11 Ottobre 2024

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Omicidio Ancona, Antonio Tagliata ha ucciso Pierini con il colpo di grazia

Fabio Giacconi, Roberta Pierini e Antonio Tagliata
Da sinistra Fabio Giacconi, Roberta Pierini e Antonio Tagliata

E’ stato convalidato il fermo di Antonio Tagliata, il 18enne accusato di aver ucciso Roberta Pierina e mandato in coma irreversibile Fabio Giacconi, genitori di F., la sedicenne che flirtava con il presunto assassino. La ragazzina è stata pure arrestata e affidata a un tutore minorile in un istituto fuori regione.

Quel giorno “ho visto “fumo”, e ho fatto fuoco di copertura”, ha detto Antonio Tagliata, nell’udienza di convalida. Il giovane ha spiegato al magistrato cosa è accaduto il 7 novembre in casa di Roberta Pierini e Fabio Giacconi, i genitori della fidanzata sedicenne.

Tagliata ha affermato che Giacconi era seduto sul divano, la moglie in piedi che fumava nervosamente, e la discussione è salita di tono: “Il padre aveva uno sguardo minaccioso, ha detto “adesso basta” ed è venuto verso di me: ho avuto paura, non ho capito più niente. Gli occhiali mi si sono appannati, ho sentito la mia ragazza che diceva “spara, spara!”, e ho sparato”. Ma, ha aggiunto Tagliata, “ho sparato a caso”. Il 18enne sostiene di non ricordare nulla della sequenza dei colpi esplosi con la cal. 9×21 che si era portato dietro insieme a tre caricatori. La ragazzina interrogata giorni fa aveva detto che non ha mai detto “spara-spara!”.

Il gip Gip Antonella Marrone scrive nell’ordinanza di convalida, che Antonio Tagliata ha ucciso Roberta Pierini con un colpo alla testa quando la donna, ferita al fianco e al braccio, era già a terra. E’ stata “un’esecuzione”, il classico colpo di grazia “sparato dall’alto in basso”.

I giudici hanno avallato la tesi del pm Andrea Laurino e del procuratore minorile Giovanna Lebboroni: i ragazzi avrebbero agito insieme il 7 novembre scorso uccidendo la madre di lei, Roberta Pierini, e ferendo gravemente il padre Fabio Giacconi, che osteggiavano il loro amore. Se Antonio ha confessato di aver sparato gli otto colpi andati a segno nella casa di via Crivelli, la fidanzata lo accompagnò, armato, dai propri genitori, senza poi mostrare segni di “dissociazione” da una vera “esecuzione”.

Questo il quadro prospettato dall’accusa, che contesta ad entrambi i reati di omicidio volontario, tentato omicidio e porto abusivo d’arma. C’è “piena gravità indiziaria”, ha detto il procuratore minorile Lebboroni nella ricostruzione che suggerisce un’azione comune dei fidanzati, anche se con profili di dolo diversi: i ragazzi arrivano sotto il palazzo, lui mostra alla 16enne la pistola (lei sostiene di aver pensato che fosse un’arma giocattolo ma non viene creduta dal giudice), salgono nell’appartamento e, in breve tempo, senza colluttazione, Antonio inizia a sparare senza che la minore si opponga o soccorra padre e madre. Poi scappano e vengono intercettati dai carabinieri nella stazione ferroviaria di Falconara Marittima.

Antonio Tagliata da quanto emerso avrebbe confessato l’omicidio in due lettere di scuse lasciate alla famiglia e il biglietto con una confessione preventiva dell’omicidio dei Giacconi. Antonio spiega che non voleva uccidere, ma intendeva solo proteggere il padre, che ha avuto in passato problemi con la giustizia, da eventuali sospetti per il delitto e ha fatto cenno di questo in una delle altre due lettere. Il perché sia sia portato dietro un’arma per parlare coi “suoceri”, non è ancora chiaro. Un’arma pagata al mercato nero, aveva detto il giovane, “sulle 400 euro a piazza Cavour ad Ancona”.

