15 Ottobre 2024

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Blitz al porto turistico di Roma, arrestati Mauro Balini e altri 3. Sequestri per 400 milioni

Il presidente del porto turistico di Roma Mauro Balini
Il presidente del porto turistico di Roma Mauro Balini

Il porto turistico di Roma al centro del business di una presunta associazione criminale. La Guardia di Finanza del comando provinciale di Roma ha eseguito 4 ordinanze di custodia cautelare in carcere e proceduto a un mega sequestro di beni per un valore stimato di 400 milioni di euro. In manette il presidente del porto di Ostia, Mauro Balini, imprenditore immobiliare e presidente del porto, che secondo la procura sarebbe a capo di una presunta cupola criminale.

Le accuse, da quanto appreso, sono di associazione a delinquere e bancarotta fraudolenta, crac che si riferirebbe allo scioglimento della società concessionaria ATI.

Le Fiamme gialle si sono presentate all’alba sul Lungomare Duca degli Abruzzi di Ostia sequestrando posti barca, parcheggi, strutture amministrative, commerciali e aree portuali, all’interno del Porto Turistico di Roma, del valore commerciale complessivo di oltre quattrocento milioni di euro.

I dettagli dell’operazione verranno illustrati in una conferenza stampa indetta per le 10.30 presso la sede del Nucleo di Polizia Tributaria Roma, in via dell’Olmata n. 45, alla presenza del procuratore aggiunto Nello Rossi, del comandante provinciale della Guardia di Finanza, generale Giuseppe Magliocco e del colonnello Cosimo Di Gesù, comandante del Nucleo di Polizia tributaria.

Imbaracazioni al porto turistico di Roma
Imbarcazioni al porto turistico di Roma

Costruito nel 2001, il Porto Turistico di Roma si trova a Ostia, a sud est della foce del Tevere e sorge su una superficie di circa 22 ettari, disponendo di 840 posti barca per lunghezze comprese fra gli 8 e i 60 metri.

A breve, è riportato nel loro sito, inizieranno i lavori di ampliamento del porto di Roma finalizzati ad aumentare la capienza della struttura che sarà in grado di ospitare 1419 posti barca. A disposizione dei natanti circa 611 nuovi punti di ormeggio per imbarcazioni da diporto di lunghezza compresa tra 12,00 e 70,00 metri. Ampliamento che per il momento dovrà attendere gli esiti della mega operazione di stamattina.

Azzollini, con 189 voti il Senato dice "No" all'arresto. "Fumus persecutionis"

Il senatore Ncd Antonio Azzollini in uno dei suoi interventi al Senato
Il senatore Ncd Antonio Azzollini in uno dei suoi interventi al Senato

Il senatore Ncd Antonio Azzollini non andrà ai domiciliari per il presunto crac della Casa della Divina Provvidenza. L’aula di Palazzo Madama con 189 voti contrari, 96 voti a favore e 17 astenuti ha detto “No” all’arresto la cui richiesta era stata avanzata dai pm di Trani che indagano sulla bancarotta da 500 milioni di euro all’istituto di Bisceglie.

In aula è stato richiesto il voto segreto ed è filato tutto come da accordi tra Renzi e Alfano. La Giunta per le immunità presieduta da Stefàno non aveva riscontrato il “fumus persecutionis”, dando l’8 luglio scorso parere favorevole all’arresto.

In Aula, il senatore Ncd Azzollini si è difeso per mezz’ora, sostenendo che nei suoi confronti c’è solo “fumus persecutionis integrato a sufficienza”. Il senatore ha riferito circostanze per dimostrare ai colleghi senatori “l’insussistenza della accuse”, e le “ricostruzioni difficili da poter ritenere anche solo logiche”. Secondo Azzollini, sarebbero state usate contro la sua persona testimonianze “contraddittorie” che la procura di Trani ha invece ritenuto “attendibili”.

“Qui – ha detto  Azzollini – è stato fatto il semplice copia e incolla del gip dei documenti del pm senza alcuna autovalutazione come si dovrebbe fare in base alla legge. La valutazione può essere da 0,5 a 10 ma non può essere zero”, ha concluso il senatore alfaniano. Dopo il voto contrario proteste vibrate sono arrivate dai banchi della Lega e del M5S.

Non è chiaro se anche oggi il Senato si occuperà dell’altro senatore Ncd, Giovanni Bilardi coinvolto nella presunta rimborsopoli calabrese. La procura di Reggio Calabria ha chiesto a palazzo Madama l’autorizzazione a procedere per gli arresti domiciliari.

Ieri, il senatore Pd Luigi Zanda aveva scritto ai suoi senatori per invitarli a “votare secondo coscienza”, senza una indicazione precisa. “Tira una strana aria”, si commentava nell’opposizione, perché quasi tutti i parlamentari di quasi tutte le forze politiche interrogati sul punto confessano di non voler votare contro l’ex presidente della commissione Bilancio del Senato, non solo per “simpatia” nei confronti dell’uomo politico, ma anche perché sta diventando palpabile una certa “insofferenza” verso una magistratura “che si sta mostrando sempre più invadente”, nei confronti del potere legislativo.

Da sinistra i senatori Ncd Giovanni Bilardi e Antonio Azzollini
Da sinistra i senatori Ncd Giovanni Bilardi e Antonio Azzollini

Sul caso Azzollini “leggendo con attenzione le carte – spiegano esponenti del Pd – ci si rende conto che contro di lui non hanno quasi nulla. Se non altro nulla che possa motivarne l’arresto”. Facendo intendere che nei suoi confronti esistono forme di “fumus persecutionis”. Un giudizio “trasversale” che si ascoltava interpellando diversi senatori. Stessa cosa potrebbe ripetersi per Bilardi accusato di presunte spese pazze al Consiglio regionale della Calabria nel triennio 2010-2012 e di cui la procura di Reggio Calabria ha appunto chiesto i domiciliari.

Azzollini dunque si è salvato. Il senatore Ncd, già coinvolto nell’inchiesta sulla maxi-truffa per il porto di Molfetta, è accusato, tra l’altro, di bancarotta fraudolenta, associazione a delinquere, induzione indebita. Nel Pd già nei giorni scorsi c’era una certa tensione per le dimensioni che potrebbe assumere il “salvataggio”.

Se buona parte del gruppo Dem ha votato contro la proposta della Giunta guidata da Stefàno potrebbe aprirsi un problema d’immagine per il segretario Renzi che in pubblico è per “tolleranza zero e lotta a corruzione e malaffare” ma all’interno dell’esecutivo ha il problema con l’alleato minore, Angelino Alfano che finora gli ha garantito lealtà e tutto il sostegno di cui il premier ha avuto bisogno per portare avanti le riforme.

Napoli, falsi agenti rapinavano in case. Arrestate 13 persone

 

 Napoli, falsi agenti rapinavano in case. Arrestate 13 persone dai CarabinieriSi travestivano da agenti delle Forze dell’Ordine e con falsi documenti riuscivano ad entrare in negozi e case delle persone con la scusa di una perquisizione esibendo falsi decreti della Polizia giudiziaria ma, una volta dentro, svaligiavano tutto.

Due bande di malviventi agivano cosi a Napoli ma sono stati identificati grazie alle immagini della video sorveglianza che hanno immortalato una delle tante rapine e furti dei malfattori.

Tredici gli arresti in tutto in una operazione condotta dall’Arma dei Carabinieri e coordinata dalla procura di Napoli. Questa mattina all’alba i falsi agenti rapinatori hanno sentito suonare ai campanelli delle loro abitazioni. Una volta aperto si sono trovati davanti non i “colleghi” rapinatori ma i Carabinieri (quelli veri) che gli hanno contestato i reati e li hanno arrestati e tradotti in caserma a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Il modus operandi andava avanti da tempo. Le due bande sceglievano il bersaglio, un appartamento o negozi, e poi facevano i preparativi, i decreti di perquisizione, naturalmente con firme false. Una volta entrati in azione, uno o due falsi agenti – malfattori intrattenevano i padroni di casa, gli altri rovistavano le stanze, aprendo cassetti e armadi asportando tutto ciò che aveva valore: dall’oro, ai gioielli all’argenteria e anche soldi.

Ecco chi è Niccolo Porcella, l'italiano che ha rischiato la vita in surf

Niccolo Porcella in una delle sue imprese con il surf
Niccolo Porcella in una delle sue imprese con il surf

E’ appassionato di sport estremi, Niccolo Porcella, dove ci sono situazioni di pericolo estremo c’è lui. Con la tavola da Surf cavalca onde alte decine di metri come un uomo qualunque fa una passeggiata. In acqua si trova a suo agio, c’è in grande confidenza. Diciamo pure che è il suo “cordone” ombelicale. Infatti, la madre l’ha partorito nel 1987 in una grande vasca per l’idromassaggio, a Maui, nelle Hawaii. Quindi…

Sardo-hawaiiano perché è nato da padre italiano nel paradiso che si trova giusto al centro dell’oceano Pacifico ma è cresciuto tra Cagliari, New York e le isole che gli hanno dato la forza e il coraggio di affrontare le sfide con la natura.

