10 Ottobre 2024

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Roma, Marino si è dimesso. "Verifica seria o tra 20 giorni ci ripenso"

Il sindaco di Roma, Ignazio Marino si è dimesso (foto archivio Ansa/Di Meo)
Il sindaco di Roma, Ignazio Marino si è dimesso (foto archivio Ansa/Di Meo)

Dopo un tira e molla interminabile, si è dimesso in serata il sindaco di Roma, Ignazio Marino. L’addio è arrivato dopo il pressing del Pd e le dimissioni del vicesindaco e di due assessori. Per Marino è stata una giornata sotto assedio, col rischio di una sfiducia da parte del Pd. Orfini nel pomeriggio ha incontrato gli assessori, poi una delegazione è andata dal sindaco: ‘E’ finita’. Presidi in piazza e pro e contro il sindaco.

Ma Marino, stabilisce la legge, ha 20 giorni di tempo per ripensarci. Le dimissioni sono solo presentate, non efficaci da domani. E lui lo sottolinea: “Lascio, ma ora occorre una verifica seria. Ho 20 giorni per ripensarci”.

Il sindaco, fino al tardo pomeriggio era stato in trincea con il Pd orientato a sfiduciarlo. Intanto, col passare delle ore il terreno sotto i piedi del sindaco si sgretolava.

Rimasto con quasi mezza giunta, era isolato. Si erano infatti dimessi il vice sindaco Marco Causi, l’assessore ai Trasporti Stefano Esposito e l’assessore al Turismo di Roma, Luigina Di Liegro, ultimi e importanti new entry dopo il rimpasto di questa estate che venne definito la “fase due” della giunta Marino.

Luigina Di Liegro, Marco Causi e Stefano Esposito assessori dimissionari a Roma - Ignazio Marino sempre più isolato
Luigina Di Liegro, Marco Causi e Stefano Esposito assessori dimissionari a Roma – Ignazio Marino sempre più isolato

Oggi è stata una giornata campale per Ignazio Marino. Per tutta la giornata di ieri e nella mattinata odierna è stato forte il pressing del Pd per far dimettere il sindaco, soprattutto dagli ambienti renziani.

Il sindaco ha resistito ma poi ha ceduto al forte pressing, col Pd che era intento a studiare una exit strategy sulla vicenda e sul tavolo ci sarebbero anche le dimissioni in massa degli assessori Dem nel caso Marino non rassegnasse le dimissioni. Stessa richiesta anche da Sel.

L’ultimatum – Si sta svolgendo l’atteso incontro pomeridiano tra il commissario del Pd Matteo Orfini e il segretario Sel, Paolo Cento. Il commissario dem di Roma sta incontrando alcuni assessori della giunta Marino nella sede nazionale del Pd di via Sant’Andrea delle Fratte.

In mancanza di un passo indietro da parte del sindaco Marino, a quanto si apprende, i vertici di Pd e Sel discuteranno del da farsi. Tra le ipotesi più accreditate fra i dem c’è quella di una mozione di sfiducia in Aula.

Banchiere indagato dalla Dda di Firenze in una inchiesta sul boss Messina Denaro

Reati finanziari. E’ questa l’accusa per la quale è stato indagato il vicepresidente di un noto istituto di credito P.F., destinatario di una delle tante perquisizioni disposte ieri dalla Dda di Firenze nell’ambito delle indagini che hanno portato agli accertamenti condotti dal Ros su eventuali infiltrazioni mafiose nel settore della finanza.

Insieme al potente finanziere italiano, entra nel mirino della Dda fiorentina, anche il un manager trapanese, A.B, sospettato di complicità con il superboss latitante Matteo Messina Denaro.

Il Reparto operativo speciale dell’Arma dei Carabinieri è impegnato in un’operazione che riguarda una presunta rete di fiancheggiatori che potrebbero anche avere collegamenti con la latitanza del boss di Castelvetrano.

Le perquisizioni sono state disposte dalla Dda di Firenze, e riguardano anche imprenditori e manager, una decina delle quali nell’area pisana e della Versilia.

Al vaglio soprattutto alcune operazioni finanziarie sospette legate a possibili infiltrazioni mafiose nel tessuto economico locale.

P.F. è stato perquisito in Lombardia. Secondo l’accusa della Dda di Firenze, il banchiere sarebbe accusato di reati finanziari, con l’aggravante dell’art.7 per aver agevolato clan mafiosi, avendo sostenuto, insieme ad altri indagati, le attività del costruttore B.A, originario di Trapani ma da tempo operativo in Toscana, a Firenze, Pisa e Lucca.

L’uomo, impegnato in affari immobiliari, avrebbe maturato un’esposizione finanziaria di circa 65 milioni di euro, coinvolgendo anche una piccola banca di credito cooperativo, che da qualche tempo Bankitalia ha commissariato per importanti criticità gestionali.

Il manager, per risolvere il “buco”, si sarebbe rivolto all’istituto per sostenere il debito ed avrebbe trovato nel principale indagato ed altri manager chi gli avrebbe favorito altri finanziamenti nonostante la forte esposizione.

In tutto sono una decina le persone indagate nell’inchiesta; una ventina le perquisizioni effettuate. Tra gli indagati ci sarebbe anche un manager, braccio destro dell’indagato principale. Perquisizioni anche a Trapani, Roma, Firenze, Palermo per sequestrare documentazioni bancarie.

Tra le valutazioni dei pm della Dda di Firenze quella di accusare alcuni indagati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’appropriazione indebita. Nell’inchiesta non è contestato l’articolo 416 bis ma, solo per alcuni indagati, l’art.7. Tuttavia, per gli investigatori del Ros l’imprenditore viene ritenuto aver collegamenti, per via indiretta, col boss Matteo Messina Denaro, latitante da decenni.

Insieme a P.F. e a B.A, sono oggetto di indagini anche gli imprenditori F.T., G.S., l’assistente di P.F., R.M. e i due manager di Unicredit M.F. e A.C.. A questi si aggiungono altre due persone già comparse nel fascicolo “madre”, e V.P, per reati commessi a Pisa.

Dramma a Matera, mongolfiera tocca cavi elettrici e precipita. Morti due giovani

Dramma al Matera, mongolfiera tocca cavi elettrici e precipita. Morti due giovani Davide Belgrano e Giuseppe Nicola Lasaponara
Il luogo in aperta campagna dove è precipitata la mongolfiera

Dramma al Matera Balloon Festival, una manifestazione programmata nella città lucana dall’8 al 11 ottobre, dove si esibiscono palloni aerostatici. Due studenti dell’Itc Olivetti, settore aeronautico, sono morti in seguito alla caduta di una mongolfiera che stava partecipando, nei cieli di Montescaglioso (Matera), alla seconda edizione della kermesse che rientra negli eventi di Matera capitale della cultura 2019.

Le vittime sono sono Davide Belgrano, 20 anni e Giuseppe Nicola Lasaponara, 18 anni, entrambi di Matera dove frequentavano l’ultimo anno all’istituto tecnico Olivetti di Matera.

Sul posto sono immediatamente giunti 118, i Vigili del Fuoco e i Carabinieri, che indagano sulle cause dell’incidente. Secondo una prima ricostruzione, la mongolfiera su cui volavano i due giovani avrebbe toccato uno dei cavi dell’alta tensione ed è precipitata.