Durante la fuga, Antonio Tagliata ha ammesso di aver gettato, oltre alla pistola e alle munizioni, anche il telefonino e il giubbotto scuro. Il suo cellulare non è stato ancora trovato mentre l’indumento è stato recuperato l’altro giorno. Sarà importante ai fini degli esami “Stub” e dei rilievi su eventuali tracce ematiche. Ma gli accertamenti proseguiranno anche su alcuni supporti informatici, i pc dei due fidanzati e il telefonino della sedicenne. Presto verrà affidato l’incarico per una perizia come atto irripetibile: verrà eseguita, con l’avviso alle parti per il contraddittorio, una copia forense del contenuto dei supporti che servirà come prova nei processi.

Limbiate (Monza), uccide la madre a coltellate e dà fuoco alla casa

Limbiate (Monza), uccide madre Rosanna Bezzi e le dà fuoco Alessandro Magni
Nel riquadro la vittima Rosanna Bezzi

Aveva in mente di cancellare ogni traccia della madre e dopo averla massacrata ha dato fuoco al suo corpo, il 48enne disabile psichico che ieri sera a Limbiate (Monza) ha accoltellata a morte la madre 82enne Rosanna Bezzi nella loro casa in via Piave, a Limbiate.

La donna dormiva quando, Alessandro Magni, il figlio omicida, ha commesso l’orrendo crimine. Dopo ha cosparso il cadavere di liquido infiammabile per poi appiccare le fiamme che sono divampate subito avvolgendo il corpo della donna e tutta la stanza.

A far scattare l’allarme sono stati i vicini, quando il fuoco aveva già raggiunto il letto e altre parti della camera da letto. In cura a Milano, poi a Garbagnate, Magni era rientrato a casa della madre con la quale viveva solo, da quando il marito della donna era morto nel 2007. L’uomo era disoccupato e sarebbe stato in cura presso il Centro di igiene mentale.

Il movente è forse riconducibile a un gesto di pura follia dell’uomo, oppure per le continue richieste, inevase, che faceva alla madre Rosanna Bezzi per avere soldi che gli servivano, forse, per comprarsi psicofarmaci o altro.

L’uomo si trova ora in stato di arresto nel carcere di San Vittore a Milano ma non è escluso che per lui il pm lombardo, Marcello Tatangelo, possa decidere di non procedere a causa delle sue condizioni mentali e adottare un provvedimento di “custodia” in qualche istituto per malati psichici.

Cosenza, 'Ndrangheta e droga, sgominato clan Perna. FOTO

Droga, arrestati di Cosenza operazione Apocalisse - clan Perna Marco
Le foto diffuse dai Carabinieri. In alto da sinistra in senso orario: Porco Francesco, Francavilla Pasquale, Marco Perna, Minieri Andrea, Giannone Giovanni, Chiappetta Giuseppe. Seconda fila: Cairo Alessandro Andrea, Tripodi Ippolito, Muto Giuseppe, Bruno Giacinto, Calvelli Bruno Francesco. Terza fila: Pati Denis, Giannone Danilo, Scarcello Paolo, Scigliano Francesco, Caputo Domenico, Bruni Pasquale

Sgominato il clan Perna di Cosenza in una maxi operazione antidroga dei carabinieri del capoluogo bruzio scattata alle prime luci dell’alba. L’operazione, denominata “Apocalisse”, è stata coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ed eseguita da circa 140 militari, tra cui le “teste di cuoio” dei carabinieri dello Squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria” e le unità Cinofile antidroga e antiesplosivo.

Arrestati numerosi esponenti del presunto clan Perna operante a Cosenza e nell’hinterland e dedito principalmente al traffico stupefacenti “leggeri” come hashish e marijuana. Per chi non pagava la drova veniva “invitato” a contrarre prestiti con una finanziaria di “fiducia”.

Tra gli arrestati figura Marco Perna, 41 enne, cosentino, figlio di Franco Perna, capo dell’omonimo “gruppo criminale” attivo a Cosenza, attualmente ristretto in regime di 41 bis. Il gruppo è ritenuto responsabile di aver dato vita ad un traffico di stupefacenti articolato su una fitta rete di spaccio in grado di rifornire le piazze cosentine e del suo hinterland.

Secondo quanto emerso, per imporre il potere sul territorio gli uomini del clan Perna disponevano di armi, in parte sequestrate (4 pistole e 1 fucile), e si avvalevano di modalità tipicamente mafiose e specificamente contestate nel provvedimento di cattura. Le indagini hanno anche evidenziato il ruolo di leader assunto da Marco Perna, che aveva di fatto preso le redini del gruppo dopo l’arresto del padre.

