tosi (candidato contro il leghista Zaia) qualora da palazzo Grazioli non fossero giunte azioni “riparatorie” al “torto subìto” in Puglia.

Tuttavia la tregua sembra non reggere. L’intesa non accontenta del tutto gli azzurri. Uno dei tessitori per l’unità del centrodestra in Puglia, il consigliere uscente Davide Bellomo (fedelissimo di Schittulli) che ha trattato per la pax, attacca frontalmente il commissario Luigi Vitali reo di aver bluffato.

Il consigliere regionale vicino a Schittulli, Davide Bellomo
Il consigliere regionale vicino a Schittulli, Davide Bellomo

DAVIDE BELLOMO: “VITALI BLUFFA”
“Ora davvero basta”, sbotta il consigliere de “I Pugliesi” Bellomo. “Con l’ultimo comunicato il commissario regionale di Forza Italia, on. Luigi Vitali, dimostra non solo di non aver a cuore gli interessi dei pugliesi e quindi di non essere interessato a vincere le elezioni Regionali, ma di prendere in giro anche gli alleati della coalizione. Ora è il momento di dire ai pugliesi cosa è davvero accaduto in questi ultimi giorni e in modo particolare ieri sera, e lo dico come testimone oculare avendo io condotto le trattative affinché il centrodestra fosse unito e forte sulla candidatura a presidente di Francesco Schittulli. Ieri sera l’accordo, quello vero, era stato raggiunto con l’inserimento nelle liste di Forza Italia dei consiglieri regionali uscenti, amministratori e dirigenti del partito che in questi anni hanno condotto in prima linea le battaglie di centrodestra sul territorio e nelle istituzioni pugliesi. Per altro era anche una condizione esplicitamente espressa da Schittulli. Oggi l’on Vitali bluffa e annuncia subdolamente un accordo raggiunto solo con la ricandidatura di tutti i consiglieri uscenti di Forza Italia. Cosa per altro che veniva data da tutti per scontata. Ieri sera, era un altro l’intesa raggiunta, rimanevano da definire solo alcuni dettagli. Vitali, questa mattina, ha fatto un passo indietro stracciando unilateralmente il complesso risultato raggiunto. In questo momento è evidente che Forza Italia si è volontariamente esclusa dalla coalizione che sostiene Schittulli. Dobbiamo essere lealmente corretti con i pugliesi non usando le elezioni regionali per regolamenti interni ai partiti”.

Raffaele Fitto
Raffaele Fitto

VITALI: “PARLO SOLO CON FITTO E SCHITTULLI”. BELLOMO? “NON LO CONOSCO”
Ma per Vitali, gli interlocutori sono Fitto e Schittulli, non Bellomo. “Io – spiega il commissario –  ho fatto l’estremo tentativo per ricompattare il centrodestra e ho dato la disponibilità a ricandidare l’intero gruppo regionale: ora sono in attesa di risposte, prima di tutto aspetto la risposta di Fitto. Che fa, accetta? Bellomo non può essere mio interlocutore, a mala pena lo conosco: aspetto di sapere cosa ne pensa Schittulli, è lui che deve dire qualcosa. Aspetto di sapere qualcosa, quindi, da Fitto, da Schittulli e anche da Ncd e Fratelli d’Italia che devono essere chiari e devono spiegare da che parte stanno”. Insomma, la “guerriglia” sembra continuare.

 

 

 

Il Pd Milano va in fiera a fare "acquisti" di giovani. Expo gratis a chi si tessera

Pietro Bussolati Pd Milano
Pietro Bussolati segretario Pd Milano

La politica è in crisi, la gente si allontana dai partiti perché nauseata dalle azioni di una classe politica sempre più auto referenziale. Allora che c’è di meglio di andare in fiera e fare “acquisti”? La trovata geniale è del Partito democratico milanese che offre ai giovani under 30 un biglietto omaggio per Expo 2015, a patto che si iscrivino al partito di Matteo Renzi.

