8 Ottobre 2024

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Grecia, la forza di Tsipras: "Referendum". Troika teme emulazione Ue.

Alexis Tsipras indice un referendum in Grecia
Il premier greco Alexis Tsipras

Sarà referendum in Grecia. La troika non molla la presa su Atene. Dopo settimane di stallo e mezzi accordi, Alexis Tsipras ha annunciato che si sono rotte tutte le intese con l’Eurogruppo. In parlamento ha annunciato che i greci saranno chiamati domenica 5 luglio a votare il referendum sulla proposta dei creditori. “Votate no”.

Il premier ellenico ha dichiarato di essere stato costretto a indire il referendum in Grecia perché i partner dell’Eurogruppo hanno presentato un ultimatum che è contro i valori europei per cui “siamo obbligati a rispondere sentendo la volontà del popolo sovrano”. Di fronte alle “minacce” della troika che parla di “default” lui risponde sereno: “Sopravviviamo comunque”.

TSIPRAS: “CHIAMO IL POPOLO SOVRANO. CI HANNO CHIESTO SACRIFICI INSOPPORTABILI”
Il Premier: Referendum in Grecia: “Ci hanno chiesto di accettare pesi insopportabili che avrebbero aggravato la situazione del mercato del lavoro e aumentato le tasse”, ha detto Tsipras. Per il premier l’obiettivo di alcuni dei partner Ue è “l’umiliazione dell’intero popolo greco”. Tsipras ha aggiunto che chiederà “un’estensione di pochi giorni del programma di salvataggio della troika (Bce-Ue-Fmi), che scade il 30 giugno, per poter arrivare senza problemi a tenere il referendum del 5 luglio”. Il capo del governo greco ha stigmatizzato che le “proposte (dell’Eurogruppo), che chiaramente violano i trattati europei e il diritto base al lavoro, all’eguaglianza e alla dignità dimostrano il proposito che alcuni dei partner e delle istituzioni non vogliono un accordo fattibile per tute le parti, ma la possibilità di umiliare un intero popolo”.

I RICATTI DELLA TROIKA CHE TEME EFFETTI EMULATIVI. “LA VOLONTA’ POPOLARE NON VALE NULLA” 
Le pressioni della troika sulla Grecia sono cominciate all’indomani delle elezioni vinte da Alexis Tsipras, consultazioni vinte con la promessa che metteva fine alle politiche di austerity Ue che hanno fatto piombare la Grecia nel caos e in una delle crisi più gravi della sua storia. Pressioni spinte dal timore che la “resistenza greca”, se fruttuosa, possa avere effetti moltiplicatori, cioè indurre altri paesi forti della volontà popolare, a compiere analoghe scelte. Da qui il tira e molla della troika, fatto anche di ricatti, per costringere Atene e altri paesi a passare sotto le maglie del triangolo centro europeo. In sostanza, è il messaggio di Ue Bce e Fmi, qualsiasi volontà popolare contraria alle nostre politiche sarà vana e inutile. Con il Referendum in Grecia sarà invece nuovamente il popolo sovrano a giudicare e decidere se restare nell’euro o tornare alla dracma.

EFFETTI A CATENA E LE “INTIMIDAZIONI” DELLA TROIKA
La troika teme un inarrestabile effetto a catena che metterebbe in crisi serissima il sistema di potere e controllo finanziario sui paesi membri. “Se perdiamo Atene, perderemo la Spagna di Podemos, la Polonia di Duda e tantissimi altri paesi”, è il loro ragionamento. Sara la fine dell’Ue e del disegno economico e finanziario della troika, di conseguenza dei trattati internazionali varati da politici influenzati (e molto spesso corrotti) senza che vi sia mai stata una consultazione popolare chiara e trasparente. Referendum da cui gli oligarchi finanziari temevano ferme bocciature.

DRAGHI: “COMPRENDO LA VOLONTA’ REFERENDARIA” 
Tornando agli sviluppi di oggi, il capo negoziatore greco, Euclides Tsakalotos, ha annunciato che Tsipras ha parlato con il presidente della Bce Mario Draghi il quale – secondo Tsakalotos – “ha dimostrato comprensione per la scelta del referendum indetto il 5 luglio sul piano dei creditori”. Nonostante la mossa a sorpresa, Bruxelles ha confermato l’appuntamento dei ministri delle Finanze dell’Eurogruppo. L’Euro Working Group, l’organismo tecnico presieduto da Thomas Wieser e al quale partecipano i direttori del Tesoro dei 19 paesi della moneta unica, si è subito messo al lavoro il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem si è già detto sorpreso negativamente dalla scelta di Atene.

BRUXELLES PREOCCUPATA 
“E’ una situazione molto triste – ha detto Dijsselbloem prima dell’inizio della riunione straordinaria, la quarta della settimana – perchéè abbiamo lasciato la porta aperta alla Grecia. Oggi – ha aggiunto – discuteremo anche con il ministro greco delle conseguenze che potranno esserci”, sebbene questo per il governo greco sembra più un tentativo di dissuasione che altro, in quanto nessuno ha finora spiegato quali “drammatici effetti” potranno esserci se Tsipras uscisse “vincitore” da questo braccio di ferro.

FMI RICORDA ACCORDI “POSITIVI” CON IRLANDA E PORTOGALLO, IGNORANDO EFFETTI DEVASTANTI PER IL FUTURO. 
Fondo monetario, Bce e Commissione europea “sono uniti” e hanno sempre dimostrato “flessibilità” nel negoziato con la Grecia, con l’obiettivo della stabilità finanziaria, ha ribadito il direttore generale del Fmi Christine Lagarde prima dell’Eurogruppo a Bruxelles, ricordando il “successo” dei casi Irlanda e Portogallo. Progetti finanziari stabiliti dalla troika, va detto, i cui effetti devastanti i popoli di quei paesi li sentiranno tra qualche anno.

IL FALLIMENTO DEL PROGETTO UE. EUROPA A CRESCITA ZERO E DISOCCUPAZIONE ALLE STELLE
Lagarde sostiene che da un lato Atene deve fare “riforme strutturali importanti e consolidare il bilancio per consentire crescita e creazione di occupazione, dall’altro i partner europei devono dare sostegno finanziario e agire sul debito”, ha detto Lagarde dimenticando di dire che l’unico paese in grado di “dare sostegno” è il paese che detiene la maggioranza di azioni in questa Ue: la Germania. Una teoria che finora ha portato al collasso l’Ue, con crescita zero e disoccupazione alle stelle con gli stati membri imbrigliati da regole stabilite di pochi oligarchi finanziari. Da parte sua il commissario Ue agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici ha sottolineato che “la posizione della Commissione europea – ha detto – è sempre stata chiara: vogliamo mantenere la Grecia nell’Euro e per questo abbiamo sempre lavorato”.

STAMPA DI REGIME TRASMETTE CODE A BANCOMAT GRECI PER CREARE PANICO. MA IL VERO BANCOMAT E’ QUELLO UE DOVE ATTINGONO BANCHIERI E APPARATI FINANZARI.
Su molti media di regime appaiono le immagini di greci in coda ai bancomat a prelevare contante. In vista del referendum della Grecia è forte il tentativo di influenzare negativamente la popolazione di un paese che secondo i burocrati e tecnocrati Ue rischierebbe un presunto default finanziario. Le stesse cose avevano detto prima di entrare nell’euro, che la moneta unica sarebbe stata utile a tutti e tutti sarebbero stati meglio. Non è stato così.

La Gran Bretagna, ad esempio è nell’Ue ma non ha voluto adottare l’euro (sebbene abbia quote azionarie nella Bce, che come le vecchie banche centrali è un istituto privato). Altri paesi la stessa cosa. Non sembra si vedano in giro a chiedere l’elemosina. Le pressioni saranno ancora più forti nei prossimi giorni con sondaggi a sfavore. Ma sarà sempre la volontà popolare a prevalere sulle posizioni di un manipolo di faccedieri corrotti e finanzieri senza scrupoli che utilizzano l’Europa come il vero Bancomat Ue per i propri interessi personali.

Tunisia, Essid chiude 80 moschee. Molte le vittime inglesi. Paese teme crollo turismo

Il premier della Tunisia Habib Essid
Il premier della Tunisia Habib Essid

A ventiquattrore dal brutale attacco in Tunisia, dove un terrorista dell’Isis ha trucidato 38 turisti sulla spiaggia di Sousse, arriva la prima reazione del primo ministro Habib Essid che ha annunciato un giro di vite sulla sicurezza.

CHIUSE 80 MOSCHEE DOVE SI INCITA ALL’ODIO
Essid ha riferito che saranno chiuse circa ottanta moschee ritenute centri di culto dove “si predica l’odio e si incita alla violenza”. Fuori ogni controllo da parte delle autorità tunisine. Essid ha anche promesso di agire contro i partiti i gruppi “che agiscono fuori della Costituzione”.

ESSID: “PAESE E’ IN PERICOLO”
“Il paese è in pericolo, il governo è in pericolo”, ha detto ancora Essid chiamando tutti a dare un forte contributo: “Senza la collaborazione di tutti, e una dimostrazione di unità, non possiamo vincere questa guerra”, contro l’Isis e il califfato

Un turista depone dei fiori su una sdraio dove è stato ucciso un uomo
Un turista depone dei fiori su una sdraio dove è stato ucciso un uomo

Il premier ha anche sottolineato che i riservisti dell’esercito sarebbero stati distribuiti nei siti archeologici e nei resort, luoghi affollati di turisti stranieri. “Tutte le moschee chiuderanno entro una settimana”, ha assicurato Essid in una conferenza stampa a Tunisi. Alcune di queste “continuano a diffondere la loro propaganda di odio e veleno e a promuovere il terrorismo”.

Qualche polemica circa la sicurezza è stata avanzata da qualche esponente politico locale e da molti cittadini che si chiedno come mai le misure di sicurezza invocate oggi dal premier non siano state attuate già da marzo, dalla strage al museo del Bardo.

Secondo le autorità tuisine la maggior parte delle vittime nell’attacco terroristico di ieri sulla spiaggia di Sousse erano cittadini britannici.

ECCO IL CARNEFICE CHE HA UCCISO I TURISTI
L’uomo armato è stato ucciso. E ‘stato identificato come Seifeddine Rezgui, uno studente incensurato e non precedentemente noto alle autorità, hanno detto i funzionari.

L'attentatore di Sousse in Tunisia Seifeddine Rezgui. Sotto mentre viene ripreso sulla spiaggia con le armi.
L’attentatore di Sousse in Tunisia Seifeddine Rezgui. In basso mentre viene ripreso sulla spiaggia con le armi.

Un insospettabile che frequentava una delle moschee chiuse da Hessid. Le autorità sono state comunque oggetto di critiche sul fatto di non aver monitorato prima i centri religiosi dopo il Bardo.

Otto britannici, un belga e un tedesco sono al momento le vittime identificate. C’è anche un cittadino irlandese tra i 38 morti. In un primo momento si è pensato che tra le vittime ci fossero anche tunisini e francesi. Per ora non ci sono conferme. Almeno 36 persone sono rimaste ferite.

La mappa dell'attacco jiadhista di venersi 26 giugno 2015
La mappa dell’attacco jiadhista di venersi 26 giugno 2015

Quello di Sousse è stato il secondo più grande attacco contro turisti in Tunisia da marzo, quando i miliziani del Califfato hanno ucciso 22 persone, per lo più stranieri, al Museo del Bardo a Tunisi.

Molti turisti alloggiati negli alberghi colpiti stanno già lasciando il paese o sono in attesa per i voli organizzati. Altri invece proseguiranno il loro soggiorno come da programma. sono state molte del disdette verso le mete del nord Africa, Tunisia in particolare.

