14 Ottobre 2024

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Riforma Scuola, governo pone la fiducia. Dal M5S lumini in aula

Riforma Scuola, governo pone la fiducia. Dal M5S lumini in aula
Una delle foto scattate nell’Aula del Senato dai senatori del M5S, dopo aver posto sui loro banchi lumini rossi da cimitero e un cartello “scuola pubblica riposa in pace” (Ansa/M5S)

ROMA – Sul maxi-emendamento sostitutivo del ddl di riforma Scuola, il governo, tramite il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ha posto la questione di fiducia al Senato.

Il voto, ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama, si terrà intorno alle 16 di oggi, giovedi 25 giugno. Il maxi emendamento si è “reso necessario” dopo che il Ddl scuola era stato approvato il 20 maggio scorso alla Camera dei Deputati.

Intanto c’è polemica. Il maxi emendamento che ingloba tutto il Ddl sulla Scuola, viene respinto oltre che dall’opposizione anche da docenti, precari e studenti che hanno fatto presidi un po’ dappertutto nonostante le assicurazioni di Renzi che una volta approvata la riforma vi saranno “oltre 100mila assunzioni”.

All’alba le organizzazioni sindacali e l’Unione degli Studenti hanno organizzato una serie di blitz al ministero dell’istruzione e in altri luoghi simbolo di Roma, nel giorno del voto di fiducia al Senato sulla riforma della Scuola e annunciano nuove iniziative di lotta a partire dall’avvio del prossimo anno scolastico.

“I presìdi e le manifestazioni sotto la Camera ed il Senato si sono succeduti quasi quotidianamente – precisa una nota dell’Unione degli studenti – con un successo di partecipazione e di consenso arricchito da un confronto costante con i parlamentari che hanno condiviso le ragioni delle iniziative di proposta e di protesta”.

“Il governo tuttavia, pur promettendo tante volte il contrario, si è sottratto ad ogni confronto ponendo la fiducia al Senato e procedendo senza tener conto del netto dissenso della scuola, delle associazioni studentesche, dei genitori, delle organizzazioni sindacali e dello stesso parlamento”.

Lumini rossi sui banchi del M5S al Senato per protestare contro il maxi emendamento scuola
Lumini rossi sui banchi del M5S al Senato per protestare contro il maxi emendamento scuola (Ansa/M5S)

“La democrazia italiana – scrivono – sta subendo una forzatura gravissima ed inaccettabile. Il Governo Renzi vuole imporre con un atto di forza un provvedimento che non ha mai tenuto conto dei bisogni e delle voci del Paese reale”. “Il risultato è una riforma che rischia di accrescere le diseguaglianze già presenti all’interno del sistema nazionale di istruzione, fondata su un modello autocratico e clientelare. Una scuola che insegue la competizione invece di perseguire la cooperazione garantendo eguali opportunità per tutti”.

Intanto al Senato schermaglie del M5S contro il governo: Lumini rossi in segno di lutto
I pentastellati hanno messo sui banchi dell’aula di palazzo Madama dei lumini rossi per “celebrare il funerale della scuola”, dopo avere appreso del del voto di fiducia sul maxi emendamento sostitutivo del ddl scuola. Il gruppo ha anche esposto cartelli con su scritto “scuola pubblica riposa in pace” e ha tolto la giacca per mostrare la fascia nera sul braccio. Il lumino rosso è uno dei simboli della protesta degli insegnanti contro la riforma della scuola.

Migranti, Renzi sulle posizioni francesi. "Rimpatriare i clandestini". Delrio: "Lecito sparare a scafisti"

Francois Hollande e Matteo Renzi la scorsa settimana all'Expo - rimpatriare clandestini, accogliere rifugiati
Francois Hollande e Matteo Renzi la scorsa settimana all’Expo

ROMA – Sul tema dei migranti il premier Matteo Renzi si spinge sulle posizioni francesi. “Sul tema dell’accoglienza ci vogliono soluzioni che rispondano a requisiti etici e criteri di ragionevolezza”, ha detto il capo del governo aprendo l’incontro con le Regioni. “I richiedenti asilo si accolgono, i migranti economici (quelli comunemente definiti clandestini, ndr) vengano rimpatriati”, ha aggiunto il presidente del Consiglio.

ITALIA SULLE POSIZIONI DELLA FRANCIA
La stessa cosa disse dieci giorni fa, nelle ore concitate dei migranti a Ventimiglia, il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve: “Bisogna creare in Italia (e in Grecia) dei campi gestiti dall’Ue per distinguere i migranti economici dai richiedenti asilo già dal loro arrivo. I primi verrebbero immediatamente espulsi verso i loro Paesi d’origine, gli altri ripartiti tra i Paesi d’Europa”.

La posizione di Renzi, analoga a quella della Francia, pare abbia preso forma nell’ultimo incontro a Milano con il presidente Francois Hollande in occasione dell’Expo. I “criteri di ragionevolezza” di cui parla il presidente del Consiglio “è convincere” oggi le regioni ad una “maggiore responsabilità” e a uno “sforzo congiunto”.

RENZI: “SERVE CONDIVISIONE IN UE”
L’Italia farà la sua parte, ma ha bisogno anche dell’Ue che finora “ha fatto poco o niente” sull’emergenza immigrazione. “Ci vuole condivisione in Europa”, afferma Renzi “e più l’Italia si mostra compatta, meglio è. Siamo un Paese serio, solido, la cui risposta sul tema immigrazione deve essere condivisa e congiunta”, dice all’incontro coi governatori.

DELRIO CHIAMA IN CAUSA L’ONU: “IN LIBIA FORZE DI INTERPOSIZIONE”
Sulla stessa lunghezza d’onda il braccio destro di Renzi, Graziano Delrio, che in una intervista a Panorama va oltre e chiama in causa anche le Nazioni Unite. “L’Onu – afferma il ministro delle Infrastrutture – faccia l’Onu dicendo chiaramente: in Libia adesso mandiamo una forza di interposizione.

Il tavolo a Palazzo Chigi tra Governo e Regioni sul tema dell'immigrazione, Roma, 25 giugno 2015.
Il tavolo a Palazzo Chigi tra Governo e Regioni sul tema dell’immigrazione, Roma, 25 giugno 2015.
(Ansa/Palazzo Chigi)

“LECITO SPARARE AI TRAFFICANTI DI ESSERI UMANI”
Per il ministro bisogna fare in Libia “i campi di accoglienza e di selezione individuando chi veramente può godere dello status di rifugiato e facciamo una guerra dove al limite è lecito anche sparare a tutti coloro che fanno commercio di carne umana”. E cioè “agli scafisti: quelli vanno arrestati e con quelli – affema Delrio al settimanale – va usato il pugno di ferro, non nei confronti di coloro che scappano dalla miseria e dalla guerra”. Inoltre occorre fare “un filtro con l’Africa”, poiché il blocco navale equivarrebbe a una “dichiarazione di guerra”.

ZAIA: “PREFETTI SI RIBELLINO”
Chi resta sulle proprie posizioni sono i governatori del Nord che fanno capo al centrodestra.  “I prefetti – incalza il governatore del Veneto, Luca Zaia – devono ribellarsi, rispettare le istanze dei territori, rappresentare, nel mio caso, i veneti fino in fondo e non rispondere più al telefono al governo”.

“Sull’immigrazione – spiega Zaia – paghiamo l’incapacità di un governo che non si è accorto che nel 2012 aveva 13mila immigrati, 43mila nel 2013, 170mila nel 2014 e oggi 200mila. Il governo si è occupato troppo tardi del problema e i prefetti”, dovrebbero “ribellarsi” alle direttive del Viminale e “rispettare le istanze dei territori e non rispondere più neanche al telefono al governo”, aggiunge il presidente del Veneto.

TOTI: “NESSUN PIANO B SULL’IMMIGRAZIONE”
Secondo il governatore della Liguria Giovanni Toti, nella riunione a palazzo Chigi “non sono stati illustrati i dettagli del piano B sull’immigrazione. Che l’incontro sia stato convocato è un primo passo, che i contenuti siano stati soddisfacenti, non possiamo dirlo”, ha detto Toti al termine del vertice.

CHIAMPARINO: “PIU’ SPIRITO NAZIONALE”
Sulla vicenda immigrazione “servirebbe più spirito nazionale e meno spirito di parte”. Così il presidente della conferenza Stato Regioni, Sergio Chiamparino, al termine dell’incontro a Palazzo Chigi di Regioni e Comuni con il Governo sull’emergenza migranti.

MARONI: “INCONTRO DELUDENTE” “Nell’incontro con Matteo Renzi – dice il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni – non c’è stata nessuna risposta alle mie sollecitazioni per sapere se si fanno i campi profughi giù e nuovi accordi di rimpatrio. Ho chiesto dove si fa verifica fra chi è richiedente asilo e chi è immigrato economico e la risposta non c’è stata”.

ALTRO INCONTRO TRA 15 GIORNI
Concluso il vertice sull’immigrazione il governo, durato un’ora e mezza, è stato fissato un nuovo incontro tra 15 giorni per discutere della spinosa vicenda immigrazione. Lo ha comunicato lo stesso Renzi ai presidenti di regioni e ai comuni delegati dell’Anci.

Intanto stamani, nel porto di Catania, è attraccato il pattugliatore d’altura svedese “Poseidon” con a bordo 497 migranti tratti in salvo in tre distinte operazioni di soccorso nel Mediterraneo. Sulla nave anche il cadavere di una donna e una donna ferita. Non sono chiare le modalità del decesso e del ferimento.

