9 Ottobre 2024

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Mattarella: "Determinati per i Marò, Dall'Oglio e rapiti in Libia"

Il capo dello Stato Sergio Mattarella all'incontro con gli ambasciatori
Il capo dello Stato Sergio Mattarella all’incontro con gli ambasciatori (Ansa/Lami)

Il nostro Paese si batterà con “determinazione” per una soluzione positiva dei Marò, per la liberazione di padre Paolo Dall’Oglio e dei 4 italiani rapiti in Libia. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella Italia lo afferma nel suo discorso alla XI conferenza degli Ambasciatori che lunedi è martedi vedrà impegnati alla Farnesina 134 capi missione sul tema “Diplomazia per l’Italia”.

“Il nostro paese – ha detto Mattarella – sarà prima linea nella lotta al terrorismo e contro l'”oscurantismo” dell’Isis e massimamente impegnata per riportare a casa i quattro tecnici italiani rapiti in Libia e anche per padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato in Siria nel 2013″. L’Italia “si batterà anche “con determinazione” per la soluzione della vicenda dei marò, ha ribadito il capo dello Stato che – il giorno dopo lo scontro a distanza tra l’India, che si oppone all’arbitrato e Italia, che con la Farnesina ha fatto sapere che “L’Italia farà valere le sue ragioni” in merito alla vicenda dei fucilieri – interviene per lanciare un messaggio distensivo ma anche di determinazione per una “soluzione positiva” dei militari ormai nelle mani dell’India da circa tre anni e mezzo.

Nel suo discorso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella riafferma che il terrorismo fondamentalista è “un fenomeno grave che va affrontato in modo giusto. Con fermezza e determinazione, respingendo le pulsioni islamofobiche”. “L’Italia – ha evidenziato – è al fianco dei Paesi che, sull’altra sponda del Mediterraneo, sono in prima linea nella lotta contro l’oscurantismo e l’inciviltà”. “L’impegno italiano resta massimo” per ottenere la liberazione dei quattro tecnici italiani rapiti in Libia e anche per padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato in Siria nel 2013 e per cui anche domenica Papa Francesco ha lanciato un accorato appello per la sua liberazione.

“L’Italia – ha detto il capo dello Stato Mattarella – è un Paese pronto a proteggere i propri cittadini e che intende continuare a battersi con determinazione” per la liberazione dei due marò. Sulla stessa linea il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che conferma “l’impegno del governo per difendere le ragioni dei Marò Massimiliano Latore e Salvatore Girone nelle sedi internazionali che abbiamo deciso di attivare”, ossia il tribunale del Mare con sede ad Amburgo dove l’Italia ha proposto un arbitrato e su cui c’è stata la netta opposizione dell’India.

Testimoni di giustizia, una proposta per non lasciarli soli

La Presidente Commissione Antimafia Rosy Bindi - Testimoni di giustizia pdl presentata da Commissione Antimafia
La Presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi (Ansa/Lami)

Testimoni di giustizia mai più soli. Sono molti i casi in Italia, di testimoni che hanno con coraggio denunciato clan e organizzazioni mafiose salvo poi ritrovarsi isolati e facili “prede” della ‘ndrangheta. Vulnerabili. Con una proposta di legge ad hoc, non dovrebbe più sentirsi isolato il testimone di giustizia che denuncia i propri aguzzini.

Almeno sembra essere questo lo spirito della proposta ultimata e consegnata alla presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi la Pdl per i testimoni di giustizia, ossia coloro che denunciano racket, pizzo, omicidi, estorsioni, e qualunque attività illecita a loro danno o a danno della società.

A darne notizia è il coordinatore del V° Comitato dell’Antimafia che si occupa di testimoni, collaboratori e vittime di mafia, Davide Mattiello (Pd).

La proposta di legge è frutto della relazione approvata all’unanimità dalla Commissione Antimafia nell’ottobre del 2014. Saranno definiti in maniera più rigorosa i criteri di accesso alle misure speciali, saranno certi i tempi e le modalità di uscita dalle misure speciali ma soprattutto le misure speciali saranno confezionate addosso al testimone e ai suoi familiari “come un abito sartoriale” per evitare danni e traumi.

Per questo, spiega Mattiello, si propone, tra l’altro, di istituire la figura del “referente per il testimone” e il Comitato di sostegno: “strumenti per prevenire il più possibile contenziosi amministrativi tra testimoni e ministero dell’Interno.

Insomma, commenta Mattiello – una proposta rigorosa, che aumenta la qualità della vita dei testimoni di giustizia e il contenimento dei costi di protezione”.

Il deputato Pd, , che dedica questo atto parlamentare a Rita Atria, giovanissima e coraggiosa testimone di giustizia morta il 26 luglio 1992, perchè, spiega, “nessun testimone di giustizia debba mai più sentirsi così solo”, ringrazia per questo lavoro i consulenti della Commissione Antimafia e il particolare la dottoressa Marzia Sabella.

“Auspico – conclude Magttiello – che la proposta di legge, che la presidente Bindi presenterà prima di tutto ai membri della Commissione, possa essere firmata da tutti i commissari e presentata sia alla Camera che al Senato. Auspico che presto ci si possa confrontare con il Governo che a maggio 2014 ha istituito un tavolo tecnico sulla medesima materia”.

L’assenza di un apposito strumento, di tutela verso i testimoni di giustizia, ha in qualche modo reso “meno agevole” per la vittima di abusi mafiosi di denunciare proprio per i timori di essere poi lassciati soli e abbandonati dallo Stato.

Reggio Calabria, Genova ucciso con la roncola. Killer: "Mi vessava"

Omicidio a Palizzi Marina nel riquadro la vittima Antonio Genova.
Omicidio a Palizzi Marina (RC). Nel riquadro la vittima Antonio Genova.

Avrebbe agito dopo “esasperanti vessazioni” Francesco Ferraro, 41 anni, presunto autore dell’agghiacciante omicidio di Antonio Genova di 50 anni, ucciso domenica sera a colpi di roncola.

L’omicidio si è consumato sulla Statale jonica 106 intorno alle 19:45 di domenica sera, quando dopo l’ennesima lite la vittima è stata prima investita col suv di proprietà di Ferraro e poi finita mortalmente con il corpo contundente. Un omicidio – secondo gli investigatori accorsi sul posto, insieme al magistrato di turno – definito di”estrema ferocia”.

Dopo una breve caccia all’assassino, alla stazione dei Carabinieri di Locri si è costituito in serata il presunto assassino Francesco Ferraro, commerciante della zona. I militari dell’Arma lo hanno fermato con l’accusa di omicidio. Già martedi prossimo il Gip potrebbe convalidare il suo arresto.

La vittima Antonio Genova
La vittima Antonio Genova

Secondo le prime ricostruzioni fatte dai Carabinieri della Compagnia di Bianco e del Gruppo di Locri, coordinati dalla Procura di Locri, il movente sarebbe riconducibile a dissidi privati. Non è ancora chiaro se Antonio Genova e Francesco Ferraro abbiano avuto nel pomeriggio una violenta lite culminata poi in serata con l’atroce delitto sull’arteria jonica. Omicidio maturato per dissapori personali che andavano avanti da “troppo tempo”. “Mi vessava, non ce la facevo più e sono andato fuori di senno”, avrebbe detto l’omicida in caserma.

Genova, residente a Milano, sembra stesse facendo footing verso le 19.30. Avvicinato dal Suv di Ferraro, c’è stato l’ennesimo diverbio. A quel punto Ferraro, secondo alcuni testimoni avrebbe detto: “Ora basta, ti ammazzo”. Scattata la molla dell’ira ha innestato la marcia e l’ha prima investito violentemente, poi è sceso dall’auto ha preso nel cofano la roncola e ha colpito più volte Genova al torace e alla testa. Inutili i soccorsi. L’uomo è deceduto durante il trasporto in ospedale.

Da quanto appreso, subito interrogati dalle forze dell’Ordine, hanno dato modo di risalire al presunto killer. Sentitosi braccato, Ferraro si è costituito alla locale stazione dei Carabinieri che ha disposto il fermo. Il presunto assassino, secondo gli investigatori, starebbe collaborando.

Gli inquirenti vogliono capire quale sia esattamente il motivo dell’omicidio. Se le presunte “vessazioni” da parte di Genova erano dovute a “screzi” e antipatie personali oppure a qualcosa di più grosso, tipo denaro dato in prestito o a debiti di gioco. Non si esclude nessuna pista, nemmeno quela passionale. Gli inquirenti stanno scavando nel passato di entrambi per capire il vero movente che ha spinto Ferraro a tanta ferocia.

Mps, Profumo rassegna le dimissioni da presidente

Alessandro Profumo, ha rassegnato le dimissioni da presidente e membro Cda Mps
Alessandro Profumo, ha rassegnato le dimissioni da presidente e membro Cda Mps

Il presidente del Monte dei Paschi di Siena (Mps), Alessandro Profumo ha rassegnato le proprie dimissioni da presidente e membro del Cda come previsto a far data dal 6 agosto prossimo, data in cui il Consiglio d’amministrazione procederà all’approvazione della semestrale. Lo rende noto la società in una nota.