Davide Belgrano e Giuseppe Nicola Lasaponara Davide Belgrano e Giuseppe Nicola LasaponaraIl pallone, da quanto raccontato, dopo il contatto con i cavi, avrebbe iniziato a prendere fuoco e Lasaponara e Belgrano, spaventati e nel panico, quando hanno visto che la mongolfiera stava precipitando, si sarebbero lanciati nel giù nel vuoto nel tentativo di salvarsi.

I due giovani purtroppo non hanno avuto scampo. Sono morti sul colpo dopo una caduta da diverse decine di metri. I loro corpi sono stati ritrovati a qualche centinaia di metri dall’impatto col suolo del pallone, un casolare in aperta campagna. Il pilota del pallone è rimasto ferito. La manifestazione dopo la tragedia, è stata subito sospesa.

VIDEO SU MATERA BOLLON FESTIVAL

Il sindaco di Matera, Raffaello De Ruggieri ha subito raggiunto il luogo della tragedia e a nome della città ha indetto il lutto cittadino. “Di fronte ad una tragedia imprevedibile – ha detto il sindaco – che ha causato la morte di due giovani studenti materani, non è possibile trovare parole che possano lenire il dolore dei familiari e dell’intera comunità materana colpita da un lutto così inaccettabile”.

“A nome della città – ha aggiunto De Ruggieri – esprimo la profonda amarezza per questo tragico episodio talmente intenso da imporre il lutto cittadino per affratellare in un moto di solidarietà donne e uomini della nostra città. Per tale ragione – ha concluso il primo cittadino – tutte le manifestazioni programmate per i prossimi giorni sono sospese affinché la memoria di un simile fatto doloroso non possa essere ignorata”.

Roma, Ignazio Marino verso le dimissioni. Pd studia exit strategy

Ignazio Marino sindaco di Roma
Ignazio Marino sindaco di Roma

Il sindaco di Roma Ignazio Marino starebbe pensando a “dimissioni volontarie” dopo l’incessante pressing del suo partito, il Pd, che vuole costringerlo alle dimissioni dopo i ripetuti “scandali” di cui sarebbe protagonista il primo cittadino di Roma Capitale.

Secondo quanto appreso dall’Ansa, sono insistenti le voci di un’uscita di scena volontaria del sindaco, sotto attacco non solo per la gaffe con Papa Francesco durante la visita negli Usa (“Io non invitato il sindaco Marino, sia chiaro!”), ma ultimo scandalo in ordine, ma tra l’altro, appunto, per le spese istituzionali che hanno generato un vespaio di polemiche e l’apertura di una inchiesta da parte della procura guidata da Giuseppe Pignatone.

Queste voci, che rimbalzano in tutta Roma e, soprattutto in ambienti autorevoli Pd, si sono fatte tra ieri e oggi più insistenti anche all’interno di Palazzo Senatorio. Alle 11 in Campidoglio è convocata una Giunta comunale sul Giubileo, ma slitta alle ore 12. L’Assessore alla Legalità della capitale, Alfonso Sabella ha affermato che “ci sono stati dei problemi”.

Circolano pure indiscrezioni che se non dovesse fare un passo indietro Marino, nelle prossime ore l’intera giunta potrebbe dimettersi in massa. Marino è alle strette e non molla. Resta in trincea e ieri ha promesso che pagherà di tasca sua tutte le spese sostenute con la carta di credito del Comune di Roma. Il sindaco rinuncerà anche alla carta di credito intestata al Comune.

La volontà di pagare di tasca propria tutte le spese sostenute con la carta di credito del Comune di Roma è stata annunciata ieri durante la riunione di giunta che si è tenuta ieri nel pomeriggio. Successivamente, in una nota, ha ricordato di essere stato lui “a mettere on line tutti gli atti di cui si parla in queste ore. Dopo gli anni opachi e neri è la mia amministrazione ad aver portato trasparenza.

PD PER EXIT STRATEGY CON SFIDUCIA E POI GABRIELLI
Sul versante maggioranza, anche Sel chiede un passo indietro del sindaco e oggi pomeriggio incontrerà il commissario del Pd capitolino Matteo Orfini nel quale si valuterà una exit strategy per uscire dall’empasse politica che sembra gravare sul Campidoglio. Sul piatto una possibile mozione di sfiducia o azioni comunque risolutive. In attesa di eventuali elezioni anticipate, il comune sarà retto dal commissario Franco Gabrielli, già nei fatti “sindaco facente funzioni” dopo l’esautoramento di Marino dall’evento del Giubileo.

“Faccio questo gesto per i romani, non per chi mi attacca”, puntualizza Ignazio Marino. “Ma ora voglio che Roma guardi avanti, guardi all’ impegno per il Giubileo, ai cambiamenti necessari perché i cittadini vivano meglio in una città più moderna e accogliente”.

“Guardo all’obiettivo giubilare, all’anno che si apre in anticipo l’8 dicembre e che si chiuderà a fine novembre del 2016. E’ una sfida – ha aggiunto – che Roma, con lo sforzo di tutti i cittadini e con il concorso del governo, saprà vincere. Da due anni c’è il tentativo di sovvertire la scelta democratica dei cittadini. Io continuerò sulla strada del cambiamento e gli stessi cittadini giudicheranno”.

Insomma, il cielo non è azzurro sopra il Campidoglio e Ignazio Marino è alle strette. E a rincarare la dose ci pensa il M5S, da sempre in trincea contro Marino. Beppe Grillo su Twitter scrive: “#marinodimettiti e Roma subito al voto!”.

“Non è più una questione di legittimità, ora è diventata una questione morale per questo Marino si deve dimettere”. Aveva affermato mercoledi il deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Di Battista nel corso di una conferenza stampa sulle spese di rappresentanza del sindaco. “Abbiamo chiesto più volte le dimissioni di Marino – ha aggiunto – soprattutto alla luce delle bugie in merito alla cena con la Comunità di Sant’Egidio che poi ha smentito”.

A Marcianise (Caserta), clan, droga, sesso e vip. Arrestati 3 poliziotti e 13 persone

Trasferimenti-Polizia-di-StatoPoliziotti infedeli, clan, sesso, vip e droga. Sembra esserci un po’ di tutto nell’operazione scattata all’alba nel Casertano. Il bilancio è sedici arresti, eseguiti da parte della squadra mobile della questura di Caserta, nei confronti di due presunte organizzazioni criminali attive nei territori di Marcianise (Caserta) e in alcuni comuni limitrofi del Casertano.

Tra i reati contestati, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, all’usura, truffa, corruzione, concussione e all’abuso d’ufficio.

Con l’operazione, coordinata dalla Dda di Napoli, sono state aperte le porte del carcere anche a tre poliziotti in servizio al commissariato di Marcianise. Sono accusati a vario titolo di presunta corruzione, peculato e droga. I tre avrebbero avuto una marcata commistione con la malavita.

I tre agenti, con servizi anti-prostituzione fittizi avrebbero, secondo l’accusa, fatto sesso con prostitute nelle auto di pattuglia e nel commissariato di Marcianise, dove prestano servizio, e avrebbero anche usato l’auto di servizio per accompagnare il cantante Gigi D’Alessio a Napoli alla presentazione di un suo lavoro musicale.

Risulterebbe che lo stesso agente avrebbe accompagnato l’artista a New York ad un concerto del noto cantante. Uno dei poliziotti sarebbe stato organico al clan. E’ emerso che i gruppi criminali godevano di una sorta di copertura da parte dei tre agenti a Mercianise.