L’attività investigativa, particolarmente articolata, è stata coordinata dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro (procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e sostituto procuratore Pierpaolo Bruni) e svolta dai militari del reparto operativo del Comando provinciale di Cosenza in collaborazione con i colleghi della Compagnia del capoluogo bruzio.

L’attività di monitoraggio dei principali indagati ha abbracciato un periodo di circa un anno, a partire dal settembre 2014 fino ad oggi. Numerosi i riscontri effettuati che hanno portato anche al rinvenimento di un vero e proprio deposito di armi e droga nell’enclave del gruppo criminale nel quartiere “Serraspiga” di Cosenza, dove sono stati sequestrati 110 chili tra hashish e marijuana.

Secondo quanto accertato dalle indagini, il clan Perna poteva contare anche sulla disponibilità di un deposito di armi e droga la cosca di ‘ndrangheta, che faceva capo a Marco Perna, figlio del boss da tempo detenuto Franco, sgominata con l’esecuzione di 19 fermi dai carabinieri di Cosenza. Il deposito è stato scoperto dai militari nel corso delle indagini che hanno portato all’operazione della scorsa notte per l’esecuzione dei fermi. Vi erano custoditi, tra l’altro, 110 chilogrammi di hashish e marijuana e due revolver di grosso calibro. L’attività di monitoraggio e controllo dei principali indagati da parte dei carabinieri ha riguardato un periodo di circa un anno, a partire dal mese di settembre del 2014.

Da quanto emerso, i presunti affiliati all’organizzazione, indicavano ai “consumatori abituali” che non potevano pagare la droga una finanziaria di fiducia che serviva a erogare prestiti per pagare i debiti della droga.

Si trattava di un “invito” da parte degli spacciatori a fare ricorso alla finanziaria per far fronte ai debiti. “Veniva proposto ai debitori del gruppo – ha spiegato il procuratore Bombardieri – di contrarre dei prestiti con una società finanziaria specifica, che veniva indicata dagli stessi appartamenti al gruppo criminale, per poter saldare i debiti”.

I fermati sono accusati anche di avere gestito un vasto traffico di stupefacenti articolato su una fitta rete di spaccio in grado di rifornire le “piazze” cosentine e del suo hinterland.

Nel corso delle indagini, condotte dai carabinieri di Cosenza, sono state raccolte le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Silvio Gioia, il quale ha raccontato l’articolazione del gruppo e come si sviluppavano le dinamiche interne. Dichiarazioni che hanno poi trovato riscontri nelle numerose intercettazioni telefoniche.

Le altre organizzazioni criminali tolleravano lo smercio delle sostanze stupefacenti leggere, mentre il rifornimento della cocaina doveva avvenire ad opera delle altre cosche operanti nel cosentino. Lo smercio, inoltre, veniva consentito dalle altre organizzazioni perché era una forma di mantenimento di Franco Perna in carcere, che non riceveva alcun “sovvenzionamento” dalle altre “organizzazioni”.

Oltre a Marco Perna, sono stati destinatari di misura cautelare Giovanni Giannone, Pasquale Francavilla, Sergio Raimondo, Alessandro Cairo, Andrea D’Elia, Luca Tripodi, Giacinto Bruno, Bruno Calvelli, Denis Patì, Riccardo Gaglianese, Danilo Giannone, Paolo Scarcello, Francesco Scigliano, Domenico Caputo, Pasquale Bruno, Carlo Bruno, Giuseppe Muto, Ivano e Alessandro Ragusa. Tra gli indagati, risulta anche il pentito Silvio Gioia, ex guardia giurata.

Sony non produrrà più le videocassette Betamax

videocassette betamax sony a confrontoA marzo 2016 Sony dirà definitivamente addio alle videocassette Betamax, storico formato per i video lanciato 40 anni fa e protagonista non solo di una rivoluzione nei consumi ma anche della prima grande “guerra” tra formati elettronici col rivale Vhs. Sony annuncia anche che fermerà le consegne delle cassette Micro Mv, utilizzato nelle videocamere (l’ultima compatibile fu prodotta nel 2005).