Compravendita senatori, per Berlusconi chiesti 5 anni. Per i pm ha comprato per far cadere Prodi

L'opposizione festeggia alla caduta del governo Prodi il 24 gennaio 2008
L’opposizione festeggia la caduta del governo Prodi il 24 gennaio 2008

NAPOLI – Una richiesta di condanna pesantissima. 5 anni di reclusione per Silvio Berlusconi e 4 anni e 4 mesi per l’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola. E’ quanto ha chiesto il pm Vincenzo Piscitelli nel processo in corso a Napoli sulla presunta compravendita di senatori con cui Berlusconi sarebbe riuscito nel 2008 a far cadere il governo Prodi.

Nell’ambito dello stesso processo Sergio De Gregorio, eletto nel 2006 con Italia dei valori e poi passato nel Pdl, ha patteggiato un anno e 8 mesi. Il 7 luglio sono previste le arringhe degli avvocati difensori Niccolò Ghedini, Michele Cerabona e Franco Coppi, mentre l’8 luglio è attesa la sentenza da parte della prima sezione del Tribunale di Napoli.

I FATTI
Il 9 aprile 2006, dopo il quinquennio berlusconiano al governo, si torna alle urne per il rinnovo del Parlamento. A contendersi la presidenza del Consiglio furono nuovamente Silvio Berlusconi per il centrodestra e Romano Prodi per l’Ulivo, in rappresentanza del centrosinistra. Ne uscì vittorioso Prodi, ma di poco. Alla Camera la partita la vinse al fotofinish. Una manciata di voti consentirono al premier di accaparrarsi il premio di maggioranza arrivando a quota 340 seggi. Al Senato invece andò pari. Una vittoria a metà, con una differenza di una manciata di senatori. Maggioranza quindi risicata che ha costretto Prodi a fare i salti mortali per fare approvare i provvedimenti, soprattutto per parte di una coalizione definita “macedonia”, tante erano le divergenze.

Secondo l’accusa, il leader dell’opposizione, conscio delle difficoltà del premier Prodi, mise in atto il piano della presunta compravendita di senatori per capitolare Prodi nel 2008. Queste le accuse dei Pm. Le cronache politiche di allora raccontarono invece che a far cadere Prodi fu l’allora Guardasigilli Clemente Mastella, leader dell’Udeur, dopo che la procura di Santa Maria Capua Vetere gli arrestò la moglie, al tempo presidente del Consiglio regionale della Campania.

Clemente Mastella
Clemente Mastella

Mastella andò su tutte le furie e, più volte in contrasto con Prodi alla fine gli ritirò il sostegno. Prodi fu così sfiduciato al Senato il 24 gennaio 2008: 161 voti contrari alla fiducia, 156 favorevoli e 1 astenuto. 5 voti di scarto, tra cui due dei 3 senatori dell’Udeur. Si dissociò infatti il senatore Udeur Stefano Cusumano, poi espulso e approdato al Pd. Col voto contrario dei senatori mastelliani si unisce anche quello di altri senatori decisi a passare con il centrodestra, tra cui l’ex premier Lamberto Dini.

Le indagini dei pm hanno ricostruito una storia fatta di corruzione politica ed economica. L’accusa sostiene infatti che sia stato Silvio Berlusconi, tramite Valter Lavitola, a pagare alcuni senatori, tra cui Sergio De Gregorio, eletto con Di Pietro ma migrato nelle fila del centrodestra e Giuseppe Caforio, cui sarebbero andati cinque milioni di euro. De Gregorio ha ammesso le sue responsabilità e patteggiato un anno e otto mesi di reclusione. E sulle sue dichiarazioni che si è rafforzata l’accusa contro il Cav. Secondo i pm, Berlusconi aveva deciso far cadere a suon di milioni, appunto “comprando” senatori, il governo di Romano Prodi.

Il procuratore aggiunto Piscitelli, nella requisitoria ha detto che “l’obiettivo di Berlusconi era far cadere il governo Prodi, il modo non gli interessava. Le dimissioni da ministro di Mastella sarebbero state un colpo forte. La seduzione poteva essere rappresentata dalla rivelazione dell’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere in cui erano coinvolti la moglie e il consuocero, che guarda caso poche ore prima del blitz si è ricoverato in ospedale. Legittima e intelligente l’operazione politica di nominare De Gregorio presidente della commissione Difesa del Senato, il problema è l’accordo economico”.

Sergio De Gregorio con Silvio Berlusconi Protagonisti della presunta Compravendita senatori
Sergio De Gregorio con Silvio Berlusconi

Conclude Piscitelli che questo “non è solo un episodio di corruzione, ma è un episodio di gravità estrema. Sono convinto che pure altri senatori hanno accettato come De Gregorio, anche se non siamo riusciti a identificarli. Era un operazione finalizzata a sovvertire l’ordine democratico. Una pagina buia della politica italiana. Se la ruggine della corruzione investe i gangli primi della democrazia, il pericolo per la democrazia è grandissimo”, ha detto il pm.

La replica di Berlusconi in serata: “Una richiesta quella della Procura di Napoli, – ha detto – che confligge con la realtà e con tutte le risultanze processuali, in linea con la tradizione dei peggiori processi politici. Confido che il tribunale voglia rapidamente ristabilire la verità dei fatti e pronunciare una sentenza totalmente assolutoria”.

Romano Prodi attende l'esito del voto di fiducia a gennaio 2008. Poi salì al Quirinale per dimettersi
Romano Prodi attende l’esito del voto di fiducia a gennaio 2008. Poi salì al Quirinale per dimettersi (Reurters)

Anche gli avvocati di Berlusconi Coppi, Cerabona, Larosa e Ghedini sono intervenuti: “Tutti i testimoni e tutte le prove documentali –  afferma il collegio difensivo – hanno dimostrato la totale inconsistenza dell’assunto accusatorio”.

“Lo stesso De Gregorio – spiegano gli avvocati dell’ex premier  – ha dovuto ammettere che la sua adesione al centrodestra era un ritorno a casa e che le sue azioni politiche erano svincolate dalle asserite dazioni di denaro, peraltro del tutto sfornite di ogni prova. Che la Procura di Napoli nonostante tutto ciò abbia ritenuto di chiedere una sentenza di condanna al massimo della pena è davvero assurdo. Confidiamo che il tribunale voglia assolvere con formula ampia il presidente Berlusconi da questa incredibile accusa”, hanno concluso.

Sentenza Consulta salva Renzi: "Illegittimo blocco salari ma non sarà retroattivo"

Una seduta della Corte Costituzionale - Sentenza Consulta salva Renzi
Una seduta della Corte Costituzionale

ROMA – Il governo ha rischiato grosso, e cioè che il blocco dei salari nel settore pubblico, potesse rivelarsi un’altra tegola come per il blocco delle pensioni da risarcire a milioni di dipendenti del pubblico impiego.

PROVVEDIMENTO NON RETROATTIVO. LA CONSULTA SALVA RENZI E IL SUO GOVERNO
Così non sarà perché la Corte costituzionale, dichiarando illegittimo “il regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico quale risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato”, mette una postilla che salva Renzi e tutto il governo che evitano un buco da 35 miliardi. Il provvedimento non avrà effetti retroattivi dal momento “decorre dalla pubblicazione della sentenza”.

A renderlo noto è la stessa Corte costituzionale, che ha respinto le restanti censure proposte. Risulta illegittimo, pertanto, soltanto il mancato rinnovo del contratto nel pubblico impiego relativamente agli ultimi sei anni. Di conseguenza il governo non dovrà fare i salti mortali per trovare miliardi di euro da redistribuire a quanti nel pubblico impiego gli è stata bloccata la remunerazione.

“La Corte Costituzionale, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze R.O. n. 76/2014 e R.O. n. 125/2014, ha dichiarato, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, quale risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato”, si legge in una nota della Consulta. “La Corte ha respinto le restanti censure proposte”.

IL PRECEDENTE SULLE PENSIONI
à nelle scorse settimane la suprema Corte aveva dichiarato “l’illegittimità costituzionale” del blocco della perequazione 2012-2013 previsto dalla riforma Fornero. In particolare era stata dichiarata “illegittima” la norma contenuta nell’articolo 24, comma 25, nella parte che prevede che “in considerazione della contingente situazione finanziaria” la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, “esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps, nella misura del 100 per cento”. Un dispositivo che però divenne retroattivo e il governo ha dovuto alla fine reperire risorse per dare gli arretrati maturati spettanti a milioni di pensionati con una assegno inferiore a 1.500 euro.

LA POLEMICA TRA PADOAN E CRISCUOLO
Dopo la sentenza della Corte sulle pensioni, ci sono stati diversi momenti di tensione nella maggioranza di governo. Per risarcire tutta la platea di pensionati penalizzati dalla riforma Fornero non bastavano una ventina di milioni. Poi la svolta dell’esecutivo: sul piatto ci saranno solo 3,6 miliardi. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan espresse le sue perplessità sulla corte:

“Prima di emettere certe sentenze, si dovrebbe valutare l’impatto sui conti pubblici”, disse il titolare del Tesoro. Da qui la replica piccata del presidente della Corte Costituzionale Alessandro Criscuolo: “Non spetta a noi valutare queste cose. Non ho nessuna ragione di coltivare una polemica con il ministro Padoan. Ma dare per scontato – ha detto Criscuolo – che la Corte dovesse acquisire i dati (dell’impatto sui conti pubblici, ndr) prima di decidere sulle pensioni mi sembra che non risponda all’attuale disciplina che regola il funzionamento della Consulta”.

Questa volta è andata bene per il governo. I conti pubblici in caso di sentenza che riconosceva arretrati ai dipendenti della Pa avrebbe di sicuro fatto saltare non solo i conti ma anche il governo. Sarebbe stata una estate davvero infuocata per il premier Matteo Renzi che mentre ad agosto dava i 500 euro di arretrati ai pensionati, dall’altra doveva impegnarsi a reperire 35 miliardi di euro per “risarcire” i dipendenti pubblici dal blocco “illegittimo della contrattazione”.