Ma nell’ultima sua cavalcata con il Surf se le vista di brutto. Salvo per miracolo. E’ successo che nel giugno scorso a Teahupoo a Tahiti nell’intento quotidiano di domare onde alte quindici metri, ha perso l’equilibrio ed è stato travolto dalla forza violenta delle acque.

Per fortuna, lui che delle onde conosce trucchi, vortici e risucchi, se l’è cavata alla grande. Un po’ di paura. Ma non per lui, bensì per chi ha assistito da vicino all’incidente. Niccolo Porcella, come niente fosse, hanno raccontato amici e colleghi presenti, ha ripreso la tavola ed è tornato a sfidare il mare blu delle Hawaii.

28 anni, sin da piccolo Niccolo Porcella ha avuto la passione per gli sport estremi. A tredici anni si trasferisce a Maui, nelle isole sperdute in mezzo al Pacifico e dà spazio ai suoi amori: skateboard, la ginnastica estrema, il windsurf e il kiteboard.

Pratica anche arti marziali, bungee jumping e paracadutismo o comunque tutto ciò che comporta rischio. Si tuffa anche in mare da scogliere con altezze mozzafiato o da cascate che fanno venire le vertigini. Un vero acrobata, un “atleta d’azione”, potremmo chiamarlo.

Le sue doti atletiche lo hanno portato a conquistare non solo titoli sportivi ma anche quelli stampati sui giornali e riviste di tutto il mondo. Ha anche un suo profilo Facebook.

IL VIDEO CHE MOSTRA COME NICCOLO HA RISCHIATO LA VITA

Porcella parla cinque lingue e per le sue esibizioni ha girato il mondo maturando una esperienza culturale notevole.
E’ insomma diventato un fenomeno internazionale, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa, Asia, Australia e Sud America.

Ma non basta la passione per l’acqua o per il pericolo tout court. Per arrivare ai suoi livelli ci vuole sì passione e dedizione ma soprattutto un allenamento rigoroso di ore e ore ogni giorno. Una cagliaritano doc che alle acque verde smeraldo della Sardegna ha preferito quelle delle Hawaii, laddove l’adrenalina delle onde da tzunami sono quotidiane.

Molise, crolla cupola della Chiesa. Muore operaio Giuseppe Mancini

Foto bara con morto crollo Molise
(Ansa)

Tragedia a Pietralcatella, piccolo borgo di 1.600 anime in provincia di Campobasso. Un operaio è morto e altri due sono rimasti feriti nel crollo della cupola della Chiesa di Pietracatella (Campobasso) dove sono in corso lavori di ristrutturazione. Sul posto forze dell’ordine e soccorritori. La vittima si chiama Giuseppe Mancini, di 53 anni.

Secondo quanto appreso, i lavori nella Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli erano cominciati da pochi giorni. Ancora non si conoscono le cause. Probabilmente un cedimento improvviso dovute alle crepe apparse dopo il sisma del Molise.

ll crollo ha interessato una cupola laterale della Chiesa che sorge di fronte alla chiesa principale del piccolo centro molisano. Sul posto carabinieri, amministratori e cittadini increduli. L’incidente che ha coinvolto tre operai – un morto e due feriti ora in ospedale a Campobasso – è avvenuto attorno alle 13.20. I lavori rientrano appunto nella ricostruzione post terremoto del Molise, dove la Chiesa era rimasta danneggiata. La ditta edile è di un paese vicino, Gambatesa. Anche gli operai sarebbero della zona del Fortore molisano.

Dopo aver dato la notizia del crollo in consiglio regionale, il presidente del Molise, Paolo Di Laura Frattura si è recato sul luogo dell’ incidente. Con lui anche il consigliere regionale delegato alla Ricostruzione e Protezione Civile, Salvatore Ciocca. Il presidente del Consiglio regionale del Molise, Vincenzo Niro, ha subito sospeso la riunione che è sta aggiornata al 4 agosto.

La vittima, Giuseppe Mancini di 53 anni, e i due feriti, sono tutti di Riccia (Campobasso) paese a poca distanza dal luogo della tragedia. Stavano lavorando da pochi giorni ai lavori per la ristrutturazione della chiesa del paese danneggiata nel sisma che colpì il Molise il 31 ottobre del 2002. I due operai feriti sono stati trasportati all’ospedale Cardarelli di Campobasso.

Erano gravi ma coscienti, sotto choc, chiedevano aiuto”. Così il primo soccorritore del 118 arrivato alla chiesa a proposito delle condizioni dei due operai feriti. Un terzo non ce l’ha fatta. “C’era tanta polvere, non si vedeva nulla, c’erano calcinacci e due operai che si muovevano appena e chiedevano aiuto mentre una terza persona era immobile e non parlava. Appena abbiamo sentito il rumore siamo subito entrati e abbiamo visto che era crollata una volta nella parte destra dell’ edificio delle chiesa”, ha raccontato un testimone entrato subito appena sentito il boato. Il comune di Pietracatella dista una ventina di chilometri da Campobasso, nel Basso Molise, ai confini con la provincia di Foggia. Conta 1.600 abitanti.

Roma, nasce la nuova Giunta Marino. Causi sarà il vice

combo - Il sindaco Marino al centro con i nuovi Assessori - Roma, nasce la nuova Giunta Marino. Causi sarà il vice
Il sindaco Marino al centro con i nuovi Assessori

Alla fine la nuova Giunta Marino c’è. Il rimpasto è stato fatto con un rimescolamento di deleghe. Ignazio Marino dopo tante “lasciti” (e pressioni) ha riconfigurato il suo esecutivo tenendo conto di equilibri politici e competenze. Nella maggioranza non si sarà più Sel, che garantirà però l’appoggio esterno.

Marino l’ha presentata sottolineando che ora gli obiettivi sono “decoro, pulizia, mobilità e casa”. Adesso “Ci giudichino da ciò che facciamo”, dice il primo Marino presentando la giunta.

C’è il senatore pro Tav che va all’assessorato ai Trasporti, Sefano Esposito che ha accettato di buon grado questa nuova sfida in Campidoglio.

Poi altre “new entry” come Marco Causi (vice), Marco Rossi Doria e Luigina Di Liegro. “C’e’ stata una ricostituzione della nostra Giunta” ha esordito il primo cittadino intervenendo nell’Aula Giulio Cesare. Il neo vicesindaco di Roma Marco Causi prende la delega al Bilancio, alla razionalizzazione della spesa e al personale.

Il senatore del Pd Stefano Esposito si occuperà di Trasporti e mobilità. Marco Rossi Doria avrà in mano le deleghe Lavoro e formazione professionale, Politiche educative scolastiche e giovanili e di Sviluppo delle periferie. Luigina Di Liegro sarà assessore alle Politiche del Turismo, della qualità della vita e al dialogo interreligioso.

Nuova giunta Marino con valzer di deleghe che passano di mano in mano: l’assessore alla Cultura Giovanna Marinelli perde la delega al Turismo e acquisisce Sport (in precedenza in mano all’ex assessore Paolo Masini), il titolare dell’Urbanistica Giovanni Caudo prende la delega ai rapporti con l’assemblea capitolina, di cui si occupava prima l’assessore Guido Improta.

Maurizio Pucci, alla guida dei Lavori Pubblici, guadagna la delega alle Periferie di cui si occupava prima l’ex vicesindaco Luigi Nieri. Una delega in più anche per il magistrato in prestito al Campidoglio Alfonso Sabella: da oggi si occuperà anche di Polizia locale – delega in mano prima al sindaco Marino.

La nuova giunta Marino con i nuovi assessori
La nuova giunta Marino con i nuovi assessori

“Sto aspettando la telefonata di Marino, non appena la nomina verrà formalizzata mi rimboccherò le maniche e inizierò a lavorare per i romani”. Lo afferma all’Ansa Stefano Esposito, il senatore piemontese che il sindaco di Roma Ignazio Marino ha scelto come assessore ai Trasporti della sua nuova giunta. “Il primo obiettivo sarà quello di ridurre i disagi per i cittadini – sottolinea -. Non tocca a loro pagare”. Si verà se la nuova Giunta Marino sarà all’altezza dei compiti, e delle aspettative del premier segretario Pd, Matteo Renzi che proprio stamane in una lettera al messaggero aveva dato una sorta di aut aut al primo cittadino: “Dia un segnale, faccia proposte concrete senza manovre di basso cabotaggio”, ha detto senza peli.