Il colosso giapponese lanciò il Betamax nel 1975. Questo formato, con videocassette e videoregistratori compatibili, fu antesignano dell’odierno “on demand”: il sistema permetteva per la prima volta di guardare un film a casa nel momento desiderato e soprattutto consentiva di registrare un programma tv. Tuttavia il Vhs – lanciato un anno dopo – ebbe la meglio, per via di elementi tecnici ma soprattutto per le scelte adottate da Jvc, la casa di produzione.

Le videocassette Vhs avevano una durata maggiore (4 contro un’ora o poco più del Beta) e la Jvc decise di cedere la licenza di fabbricazione di Vhs a tutte le industrie che volevano produrre videoregistratori. Il prezzo degli apparecchi scese, i consumatori cominciarono a preferirlo e le case cinematografiche iniziarono a produrre un maggiore numero di copie di film in Vhs.

In più sul formato di Sony cadde la scure legale: Universal Studios e Disney avviarono una causa sulla possibilità che gli utenti potessero registrare materiale con copyright. Solo nel 1984 il videoregistratore fu dichiarato “non colpevole” di pirateria, ma il Vhs ormai aveva “vinto”. Il Betamax fu relegato all’uso professionale.

Blitz anti terrorismo: "Cellula molto attiva in Italia". Jihadisti allevati a Merano

Carabinieri Ros Blitz anti terrorismo in Ue. Nel riquadro Faraj Ahmad Najmuddin, mullah Krekar
Nel riquadro Faraj Ahmad Najmuddin, mullah Krekar

Sono sedici ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite dal Reparto operativo dei Carabinieri (Ros), insieme ad altre forze di polizia europee. Il reato ipotizzato è associazione con finalità di terrorismo internazionale aggravata dalla transanzionalità del reato. Si tratta di 16 cittadini curdi e un kosovaro.

Il blitz, disposto dal gip su richiesta della procura di Roma, è scattato all’alba simultaneamente in diversi paesi europei sotto il coordinamento di Eurojust, un organismo dell’Unione europea istituito nel 2002 al fine di migliorare il coordinamento delle indagini e azioni penali tra le autorità giudiziarie competenti degli Stati membri dell’Ueuropea nella lotta a forme gravi di criminalità organizzata e transfrontaliera, come appunto il terrorismo.

L`operazione, denominata “JWeb” – nome dato per l’intensa attività su internet –  ha impegnato centinaia di uomini in Regno Unito, Norvegia, Finlandia, Germania e Svizzera. Diverse le perquisizioni. In Norvegia sono stati catturati tre presunti terroristi, tra cui il mullah Krekar, al secolo Faraj Ahmad Najmuddin, noto esponente del mondo islamico locale vicino allo Stato islamico. L’uomo, detenuto in Norvegia, già fondatore nel 2001 del gruppo terroristico Ansar Al-Islam, è sospettato di aver pianificato un attacco terroristico in Italia. Sarebbe la mente pensante di una cellula terroristica che animava gli aspiranti terroristi in diversi stati europei.

Il mullah Krekar è una figura nota in Norvegia, uscito alla ribalta nel 2012, quando finì in carcere per minacce di morte ad Erna Solberg, l’attuale premier e allora figura emergente del partito conservatore. Precedentemente Krekar aveva già minacciato l’ex premier norvegese, Kjell Magne Bondevik, e comunque era stato al centro di polemiche per le sue dichiarazioni relative a un’interpretazione molto rigida dell’Islam.

Secondo l’emittente norvegese Tv 2, ci sono stati molteplici contatti tra le autorità norvegesi e quelle italiane prima degli arresti delle ultime ore; ed è già all’esame un accordo per l’estradizione di Krekar in Italia. Il mullah è una figura nota in Norvegia, uscito alla ribalta nel 2012, quando finì in carcere per minacce di morte ad Erna Solberg, l’attuale premier e allora figura emergente del partito conservatore.

I dettagli dell’imponente operazione anti terrorismo sono stati resi noti in mattinata presso gli uffici della procura nazionale antiterorrismo, alla presenza del procuratore nazionale Franco Roberti, del procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone e del comandante del Ros Giuseppe Governale.

Abdul Rahman Nauroz, uno degli arrestati nel blitz del Ros, è risultato “particolarmente attivo nell’attività di reclutamento”, “sia attraverso internet, sia attraverso ‘lezioni’ che teneva nel proprio appartamento di Merano – nella provincia autonoma di Bolzano, in Trentino-Alto Adige – luogo di riunioni segrete e crocevia di aspiranti jihadisti”.