Sparite le risorse per Politiche sociali. Censis: "Da 1,6 miliardi a 297 milioni"

Censis: Poliche sociali, prosciugato il fondo per Politiche sociali - in foto anziani e disabili  ROMA – Le risorse pubbliche assegnate per le Politiche sociali sono fortemente in diminuzione, quasi sparite, volatilizzate ovvero dallo Stato trasferite dal comparto della Politiche sociali ad altre esigenze.

E se la “spesa pubblica è in picchiata e squilibrata” sul territorio, a essere protagoniste nel welfare locale sono le cooperative che di fatto sostituiscono nei servizi lo Stato.

Rivela il Censis nell’incontro “Un mese di sociale” che le risorse assegnate al Fondo per le Politiche sociali sono passate da 1,6 miliardi di euro nel 2007 a 435,3 milioni nel 2010, per poi scendere a soli 43,7 milioni nel 2012 e infine recuperare in parte negli ultimi due anni fino ai 297,4 milioni del 2014.

La riduzione è stata dell’81% nel periodo 2007-2014, gli anni della crisi. Anche il Fondo per la non autosufficienza è passato dai 400 milioni di euro del 2010 al totale annullamento nel 2012, per poi risalire a 350 milioni nell’ultimo anno.

Secondo il Censis guidato da Giuseppe De Rita, l’andamento del Fondo per le politiche sociali, istituito nel 1997 per trasferire risorse aggiuntive agli enti locali e garantire l’offerta di servizi per anziani, disabili, minori, famiglie in difficoltà, testimonia il progressivo ridimensionamento dell’impegno pubblico sul fronte delle politiche socio-sanitarie e socio-assistenziali.

Un divario profondo tra Nord e Sud. Secondo gli ultimi dati disponibili, la spesa sociale dei Comuni supera i 7 miliardi di euro l’anno, pari a 115,7 euro per abitante. Complessivamente, la spesa è destinata per il 38,9% a garantire interventi e servizi, per il 34,4% al funzionamento delle strutture, per il 26,7% ai trasferimenti in denaro.

Le categorie che assorbono la quota maggiore di spesa sono le famiglie e i minori (40%), i disabili (23,2%), gli anziani (19,8%), i poveri e i senza fissa dimora (7,9%). Ma le differenze territoriali sono macroscopiche. Si passa dai 282,5 euro per abitante nella Provincia autonoma di Trento ai 25,6 euro della Calabria.

Mentre gran parte delle regioni del Centro-Nord si colloca al di sopra della media nazionale, il Sud presenta una spesa media pro-capite che ammonta a meno di un terzo (50,3 euro) di quella del Nord-Est (159,4 euro). Il Mezzogiorno è l’area del Paese in cui è maggiore il peso dei trasferimenti statali rispetto alle risorse proprie dei Comuni sempre in tema di Politiche sociali.

Al Sud queste ultime coprono meno della metà delle spese per il welfare locale, a fronte di una media nazionale del 62,5%. Di conseguenza, i tagli ai trasferimenti statali hanno un impatto diretto sulla riduzione delle risorse disponibili e quindi dei servizi destinati al sociale a livello locale, ampliando il divario già profondo tra Nord e Sud.

L’universo pulviscolare del non profit. In questo scenario, sono fondamentali le reti di sostegno informali, con il ruolo centrale della famiglia. Il volontariato e il non profit rappresentano però una componente fondamentale del nostro modello di welfare, in grado di contribuire in modo significativo all’erogazione di servizi e prestazioni sul territorio, garantendo la tenuta sociale rispetto agli impatti della crisi.

Le istituzioni non profit nel nostro Paese sono più di 300.000 e vi operano 5,4 milioni di persone tra lavoratori e volontari. Anche in questo caso la distribuzione territoriale evidenzia profondi divari. Le istituzioni non profit sono 104 ogni 10.000 abitanti in Valle d’Aosta, 100 in Trentino Alto Adige, 82 in Friuli Venezia Giulia, ma solo 41 ogni 10.000 abitanti in Calabria, 40 in Sicilia, 37 in Puglia, 25 in Campania.

Le associazioni non riconosciute sono più di 200.000 (il 66,7% del totale), più di 68.000 sono associazioni riconosciute (22,7%), le cooperative sociali sono oltre 11.000 (3,7%), più di 6.000 le fondazioni (2,1%), oltre 14.000 sono istituzioni con altra forma giuridica (4,8%). Sul totale delle istituzioni non profit, quelle impegnate nel settore sanitario e nell’assistenza sociale sono 36.000 (rappresentano il 12% del totale), precedute da quelle attive nel settore cultura, sport e ricreazione, che da sole rappresentano il 65% del totale.

Le cooperative sociali protagoniste del mercato del welfare locale, per il Censis. Consistente è il finanziamento pubblico delle attività non profit nel campo sanitario, dell’assistenza sociale e della protezione civile: 13,5 miliardi di euro, pari al 63% del loro budget complessivo. Il ruolo delle cooperative sociali, che pesano per il 3,7% sul totale delle istituzioni non profit, nel comparto sanitario e dell’assistenza sociale diventa più rilevante, salendo rispettivamente al 10,9% dei soggetti attivi nella sanità e al 17,8% nei servizi sociali.

Queste cooperative sociali sono 5.600 e impiegano 225.000 addetti. E sono in forte crescita. Tra il 2001 e il 2014 si registra un incremento dell’11,8% del sistema cooperativo nell’insieme, superiore all’incremento complessivo delle imprese (+5,1%). E giocano un ruolo predominante nel mercato dei servizi sociali, grazie ai bandi e alle gare di appalto dei soggetti pubblici, anche a fronte della scarsa presenza di imprese private for profit, meno interessate a quelle aree del sociale in cui i margini di profitto sono limitati.

Ma il fatto più problematico è una sorta di informalità diffusa, che rende possibile al soggetto pubblico di trovare il mezzo per risparmiare sulle risorse allocate innescando una concorrenza al ribasso tra le cooperative sociali, senza l’adeguata attenzione alle differenze nelle specializzazioni, nella competenza del personale impiegato, nella qualità dei servizi resi.

Pd, anche Stefano Fassina lascia. "Non ci sono piu le condizioni"

Stefano Fassina lascia il Pd
Stefano Fassina (LaPresse/Monaldo)

Non ce l’ha fatta neanche lui a restare nel Pd. Stefano Fassina, uno dei dissidenti della’era Renzi fa un passo indietro e lascia il Partito democratico come ha già fatto Pippo Civati.

“E’ arrivato per me il momento di prendere atto – spiega – che non ci sono più le condizioni per andare avanti nel Pd e insieme a tanti e tante che hanno maturato per vie autonome la mia stessa riflessione proveremo a costruire altri percorsi non per fare una testimonianza minoritaria ma per fare una sinistra di governo ma su una agenda alternativa”, ha detto durante una iniziativa del Pd a Capannelle.

Per l’ex viceministro all’economia del governo Letta è arrivato il momento di dividersi per approdare ad una sinistra maggiormente di “Sinistra”. I dissapori con la dirigenza renziana, ma con l’intero esecutivo, danno il “là” per compiere un passo che in tanti vorrebbero compiere nel Pd.

E’ inutile stare in un partito – è il suo ragionamento – di cui non si condivide nulla. Pur senza mai dirlo non ha mai digerito quella frase del “Fassina chi?” pronunciata dal premier appena nominato da Napolitano presidente del Consiglio dei ministri.

Calpestare così una “storia di passione, di militanza, di attaccamento alla politica come servizio” è stato davvero troppo. Insieme ai compagni di sempre, Cuperlo, Bersani e lo stesso Civati ha resistito finché ha potuto, poi la “resa”: “Non ci sono più le condizioni”.

Lo aveva annunciato e fatto capire più volte. L’ultima l’altro giorno quando a OrizzonteScuola.it ha espresso il suo forte dissenso al Ddl Scuola su cui il premier vuole andare avanti come ha fatto con il Jobs Act e altre riforme. “Non accetto compromessi”, ha detto Fassina.


“O si fanno modifiche alle assunzioni e la cancellazione dei poteri ai dirigenti o faccio altro soggetto politico”. Poi l’affondo sul suo sito: “Adesso nel partito non cerchiamo i capri espiatori. Sembrano gli ultimi giorni del governo Letta”.

Renzi insiste e Fassina sa bene che il premier ha i numeri per portare a casa la riforma. “Ho approviamo il disegno di legge o si perdono 100mila assunzioni”. Rispetto a questa “strategia” renziana, non solo Fassina ma molti all’interno del Pd sono rimasti disarmati. Al momento lascia il Pd ma non è dato sapere quale sarà questo “nuovo soggetto” politico.

Caso De Luca, se arriva prima la Severino decade il Consiglio

Matteo Renzi, Vincenzo De Luca, Angelino Alfano - Caso De Luca
Matteo Renzi, Vincenzo De Luca, Angelino Alfano

Proclamato il neogovernatore della Campania Vincenzo De Luca, lunedi prossimo s’insedia il nuovo consiglio regionale convocato dal consigliere anziano Rosetta D’Amelio. Nella “prima” del 29 giugno, secondo statuto, dovrebbe essere eletto il Presidente del Consiglio, i due vice-presidenti, i due segretari e due questori che costituiranno l’Ufficio di presidenza.