Le due cosche – capeggiate da Donato Bucciero presunto affiliato al clan Belforte e da Giuseppe Liberato, entrambi pregiudicati – erano dedite allo spaccio di droga. In particolre hashish e cocaina. Come base logistica per gli stupefacenti veniva usato un negozio di articoli sportivi a Mercianise e utilizzavano una fitta rete di spacciatori per smerciare la “roba”.

I NOMI DEGLI ARRESTATI

– Bucciero Donato, 46enne di Marcianise , pregiudicato, affiliato al clan Belforte

– Bencivenga Immacolata, 43enne, moglie di Bucciero

– Bencivenga Rosa, 25enne da Marcianise

– Camarca Nunziante, 37enne , Ass.te C. della Polizia di Stato

– Laddaga Isabella, 34enne da san Prisco

– Trillicoso Francesco, 57enne, da Marcianise

– Liberato Giuseppe, 41enne da Marcianise , pregiudicato

– Cirillo Antonio, 44enne di Marcianise

– Delle Curti, Roberto 44enne di Marcianise;

– Di Saverio Francesco, 29enne di Capodrise;

– Hoxha Luljetya, 34enne, albanese;

– Iafulli Michele, 36enne, napoletano, pregiudicato;

– Piccirillo Pasquale, 40enne di Marcianise;

– Pugliese Daniele, 25enne, casertano;

– Albano Alessandro, 48enne, da san Nicola La Strada, Sov.te della Polizia di Stato;

– Petrillo Domenico, 41enne, da san Nicola La Strada, Ass.te C. della Polizia di Stato.

Paternò, gravissimo scontro fra moto. Morti 4 ragazzi FOTO

Gianluca Parisi e Valentina Aureliano due delle vittime di Paternò. Erano fidanzati (Facebook)
Gianluca Parisi e Valentina Aureliano due delle vittime di Paternò. Erano fidanzati (Facebook)

Destino beffardo. Gravissimo incidente stradale a Paternò (Catania). Quattro giovani di età compresa tra i 17 e i 23 anni sono morti carbonizzati a seguito di un scontro fra due motociclette.

L’impatto è stato violentissimo tanto che le le due moto sono “esplose” a causa del carburante carico nei serbatoi delle due ruote. L’incidente è avvenuto in serata in via Unità d’Italia, su un lungo vialone poco illuminato del quartiere Scala Vecchia alla periferia di Paternò.

Sul posto sono giunti i carabinieri della locale compagnia, vigili del fuoco e i soccorritori del 118 che nulla hanno potuto fare per tentare di salvare i quattro giovanissimi.

Le vittime erano su un’Honda Sh e su una moto Ktm. Uno dei due mezzi, secondo i primi rilievi dei carabinieri, andava a velocità elevata ed ha impattato violentemente sull’altro. La collisione è stata così violenta che ha fatto esplodere le due moto.

Le vittime sono tre ragazzi e una ragazza: Giuseppe Russo. di 17 anni e Antonio Faranda di 22 anni, che viaggiavano insieme a bordo di una delle moto. Sull’altra viaggiavano invece Gianluca Parisi 23 anni e Valentina Aureliano,  22enne. Gianluca e Valentina erano fidanzati.

I ragazzi, a seguito dello scontro, sono state sbalzati lontano e sono morte per le fratture e le gravi ustioni riportate. Gli investigatori escludono che tra i ragazzi ci fosse una gara di velocità. Sarebbe un incidente “casuale”, dovuto probabilmente all’alta velocità e alla scarsa luminosità sul rettilineo di Paternò

In ogni caso la Procura di Catania ha aperto un’inchiesta ed è molto probabilmente che sarà disposto l’esame autoptico sui corpi dei quattro ragazzi. La notizia dell’incidente, balzata in un baleno in tutto il Catanese, ha sconvolto tutta la comunità siciliana. I parenti e gli amici dei ragazzi che sono giunti sul luogo dell’incidente sono straziati dal dolore per la perdita dei propri ragazzi. Le bacheche degli amici dei ragazzi su Facebook sono listate a lutto.

Filippine, rapimento Rolando Del Torchio. Per procura di Roma è terrorismo islamico

Filippine, rapito da gruppo islamico ex missionario italiano Rolando del Torchio
l’italiano rapito nelle Filippine Rolando del Torchio

La Procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine in relazione al sequestro del ristoratore italiano, ex missionario, Rolando Del Torchio avvenuto mercoledì 7 ottobre nelle Filippine. Nel procedimento il procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo, ipotizza il reato di sequestro di persona a scopo di terrorismo.

Intanto, è stata lanciata una massiccia operazione di ricerca lungo le aree costiere vicino a Dipolog City, dove ieri sera è stato rapito da un commando armato Del Torchio. Elicotteri, navi della guardia costiera e membri delle forze armate partecipano alla ricerca, che si espande fino all’isola di Sulu, dove il gruppo islamico radicale Abu Sayyaf – tra i maggiori sospettati del sequestro – ha la sua base. Secondo la polizia, una telecamera di sorveglianza ha ripreso alcuni membri del commando, senza fornire però elementi sufficienti per la loro identificazione.

Il ristoratore italiano, Rolando Del Torchio, di 56 anni, è stato rapito da uomini armati nel suo caffè-pizzeria a Dipolog City, nel sud delle Filippine dove sono attivi diversi gruppi, tra ribelli e mercenari e separatisti islamici, alcuni dei quali fondamentalisti.

Il rapimento è stato confermato dal capo della polizia di Dapitan, Divin Ceriales e dalla Farnesina. L’uomo, che è stato missionario nelle Filippine, è stato prelevato dal gruppo di criminali nel suo locale dove i banditi erano entrati fingendosi per dei clienti. Il nucleo armato, insieme all’ostaggio, è salito poi su un motoscafo per lasciare la città via mare.

Circostanza, questa, confermata dal portavoce militare filippino, capitano Roy Trinidad: “I rapitori sono stati avvistati mentre lo trasferivano su una barca a motore diretta verso la citta’ di Manukan”. “Si ritiene – ha aggiunto – che viaggeranno verso Jolo passando per Sindangan, Siocon e Sirawai”, ha detto.

Rolando Del Torchio, che è arrivato per la prima volta nelle Filippine nel 1988 come missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), ha lasciato la tonaca nel 1996. Secondo il sito di informazione filippino Rappler.com, del Torchio aveva preso tale decisione scandalizzato dall’emergere del fenomeno pedofilia nella Chiesa.

Aveva comunque scelto di rimanere sull’isola di Mindanao, nel sud del paese, per lavorare con un’organizzazione non governativa che forniva assistenza agli agricoltori della zona. In seguito Rolando Del Torchio aveva aperto un suo ristorante, il “Ur Choice Cafè”. A Mindanao e nella stessa Dipolog City, capitale della provincia di Zamboanga del Norte, sono presenti diversi gruppi ribelli musulmani, parte di una guerriglia separatista per ricavare maggiore autonomia in un arcipelago a maggioranza cattolica. Alcuni di questi gruppi sono più che altro bande di criminali, che si finanziano anche con il rapimento di stranieri

Del Torchio era scampato a un attentato una quindicina di anni fa, quando alcune persone avevano sparato contro di lui mentre si trovava insieme al vescovo locale”. Lo ha raccontato all’Ansa il cugino dell’uomo, Andrea Del Torchio, titolare di una gastronomia ad Angera (Varese), paese dove Rolando è nato. “Erano riusciti a salvarsi rifugiandosi sotto i letti – ha proseguito – e Rolando era rimasto traumatizzato. Si tratta di posti pericolosi, che lui ama nonostante la situazione difficile”.