“Profumo”, dopo “tre anni intensi passati alla guida della banca”, si dedicherà in futuro ad attività imprenditoriali. Il banchiere ha ringraziato i dipendenti della banca Mps “per gli importanti risultati ottenuti, resi possibili – si legge nella nota – dalla collaborazione, dalla passione e dal senso di appartenenza che tutti loro hanno sempre dimostrato”, nonché l’amministratore delegato, Fabrizio Viola, e i componenti del cda e del collegio sindacale “che non hanno mai fatto mancare la loro fiducia e il loro sostegno”.

A loro e all’istituto senese, Profumo rivolge “il più sincero ringraziamento per il proficuo lavoro svolto insieme e i migliori auspici per un futuro pieno di successi”. L’intero Cda e il collegio Sindacale di Mps “esprimono i più sentiti ringraziamenti” al banchiere.

Marò, scontro India Italia. Farnesina: "Ci faremo valere"

I marò Massimiliano Girone e Salvatore Latorre
I marò Massimiliano Girone e Salvatore Latorre

Marò, è scontro a distanza tra India e Italia. La Farnesina in una nota replica al paese asiatico che si era opposto all’arbitrato proposto dall’Italia.

“L’Italia farà valere con determinazione le sue ragioni”. E’ questa la reazione del ministero degli Esteri italiano alle dichiarazioni del magistrato Narshima secondo cui New Delhi si opporrà alle richieste dell’Italia davanti al tribunale di Amburgo. “L’obiettivo è trovare una soluzione positiva della vicenda dei due fucilieri Latorre e Girone”, spiegano fonti della Farnesina.

La Farnesina entra così in campo per replicare all’India che aveva fatto sapere di opporsi alla richiesta di arbitrato presentato dall’Italia al Tribunale Internazionale del diritto del mare di Amburgo (Itlos) sul caso due fucilieri italiani appartenenti alla Nato, Salvatore Latorre e Massimiliano Girone, alla prima udienza fissata per il 10 agosto.

Lo aveva dichiarato il procuratore aggiunto generale P.S Narsimha, che rappresenterà New Delhi di fronte al tribunale di Amburgo. Narshima ha anticipato che “contesteremo a tribunale dell’Itlos la sua stessa giurisidzione (titolarità a decidere, ndr) perchè solo l’India ha la giurisdizione di perseguire crimini avvenuti nel Paese”. Sebbene il “presunto crimine” sia stato commesso in acque internazionali su una nave battente bandiera italiana, che per le leggi della navigazione “è territorio sovrano” dello Stato che issa quella bandiera.

Non solo. L’india “contestera all’Italia anche di non aver esperito tutte le procedure legali previste dalla legge indiana, prima di invocare la giurisdizione dell’Itlos, che per New Delhi è solo uno dei quattro forum che possono valutare dispute internazionali.

L’India contesterà anche che non ci sono circostanze convincenti per autorizzare qualsiasi misura provvisoria”, quali il ritorno di Girone in Italia e la permanenza per tutta la durata dell’arbitrato di Latorre nel nostro Paese come chiesto da Roma.

In serata la nota del ministero degli Esteri in cui si afferma che per la vicenda dei due fucilieri “L’Italia farà valere con determinazione le sue ragioni”.

Sui due marò si sono succeduti tre governi, ma la questione, nonostante i proclama nel tempo, è rimasta immutata. Ostaggi della diplomazia e, forse, dall’incapacità di affrontare il caso con meno politichese e maggiore determinazione.

Il 15 febbraio 2012 i due marò, fucilieri della Marina Italiana (quindi della Nato) erano a bordo della petroliera italiana “Enrica Lexie” in acque internazionali, a largo dell’India, quando avrebbero aperto il fuoco contro un peschereccio provocando due morti. Il comandante della nave, con l’inganno è stato fatto approdare nel porto indiano di Kochi e da li sono stati tratti in arresto i due militari per il presunto omicido. Grossolani gli errori dell’allora ministro della Difesa Di Paola che diede l’ordine di far attraccare la nave al porto pur trovandosi in acque internazionali su una nave battente bandiera italiana.

I due marò hanno sempre sostenuto di essersi difesi da un attacco di pirateria. Fatti tornare in Italia, dietro la promessa di un rientro in India, l’allora governo Monti, sotto i “consigli” dell’ex ministro Corrado Passera e con la contrarietà del titolare della Farnesina, Giulio Terzi di Sant’Agata, i fucilieri furono rispediti nell’inferno indiano quando tutta la vicenda poteva essere gestita in modo legittimo dalla procura di Roma, che li avrebbe presi in custodia. Solo un ictus, permise a Salvatore Latorre di rientrare in patria per curarsi, mentre Massimiliano Girone rimane trattenuto “a garanzia” del rientro di Latorre.

Dopo quasi tre anni e mezzo di tempo la questione non è ancora stata risolta. Si sono succeduti tre governi e il primo impegno di ogni esecutivo è stato quello di adoperarsi per il “rientro immediato” dei due marò. Anche l’alto rappresentante dell’Ue per gli affari Esteri, l’italiana Federica Mogherini, ha sempre fatto bei annunci, ma senza frutti concreti. Lavorano le diplomazie ma con risultati prossimi allo zero. I due fucilieri sono su tutto, prigionieri della loro incapacità.

Roma, Marino sempre più solo. Lascia Scozzese: "Brutto clima"

Ignazio Marino con l'ex assessore al Bilancio Silvia Scozzese
Ignazio Marino con l’ex assessore al Bilancio Silvia Scozzese

Il sindaco di Roma Ignazio Marino tra inchieste giudiziarie e gesti più o meno spontanei, sta rimanendo isolato. Dopo le clamorose dimissioni del vicesindaco Luigi Nieri, il caso dell’assessore alla mobilità (e l’azzeramento dei vertici Atac), Guido Improta, dimissionato da Marino dopo che lo stesso assessore aveva già annunciato la volontà di dimettersi, Ignazio Marino perde un altro importante pezzo. Si tratta dell’assessore al Bilancio Silvia Scozzese.

La Scozzese in una lettera indirizzata al sindaco della Capitale afferma che pure sono state compiuti passi in avanti rispetto al quadro ereditato, ma “da un po’ di tempo, tuttavia, registro l’affievolimento di questa azione ed il compimento di scelte che a me appaiono in contraddizione con le finalità che insieme ci eravamo dati.”

Detto questo, è l’altro passaggio critico nei confronti di Marino la Scozzese sottolinea che gli ha “rappresentato le mie perplessità e il mio fermo dissenso su scelte che reputo non opportune e non utili per il raggiungimento di risultati efficaci, e questo ha determinato un clima nel quale l’Assessore al Bilancio sembra essere diventato l’ostacolo principale al compimento delle scelte amministrative.” Parla di continua “pratica degli affidamenti diretti”.

E in una intervista a “Il Messaggero”, a chi gli fa notare che questi erano i metodi usati da Buzzi e Carminati l’ex assessore assicura che il “vero” motivo per cui lascia è il perpetuarsi di quei metodi: “Troppi affidamenti diretti, senza gara”, che tradotto significa che per lavori e appalti, Marino, secondo quanto sostiene l’ex assessore, sarebbe incline a favorire la sua cerchia di “amici” la quale non passerebbe attraverso le “normali” e “trasparenti” procedure di gara. “L’affidamento diretto” è in genere un incarico che si conferisce a una ditta giustificandolo per lavori di somma urgenza, questo farebbe evitare la chiama di almeno tre o cinque concorrenti che dovrebbero di norma essere invitati a partecipare. I lavori andrebbero alla ditta che offre il miglior prezzo. Ma anche in questi casi ci sono in genere dei trucchetti, usati un po’ dappertutto. E’ sufficiente invitare un “cartello” di aziende che fanno capo ad un unico referente e la cosa è fatta.

Quindi le dimissioni della Scozzese sono un altro duro colpo che Marino accusa ma non lo dà a vedere. Freddo e impassibile come un chirurgo in sala operatoria. Marino sa però bene che gli serve più filo per ricucire strappi e ferite che ormai nessuno intende più lasciargli.

“Ringrazio Silvia Scozzese – risponde il Sindaco – per il preziosissimo lavoro svolto, che mi ha aiutato nella mia determinazione di riportare Roma non solo al risanamento dei conti e alla legalità contabile ma anche a disegnare e attuare un piano di rientro del quale sono profondamente orgoglioso”.

Frasi di elogio e circostanza che non si negano a nessuno ma, fa notare Alfio Marchini, Ignazio Marino è un “furbo”. Con la Scozzese “è il secondo assessore al bilancio che sbatte la porta in pochi mesi. Entrambe sono donne preparate e di assoluto rigore morale. La terza donna che sbatté la porta – ricorda Marchini – era l’assessore ai servizi sociali che Marino voleva sostituire con tal Ozzimo, poi arrestato per Mafia capitale… Ma quanto dobbiamo aspettare perché sia evidente a tutti che questo Marino è solo un gran furbone che con cinismo nasconde le sue responsabilità e la sua palese inadeguatezza?”.

“È ormai apparsa la scritta “The End” sul governo del sindaco peggiore che Roma abbia mai avuto. Si dimette un altro Assessore, la Scozzese segue Improta e la Giunta continua a perdere pezzi”, è il duro commento di Davide Bordoni, coordinatore di Forza Italia Roma

Ciò che ora resta a Ignazio Marino è una rimodulazione dell’esecutivo. Gli tocca ricomporre la giunta e c’è che sostiene che entro martedi dovrebbe farcela. Il problema maggiore è rappresentato dal suo partito, il Pd, ossia da Renzi e Orfini che dovrebbero essere i loro interlocutori più prossimi per consultarsi e condividere le scelte. E invece gli fanno guerra.