Il presidente De Luca, invece nei dieci giorni successivi la sua proclamazione, già avvenuta la scorsa settimana, nomina, nel pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne ed uomini, la Giunta, tra i quali un vice-presidente e, sempre secondo lo statuto della Regione Campania, ne dà comunicazione al Consiglio regionale nella prima seduta successiva alla nomina per la “espressione del gradimento” da parte del Consiglio prevista dall’articolo 48.

Fin qui le regole statutarie. Bisognerà attendere la prima seduta di lunedi prossimo per capire l’altro aspetto: quello della sospensione del Presidente eletto Vincenzo De Luca. Il decreto di sospensione (per effetto della Legge Severino) dovrebbe essere protocollato in Consiglio regionale solo dopo che questo è regolarmente insediato. L’iter è che il decreto di sospensione viene trasmesso al prefetto di Napoli che a sua volta lo gira al presidente del Consiglio (che al momento non c’è, quindi al consigliere anziano).

Alla seconda seduta, in teoria, (metà luglio al massimo) il presidente De Luca potrebbe già presentare la sua giunta, con il suo vicepresidente. Se da palazzo Chigi (Renzi), dall’Interno (Alfano) e dagli Affari regionali (sempre Renzi) procedono con celerità può darsi che De Luca non faccia in tempo a ufficializzare la nomina dell’esecutivo. Potrebbe essere la prima, la seconda o la terza seduta. Dipende dai tempi procedurali e, soprattutto, dalla “volontà politica”. Nell’ipotesi in cui De Luca venisse sospeso in tempi rapidi, potrebbe ricorrere al tribunale ordinario, ma fino alla decisione – dipende dalle interpretazioni – potrebbe rimanere sospeso.

Ed è qui che si complica la matassa, perché il rischio (politico) grosso è che se De Luca venisse sospeso senza poter prima nominare il vice (il quale può esercitare le sue veci), potrebbe decadere l’intero consiglio giacché l’assemblea non può eleggere un nuovo presidente della giunta. Onere che spetta solo ai cittadini.

Un conto se si trattasse di una giunta già in carica. Allora la gestione, “per impedimento del presidente”, passerebbe direttamente al vice. Qui invece siamo davanti ad un caso più unico che raro.

Ad oggi c’è un Consiglio e un governatore eletto in predicato di sospensione ma non una giunta. Quindi – a meno di altre interpretazioni – il Consiglio regionale, una volta “dimissionato” il presidente dalla Severino, potrebbe decadere.

Una “sciagura”, per dirla in partenopeo. Questa è l’ultima cosa che vogliono sia il governo (per ovvi motivi politici, ma anche per lo spreco di denaro di un non remoto ritorno alle urne) ma soprattutto i consiglieri eletti che hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie per guadagnarsi uno scranno alla Regione Campania. Oltretutto il governo, Renzi e Alfano questa eventualità la conoscono bene e, da ciò che si apprende, sarebbero oorientati “all’andatura lenta”, nonostante i proclama che seguono.

Il premier Matteo Renzi ieri sera al termine del Consiglio  dei ministri  a proposito del caso De Luca ha detto: “E’ nostro intendimento procedere alla sospensione come previsto dalla legge Severino del presidente della regione Campania, stiamo attendendo che il ministri competenti possano fare i loro pareri e che l’Avvocatura dello Stato ci spieghi come come si deve svolgere la procedura”.

“E’ evidente – ha spiegato Renzi – che si tratta di un provvedimento inedito, per la prima volta si deve applicare la legge Severino non a una figura istituzionale in carica ma che deve essere proclamata e che deve entrare in carica a tutti gli effetti -ha spiegato il premier-, per questo abbiamo chiesto formalmente di conoscere quali procedure seguire e nelle prossime ore immaginiamo di procedere rispettando legge e procedure”.

Pareri che potrebbero dare ossigeno a De Luca per procedere alla nomina di giunta e vicepresidente. Altra questione, però superabile, è “l’espessione di gradimento del Consiglio regionale” all’esecutivo. In sostanza, presentata la Giunta, l’assemblea di palazzo Santa Lucia, ha 30 giorni di tempo per dare il “parere”.

Tuttavia il governatore può, nel caso di “diniego” dell’Assemblea ripresentare la sua giunta con una motivazione. Nell’ipotesi in cui De Luca dovesse essere sospeso, ma è riuscito – nominando il suo vice – a precedere la sospensione della Severino, può essere il vicepresidente nel pieno dei suoi poteri a ripresentarla motivandola. Appunto perché il vicepresidente esercita in “toto” i poteri conferiti dalla legge al presidente eletto.

Assegno per Veronica Lario di 1,4 milioni al mese

Silvio Berlusconi con l'ex consorte Veronica Lario - L'assegno per Veronica Lario si chiude a 1,5 mln
Silvio Berlusconi con l’ex consorte Veronica Lario

MILANO – L’assegno per Veronica Lario non sarà più di 3 milioni al mese come deciso in un primo momento dal tribunale di Monza, ma di un milione e 400 mila euro al mese.

E’ questo l’assegno mensile di mantenimento che Silvio Berlusconi dovrà versare all’ex consorte. Lo ha deciso il tribunale di Monza confermando la cifra che il giudice Anna Maria di Oreste aveva indicato durante l’udienza presidenziale della causa di divorzio. Veronica aveva chiesto oltre 3 milioni.

Il provvedimento dei giudice della Sezione Famiglia del tribunale di Monza è stato notificato stamane alle parti. Da quanto si è saputo il tribunale ha parametrato l’assegno mensile che percepirà l’ex first lady sul patrimonio di Berlusconi.

Il tribunale di Monza a febbraio dell’anno scorso aveva già sciolto il matrimonio tra l’ex premier e la moglie, lasciando aperto il capitolo economico che ora è stato chiuso. Veronica Lario, al secolo Miriam Bartolini, e l’ex capo del Governo avevano cercato di trovare un accordo, ma ogni tentativo è franato compresa la richiesta dell’ex first lady, a titolo di “buona uscita” di una cifra forfettaria di circa mezzo miliardo di euro.

La signora Lario in sede di separazione si era vista riconoscere 3 milioni e mezzo di alimenti e ora il Cavaliere, in sede di divorzio è riuscito ad ottenere un ribasso della cifra di oltre la metà. 1,4 milioni. Comunque una cifra niente male rispetto a quel che passa il “convento Italia” oggi. Per la signora Lario, un “vitalizio” di 46.660 euro al giorno. Può permettersi di spendere 1.944 euro l’ora, naturalmente finché vivrà l’ex marito.

La separazione tra Veronica e Silvio Berlusconi cominciò dopo le parole della first lady che si lamentava per le frequentazioni del marito: “Non posso stare con un uomo che frequenta minorenni”, disse in una lettera a Repubblica in cui definì in una sola parola l’ambiente che circondava il leader di Forza Italia: “Ciarpame”.

Sinodo Famiglia, dalla "pace" coi divorziati alla sfida denatalità

sinodo vescoviL’Instrumentum laboris, il testo base per il sinodo d’autunno sulla famiglia, a proposito dei “divorziati risposati civilmente che si trovano in condizione di convivenza irreversibile”, afferma che “c’è un comune accordo sulla ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale, sotto l’autorità del vescovo”.

Il testo fotografa comunque una serie di differenze di posizioni su tale accordo, e la divisione tra chi vorrebbe l’ammissione ai sacramenti e chi no.

“L’eventuale accesso ai sacramenti – si legge nel testo che sarà la base della discussione dei vescovi nel sinodo d’autunno – dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del vescovo diocesano”, e “va ancor approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostante attenuanti, dato che – afferma il testo citando il canone 1735 del Catechismo della Chiesa cattolica – ‘l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate’ da diversi ‘fattori psichici oppure sociali'”.

Spiega il Cardinale Péter Erdő nella prima parte del documento che, “Anche se il comportamento matrimoniale poteva essere abbastanza diverso dall’ideale, fino a pochi decenni fa il riconoscimento teorico del matrimonio è stato quasi generale”.

“Recentemente però i matrimoni, anche quelli civili, diminuiscono e – sottolinea – il numero delle separazioni e dei divorzi è in crescita. Di separazione si parla piuttosto dei paesi dove l’istituto del divorzio nel diritto civile è relativamente recente. Altrove non si pensa neppure a separazione legale ma si ricorre subito al divorzio ad ogni crisi del matrimonio”.

“Si parla molto della dignità delle singole persone, ma la trasformazione di questa verità in linguaggio istituzionale produce a volte delle situazioni contraddittorie. L’accentuazione esagerata dei diritti individuali senza tener conto dell’aspetto comunitario dell’essere umano produce un individualismo che mette al centro la soddisfazione di desideri e che non porta alla piena realizzazione della persona. L’isolamento dell’individuo è contrario al progetto del Creatore. Sembra essere una delle manifestazioni di tale individualismo il fatto che molti hanno paura ad assumere impegni definitivi”.

La “via ortodossa” alla quale “alcuni fanno riferimento” nel cercare una soluzione pastorale per i divorziati risposati, comunque “deve tenere conto della diversità di concezione teologica delle nozze”. E si tratta di una via che non mette “in discussione l’ideale della monogamia assoluta, ovvero dell’unicità del matrimonio”. Lo sottolinea l’Instumentum laboris per il sinodo d’autunno sulla famiglia, a proposito di una delle ipotesi avanzate anche nella precedente sessione del sinodo.

“Nell’Ortodossia – argomenta il testo preparatorio per il sinodo sulla famiglia del prossimo autunno – c’è la tendenza a ricondurre la prassi di benedire le seconde unioni alla nozione di ‘economia (oikonomia), intesa come condiscendenza pastorale nei confronti dei matrimoni falliti, senza mettere in discussione l’ideale della monogamia assoluta, ovvero dell’unicità del matrimonio. Questa benedizione – prosegue l’Instrumentum laboris all’articolo 129 – è di per sé una celebrazione penitenziale per invocare la grazia dello Spirito Santo, affinché sani la debolezza umana e riconduca i penitenti alla comunione con la Chiesa”.