Sui trasporti recentemente c’era stata una bufera nella Capitale per via di disagi e rallentamenti al punto che il sindaco Marino ha azzerato tutti i vertici dell’Atac e anticipato le dimissioni di Improta che le aveva già annunciate.

Renzi dà l'ultima chance a Marino: "O dai un segnale oppure…"

Matteo Renzi e Ignazio Marino (Foto Omniroma)
Matteo Renzi e Ignazio Marino (Foto Omniroma)

A Matteo Renzi non sono proprio piaciute le inchieste giornalistiche dei giornali stranieri sul degrado di Roma. La Capitale deve poter essere un biglietto da visita di efficienza e pulizia. Quelle immagini sul New York Times che immoratalavano bidoni di spazzatura che tracimavano in centro, sono una “ferita” per i romani, si pensi per chi volesse venire in vacanza a Roma o agli investitori stranieri. No, “Roma non merita questo”.

A Ignazio Marino, il premier segretario del Pd lo aveva già avvertito: “Se sossi in Marino, non starei tanto trantuillo”, facendo capire che è pronta la lettera di “sfratto” qualora non si fosse dato una mossa per “amministrare bene”. Un segnale che dopo gli scandali su Mafia Capitale non sono arrivati. Sommerso da mille problemi, non solo da carte e rifiuti, come la retata della procura di Roma in Campidoglio e le dimissioni di importanti esponenti, come il vicesindaco Nieri, l’assessore alla mobilità Improta e l’assessore al Bilancio Scozzese.

Un segnale che martedi 28 luglio Renzi, in concomitanza con la presentazione della nuova giunta, richiede al sindaco Marino. Con una lettera al Messaggero il premier lo invita a darlo, quel segnale, perché, dice, come governo “noi siamo pronti, siamo pronti per il Giubileo, pronti per le olimpiadi, le infrastrutture” e altre cose. “Vorrei che dal comune arrivassero proposte non polemiche a distanza”.

“Da qualche giorno – esordisce Renzi – una parte rilevante dei mezzi di comunicazione attende dalla Segreteria Nazionale del PD una parola definitiva sul caso Roma. Si dice: tocca a Largo del Nazareno – o addirittura a Palazzo Chigi – decidere il futuro del Campidoglio.

Matteo Renzi con Ignazio Marino
Matteo Renzi con Ignazio Marino

“Ignazio Marino – prosegue il presidente del Consiglio – sa che il Pd sta facendo tutti gli sforzi per dargli una mano. E sa che il Governo è pronto a continuare a collaborare con dedizione e tenacia. Adesso tocca a lui però presentare progetti credibili e concreti, dalla visione strategica fino alle buche per le strade o alla pulizia dei tombini quando piove”. Insomma, “Decida l’Amministrazione Comunale su quali progetti coinvolgere i cittadini e chiamare a raccolta le Istituzioni, a cominciare dalla Regione, il cui Presidente già in più occasioni si è mostrato sensibile e attento”.

Il segretario del Pd ricorda che “Roma ha eletto un Sindaco, appena due anni fa. A lui oneri e onori. Il Pd capitolino, ben guidato in questa fase di commissariamento da Matteo Orfini, ha un obiettivo unico e semplice: dare una mano a Roma. Non ci interessa puntellare una Giunta, fare un rimpasto, scambiare poltrone”, scrive Renzi.

“Tocca al Sindaco, adesso, nessuno può sostituirsi. Se ne sarà capace, avrà il nostro appoggio”. “Noi ci siamo. Siamo pronti sul Giubileo, siamo pronti sulle Olimpiadi, siamo pronti sulle infrastrutture, siamo pronti sulle periferie, siamo pronti sulle aziende partecipate. Purché dal Comune arrivino proposte, non polemiche a distanza”, sottolinea Renzi.

“Siamo disponibili a verificare i progetti che la città vorrà proporci, siamo pronti a studiare tutte le soluzioni praticabili per rilanciare Roma. Ma il Sindaco dia un segnale! E si interrompano una volta per tutte le manovre di piccolo cabotaggio figlie di una cultura politica vecchio stampo, che dovrebbe essere superata”, afferma il premier.

Oggi è il gran giorno del rimpasto dopo le defezioni delle ultime settimane. Per Marino è l’ultima chance che il premier segretario gli concede. Non sarà un reset totale, dovrà sostituire i dimissionari Luigi Nieri, che ricopriva la carica di vicesindaco, Guido Improta, assessore “renziano” ai Trasporti e dell’ultima uscita di scena Silvia Scozzese, “lady dei conti” del Campidoglio, che ha lasciato per i “troppi affidamenti diretti sugli appalti”. Secondo indiscezioni dell’Ansa, il deputato del Pd Marco Causi, salvo colpi di scena dell’ultima ora, dovrebbe diventare il nuovo numero due di Palazzo Senatorio prendendo la delega al Bilancio – compito che ha già svolto sul colle capitolino sotto la giunta Veltroni.

Di trasporti dovrebbe occuparsi Anna Donati, con alle spalle l’esperienza da assessore alla Mobilità sia a Bologna che a Napoli. Mentre la delega alla Periferie potrebbe andare alla “new entry” Marco Rossi Doria, già sottosegretario all’Istruzione con i governi Monti e Letta. Da oggi inizia, tra l’altro, in Campidoglio una “minimaratona” in assemblea capitolina per dare l’ok entro il 31 luglio all’assestamento al bilancio 2015. I numeri sembrano esserci e di certo Marino non avrà problemi a superare lo scoglio, l’unico, quello del Bilancio, che se non si supera si va tutti a casa.

Omicidio Scazzi, confermato ergastolo per Cosima e Sabrina Misseri

Cosima Serrano, la vittima Sarah Scazzi e Sabrina Misseri (Ansa)
Cosima Serrano, la vittima Sarah Scazzi e Sabrina Misseri (Ansa)

La Corte di Assise di appello di Taranto ha confermato la condanna all’ergastolo nei confronti di Cosima Serrano e sua figlia Sabrina Misseri per l’omicidio di Sarah Scazzi, la 15enne di Avetrana (Taranto) strangolata e gettata in un pozzo il 26 agosto 2010. La sentenza è stata emessa dopo tre giorni di camera di consiglio.

La Corte d’assise d’appello di Taranto ha confermato la condanna a otto anni di reclusione per Michele Misseri, marito di Cosima Serrano e padre di Sabrina, per concorso in soppressione di cadavere. Durante l’inchiesta Michele Misseri si era in un primo momento autoaccusato del delitto.

Un mese e mezzo fa, il 12 giugno, nella stessa aula Sabrina riuscì solo a dire “Non l’ho uccisa, so io quanto sono addolorata” per poi scoppiare a piangere senza riprendere più la parola.

Sarah, dalla scomparsa al ritrovamento del corpo: i 42 giorni che sconvolsero un paese fino a scoprire la tragedia

Sarah Scazzi scompare nel nulla ad Avetrana (Taranto) tra le 13.45 e le 14.30 del 26 agosto 2010. Sarebbe dovuta andare al mare con la cugina Sabrina, ma le sue tracce si perdono prima di arrivare a casa Misseri dopo essere stata vista da alcuni testimoni percorrere il breve tratto di strada (poche centinaia di metri) che separano la sua abitazione dalla villetta in via Deledda.

Quattro giorni dopo la scomparsa si comincia a mobilitare un gruppo su Facebook per cercare di trovarla. Il 31 agosto gli investigatori cominciano ad avvalorare l’ipotesi di un rapimento, tanto che in paese amici e conoscenti affiggono manifesti con la foto della quindicenne. Il 2 settembre il sindaco di Avetrana, Mario De Marco, lancia un appello: “Chi sa qualcosa di Sarah parli”.

Il 6 settembre torna a farsi avanti l’ipotesi di un allontanamento volontario per alcune frasi di Sarah tratte dal web e dal diario; nello stesso giorno la mamma di Sarah, Concetta Serrano, rivolge un appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano perché ritrovino sua figlia. Tre giorni dopo il Capo dello Stato assicura il massimo impegno nelle ricerche; quella sera in paese si tiene una fiaccolata. Per sensibilizzare l’opinione pubblica si mobilita anche il mondo del calcio.

Il 12 settembre uno striscione viene mostrato in campo prima della partita Lecce-Fiorentina. Il 29 settembre Michele Misseri, zio di Sarah e padre di Sabrina, riferisce di aver trovato il cellulare della ragazza in un campo; il giorno dopo la cugina Sabrina viene ascoltata a lungo dagli inquirenti.