L’utilizzo di internet, hanno spiegato gli investigatori, “ha consentito agli indagati di annullare le distanze tra gli associati, residenti in diversi Paesi europei, permettendo loro di mantenere una forte coesione di gruppo, rafforzata dalla periodica e frequente partecipazioni a chat virtuali, e di rimanere in contatto con la propria guida spirituale”, il mullah Krekar, appunto. In definitiva, l’organizzazione terroristica smantellata, sottolinea il Ros, “incarna l’evoluzione del modello jihadista di tipo tradizionale”, ma che si è rivelata “ancora più insidiosa, rimanendo gerarchicamente strutturata, con il proprio vertice in Norvegia, ed articolata in cellule operative in numerosi paesi, tra cui un’importantissima articolazione in Italia”.

Le indagini hanno documentato, tra l’altro, minacce di “azioni violente” da compiere in Norvegia, come ritorsione contro l’arresto e la detenzione in quel Paese di Krekar, mentre non si fa riferimento a possibili attentati da compiere in Italia. La cellula italiana dell’organizzazione è comunque “molto attiva”, annotano gli investigatori, soprattutto nell’attività di proselitismo e sostegno logistico. “Noi siamo un Paese esposto a rischio terrorismo internazionale perché facciamo parte di quella grande coalizione internazionale che contrasta il Califfato”.

Nessun italiano è tra i destinatari delle misure cautelari. Sei dei presunti terroristi sono stati arrestati in Italia ed un settimo è stato localizzato in Iraq dagli inquirenti italiani; quattro sono stati arrestati in Gran Bretagna; tre in Norvegia; due sono le misure in carico alla Svizzera nei confronti di una persona che si ritiene morta in Siria in combattimento, e di un’altra che è già stata perquisita e nei cui confronti pende una richiesta di arresto a fini di estradizione; un esponente della cellula finlandese, infine, sarebbe morto in Iraq. Contestualmente sono state eseguite numerose perquisizioni sia in Italia, nelle province di Bolzano, Parma e Brescia, sia in Norvegia, nel Regno Unito, in Finlandia, in Germania e in Svizzera.

Guerriglia "No Expo" a Milano, arrestati 10 black block

8 dei dieci arrestati no expo Alexandros Kouros, Andrea Casieri, Edoardo Algardi, Konstantinos Gkoumas, Nikolaos Ktenas, Alessio Dall’Acqua, Odysseas Chatzineofyton
Gli arrestati nell’ambito dell’operazione a Milano No Expo

Sono 10 gli arresti eseguiti stamani per la guerriglia a Milano del “No Expo”, risalenti al primo maggio scorso, giorno di inaugurazione dell’esposizione universale, in cui la metropoli lombarda venne messa a ferro e a fuoco dagli antagonisti. Sono tutti accusati di presunta devastazione e saccheggio, resistenza a pubblico ufficiale aggravata e travisamento.

Le dieci ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state emesse dal gip di Milano Donatella Banci Bonamici su richiesta del sostituto procuratore Piero Basilone coordinato dal Procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. La Polizia di Stato sta eseguendo gli arresti a Milano e contestualmente in Grecia con la collaborazione dei relativi uffici di Polizia. Altre persone sono indagate in stato di libertà per gli stessi reati.

I destinatari sono 5 giovani milanesi appartenenti alla locale area anarco-squatter-antagonista, già noti agli agenti della Digos milanese e 5 anarchici greci. Tra cui Alexandros Kouros (ritenuto il più pericoloso nelle devastazioni), Andrea Casieri, Edoardo Algardi, Konstantinos Gkoumas, Nikolaos Ktenas, Alessio Dall’Acqua, Odysseas Chatzineofyton. A questi si aggiungono 5 indagati a piede libero per i medesimi reati: 3 milanesi, 1 comasco e 1 greco.

Gli investigatori hanno visionato, analizzato e comparato oltre 600 Gb di materiale fotografico e video inerente il giorno della manifestazione “No Expo”. “Sono stati estrapolati – spiega la questura di Milano – centinaia di fotogrammi evidenziando ogni più piccolo dettaglio utile ad individuare e identificare gli autori dei reati di devastazione, saccheggio, resistenza aggravata e travisamento. Sono stati quindi isolati i comportamenti dei singoli soggetti riuscendo ad attribuire ad ognuno le specifiche azioni compiute e penalmente rilevanti”.