Per il rapimento di Rolando Del Torchio al momento pare non sia giunta al momento nessuna rivendicazione o richiesta di riscatto. Nessun contatto risulterebbe all’ambasciata italiana a Manila né ai collaboratori di Rolando Del Torchio nel suo locale. L’intellingence è al lavoro per capire da quale gruppo islamico sia stato rapito l’italiano.

Palermo, sorpreso a fare sesso con un cane in strada. Denunciato

Sesso con cane a palermoPALERMO – Sembrava un uomo normale e amava i cani in modo maniacale. Con un particolare curioso: gli piaceva intrattenersi in intimità e amava farci sesso anche all’aperto.

Sembra una barzelletta uscita dalla fattoria degli animali, ma è successo davvero in Sicilia. Un uomo di 50 anni è stato denunciato per atti osceni in luogo pubblico per avere avuto rapporti sessuali con un cane per strada, in una zona centrale di Palermo.

Il Giudice per l’udienza preliminare, che celebra l’udienza e dovrà decidere sul rinvio a giudizio dell’uomo, ha disposto una perizia psichiatrica sull’imputato. Non è da tutti i giorni trovarsi di fronte un amante dei cani così “focoso…”

L’uomo è stato visto più volte avvicinarsi al giardino di un’abitazione, bloccare il cane e costringerlo a partecipare ad atti sessuali. A denunciare il 50enne sono stati i proprietari dell’animale che hanno notato gli abusi sessuali dell’uomo sul cane.

Ma l’uomo non è il solo di questi periodi. E’ di pochi giorni fa la notizia che in Australia una maestra d’asilo arrestata per aver fatto sesso con il suo cane, aveva chiesto di tornare all’asilo ma il giudice le ha vietato di lavorare con i bambini. I fatti risalgono al 2014. La ragazza sorpresa in intimità con il suo pet, venne arrestata in flagranza. Non sono poi così isolati questi casi di estrema depravazione con gli animali.

Ercolano, tentano di rapire orafo ma lui reagisce e li uccide. Indagato per eccesso di legittima difesa

Il piazzale dove sono stati uccisi i banditi Bruno Petrone e Luigi Tedeschi, in via Alveo a Ercolano (Ansa/Fusco)
Il piazzale dove sono stati uccisi i banditi in via Alveo a Ercolano (Ansa/Fusco)

ERCOLANO (NAPOLI ) E’ indagato per omicidio colposo per eccesso di legittima difesa, il gioielliere di 68 anni di Ercolano che ieri ha ucciso due persone che tentavano di rapirlo.  L’uomo ha detto di aver sparato per difesa, sentendo che la sua vita era in pericolo. Sul fatto di sangue indaga la procura di Napoli con il sostituto procuratore Pierpaolo Filippelli.

I FATTI – Nel tentativo di rapinare un gioielliere, due uomini, Bruno Petrone, di 53 anni, e di Luigi Tedeschi, di 51 anni, entrambi napoletani, sono stati uccisi dal commerciante di 68 anni con una pistola regolarmente detenuta.

Il fatto di sangue è avvenuto a mezzogiorno circa a Ercolano, all’angolo tra via Alveo e corso Resina, a poca distanza dagli scavi archeologici. Il gioelliere, da quanto appreso, era andato a fare un prelievo in banca quando le due vittime all’uscita gli avrebbero fatto il cosiddetto “filo di banca”, una tecnica usata dai malviventi per rapinare le vittime designate.

Dopo un breve pedinamento, i due banditi lo avrebbero bloccato e intimato di consegnargli il malloppo, ma evidentemente il commerciante di preziosi si era già accorto dell’imminente aggressione e non si è fatto trovare impreparato.

L’uomo, 68 anni, a quel punto ha reagito istintivamente, per quella che si ritiene essere “legittima difesa”. Ha estratto la pistola e li ha freddati uno dopo l’altro nel piazzale di un deposito di bibite. Secondo una prima e parziale ricostruzione sarebbe stato uno di loro ad avvicinare il commerciante per rapinarlo.

Le vittime, da quanto è stato riferito, avrebbero agito a volto scoperto ed erano su uno scooter. Erano entrambi già noti alle forze dell’Ordine. I corpi sono stati trovati a distanza di una ventina di metri uno dall’altro, uno a terra, l’altro riverso sulla moto.

Allertato il 112, sul posto si sono recati i carabinieri e i soccorritori del 118, ma per Petrone e Tedeschi non c’era più nulla da fare.

Sul fatto di sangue, indagano i militari di Ercolano, nella cui caserma il sostituto della Dia di Napoli, Pierpaolo Filippelli, sta interrogando il commerciante per cercare di ricostruire la dinamica della tentata rapina sfociata nel duplice omicidio. Al momento pare non risulti indagato, ma non si escludono provvedimenti della magistratura a carico del gioielliere come “atto dovuto”. Sul posto si è recato anche il legale dell’orafo, Maurizio Capozzo.

Da quanto riferito dai presenti sul luogo del duplice omicidio, il commerciante di oggetti preziosi, si trova letteralmente sotto choc. Non è la prima volta che ha subìto rapine in passato, ma non avrebbe mai immaginato che quell’arma, regolarmente detenuta e comprata a scopo “preventivo”, l’avrebbe dovuta usare per difendersi dai rapinatori.

La moglie di una delle vittime, sul posto dove sono stati uccisi i due rapinatori, si è lanciata in invettive: “Ha sbagliato anche lui e deve pagare”, ha urlato nella disperazione più cupa.

Nicolosi, omicidio Giordana Di Stefano. Confessa l'ex: "Sono stato io" VIDEO/FOTO

Luca Priolo e la vittima Giordana Di Stefano
Luca Priolo e la vittima Giordana Di Stefano

“Si, sono stato io a ucciderla”. Ha confessato davanti agli investigatori milanesi Luca Priolo, l’ex compagno di Giordana Di Stefano, la ragazza madre poco più che ventenne assassinata brutalmente con diversi colpi di coltello nella sua auto a Nicolosi, in provincia di Catania. L’ex convivente, era stato fermato a Milano da dove stava scappando all’estero. Secondo quanto appreso, il giovane era “terrorizzato” che la ragazza potesse metterlo nei guai con il lavoro, ma più di tutto che la giovane potesse strappargli la figlia con il contenzioso aperto sull’affido.

La caccia all’uomo è durata poco dopo l’orrendo omicidio di stamattina a danno della ragazza siciliana.  Il giovane è accusato di omicidio volontario aggravato. Proprio oggi c’era la prima udienza del processo che lo vedeva imputato per stalking, accusa che gli aveva rivolto la ragazza ammazzata senza pietà oggi. Nel 2013 la giovane lo aveva infatti denunciato per episodi di stalking.

Oggi il procedimento è stato regolarmente incardinato ugualmente dalla Procura di Catania che ha chiesto il rinvio a giudizio dell’imputato. La prima udienza si sarebbe dovuta tenere stamattina ma è stata rinviata perché il legale dell’imputato ha chiesto il ricorso a riti alternativi ipotizzando anche una bonaria risoluzione.

Combo di Giordana Di Stefano la 21enne uccisa a Nicolosi, Catania. (foto profilo Facebook della povera vittima)
Combo di Giordana Di Stefano la 21enne uccisa a Nicolosi, Catania. (foto profilo Facebook della povera vittima)

Pare che il giovane sia fuggito a Milano con l’auto della madre, una Fiat Punto, la cui targa è stata rilevata in alcuni passaggi autostradali.