In coda per lasciare la Tunisia
In coda in aeroporto per lasciare la Tunisia

Il più grosso dei problemi per il governo della Tunisia è ora come riacquistare credibilità sul piano dell’attrazione turistica dopo due violentissimi attacchi terroristici. L’industria del turismo è una delle più proficue fonti di reddito del paese.

Secondo il ministero del turismo, nel 2014 sono giunti nel paese a trascorrere le vacanze 6,1 milioni di turisti, gran parte dei quali occidentali. Il comparto vale il 15,2% Pil nazionale , mentre i lavoratori nel settore è di 473.000 unità, il 13,8% del totale degli occupati.

Milano, ore di attesa per l'Apple Watch. Da ieri in Italia

Apple Watch, da 27 giugno in vendita in ItaliaMILANO – L’Apple Watch è in Italia. Diverse decine di persone sono già in coda all’Apple store del centro commerciale il Fiordaliso a Rozzano, alle porte di Milano, per acquistare l’Apple watch.

Ore di attesa per portarsi a casa l’ultimo prodotto di Cupertino che ha rivoluzionato la concezione dell’orologio.

L’orologio “intelligente” della casa californiana è in vendita da oggi anche in Italia a partire da 419 euro. Un prezzo un po’ più caro rispetto al resto d’Europa, ma solo perché il fisco del Belpaese “pesa” di più. Già prima che il negozio aprisse, alle 9, si era creata una lunga coda. La Apple ha previsto tre diverse versioni per il suo “smartwatch”, per andare incontro alle diverse esigenze dei consumatori: l’Apple watch sport, adatto al fitness e all’attività sportiva; l’Apple watch, la versione da passeggio; l’Apple watch edition, con scocca in oro e finiture pregiate.

Oltre che in Italia, da oggi lo smartwatch è in vendita in Messico, Spagna, Corea del Sud, Singapore, Svizzera e Taiwan. Mentre già da aprile erano partite le vendite sui mercati di Usa, Australia, Canada, Cina, Francia, Germania, Hong Kong, Giappone e Regno Unito. Per ritirare l’Apple watch in negozio era obbligatorio prenotarlo online. Il primo ad aggiudicarselo, al Fiordaliso di Rozzano, è stato Marco, 39 anni, in coda dalle 2.30 di questa notte.

“Ho preso il modello base. Non porto l’orologio da 15 anni. “Proviamo, mi sono detto, ‘se ne prenderò uno prenderò quello di Apple che è l’orologio del futuro'”, ha raccontato. Subito dopo è stato il turno di Ilario, 26 anni: “L’ho preso perché è un accessorio utile per l’iPhone. Sono un appassionato di tecnologia e ritengo la Apple un’ottima marca”.

Altro attacco Isis a turisti in Tunisia: 38 morti. Kamikaze in Kuwait e Somalia, mentre l’Onu dorme

L'attacco dell'Isis sulla spiaggia di Sousse in Tunisia
L’attacco dell’Isis sulla spiaggia di Sousse in Tunisia

Un attacco concentrico di terrore senza pietà. Sono sempre loro, i terroristi islamici dell’Isis o le milizie islamiche somale di al- Shabaab.

Vittime innocenti, turisti occidentali in mete non esclusive ma modeste oppure musulmani che non aderiscono al loro disegno criminale. Dopo l’attacco di stamane in Francia, in giornata altri tre attentati di massa: uno in Kuwait, l’altro in Tunisia, l’altro ancora in Somalia. Tutto accade sotto lo sguardo esamine delle Nazioni Unite, un organismo elefantiaco che sembra peggio dell’Ue in tema di decisioni. E il Califfato coi suoi affiliati commette i suoi crimini efferati in modo indisturbato.

ATTACCO AI TURISTI A SOUSSE: 37 MORTI
A Sousse, sulla costa centro-orientale, almeno due terroristi hanno attaccato due alberghi frequentati soprattutto da turisti europei: si parla di almeno 37 vittime, tra cui diversi turisti e l’attentatore. Secondo le autorità, l’assalto è stato condotto da almeno due terroristi, uno dei quali, armato di kalashnikov, che è stato ucciso dalle forze di polizia in uno scontro a fuoco avvenuto sulla spiaggia.L’altro è stato catturato poco dopo. Gli hotel finiti nel mirino sono l’Hotel Riu Imperial e il Port el Kantaoui. I terroristi sono arrivati sulla spiaggia su un gommone.

GUARDA IL  VIDEO DELL’ORRORE DELL’ISIS  »» Qui il post

I turisti terrorizzati hanno raccontato di essersi barricati per sfuggire alla furia jihadista. L’attacco sarebbe di matrice jihadista secondo la polizia. Già nei giorni scorsi lo Stato islamico aveva lanciato un appello ad aumentare gli attentati nel mese di Ramadan, e oggi che è il secondo venerdi l’azione si è quadruplicata con la barbarie in Francia, Kuwait e Somalia.

Il ministero dell’Interno tunisino conferma che i morti sono soprattutto turisti che sono in via di identificazione, anche se le radio locali affermano che le vittime sono soprattutto tedesche e britanniche. La zona, infatti, è molto frequentata da turisti provenienti dalla Gran Bretagna.

Su Instagram sono comparse subito alcune foto di un uomo fra i 60 e i 70 anni, in costume da bagno, che giace in una pozza di sangue sulla spiaggia. Ma vi sono altre foto che testimoniano la carneficina a opera dei criminali islamici.
David Schofield, in vacanza nel resort, ha raccontato di aver udito “una forte esplosione” mentre si trovava a bordo piscina. A quel punto, gli ospiti della struttura hanno cominciato a fuggire verso l’hotel. “Dicevano che c’erano uomini sulla spiaggia che sparavano. Non sapevamo cosa fare”, ha riferito. Il bilancio drammatico della strage di Sousse è a momento di 37 morti e alcuni feriti.

attacco alla Mosche a Kuwait city
Feriti nella strage alla Moschea shiita di Kuwait City

KUWAIT CITY, KAMIKAZE IN MOSCHEA: 13 MORTI
L’altro attentato contro una moschea sciita a Kuwait City al Imam al Sadiq, durante la preghiera del venerdì, dove sono state uccise 13 persone. L’attentato kamikaze è stato rivendicato dall’Isis. Secondo quanto riferiscono testimoni oculari all’inviato dell’emittente televisiva panaraba al Jazeera, un uomo è entrato nella moschea con indosso una cintura esplosiva e si è fatto saltare in aria al grido di “Allah è grande”.

Attacco kamikaze di al-Shabaabin Somalia
Attacco kamikaze di al-Shabaabin Somalia

AUTOBOMBA DI AL-SHABAAB FA STRAGE IN SOMALIA: 30 MORTI 
Trenta persone sono morte in un attentato kamikaze contro una base militare dell’Unione africana nel sud della Somalia. A rivendicare l’attacco, compiuto con un’autobomba, sono stati miliziani somali di al-Shabaab. L’Amisom, la missione dell’Unione africana in Somalia ha confermato su Twitter di aver subito l’attacco, ma non ha fornito ulteriori dettagli.

L’attacco è iniziato con un attentato kamikaze all’ingresso della base militare, seguito poi dall’assalto di decine di combattenti con mitragliatrici e lanciagranate. I miliziani somali di al-Shabaab avevano annunciato che, durante il mese sacro di Ramadan, avrebbero intensificato gli attacchi contro i militari e il governo di Mogadiscio.

 

Francia, esplosione in fabbrica. Un dipendente decapita il titolare e sventola drappi dell'Isis

mappa Francia Europa Lione Saint-Quentin-Fallavier - attacco terroristico in FranciaSaint-Quentin-Fallavier (Francia) – Un uomo con in mano dei drappi neri dell’Isis ha fatto irruzione un impianto di gas industriale a Saint-Quentin-Fallavier e ha aperto bombole di gas provocando una forte esplosione. Poco dopo all’interno del complesso industriale è stato ritrovato un corpo decapitato sulla recinzione l’impianto con vicino scritte in arabo. Vi sarebbero anche alcuni feriti in seguito all’esplosione.

FERMATO UNO DEGLI ATTENTATORI. AVEVA DRAPPI DELL’ISIS
L’attacco è avvenuto poco prima delle 10 di mattina a Saint-Quentin-Fallavier, a 30km chilometri da Lione nel dipartimento dell’Isère. Il presunto attentatore è stato tratto in arresto e si è qualificato come un uomo dell’Isis, mostrando appunto i drappi islamisti in mano. Solo alle 12:30 il presidente Hollande ha detto che l’uomo è stato identificato.

Si tratta di un dipendente dell’ impianto di gas industriale Air Products, a Saint-Quentin-Fallavier, nel dipartimento dell’Isère. Il suo nome è Yassin Salhi, già noto alle forze di sicurezza francesi. E’ stato catturato mentre mostrava una bandiera dell’Isis. Il presunto assassino ha ucciso il suo datore di lavoro e lo ha decapitato.

Anche la moglie di Salhi è stata fermata dalla polizia. Lo riferiscono fonti giudiziarie citate da media francesi, precisando che non ci sono ancora accuse a carico della donna. Oltre alla coppia, la polizia avrebbe fermato un’altra persona.

In mattinata le forze di sicurezza francesi erano sulle tracce di un uomo a bordo di un veicolo che transitava nei pressi della fabbrica prima dell’attentato. L’auto, andava avanti e indietro proprio di fronte l’impianto teatro dell’attentato. Lo scrive il sito del quotidiano francese Le Daphine. Secondo una fonte dei servizi segreti, “c’erano segnali nelle ultime settimane di un possibile attentato di questa natura sul territorio nazionale”.

Polizia davanti alla fabrica
Polizia davanti alla fabrica

MINISTRO DELL’INTERNO SUL POSTO
Sul luogo dell’attentato, si stanno recando il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve e anche il ministro degli Esteri, Laurent Fabius. Sul posto c’è già il prefetto del dipartimento d’Isere. I dipendenti dell’impianto, sotto choc, sono stati trasferiti in una palestra in un comune vicino.

FRANCIA SOTTO CHOC DOPO CHARLIE HEBDO
La Francia è sotto choc. L’attentato di stamane è stato compiuto a nemmeno quattro mesi dall’attacco alla redazione di Charlie Ebdo dove furono trucidate 13 persone dai terroristi islamici.

HOLLANDE RIENTRA DA BRUXELLES PER SEGUIRE SVILUPPI
Il presidente francese, Francois Hollande, rientrarà nel primo pomeriggio a Parigi, per seguire personalmente dall’Eliseo gli sviluppi dopo l’attentato di stampo jihadista nel dipartimento dell’Isere. Lo rende noto l’Eliseo. Hollande sta partecipando al summit europeo di Bruxelles (dove ha appena visto il premier greco Alexis Tsipras, insieme al cancelliere tedesco Angela Merhel, sulla crisi greca). ma rimane in contatto permanente con il ministro dell’interno,. Bernard Cazeneuve e i servizi segreti.

La fabbrica dove è avvenuto l'attentato jiadhista
La fabbrica francese dove è avvenuto l’attentato jiadhista

GOVERNO: “MATRICE JIHADISTA”
Gli inquirenti sembrano non avere dubbi che la matrice dell’attacco sia quella terroristica jiadhista, sia perché l’uomo si è rivelato, ma anche per le modalità di esecuzione dell’uomo decapitato.

Ne è convinto il presidente francese Hollande che ha detto: che si tratta di “un attentato di natura terroristica: lo testimonia un’iscrizione trovata sul corpo della vittima. Non abbiamo dubbi che volessero far saltare l’intero complesso industriale”.