E se il testo del sinodo dedica da una parte particolare attenzione all’integrazione dei divorziati risposati civilmente nella comunità cristiana, dall’altra viene raccomandata un’opportuna attenzione pastorale all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse persone.

Infine, parlando di famiglia il Sinodo da “uno sguardo specifico” all’esercizio della generatività e alle sfide dell’educazione dei figli. Il testo ribadisce l’importanza dell’impegno per la trasmissione della vita e denuncia la sfida della denatalità, specialmente grave in alcuni Paesi. Viene ribadita la responsabilità generativa degli sposi, che si rapporta al mistero intangibile e prezioso della vita umana, e si estende a comprendere il valore altamente positivo delle esperienze dell’adozione e dell’affido. Analoga rilevanza è data all’impegno educativo proprio della famiglia.

Follia a Reggio Calabria, Pasquale Laurendi uccide moglie e suocera a coltellate. Arrestato

Una volante della polizia davanti la Questura di Reggio Calabria - Duplice omicidio. Pasquale Laurendi uccide a coltellate Antonia Latella e la suocera
Una volante della polizia davanti la Questura di Reggio Calabria

Dramma nella notte a Reggio Calabria. Un uomo di 55 anni, Pasquale Laurendi, reggino, al culmine di una violenta lite familiare ha ucciso a coltellate la moglie Antonia Latella, di 53 anni, e la suocera Carmela Cicciù, di 83.
Laurendi è stato arrestato dalla polizia poco dopo l’omicidio mentre tentava di fuggire.

I due figli della coppia, al momento del duplice omicidio, non erano in casa. Il duplice omicidio è accaduto verso le 3 di notte in casa della coppia, un’abitazione popolare in una traversa di via San Giuseppe, nella zona sud della città. Dopo aver commesso il crimine, l’uomo è subito fuggito ma è stato bloccato dalla Polizia sulla sua auto lungo la statale 106. Laurendi è ora è in stato di fermo con l’accusa di duplice omicidio.

Sul luogo sono immediatamente giunte le volanti delle forze dell’ordine chiamate dai vicini dopo aver sentito litigare e urlare. Insieme a loro la Scientifica per i rilievi del caso. Ancora sconosciuto il movente del duplice omicidio.

Da un primo esame effettuato dagli inquirenti, sembra che moglie e suocera siano state colpite con numerose coltellate. Segno di una furia incontenibile dovuta chissà a quali motivi. Da quello che riferiscono alcuni vicini sembrerebbe che tra il presunto omicida e la moglie negli ultimi tempi i rapporti erano sempre più tesi.

Bufera sul Catania calcio, arrestati il presidente e altri sei

Da sinistra il presidente del Catania calcio Antonino Pulvirenti e il suo vice Pablo Cosentino
Da sinistra il presidente del Catania calcio Antonino Pulvirenti e il suo vice Pablo Cosentino

Catania Calcio nella bufera.  La Polizia ha eseguito 7 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di dirigenti del Catania calcio che avrebbero comprato alcune partite del campionato di calcio di Serie B appena concluso per consentire alla squadra di vincere ed evitare la retrocessione.

I provvedimenti sono stati emessi dal Gip di Catania, su richiesta della Dda della locale procura. Perquisizioni sono in corso da parte della Polizia a Roma, Chieti, Campobasso e Catania. L’indagine è stata condotta dalla Digos in collaborazione con la Polizia postale.

Tra gli arrestati dalla Polizia di Stato nell’inchiesta su presunte gare comprate, anche il presidente del Catania calcio, Antonino Pulvirenti, il suo vice Pablo Cosentino e l’ex direttore sportivo della squadra Daniele Delli Carri. La Digos della questura gli ha notificato un provvedimento agli arresti domiciliari per truffa e frode sportiva.

Gli altri quattro destinatari di arresti domiciliari sono due procuratori sportivi e altrettanti gestori di scommesse on line. Nell’inchiesta non sarebbero indagati appartenenti a altre società sportive. Particolari sul blitz “I treni del gol” saranno resi noti alle 11 nella sala stampa della Procura distrettuale di Catania.

L’inchiesta sul calcioscommesse della procura siciliana segue di qualche settimana quella della Dda di Catanzaro dove in due diverse operazioni vennero arrestati decine di persone nell’ambito dell’indagine “Dirty soccer” in Lega Pro.

Centrodestra, Berlusconi e Salvini verso la Casa delle Libertà

Berlusconi e Salvini
Silvio Berlusconi con Matteo Salvini

Berlusconi e Salvini insieme per la pelle. Il raduno di Pontida di ieri è riuscito a dare impulso al Centrodestra. Se Salvini si è proposto come alternativa a Renzi, sa bene che non potrà mai riuscire da solo a ribaltarlo nelle urne.

Il leader della Lega è conscio che i numeri in politica contano più di ogni altra cosa. E lo dimostra la vittoria alle scorse elezioni regionali in Liguria, dove seppure con un centrosinistra spaccato, la vittoria di Toti conferma che “uniti si vince”. Certo, il candidato di Forza Italia poteva scordarsi di diventare Governatore ligure se non fosse per quel venti e passa percento della Lega.

Ed è proprio la Liguria che delinea il quadro di alleanze future nel centrodestra. Berlusconi, dal canto suo conosce bene i suoi alleati e sa altrettanto bene che senza un’alleanza strategica con la Lega potrà fare poco. Un’alleanza che lui, il Cav, prospetta nella forma di un “contenitore” politico dove si uniscono voti ma soprattutto idee e valori comuni.

Lo avevamo scritto qualche tempo addietro che le intenzioni di Berlusconi è Salvini era di un “patto” solido e duraturoOssia, che l’unico modo per tornare a vincere è una riedizione della vecchia Casa delle Libertà composta dalla Forza Italia, Lega (estesa al Centrosud), Fratelli d’Italia e Area Popolare (Ncd e Udc). La stessa coalizione, guarda caso, che è riuscita a vincere in Liguria. A confermare questo percorso è lo stesso Berlusconi in una intervista a “Il Giornale” di Sallusti.  Che Berlusconi e Salvini, allo scopo, si fossero incontrati segretamente in passato è risaputo. Incontri che sono proseguiti anche adesso.

Di fronte alla prospettiva di un accordo elettorale tra Salvini e il Movimento 5 Stelle (eventualità remota), il leader di Forza Italia rilancia con un progetto che riunisce le forze di centrodestra. “Forse occorrerà realizzare un contenitore più ampio, del quale Forza Italia e la Lega siano parte, che si rivolga non solo ai partiti ma anche alle associazioni, ai gruppi, ai movimenti d’opinione, ai cittadini non organizzati in partiti” dice Berlusconi al direttore del Giornale.

“Il nostro primo obiettivo – spiega Berlusconi – è ridare un motivo serio per tornare a votare agli italiani che hanno disertato le urne”. Poi annuncia che tornerà ad essere parte attiva in prima persona per questo progetto e per il rilancio del centrodestra.

“Per riuscirci mi impegnerò personalmente, ma tutte le forze che si riconoscono nel centrodestra devono saper rinunciare a qualche loro convenienza per imboccare un cammino comune fatto di lungimiranza e generosità vero l’Italia e gli italiani”.

E sulle distinzioni in FI “è normale che in un movimento possano esserci opinioni diverse sulle linee da seguire, ma se la minoranza non riesce a convincere la maggioranza sulla sua tesi deve adeguarsi alla tesi della maggioranza altrimenti lasciare il partito”. Quanto al rapporto con Renzi, Berlusconi smentisce l’ipotesi di un Nazareno-bis e ribadisce che Forza Italia “è convintamente all’opposizione e nulla è cambiato da quando abbiamo dovuto rinunciare alla collaborazione con il Pd”.

Massima disponibilità su eventuali modifiche alla legge elettorale, uno dei motivi di rottura dell’accordo con Renzi: “Se il Partito democratico presentasse in Parlamento qualche miglioramento della legge elettorale o della riforma costituzionale noi voteremmo a favore di quella norma come voteremmo qualsiasi provvedimento da chiunque proposto che giudicassimo positivo per il Paese”.

Nella conversazione con Sallusti, il Cavaliere non aggredisce Alfano e Ncd, per dire “dialoghiamo” seppure lo critichi come “stampella” del governo. In soldoni, dopo l’esperienza ligure il nodo con Ncd potrebbe sciogliersi…Intanto, glissa sull’ex pupillo Raffaele Fitto. “Di Fitto e dei suoi si è già parlato troppo”. Ma secondo alcuni sondaggi a livello nazionale l’area che fa riferimento all’ex governatore pugliese vale attorno al 3 percento, non briciole. E più che Salvini, è Berlusconi che sa pesare il valore dei numeri in politica. Ergo…

Poi sulla leadership del centrodestra. Berlusconi riconosce che “Salvini è abile, dinamico, spregiudicato: è ogni giorno in giro per l’Italia e in televisione, e sa che ogni sua provocazione è destinata ad essere rilanciata e moltiplicata, con l’effetto di fargli pubblicità anche da parte di chi pensa di contraddirlo”. Tuutavia “è un valore aggiunto per il centrodestra”.