Arrivato a Milano si è recato alla stazione ferroviaria per tentare, secondo gli investigatori, di andare all’estero in treno. Il giovane è stato sentito da magistrati della Procura di Milano su rogatoria attivata dai loro colleghi di Catania. E davanti ai pm milanesi Priolo ha confessato il crimine: “Si, sono stato io a uccidere Giordana Di Stefano”. Il movente sarebbe riconducibile all’affido della figlia. “Voleva portarmela via”, avrebbe detto ai magistrati.

Da sinistra Luca Priolo. A destra una foto di Facebook del 27 agosto scorso tra Priolo, Giordana Di Stefano e la loro bambina
Da sinistra Luca Priolo. A destra una foto di Facebook del 27 agosto scorso tra Priolo, Giordana Di Stefano durante il compleanno della loro bimba

L’auto, un’Audi A2, con a bordo il cadavere della sfortunata ragazza, è stata rinvenuta stamattina in una strada isolata con poche case, alla periferia del paese, nei pressi di via Alfredo Maria Mazzei.

Giordana Di Stefano amava la danza, aveva una figlia piccola di 4 anni con l’ex convivente Luca Priolo, di 24 anni che lei, dopo la fine della loro storia, aveva appunto denunciato per stalking.

Nicolosi (Catania), uccisa 21enne Giordana Di Stefano. Denunciò ex per stalking
Il luogo dove è avvenuto l’omicidio

I Carabineri  hanno subito avviato indagini per accertare eventuali collegamenti tra l’omicidio e le denunce di stalking di Giordana Di Stefano. E infatti dopo qualche il cerchio si è chiuso. Sul posto dell’omicidio sono giunti i carabinieri della compagnia di Paternò e del comando provinciale di Catania che hanno effettuato i rilievi.

Il grave fatto di sangue ha sconvolto tutto il Catanese. Un omicidio passionale che è maturato in un contesto fatto di denunce e ricorsi legali. Giordana Di Stefano  e il suo ex convivente, Luca Priolo, avevano infatti un contenzioso aperto in sede civile per l’affido esclusivo della figlia di quattro anni.

VIDEO DELL’ARRESTO IN DIRETTA

La giovane aveva presentato la richiesta e il ventiquattrenne si era detto pronto ad accettare l’accordo se lei avesse ritirato la denuncia per stalking presentata nel 2013. Secondo fonti legali, lui avrebbe voluto lavorare come guardia giurata e aveva bisogno di chiudere il fascicolo penale per potere ottenere il porto d’armi. Il procedimento per stalking era stato avviato dopo che il giovane era entrato da una finestra a casa di Giordana, nel 2013. Lui si era difeso sostenendo di essere entrato perché aveva visto un auto sospetta fuori e voleva garantire la loro sicurezza.

Pescara, Banco-Matt”. Arrestato Mauro Mattucci. Sequestrati 100 mln

L'imprenditore arrestato Mauro Mattucci
L’imprenditore arrestato Mauro Mattucci

PESCARA – E’ di 12 arresti il bilancio di un’articolata operazione denominata “Banco-Matt” contro un presunto sodalizio criminoso che operava nell’edilizia e del recupero di materiali ferrosi. Colpito l’impero dell’imprenditore pescarese Mauro Mattucci. L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Pescara e condotta dalla Guardia di Finanza ha fatto emergere presunti illeciti commessi da Mauro Mattucci, accusato di essere il dominus indiscusso in Abruzzo e in diverse regioni d’Italia di una vasta rete che operava con lo scopo di mettere in atto presunte truffe, meccanismi fraudolenti, e danni all’erario.

Coinvolte oltre cento società e un giro vorticoso di false fatture pari a 500 milioni di euro. Operato un sequestro preventivo finalizzato alla confisca di quasi 100 milioni di euro, setacciati tutti gli istituti di credito e le compagnie di assicurazioni sul territorio nazionale presso i quali sono stati bloccati 284 conti correnti, 57 depositi di titoli e 3 cassette di sicurezza. Il vincolo ha poi colpito 107 immobili.

“Le indagini eseguite dalle Fiamme Gialle di Pescara, delegate dalla locale Procura della Repubblica, hanno permesso di accertare come Mauro Mattucci utilizzando una fitta rete di società, abbia posto in essere in maniera scientifica e ripetuta condotte penalmente rilevanti – secondo le autorità investigative – in spregio a qualsiasi regola fiscale, societaria e di mercato violando quasi tutte le norme in materia penale-tributaria e realizzando truffe aggravate in danno di Istituti di Credito, conseguendo un profitto complessivo in danno dell’Erario per un ammontare stimato in circa 100 milioni di euro”.

L’attività investigativa – si legge in una nota della Guardia di Finanza – ha permesso di delineare compiutamente il seguente schema fraudolento, utilizzato in modo sistematico e spregiudicato dall’imprenditore pescarese e dai suoi sodali per conseguire i propri intenti criminali come la “creazione o acquisto di una società “pulita”, alimentando e favorendo relazioni con clienti, fornitori ed ambiente economico di riferimento, grazie alle quali ottenere aperture di linee di credito presso Istituti bancari”.

“Attività ben avviata, annotazione di fatture false, emesse da società del gruppo di Mauro Mattucci o sulle quali lo stesso aveva di fatto un’influenza dominante, per azzerare il carico fiscale (Iva, Ires, Irpef, contributi, Irap e alto)”. “Svuotamento” della società mediante cessioni di rami d’azienda, di quote sociali e/o azioni, scissioni e compravendite immobiliari, in favore di altre società del gruppo create all’occorrenza ovvero già esistenti (c.d. good company).

L’operazione vanificava così eventuali iniziative di recupero da parte di creditori, banche e Fisco”. “Ovviamente, l’imprenditore, prima di procurare il depauperamento, usciva formalmente dalla compagine societaria”. Altra accusa delle fiamme gialle all’uomo è la “distribuzione dei proventi a se stesso ed ai sodali, sotto forma di compensi erogati in forza di falsi contratti di lavoro dipendente o di consulenza. Con tale espediente venivano drenate risorse finanziarie al netto delle imposte, in quanto formalmente già tassate in capo alla società che eroga la retribuzione; debito fiscale che tuttavia veniva neutralizzato per effetto delle compensazioni operate grazie a crediti Iva fittizi, costituiti a monte con la registrazione di fatture per operazioni inesistenti”. Oltre alla “rottamazione” del soggetto economico ormai in insolvenza (divenuto bad company), spesso affidato ad un prestanome e trasferito all’estero.

Secondo gli investigatori sarebbero evidenti le conseguenze del complessivo meccanismo fraudolento. “L’imprenditore ed i suoi sodali potevano ostentare tranquillamente una elevata capacità contributiva, in quanto per l’Erario avevano regolarmente assolto alle rispettive obbligazioni tributarie, percependo redditi di lavoro dipendente soggetti a ritenuta alla fonte”, a fronte dei quali “lo Stato nulla incassava, in quanto le società che erogavano i compensi non versavano le ritenute, avvalendosi dei crediti creati appositamente con le fatture false”. Inoltre, sostengono le Fiamme gialle, “le società gestite dall’associazione a delinquere, alimentate e sostenute dall’indebito vantaggio fiscale, continuavano a proliferare inquinando il tessuto economico dei vari contesti ambientali; le società “rottamate” venivano svuotate a grave danno delle banche e dei creditori, sempre a vantaggio del gruppo guidato da Mauro Mattucci.