“Il PD – spiega il giovane segretario dem, Pietro Bussolati – è l’unico partito a Milano ad essere rivenditore ufficiale dei biglietti per Expo 2015, questo perché crediamo fortemente nel successo della manifestazione e vogliamo, come è nel nostro dna, metterci a disposizione della città anche in questa importante occasione”. Una occasione propizia per avvicinare i giovani alla politica.

“Vogliamo che tanti milanesi visitino Expo – dice ancora Bussolati – e per questo abbiamo deciso di acquistare e rivendere i tagliandi ai nostri iscritti con una promozione dedicata”, che consiste nel pagare metà prezzo: 25 euro al posto di 50.  “Per i giovani under 30, che si iscriveranno al Partito Democratico di Milano, un’opportunità in più: con 25 euro riceveranno tessera 2015 e un biglietto per visitare Expo”. Dunque una bella promozione. La differenza? Probabilmente è a carico del Pd.

“Il PD vuole essere un soggetto vivo e protagonista a Milano e nella sua Area Metropolitana, con un’attenzione ai più giovani, offrendo loro l’opportunità di partecipare alla vita politica e pubblica della città. Per informazioni e richieste di iscrizioni occorre scrivere a expo2015@pdmilano.org”.

Quando nei partiti si celebravano i congressi, questa pratica non era proprio “leale” nei confronti delle anime interne dei partiti poiché i pacchetti di tessere facevano la differenza all’interno delle assemblee. Ma erano altri tempi.

Elezioni regionali, aumenta il caos in Forza Italia

Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto nel 2010
Silvio Berlusconi e Raffaele Fitto nel 2010

Deciso a restare ancora qualche giorno in Sardegna, Silvio Berlusconi preferisce tenersi lontano da quella che sempre di più assomiglia ad una guerriglia tra bande che da mesi tiene banco dentro Forza Italia.

Più che alle prossime scadenze amministrative, racconta chi in queste ore è in collegamento con villa Certosa, l’ex capo del governo è concentrato già sul dopo elezioni: poter tornare innanzitutto in in campo senza più condizionamenti, e poi dare una veste nuova al suo partito (ed in questa direzione va il mandato consegnato alla fedelissima Mariarosaria Rossi di lavorare al rinnovamento delle liste elettorali) anche se questo dovesse procurare spaccature del vertice nazionale e di conseguenza dei gruppi parlamentari.

Che la linea sia oramai tracciata lo si intuisce chiaramente da quanto sta accadendo per le elezioni regionali su cui Berlusconi ha deciso di continuare a tenere un “low profile” (saranno sporadiche anche le apparizioni in campagna elettorale) lasciando che ad occuparsi attivamente della questione siano i suoi fedelissimi, “cerchio magico” soprattutto.

Ma nonostante al voto non manchi moltissimo, la situazione è tutt’altro che risolta. Domani Giovanni Toti con il vertice locale azzurro aprirà ufficialmente la campagna elettorale in Liguria, nel week end dovrebbe sbloccarsi la situazione in Campania per la corsa di Caldoro. A tenere banco però è la Puglia che rischia di trasformarsi in un campo di battaglia con l’ipotesi di una spaccatura del partito. Entro settantadue ore al massimo, fanno sapere i ben informati, Francesco Schittulli avrebbe intenzione di chiudere la trattativa ufficializzando, in caso di mancato accordo, la corsa con il sostegno di Fitto senza Forza Italia.

L’eurodeputato pugliese non sembra disposto ad accettare compromessi anzi, l’intenzione è quella di proseguire con gli attacchi alla gestione del partito: “Per le regionali, escludere chi ha consenso e’ suicida…”, dice senza tanti giri di parole il capo della minoranza azzurra che bolla come “retorici” gli appelli all’unità e come “finto” il ragionamento che in questi giorni si fa sul rinnovamento interno: è solo un modo – accusa Fitto – “per lasciare tutto in mano ai “soliti autonominati”. Parole pesanti dietro cui si nasconde, anche da parte dell’eurodeputato, la consapevolezza che dopo le regionali si aprirà la vera partita per il centrodestra. Gli affondi di Fitto non colgono di sorpresa Berlusconi: non ho mai messo in discussione la sua fiducia, ma chiamasse in causa me – è il ragionamento dell’ex capo del governo con i suoi – e non i miei consiglieri.