Il primo ottobre il procuratore di Taranto commenta in modo lapidario il ritrovamento del cellulare: “Non credo a coincidenze quando sono troppe”. Il 2 ottobre, da un sit-in di compagni di classe di Sarah, spuntano storie di dissidi tra Sarah e la cugina. Gli investigatori cominciano a sospettare concretamente che sia accaduto qualcosa tra Sarah e la famiglia Misseri.

Il 6 ottobre, nella caserma del comando provinciale dei carabinieri a Taranto, c’è un interrogatorio fiume per Michele Misseri, la moglie Cosima Serrano, e la figlia maggiore, Valentina. L’uomo alla fine crolla e confessa: nelle campagne di Avetrana si cerca il cadavere di Sarah.

I resti della ragazzina vengono individuati, in un pozzo-cisterna in contrada Mosca, nella notte tra il 6 e il 7 ottobre 2010, esattamente 42 giorni dopo la scomparsa della 15enne. Michele Misseri si accusa del delitto, dicendo di aver strangolato la nipote in garage.

Ma il 15 ottobre successivo chiama in correità la figlia minore, Sabrina, che viene arrestata, e il 5 novembre la accusa di aver ucciso Sarah, confermando questo nel successivo incidente probatorio. Alla fine del 2010 Michele Misseri torna in varie forme ad accusarsi del delitto, ma gli investigatori non credono alle sue diverse versioni e nel frattempo raccolgono indizi anche sulla moglie dell’agricoltore e madre di Sabrina, Cosima Serrano, che viene arrestata il 26 maggio 2011, accusata di concorso in omicidio e sequestro di persona.

Caso Crocetta, indagati i giornalisti dell'Espresso: "Calunnia e Falso"

Da sinistra il giornalista de l'Espresso Piero Messina e il governatore della Regione Sicilia Rosario Crocetta
Da sinistra il giornalista de l’Espresso Piero Messina e il governatore della Regione Sicilia Rosario Crocetta

La brutta storia della presunta intercettazione pubblicata dal settimanale l’Espresso, che ha creato una settimana al cardiopalma al governatore siciliano Rosario Crocetta e non solo, avrà più risvolti legali e giudiziari. L’ultima in ordine è che la Procura di Palermo ha indagato i due giornalisti della testata, Piero Messina e Maurizio Zoppi per calunnia e pubblicazione di notizie false.

Gli autori dell’articolo del 16 luglio scorso, avevano scritto, sulla base di un presunto audio di intercettazione, il dialogo tra Matteo Tutino e il governatore della Sicilia Rosario Crocetta in cui il primo diceva al secondo che Lucia Borsellino, figlia del magistrato Paolo, ucciso dalla mafia nel 1992, “va fermata e deve fare la fine di suo padre”.

Un dialogo che però non ha avuto riscontri concreti. Più Procure della Repubblica, tra cui Palermo (il procuratore Francesco Lo Voi ha smentito due volte, ndr), Caltanissetta e Messina hanno smentito categoricamente che non esistono tracce di intercettazioni riguardanti quella frase.

 

Il giornalista Messina è indagato per calunnia e pubblicazione di notizie false, mentre Zoppi soltanto per questo secondo reato. Entrambi, sentiti dai pm in presenza dell’avvocato Fabio Bognanni, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Crocetta, che in una intervista a “La Zanzara” ha ammesso che in seguito alla pubblicazione dell’articolo, era in procinto di suicidarsi, ha chiesto al settimanale un risarcimento di 10 milioni di euro per diffamazione sostenendo di essere vittima di un “complotto” e di “dossieraggi” allo scopo di defenestralo.

L’Espresso, dal canto suo, attraverso il suo direttore Luigi Vicinanza, ha sempre ribadito l’esistenza dell’intercettazione sostenendo la correttezza del lavoro dei due cronisti. Intercettazione audio che al momento non sono riusciti a dimostrare di avere.

I giornalisti de l’Espresso, Messina e Zoppi, sono stati pertanto iscritti nel registro degli indagati per diffusione di notizia falsa. Piero Messina risponde del reato più grave, ossia di calunnia, perché avrebbe indicato come fonte della notizia un investigatore “autorevole” che avrebbe, invece, negato di avergliela mai riferita. Il Csm ha anche chiesto sulla vicenda una relazione alla procura di Palermo.

Fmi: "20 anni per arrivare al 2007". Italia in Povertà fino al 2035

FMI: ITALIA IN "POVERTA'" PER ALTRI 20 ANNI - Un anziano fruga tra i rifiuti a Roma
FMI: ITALIA IN “POVERTA'” PER ALTRI 20 ANNI – Un anziano fruga tra i rifiuti a Roma. (Ansa/Montani)

Italia all’anno zero. Per arrivare al “benessere” del 2007, ossia agli anni pre-crisi, ci vorranno almeno 20 anni. I giovani di oggi saranno costretti a fare le valigie con una situazione di buio totale come quella prospettata dal Fondo monetario internazionale le cui stime superano di gran lunga quelle realizzate finora da analisti, associazioni di categoria e della stessa Commissione europea la quale aveva stimato la piena uscita dalla crisi nel lontanissimo 2023. L’Italia è destinata in sostanza a rimanere in “povertà” per due lunghi lustri, mentre la Finanza corre, muta e influenza in un meno di un minuto trasferendo con un click centinaia di miliardi di euro da un continente all’altro. Paese azzerato e condannato a vivere nell’indigenza, da parte della Troika, che ha cancellato il futuro dei giovani e la legittima aspirazione a vivere dignitosamente.

“Senza una significativa accelerazione della crescita, ci vorranno 10 anni alla Spagna e quasi 20 anni a Portogallo e Italia per ridurre il tasso di disoccupazione ai livelli pre-crisi”, scrive il Fondo monetario internazionale nell’Articolo IV per l’area euro, sottolineando che la disoccupazione nell’area euro è “alta e “probabilmente lo resterà per del tempo”. Appunto per 20 anni, almeno, quando i giovani di oggi saranno quasi nella terza età. E andrà molto peggio con le stime di crescita dello zero virgola che dicono sia dal Tesoro che “autorevoli” istituti statistici. L’Italia è ferma in questa Ue. Non cresce e subisce la crescita degli altri. Un quadro disastroso, che smorza ogni ambizione, di gran lunga peggiore di quello emerso nel primo e secondo dopoguerra.

La ripresa nell’area euro, dicono si stia rafforzando, con il Pil che accelererà dal +1,5% del 2015 al +1,7% del 2016: i rischi all’outlook sono più bilanciati ma restano vulnerabilità. La crescita potenziale, stimata all’1% nel medio termine, è bassa per ridurre la disoccupazione. Il ridotto potenziale di crescita aumenta i rischi di stagnazione. Il quantitative easing della Bce funziona: “ha migliorato la fiducia, le condizioni finanziarie e aumentato le aspettative di inflazione”, scrive ancora il Fmi, evidenziando che l’area euro deve adottare un approccio ampio per rafforzare la domanda interna soprattutto nei paesi in surplus; pulire i bilanci delle banche; e accelerare nelle riforme strutturali per aumentare le produttività e rafforzare la governance economica”.

Per il Fondo monetario guidato da Lagarde l’Italia deve “aumentare l’efficienza del settore pubblico e migliorare quella della giustizia civile”. Ma, la raccomandazione è simile a quella fatta alla Grecia: “Migliorare la flessibilità del mercato del lavoro e aumentare la concorrenza nei mercati dei prodotti e dei servizi”. E’ necessario, secondo il Fondo monetario, “adottare e attuare la prevista riforma della Pubblica amministrazione che dovrebbe includere riforme all’approvvigionamento dei servizi pubblici locali, delle gare pubbliche e della gestione delle risorse umane”.

L’Fmi chiede all’area euro “di usare, se necessario, tutti gli strumenti disponibili per gestire i rischi di contagio che potrebbero partire dalla Grecia”. “Anche se la reazione del mercato al recente passaggio del pacchetto di riforme in Grecia è stata positiva, ulteriori episodi di significativa incertezza e volatilità dalla situazione” greca “non possono essere esclusi”.

“Gli strumenti a disposizione dell’area euro sono adeguati per affrontare un possibile contagio nel breve termine dalla Grecia” anche se “non ci aspettiamo un reale contagio” e questo anche perche’ l’esposizione diretta alla Grecia degli altri paesi dell’area euro e’ limitata, afferma il Fmi, invitando a completare l’unione bancaria.