Renzi lo ha già sfrattato (qualcuno maligna ci sia proprio lui dietro tutte queste dimissioni…), gli altri maggiorenti dem prendono le distanze dopo non solo le inchieste su Mafia capitale, ma soprattutto a seguito delle inchieste dei media internazionali (New York Times) che hanno mostrato a tutto il mondo il “degrado di Roma” sotto la gestione Marino. Per il caos trasporti, si è scusato pubblicamente facendo il mea culpa. Mai il Campidoglio era sotto assedio come oggi.

Napoli, un folle al volante causa due morti tra cui la ragazza Livia Barbato

Le auto dopo lo scontro sulla tangenziale Napoli Agnano dove sono morti una ragazza di 22 anni e un uomo di 48
Le auto dopo lo scontro sulla tangenziale Napoli Agnano dove sono morti una ragazza di 22 anni e un uomo di 48

La follia in carreggiata. E’ di due morti il bilancio di un gravissimo incidente causato da un uomo che si è messo al volante di un’auto ubriaco e ha fatto inversione a “U”, percorrendo ben cinque chilometri contromano sulla tangenziale di Napoli. Poi l’impatto frontale violentissimo con un’altra auto. Sul luogo dell’incidente sono subito intervenuti gli agenti della Polizia Stradale e le ambulanze.

E’ successo nella notte verso le 4:30 sulla Tangenziale di Napoli, ad Agnano. La Renault Clio, guidata da Aniello Mormile, 29 anni, di Pozzuoli, ha un certo punto, ha invertito senso di marcia ed è andata contromano per cinque chilometri a fari spenti e si è scontrata con una Fiat Panda guidata da un uomo di 48 anni, che è deceduto sul colpo.

Accanto a Mormile che ha guidato contromano c’era la sua ragazza, Livia Barbato, di 22 anni, morta dopo che i medici del Cardarelli hanno fatto di tutto per salvarle la vita. Il conducente della Clio, Aniello Mormile è rimasto ferito. Dai rilievi effettuati è risultato positivo all’alcoltest.

Livia Barbato e Aniello Mormile che ha provocato lo scontro. La ragazza è morta insieme al conducente di una Panda
Livia Barbato con Aniello Mormile, l’uomo che ha provocato lo scontro. La ragazza è morta insieme al conducente di una Panda (Facebook)

L’impatto tra la Clio e la Panda è stato molto violento. Secondo quanto ricostruito la Renault a un certo punto si è fermata e ha fatto inversione a U sulla stessa corsia dell Tangenziale di Napoli, ad Agnano. L’uomo che è deceduto sulla Panda, era di Torre del Greco (Napoli) e si stava recando al lavoro.

La concentrazione di alcol nel sangue del conducente della Clio, che ha provocato il grave incidente stradale, è risultato di gran lunga superiore ai limiti consentiti dalla legge. Sono in corso, da parte degli agenti della Sottosezione della Polizia Stradale di Fuorigrotta, ulteriori accertamenti volti a verificare lo stato psicofisico del conducente della Renault Clio ed in particolare se lo stesso avesse fatto uso di sostanze stupefacenti.

La giovane vittima Livia Barbato
La giovane vittima Livia Barbato

Acquisite le immagini registrate dalle telecamere presenti sulla tangenziale per la ricostruzione della dinamica del sinistro. La registrazione video è stata diffusa dalla Polizia di Stato.

Aniello Mormile e Livia Barbato erano spesso insieme. Aniello detto Nello è musicista e organizza dj-set nella nightlife napoletana e flegrea. Livia Barbato frequentava l’Accademia di Belle Arti. Era fotografa raffinata da poco aveva pubblicato il primo scatto su PhotoVogue. Aveva soltanto 22 anni. Lui, ferito ma non è in pericolo di vita.

Da quanto si è appreso sembra che la procura abbia aperto un fascicolo per duplice omicidio colposo, non essendo ancora legge l'”omicidio stradale” in discussione in parlamento che prevede in questi casi, pene fino 18 anni di reclusione se chi provoca l’incidente è in stato di ebbrezza.

Dalila Nesci (M5S) spiega: "Così si muore di Sanità in Calabria"

di Dalila Nesci, portavoce M5S Camera

“Come in Grecia, in Calabria si muore per carenze nella sanità. Qui politica e ‘ndrangheta hanno rovinato il sistema, ma è anche colpa del peso dell’euro, che ha ridotto casse e reparti.

La sanità della Calabria prima del 2010 aveva un bilancio di 3,6 miliardi all’anno. Nei successivi quattro anni sono stati tagliati 400 milioni. Dei fondi destinati alla sanità regionale il 70% se ne vanno in stipendi, il resto in altri capitoli di spesa.

Sapete quanto resta per gli investimenti? Zero. Tutto questo a causa della necessità di raggiungere il pareggio di bilancio. Si tratta di un paradosso suicida, perché senza investimenti non ci sono possibilità di tornare a crescere.

Dal momento che le strutture sanitarie della Calabria troppo spesso non sono in grado di garantire i servizi necessari ai suoi cittadini, la Regione sborsa ogni anno somme ingenti per consentirgli di andarsi a curare all’estero.

Il saldo tra questi fondi e quelli che entrano nelle casse calabresi grazie ai cittadini che vanno a curarsi sul suo territorio è pesantemente negativo: -250 milioni all’anno

All’ospedale di Corigliano (Cosenza) per un ecocardiogramma occorre un anno d’attesa e in Pediatria manca perfino la tachipirina. A Polistena (Reggio Calabria) un caposala mi confessa che addirittura non hanno i soldi per sostituire le maniglie delle porte.

La parlamentare del Movimento 5 Stelle Dalila Nesci
La parlamentare del Movimento 5 Stelle Dalila Nesci

All’ospedale di Crotone il laboratorio analisi, la cui ristrutturazione è ferma da anni, sembra uno scantinato. A Serra San Bruno (Vibo Valentia) hanno in dotazione una sola ambulanza, per cui in caso d’incidente stradale che coinvolga più persone il medico deve scegliere chi caricare a bordo e chi lasciare a terra.

In questo angolo di Sud è perfino un problema far nascere un figlio. Infatti, le terapie intensive neonatali sono state ridotte drasticamente e per le emergenze mancano posti negli ospedali hub.

Ospedale di Corigliano Calabro
Ospedale di Corigliano Calabro

Noi del M5S gli unici a lottare per la giustizia, a denunciare, a chiedere che le autorità intervengano per arginare il crollo di un sistema al collasso, schiacciato da tagli, clientele e illegalità.
Per cercare di tamponare l’emorragia in questi anni in Calabria si si sono succeduti diversi commissari, che hanno solo tagliato posti letto e risorse, dimostrando che la politica dell’emergenza non risolve i problemi alla radice né gli sprechi.

Passano gli anni, cambiano i commissari e continuano i tagli. Il sistema clientelare della politica resta lì, immutabile, come nulla fosse. Un esempio per tutti: recentemente è stato riattivato il punto nascite all’ospedale di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), nonostante fosse stato chiuso a seguito di precise e pressanti disposizioni ministeriali.

Ospedale Annunziata di Cosenza
Ospedale Annunziata di Cosenza

Come mai questa decisione allora? Forse c’entra che Melito Porto Salvo è tra i feudi elettorali di Nico D’Ascola, nel 2014 candidato alla presidenza della Calabria con Ncd, il partito del ministro Lorenzin?

Qui i conti, oltre a essere in rosso, sono anche pazzi e fuori di ogni controllo. Lo scorso anno dall’Asp di Reggio Calabria sono usciti 393 milioni di euro senza che vi siano le relative tracce.

Il commissario della Sanità in Calabria Massimo Scura
Il commissario della Sanità in Calabria Massimo Scura

Non bastasse, manca anche la certificazione ufficiale dell’andamento del debito, che spetterebbe al revisore Kpmg, pagato 3 profumati milioni all’anno. Quasi quattrocento milioni scomparsi nel nulla e nessuno, a parte noi del MoVimento, che abbia alzato un dito contro procedure che di legale non hanno nulla.

Infine, sempre a Reggio Calabria, troviamo lo scandalo “d’eccellenza” della sanità calabrese: il Centro Cuore con la Cardiochirurgia. Una struttura nuova di zecca, pronta per da tre anni ma non ancora aperta; anche, forse, per una storia di conflitto d’interessi nella vecchia direzione generale, dove c’era l’amministratore di una società privata di diagnostica.

Il Centro Cuore di cardiochirurgia di Reggio Calabria
Il Centro Cuore di cardiochirurgia di Reggio Calabria

Il danno erariale, stimato dalla Guardia di Finanza, è di 40 milioni, il danno umano invece è incalcolabile. Oggi in tutta la Calabria esistono due soli altri reparti di cardiochirurgia e si trovano entrambi a Catanzaro.

Adesso il tempo delle vacche da mungere in Calabria è finito, insieme ai soldi. Per il crollo definitivo della sanità è solo questione di tempo e la Grecia non è mai stata così vicina.”