Il nome dell’operazione “Banco-Matt”, spiega la Gdf, scaturisce proprio dalle modalità operative appena descritte (e anche dalle iniziali del cognome dell’arrestato), in quanto l’imprenditore pescarese utilizzava le società distraendo a suo piacimento beni e liquidità, quali fossero dei veri e propri “bancomat personali”.
La definizione del quadro indiziario, che ha richiesto l’esecuzione di articolati atti investigativi, intercettazioni telefoniche, perquisizioni, assunzione di testimonianze – anche da aderenti al sodalizio criminale -, ha permesso di ricostruire l’intero sistema di frode attuato mediante un reticolo di oltre 100 società, di quantificare in oltre 500 milioni di euro le false fatture emesse ed utilizzate, di accertare un danno per le casse dello Stato di circa 100 milioni di euro.

All’esito del lavoro svolto dalle Fiamme Gialle, il Gip presso il Tribunale di Pescara, su proposta dei Pubblici ministeri titolari delle indagini, ha emesso una Ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Mauro Mattucci e G. A. e di arresti domiciliari nei confronti di altri dieci responsabili.

Con lo stesso provvedimento è stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente delle disponibilità liquide, dei beni mobili ed immobili e delle quote societarie nella disponibilità degli indagati, sino all’ammontare complessivo di euro 97.074.415,88.
L’esecuzione del provvedimento ha visto impegnati oltre 100 uomini della Guardia di Finanza che hanno operato in Abruzzo, Marche, Lombardia, Trentino Alto Adige, Sardegna, Umbria, Lazio, Campania e Puglia.

Setacciati tutti gli istituti di credito e le compagnie di assicurazioni sul territorio nazionale presso i quali sono stati bloccati 284 conti correnti, 57 depositi titoli e 3 cassette di sicurezza. Il vincolo ha poi colpito 107 immobili. Sono state, infine, sequestrate quote di 56 società affidate in custodia giudiziale ad amministratori nominati dall’Autorità Giudiziaria.

Con l’applicazione delle misure cautelari disposte, epilogo delle indagini sviluppate dalle Fiamme Gialle pescaresi, è stata neutralizzata l’operatività del sodalizio criminale che per anni ha sottratto risorse economiche allo Stato ed ha alterato le regole del mercato, in danno dei cittadini e degli imprenditori onesti.

Il Times svela il piano segreto Ue per rimpatriare 400mila migranti irregolari

Il Times svela il piano segreto dell'Ue per rimpatriare 400mila migrantiLa notizia arriva dalla Gran Bretagna ed è destinata a far discutere. Secondo il Times, i vertici dell’Unione europea avrebbero studiato un piano segreto per espellere dal territorio europeo almento 400mila migranti giunti nei mesi scorsi.

Si tratta dei cosiddetti migranti economici irregolari, clandestini che non hanno i requisiti per ottenere lo status di rifugiati in base agli accordi di Dublino.

Bruxelles, secondo il quotidiano britannico, che dedica alla notizia l’apertura del giornale oggi in edicola nonché online, minaccia restrizioni in termini di sostegno economico, partnership commerciale e sui visti a Paesi come Niger ed Eritrea che si rifiutassero di riprendere i migranti economici.

Secondo il piano segreto di cui è venuto a conoscenza il quotidiano inglese, gli Stati membri dovrebbero tenere in custodia in centri di accoglienza, i cosiddetti hot spot, le migliaia di migranti per evitare la loro fuga, prima dell’espulsione dal territorio Ue.

Alla stragrande maggioranza dei migranti giunti illegalmente in Europa, circa quattrocentomila, è stata infatti rigettata la domanda di asilo, quindi il piano di cui parla il Times prevede il rimpatrio di quasi mezzo milione di immigrati. Una sfida non facile per i leader europei.

Ebola, in Sierra Leone via alla sperimentazione del vaccino

I laboratori della Janssen, la casa farmaceutica che ha sviluppato vaccino contro virus ebola
I laboratori della Janssen

Sta per partire, in Sierra Leone, una sperimentazione sull’uomo del vaccino messo a punto da Janssen per l’immunizzazione preventiva contro Ebola. Ad annunciare l’avvio di una fase di studio su sicurezza e tollerabilità della vaccinazione contro il virus per il quale, ad oggi, non esiste cura, è stato Ludo Lauwers, senior vice president, site management della Janssen, ramo farmaceutico della Johnson & Johnson, nel corso di una conferenza stampa a Val de Reuil, in Francia, sede dei laboratori di ricerca dell’azienda.

Finanziato dall’Iniziativa Comune in materia di medicinali innovativi (IMI 2) a cui contribuisce l’Unione Europea, il programma Ebola+ prevede lo sviluppo di un vaccino di tipo prime-boost. Questo metodo multi-dosi, utilizzato ad esempio anche per la poliomielite, consiste nell’associazione di due vaccini somministrati a distanza: un’inoculazione che prepara il sistema immunitario (prime) e una che potenzia la risposta immunitaria (boost).

La formula combinata tra un vaccino di Janssen ed uno di Bavarian Nordic, azienda con sede in Danimarca, è stata scoperta in un programma di ricerca in collaborazione con il National Institutes of Health (NIH), agenzia del Dipartimento della Salute degli Usa, e ha mostrato risultati promettenti in studi preclinici. In particolare si è avuta la protezione completa contro la mortalità causata dal ceppo Kikwit Zaire, simile a quello della recente epidemia di febbre emorragica in Africa.

Fino a settembre 2015, sono state oltre 28.100 le persone infettate con il virus Ebola, in particolare in Guinea, Liberia e Sierra Leone, e oltre 11.300 decessi, tra cui circa 500 operatori sanitari. Dopo quasi due anni, la velocità di trasmissione del virus è arrivata al punto più basso ma “focolai futuri sono un pericolo reale, e dobbiamo essere preparati”, ha detto Lauwers. Per accelerare lo sviluppo della sperimentazione, la Janssen, ha ricevuto 28 milioni di dollari dal Dipartimento di Salute degli USA e sono stati prodotte 400mila dosi disponibili per trial clinici su larga scala

Cosenza, ritrovata viva dopo 4 giorni Brunella Guagliani. "Provata ma in buone condizioni"

RITROVATA VIVA Brunella Guagliani in Sila - Cosenza
RITROVATA VIVA Brunella Guagliani

Era andata a funghi sabato scorso e si era smarrita nella fitta vegetazione sui monti della Sila, rimanendo isolata tra gli abeti calabresi per ben quattro giorni e quattro notti. Ma dopo ricerche serrate, Brunella Guagliani, donna di 54 anni, di Cosenza, è stata ritrovata provata, ma sana e salva mercoledi mattina. Era caduta in un dirupo molto scosceso da cui non riusciva a risalire.

La donna era andata a funghi con il cognato sabato 3 settembre scorso nei boschi della località “la Fossiata”, zona impervia tra i centri montani di Bocchigliero e Longobucco, nel versante est della vastissima provincia di Cosenza.

A un certo punto la donna si è smarrita e non ha dato più notizie al cognato che è rimasto qualche ora a chiamarla, poi preoccupato ha dato l’allarme. Immediati i soccorsi, e a rastrellare i boschi silani, oltre alle forze di sicurezza, a centinaia, anche volontari, parenti, amici e conoscenti della donna. I primi giorni di ricerca non hanno dato esito positivo, ma già ieri erano stati ritrovati il cestino e il coltello che le serviva per tagliare i funghi. Un indizio che ha fatto intuire che la donna non poteva essere molto lontana. Poi all’alba, uomini del corpo forestale l’hanno individuata stremata e infreddolita, ma in apparenti buone condizioni di salute. Sarà recuperata con un elicottero. L’operazione durerà qualche ora perché il canalone è molto impervio e con una vegetazione fittissima.