“Gestire il potenziale contagio dalla Grecia richiederà azioni tempestive ed efficaci” mette in evidenza il Fmi, precisando che l’impatto potenziale del contagio è più basso rispetto ad alcuni anni fa, riflettendo in parte” le misure messe in campo dalla Bce. “La situazione in Grecia – scrive ancora il Fondo monetario internazionale “è fluida ma resta fonte di incertezza. Per gestire i rischi di contagio, la politica deve essere pronta a usare, e se necessario adattare, l’intero arsenale di strumenti disponibili. La Banca centrale europea deve assicurarsi che le banche continuino ad avere accesso a un’ampia liquidità. Se le condizioni finanziarie” peggiorassero la Bce dovrebbe “considerare un ulteriore allentamento della politica monetaria con l’espansione del programma di acquisto di asset”. L’area euro ha una maggiore capacità di gestire i rischi potenziali dalla Grecia”, paese oramai condannato a vivere nel terzo mondo per almeno 60 anni. Neanche al Nazismo sarebbe riuscita una simile e raffinata operazione di ingegneria finanziaria di questa portata.

Mattarella: "Determinati per i Marò, Dall'Oglio e rapiti in Libia"

Il capo dello Stato Sergio Mattarella all'incontro con gli ambasciatori
Il capo dello Stato Sergio Mattarella all’incontro con gli ambasciatori (Ansa/Lami)

Il nostro Paese si batterà con “determinazione” per una soluzione positiva dei Marò, per la liberazione di padre Paolo Dall’Oglio e dei 4 italiani rapiti in Libia. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella Italia lo afferma nel suo discorso alla XI conferenza degli Ambasciatori che lunedi è martedi vedrà impegnati alla Farnesina 134 capi missione sul tema “Diplomazia per l’Italia”.

“Il nostro paese – ha detto Mattarella – sarà prima linea nella lotta al terrorismo e contro l'”oscurantismo” dell’Isis e massimamente impegnata per riportare a casa i quattro tecnici italiani rapiti in Libia e anche per padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato in Siria nel 2013″. L’Italia “si batterà anche “con determinazione” per la soluzione della vicenda dei marò, ha ribadito il capo dello Stato che – il giorno dopo lo scontro a distanza tra l’India, che si oppone all’arbitrato e Italia, che con la Farnesina ha fatto sapere che “L’Italia farà valere le sue ragioni” in merito alla vicenda dei fucilieri – interviene per lanciare un messaggio distensivo ma anche di determinazione per una “soluzione positiva” dei militari ormai nelle mani dell’India da circa tre anni e mezzo.

Nel suo discorso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella riafferma che il terrorismo fondamentalista è “un fenomeno grave che va affrontato in modo giusto. Con fermezza e determinazione, respingendo le pulsioni islamofobiche”. “L’Italia – ha evidenziato – è al fianco dei Paesi che, sull’altra sponda del Mediterraneo, sono in prima linea nella lotta contro l’oscurantismo e l’inciviltà”. “L’impegno italiano resta massimo” per ottenere la liberazione dei quattro tecnici italiani rapiti in Libia e anche per padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato in Siria nel 2013 e per cui anche domenica Papa Francesco ha lanciato un accorato appello per la sua liberazione.

“L’Italia – ha detto il capo dello Stato Mattarella – è un Paese pronto a proteggere i propri cittadini e che intende continuare a battersi con determinazione” per la liberazione dei due marò. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che conferma “l’impegno del governo per difendere le ragioni dei Marò Massimiliano Latore e Salvatore Girone nelle sedi internazionali che abbiamo deciso di attivare”, ossia il tribunale del Mare con sede ad Amburgo dove l’Italia ha proposto un arbitrato e su cui c’è stata la netta opposizione dell’India.

Testimoni di giustizia, una proposta per non lasciarli soli

La Presidente Commissione Antimafia Rosy Bindi - Testimoni di giustizia pdl presentata da Commissione Antimafia
La Presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi (Ansa/Lami)

Testimoni di giustizia mai più soli. Sono molti i casi in Italia, di testimoni che hanno con coraggio denunciato clan e organizzazioni mafiose salvo poi ritrovarsi isolati e facili “prede” della ‘ndrangheta. Vulnerabili. Con una proposta di legge ad hoc, non dovrebbe più sentirsi isolato il testimone di giustizia che denuncia i propri aguzzini.

Almeno sembra essere questo lo spirito della proposta ultimata e consegnata alla presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi la Pdl per i testimoni di giustizia, ossia coloro che denunciano racket, pizzo, omicidi, estorsioni, e qualunque attività illecita a loro danno o a danno della società.

A darne notizia è il coordinatore del V° Comitato dell’Antimafia che si occupa di testimoni, collaboratori e vittime di mafia, Davide Mattiello (Pd).

La proposta di legge è frutto della relazione approvata all’unanimità dalla Commissione Antimafia nell’ottobre del 2014. Saranno definiti in maniera più rigorosa i criteri di accesso alle misure speciali, saranno certi i tempi e le modalità di uscita dalle misure speciali ma soprattutto le misure speciali saranno confezionate addosso al testimone e ai suoi familiari “come un abito sartoriale” per evitare danni e traumi.

Per questo, spiega Mattiello, si propone, tra l’altro, di istituire la figura del “referente per il testimone” e il Comitato di sostegno: “strumenti per prevenire il più possibile contenziosi amministrativi tra testimoni e ministero dell’Interno.

Insomma, commenta Mattiello – una proposta rigorosa, che aumenta la qualità della vita dei testimoni di giustizia e il contenimento dei costi di protezione”.

Il deputato Pd, , che dedica questo atto parlamentare a Rita Atria, giovanissima e coraggiosa testimone di giustizia morta il 26 luglio 1992, perchè, spiega, “nessun testimone di giustizia debba mai più sentirsi così solo”, ringrazia per questo lavoro i consulenti della Commissione Antimafia e il particolare la dottoressa Marzia Sabella.

“Auspico – conclude Magttiello – che la proposta di legge, che la presidente Bindi presenterà prima di tutto ai membri della Commissione, possa essere firmata da tutti i commissari e presentata sia alla Camera che al Senato. Auspico che presto ci si possa confrontare con il Governo che a maggio 2014 ha istituito un tavolo tecnico sulla medesima materia”.

L’assenza di un apposito strumento, di tutela verso i testimoni di giustizia, ha in qualche modo reso “meno agevole” per la vittima di abusi mafiosi di denunciare proprio per i timori di essere poi lassciati soli e abbandonati dallo Stato.

Reggio Calabria, Genova ucciso con la roncola. Killer: "Mi vessava"

Omicidio a Palizzi Marina nel riquadro la vittima Antonio Genova.
Omicidio a Palizzi Marina (RC). Nel riquadro la vittima Antonio Genova.

Avrebbe agito dopo “esasperanti vessazioni” Francesco Ferraro, 41 anni, presunto autore dell’agghiacciante omicidio di Antonio Genova di 50 anni, ucciso domenica sera a colpi di roncola.

L’omicidio si è consumato sulla Statale jonica 106 intorno alle 19:45 di domenica sera, quando dopo l’ennesima lite la vittima è stata prima investita col suv di proprietà di Ferraro e poi finita mortalmente con il corpo contundente. Un omicidio – secondo gli investigatori accorsi sul posto, insieme al magistrato di turno – definito di”estrema ferocia”.

Dopo una breve caccia all’assassino, alla stazione dei Carabinieri di Locri si è costituito in serata il presunto assassino Francesco Ferraro, commerciante della zona. I militari dell’Arma lo hanno fermato con l’accusa di omicidio. Già martedi prossimo il Gip potrebbe convalidare il suo arresto.

La vittima Antonio Genova
La vittima Antonio Genova

Secondo le prime ricostruzioni fatte dai Carabinieri della Compagnia di Bianco e del Gruppo di Locri, coordinati dalla Procura di Locri, il movente sarebbe riconducibile a dissidi privati. Non è ancora chiaro se Antonio Genova e Francesco Ferraro abbiano avuto nel pomeriggio una violenta lite culminata poi in serata con l’atroce delitto sull’arteria jonica. Omicidio maturato per dissapori personali che andavano avanti da “troppo tempo”. “Mi vessava, non ce la facevo più e sono andato fuori di senno”, avrebbe detto l’omicida in caserma.

Genova, residente a Milano, sembra stesse facendo footing verso le 19.30. Avvicinato dal Suv di Ferraro, c’è stato l’ennesimo diverbio. A quel punto Ferraro, secondo alcuni testimoni avrebbe detto: “Ora basta, ti ammazzo”. Scattata la molla dell’ira ha innestato la marcia e l’ha prima investito violentemente, poi è sceso dall’auto ha preso nel cofano la roncola e ha colpito più volte Genova al torace e alla testa. Inutili i soccorsi. L’uomo è deceduto durante il trasporto in ospedale.