 

Migranti, accordicchio dell'Ue. 40mila profughi in due anni. Ma nessuno affronta la causa Libia

vertice ue migranti renzi cameron merkel hollande gettyBRUXELLES – Un accordicchio potremmo definirlo quello raggiunto stanotte a Bruxelles. Tutti “buonisti”, ma alla fine i profughi nessuno li vorrebbe a casa propria. La mezza intesa, è stata raggiunta alle tre di notte. I capi di Stato e di governo dell’Ue hanno si sono mezzi accordati sulla redistribuzione dei migranti.  “I leader – ha annunciato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk – hanno deciso che 40mila persone saranno redistribuite da Italia e Grecia negli altri Paesi nei prossimi due anni.

I ministri degli Interni finalizzeranno lo schema entro la fine di luglio”. Un piccolo “passo avanti”, ha detto il premier Renzi. Nessuno ha spiegato cosa si farà delle altre centinaia di migliaia di profughi che intanto arriveranno in questi due anni. Poiché il problema si ripresenta. Mentre ne collochi 40mila, dopo due anni saranno 200mila. Ecco perché quello di stanotte non è un accordo di lunga gittata, ma una intesa temporanea per “piazzare” i rifugiati e accontetare in qualche modo l’Italia che pressava su questo punto. Nel vertice nessuno ha affrontato come risolvere il problema alla radice: cosa fare con la Libia da cui partono quotidianamente migliaia di profughi e i migranti economici irregolari (i clandestini, ndr)? L’Ue non sa da dove cominciare e soprattutto come affrontare il problema.  E come sempre il cerino resta in mano all’Italia, paese di frontiera.

40 mila rifugiati spalmati in due anni. Altri 20mila attualmente nei campi profughi fuori dall’Europa saranno ricollocati, per un totale di 60mila persone. All’intesa si è arrivati dopo una serata di negoziati e trattative durante le quali “le emozioni sono state fortissime”, ha raccontato una fonte europea, e gli scontri anche “violenti”, tra chi era fovorevole alle quote e chi invece come Francia, Inghilterra, Ungheria e altri hanno manifestato contrarietà.

Matteo Renzi al termine del vertice Ue
Matteo Renzi al termine del vertice Ue

Al punto che, mentre i toni si facevano più alti e concitati, i leader hanno interrotto le discussioni e hanno chiesto al premier britannico David Cameron di intervenire e di spiegare il suo piano per rinegoziare il rapporto con Bruxelles in vista della permanenza della Gran Bretagna nell’Ue.

Durissimo il premier Matteo Renzi, che ai leader ha detto: “Se non siete d’accordo sui 40mila, non siete degni di chiamarvi Europa. Se questa è la vostra idea di Europa, tenetevela. O c’è la solidarietà o non ci fate perdere tempo”.
Forteèstato lo scontro anche tra Tusk, che insisteva per inserire nelle conclusioni il principio della volontarietà nella redistribuzione dei migranti, e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che ha difeso a spada tratta la sua proposta.

In tarda serata è stata messa sul tavolo una nuova bozza, che però è stata respinta, fino all’approvazione del documento secondo cui i Paesi membri “decideranno per consenso” sulla redistribuzione dei migranti. Da questa potrebbero essere escluse Ungheria e Bulgaria.

L’accordo sulla redistribuzione dei migranti raggiunto nella notte a Bruxelles comunque rappresenta “un primo passo per poter dire che finalmente la politica dell’immigrazione è europea, ma c’è ancora moltissimo da fare” ha detto Renzi, lasciando il palazzo del Consiglio europeo dopo le tre di notte, al termine della prima giornata del vertice.

“Sin dal primo giorno abbiamo detto che poteva essere più ambizioso”, ha ricordato il presidente del Consiglio, ma “è un fatto positivo” che si sia riconosciuto che “il problema non è solo dell’Italia o della Grecia, ma di tutta l’Europa”.

Toccherà adesso a Commissione e Consiglio “decidere quali Paesi e con quali quote” redistribuire i migranti, ha spiegato, ribadendo quanto già detto ai suoi colleghi: “Se di fronte ad un piccolo numero come 40mila richiedenti asilo non ci fosse stata la solidarietà, sarebbe stata una presa in giro nei confronti dell’Europa di cui siamo stati fondatori con altri cinque Paesi con un ideale di libertà, democrazia e di valori condivisi, non è pensabile che l’Europa sia la patria dell’egoismo”.

Ancora, secondo Renzi, l’accordo raggiunto “non è la soluzione del problema, ma la discussione oggi non era sui numeri, ma su un’espressione, la redistribuzione volontaria, e sono molto felice che questa non ci sia nel testo”. “Nei prossimi mesi decideremo la redistribuzione, ma questo è un primo passo”, ha insistito.

Renzi ha anche commentato l’esito della riunione di ieri con regioni e comuni. “Sarebbe inaccettabile – ha rimarcato – se, a fronte di un tentativo da parte del governo di coinvolgere tutti in nome della difesa dell’Italia e degli italiani, ci fosse chi strumentalizza questa battaglia”.

“L’Italia ha il problema dell’immigrazione che va affrontato e gestito sulla base degli impegni che ci siamo presi anche a livello nazionale – ha ricordato Renzi – Ci sono tutte le condizioni per non trasformare questo problema in un dramma. E per questo nei prossimi 15 giorni ci rivedremo con le regioni e con i comuni”. “Ovviamente c’è chi preferisce fare polemica, ma dal mio punto di vista l’obiettivo è di cercare di dare una mano all’Italia e agli italiani”, ha sottolineato il presidente del Consiglio italiano.

Rimborsopoli, blitz in Calabria. Arrestato l'assessore Pd De Gaetano e Fedele ex Pdl. Richiesta d'arresto al Senato per Bilardi (Ncd)

La Giunta della Regione Calabria - Da sinistra De Gaetano, Guccione, Oliverio e Ciconte - Tre sono indagati nell'inchiesta rimborsopoli
La Giunta della Regione Calabria – Da sinistra De Gaetano, Guccione, Oliverio e Ciconte

REGGIO CALABRIA – Rimborsopolibufera giudiziaria sulla Regione Calabria. E’ di 3 arresti domiciliari e 5 divieti di dimora il bilancio dell’operazione “Erga Omnes” condotta dalla Guardia di Finanza sotto il coordinamento della Procura di Reggio Calabria sui falsi rimborsi a palazzo Campanella negli ultimi anni. Le indagini si concentrano sulla gestione dei fondi destinati ai gruppi consiliari regionali negli anni 2010/2011/2012.

Ai domiciliari sono finiti l’attuale assessore regionale calabrese ai trasporti e lavori pubblici, Nino De Gaetano (Pd), l’ex presidente del Consiglio regionale Luigi Fedele (Ncd) mentre è stata avanzata a palazzo Madama una richiesta di arresto per il senatore Ncd, Giovanni Bilardi, ex consigliere regionale della Calabria nella nona legislatura, quella nel mirino della procura. Le accuse sono di peculato e falso.

Il gip oltre alle 3 ordinanze di custodia cautelare, ha emesso cinque ordinanze di divieto di dimora in Calabria, tra cui quattro politici: Nicola Adamo (ex capogruppo del Pd nella scorsa legislatura); Alfonso Dattolo (ex assessore regionale all’Urbanistica, Udc); Pasquale Tripodi (ex consigliere regionale Udc) e Giovanni Nucera (FI).

Da sinistra De Gaetano, Fedele e Bilardi
Da sinistra i tre politici Giunta nel mirino della procura di Reggio Calabria De Gaetano, Fedele e Bilardi

In tutto sono 31 le persone indagate a vario titolo, tra cui anche l’attuale presidente del Consiglio regionale Antonio Scalzo e, fra gli altri, l’attuale assessore al Lavoro Carlo Guccione e il vicepresidente della giunta Oliverio, Enzo Ciconte. A Guccione e Ciconte sono stati sequestrati rispettivamente 26mila euro e 69mila euro.

Indagati cinque parlamentari calabresi, tutti ex consiglieri regionali nella nona legislatura: Oltre a Bilardi, su cui pende una richiesta di arresto gli altri sono Pietro Aiello (Ncd), Demetrio Battaglia (Pd) Ferdinando Aiello (Pd) e Bruno Censore (Pd). I politici sono tutti destinatari di decreti di sequestro di presunti fondi provenienti dai rimborsi.

L’inchiesta nasce nel 2010, su una denuncia dell’ex consigliere regionale Aurelio Chizzoniti che mise nei guai gli ex suoi colleghi Antonio Rappoccio e il suo ex capogruppo, Giulio Serra, di “”Insieme per la Calabria”, entrambi rinviati a giudizio dalla Procura generale di Reggio Calabria per presunta truffa e peculato. Poi l’inchiesta si è allargata a macchia d’olio in concomitanza con gli scandali “rimborsopoli” registrati in molti consigli regionali d’Italia. Dopo i casi Serra e Rappoccio, la Gdf comincia a fare perquisizioni anche nell’astronave calabrese acquisendo in tutti i gruppi consiliari fascicoli, documenti e fatture in merito ai rimborsi delle aggregazioni consiliari.

Le Fiamme gialle scopriranno che molti degli arrestati e indagati attingevano ai fondi dei gruppi per presunti interessi personali. Secondo l’accusa, le persone sotto inchiesta avrebbero acquistato bene e servizi che nulla avevano a che fare con la mission istituzionale dei gruppi: dal pagamento di cartelle di Equitalia, all’acquisto di gratta e vinci, a viaggi personali, a televisori, cambio, pneumatici, leasing di auto e tanto altro, tra cui anche semplici caffé e gomme da masticare.

DE GAETANO: “MI DIMETTO DA ASSESSORE E DA PD”
L’assessore De Gaetano, ha fatto sapere di esserci già dimesso da assessore regionale e autosospeso dallo stesso Partito democratico, soggetto in cui approdò da Rifondazione comunista. Nella giunta Loiero ricoprì l’incarico di assessore al Lavoro.

IL GIP: SISTEMA “ISPIRATO A UN ESERCIZIO TRACOTANTE DEL POTERE”
L’inchiesta della procura reggina “Erga Omnes” sulla Rimborsopoli calabrese ha fatto emergere “una gestione gravemente omissiva in punto di controlli successivi sui titoli di spesa, sia nel caso di anticipazione di fondi che di riconoscimento postumo della legittimità della spesa mediante rimborso, deliberatamente funzionale a rendere possibile, perpetuandolo, un sistema di utilizzazione di fondi pubblici a destinazione vincolata, secondo schemi collaudati nel nostro Paese, ispirato a un esercizio tracotante del potere, che tradisce anche sicurezza di impunità”.

E’ quanto scrive nel provvedimento di 850 pagine il Gip del tribunale di Reggio Calabria Olga Tarzia.
“L’omesso controllo dei capi gruppo – aggiunge – era deliberatamente ispirato a una logica di compiacente e colpevole condivisione di certi metodi di sfruttamento parassitario di cospicue disponibilità finanziarie di natura pubblica che, senza alcun pudore, ma semmai con spregiuducato disprezzo delle regole, sono state utilizzate per finanziare spese personalissime con una scandalosa tracotanza, mentre le funzioni legislative e quindi costituzionali esercitate avrebbero dovuto ricordare agli odierni indagati, in ogni momento, che la vita pubblica esige rigore e correttezza, tanto più che si tratta di soggetti che possono contare su cospicue indennità di funzione che ne assicurano indipendenza e prestigio sociale”.