Il leader di Forza Italia “invece, a causa di una sentenza assurda che verrà ribaltata dalla Corte di giustizia europea, è stato costretto al silenzio, tenuto lontano dalle televisioni, impossibilitato a muoversi sul territorio. In queste condizioni, è naturale che Forza Italia sia calata e la Lega sia cresciuta. Comunque – mette in chiaro il Cav. – la leadership del centrodestra, al momento, non è un problema all’ordine del giorno”. E’ comunque fuori discussione che il “capo” vada scelto tra le due formazioni maggiori. A Salvini potrebbe toccare di guidare il centrodestra, a Berlusconi la figura di padre nobile di un “contenitore” che potrebbe tornare a trionfare se solo mettesse da parte il personalismo e facesse prevalere le idee.

Concordia, “Le verità sommerse” di Schettino sul naufragio

Il naufragio della Costa Concordia
Il naufragio della Costa Concordia

Francesco Schettino, l’ex comandante della Costa Concordia naufragata all’Isola del Giglio il 13 gennaio 2012, ha scritto un libro per raccontare la “sua verità” sulla sera che il gigante dei mari si arenò a pochi metri dagli scogli. Nell’incidente morirono 32 persone e l’11 febbraio 2015 il capitano è stato condannato in primo grado a 16 anni di reclusione.

Questo libro, fa sapere Schettino “è dedicato a coloro che quella notte sono stati colpiti negli affetti più cari”, poichè “a loro è dovuta la verità più che ad ogni altro”.

La copertina del libro di Schettino "Le verità sommerse"
La copertina del libro di Schettino “Le verità sommerse” sul naufragio della Concordia

Il libro “Le verità sommerse” (Graus Editore) sulla vicenda della Concordia è stato scritto a quattro mani con la giornalista Vittoriana Abate di Porta a Porta.  Il volume, di 600 pagine, sarà presentato in anteprima mercoledì 24 giugno a Meta di Sorrento (Napoli), la città di Schettino.

“Il libro – spiega Schettino – ripercorre con il mio racconto ed attraverso gli atti del processo, minuto dopo minuto l’incidente della Concordia dal 13 gennaio 2012 fino agli ultimi avvenimenti dopo la sentenza dell’11 febbraio 2015” con la quale, dopo il processo di primo grado, il comandante è stato condannato a 16 anni.

La giornalista Vittoriana Abate coatrice del libro di Schettino "Le verità sommerse"
La giornalista Vittoriana Abate coatrice del libro di Schettino “Le verità sommerse”

Alla presentazione, annuncia Schettino ci saranno anche esperti del settore marittimo, pure stranieri, mentre a luglio, a Roma, è prevista una conferenza stampa. Nel libro ci sono le voci della scatola nera, le testimonianze rese al processo da numerosi passeggeri e membri dell’equipaggio, le intercettazioni ambientali inedite e quelle che vengono definite nel libro le “sviste” nelle indagini.

“Ho affidato a queste pagine le mie riflessioni, le mie valutazioni e quegli aspetti emotivi che le hanno accompagnate e finora mai raccontate”, aggiunge l’ex comandante. “Il libro – conclude Schettino – è una risposta a tanti interrogativi rimasti in sospeso”.

Padre Fedele non violentò la suora. Assolto in Appello. La Corte non ha creduto alla religiosa

Padre Fedele Bisceglie
Padre Fedele Bisceglia (Ansa)

CATANZARO – Padre Fedele Bisceglia, il frate accusato di aver violentato una suora, è stato assolto per non aver commesso il fatto dalla Corte d’Appello di Catanzaro nel secondo processo dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio la sentenza della stessa corte che gli aveva inflitto nove anni e tre mesi di reclusione.

Per il frate arriva la parola fine alla sua odissea giudiziaria. Fedele Bisceglia si era sempre proclamato innocente. La vicenda di Padre Fedele ebbe inizio ne 2006 quando una suora lo accusò di aver abusato sessualmente di lei nell’Oasi Francescana a Cosenza, un luogo fondato dal religioso dove ospitava poveri ed emarginati.

Nella stessa sentenza è stato assolto perché il fatto non sussiste (e non per non aver commesso il fatto), il segretario di Padre Fedele, Antonio Gaudio, mentre è stato condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione per un caso di violenza su una ospite dell’Oasi. In primo grado gli era stato condannago a 6 anni e 3 mesi.

Padre Fedele non era presente in aula ma ha preferito attendere a Cosenza l’esito della sentenza. L’ex frate (sebbene non abbia mai smesso di indossare il saio), per queste accuse e condanne era stato sospeso a divinis, finì in carcere nel gennaio del 2006, e fu rinviato a giudizio assieme a Gaudio il 9 gennaio del 2008. Anni di calvario personale ma anche anni di isolamento sociale e accanito disprezzo da parte della curia cosentina e dell’opinione pubblica.

Nella foto "l'arringa" di Padre Fedele fuori dal tribunale di Cosenza dopo la sentenza di condanna
“L’arringa” di Padre Fedele fuori dal tribunale di Cosenza dopo la sentenza di condanna

Nonostante le sue vicissitudini, non ha smesso di proclamare la sua innocente e stare dalla parte dei più poveri. Prima che lo arrestassero, erano frequenti le sue missioni umanitarie nell’Africa centrale dove portava nei villaggi generi di prima necessita.

Super tifoso del Cosenza Calcio, era sempre presente allo stadio per supportare la squadra del cuore. Era ed è rimasto molto forte il legame con gli ultras cosentini che in questi “anni terribili” sono stati sempre vicini al frate.

Padre Fedele Bisceglie ultrà del Cosenza
Padre Fedele Bisceglia ultrà del Cosenza

Raggiunto al telefono all’Agenzia Italia subito dopo la sentenza di assoluzione Padre Fedele, preso dall’entusiasmo, ha detto solo “Sono commosso, ci sentiamo più tardi”.

Per lui finisce un incubo durato nove lunghi anni dove alla fine la sua fede granitica, la sua tenacia e la sua convinzione di essere dalla parte del giusto, gli hanno dato la forza di resistere e attraversare la tempesta giudiziaria. Il fatto suscitò enorme clamore mediatico a livello nazionale.  Ora l’assoluzione dopo due processi. I giudici della Corte d’Appello non hanno creduto alla versione della suora.

Il leader del movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, da sempre vicino al frate ha commentato: “Quello che auspico, dopo quanto ha subito Padre Fedele, in questi lunghi e sofferti 9 anni mezzo, è che il frate ritorni e venga di nuovo accolto dalla Chiesa, la casa di Dio a cui ha dedicato l’intera sua vita al servizio sempre dei più poveri, bisognosi e sfortunati. È questo l’appello che rivolgo oggi a Papa Francesco. A Padre Fedele deve essere subito ridato dalla Chiesa l’esercizio del ministero sacerdotale quello che ingiustamente gli era stato tolto, a seguito dell’ inchiesta che aveva coinvolto il frate missionario”.

Cinema, addio all'attrice Laura Antonelli, icona sexi degli anni '70

Laura AntonelliROMA – Un infarto ha stroncato la vita dell’attrice Laura Antonelli, 73 anni. E’ successo nella sua casa di Ladispoli, vicino Roma. A dare l’allarme è stata la domestica che l’ha trovata per terra nella camera da pranzo.

Nata nel 1941 a Pola, era di famiglia istriana. E con questa fece parte dell’esodo dei 300 mila istriani che fuggirono dalla ex Jugoslavia per trovare riparo in Italia.

La Antonelli ha raggiunto il culmine della popolarità a cavallo degli anni ’70/’80, interpretando pellicole erotiche e film d’autore. Nella sua carriera ha lavorato con Giuseppe Patroni Griffi, Luchino Visconti, Salvatore Samperi, Dino Risi e Luigi Comencini.

E stata protagonista di film di grande successo come Malizia e tanti altri. Ma al periodo d’oro seguì il declino per il suo coinvolgimento in una storia di droga da cui rimase molto ferita. Con i suoi film ha fatto sognare intere generazioni.

Il fratello Claudio, uno dei parroci di Ladispoli, l’attore Lino Banfi e l’ex attrice Claudia Koll: sono gli ultimi amici, “quelli veri”, che l’attrice ha chiesto di chiamare quando sarebbe morta. Lo ha lasciato scritto su un biglietto, racconta l’assessore ai servizi sociali del Comune di Ladispoli Roberto Ussia: “Stiamo cercando di rintracciare il fratello che vive in Canada”.

L'attrice Laura Antonelli
L’attrice Laura Antonelli (Olycom)

L’attrice ha girato il suo primo film nel 1969, “Le malizie di Venere”, diretto nel 1969 da Massimo Dallamano e bloccato dalla censura. L’anno dopo ha ottenuto il primo successo, a fianco di Lando Buzzanca, nel “Merlo maschio” di Pasquale Festa Campanile. Dopo il trionfo di “Malizia” (sei miliardi d’incasso quando il biglietto del cinema costava mille lire), la bellezza prorompente, genuina della Antonelli ha attratto prima Giuseppe Patroni Griffi, che la volle per “La divina creatura” (1975), e poi Luchino Visconti che le affidò il ruolo della moglie di Giancarlo Giannini ne “L’innocente” (1976) da Gabriele D’Annunzio.

Laura Antonelli ha avuto miglior fortuna nelle commedie: da “Sessomatto” di Dino Risi a “Mio Dio come sono caduta in basso” di Luigi Comencini in cui faceva la parodia delle eroine dannunziane. La Antonelli ha recitato poi a fianco di Jean Paul Belmondo in “Trappola per un lupo” di Claude Chabrol, con Mauro Bolognini in “Gran bollito”, con Ettore Scola in “Passione d’amore”.