Turchia prosegue raid contro Isis e Pkk in Siria e Iraq

Un caccia turco impegnato nei raid contro l'Isis
Un caccia turco impegnato nei raid contro l’Isis

Proseguono i raid aerei della Turchia contro lo Stato Islamico in Siria. Per la seconda notte consecutiva i jet turchi hanno attaccato obiettivi dell’Isis al confine con la Siria. Colpiti anche campi dei militanti curdi del Pkk nel nord dell’Iraq. Il bilancio finora è di 35 jiadhisti morti e 290 miliziani Isis arrestati dalla polizia turca.

A una settimana dal sanguinoso attacco deill’Isis a Suruc, dove in un attacco suicida sono morte 32 persone, Erdogan è deciso a fare sul serio contro l’Isis, anche dopo le sollecitazioni del Pkk curdo che criticava Ankara di fare poco o niente contro l’Isis.

Le tensioni di Ankara con i curdi sono salite nei giorni scorsi dopo l’attentato suicida dell’Isis lunedì a Suruc, nel sud-est della Turchia. Sotto i raid aerei sono finiti anche i miliziani curdi, rompendo una tregua che durava da due anni. Mercoledì scorso il Pkk si era assunto la responsabilità dell’uccisione di due agenti di polizia turchi vicino al confine con la Siria.

La Turchia ha cominciato ad attaccare le posizioni dell’Isis dopo l’attentato suicida di Suruc e un’imboscata sempre dello Stato Islamico nella quale è stato ucciso un soldato turco. Ankara conferma l’attacco a obiettivi logistici dei curdi e a basi dell’Isis al confine siriano.

Turchi protestano contro l'attentato di Suruc
Turchi protestano contro l’attentato di Suruc (Afp)

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha confermato di aver concesso agli Usa di usare la base di Incirlik, nella provincia meridionale turca di Adana, per condurre operazioni militari contro l’Isis “entro certe condizioni”, agevolate anche dal fatto che la Turchia fa parte della Nato. La conferma di Erdogan è giunta ore dopo che i jet turchi hanno condotto raid contro l’Isis in Siria.

“Le azioni di venerdi sono i “primi passi” nel combattere l’Isis e continueranno”, ha detto il presidente turco Erdogan, dopo i raid condotti da Ankara su obiettivi dello Stato islamico in Siria. Il presidente turco ha aggiunto che i “gruppi di terroristi” devono abbassare le armi o affrontare le conseguenze, alludendo probabilmente agli arresti che hanno riguardato oltre ai jihadisti anche militanti del Pkk”.

“I raid turchi hanno distrutto tutti gli obiettivi dell’Isis che minacciavano il confine tra Siria e Turchia” riferisce invece il premier turco, Ahmet Davutoglu, secondo quanto comunicato dalla tv araba Al Arabiya. Il presidente siriano Assad era stato informato dei raid.

Processo Fiorita, chiesti per Fitto 4 anni e 10 mesi: "Peculato"

Raffaele Fitto durante una conferenza stampa  a Montecitorio lo scorso gennaio
Raffaele Fitto durante una conferenza stampa a Montecitorio lo scorso gennaio (Ansa/Antimiani)

Dopo il rinvio a giudizio dell’ex governatore della Regione Puglia, Vendola, un altro ex governatore pugliese, Raffaele Fitto, finisce ancora nelle maglie della giustizia barese per questioni riguardanti l’ex ruolo di governo della Regione. Per l’attuale europarlamentare, il sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Bari, Donato Ceglie, ha chiesto per l’ex ministro Raffaele Fitto la condanna a 4 anni e 10 mesi di reclusione per presunto peculato, accusa configurata nell’ambito del “processo Fiorita”, per fatti relativi a quando era presidente della regione Puglia. In primo grado Fitto era stato assolto per il reato contestato oggi, ma condannato per altri reati.

In una precedente udienza del marzo scorso, lo stesso pg Donato Ceglie aveva chiesto il non luogo a procedere per tutti i reati contestati all’ex ministro per intervenuta prescrizione e che il reato prescritto di abuso d’ufficio, fosse cambiato nell’unico reato non ancora andato in prescrizione: il peculato. Alla richiesta del pg deciderà la Corte d’Appello il prossimo 29 settembre dovrà esprimersi nel merito della richiesta, ossia se è sussistente il reato di peculato rispetto a quello di abuso d’ufficio (prescritto) per cui era stato assolto in primo grado.

Nel processo di primo grado, nel febbraio 2013, il Tribunale di Bari aveva condannato Fitto a 4 anni di reclusione, riconoscendolo colpevole dei reati di corruzione, illecito finanziamento ai partiti e un episodio di abuso d’ufficio e lo aveva però assolto dai reati di peculato e da un altro abuso d’ufficio. La Procura di Bari aveva poi impugnato la sentenza chiedendo che Raffaele Fitto fosse condannato anche per il reato di peculato. Il difensore di Fitto, l’avvocato Francesco Paolo Sisto, si era opposto alla precisazione fatta dalla Procura generale perché “inammissibile e tardiva”.

L'imprenditore romano Giampaolo Angelucci coinvolto nel Processo Fiorita
L’imprenditore romano Giampaolo Angelucci

Al centro del processo c’è l’appalto da 198 milioni di euro per la gestione di 11 Residenze sanitarie assistite, vinto dalla società dell’imprenditore romano Giampaolo Angelucci (chiesto il non luogo a procedere per prescrizione rispetto ai 3 anni e 6 mesi del primo grado) e la presunta tangente da 500 mila euro che Angelucci avrebbe elargito sotto forma di illecito finanziamento al movimento di Fitto “La Puglia Prima di Tutto”.

Nella requisitoria, l’accusa aveva chiesto inoltre la conferma della condanna per 10 dei 23 imputati nel processo. Giampaolo Angelucci è un grosso imprenditore laziale che spazia dalla sanità all’editoria. Era stato anche editore di Libero e del Riformista. Ritenuto il “Re” delle cliniche nella capitale, l’imprenditore oltre al coinvolgimento nel “processo Fiorita” era stato arrestato nel 2009 su disposizione della procura di Velletri per il presunto reato di truffa ai danni del servizio sanitario locale.

Omicidio Maria Luisa Fassi. Ecco la confessione di Pasqualino Folletto

A sinistra Pasqualino Folletto a destra la Ranault Megane con cui il presunto killer si allontana dopo il delitto
A sinistra Pasqualino Folletto a destra la Ranault Megane con cui il presunto killer si allontana dopo il delitto

Massacrata con 45 coltellate per qualche centinaio di euro. Maria Luisa Fassi, la tabaccaia di Asti è stata uccisa, così, per una rapina.

L’uomo fermato venerdi pomeriggio, Pasqualino Folletto, 46 anni, ha confessato l’efferato omicidio ai Carabinieri del Comando provinciale di Asti, che nel pomeriggio lo avevano bloccato perché gravemente indiziato del crimine di corso Volta, ad Asti.

Ha reso “piena confessione”, dicono gli stessi militari dell’Arma parlando della deposizione dell’uomo. Il delitto, affermano è “maturato nel corso di una rapina”.

Ecco alcuni stralci della confessione in possesso de “La Stampa” e pubblicati dal quotidiano torinese online.

“L’ho fatto per i miei figli. Non avevo niente, non sapevo come dargli da mangiare, ecco, devo comprare le medicine, ho l’auto sequestrata, sono pieno di debiti, di cartelle esattoriali, non ho niente”, racconta agli investigatori Pasqualino Folletto durante la confessione.

“Allora volevo fare una rapina, ero come impazzito, ho deciso di fare una rapina. Avevo in testa altri negozi, poi ho scelto la tabaccheria. Ho preso un coltello nella cucina e sono andato. Dovevo agire poco dopo l’apertura, quando lei era sola. Non mi sono neanche coperto il volto. Ho parcheggiato l’auto contromano per avere la portiera sul lato guida più vicino possibile, per poi fuggire più rapidamente”.

“Sono entrato e mi sono messo in un angolo, un po’ nascosto, quando è uscita la barista, mi sono fatto avanti e ho chiesto i soldi, impugnavo il coltello… lei ha reagito male, urlava fortissimo, ho perso la testa, volevo farla tacere, poi ha cercato di disarmarmi e ho colpito, colpito, colpito, alla cieca. Quando ho finito era a terra, nel sangue, non so se era morta, ho afferrato i soldi che erano in cassa, più o meno 800 euro, sono tornato a casa, alla ditta, poi ho lavato l’auto alla perfezione”.

“Quel giorno lì non ero passato in tabaccheria, non ci sono mai stato, ho saputo del delitto dalla tv”. Agli investigatori che gli mostrano il video dice: “Non sapeva niente di me, se non che ogni tanto passavo a comprare i “Gratta e vinci”, ero confuso e disperato, avevo bisogno di quei soldi”. Gli chiedono se è pentito: “Sì, subito pentito, non volevo ucciderla, ho perso la testa, lei si è difesa e non ho capito più nulla, ho seguito i funerali da lontano, mi spiace per i miei figli, per mia moglie, vedranno la mia foto sui giornali”.

E l’arma del delitto? “Il coltello l’ho gettato via dal finestrino dell’auto, in una zona non distante dalla mia ditta, leggevo che non c’erano telecamere, che non sapevano chi era l’assassino, ho fatto quello che potevo”. (credit “La Stampa”)

Una rapina finita nel modo più tragico e cruento solo per qualche manciata di soldi, giusto il fondo cassa che serviva alla donna per dare il resto ai clienti.