LA POLEMICA DE GAETANO LANZETTA OLIVERIO
L’esponente politico era già entrato in una violento alterco politico in gennaio, quando l’attuale governatore Mario Oliverio decise di nominarlo assessore, nonostante De Gaetano , pur non essendo indagato, venne citato in una informativa della polizia nell’ambito di una inchiesta che portò alla sbarra il presunto clan mafioso Tegano di Reggio Calabria. Lo scontro è avvenuto con la dimissionaria ministra degli affari regionali Maria Carmela Lanzetta. “Licenziata” senza tanti complimenti da ministro,  venne “dirottata” da Matteo Renzi (d’intesa con Oliverio), a fare l’assessore in Calabria. Lei con un comunicato accettò “l’incarico prestigioso”.

LA PARABOLA DI DE GAETANO, CITATO PER MAFIA MA ARRESTATO PER RIMBORSI FALSI
Dopo qualche ora, prima con una nota di palazzo Chigi attribuita a Graziano Delrio, poi con una personale di Lanzetta, venne sancita “l’incompatibilità” dell’ex ministro con la presenza di Antonino De Gaetano nella giunta Oliverio, i cui contorni erano poco chiari in merito all’inchiesta per mafia. Lei tornò a fare la farmacista e lui fece l’assessore.  La parabola è che a distanza di cinque mesi De Gaetano viene arrestato, ma non nell’inchiesta per mafia, da cui risulta estraneo, bensì perché avrebbe speso oltre 400mila euro di fondi del suo gruppo Federazione della sinistra nella scorsa legislatura.

Estraneo il governatore della regione Mario Oliverio. All’epoca dei fatti non era consigliere regionale. Per lui si annunciano comunque ore e giorni difficili.

Il blitz di stamane, mette in bilico l’assetto politico della giunta regionale targata Oliverio. Il governatore è estraneo all’inchiesta, ma la sua maggioranza potrebbe subire pesanti contraccolpi politici. Le critiche maggiori potrebbero venire proprio dal suo partito che già gli rimproveravano di aver cominciato con “passo lento” la legislatura. Oliverio ha nominato finora 3 assessori su 7: allo stato attuale uno dei tre è arrestato e gli altri due sono indagati. Dei restanti 4 ne ha annunciato la nomina a luglio, ossia a sette mesi dalla proclamazione e a oltre tre dalla seconda lettura dello statuto regionale. In serata è arrivato l’annuncio dell’assessore al Bilancio Ciconte di “rimettere nelle mani di Oliverio le deleghe”. Nelle ultime ore sono circolate voci sull’ipotesi che il presidente Oliverio possa procedere ad un azzeramento totale della giunta per presentarne una nuova di zecca agli inizi di luglio. Secondo lo statuto, il governatore può procedere alla nomina anche di soli assessori esterni. In tutto sette.

LEGISLATURA MINATA DALLA GIUSTIZIA E DALLA CONSULTA
Una legislatura, questa, che è minata oltre che dalle indagini giudiziarie anche dalla Consulta per il caso dell’esclusione di Wanda Ferro, competitor diretta di Oliverio alle regionali dello scorso novembre. Dopo il ricorso dell’esponente di Forza Italia al Tar della Calabria, che si è espresso rimandando il caso da dirimere alla Corte Costituzionale, non è escluso che la Suprema Corte arrivi ad annullare addirittura le elezioni per via di una legge elettorale varata (a settembre 2014) da un consiglio in prorogatio dopo le dimissioni dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti. Una legge elettorale ritenuta “illegittima” e varata da un Consiglio politicamente pasticcione, come si rivelò quello della nona legislatura e come ha certificato il tribunale amministrativo calabrese nel ritenere che quella legge non poteva essere approvata da un consiglio preposto alla sola ordinaria amministrazione.

Si del Senato al maxiemendamento di Riforma della Scuola

I ministri Boschi e Giannini al Senato per la Riforma della Scuola
I ministri Boschi e Giannini al Senato

La Riforma della Scuola viene approvata al Senato – Il governo incassa dall’aula di palazzo Madama la fiducia sul maxiemendamento che sostituisce interamente il Ddl di riforma della scuola con 159 sì, 112 no e nessun astenuto.

“Ce l’abbiamo fatta” commenta la ministra Stefania Giannini in un  messaggio inviato al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, appena uscita dall’aula del Senato che aveva approvato la fiducia sulla riforma della scuola.

Quattro i senatori del Partito democratico che non hanno partecipato al voto: Corradino Mineo, Walter Tocci, Roberto Ruta e Felice Casson, quest’ultimo assente. Tra le proteste ora il provvedimento passa alla Camera dove è atteso in aula il 7 luglio prossimo.

Riforma della Scuola. Abbraccio liberatorio tra Faraone e Giannini
Riforma della Scuola. Abbraccio liberatorio tra Faraone e Giannini

A porre la fiducia sul maxiemendamento era stata la ministra per i Rapporti con il Parlamento e le Riforme Maria Elena Boschi ha posto la questione di fiducia su un maxiemendamento al disegno di legge di riforma della scuola, intervenendo nell’assemblea del Senato. Il presidente Pietro Grasso ha quindi sospeso l’assemblea e convocato immediatamente la conferenza dei capigruppo, che deciderà i tempi delle votazioni in aula.

Il maxiemendamento del Governo dovrebbe ricalcare la proposta di sintesi che era stata presentata dai relatori, Francesca Puglisi del Pd e Franco Conte di Ap, in commissione Istruzione al Senato. Il testo sarebbe frutto di un lavoro di sintesi degli oltre 2mila emendamenti presentati in commissione da tutte le forze parlamentari, comprese le opposizioni.

SCARICA IL MAXIEMENDAMENTO APPROVATO AL SENATO

La giornata. Appena la ministra Maria Elena Boschi ha posto nell’aula del Senato la questione di fiducia, i senatori del Movimento 5 Stelle hanno protestato con un’azione simbolica che metteva in scena il funerale della scuola pubblica. I parlamentari pentastellati hanno acceso dei lumini elettrici, simbolo usato anche dagli insegnanti nei flash mob e nelle proteste, proprio in segno di solidarietà con gli insegnanti e di continuità con il loro messaggio.

“Oggi è un giorno di lutto. Renzi uccide la scuola pubblica”. Così Bruno Marton, capogruppo del M5s al Senato. “Il nostro dolore – aggiunge – è il dolore del mondo della scuola”.

Una manifestante incatenata in dissenso per la riforma della Scuola
Una manifestante incatenata in dissenso per la riforma della Scuola (Benvegnù-Guaitoli-lannutti)

Proteste anche da parte della Lega dove i senatori, dopo aver ribadito il loro no, hanno alzato dei fogli con la scritta “Ministro commissariato. Chi comanda??? Faraone!!!”. La parola è poi passata al Movimento 5 Stelle. I senatori pentastellati continuano la protesta di questa mattina che simulava il funerale della scuola pubblica.

Mancano riferimenti a personale Ata
“Nel rinnovato testo di riforma mancano riferimenti al prezioso operato del personale non docente, che permette il regolare funzionamento dei nostri 8.400 istituti autonomi e inspiegabile è la mancanza di 40mila unità di personale Ata, con oltre 36 mesi di servizio svolto, nel piano di 150mila assunzioni, poi ridotte a 100mila”. Lo dice in una nota l’Anief, Associazione nazionale insegnanti e formatori, chiedendo l’autorizzazione di almeno 22.261 immissioni in ruolo specifiche per gli Ata.

Riforma della Scuola . proteste dai banchi del Senato
Proteste dai banchi del Senato

“Come si fa a parlare di rilancio di istruzione pubblica, ignorando una delle parti fondamentali?” domanda il presidente Marcello Pacifico. “Il paradosso – continua – è che ad avviare la causa giudiziaria europea è stata proprio una denuncia per tutelare il personale Ata della scuola: grazie alla conseguente sentenza della Corte di Lussemburgo sull’abuso di precariato, entro 10 mesi il Governo italiano stabilizzerà 150mila docenti dimenticando però, dal piano straordinario di immissioni in ruolo, proprio la categoria da cui era partito il maxi-ricorso”. Eppure, conclude il presidente Anief, “la presenza stabile del personale non docente nella scuola risulta fondamentale, ai fini didattici ed organizzativi, tanto che senza il loro lavoro il nostro sistema di istruzione non potrebbe funzionare”.

Le reazioni
 “Il sì dei senatori del Nuovo centrodestra alla fiducia sul disegno di legge sulla scuola consentirà l’introduzione della cosiddetta ideologia gender nelle scuole italiane”. Lo dice in una nota il senatore Mario Mauro, presidente dei Popolari per l’Italia.

“La discussione generale svoltasi ieri – spiega – ha chiarito in modo inequivocabile che attraverso il comma 16 del maxiemendamento su cui il governo ha posto la fiducia viene introdotta nelle scuole italiane la cosiddetta ideologia del gender contro cui il partito del segretario Alfano si era apparentemente speso nella piazza delFamily Day pochi giorni fa”. “Fin troppo facile prendere in piazza gli applausi di famiglie e militanti cattolici e incassare in Aula il dividendo della subalternità culturale al renzismo e al Partito democratico”, conclude.

“La fiducia era l’ultimo strumento rimasto per accelerare l’approvazione della legge, che è una buona legge. Oggi è una bella giornata per la scuola italiana”. Così Andrea Marcucci, senatore del Pd e presidente della commissione Istruzione del Senato. Ai giornalisti che gli chiedevano delle proteste delle opposizioni, ha risposto: “Evidentemente le opposizioni non hanno letto attentamente il testo proposto dai relatori”. E sulle prossime assunzioni degli insegnanti, ha chiarito: “In termini giuridici saranno tutti assunti entro settembre”.

“E’ una grande riforma di centrodestra che abbiamo approvato governando col centrosinistra”. Così Renato Schifani, capogruppo di Ap al Senato, parlando con i giornalisti in sala stampa. “E’ una grandissima svolta – chiarisce – che il Paese attendeva da tempo”.

“Se la fiducia sul maxi-emendamento al disegno di legge scuola serve a garantire la stabilizzazione di tantissimi insegnanti che vivono da anni il dramma della precarietà, siamo ben disponibili a votarla”. Lo afferma in una nota Angelo Antonio D’Agostino, deputato di Scelta Civica.

“Soprattutto – continua – vogliamo che la scuola assuma finalmente i connotati di un’istituzione moderna, meritocratica, capace di preparare bene i nostri giovani e di inserirli al meglio nel contesto europeo e internazionale. La fiducia, aggiunge D’Agostino, “non è uno strumento che ci piace, così come non ci piace l’ostruzionismo. Preferiamo il confronto parlamentare aperto, anche serrato, purché sia rispettoso dei ruoli di maggioranza e opposizione. Un confronto che – chiude D’Agostino – auspichiamo sia sempre più frequente anche tra le forze di maggioranza”.

“La legge sulla scuola che il Senato sta per approvare ha un indubbio precedente, la riforma di Luigi Berlinguer del 1999. Inutile cercare altre paternità”. Lo dice in una nota la senatrice Laura Cantini della direzione Pd che replica al capogruppo di Ap Renato Schifani.

Fischi in aula-. Fischi e contestazioni invece senatori di Sel, che hanno anche indossato delle magliette con le scritte ‘Stabilizzare tutti i precari’, ‘No alla scuola di classe’ e ‘Libertà di insegnamento’.

La Lega vota contro la fiducia. “La Lega vota contro, vota no a questa fiducia. Non tanto perché è una fiducia che non daremo mai a questo governo, ma a questo provvedimento, che è la vasellina che state dando agli studenti e ai professori italiani”

Sel vota no a fiducia: Ddl crea frattura politica-cittadini”I senatori di Sel voteranno contro la fiducia a questo governo, che era scontata, ma soprattutto contro questo ddl, che riteniamo pessimo e che ancora una volta creerà una grande frattura tra la politica e i cittadini”.