Da quanto appreso, subito interrogati dalle forze dell’Ordine, hanno dato modo di risalire al presunto killer. Sentitosi braccato, Ferraro si è costituito alla locale stazione dei Carabinieri che ha disposto il fermo. Il presunto assassino, secondo gli investigatori, starebbe collaborando.

Gli inquirenti vogliono capire quale sia esattamente il motivo dell’omicidio. Se le presunte “vessazioni” da parte di Genova erano dovute a “screzi” e antipatie personali oppure a qualcosa di più grosso, tipo denaro dato in prestito o a debiti di gioco. Non si esclude nessuna pista, nemmeno quela passionale. Gli inquirenti stanno scavando nel passato di entrambi per capire il vero movente che ha spinto Ferraro a tanta ferocia.

Mps, Profumo rassegna le dimissioni da presidente

Alessandro Profumo, ha rassegnato le dimissioni da presidente e membro Cda Mps
Alessandro Profumo, ha rassegnato le dimissioni da presidente e membro Cda Mps

Il presidente del Monte dei Paschi di Siena (Mps), Alessandro Profumo ha rassegnato le proprie dimissioni da presidente e membro del Cda come previsto a far data dal 6 agosto prossimo, data in cui il Consiglio d’amministrazione procederà all’approvazione della semestrale. Lo rende noto la società in una nota.

“Profumo”, dopo “tre anni intensi passati alla guida della banca”, si dedicherà in futuro ad attività imprenditoriali. Il banchiere ha ringraziato i dipendenti della banca Mps “per gli importanti risultati ottenuti, resi possibili – si legge nella nota – dalla collaborazione, dalla passione e dal senso di appartenenza che tutti loro hanno sempre dimostrato”, nonché l’amministratore delegato, Fabrizio Viola, e i componenti del cda e del collegio sindacale “che non hanno mai fatto mancare la loro fiducia e il loro sostegno”.

A loro e all’istituto senese, Profumo rivolge “il più sincero ringraziamento per il proficuo lavoro svolto insieme e i migliori auspici per un futuro pieno di successi”. L’intero Cda e il collegio Sindacale di Mps “esprimono i più sentiti ringraziamenti” al banchiere.

Marò, scontro India Italia. Farnesina: "Ci faremo valere"

I marò Massimiliano Girone e Salvatore Latorre
I marò Massimiliano Girone e Salvatore Latorre

Marò, è scontro a distanza tra India e Italia. La Farnesina in una nota replica al paese asiatico che si era opposto all’arbitrato proposto dall’Italia.

“L’Italia farà valere con determinazione le sue ragioni”. E’ questa la reazione del ministero degli Esteri italiano alle dichiarazioni del magistrato Narshima secondo cui New Delhi si opporrà alle richieste dell’Italia davanti al tribunale di Amburgo. “L’obiettivo è trovare una soluzione positiva della vicenda dei due fucilieri Latorre e Girone”, spiegano fonti della Farnesina.

La Farnesina entra così in campo per replicare all’India che aveva fatto sapere di opporsi alla richiesta di arbitrato presentato dall’Italia al Tribunale Internazionale del diritto del mare di Amburgo (Itlos) sul caso due fucilieri italiani appartenenti alla Nato, Salvatore Latorre e Massimiliano Girone, alla prima udienza fissata per il 10 agosto.

Lo aveva dichiarato il procuratore aggiunto generale P.S Narsimha, che rappresenterà New Delhi di fronte al tribunale di Amburgo. Narshima ha anticipato che “contesteremo a tribunale dell’Itlos la sua stessa giurisidzione (titolarità a decidere, ndr) perchè solo l’India ha la giurisdizione di perseguire crimini avvenuti nel Paese”. Sebbene il “presunto crimine” sia stato commesso in acque internazionali su una nave battente bandiera italiana, che per le leggi della navigazione “è territorio sovrano” dello Stato che issa quella bandiera.

Non solo. L’india “contestera all’Italia anche di non aver esperito tutte le procedure legali previste dalla legge indiana, prima di invocare la giurisdizione dell’Itlos, che per New Delhi è solo uno dei quattro forum che possono valutare dispute internazionali.

L’India contesterà anche che non ci sono circostanze convincenti per autorizzare qualsiasi misura provvisoria”, quali il ritorno di Girone in Italia e la permanenza per tutta la durata dell’arbitrato di Latorre nel nostro Paese come chiesto da Roma.

In serata la nota del ministero degli Esteri in cui si afferma che per la vicenda dei due fucilieri “L’Italia farà valere con determinazione le sue ragioni”.

Sui due marò si sono succeduti tre governi, ma la questione, nonostante i proclama nel tempo, è rimasta immutata. Ostaggi della diplomazia e, forse, dall’incapacità di affrontare il caso con meno politichese e maggiore determinazione.

Il 15 febbraio 2012 i due marò, fucilieri della Marina Italiana (quindi della Nato) erano a bordo della petroliera italiana “Enrica Lexie” in acque internazionali, a largo dell’India, quando avrebbero aperto il fuoco contro un peschereccio provocando due morti. Il comandante della nave, con l’inganno è stato fatto approdare nel porto indiano di Kochi e da li sono stati tratti in arresto i due militari per il presunto omicido. Grossolani gli errori dell’allora ministro della Difesa Di Paola che diede l’ordine di far attraccare la nave al porto pur trovandosi in acque internazionali su una nave battente bandiera italiana.

I due marò hanno sempre sostenuto di essersi difesi da un attacco di pirateria. Fatti tornare in Italia, dietro la promessa di un rientro in India, l’allora governo Monti, sotto i “consigli” dell’ex ministro Corrado Passera e con la contrarietà del titolare della Farnesina, Giulio Terzi di Sant’Agata, i fucilieri furono rispediti nell’inferno indiano quando tutta la vicenda poteva essere gestita in modo legittimo dalla procura di Roma, che li avrebbe presi in custodia. Solo un ictus, permise a Salvatore Latorre di rientrare in patria per curarsi, mentre Massimiliano Girone rimane trattenuto “a garanzia” del rientro di Latorre.

Dopo quasi tre anni e mezzo di tempo la questione non è ancora stata risolta. Si sono succeduti tre governi e il primo impegno di ogni esecutivo è stato quello di adoperarsi per il “rientro immediato” dei due marò. Anche l’alto rappresentante dell’Ue per gli affari Esteri, l’italiana Federica Mogherini, ha sempre fatto bei annunci, ma senza frutti concreti. Lavorano le diplomazie ma con risultati prossimi allo zero. I due fucilieri sono su tutto, prigionieri della loro incapacità.

Roma, Marino sempre più solo. Lascia Scozzese: "Brutto clima"

Ignazio Marino con l'ex assessore al Bilancio Silvia Scozzese
Ignazio Marino con l’ex assessore al Bilancio Silvia Scozzese

Il sindaco di Roma Ignazio Marino tra inchieste giudiziarie e gesti più o meno spontanei, sta rimanendo isolato. Dopo le clamorose dimissioni del vicesindaco Luigi Nieri, il caso dell’assessore alla mobilità (e l’azzeramento dei vertici Atac), Guido Improta, dimissionato da Marino dopo che lo stesso assessore aveva già annunciato la volontà di dimettersi, Ignazio Marino perde un altro importante pezzo. Si tratta dell’assessore al Bilancio Silvia Scozzese.

La Scozzese in una lettera indirizzata al sindaco della Capitale afferma che pure sono state compiuti passi in avanti rispetto al quadro ereditato, ma “da un po’ di tempo, tuttavia, registro l’affievolimento di questa azione ed il compimento di scelte che a me appaiono in contraddizione con le finalità che insieme ci eravamo dati.”

Detto questo, è l’altro passaggio critico nei confronti di Marino la Scozzese sottolinea che gli ha “rappresentato le mie perplessità e il mio fermo dissenso su scelte che reputo non opportune e non utili per il raggiungimento di risultati efficaci, e questo ha determinato un clima nel quale l’Assessore al Bilancio sembra essere diventato l’ostacolo principale al compimento delle scelte amministrative.” Parla di continua “pratica degli affidamenti diretti”.

E in una intervista a “Il Messaggero”, a chi gli fa notare che questi erano i metodi usati da Buzzi e Carminati l’ex assessore assicura che il “vero” motivo per cui lascia è il perpetuarsi di quei metodi: “Troppi affidamenti diretti, senza gara”, che tradotto significa che per lavori e appalti, Marino, secondo quanto sostiene l’ex assessore, sarebbe incline a favorire la sua cerchia di “amici” la quale non passerebbe attraverso le “normali” e “trasparenti” procedure di gara. “L’affidamento diretto” è in genere un incarico che si conferisce a una ditta giustificandolo per lavori di somma urgenza, questo farebbe evitare la chiama di almeno tre o cinque concorrenti che dovrebbero di norma essere invitati a partecipare. I lavori andrebbero alla ditta che offre il miglior prezzo. Ma anche in questi casi ci sono in genere dei trucchetti, usati un po’ dappertutto. E’ sufficiente invitare un “cartello” di aziende che fanno capo ad un unico referente e la cosa è fatta.