Nelle ricerche erano stati utilizzate unità cinofile e un elicottero con telecamera a rilevazione termica. La vasta area è stata sorvolata più volte, sia di giorno che di notte. Ricerche senza soste che stamattina hanno dato l’esito che tutta Cosenza – dove Brunella Guagliani è molto conosciuta e stimata – si aspettava già da sabato. Purtroppo, la donna una volta scivolata nel dirupo avrà invocato aiuto fino a perdere la voce e le sue forze non le hanno consentito di risalire su in cima. Più passavano le ore e i giorni, più l’angoscia di una città aumentava. Finalmente stamattina la buona notizia del ritrovamento, dopo oltre 80 ore.

La donna, appena concluso il recupero con l’elicottero, sarà trasportata all’ospedale dove i medici la visiteranno e le somministreranno liquidi reidratanti e i farmaci del caso. Stare senza acqua né cibo per quattro giorni e quattro notti in Sila, dove di sera il termometro scende in questi periodi a 5-6 gradi circa, non è affatto facile, anzi! Una sfida con la natura incredibile e con una resistenza impressionante. Sarà Brunella, quando si sarà rimessa in sesto, a raccontare tutti i dettagli della sua disavventura in uno dei boschi più grandi d’Italia.

La notizia del ritrovamento, intanto, è subito rimbalzata sui Social è in città rasserenando gli animi di quanti la conoscono, ma anche di tanta gente comune che era in forte apprensione per le sorti della donna. Cosenza è in festa. Bentornata Brunella!

Afragola (Na), anziana trovata uccisa in casa. Forse rapina finita male

anziana trovata morta a Afragola Napoli Chiara Capone trovata legata e imbavagliataChoc all’alba nel Napoletano. Una donna di 75 anni, Chiara Capone, è stata trovata morta in un’abitazione ad Afragola (Napoli).

La scoperta è stata fatta stamani, intorno alle 7, in via Lombardia 47, dopo che il figlio, preoccupato per le non risposte della madre, ha dato l’allarme. Entrato coi carabinieri in casa ha fatto la tragica scoperta.

La donna era legata mani e piedi e imbavagliata. Sul posto sono intervenuti i militari dell’Arma e il Ris per effettuare i rilievi del caso. Chiara Capone era già morta quando i carabinieri sono entrati in casa.

Una delle ipotesi per adesso più accreditate è quella di una rapina finita male. Non è al momento possibile sapere se dall’abitazione dell’anziana donna manchi qualcosa, come oro e soldi. E’ probabile che l’omicidio possa essere avvenuto ieri, a tarda sera. Sarà l’autopsia a stabilire l’ora esatta e la causa del decesso.

Da quanto appreso, porta e finestra dell’abitazione al primo piano di una palazzina, mostrerebbe segni di effrazione. La donna in questi giorni viveva da sola poiché il marito è ricoverato in ospedale. Si indaga per risalire all’assassino.

Pordenone, si complica la posizione di Ruotolo: "Sono uscito di casa e ho fatto sport al parco".

Giosuè Ruotolo va in tribunale Pordenone
Giosuè Ruotolo mentre si reca in tribunale

 

La situazione si complica per Giosuè Ruotolo, il 26enne super indagato per il duplice omicidio di Pordenone. Per la prima volta cambia versione dei fatti e ha ammesso che si trovava con la sua auto nei pressi del luogo del delitto e di aver “”fatto sport al parco san Valentino”, nei pressi del laghetto. La procura per adesso non intende emettere “provvedimenti restrittivi”, afferma il procuratore Martani, ma la posizione del ragazzo si aggrava. Ruotolo prima di entrare in tribunale, non ha rilasciato ai tantissimi cronisti alcuna dichiarazione prima di sottoporsi all’interrogatorio in Procura previsto per oggi martedì 6 ottobre.

Ruotolo aveva detto di essere rimasto a casa a giocare con la Playstation, ma la sua auto sarebbe stata ripresa vicino al palazzetto dello sport dalle telecamere della videosorveglianza comunale. Una “contraddizione” che farebbe perdere di peso l’alibi fornito mesi addietro agli inquirenti, e cioè di essere sempre rimasto a casa quella sera impegnato nei videogiochi.

Nel corso dell’interrogatorio, da quanto è trapelato, sembra che Ruotolo abbia cambiato il suo racconto dei fatti. Dopo le contestazioni della Procura, il 26enne, adesso avrebbe ammesso di essere uscito per qualche minuto quella sera e di essersi effettivamente trovato vicino al luogo del delitto. Il che coinciderebbe con il passaggio della sua auto immortalata dalla telecamere.

La ricostruzione precedente del ragazzo, che ha sempre negato ogni accusa nei suoi confronti, non ha mai convinto gli inquirenti. In particolari sono due gli elementi che contraddicono la prima tesi di Ruotolo: le immagini delle telecamere nella zona del delitto, che hanno ripreso per ben due volte, proprio nell’ora in cui la coppia sarebbe stata uccisa, l’auto dell’indagato nei pressi della palestra e quei sette minuti di buco, tra un passaggio e l’altro, spiegabili solo con una sosta nella zona.

Sette minuti, sospettano gli inquirenti, in cui ipoteticamente l’indagato, dopo aver compiuto il duplice delitto sarebbe sceso al laghetto del parco san Valentino e avrebbe gettato nelle acque l’arma de delitto. Pistola e caricatore ritrovati dieci giorni addietro dai sommozzatori che si ritiene sia quella del delitto del 17 marzo scorso.

La nuova versione di Ruotolo, scrive il Corriere della Sera, parrebbe chiarire proprio questi due aspetti, pur contraddicendo quello che finora aveva ribadito più volte. Quella sera – riconosce ora il militare – non sono stato a casa, ma sono uscito per andare al Palasport. Non mi sono fermato perché non trovavo parcheggio, così ho deciso di andare a correre nella zona. Poi però, a causa del freddo, dopo pochi minuti sono tornato a casa. Una versione del tutto inedita che Ruotolo avrebbe nascosto “per paura di compromettere il concorso alla guardia di finanza”.

Nicodemo Gentile, uno dei legali della famiglia Ragone sostiene che “l’indagine ci dice che il killer non veniva da lontano, ma è probabile che fosse nella cerchia degli amici, forse addirittura degli ex conviventi”, ha dichiarato fuori dal Tribunale di Pordenone. “Probabilmente – ha aggiunto il legale – si tratta di qualcuno nel giro molto stretto delle sue amicizie. Non bisogna pensare che dietro un grande crimine ci sia sempre un grande movente”.

Infine la conferenza stampa della procura dopo l’interrogatorio di Ruotolo. Per adesso il super indagato per il duplice omicidio di Pordenone non andrà in carcere per le “contraddizioni” delle sue versioni ma, fa intuire il procuratore di Pordenone, Marco Martani, la situazione dopo l’interrogatorio di oggi muta radicalmente.

E spiega: “Non sono stati assunti provvedimenti restrittivi, ma valuteremo nei prossimi giorni l’intero contenuto delle dichiarazioni rese. L’indagato, contrariamente a quanto affermato nelle dichiarazioni rese come persona informata sui fatti, – aggiunge Martani – ha confermato di essere stato presente nella zona del palazzetto dello sport la sera del duplice omicidio”.