A destra la vittima Maria Luisa Fassi, con la mamma e il papà titolari del ristorante "Gener Neuv"
A destra la vittima Maria Luisa Fassi, con la mamma e il papà titolari del ristorante “Gener Neuv”

Il presunto killer, un magazziniere italiano incensurato, sposato e padre di figli, il 4 luglio scorso è entrato la mattina presto nella tabaccheria edicola di Maria Luisa Fassi e dopo la rapina, l’ha accoltellata con oltre 44 fendenti, tanti quanti ne sono risultati nel’autopsia.

L’arresto, sottolineano i Carabinieri è “frutto di un meticoloso incrocio di numerosi elementi investigativi: immagini estratte dalle telecamere cittadine, attività tecniche e di sorveglianza dinamica nonché numerosissime escussioni testimoniali”. E proprio dalle immagini delle telecamere gli uomini della Benemerita hanno più volte riavvolto i nastri soffermandosi nei giorni precedenti e sul 4 luglio, giorno del delitto, tra le 6 e le 8 del mattino.

L’uomo non era a piedi. Attraverso le immagini, quella mattina e i quelle ore, gli investigatori hanno notato una Renault Megane di colore grigio, parcheggiata in controsenso sul marciapiede della tabaccheria con lo sportello lato guida rivolto verso l’ingresso del locale. Immagini non proprio nitide, ma chiare quanto basta per risalire al proprietario.

Pasqualino Folletto, secondo quanto riferito dalle autorità, è stato ascoltato su questa circostanza ma ha più volte negato di trovarsi in corso Volta quella mattina. Ma le riprese non smentiscono. Nelle sue dichiarazioni si sarebbe tradito, alimentando i sospetti dei Carabinieri. Isolando i casi e le deposizioni di altre persone, pure loro attenzionate, non è rimasto che Folletto, magazziniere di una ditta di trasporti, che è stato prelevato nel pomeriggio e portato in caserma. Da lì la svolta nelle indagini.

La tabaccheria dove è stata uccisa Maria Luisa Fassi

La tabaccheria dove è stata uccisa Maria Luisa Fassi la mattina del 4 luglio 2015 (Ansa)

La donna è morta a seguito delle numerose coltellate la stessa sera in ospedale. Inutile il lungo intervento chirurgico al quale la donna era stata sottoposta per le profonde lesioni all’addome e al torace. Quello di Maria Luisa Fassi è stato un omicidio che aveva sconvolto tutta la comunità astigiana e non solo, per la ferocia dell’assassino.

In un primo momento, gli organi investigativi, che hanno comunque battuto tutte le piste, avevano fatto intendere che l’ipotesi della rapina era una debole, almeno nelle prime battute investigative. Cosa si può ottenere alle 7.30 del mattino in una edicola tabaccheria?, è la domanda che ci si poneva.

Poi, invece, attraverso le “meticolose indagini” svolte dai Carabinieri del Comando provinciale di Asti con un lavoro di stretta sinergia con il Ros di Roma, Torino e Milano, supportati anche dal Reparto Analisi Criminologiche Sezione Psicologia Investigativa del Racis di Roma e dai colleghi del Ris di Parma, nel cerchio dei potenziali sospetti è rimasto stretto solo lui, Pasqualino Folletto.

Maria Luisa Fassi
Maria Luisa Fassi in cucina nel ristorante di suo padre

Interrogato ha poi ceduto davanti ai militari confessando il terribile omicidio della donna, che ad Asti era “amata e ben voluta da tutti”. I suoi genitori avevano anche un ristorante molto noto ad Asti, il “Gener Neuv”, dove Maria Luisa Fassi, amante della cucina, si recava di tanto in tanto la sera ad aiutare il padre e la madre.

Il presunto assassino nella confessione ha raccontato che era disperato e aveva bisogno di soldi.  Ai militari dell’Arma ha detto che “non so spiegarmi perché l’ho fatto: alle urla della donna ho perso la testa”. “Volevo i soldi, poi non so cosa è successo, non ci ho capito niente. Lei urlava, urlava e ho perduto la testa”. Fino a affondare con ferocia 45 coltellate addosso al suo esile corpo.

“Quando ha confessato – ha detto il Pm di Asti Tarditi – era un uomo disperato” Il sostituto ha fatto sapere che già sabato presenterà la richiesta al gip per la convalida del fermo di Folletto”.

Soddisfazione per la cattura dell’uomo è stata espressa dal ministro dell’Interno Angelino Alfano che su twitter ha dato l’annuncio della cattura. Lo “Stato è più forte”, ha sempre detto il titolare del Viminale. Una “buona notizia”, (nella tragedia), che ad Asti si attendeva da venti giorni.

Esplosione fabbrica a Modugno. Una strage: 9 i morti

La fabbrica di fuochi pirotecnici saltata in aria a Modugno, Bari, a seguito dell'esplosione  (Ansa/Turi)
La fabbrica di fuochi pirotecnici saltata in aria a Modugno, Bari, a seguito dell’esplosione (Ansa/Turi)

Una vera e propria strage quella di Modugno. Salgono a 9 le vittime accertate, 2 ancora i feriti gravi nel bilancio della violenta e tragica esplosione di venerdi mattina nella fabbrica di fuochi d’artificio Bruscella, alle porte di Modugno, Bari.

Da quanto riferito, i morti accertati finora sarebbero 6 italiani, 2 indiani e un cittadino albanese. Si tratta di Giuseppe Pellegrino, Vincenzo Armenise, Michele Pellicani, Vincenzo De Chirico, Nigah Kumar, Banga Harbaajan e Merja Samir. Ultimo Riccardo Postiglione, che era appeso da due giorni tra la vita e la morte.

Muore anche il titolare della ditta. Si tratta di Michele Bruscella, prima ricoverato insieme al parente Michele tra Brindisi e Napoli. Resta in condizioni critiche Antonio Pertino, ricoverato al Centro grandi ustionati del Policlinico di Bari .

L’esplosione è avvenuta nella tarda mattinata di venerdì nella fabbrica di fuochi pirotecnici Bruscella, che da quanto appreso aveva alle dipendenze oltre una decina di persone.

Ignote ancora le cause della scintilla che ha provocato la fortissima esplosione vicino a Modugno. Da una prima ricostruzione sembra che sia stato un furgone carico di fuochi a fare da miccia all’intero stabilimento. Esploso il furgone, è saltato in aria tutto. Un boato fortissimo, sentita a chilometri di distanza dall’azienda. Poi morte e distruzione. Probabilmente, anche il forte caldo di questi giorni avrà contribuito a fare da detonatore.

La fabbrica di fuochi pirotecnici saltata in aria a Modugno, Bari, a seguito dell'esplosione  (Ansa/Turi)
La fabbrica di fuochi pirotecnici saltata in aria a Modugno, Bari, a seguito dell’esplosione (Ansa/Turi)

La fabbrica è andata interamente distrutta e i Vigili del Fuoco stanno faticando non poco nello spegnimento dei diversi focolai che si sono generati, con rischi elevati di ulteriori esplosioni. Sul posto oltre ai Pompieri, anche due canadair che a rotazione stanno gettando tonnellate d’acqua sull’area interessata. A fuoco anche un boschetto che circondata la fabbrica, situata a Modugno, vicino Bitritto, fuori dal centro abitato.

Il procuratore di Bari, Giuseppe Volpe si è immediatamente recato sul posto, insieme a tutte le Forze dell’Ordine, Polizia e Carabinieri. Il magistrato ha detto che “ci vorranno almeno 24 ore affinché i vigili del fuoco possano accedere in sicurezza nella struttura che è crollata. Solo allora – ha aggiunto – si potrà fare un bilancio delle vittime che ad ora appare tragicamente alto”.

La fabbrica di fuochi pirotecnici saltata in aria a Modugno, Bari, a seguito dell'esplosione  (Ansa/Turi)
Macerie dell’azienda Bruscella a Modugno, Bari, dopo l’esplosione (Ansa/Turi)

Dalle prime risultanze, alcuni operai della fabbrica di fuochi d’artificio Bruscella stavano caricando il furgone di pirotecnici quando all’improvviso, per cause ancora da accertare, il mezzo è saltato in aria sbalzando violentemente le persone che vi stavano lavorando vicino.  I primi testimoni raccontano “una scena apocalittica”.

I Carabinieri presidiano la fabbrica Bruscella a Modugno
I Carabinieri presidiano la fabbrica Bruscella a Modugno

A distanza di 24 ore dalla tragedia, si lavora ancora per spegnere il fuoco, dopo si provvederà a scavare tra le macerie della fabbrica Bruscella di Modugno per cercare altre persone eventualmente coinvolte. I due feriti più gravi, i cui corpi sono semi carbonizzati, sono stati trasportati al Centro grandi ustionati di Bari. Uno di questi è in condizioni gravissime. Ustioni sul 100 per cento del povero corpo. E’ tenuto in coma farmacologico.