Due volte si è cimentata con Moliere, nelle riduzioni farsesche del “Malato immaginario” e “Avaro”, accanto ad Alberto Sordi. Si è vista anche in “Rimini Rimini” e nella “Venexiana” dove contendeva con successo a Monica Guerritore l’amore di un giovane sfruttando le armi, neanche a dirlo, della malizia. Negli ultimi anni ha scelto di vivere sempre più appartata. Tra le sue ultime apparizioni, due ruoli da protagonista in tv: negli “Indifferenti” di Bolognini e in “Disperatamente Giulia” di Enrico Maria Salerno, trasmessi su Canale 5 nel 1988 e nel 1990. Poi il silenzio.

CLAUDIA KOLL: “AVEVAMO INCONTRATO INSIEME DIO E LA FEDE”
“Sono andata a cercare Laura nella parrocchia di Ladispoli, dove abitava, per portarle il mio affetto e la forza di Cristo. Sentivo che avevamo molto in comune: entrambe ex attrici, belle, in un certo periodo della nostra vita avevamo incontrato Dio, la Fede”. A ricordare, commossa, il suo rapporto con Laura Antonelli, è Claudia Koll, ex attrice anche lei e donna di fede nella seconda parte della sua vita. Una delle poche persone che negli ultimi anni s’interessava della sorte dell’indimenticabile icona sexy degli anni Settanta e Ottanta scomparsa oggi. Tanto che la stessa Antonelli aveva scritto su un foglietto con le sue ultime volontà di volere al suo fianco, in caso di morte, il fratello Claudio, l’attore Lino Banfi, la Koll e uno dei parroci di Ladispoli.

Salvini da Pontida 2015 strali al Papa. A Renzi: Ti asfalteremo

Il raduno della Lega a Pontida 2015
Il raduno della Lega a Pontida 2015

La “grande festa di popolo” della Lega 2.0 a Pontida 2015 inizia coi “botti” e finisce con uno strascico di polemiche, a cominciare da quelle che il leader del Carroccio fa nuovamente con Papa Francesco. Il pontefice oggi in visita pastorale a Torino ha avuto in programma, fra l’altro, di ricevere in visita una famiglia di rom.

Aveva avuto modo già di polemizzare coi migranti quando il Santo Padre sui fatti di Ventimiglia chiese “Perdono” al posto dei francesi che li respingono. Lui replicò: “Quanti migranti ci sono in Vaticano?”. Quella di oggi è invece più soft: “Mi fa piacere che Papa Francesco a Torino abbia trovato il tempo per incontrare dei rom e sono sicuro che avrà incontrato anche i torinesi esodati”, è il messaggio al Papa. Poi puntualizza: “Non mi permetto di attaccare il Papa, io sono l’ultimo dei buoni cristiani, ma rispetto chiama rispetto”, ha aggiunto tornando sulla polemica per l’accoglienza degli immigrati.

Nella Pontida 2015 presenti in migliaia per il raduno annuale della Lega che, viste le ambizioni di calarsi (elettoralmente) oltre il Po, dovrà considerare una Pontida del Sud. Sui prati verdi del comune bergamasco ci sono delegazioni di “Noi con Salvini” dall’Abruzzo e altri piccoli gruppi, la maggioranza è composta dallo zoccolo duro e pur dai “seguaci” di Alberto da Giussano.

Dalle nove di mattina affluiscono i militanti della Lega a Pontida 2015. Ci sono i gazebo che vendono i tradizionali gadget e panini e, novità di quest’anno, anche le t-shirt con su stampata la ruspa di Salvini, quella che lui userebbe per radere al suolo i campi rom.

“La ruspa – spiega – fa giustizia di tanti errori. La ruspa la uso per Renzi non per qualcun altro. La ruspa la usiamo per far ripartire il lavoro”, dice il leader della Lega davanti a migliaia di militanti. Per dire che lui è pronto ad “asfaltarlo” politicamente come lui ha rottamato tutta la vecchia nomenclatura Pd.

Prima di cominciare il suo intervento il segretario della Lega Matteo Salvini non poteva non stringersi in un caloroso abbraccio al leader storico Umberto Bossi che aveva appena concluso il suo intervento e stava scendendo dal palco.

Durante il comizio, Salvini, era attorniato dai bambini per segnalare che il suo progetto guarda “al futuro” e alle prossime generazioni “che dovranno vivere liberamente nella terra dei nonni”, ha affermato sotto gli applausi. Poi attacca Renzi e quanti sono favorevoli a introdurre il reato di tortura: “No al reato di tortura che impedisce di lavorare a Polizia e Carabinieri, il Parlamento stia con guardie, non con ladri”, si legge tra le decine di twitt.

Salvini ha aggiunto che “il discorso che sto facendo qui oggi lo faccio a braccio, non lo ho scritto con degli spin-doctor capaci di suggerirmi citazioni colte. Il mio discorso nasce dall’aver ascoltato quello che lavora alle salamelle, e il militante di un paesino dove ho tenuto un comizio e la mamma che mi ha raccontato i problemi del figlio”. Il discorso “l’ho scritto parlando con voi che volete cambiare l’Italia”.

“L’anno scorso – ha concluso – eravamo qua per ricostruire e ripartire. Quest’anno siamo ripartiti e siamo qua”, a Pontida 2015, “per vincere”. “Abbiamo le idee e gli uomini giusti, vogliamo prendere un voto in più di Renzi e andare al governo a cambiare le cose”, ha detto Salvini alla folla che inneggiava.

Roma, Pd "schiacciato" tra circoli dannosi e tessere fasulle. Orfini: "Nessuno li accosti a Mafia Capitale"

Da sinistra Fabrizio Barca  con Matteo Orfini  Rivoluzione nel Pd dopo i circoli dannosi
Da sinistra Fabrizio Barca con Matteo Orfini (Ansa/Carconi)

C’è tensione nel Pd romano dopo la relazione di Fabrizio Barca sui circoli dannosi. Uno su quattro sarebbe, secondo la relazione dell’ex ministro, sono “l’arena di uno scontro di poteri”, luoghi che invece di attrarre i cittadini alla politica sono un muro impenetrabile dietro cui si consumano le peggiori lotte intestine per scalare potere all’interno di un partito che il potere lo gestisce a livello locale e nazionale.

Il commissario romano nonché presidente del Pd Matteo Orfini è orientato a chiuderli. Il segretario Matteo Renzi è piuttosto infastidito, dice chi lo conosce da vicino, èd “è pronto a fare piazza pulita”.

Si tratta di circoli che “bloccano il confronto sui contenuti – afferma Barca -, premiano la fedeltà di filiera, emarginano gli innovatori”. Tra questi ci sono anche degli “insospettabili”, come quello dell’Eur o quello di Testaccio. Due sono, invece, le strutture cosiddette “chiuse” e sono i circoli di Versante Prenestino e di Ostia Nuova.

Quest’ultimo pochi giorni fa è stato sfrattato proprio per problemi con il canone d’affitto. I circoli “virtuosi”, invece, sono solo nove: Cesano, Donna Olimpia, Esquilino, Labaro, Laurentino Petroselli, Magliana, Ostia Antica, Ottavia Palmarola e Tor Sapienza.

Circoli che meritano un premio alla correttezza, alla trasparenza e al rispetto delle regole. Ma su 110 sono oggettivamente “pochini”, fanno notare i renziani che sull’altro versante sono orientati a non mollare la presa sul sindaco Ignazio Marino dopo gli scandali di Mafia Capitale. Il sindaco, dopo il chiaro messaggio di sfratto lanciato all’inquilino del Campidoglio da parte di Renzi, ha risposto picche. Ha anzi rilanciato la permanenza fino al 2023 e la sua ricandidatura: “Sarò giudicato solo dai risutati”, manda a dire al premier tornato intanto rottamatore.

Tornando alla relazione di Barca, l’ex ministro montiano parla di sei tipologie di circoli, compresi quelli “d’identità” (25), “d’inerzia” (17) e quelli “ponte” (28). I restanti due circoli erano invece chiusi al momento della mappatura. Insomma, 27 sono da chiudere, 17 non fanno attività politica, altri che dovrebbero essere monitorati per evitare che finiscano “border line“. Con ciò non significa, come afferma Orfini in un post su Facebook, che “i circoli che hanno avuto un risultato negativo c’entrino qualcosa con la mafia o con la corruzione. Nessuno l’ha mai detto e nessuno si deve permettere di accostarli a mafia capitale”.

Nella lunga relazione di Barca si sottolineano le “anomalie” dei circoli, già registrate durante la direzione romana del partito la settimana scorsa quando è stato approvato il nuovo regolamento per il tesseramento. In particolare si registrano “irregolarità” di iscrizioni in corrispondenza di votazioni o congressi. Inoltre il “38,3% degli iscritti non frequentano il circolo”. Aspetto che fa sospettare un giro di tessere fasulle, ovvero quanti pur di acrreditarsi nel partito sono disposti a gonfiare i tesserati e a pagargli pure l’iscrizione. Un metodo, per la verità non usato solo dal Pd ma un po’ in tutti i partiti che torna utile, molto utile, nei congressi.

“Non dobbiamo mai abbassare la guardia” èil monito di Barca. “Da situazioni disastrose ci si rialza e si rinnova”. Un rinnovamento che parte proprio dagli iscritti, da chi ha assistito per due ore alla dura fotografia di un partito dilaniato da correnti e “capibastone” che oggi nessuno vuole più vedere. C’è tanto da fare e non sarà facile. E’ da qui che parte la “rivoluzione” di Orfini e Renzi con l’ausilio di Fabrizio Barca per ripulire di Pd romano. Ma “senza allergie alla valutazioni”.

Il Papa a Torino: "Siate coraggiosi e artigiani del futuro".

Il Papa a Torino in piazzetta Reale si rivolge al Mondo del Lavoro
Papa Francesco in piazzetta Reale si rivolge al Mondo del Lavoro

Il Papa a Torino è arrivato alle 8 all’aeroporto di Caselle per la sua visita pastorale nel capoluogo piemontese che durerà due giorni.