L'Isis avanza. Ecco il video con l'orrore della sua propaganda

Orrore Isis – Avanza con inumana crudeltà la propaganda dell’Isis. Gli uomini del Califfato hanno ucciso in modo orribile sedici persone. E’ successo a Ninive, in Iraq. Uomini prima interrogati, umiliati, vilipesi, torturati e alla fine trucidati con la leggerezza che si ha con i manichini.

Tutto documentato nel video che vi mostriamo con molte scene tagliate per la sua indicibile violenza e crudeltà.
Se ne sconsiglia comunque la visione ad un pubblico non adulto e sensibile.

Una carneficina choccante che va oltre ogni immaginazione. I criminali dell’Isis avevano abituato l’Occidente ai “tagliagole”. Ma qui si va oltre e con mezzi, armi e tecnologie all’avanguardia.

RINCHIUSI IN GABBIA E ANNEGATI IN PISCINA
Cinque di questi uomini condannati a morte, in tuta arancione, sono stati ammanettati rinchiusi in una gabbia di ferro appesa a delle catenee poi calati vivi in una piscina profonda quanto basta per qualche minuto.

Telecamere subacquee piazzate ai bordi della gabbia intanto registravano le enormi sofferenze degli uomini senza via di scampo. Al ritiro della gabbia si vede che i cinque uomini sono morti tutti annegati.

Nella clip ad alta risoluzione, con la celebre bandiera nera dell’organizzazione islamica, si vede un solo “condannato” che respira ancora, ma vicino a lui, c’è un miliziano che controlla che esali l’ultimo dei suoi respiri terreni.

LE ESECUZIONE NEL DESERTO
Altra sei uomini nel deserto iracheno, anche loro in tuta arancione, ammanettati e legati l’uno all’altro con una corda elettrica. Attorno al collo il carnefice ha piazzato microcariche esplosive fatte detonare a distanza. Quasi tutti decapitati. Il cameramen filma i corpi trucidati e le teste mozzate degli “infedeli” con tanto di commenti e sorrisi.

Orrore Isis, Isis Horror - miliziani dell'Isis conducono i prigionieri in auto
Eccoli i terroristi a viso scoperto che conducono all’auto i quattro uomini per poi bruciarli vivi

GLI “INFEDELI” BRUCIATI VIVI 
Nel video di propaganda, che sembra autentico, al di là degli effetti speciali di After effects che pure ci sono, si notano quattro prigionieri accompagnati dai terroristi dell’Isis (o Isil o Daesh) a viso scoperto. Gli “infedeli” vengono rinchiusi in un auto ammanettati al bracciolo di sicurezza posti sulle portiere.

A una decina di metri di distanza un terrorista con un bazooka preme il grilletto e l’auto viene perforata prendendo fuoco. Si odono le urla degli uomini che moriranno bruciati vivi tra mille indicibili sofferenze. Orrore puro.

LA MAPPA DEI TERRORISTI DELL’ISIS

Milano impazzisce per la notte delle Lanterne in Darsena

la notte delle Lanterne in Darsena a Milano
la notte delle Lanterne in Darsena a Milano (Twitter)

MILANO – E’ stato sicuramente un evento riuscito, almeno sul piano mediatico, quello della notte delle Lanterne in Darsena a Milano. Migliaia di persone si sono accalcate sulle cinture murarie dei navigli per assistere allo spettacolo. Almeno cinquantamila persone. Un afflusso non previsto che ha creato enormi disagi. Il day after è stato un po’ polemico. C’è chi parla di flop e c’è invece chi si dice divertito dalla serata organizzata dall’Unione buddhista italiana e da Urbanzen Bpeace.

Gli organizzatori avevano previsto che i partecipanti scrivessero sulla carta biodegrabile delle lanterne un loro pensiero di pace, prima di appoggiarle sull’acqua per illuminare tutto il canale. Così è stato, in parte. Perché intanto la gente era tantissima, oltre ogni aspettativa (si parla appunto di oltre 50 mila persone) e poi non tutti avevano con sé una lanterna. Conclusione: poche lanterne in acqua e tantissima gente.

Che ce ne fosse stata tanta di gente le avvisaglie si erano avute sul canale social della Notte delle Lanterne. Il giorno dopo sulla bacheca Facebook ci sono i numeri che dicono di 82mila persone che hanno partecipato.

la notte delle Lanterne in Darsena a Milano
La gente a bordo Darsena rilascia in acqua le lanterne (Twitter)

Inutile parlare dei disagi al traffico in zona Navigli. La presenza dei vigili è stata si può dire inutile, col comune che aveva ricevuto comunicazione per qualche centinaio di presenze. La questura aveva autorizzato la manifestazione per un 150 persone. Moltissimi automobilisti sono rimasti imbottigliati nel traffico. Trasporti pubblici in tilt così come impossibile era poter comunicare via telefono tanto le linee erano intasate.

Un simpatico fuori programma che ha divertito molto è stato il tutto in acqua di due ragazze (vestite) che ha scatenato la folla.

E’ dovuta intervenire la polizia che le ha prima fatte uscire e poi ha caricato le ragazze sul gommone di servizio per portarle probabilmente al comando. Le ragazze non ci hanno pensato due volte e sono salite a bordo tra gli applausi della gente e i sorrisi dei poliziotti. Flop o non flop, a Milano ancora ne ne parla. Certo è che nemmeno gli organizzatori si aspettavano un afflusso di gente così.

Riforma Scuola, governo pone la fiducia. Dal M5S lumini in aula

Riforma Scuola, governo pone la fiducia. Dal M5S lumini in aula
Una delle foto scattate nell’Aula del Senato dai senatori del M5S, dopo aver posto sui loro banchi lumini rossi da cimitero e un cartello “scuola pubblica riposa in pace” (Ansa/M5S)

ROMA – Sul maxi-emendamento sostitutivo del ddl di riforma Scuola, il governo, tramite il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ha posto la questione di fiducia al Senato.

Il voto, ha stabilito la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama, si terrà intorno alle 16 di oggi, giovedi 25 giugno. Il maxi emendamento si è “reso necessario” dopo che il Ddl scuola era stato approvato il 20 maggio scorso alla Camera dei Deputati.

Intanto c’è polemica. Il maxi emendamento che ingloba tutto il Ddl sulla Scuola, viene respinto oltre che dall’opposizione anche da docenti, precari e studenti che hanno fatto presidi un po’ dappertutto nonostante le assicurazioni di Renzi che una volta approvata la riforma vi saranno “oltre 100mila assunzioni”.

All’alba le organizzazioni sindacali e l’Unione degli Studenti hanno organizzato una serie di blitz al ministero dell’istruzione e in altri luoghi simbolo di Roma, nel giorno del voto di fiducia al Senato sulla riforma della Scuola e annunciano nuove iniziative di lotta a partire dall’avvio del prossimo anno scolastico.

“I presìdi e le manifestazioni sotto la Camera ed il Senato si sono succeduti quasi quotidianamente – precisa una nota dell’Unione degli studenti – con un successo di partecipazione e di consenso arricchito da un confronto costante con i parlamentari che hanno condiviso le ragioni delle iniziative di proposta e di protesta”.

“Il governo tuttavia, pur promettendo tante volte il contrario, si è sottratto ad ogni confronto ponendo la fiducia al Senato e procedendo senza tener conto del netto dissenso della scuola, delle associazioni studentesche, dei genitori, delle organizzazioni sindacali e dello stesso parlamento”.

Lumini rossi sui banchi del M5S al Senato per protestare contro il maxi emendamento scuola
Lumini rossi sui banchi del M5S al Senato per protestare contro il maxi emendamento scuola (Ansa/M5S)

“La democrazia italiana – scrivono – sta subendo una forzatura gravissima ed inaccettabile. Il Governo Renzi vuole imporre con un atto di forza un provvedimento che non ha mai tenuto conto dei bisogni e delle voci del Paese reale”. “Il risultato è una riforma che rischia di accrescere le diseguaglianze già presenti all’interno del sistema nazionale di istruzione, fondata su un modello autocratico e clientelare. Una scuola che insegue la competizione invece di perseguire la cooperazione garantendo eguali opportunità per tutti”.

Intanto al Senato schermaglie del M5S contro il governo: Lumini rossi in segno di lutto
I pentastellati hanno messo sui banchi dell’aula di palazzo Madama dei lumini rossi per “celebrare il funerale della scuola”, dopo avere appreso del del voto di fiducia sul maxi emendamento sostitutivo del ddl scuola. Il gruppo ha anche esposto cartelli con su scritto “scuola pubblica riposa in pace” e ha tolto la giacca per mostrare la fascia nera sul braccio. Il lumino rosso è uno dei simboli della protesta degli insegnanti contro la riforma della scuola.

Migranti, Renzi sulle posizioni francesi. "Rimpatriare i clandestini". Delrio: "Lecito sparare a scafisti"

Francois Hollande e Matteo Renzi la scorsa settimana all'Expo - rimpatriare clandestini, accogliere rifugiati
Francois Hollande e Matteo Renzi la scorsa settimana all’Expo

ROMA – Sul tema dei migranti il premier Matteo Renzi si spinge sulle posizioni francesi. “Sul tema dell’accoglienza ci vogliono soluzioni che rispondano a requisiti etici e criteri di ragionevolezza”, ha detto il capo del governo aprendo l’incontro con le Regioni. “I richiedenti asilo si accolgono, i migranti economici (quelli comunemente definiti clandestini, ndr) vengano rimpatriati”, ha aggiunto il presidente del Consiglio.

ITALIA SULLE POSIZIONI DELLA FRANCIA
La stessa cosa disse dieci giorni fa, nelle ore concitate dei migranti a Ventimiglia, il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve: “Bisogna creare in Italia (e in Grecia) dei campi gestiti dall’Ue per distinguere i migranti economici dai richiedenti asilo già dal loro arrivo. I primi verrebbero immediatamente espulsi verso i loro Paesi d’origine, gli altri ripartiti tra i Paesi d’Europa”.

La posizione di Renzi, analoga a quella della Francia, pare abbia preso forma nell’ultimo incontro a Milano con il presidente Francois Hollande in occasione dell’Expo. I “criteri di ragionevolezza” di cui parla il presidente del Consiglio “è convincere” oggi le regioni ad una “maggiore responsabilità” e a uno “sforzo congiunto”.

RENZI: “SERVE CONDIVISIONE IN UE”
L’Italia farà la sua parte, ma ha bisogno anche dell’Ue che finora “ha fatto poco o niente” sull’emergenza immigrazione. “Ci vuole condivisione in Europa”, afferma Renzi “e più l’Italia si mostra compatta, meglio è. Siamo un Paese serio, solido, la cui risposta sul tema immigrazione deve essere condivisa e congiunta”, dice all’incontro coi governatori.

DELRIO CHIAMA IN CAUSA L’ONU: “IN LIBIA FORZE DI INTERPOSIZIONE”
Sulla stessa lunghezza d’onda il braccio destro di Renzi, Graziano Delrio, che in una intervista a Panorama va oltre e chiama in causa anche le Nazioni Unite. “L’Onu – afferma il ministro delle Infrastrutture – faccia l’Onu dicendo chiaramente: in Libia adesso mandiamo una forza di interposizione.

Il tavolo a Palazzo Chigi tra Governo e Regioni sul tema dell'immigrazione, Roma, 25 giugno 2015.
Il tavolo a Palazzo Chigi tra Governo e Regioni sul tema dell’immigrazione, Roma, 25 giugno 2015.
(Ansa/Palazzo Chigi)

“LECITO SPARARE AI TRAFFICANTI DI ESSERI UMANI”
Per il ministro bisogna fare in Libia “i campi di accoglienza e di selezione individuando chi veramente può godere dello status di rifugiato e facciamo una guerra dove al limite è lecito anche sparare a tutti coloro che fanno commercio di carne umana”. E cioè “agli scafisti: quelli vanno arrestati e con quelli – affema Delrio al settimanale – va usato il pugno di ferro, non nei confronti di coloro che scappano dalla miseria e dalla guerra”. Inoltre occorre fare “un filtro con l’Africa”, poiché il blocco navale equivarrebbe a una “dichiarazione di guerra”.