Codice Antimafia, la Camera approva le nuove regole

Codice Antimafia, la Camera approva le nuove regoleLa Camera dei deputati ha approvato ieri sera la riforma del Codice Antimafia. I voti a favore sono stati 281 voti, 66 i contrari (Fi e M5S) e due astenuti. La norma, che ora passa al Senato, ridisegna le misure di prevenzione e le regole sulle confische di beni.

Il nuovo Codice Antimafia
fa però litigare maggioranza e 5 Stelle. Oggetto del contendere, è l’emendamento presentato dal Governo che prevede che i giudici dei tribunali di prevenzione possano nominare come amministratori giudiziari anche i dipendenti di Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, una Spa partecipata al 100% dal ministero dell’Economia.

“E’ un carrozzone di soliti noti, una macchina mangiasoldi che ha avuto tanti problemi con la giustizia, indagini in tutta Italia e processi, oltre a problemi di contabilità con la Corte dei conti proprio sulla tenuta dei bilanci”, protestano i 5 Stelle che tuttavia portano a casa modifiche sostanziali alla riforma volute proprio da loro. Come l’ emendamento del Governo al codice che impedisce la nomina ad amministratore giudiziario di beni confiscati alla mafia non solo ai parenti ma anche ai “conviventi e commensali abituali” del magistrato che conferisce l’incarico, proprio come chiedeva il M5s.

E’ quella che viene ribattezzata la “norma Saguto”, dal nome dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, sospesa dalle funzioni e indagata per corruzione con l’amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara e il marito di lei Lorenzo Caramma, nominato coadiutore di diverse amministrazioni.

Il M5S ottiene anche un’altra vittoria: l’assegnazione in affitto degli immobili confiscati alla mafia al personale delle Forze di Polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco che potranno provvedere a proprie spese a ristrutturarli se le amministrazioni assegnatarie non dispongano delle risorse necessarie. In 30 articoli il testo di riforma ridisegna tutta la complessa materia delle misure di prevenzione.

Il provvedimento deriva dalla proposta di legge di iniziativa popolare per la quale grandi organizzazioni sociali come la Cgil, Avviso Pubblico, Arci, Libera, Acli, Lega Coop, Sos Impresa, Centro studi Pio La Torre raccolsero, due anni e mezzo fa, centinaia di migliaia di firme e integrata dal lavoro fatto nel frattempo dalla Commissione parlamentare antimafia.

Con la riforma l’ Agenzia per i beni sequestrati ne esce rafforzata, con sede centrale a Roma e un direttore (non per forza un prefetto) che si occuperà dell’amministrazione dei beni dopo la confisca di secondo grado. Norme stringenti sono previste per gli amministratori giudiziari, che non potranno avere più di 3 incarichi e non potranno essere parenti fino al quarto grado, ma neppure conviventi o “commensali abituali” del magistrato che conferisce l’incarico. Sequestri e confische sono previsti anche a chi favorisce i latitanti, commette reati contro la Pubblica amministrazione o si macchi del delitto di caporalato mentre si istituisce un Fondo di garanzia per sostenere le aziende sequestrate già finanziato.

Ma la norma che provoca scintille in Aula è quella che consente ai dipendenti di Invitalia di essere nominati amministratori giudiziari di beni. Protesta il M5s ma anche la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi esprime “qualche personale perplessità” invitando “ad una sorta di sperimentazione sotto la vigilanza del Governo e della Commissione antimafia”.

Ma il relatore Pd Davide Mattiello e la presidente della Commissione Giustizia Donatella Ferranti (Pd) tengono duro: “è solo una opportunità in più, tra l’altro gratis” perché, dicono, i gli amministratori li pagherà Invitalia, in quanto dipendenti.

Sequestro di beni per 500mila euro a ex Abate Pietro Vittorelli

Sequestro di beni per 500mila euro a ex Abate Pietro Vittorelli
Pietro Vittorelli

La Guardia di Finanza ha eseguito un sequestro di beni nei confronti di Pietro Vittorelli, ex Abate di Montecassino, e del fratello Massimo, per un valore di oltre 500 mila euro, somma della quale l’alto prelato si sarebbe impossessato prelevandola, durante il suo mandato, dai conti dell’Abbazia.