Evidentemente sa che non gli è utile puntarmi il dito contro. Ragionamenti, quelli dell’ex capo del governo, che chiamano indirettamente in causa la tesoriera e braccio destro Mariarosaria Rossi finita nel mirino dopo l’ufficializzazione dei criteri per la composizione delle liste elettorali. La diretta interessata si tiene lontano da repliche ufficiali ma, nei discorsi fatti nei giorni scorsi, non esita a dirsi convinta che in modo sempre più chiaro l’obiettivo del capo frondista sia quello di evitare qualsiasi mediazione: dalle interviste e dalle dichiarazioni di Fitto e dei suoi – è il ragionamento della senatrice azzurra – appare chiaro che il loro interesse è solo quello di non sedersi al tavolo per la compilazione delle liste, evitando di partecipare ad un progetto di rinnovamento. Non si preoccupano nemmeno – avrebbe poi aggiunto – di stilare un programma da proporre agli elettori.

Tangenti Telekom Serbia, Matacena querela Mattiello

Amedeo Matacena e Davide Mattiello - Tangenti Telekom Serbia
Amedeo Matacena e Davide Mattiello

Non si fida Amedeo Matacena del deputato Pd Davide Mattiello, il quale insiste nel volerlo riportare in Italia dalla sua latitanza a Dubai perché la “sua incolumità è a rischio”. Interventi che hanno evidentemente “insospettito” Matacena al punto da presentare una denuncia querela nei suoi confronti, anche in relazione a presunti legami che l’ex armatore reggino – per Mattiello –  avrebbe con il terrorismo islamico. L’ex parlamentare di Forza Italia, già condannato a tre anni per concorso esterno in associazione mafiosa e latitante negli Emirati arabi ha così incaricato il suo avvocato di formalizzare una denuncia nei confronti del parlamentare Mattiello, membro delle commissioni Giustizia e Antimafia che più volte ha rivolto “inviti” a Matacena di rientrare in Italia “con tutte le tutele” del caso. Matacena, disse il parlamentare dem, “non vuole tornare perché teme una brutta fine” per cui, ha fatto intendere, “noi gli offriremo la protezione di cui ha bisogno…”. Sollecitazioni che evidentemente sono apparse “sospette” a Matacena. Teme forse una “trappola” dall’esponente dell’Antimafia.

La querela contro Mattiello l’ex parlamentare azzurro l’aveva annunciata a marzo a ridosso delle sue “esplosive” dichiarazioni sul presunto giro di mazzette nel caso Telekom – Serbia. “Conosco i conti cifrati dove sono state depositate tangenti a tre noti esponenti della sinistra italiana”, disse in una intervista all’Ansa. Le reazioni di ambienti Pd furono stizzite: “è un uomo in delirio” che “rimesta nel passato”. Un passato già chiarito con l’estraneità di alcuni esponenti ai vertici del maggiore partito di centrosinistra, da cui è emersa l’inattendibilità del faccendiere – accusatore Igor Marini. Ma Matacena al quotidiano “Il Tempo” qualche giorno fa ribadisce: “Non sono Igor Marini, ho le prove. Conosco i nomi e oltre me c’è qualcun altro che è in possesso dei numeri dei conti correnti svizzeri, qualcuno che vive in Italia”. Matacena non fa però nomi. “Non credo – dice – che nessun giornalista mi voglia sulla coscienza”.