ZAIA: “PREFETTI SI RIBELLINO”
Chi resta sulle proprie posizioni sono i governatori del Nord che fanno capo al centrodestra.  “I prefetti – incalza il governatore del Veneto, Luca Zaia – devono ribellarsi, rispettare le istanze dei territori, rappresentare, nel mio caso, i veneti fino in fondo e non rispondere più al telefono al governo”.

“Sull’immigrazione – spiega Zaia – paghiamo l’incapacità di un governo che non si è accorto che nel 2012 aveva 13mila immigrati, 43mila nel 2013, 170mila nel 2014 e oggi 200mila. Il governo si è occupato troppo tardi del problema e i prefetti”, dovrebbero “ribellarsi” alle direttive del Viminale e “rispettare le istanze dei territori e non rispondere più neanche al telefono al governo”, aggiunge il presidente del Veneto.

TOTI: “NESSUN PIANO B SULL’IMMIGRAZIONE”
Secondo il governatore della Liguria Giovanni Toti, nella riunione a palazzo Chigi “non sono stati illustrati i dettagli del piano B sull’immigrazione. Che l’incontro sia stato convocato è un primo passo, che i contenuti siano stati soddisfacenti, non possiamo dirlo”, ha detto Toti al termine del vertice.

CHIAMPARINO: “PIU’ SPIRITO NAZIONALE”
Sulla vicenda immigrazione “servirebbe più spirito nazionale e meno spirito di parte”. Così il presidente della conferenza Stato Regioni, Sergio Chiamparino, al termine dell’incontro a Palazzo Chigi di Regioni e Comuni con il Governo sull’emergenza migranti.

MARONI: “INCONTRO DELUDENTE” “Nell’incontro con Matteo Renzi – dice il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni – non c’è stata nessuna risposta alle mie sollecitazioni per sapere se si fanno i campi profughi giù e nuovi accordi di rimpatrio. Ho chiesto dove si fa verifica fra chi è richiedente asilo e chi è immigrato economico e la risposta non c’è stata”.

ALTRO INCONTRO TRA 15 GIORNI
Concluso il vertice sull’immigrazione il governo, durato un’ora e mezza, è stato fissato un nuovo incontro tra 15 giorni per discutere della spinosa vicenda immigrazione. Lo ha comunicato lo stesso Renzi ai presidenti di regioni e ai comuni delegati dell’Anci.

Intanto stamani, nel porto di Catania, è attraccato il pattugliatore d’altura svedese “Poseidon” con a bordo 497 migranti tratti in salvo in tre distinte operazioni di soccorso nel Mediterraneo. Sulla nave anche il cadavere di una donna e una donna ferita. Non sono chiare le modalità del decesso e del ferimento.

Compravendita senatori, per Berlusconi chiesti 5 anni. Per i pm ha comprato per far cadere Prodi

L'opposizione festeggia alla caduta del governo Prodi il 24 gennaio 2008
L’opposizione festeggia la caduta del governo Prodi il 24 gennaio 2008

NAPOLI – Una richiesta di condanna pesantissima. 5 anni di reclusione per Silvio Berlusconi e 4 anni e 4 mesi per l’ex direttore dell’Avanti Valter Lavitola. E’ quanto ha chiesto il pm Vincenzo Piscitelli nel processo in corso a Napoli sulla presunta compravendita di senatori con cui Berlusconi sarebbe riuscito nel 2008 a far cadere il governo Prodi.

Nell’ambito dello stesso processo Sergio De Gregorio, eletto nel 2006 con Italia dei valori e poi passato nel Pdl, ha patteggiato un anno e 8 mesi. Il 7 luglio sono previste le arringhe degli avvocati difensori Niccolò Ghedini, Michele Cerabona e Franco Coppi, mentre l’8 luglio è attesa la sentenza da parte della prima sezione del Tribunale di Napoli.

I FATTI
Il 9 aprile 2006, dopo il quinquennio berlusconiano al governo, si torna alle urne per il rinnovo del Parlamento. A contendersi la presidenza del Consiglio furono nuovamente Silvio Berlusconi per il centrodestra e Romano Prodi per l’Ulivo, in rappresentanza del centrosinistra. Ne uscì vittorioso Prodi, ma di poco. Alla Camera la partita la vinse al fotofinish. Una manciata di voti consentirono al premier di accaparrarsi il premio di maggioranza arrivando a quota 340 seggi. Al Senato invece andò pari. Una vittoria a metà, con una differenza di una manciata di senatori. Maggioranza quindi risicata che ha costretto Prodi a fare i salti mortali per fare approvare i provvedimenti, soprattutto per parte di una coalizione definita “macedonia”, tante erano le divergenze.

Secondo l’accusa, il leader dell’opposizione, conscio delle difficoltà del premier Prodi, mise in atto il piano della presunta compravendita di senatori per capitolare Prodi nel 2008. Queste le accuse dei Pm. Le cronache politiche di allora raccontarono invece che a far cadere Prodi fu l’allora Guardasigilli Clemente Mastella, leader dell’Udeur, dopo che la procura di Santa Maria Capua Vetere gli arrestò la moglie, al tempo presidente del Consiglio regionale della Campania.

Clemente Mastella
Clemente Mastella

Mastella andò su tutte le furie e, più volte in contrasto con Prodi alla fine gli ritirò il sostegno. Prodi fu così sfiduciato al Senato il 24 gennaio 2008: 161 voti contrari alla fiducia, 156 favorevoli e 1 astenuto. 5 voti di scarto, tra cui due dei 3 senatori dell’Udeur. Si dissociò infatti il senatore Udeur Stefano Cusumano, poi espulso e approdato al Pd. Col voto contrario dei senatori mastelliani si unisce anche quello di altri senatori decisi a passare con il centrodestra, tra cui l’ex premier Lamberto Dini.

Le indagini dei pm hanno ricostruito una storia fatta di corruzione politica ed economica. L’accusa sostiene infatti che sia stato Silvio Berlusconi, tramite Valter Lavitola, a pagare alcuni senatori, tra cui Sergio De Gregorio, eletto con Di Pietro ma migrato nelle fila del centrodestra e Giuseppe Caforio, cui sarebbero andati cinque milioni di euro. De Gregorio ha ammesso le sue responsabilità e patteggiato un anno e otto mesi di reclusione. E sulle sue dichiarazioni che si è rafforzata l’accusa contro il Cav. Secondo i pm, Berlusconi aveva deciso far cadere a suon di milioni, appunto “comprando” senatori, il governo di Romano Prodi.

Il procuratore aggiunto Piscitelli, nella requisitoria ha detto che “l’obiettivo di Berlusconi era far cadere il governo Prodi, il modo non gli interessava. Le dimissioni da ministro di Mastella sarebbero state un colpo forte. La seduzione poteva essere rappresentata dalla rivelazione dell’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere in cui erano coinvolti la moglie e il consuocero, che guarda caso poche ore prima del blitz si è ricoverato in ospedale. Legittima e intelligente l’operazione politica di nominare De Gregorio presidente della commissione Difesa del Senato, il problema è l’accordo economico”.

Sergio De Gregorio con Silvio Berlusconi Protagonisti della presunta Compravendita senatori
Sergio De Gregorio con Silvio Berlusconi

Conclude Piscitelli che questo “non è solo un episodio di corruzione, ma è un episodio di gravità estrema. Sono convinto che pure altri senatori hanno accettato come De Gregorio, anche se non siamo riusciti a identificarli. Era un operazione finalizzata a sovvertire l’ordine democratico. Una pagina buia della politica italiana. Se la ruggine della corruzione investe i gangli primi della democrazia, il pericolo per la democrazia è grandissimo”, ha detto il pm.

La replica di Berlusconi in serata: “Una richiesta quella della Procura di Napoli, – ha detto – che confligge con la realtà e con tutte le risultanze processuali, in linea con la tradizione dei peggiori processi politici. Confido che il tribunale voglia rapidamente ristabilire la verità dei fatti e pronunciare una sentenza totalmente assolutoria”.

Romano Prodi attende l'esito del voto di fiducia a gennaio 2008. Poi salì al Quirinale per dimettersi
Romano Prodi attende l’esito del voto di fiducia a gennaio 2008. Poi salì al Quirinale per dimettersi (Reurters)

Anche gli avvocati di Berlusconi Coppi, Cerabona, Larosa e Ghedini sono intervenuti: “Tutti i testimoni e tutte le prove documentali –  afferma il collegio difensivo – hanno dimostrato la totale inconsistenza dell’assunto accusatorio”.

“Lo stesso De Gregorio – spiegano gli avvocati dell’ex premier  – ha dovuto ammettere che la sua adesione al centrodestra era un ritorno a casa e che le sue azioni politiche erano svincolate dalle asserite dazioni di denaro, peraltro del tutto sfornite di ogni prova. Che la Procura di Napoli nonostante tutto ciò abbia ritenuto di chiedere una sentenza di condanna al massimo della pena è davvero assurdo. Confidiamo che il tribunale voglia assolvere con formula ampia il presidente Berlusconi da questa incredibile accusa”, hanno concluso.

Sentenza Consulta salva Renzi: "Illegittimo blocco salari ma non sarà retroattivo"

Una seduta della Corte Costituzionale - Sentenza Consulta salva Renzi
Una seduta della Corte Costituzionale

ROMA – Il governo ha rischiato grosso, e cioè che il blocco dei salari nel settore pubblico, potesse rivelarsi un’altra tegola come per il blocco delle pensioni da risarcire a milioni di dipendenti del pubblico impiego.

PROVVEDIMENTO NON RETROATTIVO. LA CONSULTA SALVA RENZI E IL SUO GOVERNO
Così non sarà perché la Corte costituzionale, dichiarando illegittimo “il regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico quale risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato”, mette una postilla che salva Renzi e tutto il governo che evitano un buco da 35 miliardi. Il provvedimento non avrà effetti retroattivi dal momento “decorre dalla pubblicazione della sentenza”.

A renderlo noto è la stessa Corte costituzionale, che ha respinto le restanti censure proposte. Risulta illegittimo, pertanto, soltanto il mancato rinnovo del contratto nel pubblico impiego relativamente agli ultimi sei anni. Di conseguenza il governo non dovrà fare i salti mortali per trovare miliardi di euro da redistribuire a quanti nel pubblico impiego gli è stata bloccata la remunerazione.

“La Corte Costituzionale, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze R.O. n. 76/2014 e R.O. n. 125/2014, ha dichiarato, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, quale risultante dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato”, si legge in una nota della Consulta. “La Corte ha respinto le restanti censure proposte”.

IL PRECEDENTE SULLE PENSIONI
à nelle scorse settimane la suprema Corte aveva dichiarato “l’illegittimità costituzionale” del blocco della perequazione 2012-2013 previsto dalla riforma Fornero. In particolare era stata dichiarata “illegittima” la norma contenuta nell’articolo 24, comma 25, nella parte che prevede che “in considerazione della contingente situazione finanziaria” la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, “esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps, nella misura del 100 per cento”. Un dispositivo che però divenne retroattivo e il governo ha dovuto alla fine reperire risorse per dare gli arretrati maturati spettanti a milioni di pensionati con una assegno inferiore a 1.500 euro.