Intanto, il sindaco di Modugno, Nicola Magrone, ha proclamato due giorni di lutto cittadino. Uno per domenica 26 luglio, l’altro per il giorno dei funerali delle vittime. [Last update 25/07/2015 ore 13:56]

Migranti, gommone si ribalta in mare. Superstiti: "40 morti"

Lo sbarco dei superstiti al porto di Augusta
Lo sbarco dei superstiti al porto di Augusta

La strage di migranti nel Mare Nostrum continua. Secondo alcune testimonianze di superstiti di un naufragio a largo delle coste libiche, una quarantina di migranti sarebbero annegati in seguito all’affondamento di un gommone avvenuto mercoledi mattina davanti la Libia. Tra loro donne e bambini. I superstiti che hanno riferito questo ennesimo dramma, sono approdati giovedi pomeriggio ad Augusta dalla nave militare tedesca Holstein che ha soccorso complessivamente 283 profughi. I morti potrebbero essere molti di più secondo alcuni.

I superstiti del naufragio, una ottantina in tutto, sono stati raccolti da una nave mercantile prima di essere affidati alla nave militare tedesca Holstein, che ha soccorso diverse imbarcazioni nel canale di Sicilia.

Agli operatori dell’organizzazione umanitaria Save the children hanno raccontato che erano circa 120 su un gommone fatiscente partito dalla Libia che a un certo punto avrebbe cominciato a imbarcare acqua perché si è sgonfiato. Una quarantina di migranti, tra i quali donne e bambini, sarebbero annegati dopo essere finiti in mare.

Le testimonianze dei sopravvissuti vengono ritenute attendibili dall’organizzazione umanitaria. “Abbiamo parlato con diversi di loro – spiega Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save the children – e le versioni sono concordi. Ho davanti a me un ragazzo in lacrime perchè ha perduto il fratello”.

“Le vittime sarebbero tutte originarie di paesi dell’area sub sahariana”. Tra i 283 migranti sbarcati ad Augusta vi sono profughi provenienti da Somalia, Eritrea, ma anche Benin e Mali. Le operazioni di identificazione sulla banchina sono in corso. Non è stato ancora deciso dove saranno trasferiti.

Il leader della Lega Matteo Salvini è subito intervenuto su Twitter per evidenziare che la responsabilità di queste morti sono da attribuire al governo. “Che dicono i buoni di sinistra?”, si chiede Salvini.

Louisiana, strage al cinema. 3 morti, tra cui killer. Obama: "Io frustrato"

Gran theatre louisiana Louisiana, strage al cinema. 3 morti, tra cui killer. Obama: "Io frustrato"
Louisiana, strage al cinema. 3 morti, tra cui killer. Obama: “Io frustrato”

Tre persone sono state morte uccise in un cinema di Lafayette, in Louisiana, dove un uomo ha aperto il fuoco uccidendo almeno due persone e ferendone altre sette, per poi rivolgere l’arma contro se stesso e suicidarsi, ha riferito la Polizia.

Erano circa le 19.10 (1:10 in Italia) quando nel cinema Grand Theatre, una ventina di minuti dopo l’inizio del film ‘Trainwreck’, si è scatenato l’inferno. Un uomo bianco di 58 anni ha iniziato a sparare mentre c’erano un centinaio di persone a guardarsi il film.

Una donna che era nella sala, Katie Dominique, ha raccontato ad un giornale locale, “The Advertiser”, di aver udito un forte rumore, “e abbiamo creduto che fosse un fuoco d’artificio”.

Era invece, ha detto, “un uomo bianco anziano”, in piedi, che sparava, non nella sua direzione, e “non diceva nulla, non ho neanche udito le persone urlare”. Ma ha invece udito circa sei spari e a quel punto è fuggita.

Una protesta contro l'uso delle armi ai ragazzi
Una protesta contro l’uso delle armi ai ragazzi

Secondo quanto ha poi reso noto il capo della polizia locale, Jim Craft, l’uomo che ha aperto il fuoco era un bianco di 58 anni, di cui non si conosce ancora l’identità. Ha agito da solo, usando una pistola. Quando gli agenti sono arrivati nel cinema era già morto. La Polizia conosce l’identità del killer, ma non la rivelano “se non parliamo prima con i parenti delle vittime”, ha detto il colonnello Michael Edmonson della Polizia di Stato della Louisiana.

Ancora non si sa il movente della sparatoria. “Ancora non sappiamo se è stato un atto a caso o se ci sia una situazione diversa”, ha detto Craft. La tragedia è avvenuta a Lafayette, una città di circa 120.000 persone, a quasi 90 chilometri a ovest di Baton Rouge.

Jon Sopel intervista Barack Obama
Jon Sopel intervista Barack Obama

Intanto il presidente Barack Obama, in un’intervista a Jon Sopel alla Bbc, ha ammesso la sua incapacità di far passare la legge contro la detenzioni di armi negli Usa. “E’ una legge di buon senso”, ha detto il presidente americano, che si dice “veramente amareggiato” per queste stragi di massa che avvengono negli negli Stati Uniti. Questa legge ha ancora ammesso Obama è la più grande frustrazione della sua presidenza.

Verdini rinviato a giudizio. E filtra una velina: "Lascio Forza Italia"

Silvio Berlusconi e Denis Verdini (Ansa/Ferrari)
Silvio Berlusconi e Denis Verdini al Senato nel 2013 (Ansa/Ferrari)

Il senatore di Forza Italia Denis Verdini è stato rinviato a giudizio dal gup del Tribunale di Firenze, Anna Liguori, nell’ambito di un procedimento in cui vengono ipotizzati i reati di presunta bancarotta fraudolenta e di bancarotta preferenziale in relazione al fallimento di un’impresa edile di Campi di Bisenzio, in provincia di Firenze.

A quest’azienda, sarebbe stato concesso un affidamento da parte del Credito cooperativo fiorentino. Il coinvolgimento di Verdini viene ipotizzato in relazione al suo ruolo di presidente della banca all’epoca in cui si sono svolti i fatti.

A processo anche i due imprenditori titolari dell’azienda, padre e figlio. La prima udienza del processo si terrà il prossimo 13 ottobre.

Proprio nelle ore in cui c’è stato il rinvio a giudizio di Verdini per la presunta bancarotta, sono state fatte filtrare voci di un suo abbandono da Forza Italia. Fonti parlano ci sia stata una presunta colazione “turbolenta” a palazzo Grazioli, presenti Letta, Confalonieri, Ghedini e lo stesso leader di Forza Italia Sivio Berlusconi, dove, sempre secondo queste voci il “sostenitore” del patto del Nazareno siglato e poi abbandonato da Berlusconi, starebbe per lasciare gli azzurri per formare un gruppo autonomo in Parlamento. Gruppo che potrebbe essere, con alta probabilità, organico al governo guidato da Matteo Renzi.

Al momento sono solo voci né confermate né smentite. Probabilmente si tratta di una “velina” lanciata in pasto ai media per capire le reazioni, altrimenti sarebbe stato sufficiente un comunicato ufficiale di Verdini come hanno fatto tanti suoi ex colleghi che hanno lasciato Forza Italia.

Il motivo dell’addio sarebbe riconducibile alle “distanze” che segnano da tempo le posizioni del senatore Verdini con il leader di Forza Italia.

Ma il nocciolo vero è che Denis Verdini non ha mai digerito l’addio al patto del Nazareno, men che meno che la guida del partito sia stata di fatto affidata a Giovanni Toti, oggi governatore della Liguria. Una intesa, quella nella sede Pd, ufficialmente per fare le riforme insieme a Matteo Renzi (“le regole si scrivono insieme…”), ma di fatto un modo per fare da “stampella” a un governo che perde pezzi a sinistra e ne cerca di nuovi negli emicicli parlamentari. Verdini da grande mediatore politico è sempre riuscito a trovare le toppe giuste per rappezzare buchi piccoli e grandi.

Secondo la velina, Verdini, avrebbe detto a Berlusconi che lui ha i numeri per fare un gruppo. Bisognerà vedere. Non è escluso che riesca nel suo intento sebbene, secondo altre fonti, si starebbe cercando un compromesso per la successione a Berlusconi. Toti, giocoforza, non potrà più essere un punto di riferimento guida per Forza Italia e Verdini avrebbe avanzato l’ipotesi di prendere il suo posto, altrimenti via da Fi, sarebbe stato l’aut aut dell’ex falco.

La Nasa scopre Kepler 452B, pianeta gemello della Terra

Le proporzioni tra il Pianeta Terra (a sinistra) e il Pianeta Kepler-452b
Le proporzioni tra il Pianeta Terra (a sinistra) e il Pianeta Kepler-452b (Nasa)

La Nasa ha annunciato di aver scoperto “Kepler”, un pianeta simile al pianeta Terra. Sarebbe il “cugino” molto più anziano del nostro che si trova attorno ad un sistema simile al nostro sistema solare.

L’annuncio di questa eccezionale scoperta l’ha fatto, John Grunsfeld della Nasa in una conferenza con altri scienziati. Il nuovo pianeta “gemello” della Terra è stata chiamato “Kepler 452B”, dal nome del telescopio Keplero che l’ha individuato. Sul pianeta ci sono tutte le condizioni per esserci “Sorgenti di vita”.

“Gli anni su Kepler 452B sono della stessa lunghezza che qui sulla Terra – ha spiegato Jon Jenkins, capo analista dei dati provenienti dal telescopio della Nasa – ed ha trascorso miliardi di anni intorno la zona “abitabile” della sua stella. Il che significa che potrebbe aver ospitato vita sulla sua superficie ad un certo punto, o potrebbe ospitarla ora”.