Sempre al quotidiano romano, Matacena spiegava lo “scetticismo” con cui sono state accolte le sue parole in ordine alle dichiarazioni all’Ansa: “È un problema – afferma – di chi pensa cose del genere, non mio. Ci sono delle cose che mi sono state riferite nel momento in cui mi sono stati dati quei numeri. Il mio è l’atteggiamento di una persona che è stata posta di fronte al rischio di una incolumità personale. Io non collego il rischio a persone specifiche, ma al possesso di alcuni conti. Se poi Mattiello, spalleggiato da Fava, in commissione d’inchiesta ha detto delle fesserie abbia il coraggio che ha avuto Scajola di dire che hanno sbagliato. Ho appena firmato all’avvocato la denuncia per Mattiello su tutti gli articoli che sono stati pubblicati. Un parlamentare non può permettersi di dire tutta una serie di falsità e schiocchezze”, ha detto l’ex parlamentare di Forza Italia che oggi fa sapere di aver formalizzato la denuncia contro Mattiello.

G8 Genova, l'Europa condanna l'Italia: "Alla Diaz furono torture"

 Forze dell'ordine alla DiazAlla scuola “Diaz” di Genova le forze dell’ordine non diedero vita a “normali perquisizioni” ma a qualcosa che “deve essere qualificato come tortura”. Per questa ragione la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia sulla base del ricorso presentato a Strasburgo da Arnaldo Cestaro, una delle vittime della perquisizione alla scuola Diaz avvenuta il 21 luglio 2001, alla conclusione del G8 di Genova. Nella sentenza, l’Italia è stata condannata anche per la mancanza di legislazione corretta in materia.

Nel ricorso, l’uomo, che all’epoca dei fatti aveva 62 anni, afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell’ordine tanto da dover essere operato, e da subire ancora oggi ripercussioni per alcune delle percosse subite.

Cestaro, rappresentato dall’avvocato Nicolò Paoletti, sostiene che le persone colpevoli di quanto ha subito sarebbero dovute essere punite adeguatamente ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi. Oggi i giudici della Corte europea dei diritti umani gli hanno dato pienamente ragione.

I FATTI – Nel luglio 2001 i più grandi paesi industrializzati tennero nel capoluogo ligure un vertice di due giorni, dal 20 al 22 luglio. A protestare contro i potenti del pianeta, migliaia tra no global,  aderenti a movimenti pacifisti e antagonisti dei centri sociali che vennero allo scontro fisico con le forze dell’ordine schierato in modo militare a difesa della cosiddetta “zona rossa”. Negli scontri mori Carlo Giuliani, un giovane no global caduto sotto i colpi di un carabiniere.

La notte del 21 la polizia decise di fare una irruzione nella scuola Diaz, in via Cesare Battisti, dove alloggiavano parte dei manifestanti e giornalisti per cercare i responsabili degli scontri, dissero le forze dell’ordine. Lì c’erano il press center di Indymedia e gli studi di Radio Gap (l’emittente ufficiale del contro G8). L’azione della polizia fu violenta e sanguinosa. Lunghe scie di sangue rimasero su pavimenti e pareti, vetri rotti, computer divelti e indumenti strappati. Il bilancio fu di 82 persone ferite, alcune anche in modo grave che finirono in prognosi riservata.

Gli arresti furono 93. Per quell’azione la Cassazione ha condannato 17 funzionari di polizia per le accuse di falso aggravato e calunnia: i giudici hanno ritenuto che i verbali sull’irruzione vennero redatti in modo falso. Decaddero per prescrizione le condanne legate al reato di lesioni.

Isis, Gentiloni: "Contro il terrore necessaria anche azione militare"

Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni
Il ministro Paolo Gentiloni

“C’è una gravissima minaccia nei confronti di tanti cristiani in diverse parti del mondo. Bisogna fare di più”, anche ricorrendo ad una “azione militare”. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in una intervista al Corriere della Sera interviene dopo la strage al campus di Garissa in Kenia dove il Califfato ha massacrato quasi 150 persone.

Papa Francesco a Pasqua aveva condannato “l’azione brutale” commessa ai danni dei cristiani di Garissa: “Il mondo non deve rimanere inerte alla persecuzione dei cristiani”, era stata la sua esortazione.