Quindi le dimissioni della Scozzese sono un altro duro colpo che Marino accusa ma non lo dà a vedere. Freddo e impassibile come un chirurgo in sala operatoria. Marino sa però bene che gli serve più filo per ricucire strappi e ferite che ormai nessuno intende più lasciargli.

“Ringrazio Silvia Scozzese – risponde il Sindaco – per il preziosissimo lavoro svolto, che mi ha aiutato nella mia determinazione di riportare Roma non solo al risanamento dei conti e alla legalità contabile ma anche a disegnare e attuare un piano di rientro del quale sono profondamente orgoglioso”.

Frasi di elogio e circostanza che non si negano a nessuno ma, fa notare Alfio Marchini, Ignazio Marino è un “furbo”. Con la Scozzese “è il secondo assessore al bilancio che sbatte la porta in pochi mesi. Entrambe sono donne preparate e di assoluto rigore morale. La terza donna che sbatté la porta – ricorda Marchini – era l’assessore ai servizi sociali che Marino voleva sostituire con tal Ozzimo, poi arrestato per Mafia capitale… Ma quanto dobbiamo aspettare perché sia evidente a tutti che questo Marino è solo un gran furbone che con cinismo nasconde le sue responsabilità e la sua palese inadeguatezza?”.

“È ormai apparsa la scritta “The End” sul governo del sindaco peggiore che Roma abbia mai avuto. Si dimette un altro Assessore, la Scozzese segue Improta e la Giunta continua a perdere pezzi”, è il duro commento di Davide Bordoni, coordinatore di Forza Italia Roma

Ciò che ora resta a Ignazio Marino è una rimodulazione dell’esecutivo. Gli tocca ricomporre la giunta e c’è che sostiene che entro martedi dovrebbe farcela. Il problema maggiore è rappresentato dal suo partito, il Pd, ossia da Renzi e Orfini che dovrebbero essere i loro interlocutori più prossimi per consultarsi e condividere le scelte. E invece gli fanno guerra.

Renzi lo ha già sfrattato (qualcuno maligna ci sia proprio lui dietro tutte queste dimissioni…), gli altri maggiorenti dem prendono le distanze dopo non solo le inchieste su Mafia capitale, ma soprattutto a seguito delle inchieste dei media internazionali (New York Times) che hanno mostrato a tutto il mondo il “degrado di Roma” sotto la gestione Marino. Per il caos trasporti, si è scusato pubblicamente facendo il mea culpa. Mai il Campidoglio era sotto assedio come oggi.

Napoli, un folle al volante causa due morti tra cui la ragazza Livia Barbato

Le auto dopo lo scontro sulla tangenziale Napoli Agnano dove sono morti una ragazza di 22 anni e un uomo di 48
Le auto dopo lo scontro sulla tangenziale Napoli Agnano dove sono morti una ragazza di 22 anni e un uomo di 48

La follia in carreggiata. E’ di due morti il bilancio di un gravissimo incidente causato da un uomo che si è messo al volante di un’auto ubriaco e ha fatto inversione a “U”, percorrendo ben cinque chilometri contromano sulla tangenziale di Napoli. Poi l’impatto frontale violentissimo con un’altra auto. Sul luogo dell’incidente sono subito intervenuti gli agenti della Polizia Stradale e le ambulanze.

E’ successo nella notte verso le 4:30 sulla Tangenziale di Napoli, ad Agnano. La Renault Clio, guidata da Aniello Mormile, 29 anni, di Pozzuoli, ha un certo punto, ha invertito senso di marcia ed è andata contromano per cinque chilometri a fari spenti e si è scontrata con una Fiat Panda guidata da un uomo di 48 anni, che è deceduto sul colpo.

Accanto a Mormile che ha guidato contromano c’era la sua ragazza, Livia Barbato, di 22 anni, morta dopo che i medici del Cardarelli hanno fatto di tutto per salvarle la vita. Il conducente della Clio, Aniello Mormile è rimasto ferito. Dai rilievi effettuati è risultato positivo all’alcoltest.

Livia Barbato e Aniello Mormile che ha provocato lo scontro. La ragazza è morta insieme al conducente di una Panda
Livia Barbato con Aniello Mormile, l’uomo che ha provocato lo scontro. La ragazza è morta insieme al conducente di una Panda (Facebook)

L’impatto tra la Clio e la Panda è stato molto violento. Secondo quanto ricostruito la Renault a un certo punto si è fermata e ha fatto inversione a U sulla stessa corsia dell Tangenziale di Napoli, ad Agnano. L’uomo che è deceduto sulla Panda, era di Torre del Greco (Napoli) e si stava recando al lavoro.

La concentrazione di alcol nel sangue del conducente della Clio, che ha provocato il grave incidente stradale, è risultato di gran lunga superiore ai limiti consentiti dalla legge. Sono in corso, da parte degli agenti della Sottosezione della Polizia Stradale di Fuorigrotta, ulteriori accertamenti volti a verificare lo stato psicofisico del conducente della Renault Clio ed in particolare se lo stesso avesse fatto uso di sostanze stupefacenti.

La giovane vittima Livia Barbato
La giovane vittima Livia Barbato

Acquisite le immagini registrate dalle telecamere presenti sulla tangenziale per la ricostruzione della dinamica del sinistro. La registrazione video è stata diffusa dalla Polizia di Stato.

Aniello Mormile e Livia Barbato erano spesso insieme. Aniello detto Nello è musicista e organizza dj-set nella nightlife napoletana e flegrea. Livia Barbato frequentava l’Accademia di Belle Arti. Era fotografa raffinata da poco aveva pubblicato il primo scatto su PhotoVogue. Aveva soltanto 22 anni. Lui, ferito ma non è in pericolo di vita.

Da quanto si è appreso sembra che la procura abbia aperto un fascicolo per duplice omicidio colposo, non essendo ancora legge l'”omicidio stradale” in discussione in parlamento che prevede in questi casi, pene fino 18 anni di reclusione se chi provoca l’incidente è in stato di ebbrezza.

Dalila Nesci (M5S) spiega: "Così si muore di Sanità in Calabria"

di Dalila Nesci, portavoce M5S Camera

“Come in Grecia, in Calabria si muore per carenze nella sanità. Qui politica e ‘ndrangheta hanno rovinato il sistema, ma è anche colpa del peso dell’euro, che ha ridotto casse e reparti.

La sanità della Calabria prima del 2010 aveva un bilancio di 3,6 miliardi all’anno. Nei successivi quattro anni sono stati tagliati 400 milioni. Dei fondi destinati alla sanità regionale il 70% se ne vanno in stipendi, il resto in altri capitoli di spesa.

Sapete quanto resta per gli investimenti? Zero. Tutto questo a causa della necessità di raggiungere il pareggio di bilancio. Si tratta di un paradosso suicida, perché senza investimenti non ci sono possibilità di tornare a crescere.

Dal momento che le strutture sanitarie della Calabria troppo spesso non sono in grado di garantire i servizi necessari ai suoi cittadini, la Regione sborsa ogni anno somme ingenti per consentirgli di andarsi a curare all’estero.

Il saldo tra questi fondi e quelli che entrano nelle casse calabresi grazie ai cittadini che vanno a curarsi sul suo territorio è pesantemente negativo: -250 milioni all’anno

All’ospedale di Corigliano (Cosenza) per un ecocardiogramma occorre un anno d’attesa e in Pediatria manca perfino la tachipirina. A Polistena (Reggio Calabria) un caposala mi confessa che addirittura non hanno i soldi per sostituire le maniglie delle porte.

La parlamentare del Movimento 5 Stelle Dalila Nesci
La parlamentare del Movimento 5 Stelle Dalila Nesci

All’ospedale di Crotone il laboratorio analisi, la cui ristrutturazione è ferma da anni, sembra uno scantinato. A Serra San Bruno (Vibo Valentia) hanno in dotazione una sola ambulanza, per cui in caso d’incidente stradale che coinvolga più persone il medico deve scegliere chi caricare a bordo e chi lasciare a terra.

In questo angolo di Sud è perfino un problema far nascere un figlio. Infatti, le terapie intensive neonatali sono state ridotte drasticamente e per le emergenze mancano posti negli ospedali hub.