Una versione dei fatti radicalmente diversa. “Ruotolo ha detto di essersi recato all’impianto sportivo per andare in palestra – ha proseguito il procuratore -, ma di non aver trovato parcheggio e quindi di aver preferito fare ritorno verso casa. L’indagato ha anche affermato di essersi fermato effettivamente per qualche minuto all’esterno del parco di San Valentino per fare della pratica sportiva, ma di avere poi desistito quasi subito”. Una posizione, quella del giovane Giosuè Ruotolo – sospettato di essere il presunto autore del duplice omicidio di Pordenone – che si complica sempre di più.

Monte di Procida (Na), auto giù nel burrone. Muore Valentina Schiano, 20 anni

La ragazza che ha perso la vita a Monte di Procida, Valentina Schiano
La ragazza che ha perso la vita a Monte di Procida, Valentina Schiano

Una ragazza di 20 anni, Valentina Schiano, è morta e una sua coetanea è rimasta ferita in un incidente d’auto avvenuto all’ora di pranzo su via Panoramica, a Monte di Procida (Napoli).

La loro auto, una Toyota “Yaris” probabilmente ha sbandato finendo giù in un burrone dopo aver sfondato il muretto di protezione.

Valentina Schiano è deceduta sul colpo, mentre la sua amica A.D.M, è stata salvata dai soccorritori con estremo disagio, visto che il dirupo è scosceso e imprevio. Per estrarre i corpi dall’abitacolo sono dovuti andare giù i Vigili del fuoco con delle funi, mentre un elicottero li ha tirati su con le barelle. La ragazza ferita è stata trasportata al II° Policlinico di Napoli. Era stata l’amica di Valentina Schiano a dare l’allarme.

Il muretto sfondato dall'auto dove è morta dove è morta Valentina Schiano
Il muretto sfondato dall’auto dove è morta dove è morta Valentina Schiano

Il magistrato di turno ha disposto l’autopsia sul corpo di Valentina. Sul luogo dell’incidente lo strazio dei familiari, del fidanzato e in particolare della madre di Valentina Schiano con cui, ha riferito la signora, si era appena sentita al telefono con la figlia e le aveva raccomandato di andare piano con l’auto. La risposta di Valentina, ironia della sorte, è stata: “Non ti preoccupare, se devo morire vuol dire che è destino”.

Dopo un po’ lo schianto è il volo giù per oltre centocinquanta metri lungo il costone. Ignote le cause del tragico incidente. Sono stati effettuati i rilievi sul tratto di strada di Monte Procida. Le due ragazze erano amiche nella vita e colleghe universitarie.

Gallarate (Varese), investe carabiniere e viene ucciso

Gallarate (Varese), investe carabiniere e viene ucciso William TrunfioUn pregiudicato di 39 anni, William Trunfio, è morto la scorsa notte in una sparatoria con i carabinieri a Gallarate (Varese), raggiunto da un colpo di pistola esploso da un militare.

L’uomo era in fuga a bordo di un’auto rubata quando ha investito un carabiniere. A quel punto uno dei militari avrebbe sparato.Il fatto si è verificato intorno alle 3 in via Pietro Micca, a Gallarate.

Secondo la ricostruzione degli investigatori l’auto, una Fiat Panda, era stata rubata ieri nel Varesotto. I carabinieri erano sulle tracce della vettura, con a bordo due uomini.

Quando l’hanno individuata la scorsa notte è iniziato un inseguimento che si è concluso in via Pietro Micca, dove uno dei carabinieri che aveva intimato l’Alt!, è stato investito e un altro militare ha sparato.

Uno dei ladri in fuga, William Trunfio, italiano, è stato colpito ed è morto in ospedale. Il Carabiniere investito ha riportato una frattura alla tibia. La vittima era già noto alle forze dell’Ordine per alcuni precedenti, il più curioso dei quali quando a febbraio si sarebbe travestito da infermiere per derubare pazienti all’ospedale di Niguarda di Milano. Scoperto, era stato arrestato.

Snowden: Ecco come gli 007 inglesi spiano i vostri smartphone

Edward Snowden spiega come l'intelligence britannica spia smartphone
Edward Snowden (Reuters)

Un “grande orecchio” come Echelon spia i nostri telefoni. L’agenzia britannica di sorveglianza elettronica Gchq, coinvolta nello scandalo Datagate, può ottenere il completo controllo degli smartphone senza che gli utenti possano fare qualcosa. Lo ha detto l’ex analista della National security agency (Nsa), Edward Snowden in un’intervista rilasciata alla Bbc.

Secondo la “talpa” del Datagate, Gchq si inserisce con alcuni software e leggere i messaggi, vedere chi chiama, ascoltare conversazioni, risalire alle ricerche internet, tracciare i movimenti, scattare foto, spiare l’ambiente circostante.

Uno di questi software si chiama “Smurf Suite” (suite dei puffi) e fa parte di un gruppo di programmi che, secondo Snowden, utilizza il Gchq per manipolare gli smartphone. “Con Dreamy Smurf possono accendere e spegnere il tuo telefono senza che tu lo sappia”, ha spiegato, aggiungendo che “per esempio, se il telefono è in tasca, possono attivare il microfono e ascoltare tutto ciò che succede intorno a te anche se il telefono è spento”

Un’altra applicazione che Snowden spiega l’uso da parte dei servizi britannici è il “Tracker Smurf”, un sistema di geolocalizzazione che permette di seguire i passi di chiunque “con maggiore precisione di quella che si potrebbe ottenere con l’abituale metodo di triangolazione fra torri di telefonia”.

Esiste inoltre un programma, sostiene Snowden, chiamato “Paranoid Smurf”, che rende più difficile che il resto delle applicazioni di spionaggio vengano rilevate. Questo è un mezzo che permette di “manipolare il tuo terminale” e anche di “farti fotografie”, sostiene Snowden.

Secondo l’ex analista della Nsa, che oggi vive a Mosca per essere sotto processo negli Usa, le agenzie di spionaggio possono ottenere accesso a qualunque telefono attraverso un messaggio di testo che passa inosservato alla persona che viene controllata. “Si chiama un “exploit”. È un messaggio pensato per essere inviato a un numero di telefono, come qualunque altro, però quando arriva al terminale resta nascosto, non viene mostrato all’utente”, ha spiegato Snowden alla Bbc.

Camorra, catturato a Latina boss latitante Michele Cuccaro

Michele Cuccaro
Michele Cuccaro

I militari del Comando Provinciale di Napoli hanno arrestato il boss latitante Michele Cuccaro, 49enne napoletano, ritenuto elemento di vertice dell’omonimo clan attivo nei quartieri a est della provincia di Napoli.

La cattura, spiegano i Carabinieri, è avenuta a Latina, mentre il pericoloso criminale si nascondeva armato in un casolare di campagna. Circondato dai Carabinieri, si è arreso senza opporre resistenza e ha consegnato la pistola che aveva con sé.

Michele Cuccaro era ricercato dal luglio del 2013 e era latitante dal novembre dello stesso anno, perché colpito da più ordinanze di custodia cautelare in carcere per presunta associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, traffico di stupefacenti, contrabbando e altro.

Il Ministero dell’Interno aveva inserito Michele Cuccaro nell’elenco dei latitanti più pericolosi d’Italia, in compagnia di altri boss ancora superlatitanti.

Il 21 giugno scorso venne arrestato a Napoli il fratello, Luigi Cuccaro, anch’egli latitante: i Carabinieri lo stanarono di notte nel quartiere Barra di Napoli.

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