“Per contrastare il terrorismo – dice Gentiloni – è inevitabile il risvolto militare. Qualcuno potrà scandalizzarsi, ma questi gruppi vanno affrontati anche sul piano militare”, ha detto Gentiloni commentando i recenti attacchi ad opera di militanti islamici in varie parti del mondo.

In futuro “si potrebbe valutare l’opportunità di contribuire al contrasto del terrorismo in Libia o di fenomeni come Boko Haram in Nigeria”, ha spiegato il titolare della Farnesina, ricordando che l’Italia è impegnata in una coalizione militare anti-Daesh soprattutto in Iraq e Siria.

Il ministro ha in mattinata corretto il tiro affermando a Radio Anch’io che l’opzione militare “non è l’unica via percorribile”. Ma l’intenzione di un intervento armato Gentiloni l’aveva già ventilato dopo le ultime minacce dell’Isis contro l’Italia a febbraio: “Siamo pronti”, aveva detto.

Alla domanda sul recente accordo con l’Iran, il ministro ha parlato pure delle preoccupazioni di Israele. “L’Italia,- ha detto Gentiloni –  in tutti questi anni, è stata favorevole al raggiungimento di un buon accordo, e certo non per astratto amore del negoziato. Condivido l’opinione degli Stati Uniti: i fondamenti sono stati raggiunti.

Capisco le preoccupazioni israeliane, ma escludo che Netanyahu possa avere nostalgia di Ahmadinejad. Se l’accordo – ha concluso il ministro – verrà definitivamente concluso a giugno, sono certo che stabilizzerà l’Iran e favorirà una sua evoluzione in una direzione meno pericolosa per Israele”.

Migranti, il pugno duro di Israele: "Via dal Paese o carcere". Pronto un accordo col Ruanda

Migliaia di migranti manifestano davanti all'ambasciata Usa a Tel Aviv in Israele
Migliaia di migranti irregolari manifestano davanti all’ambasciata Usa a Tel Aviv in Israele – 6/1/2014 (Getty Images/Uriel Sinai)

Le autorità israeliane hanno dato inizio in questi giorni alla espulsione di migranti africani, in prevalenza originari del Sudan e dell’Eritrea.

Lo afferma la stampa locale secondo cui alcuni migranti internati nel campo di raccolta di Holot (Neghev) hanno ricevuto ieri l’ordine formale di lasciare Israele entro 30 giorni, altrimenti saranno rinchiusi nella vicina prigione di Saharonim a tempo indeterminato.In Israele vivono circa 50 mila migranti africani, entrati clandestinamente dopo aver attraversato il confine fra il Sinai egiziano ed il Neghev.

A Holot si trovano circa mille migranti africani, per lo più scapoli. Ieri alcuni di loro hanno ricevuto lettere che li spronano ad andare a stabilirsi in un Paese africano che si trova “in fase di espansione” e che è disposto ad offrire loro lavoro. Ad ogni migrante in partenza Israele è disposto a pagare il biglietto aereo, il visto di ingresso ed una cifra procapite di 3.500 dollari. Se l’offerta non fosse accolta, il migrante rischierebbe l’arresto.

Haaretz scrive che i migranti sono indirizzati verso Ruanda ed Uganda. Il giornale sostiene che, contrariamente a quanto prospettato dalle autorità israeliane, è molto dubbio che i migranti riescano ad inserirsi in maniera produttiva in quelle società.

Il rischio di espulsioni ha messo in moto le diplomazie di Israele e Ruanda che stanno lavorando a un accordo bilaterale multimilionario. Il paese sud’africano accoglierebbe i profughi in cambio di aiuti economici che consentirà allo stato ebraico di poter espellere gli immigrati eritrei e sudanesi con una destinazione sicura.

L’accordo è stata confermato da Paul Kagame, presidente dello stato africano e dal ministro dell’interno israeliano, Gilad Erdan. “Tra Ruanda e Israele – ha detto Kagame – ci sono discussioni e c’è un dibattito in Israele riguardo a questi africani che sono arrivati lì come in altri paesi europei.