“Kepler 452B – hanno evidenziato gli esperti – ha un’età di 6 miliardi di anni e riceve il 10% in più di energia dalla sua stella rispetto alla Terra”. La sua dimensione sarebbe compatibile con quella della Terra e anche il suo sistema solare. Ha un diametro per 60 percento superiore a quello della Terra.

La ricostruzione dei due sistemi solari del Pianeta Terra e del Pianeta Kepler-452b
La ricostruzione dei due sistemi solari del Pianeta Terra e del Pianeta Kepler-452b (Nasa)

La recente scoperta di Kepler-452B spiega la Nasa, è il più piccolo pianeta finora scoperto in orbita nella cosiddetta “zona abitabile” – la zona intorno ad una stella dove l’acqua liquida potrebbe stagnare sulla superficie di un pianeta orbitante – una stella di tipo G2, come il nostro Sole. La conferma della scoperta di “Kepler-452B” porta il numero totale dei pianeti conosciuti a 1.030, dicono alla Nasa.

Mentre Kepler-452b è più grande della Terra, la sua orbita attorno al suo Sole è di 385 giorni anziché i nostri 365 giorni. Il Sole attorno a cui orbita il pianeta gemello “Kepler-452B”, secondo gli scienziati, “è 1,5 miliardi di anni più vecchio del nostro Sole, ha la stessa temperatura, ed è il 20 percento più luminoso e con un diametro di 10 per cento più grande”.

“Siamo portati a pensare che Kepler-452B sia come un anziano e più grande cugino sulla Terra. Questo è un modo per cogliere l’opportunità di capire e riflettere sull’ambiente in continua evoluzione sulla Terra”, ha detto Jon Jenkins – scienziato e analista di dati alla Ames Research Center della NASA a Moffett Field, in California – che ha ha guidato il team che ha scoperto Kepler-452B.

“Siamo portati a considerare – ha aggiunto – che questo pianeta ha 6 miliardi di anni nella “zona abitabile” della sua stella: più di Terra. Questo è una grande opportunità per capire se c’è sorgente di vita. Dai primi dati dovrebbero esistere tutti gli ingredienti e le condizioni necessarie per la vita su questo pianeta”. Nella missione sono stati scoperti altri undici piccoli pianeti.

Ilva, Vendola sotto processo per presunta concussione

L'ex governatore della Puglia Nichi Vendola
L’ex governatore della Puglia Nichi Vendola (LaPresse/Merlini)

L’ex governatore pugliese Nichi Vendola, avrebbe prima fatto pressioni sul direttore dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, poi lo avrebbe addirittura “minacciato” se non avesse tenuto un atteggiamento più “morbido” sui “rigidi” report relativi alle emissioni nocive prodotte dall’Ilva di Taranto ritenute “eccessive” dalla stessa Agenzia regionale di protezione ambientale.

Per queste ragioni, il giudice per le udienze preliminari (Gup) del tribunale di Taranto, Vilma Gilli, ha rinviato a giudizio con l’accusa di concussione aggravata in concorso, l’ex presidente pugliese insieme ad altre 43 persone nell’ambito dell’inchiesta sul presunto disastro ambientale provocato dall’Ilva.

PM: VENDOLA AVREBBE CONSENTITO IL PROSEGUIMENTO DI EMISSIONI NOCIVE
Secondo la tesi accusatoria della Procura, Vendola avrebbe consentito all’Ilva di proseguire a produrre senza riduzioni di emissioni inquinanti, come invece suggerito dall’Arpa in una nota del 21 giugno 2010 stilata dopo una campionatura che aveva rilevato picchi di benzoapirene.

Sempre secondo l’accusa, Vendola avrebbe appunto “minacciato” la non riconferma di Assennato nel suo ruolo all’Arpa (era in scadenza a febbraio 2011) se non avesse eseguito la sua “direttiva”. I fatti contestati sono compresi nel periodo che va dal 22 giugno 2010 al 28 marzo 2011. La concussione aggravata è contestata a Vendola in concorso con l’ex responsabile Rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, l’ex vice presidente di Riva Fire Fabio Riva, l’ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto Luigi Capogrosso e il legale dell’Ilva Francesco Perli.

Lo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto  (Ansa/Ingenito)
Lo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto (Ansa/Ingenito)

Anche Giorgio Assennato, è finito sotto processo con l’accusa per favoreggiamento personale, mentre altri due imputati sono stati condannati con rito abbreviato: Si tratta di don Marco Gerardo, ex segretario dell’ex arcivescovo di Taranto Benigno Luigi Papa, e l’ex consulente della Procura pugliese Roberto Primerano. Al sacerdote, accusato di favoreggiamento personale, sono stati inflitti 10 mesi di reclusione (stessa richiesta della Procura); Primerano è stato condannato tre anni e quattro mesi per falso ideologico e assolto dalle accuse di disastro doloso in concorso e avvelenamento in concorso di acque o di sostanze alimentari.

VENDOLA: “SONO SERENO”
“Sarei insincero se dicessi, come si usa fare in queste circostanze, che sono sereno”, è il commento di Nichi Vendola dopo il rinvio a giudizio. “Sento come insopportabile – aggiunge – la ferita che mi viene inferta da un’accusa che cancella la verità storica dei fatti: quella verità è scritta in migliaia di atti, di documenti, di fatti. Io ho rappresentato la prima e l’unica classe dirigente che ha sfidato l’onnipotenza dell’Ilva e che ha prodotto leggi regionali all’avanguardia per il contrasto dell’inquinamento ambientale a Taranto”. “Come sempre mi difenderò nel processo e non dal processo”, ha concluso Vendola.

PROCURATORE SEBASTIO: “ACCOLTE LE NOSTRE TESI”
“Sembra che l’istanza accusatoria portata avanti dal mio ufficio abbia trovato quasi completo accoglimento”, afferma invece il procuratore di Taranto Franco Sebastio commentando la decisione del gup Vilma Gilli sui rinvii a giudizio e i riti abbreviati degli imputati dell’inchiesta per il disastro ambientale dell’Ilva. “Da una parte – ha aggiunto – per noi è un motivo di tranquillità. Siccome noi siamo sempre preoccupati per il fatto di poter commettere errori, sempre dietro l’angolo. Questa prima pronuncia, – sottolinea Sebastio – che va inquadrata nei tempi contenuti e ridotti di un provvedimento di rinvio a giudizio, ci rassicura, ci rasserena. A quanto pare errori, quanto meno madornali, non ne abbiamo commessi, fermo restando – ha concluso Sebastio – che ci sarà un approfondimento dibattimentale e poi si andrà alle decisioni di merito”.

Terrorismo, oggi interrogatorio per i fanatici dell'Isis arrestati in Italia

Conferenza stampa del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli di Milano dopo il blitz antiterrorismo
Conferenza stampa del procuratore aggiunto Maurizio Romanelli di Milano dopo il blitz antiterrorismo

Saranno interrogati oggi, dal gip Elisabetta Meyer, i due presunti terroristi arrestati mercoledi a Brescia con un blitz della Digos e dalla della Polizia postale coordinato dalla procura di Milano che li accusa di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico.

Si tratta di un pakistano e un tunisino da qualche anno in Italia e presunti seguaci del Califfato: Briki Lassaad, classe ’80, nato a Kairouan (Tunisia) e Waqas Muhammad, classe ’88 nato, a Gujirat (Pakistan).

I due fanatici dell’Isis avrebbero avuto nel mirino, fra gli altri obiettivi, anche la base militare di Ghedi, nel bresciano. Uno dei due in una intercettazione, ha espresso la volonta di uccidere due o tre Carabinieri in servizio nella base militare.

Le indagini, condotte dagli uomini della Digos e del servizio Polizia postale, hanno permesso di accertare che i due, sostenitori dell’Isis, svolgevano continuativa attività di istigazione pubblica in rete. I due presunti terroristi avevano creato anche un account su Twitter “Islamic_State in Rom” e, secondo i pm, progettavano azioni terroristiche.

I due presunti terroristi  Briki Lassaad  e Waqas Muhammad
I due presunti terroristi Briki Lassaad e Waqas Muhammad

Sulla piattaforma Social – spiegano gli investigatori – c’erano messaggi minacciosi a firma Islamic State: sullo sfondo alcuni luoghi simbolo, a Roma e Milano, come il Colosseo, la stazione Centrale e il Duomo milanese.

Nei loro messaggi minacciosi, apparsi in forme diverse, già mesi addietro, in altre operazioni antiterrorismo, si legge: “Siamo nelle vostre strade. Siamo ovunque. Stiamo localizzando gli obiettivi, in attesa dell’ora X”. Messaggi scritti in italiano, arabo e francese, su foglietti tenuti in mano e, sullo sfondo, luoghi simbolo di Roma e Milano. Nei loro obiettivi ci sarebbero stati anche mezzi della Polizia di Stato e della Polizia locale, fermate della metropolitana, tratti autostradali e bandiere dell’Expo.

Uno dei messaggi minacciosi dei presunti terroristi
Uno dei messaggi minacciosi dei presunti terroristi

Le ordinanze di custodia cautelare sono state firmate dal gip Elisabetta Meyer che giovedi procederà con gli interrogatori. Secondo gli investigatori i due avevano i documenti in regola e vivevano in Italia da anni,in particolare nel Bresciano, a Manerbio.