Ospedale di Corigliano Calabro
Ospedale di Corigliano Calabro

Noi del M5S gli unici a lottare per la giustizia, a denunciare, a chiedere che le autorità intervengano per arginare il crollo di un sistema al collasso, schiacciato da tagli, clientele e illegalità.
Per cercare di tamponare l’emorragia in questi anni in Calabria si si sono succeduti diversi commissari, che hanno solo tagliato posti letto e risorse, dimostrando che la politica dell’emergenza non risolve i problemi alla radice né gli sprechi.

Passano gli anni, cambiano i commissari e continuano i tagli. Il sistema clientelare della politica resta lì, immutabile, come nulla fosse. Un esempio per tutti: recentemente è stato riattivato il punto nascite all’ospedale di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), nonostante fosse stato chiuso a seguito di precise e pressanti disposizioni ministeriali.

Ospedale Annunziata di Cosenza
Ospedale Annunziata di Cosenza

Come mai questa decisione allora? Forse c’entra che Melito Porto Salvo è tra i feudi elettorali di Nico D’Ascola, nel 2014 candidato alla presidenza della Calabria con Ncd, il partito del ministro Lorenzin?

Qui i conti, oltre a essere in rosso, sono anche pazzi e fuori di ogni controllo. Lo scorso anno dall’Asp di Reggio Calabria sono usciti 393 milioni di euro senza che vi siano le relative tracce.

Il commissario della Sanità in Calabria Massimo Scura
Il commissario della Sanità in Calabria Massimo Scura

Non bastasse, manca anche la certificazione ufficiale dell’andamento del debito, che spetterebbe al revisore Kpmg, pagato 3 profumati milioni all’anno. Quasi quattrocento milioni scomparsi nel nulla e nessuno, a parte noi del MoVimento, che abbia alzato un dito contro procedure che di legale non hanno nulla.

Infine, sempre a Reggio Calabria, troviamo lo scandalo “d’eccellenza” della sanità calabrese: il Centro Cuore con la Cardiochirurgia. Una struttura nuova di zecca, pronta per da tre anni ma non ancora aperta; anche, forse, per una storia di conflitto d’interessi nella vecchia direzione generale, dove c’era l’amministratore di una società privata di diagnostica.

Il Centro Cuore di cardiochirurgia di Reggio Calabria
Il Centro Cuore di cardiochirurgia di Reggio Calabria

Il danno erariale, stimato dalla Guardia di Finanza, è di 40 milioni, il danno umano invece è incalcolabile. Oggi in tutta la Calabria esistono due soli altri reparti di cardiochirurgia e si trovano entrambi a Catanzaro.

Adesso il tempo delle vacche da mungere in Calabria è finito, insieme ai soldi. Per il crollo definitivo della sanità è solo questione di tempo e la Grecia non è mai stata così vicina.”

Turchia prosegue raid contro Isis e Pkk in Siria e Iraq

Un caccia turco impegnato nei raid contro l'Isis
Un caccia turco impegnato nei raid contro l’Isis

Proseguono i raid aerei della Turchia contro lo Stato Islamico in Siria. Per la seconda notte consecutiva i jet turchi hanno attaccato obiettivi dell’Isis al confine con la Siria. Colpiti anche campi dei militanti curdi del Pkk nel nord dell’Iraq. Il bilancio finora è di 35 jiadhisti morti e 290 miliziani Isis arrestati dalla polizia turca.

A una settimana dal sanguinoso attacco deill’Isis a Suruc, dove in un attacco suicida sono morte 32 persone, Erdogan è deciso a fare sul serio contro l’Isis, anche dopo le sollecitazioni del Pkk curdo che criticava Ankara di fare poco o niente contro l’Isis.

Le tensioni di Ankara con i curdi sono salite nei giorni scorsi dopo l’attentato suicida dell’Isis lunedì a Suruc, nel sud-est della Turchia. Sotto i raid aerei sono finiti anche i miliziani curdi, rompendo una tregua che durava da due anni. Mercoledì scorso il Pkk si era assunto la responsabilità dell’uccisione di due agenti di polizia turchi vicino al confine con la Siria.

La Turchia ha cominciato ad attaccare le posizioni dell’Isis dopo l’attentato suicida di Suruc e un’imboscata sempre dello Stato Islamico nella quale è stato ucciso un soldato turco. Ankara conferma l’attacco a obiettivi logistici dei curdi e a basi dell’Isis al confine siriano.

Turchi protestano contro l'attentato di Suruc
Turchi protestano contro l’attentato di Suruc (Afp)

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha confermato di aver concesso agli Usa di usare la base di Incirlik, nella provincia meridionale turca di Adana, per condurre operazioni militari contro l’Isis “entro certe condizioni”, agevolate anche dal fatto che la Turchia fa parte della Nato. La conferma di Erdogan è giunta ore dopo che i jet turchi hanno condotto raid contro l’Isis in Siria.

“Le azioni di venerdi sono i “primi passi” nel combattere l’Isis e continueranno”, ha detto il presidente turco Erdogan, dopo i raid condotti da Ankara su obiettivi dello Stato islamico in Siria. Il presidente turco ha aggiunto che i “gruppi di terroristi” devono abbassare le armi o affrontare le conseguenze, alludendo probabilmente agli arresti che hanno riguardato oltre ai jihadisti anche militanti del Pkk”.

“I raid turchi hanno distrutto tutti gli obiettivi dell’Isis che minacciavano il confine tra Siria e Turchia” riferisce invece il premier turco, Ahmet Davutoglu, secondo quanto comunicato dalla tv araba Al Arabiya. Il presidente siriano Assad era stato informato dei raid.

Processo Fiorita, chiesti per Fitto 4 anni e 10 mesi: "Peculato"

Raffaele Fitto durante una conferenza stampa  a Montecitorio lo scorso gennaio
Raffaele Fitto durante una conferenza stampa a Montecitorio lo scorso gennaio (Ansa/Antimiani)

Dopo il rinvio a giudizio dell’ex governatore della Regione Puglia, Vendola, un altro ex governatore pugliese, Raffaele Fitto, finisce ancora nelle maglie della giustizia barese per questioni riguardanti l’ex ruolo di governo della Regione. Per l’attuale europarlamentare, il sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Bari, Donato Ceglie, ha chiesto per l’ex ministro Raffaele Fitto la condanna a 4 anni e 10 mesi di reclusione per presunto peculato, accusa configurata nell’ambito del “processo Fiorita”, per fatti relativi a quando era presidente della regione Puglia. In primo grado Fitto era stato assolto per il reato contestato oggi, ma condannato per altri reati.

In una precedente udienza del marzo scorso, lo stesso pg Donato Ceglie aveva chiesto il non luogo a procedere per tutti i reati contestati all’ex ministro per intervenuta prescrizione e che il reato prescritto di abuso d’ufficio, fosse cambiato nell’unico reato non ancora andato in prescrizione: il peculato. Alla richiesta del pg deciderà la Corte d’Appello il prossimo 29 settembre dovrà esprimersi nel merito della richiesta, ossia se è sussistente il reato di peculato rispetto a quello di abuso d’ufficio (prescritto) per cui era stato assolto in primo grado.

Nel processo di primo grado, nel febbraio 2013, il Tribunale di Bari aveva condannato Fitto a 4 anni di reclusione, riconoscendolo colpevole dei reati di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e un episodio di abuso d’ufficio e lo aveva però assolto dai reati di peculato e da un altro abuso d’ufficio. La Procura di Bari aveva poi impugnato la sentenza chiedendo che Raffaele Fitto fosse condannato anche per il reato di peculato. Il difensore di Fitto, l’avvocato Francesco Paolo Sisto, si era opposto alla precisazione fatta dalla Procura generale perché “inammissibile e tardiva”.

L'imprenditore romano Giampaolo Angelucci coinvolto nel Processo Fiorita
L’imprenditore romano Giampaolo Angelucci

Al centro del processo c’è l’appalto da 198 milioni di euro per la gestione di 11 Residenze sanitarie assistite, vinto dalla società dell’imprenditore romano Giampaolo Angelucci (chiesto il non luogo a procedere per prescrizione rispetto ai 3 anni e 6 mesi del primo grado) e la presunta tangente da 500 mila euro che Angelucci avrebbe elargito sotto forma di illecito finanziamento al movimento di Fitto “La Puglia Prima di Tutto”.

Nella requisitoria, l’accusa aveva chiesto inoltre la conferma della condanna per 10 dei 23 imputati nel processo. Giampaolo Angelucci è un grosso imprenditore laziale che spazia dalla sanità all’editoria. Era stato anche editore di Libero e del Riformista. Ritenuto il “Re” delle cliniche nella capitale, l’imprenditore oltre al coinvolgimento nel “processo Fiorita” era stato arrestato nel 2009 su disposizione della procura di Velletri per il presunto reato di truffa ai danni del servizio sanitario locale.

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