Alcuni di loro si trovano lì in modo illegale o con un status diverso”. Il ministero israeliano ha espresso l’intenzione di “espellere gli immigrati dai centri di detenzione” e di incoraggiarli a “lasciare Israele in modo sicuro e dignitoso” verso determinati paesi africani disponibili ad accoglierli e regolarizzarli.

Strage Cristiani in Kenia, il Papa: "Il silenzio è complice". Arrestate 5 persone per il massacro

Papa Francesco durante la Via Crucis - Pasqua 2015 - Arrestate 5 persone per Strage Cristiani in Kenia
Papa Francesco durante la Via Crucis (Ansa/Carconi)

“Nella tua sete, Signore, noi vediamo la sete del tuo Padre misericordioso che in te ha voluto abbracciare, perdonare e salvare tutta l’umanità. In te, divino amore, vediamo ancora oggi i nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice”. E’ questo uno dei passaggi che Papa Francesco ha dedicato Venerdi Santo – nel rito della Via Crucis a Roma – alla strage di studenti Cristiani massacrati dalle milizie di “al Shebaab”, in Kenia in cui hanno perso la vita 147 persone.

Intanto la polizia keniota ha arrestato cinque persone sospettate di aver a che fare con la strage nell’università di Garissa. Tra i cinque arrestati, due lavoravano all’interno del Campus. Lo riferiscono le autorità keniane sottolineando che uno dei due è un guardiano “keniano di origini somale” di nome Osma Ali Dagane. L’altro è un tanzaniano, Rashid Charles Mberesero, e aveva nascosto nel soffitto dell’università delle bombe.

I terroristi islamici somali “al Shebaab”, legati ad “al Qaeda”, sono tornati a minacciare nuove carneficine in Kenya come quella all’università di Garissa dove giovedi hanno ucciso 150 studenti cristiani. Gli Shebaab, che da anni hanno preso di mira il Kenya per l’intervento armato in Somalia delle truppe di Nairobi, hanno avvertito che le città keniote diventeranno “rosse di sangue” e sarà “un guerra lunga e orribile”.

“Nessuna precauzione o misura di sicurezza (che sarà adottata dalle autorità keniote, ndr) sarà in grado di garantire la vostra sicurezza, o sventerà un nuovo attacco o impedirà un bagno di sangue nelle vostre città”, si legge in una dichiarazione diffusa dagkli Shebaab e rivolta direttamente a tutto il popolo keniota.

Il testo del messaggio dei qaedisti somali è una vera e propria dichiarazione di guerra contro tutto il popolo keniota perchè “non solo accettate le politiche oppressive del vostro governo ma neanche alzate la voce contro queste posizioni ed anzi rafforzate le scelte dei vostri governanti rieleggendoli. Pertanto sarete voi a pagare il prezzo con il vostro sangue”.

Ambiente, il Mediterraneo aggredito dalla plastica

mediterraneo inquinatoDire che il “Mediterraneo è una grande zona di accumulo di detriti di plastica” non è forse una grandissima novità, ma sapere che la concentrazione media nella superficie è di circa un frammento per ogni 4 metri quadrati e che la presenza nelle zone più inquinate va arriva fino a 10 pezzi per mq, sicuramente invita a riflettere. Quanto emerge da “Plastic Accumulation in the Mediterranean Sea”, uno studio di un gruppo di ricercatori iberici delle Università di Cadice e Barcellona, pubblicato sul magazine Plos One, pur senza allarmismi mette in evidenza il “potenziale rischio” per la salute dell’intero ecosistema del Mare Nostrum a causa dell’inquinamento della plastica.