LA POLEMICA TRA PADOAN E CRISCUOLO
Dopo la sentenza della Corte sulle pensioni, ci sono stati diversi momenti di tensione nella maggioranza di governo. Per risarcire tutta la platea di pensionati penalizzati dalla riforma Fornero non bastavano una ventina di milioni. Poi la svolta dell’esecutivo: sul piatto ci saranno solo 3,6 miliardi. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan espresse le sue perplessità sulla corte:

“Prima di emettere certe sentenze, si dovrebbe valutare l’impatto sui conti pubblici”, disse il titolare del Tesoro. Da qui la replica piccata del presidente della Corte Costituzionale Alessandro Criscuolo: “Non spetta a noi valutare queste cose. Non ho nessuna ragione di coltivare una polemica con il ministro Padoan. Ma dare per scontato – ha detto Criscuolo – che la Corte dovesse acquisire i dati (dell’impatto sui conti pubblici, ndr) prima di decidere sulle pensioni mi sembra che non risponda all’attuale disciplina che regola il funzionamento della Consulta”.

Questa volta è andata bene per il governo. I conti pubblici in caso di sentenza che riconosceva arretrati ai dipendenti della Pa avrebbe di sicuro fatto saltare non solo i conti ma anche il governo. Sarebbe stata una estate davvero infuocata per il premier Matteo Renzi che mentre ad agosto dava i 500 euro di arretrati ai pensionati, dall’altra doveva impegnarsi a reperire 35 miliardi di euro per “risarcire” i dipendenti pubblici dal blocco “illegittimo della contrattazione”.

Sparite le risorse per Politiche sociali. Censis: "Da 1,6 miliardi a 297 milioni"

Censis: Poliche sociali, prosciugato il fondo per Politiche sociali - in foto anziani e disabili  ROMA – Le risorse pubbliche assegnate per le Politiche sociali sono fortemente in diminuzione, quasi sparite, volatilizzate ovvero dallo Stato trasferite dal comparto della Politiche sociali ad altre esigenze.

E se la “spesa pubblica è in picchiata e squilibrata” sul territorio, a essere protagoniste nel welfare locale sono le cooperative che di fatto sostituiscono nei servizi lo Stato.

Rivela il Censis nell’incontro “Un mese di sociale” che le risorse assegnate al Fondo per le Politiche sociali sono passate da 1,6 miliardi di euro nel 2007 a 435,3 milioni nel 2010, per poi scendere a soli 43,7 milioni nel 2012 e infine recuperare in parte negli ultimi due anni fino ai 297,4 milioni del 2014.

La riduzione è stata dell’81% nel periodo 2007-2014, gli anni della crisi. Anche il Fondo per la non autosufficienza è passato dai 400 milioni di euro del 2010 al totale annullamento nel 2012, per poi risalire a 350 milioni nell’ultimo anno.

Secondo il Censis guidato da Giuseppe De Rita, l’andamento del Fondo per le politiche sociali, istituito nel 1997 per trasferire risorse aggiuntive agli enti locali e garantire l’offerta di servizi per anziani, disabili, minori, famiglie in difficoltà, testimonia il progressivo ridimensionamento dell’impegno pubblico sul fronte delle politiche socio-sanitarie e socio-assistenziali.

Un divario profondo tra Nord e Sud. Secondo gli ultimi dati disponibili, la spesa sociale dei Comuni supera i 7 miliardi di euro l’anno, pari a 115,7 euro per abitante. Complessivamente, la spesa è destinata per il 38,9% a garantire interventi e servizi, per il 34,4% al funzionamento delle strutture, per il 26,7% ai trasferimenti in denaro.

Le categorie che assorbono la quota maggiore di spesa sono le famiglie e i minori (40%), i disabili (23,2%), gli anziani (19,8%), i poveri e i senza fissa dimora (7,9%). Ma le differenze territoriali sono macroscopiche. Si passa dai 282,5 euro per abitante nella Provincia autonoma di Trento ai 25,6 euro della Calabria.

Mentre gran parte delle regioni del Centro-Nord si colloca al di sopra della media nazionale, il Sud presenta una spesa media pro-capite che ammonta a meno di un terzo (50,3 euro) di quella del Nord-Est (159,4 euro). Il Mezzogiorno è l’area del Paese in cui è maggiore il peso dei trasferimenti statali rispetto alle risorse proprie dei Comuni sempre in tema di Politiche sociali.

Al Sud queste ultime coprono meno della metà delle spese per il welfare locale, a fronte di una media nazionale del 62,5%. Di conseguenza, i tagli ai trasferimenti statali hanno un impatto diretto sulla riduzione delle risorse disponibili e quindi dei servizi destinati al sociale a livello locale, ampliando il divario già profondo tra Nord e Sud.

L’universo pulviscolare del non profit. In questo scenario, sono fondamentali le reti di sostegno informali, con il ruolo centrale della famiglia. Il volontariato e il non profit rappresentano però una componente fondamentale del nostro modello di welfare, in grado di contribuire in modo significativo all’erogazione di servizi e prestazioni sul territorio, garantendo la tenuta sociale rispetto agli impatti della crisi.

Le istituzioni non profit nel nostro Paese sono più di 300.000 e vi operano 5,4 milioni di persone tra lavoratori e volontari. Anche in questo caso la distribuzione territoriale evidenzia profondi divari. Le istituzioni non profit sono 104 ogni 10.000 abitanti in Valle d’Aosta, 100 in Trentino Alto Adige, 82 in Friuli Venezia Giulia, ma solo 41 ogni 10.000 abitanti in Calabria, 40 in Sicilia, 37 in Puglia, 25 in Campania.

Le associazioni non riconosciute sono più di 200.000 (il 66,7% del totale), più di 68.000 sono associazioni riconosciute (22,7%), le cooperative sociali sono oltre 11.000 (3,7%), più di 6.000 le fondazioni (2,1%), oltre 14.000 sono istituzioni con altra forma giuridica (4,8%). Sul totale delle istituzioni non profit, quelle impegnate nel settore sanitario e nell’assistenza sociale sono 36.000 (rappresentano il 12% del totale), precedute da quelle attive nel settore cultura, sport e ricreazione, che da sole rappresentano il 65% del totale.

Le cooperative sociali protagoniste del mercato del welfare locale, per il Censis. Consistente è il finanziamento pubblico delle attività non profit nel campo sanitario, dell’assistenza sociale e della protezione civile: 13,5 miliardi di euro, pari al 63% del loro budget complessivo. Il ruolo delle cooperative sociali, che pesano per il 3,7% sul totale delle istituzioni non profit, nel comparto sanitario e dell’assistenza sociale diventa più rilevante, salendo rispettivamente al 10,9% dei soggetti attivi nella sanità e al 17,8% nei servizi sociali.

Queste cooperative sociali sono 5.600 e impiegano 225.000 addetti. E sono in forte crescita. Tra il 2001 e il 2014 si registra un incremento dell’11,8% del sistema cooperativo nell’insieme, superiore all’incremento complessivo delle imprese (+5,1%). E giocano un ruolo predominante nel mercato dei servizi sociali, grazie ai bandi e alle gare di appalto dei soggetti pubblici, anche a fronte della scarsa presenza di imprese private for profit, meno interessate a quelle aree del sociale in cui i margini di profitto sono limitati.

Ma il fatto più problematico è una sorta di informalità diffusa, che rende possibile al soggetto pubblico di trovare il mezzo per risparmiare sulle risorse allocate innescando una concorrenza al ribasso tra le cooperative sociali, senza l’adeguata attenzione alle differenze nelle specializzazioni, nella competenza del personale impiegato, nella qualità dei servizi resi.

Pd, anche Stefano Fassina lascia. "Non ci sono piu le condizioni"

Stefano Fassina lascia il Pd
Stefano Fassina (LaPresse/Monaldo)

Non ce l’ha fatta neanche lui a restare nel Pd. Stefano Fassina, uno dei dissidenti della’era Renzi fa un passo indietro e lascia il Partito democratico come ha già fatto Pippo Civati.

“E’ arrivato per me il momento di prendere atto – spiega – che non ci sono più le condizioni per andare avanti nel Pd e insieme a tanti e tante che hanno maturato per vie autonome la mia stessa riflessione proveremo a costruire altri percorsi non per fare una testimonianza minoritaria ma per fare una sinistra di governo ma su una agenda alternativa”, ha detto durante una iniziativa del Pd a Capannelle.

Per l’ex viceministro all’economia del governo Letta è arrivato il momento di dividersi per approdare ad una sinistra maggiormente di “Sinistra”. I dissapori con la dirigenza renziana, ma con l’intero esecutivo, danno il “là” per compiere un passo che in tanti vorrebbero compiere nel Pd.

E’ inutile stare in un partito – è il suo ragionamento – di cui non si condivide nulla. Pur senza mai dirlo non ha mai digerito quella frase del “Fassina chi?” pronunciata dal premier appena nominato da Napolitano presidente del Consiglio dei ministri.

Calpestare così una “storia di passione, di militanza, di attaccamento alla politica come servizio” è stato davvero troppo. Insieme ai compagni di sempre, Cuperlo, Bersani e lo stesso Civati ha resistito finché ha potuto, poi la “resa”: “Non ci sono più le condizioni”.

Lo aveva annunciato e fatto capire più volte. L’ultima l’altro giorno quando a OrizzonteScuola.it ha espresso il suo forte dissenso al Ddl Scuola su cui il premier vuole andare avanti come ha fatto con il Jobs Act e altre riforme. “Non accetto compromessi”, ha detto Fassina.


“O si fanno modifiche alle assunzioni e la cancellazione dei poteri ai dirigenti o faccio altro soggetto politico”. Poi l’affondo sul suo sito: “Adesso nel partito non cerchiamo i capri espiatori. Sembrano gli ultimi giorni del governo Letta”.

Renzi insiste e Fassina sa bene che il premier ha i numeri per portare a casa la riforma. “Ho approviamo il disegno di legge o si perdono 100mila assunzioni”. Rispetto a questa “strategia” renziana, non solo Fassina ma molti all’interno del Pd sono rimasti disarmati. Al momento lascia il Pd ma non è dato sapere quale sarà questo “nuovo soggetto” politico.

Caso De Luca, se arriva prima la Severino decade il Consiglio

Matteo Renzi, Vincenzo De Luca, Angelino Alfano - Caso De Luca
Matteo Renzi, Vincenzo De Luca, Angelino Alfano

Proclamato il neogovernatore della Campania Vincenzo De Luca, lunedi prossimo s’insedia il nuovo consiglio regionale convocato dal consigliere anziano Rosetta D’Amelio. Nella “prima” del 29 giugno, secondo statuto, dovrebbe essere eletto il Presidente del Consiglio, i due vice-presidenti, i due segretari e due questori che costituiranno l’Ufficio di presidenza.

Il presidente De Luca, invece nei dieci giorni successivi la sua proclamazione, già avvenuta la scorsa settimana, nomina, nel pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne ed uomini, la Giunta, tra i quali un vice-presidente e, sempre secondo lo statuto della Regione Campania, ne dà comunicazione al Consiglio regionale nella prima seduta successiva alla nomina per la “espressione del gradimento” da parte del Consiglio prevista dall’articolo 48.

Fin qui le regole statutarie. Bisognerà attendere la prima seduta di lunedi prossimo per capire l’altro aspetto: quello della sospensione del Presidente eletto Vincenzo De Luca. Il decreto di sospensione (per effetto della Legge Severino) dovrebbe essere protocollato in Consiglio regionale solo dopo che questo è regolarmente insediato. L’iter è che il decreto di sospensione viene trasmesso al prefetto di Napoli che a sua volta lo gira al presidente del Consiglio (che al momento non c’è, quindi al consigliere anziano).