Ad accogliere il Santo Padre è Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, da Sergio Chiamparino, Presidente della Regione Piemonte, da Paola Basilone, Prefetto di Torino dal sindaco di Torino Piero Fassino.

Da Caselle verso la città, il primo appuntamento è in piazzetta Reale, con il mondo del lavoro.

“Il lavoro non è necessario solo per l’economia, ma per la persona umana, per la sua dignità, per la sua cittadinanza e anche per l’inclusione sociale”,  ha aggiunto il Papa a Torino. Città che “è storicamente un polo di attrazione lavorativa, ma oggi risente fortemente della crisi: il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari.

Il Papa a Torino. Ecco il suo arrivo in Papa Mobile
Il Pontefice al suo arrivo a Torino

L’immigrazione aumenta la competizione, ma i migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’iniquità, di questa economia che scarta e delle guerre. Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni, in cui esseri umani vengono trattati come merce!”, afferma riferendosi alla tratta degli schiavisi di esseri umani e agli episodi di Ventimiglia. Il santo Padre torna sulla società fondata sull’egoismo e sullo scarto.

“In questa situazione – afferma papa Bergoglio – siamo chiamati a ribadire il “no” a un’economia dello scarto, che chiede di rassegnarsi all’esclusione di coloro che vivono in povertà assoluta – a Torino circa un decimo della popolazione. Si escludono i bambini, natalità zero!”, ha sottolineato “Si escludono gli anziani, e adesso si escludono i giovani (più del 40% di giovani disoccupati)! Quello che non produce si esclude a modo di “usa e getta”.

“Siamo chiamati a ribadire il “no” all’idolatria del denaro, che spinge ad entrare a tutti i costi nel numero dei pochi che, malgrado la crisi, si arricchiscono, senza curarsi dei tanti che si impoveriscono, a volte fino alla fame”. Dire “no” alla “corruzione, tanto diffusa che sembra essere un atteggiamento, un comportamento normale. Ma non a parole, con i fatti. “No” alle collusioni mafiose, alle truffe, alle tangenti, e cose del genere”.

Infine, sempre rivolgendosi ai fedeli in una piazza soleggiata, il Papa ha concluso: “Siate coraggiosi, andate avanti, siate creativi, siate “artigiani” tutti i giorni, artigiani del futuro! Con la forza di quella speranza che ci dà il Signore e non delude mai. Ma che ha anche bisogno del nostro lavoro”.

 Un manifesto di benvenuto a Papa Francesco a Torino
Un manifesto di benvenuto a Papa Francesco a Torino (Ansa)

Poi il pontefice si è recato nel Duomo di Torino  dov’è ha pregato in raccoglimento davanti alla sacra Sindone.  In cattedrale erano presenti suore di clausura e sacerdoti ospiti delle case del Clero della Diocesi, il Capitolo dei canonici, la Commissione Sindone, alcuni parenti del Beato Piergiorgio Frassati, l’arcivescovo emerito di Torino, cardinale Severino Poletto, e i vescovi della Conferenza Episcopale Piemontese e Valdostana.

Papa Francesco ha pregato per alcuni minuti, poi dopo il segno della croce si è alzato e si è avvicinato alla teca che custodisce la sindone toccandola con la mano destra. La due giorni di Papa Francesco prosegue fino al tardo pomeriggio di oggi. Nella giornata di lunedi lascera l’Arcivescovado per trasferirsi in auto al Tempio Valdese e dopo una serie di incontri, anche in forma privata ripartirà alle 17.30 per Roma.

Dal Family Day "Stop gender e nozze gay. Difendere la famiglia naturale"

stop gender Family DayUna piazza San Giovanni piena di famiglie, ragazzi e bambini e molti preti e suore ha detto “no” alla “teoria gender” e al ddl Cirinnà”.

“Siamo u milione”, dicono gli organizzatori ma nessuno si sbilancia su quella che è comunque stata una grande manifestazione di piazza per la famiglia naturale e contro nozze gay e unioni civili tra persone dello stesso sesso. Il “Family Day” è riuscito oltre ogni aspettativa, raccogliendo centinaia di migliaia di persone per unirsi al coro di chi è contrario al “mutamento antropologico” della specie umana, è stato detto.

“No al gender nelle scuole”, era scritto su un grande striscione sul palco di piazza san Giovanni e, tra tanti interventi, viene mixato un passaggio di Papa Francesco che parla della famiglia fatta di uomo e donna. Anche una lettera di monsignor Paglia, trova il plauso convinto della piazza. Alla manifestazione, che non ha insegne di partito e vede la Chiesa defilata, hanno aderito varie organizzazioni del mondo islamico, confessionali, cristiane e di altre sedi. Da segnalare l’adesione del rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni.

“Rigettiamo con forza – ha spiegato il professor Massimo Gandolfini, portavoce del comitato organizzatore – il tentativo di infiltrare nelle scuole, di ogni ordine e grado, progetti educativi e, con il pretesto del legittimo contrasto al bullismo, mirano alla destrutturazione dell’identità sessuale dei bambini”.

“Teorie senza basi scientifiche, definite dallo stesso Papa Francesco “un errore della mente umana”, che hanno lo scopo dichiarato di rompere ogni corrispondenza tra l’identità sessuale e biologica e la strutturazione della personalità, e che di conseguenza disorientano i nostri figli e nipoti fin dalla scuola dell’infanzia modificando la stessa antropologia umana”.

Due ragazzi al Family Day con le magliette. Quela naturale è una vera famiglia
Due ragazzi al Family Day con le magliette. Quela naturale è una vera famiglia

Ad avviso di Gandolfini “potevamo scegliere altri luoghi di aggregazione presenti nella città di Roma ma la nostra sfida è stata di riempire piazza San Giovanni con centinaia di migliaia di famiglie che sono giunte da ogni parte d’Italia, per proteggere l’innocenza dei bambini e il loro diritto ad avere un padre ed una madre e per ribadire la più netta contrarietà ad ogni tentativo di cambiare la nostra bella Costituzione, equiparando le convivenze omosessuali al matrimonio”.

“Il primo aspetto di questa iniziativa – ha spiegato ancora Gandolfini – è stato lo slittamento alla prossima settimana del parere del Governo sul ddl Cirinnà dopo il quale partirà la discussione di duemila emendamenti. Noi vogliamo intervenire prima che il Parlamento legiferi, perché le esperienze di Francia e Spagna dimostrano che la protesta successiva alla promulgazione di leggi sbagliate, pur avendo un grande valore simbolico non portano ad un risultato concreto. Da qui – ha concluso – ci auguriamo un cambiamento da questa carica popolare e mobilitazione dal basso”.

Maurizio Lupi capogruppo di Ncd alla Camera ha detto che “il Family Day vuol dire anche riconoscere il diritto/dovere delle famiglie all’educazione dei figli. No a colonizzazione ideologica gender. Dire che un bambino ha diritto ad avere un papà e una mamma non discrimina nessuno, afferma il valore su cui nasce ogni società”, coclude Lupi su Twitter replicando alle organizzazioni che sono a favore delle nozze gay.

Austria, squilibrato in Suv contro passanti. 3 morti e 35 feriti.

Il Suv con cui il giovane si è lanciato contro la folla
Il Suv con cui il giovane si è lanciato contro la folla

Un’altra auto impazzita sulla folla. Morti, feriti. Questa volta è successo a Graz, nel sud’est dell’Austria. Un Suv guidato da un giovane, riferiscono media austriaci, dopo una corsa ad altissima velocità è sbandato finendo su un gruppo di persone. Tragico il bilancio: 4 morti e trentacinque feriti.

Il governatore del Land, Hermann Schuetzenhoefer ha invece riferito che il giovane “ha volontariamente” guidato il mezzo contro i passanti.

 

Si intravede una scarpa sotto il Sud dello squilibrato a Graz
Si intravede una scarpa sotto il Sud dello squilibrato a Graz

Schuetzenhoefer si è detto “scioccato, colpito e sconvolto” dall’episodio avvenuto stamane nel centro del capoluogo Graz, che ha provocato la strage.

Una delle vittime a terra dopo l'incidente Il giovane guidava alla velocità di oltre 100 chilometri orari. Una andatura che in una via cittadina sembra di percepire come un bolide di formula a 250 km h. L’impatto è stato così violento da far sbalzare le persone da terra.

Sul posto si sono recate subito una sessantina di ambulanze, cinque elicotteri, una ventina di sanitari del pronto intervento e medici che hanno soccorso i passanti coinvolti nella folle corsa del suv. Sul posto è stata approntata anche una unità di crisi.

La mappa di Graz“Non c’è una spiegazione, non ci sono scuse”, ha detto il cancelliere austriaco Werner Faymann che si è detto profondamente scosso dall’incidente”.

Il pluriomicida al volante del Suv sarebbe affetto da disturbi pischici. “Si tratta di una psicosi con risvolti familiari”, ha detto il capo della polizia regionale, Josef Klamminger, durante una conferenza stampa convocata subito dopo la strage.

Feriti vengono trasportati in ospedale
Feriti vengono trasportati in ospedale

Il conducente è stato arrestato. Si tratta di 26enne austriaco di origine bosniaca con un passato non proprio pacifico. Sarebbe uno squilibrato. In casa, hanno riferito, spesso faceva rientro e usava violenza contro moglie e figli. Un uoo dalla personalità disturbata. Dopo aver investito i passanti si è consegnato alla polizia. Tra le vittime un bimbo di 4 anni, una ragazza di 24 e un giovane di 28.

Intanto la tranquilla città di Graz è sotto choc per la terribile strage provocata da un folle in preda ai suoi problemi pischici.

 

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