I due sono stati a lungo pedinati dagli uomini della Digos con l’ausilio della polizia postale che ha avuto modo di registrare i messaggi che avevano scritto su delle buste da lettere. I due avevano scaricato da internet anche un “manuale per i mujahidin occidentali”, ha detto in conferenza stampa il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli.

Crocetta voleva suicidarsi: "Mi hanno salvato Lo Voi e un avvocato"

Se nelle ore concitate di quella presunta intercettazione anticipata dal settimanale l’Espresso e poi pubblicata il giorno seguente, il governatore siciliano Rosario Crocetta non ha commesso sciocchezze lo deve ad un avvocato suo amico e al procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi. Intervistato da Giuseppe Cruciani a “La Zanzara”, trasmissione radiofonica di Radio 24, Crocetta ha ammesso: “Non mi sono suicidato perché è intervenuto un procuratore perbene, Lo Voi, uno che si batte per la verità, uno apolitico. Lo ringrazio”.

“Oggi – aggiunge – sarei un uomo morto, infangato e forse tra qualche anno si sarebbe scoperto che avevano assassinato un uomo innocente. Ho pensato davvero di ammazzarmi e lo avrei fatto subito dopo l’uscita della notizia. Ma è arrivato il mio avvocato che mi ha preso in albergo, mi ha portato nel suo studio e mi ha detto che il procuratore stava verificando la notizia. Altrimenti sarei già un uomo morto. Piangevo, non mangiavo, non dormivo, non mi affacciavo alla finestra perché pensavo che qualcuno mi potesse guardare e mi insultasse, ho avuto paura di uscire di casa. Qualcosa di ignobile”.

“Senza quel giudice – commenta Crocetta – sarei una larva umana, è moralmente possibile tutto questo?”, si chiede il presidente siciliano che ha ribadito che non ha intenzione di dimettersi da presidente dopo la presunta “bufala” ordita “da chissà qauli poteri” nei suoi confronti. Crocetta spiega che per suicidarsi aveva pure trovato su internet “un modo veloce, sicuro, in modo che nessuno mi potesse salvare. Visto che non possiedo armi, mi sono chiesto: come mi ammazzo in modo che nessuno mi salvi? Pensavo alle tecniche che dovevo adottare per evitare l’arrivo di qualcuno, ho anche i militari sotto casa e un collaboratore vicino a me. Ma ho trovato un metodo facile, semplice. Lo avevo trovato ma non lo dico per paura delle emulazione. e’ una questione troppo delicata per parlarne”.

Il governatore della regione Sicilia Rosario Crocetta (Lapresse/Monaldo)
Il governatore della regione Sicilia Rosario Crocetta (Lapresse/Monaldo)

Ad oggi anche la procura di Messina, dopo quelle di Palermo e Caltanissetta smentiscono il settimanale l’Espresso: “Agli atti non esistono queste intercettazioni”. Quindi il governatore, dopo il “soccorso” di tre procure si dice tranquillo per il futuro. Alla domanda se appartiene ancora al Pd lui risponde “si”: “Io non mi dimetto. dovrebbero sfiduciarmi ma sarebbe come un golpe. Il partito potrebbe espellermi, ma lo statuto del partito recita che si può espellere solo chi ha subito condanne. Io non ne ho subite”.

Ironie su Davide Faraone, il renziano “padrone” del Pd siciliano, che aveva subito chiesto le dimissioni di Crocetta dopo la presunta intercettazione: “Di Faraoni ricordo quelli egizi”. Poi nella lunga chiacchierata con Radio 24 conferma il risarcimento di 10 milioni chiesti al settimanale che in una nota aveva comunque affermato che “la causa sarà l’occasione per dimostrare la nostra correttezza”.

Crocetta all’inizio dell’intervista esprimeva anche un altro concetto d’interesse:  e cioè, qualora fosse vero questo audio “io dato che secondo quanto pubblicato sto in silenzio, vengo accusato anche di stare in silenzio per cui uno è colpevole pure di essere assente in una conversazione”.

“Ma lei vuole fare chiudere l’Espresso con questo mega risarcimento di 10 milioni?”, è la domanda di Cruciani: “Sono anche pochi”, replica Crocetta”. La storia dunque continua, ma il tentativo di far fare un scivolone al governatore si sta rivelando un boomerang per molti che vedevano già la testa del governatore servita a Roma in un piatto d’argento.

De Luca vince la Severino. Unici rimasti fuori Scopelliti e B. Quando il coraggio paga

Vincezo De Luca
Vincezo De Luca

La “storia infinita” è finita come lui stesso, Vincenzo De Luca, ha sempre detto e ribadito: nel migliore dei modi. Un anziano leader che in molti volevano rottamare e che invece ha resistito alla imponente onda rinnovatrice di Renzi, il premier-segretario del Pd.

Il governatore della Campania eletto il 31 maggio scorso resterà tale. Nessuna legge, men che meno la Severino potrà mai levargli la soddisfazione di aver sfidato e asfaltato i “titani” schierati in massa contro di lui, prima delle primarie, poi in campagna elettorale e finanche dopo la elezione a presidente della Regione Calabria. E’ il coraggio, come dimostra la storia dello stesso presidente del Consiglio, paga sempre. Di questo, a De Luca, bisogna dargliene atto.

Il Tribunale civile di Napoli, che nella seduta del 17 luglio scorso aveva discusso ma si era riservata di decidere, ha accolto il ricorso di De Luca contro la sospensione della legge Severino. Il governatore della Campania resterà quindi nell’esercizio delle sue funzioni, salvo sorprese nei prossimi mesi.

Fulvio Bonavitacola, il vice di De Luca resterà a palazzo Santa Lucia ma non facente funzioni. Farà il vicepresidente come era stato deciso di fare. La sua nomina a vicepresidente, al di là delle indiscusse competenze, era stata fatta principalmente per mettere un uomo di fiducia al posto di De Luca qualora la vicenda legale avesse preso una piega diversa.

La prima sezione del tribunale civile, presieduta da Umberto Antico, ha accolto le richieste dei legali di De Luca, avvocati Lorenzo Lentini e Antonio Brancaccio dando a De Luca piena legittimità col lasciapassare di condurre la legislatura a termine. Mandato che in molti vedevano in bilico dopo la consultazione del maggio scorso. Nel valutare il caso De Luca, il collegio di giudici, lo stesso che avevano “riabilitato” il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, ha trasmesso gli atti alla Consulta per valutazioni sulla legittimità costituzionale della norma. Ma il Pd di Matteo Renzi sa bene che la legge così come impostata ha fatto soltanto danni. E’ inutile aspettare la Consulta, basta una modifica veloce in Parlamento. Renzi può farlo da subito perché nessuno può accusarlo di fare oggi, dopo la riabilitazione di De Luca, leggi ad personam. 

L'ex governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti
L’ex governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti

Una legge che ha già fatto “vittime” eccellenti, come l’ex governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti e lo stesso leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, fatto decadere da senatore con tutte le conseguenze politiche che si sono registrate.

Se vi sono stati dei ricorsi avversi a questa legge e ci sono stati magistrati che hanno sempre dato ragione ai ricorrenti ci sarà forse qualcosa che non va nella norma Severino, non nel collegio dei giudici campani!?! L’allora governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, (Centrodestra) ad esempio, colpito da una condanna di primo grado a sei anni per abuso d’ufficio, non fece ricorso, ma si dimise probabilmente spinto dall’impulso e dai “cattivi consigliori”.

Se gli uomini che allora lo circondavano –  tra cui i suoi avvocati, uno dei quali lo ha pure nominato senatore della Repubblica – gli avessero suggerito di ricorrere al Tar, probabilmente la storia della regione Calabria sarebbe stata diversa. Scopelliti non si sarebbe dimesso e, a quest’ora, forse, sarebbe ancora il presidente della Calabria. Una Regione che, nonostante l’elezione anticipata di Mario Oliverio (Pd), appare cristallizzata al 29 aprile 2014: giorno in cui l’ex governatore reggino protocollò le sue dimissioni in Consiglio regionale.

Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi (Ap)

Da allora le “foglie” alla Regione Calabria sono sempre al loro posto. Per farle ruotare un po’ (le foglie), c’è stato bisogno di un violento tornado abbattutosi sui vertici della giunta Oliverio e sul consiglio regionale. Lui, che è estraneo a tutto il ciclone giudiziario “Erga omnes”, ha finito per nominare dopo 7 mesi la giunta regionale iniziata a “tappe” lo scorso gennaio.

La prima gliel’ha azzerata la procura di Reggio Calabria con l’inchiesta sulla rimborsopoli calabrese. La seconda, tutta tecnica, e nuova di zecca, l’ha nominata quasi due settimane fa. I risultati che produrrà questo nuovo esecutivo probabilmente li sapremo tra qualche tempo. Ora siamo a fine luglio. Se ne riparlerà a settembre-ottobre, dopo la tintarella estiva. Se i buoni propositi annunciati da Oliverio si riveleranno tali, forse si vedrà qualche frutto, altrimenti per i calabresi saranno “cactus”…  Intanto, la regione rimane “ostaggio” delle camarille e dei burocrati. Anche d’estate, mentre la politica nuota nel mare sporco calabrese.

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