Alla seconda seduta, in teoria, (metà luglio al massimo) il presidente De Luca potrebbe già presentare la sua giunta, con il suo vicepresidente. Se da palazzo Chigi (Renzi), dall’Interno (Alfano) e dagli Affari regionali (sempre Renzi) procedono con celerità può darsi che De Luca non faccia in tempo a ufficializzare la nomina dell’esecutivo. Potrebbe essere la prima, la seconda o la terza seduta. Dipende dai tempi procedurali e, soprattutto, dalla “volontà politica”. Nell’ipotesi in cui De Luca venisse sospeso in tempi rapidi, potrebbe ricorrere al tribunale ordinario, ma fino alla decisione – dipende dalle interpretazioni – potrebbe rimanere sospeso.

Ed è qui che si complica la matassa, perché il rischio (politico) grosso è che se De Luca venisse sospeso senza poter prima nominare il vice (il quale può esercitare le sue veci), potrebbe decadere l’intero consiglio giacché l’assemblea non può eleggere un nuovo presidente della giunta. Onere che spetta solo ai cittadini.

Un conto se si trattasse di una giunta già in carica. Allora la gestione, “per impedimento del presidente”, passerebbe direttamente al vice. Qui invece siamo davanti ad un caso più unico che raro.

Ad oggi c’è un Consiglio e un governatore eletto in predicato di sospensione ma non una giunta. Quindi – a meno di altre interpretazioni – il Consiglio regionale, una volta “dimissionato” il presidente dalla Severino, potrebbe decadere.

Una “sciagura”, per dirla in partenopeo. Questa è l’ultima cosa che vogliono sia il governo (per ovvi motivi politici, ma anche per lo spreco di denaro di un non remoto ritorno alle urne) ma soprattutto i consiglieri eletti che hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie per guadagnarsi uno scranno alla Regione Campania. Oltretutto il governo, Renzi e Alfano questa eventualità la conoscono bene e, da ciò che si apprende, sarebbero oorientati “all’andatura lenta”, nonostante i proclama che seguono.

Il premier Matteo Renzi ieri sera al termine del Consiglio  dei ministri  a proposito del caso De Luca ha detto: “E’ nostro intendimento procedere alla sospensione come previsto dalla legge Severino del presidente della regione Campania, stiamo attendendo che il ministri competenti possano fare i loro pareri e che l’Avvocatura dello Stato ci spieghi come come si deve svolgere la procedura”.

“E’ evidente – ha spiegato Renzi – che si tratta di un provvedimento inedito, per la prima volta si deve applicare la legge Severino non a una figura istituzionale in carica ma che deve essere proclamata e che deve entrare in carica a tutti gli effetti -ha spiegato il premier-, per questo abbiamo chiesto formalmente di conoscere quali procedure seguire e nelle prossime ore immaginiamo di procedere rispettando legge e procedure”.

Pareri che potrebbero dare ossigeno a De Luca per procedere alla nomina di giunta e vicepresidente. Altra questione, però superabile, è “l’espessione di gradimento del Consiglio regionale” all’esecutivo. In sostanza, presentata la Giunta, l’assemblea di palazzo Santa Lucia, ha 30 giorni di tempo per dare il “parere”.

Tuttavia il governatore può, nel caso di “diniego” dell’Assemblea ripresentare la sua giunta con una motivazione. Nell’ipotesi in cui De Luca dovesse essere sospeso, ma è riuscito – nominando il suo vice – a precedere la sospensione della Severino, può essere il vicepresidente nel pieno dei suoi poteri a ripresentarla motivandola. Appunto perché il vicepresidente esercita in “toto” i poteri conferiti dalla legge al presidente eletto.

Assegno per Veronica Lario di 1,4 milioni al mese

Silvio Berlusconi con l'ex consorte Veronica Lario - L'assegno per Veronica Lario si chiude a 1,5 mln
Silvio Berlusconi con l’ex consorte Veronica Lario

MILANO – L’assegno per Veronica Lario non sarà più di 3 milioni al mese come deciso in un primo momento dal tribunale di Monza, ma di un milione e 400 mila euro al mese.

E’ questo l’assegno mensile di mantenimento che Silvio Berlusconi dovrà versare all’ex consorte. Lo ha deciso il tribunale di Monza confermando la cifra che il giudice Anna Maria di Oreste aveva indicato durante l’udienza presidenziale della causa di divorzio. Veronica aveva chiesto oltre 3 milioni.

Il provvedimento dei giudice della Sezione Famiglia del tribunale di Monza è stato notificato stamane alle parti. Da quanto si è saputo il tribunale ha parametrato l’assegno mensile che percepirà l’ex first lady sul patrimonio di Berlusconi.

Il tribunale di Monza a febbraio dell’anno scorso aveva già sciolto il matrimonio tra l’ex premier e la moglie, lasciando aperto il capitolo economico che ora è stato chiuso. Veronica Lario, al secolo Miriam Bartolini, e l’ex capo del Governo avevano cercato di trovare un accordo, ma ogni tentativo è franato compresa la richiesta dell’ex first lady, a titolo di “buona uscita” di una cifra forfettaria di circa mezzo miliardo di euro.

La signora Lario in sede di separazione si era vista riconoscere 3 milioni e mezzo di alimenti e ora il Cavaliere, in sede di divorzio è riuscito ad ottenere un ribasso della cifra di oltre la metà. 1,4 milioni. Comunque una cifra niente male rispetto a quel che passa il “convento Italia” oggi. Per la signora Lario, un “vitalizio” di 46.660 euro al giorno. Può permettersi di spendere 1.944 euro l’ora, naturalmente finché vivrà l’ex marito.

La separazione tra Veronica e Silvio Berlusconi cominciò dopo le parole della first lady che si lamentava per le frequentazioni del marito: “Non posso stare con un uomo che frequenta minorenni”, disse in una lettera a Repubblica in cui definì in una sola parola l’ambiente che circondava il leader di Forza Italia: “Ciarpame”.

Sinodo Famiglia, dalla "pace" coi divorziati alla sfida denatalità

sinodo vescoviL’Instrumentum laboris, il testo base per il sinodo d’autunno sulla famiglia, a proposito dei “divorziati risposati civilmente che si trovano in condizione di convivenza irreversibile”, afferma che “c’è un comune accordo sulla ipotesi di un itinerario di riconciliazione o via penitenziale, sotto l’autorità del vescovo”.

Il testo fotografa comunque una serie di differenze di posizioni su tale accordo, e la divisione tra chi vorrebbe l’ammissione ai sacramenti e chi no.

“L’eventuale accesso ai sacramenti – si legge nel testo che sarà la base della discussione dei vescovi nel sinodo d’autunno – dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del vescovo diocesano”, e “va ancor approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostante attenuanti, dato che – afferma il testo citando il canone 1735 del Catechismo della Chiesa cattolica – ‘l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate’ da diversi ‘fattori psichici oppure sociali'”.

Spiega il Cardinale Péter Erdő nella prima parte del documento che, “Anche se il comportamento matrimoniale poteva essere abbastanza diverso dall’ideale, fino a pochi decenni fa il riconoscimento teorico del matrimonio è stato quasi generale”.

“Recentemente però i matrimoni, anche quelli civili, diminuiscono e – sottolinea – il numero delle separazioni e dei divorzi è in crescita. Di separazione si parla piuttosto dei paesi dove l’istituto del divorzio nel diritto civile è relativamente recente. Altrove non si pensa neppure a separazione legale ma si ricorre subito al divorzio ad ogni crisi del matrimonio”.

“Si parla molto della dignità delle singole persone, ma la trasformazione di questa verità in linguaggio istituzionale produce a volte delle situazioni contraddittorie. L’accentuazione esagerata dei diritti individuali senza tener conto dell’aspetto comunitario dell’essere umano produce un individualismo che mette al centro la soddisfazione di desideri e che non porta alla piena realizzazione della persona. L’isolamento dell’individuo è contrario al progetto del Creatore. Sembra essere una delle manifestazioni di tale individualismo il fatto che molti hanno paura ad assumere impegni definitivi”.

La “via ortodossa” alla quale “alcuni fanno riferimento” nel cercare una soluzione pastorale per i divorziati risposati, comunque “deve tenere conto della diversità di concezione teologica delle nozze”. E si tratta di una via che non mette “in discussione l’ideale della monogamia assoluta, ovvero dell’unicità del matrimonio”. Lo sottolinea l’Instumentum laboris per il sinodo d’autunno sulla famiglia, a proposito di una delle ipotesi avanzate anche nella precedente sessione del sinodo.

“Nell’Ortodossia – argomenta il testo preparatorio per il sinodo sulla famiglia del prossimo autunno – c’è la tendenza a ricondurre la prassi di benedire le seconde unioni alla nozione di ‘economia (oikonomia), intesa come condiscendenza pastorale nei confronti dei matrimoni falliti, senza mettere in discussione l’ideale della monogamia assoluta, ovvero dell’unicità del matrimonio. Questa benedizione – prosegue l’Instrumentum laboris all’articolo 129 – è di per sé una celebrazione penitenziale per invocare la grazia dello Spirito Santo, affinché sani la debolezza umana e riconduca i penitenti alla comunione con la Chiesa”.

E se il testo del sinodo dedica da una parte particolare attenzione all’integrazione dei divorziati risposati civilmente nella comunità cristiana, dall’altra viene raccomandata un’opportuna attenzione pastorale all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale e di queste stesse persone.

Infine, parlando di famiglia il Sinodo da “uno sguardo specifico” all’esercizio della generatività e alle sfide dell’educazione dei figli. Il testo ribadisce l’importanza dell’impegno per la trasmissione della vita e denuncia la sfida della denatalità, specialmente grave in alcuni Paesi. Viene ribadita la responsabilità generativa degli sposi, che si rapporta al mistero intangibile e prezioso della vita umana, e si estende a comprendere il valore altamente positivo delle esperienze dell’adozione e dell’affido. Analoga rilevanza è data all’impegno educativo proprio della famiglia.

Follia a Reggio Calabria, Pasquale Laurendi uccide moglie e suocera a coltellate. Arrestato

Una volante della polizia davanti la Questura di Reggio Calabria - Duplice omicidio. Pasquale Laurendi uccide a coltellate Antonia Latella e la suocera
Una volante della polizia davanti la Questura di Reggio Calabria

Dramma nella notte a Reggio Calabria. Un uomo di 55 anni, Pasquale Laurendi, reggino, al culmine di una violenta lite familiare ha ucciso a coltellate la moglie Antonia Latella, di 53 anni, e la suocera Carmela Cicciù, di 83.
Laurendi è stato arrestato dalla polizia poco dopo l’omicidio mentre tentava di fuggire.

I due figli della coppia, al momento del duplice omicidio, non erano in casa. Il duplice omicidio è accaduto verso le 3 di notte in casa della coppia, un’abitazione popolare in una traversa di via San Giuseppe, nella zona sud della città. Dopo aver commesso il crimine, l’uomo è subito fuggito ma è stato bloccato dalla Polizia sulla sua auto lungo la statale 106. Laurendi è ora è in stato di fermo con l’accusa di duplice omicidio.

Sul luogo sono immediatamente giunte le volanti delle forze dell’ordine chiamate dai vicini dopo aver sentito litigare e urlare. Insieme a loro la Scientifica per i rilievi del caso. Ancora sconosciuto il movente del duplice omicidio.

Da un primo esame effettuato dagli inquirenti, sembra che moglie e suocera siano state colpite con numerose coltellate. Segno di una furia incontenibile dovuta chissà a quali motivi. Da quello che riferiscono alcuni vicini sembrerebbe che tra il presunto omicida e la moglie negli ultimi tempi i rapporti erano sempre più tesi.

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