I ricercatori, ricordando come “recenti studi dimostrino l’esistenza di 5 regioni di accumulo su larga scala di detriti di plastica negli oceani, corrispondenti a ciascuna delle spirali subtropicali ai lati dell’equatore” e che “le correnti trasportano la plastica rilasciata” dall’inquinamento dell’uomo, sottolineano che “il Mediterraneo agisce su scala globale come bacino connettivo”. Sono stati rilevati 5 tipi di frammenti derivati da prodotti di plastica, suddivisi in altrettante categorie: pellet industriale (residui grezzi) e granuli (da cosmetici), pellicole sottili (sacchetti), fili da pesca, schiuma, frammenti (pezzi da oggetti rotti). Si tratta per l’83% di elementi inferiori ai 5 mm di lunghezza definiti come microplastiche. Inoltre dalla concentrazione media di plastica misurata nel Mediterraneo, il carico totale di detriti in superficie è di circa 1.000 tonnellate, il 7% del carico globale.

rifiuti in mare - inquinamento mediterraneoI ricercatori pongono l’attenzione sui possibili impatti dell’inquinamento da plastica in un mare dall’elevato valore ecologico ed economico come il Mediterraneo, che pur rappresentando meno dell’1% della superficie di tutti gli oceani cela tra il 4% e il 18% di tutte le specie marine e che per gli stati che vi si affacciano è una grande fonte di reddito tra industria della pesca e trasporto merci e turistico.

Una posta in gioco troppo alta da mettere sul piatto, per questo i ricercatori non negano che “l’inquinamento da plastica, solo dopo mezzo secolo di grande diffusione, sia diventato un grande problema planetario”. E se un’attività di pulizia potrebbe essere efficace ma non risolutiva, considerando che “la produzione di materie plastiche è destinata ad aumentare”, la ricetta ideale è molto chiara e prevede che “le strategie di gestione dovrebbero essere affrontate alla fonte, al fine di impedire il rilascio di rifiuti in plastica nell’ambiente”.

Inchiesta grandi opere, ai domiciliari Ercole Incalza

Ercole Incalza
Ercole Incalza

Venti giorni dopo gli arresti per le presunte tangenti sulle grandi opere, l’ex supermanager delle Infrastrutture, Ercole Incalza, 71 anni, è uscito dal carcere ed è tornato a casa, dove resterà agli arresti domiciliari. Il gip Angelo Antonio Pezzuti ha concesso il beneficio sia per l’età sia perché non sussiste il pericolo di recidiva dell’ex manager.

I pm di Firenze avevano espresso parere negativo alla scarcerazione di Ercole Incalza. E’ quanto emerge nell’ordinanza del gip Pezzuti che ha concesso oggi al manager gli arresti domiciliari.

Il giudice per le indagini preliminari rileva che “nessuna circostanza nuova è intervenuta a modificare o attenuare il quadro indiziario esistente al momento dell’emissione dell’ordinanza di applicazione della misura del carcere. Diversamente – ha detto nel provvedimento del gip – devono ritenersi attenuate le esigenze cautelari. Il periodo di tempo trascorso dall’indagato in regime di custodia in carcere, sembra avere esercitato, in un soggetto assolutamente nuovo all’esperienza carceraria e di età avanzata, un’adeguata efficacia deterrente verso il pericolo di recidiva”.

Per il gip, inoltre, non sussistono “elementi specifici che facciano ritenere l’indagato come in qualche modo propenso all’inosservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio a fini criminosi”. Il difensore di Incalza, Titta Madia, nell’esprimere soddisfazione per la decisione del gip Pezzuti, ha aggiunto che la modifica della misura cautelare consentirà al suo assistito “di preparare al meglio la difesa”.

Il caso Incalza ha scatenato un vero terremoto politico che ha portato l’ex ministro ale Infrastrutture Maurizio Lupi a rassegnare le dimissioni. La procura della Repubblica di Firenze guidata da Giuseppe Creazzo aveva ipotizzato un “sistema corruttivo” con un giro di presunte tangenti sui grandi appalti. Nelle carte dell’inchiesta era comparso anche il nome del ministro e del figlio (non indagati), entrambi destinatari di ipotetiche “regalie” dal gruppo capeggiato da Ercole Incalza.

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