Il sequestro “per equivalente” è stato disposto dal Gip del Tribunale di Roma Vilma Passamonti, su richiesta del pm Francesco Marinaro ed è eseguito da militari del nucleo speciale di polizia valutaria delle Fiamme Gialle.

Secondo la Procura, l’ex abate Pietro Vittorelli, che è indagato e che durante il suo mandato aveva accesso illimitato ai conti dell’Abbazia, si sarebbe indebitamente appropriato del denaro (per oltre mezzo milione di euro) destinato a finalità di culto e a opere caritatevoli.

I presunti importi sottratti da Pietro Vittorelli – sempre secondo l’accusa – sarebbero stati riciclati in varie tranche attraverso passaggi su vari conti correnti gestiti dal fratello, intermediario finanziario, per poi tornare nella disponibilità del prelato.

Vatileaks 2, la Santa Sede indaga i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi

Vatileaks 2, il Vaticano indaga i giornalisti Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi
Da sinistra i giornalisti Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi, indagati nella Vatileaks 2

I giornalisti Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi, autori dei discussi libri “Via crucis” e “Avarizia”, sono stati “indagati” dalla magistratura vaticana “per concorso in divulgazione di documenti riservati” nell’ambito dell’inchiesta “Vatileaks 2” avviata in Vaticano per la “fuga di notizie” che ha portato agli arresti il monsignore spagnolo, Lucio Ángel Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui. Lo afferma in una nota il portavoce della Santa Sede, padre Federico Lombardi.

“Nell’attività istruttoria avviata – si legge nella dichiarazione – la magistratura ha acquisito elementi di evidenza del fatto del concorso in reato da parte dei due giornalisti, che a questo titolo sono ora indagati”.

Padre Lombardi sottolinea che “sono all’esame degli inquirenti anche alcune altre posizioni di persone che per ragioni di ufficio potrebbero aver cooperato all’acquisizione dei documenti riservati in questione”.

Come si ricorderà, l’inchiesta ha già portato all’arresto in Vaticano di un prelato e di una esperta di comunicazione (poi rilasciata in cambio della collaborazione con gli inquirenti).

I due autori dei libri, Nuzzi e Fittipaldi entrano nell’inchiesta degli inquirenti vaticani per il contenuto dei loro volumi, usciti di recente, che contengono notizie e documenti riservati trafugati dagli uffici del Vaticano e che hanno fatto esplodere un altro scandalo dietro le mura leonine: Vatileaks 2.

Proprio pochi giorni fa, Papa Francesco aveva definito, in un discorso, la trafugazione e la divulgazione di documenti riservati “un grave reato”.

Cerro Maggiore, crolla villetta: morta Virginia Bollati. 3 feriti

Cerro Maggiore, Milano crolla palazzina. Morta un'anziana Virginia Bollati
Sopra via Ungaretti, sotto la villetta dove viveva Virginia Bollati, la donna anziana deceduta nell’esplosione di Cerro Maggiore

Una forte esplosione, causata da una perdita di gas, ha fatto crollare una villetta bifamiliare nel Milanese. Il crollo ha provocato un morto e due feriti, di cui uno grave. L’incidente è avvenuto in via Ungaretti, angolo via Risorgimento a Cantalupo, frazione di Cerro Maggiore, a circa venticinque chilometri da Milano.

La vittima è Virginia Bollati, una donna di 80 anni che viveva da sola. Appena soccorsa è stata trasportata in codice rosso all’ospedale di Varese dove i sanitari non sono purtroppo riusciti a salvarle la vita.

Grave un operaio che stava lavorando per riparare una delle condotte del gas. Già ieri, da quanto scrivono i media lombardi, i residenti avevano segnalato una forte puzza di gas. Oggi l’intervento degli operai e la tragedia. Insieme all’operaio, è rimasto ferito una persona che abita di fronte il condominio. Ancora ignote le cause dell’esplosione, ma non si esclude che dalla perdita consistente di gas ci sia stato contatto con qualche fonte di calore o di elettricità.

La villetta dopo l’esplosione e un boato violentissimo, è stata avvolta dalle fiamme per poi implodere su se stessa. Totalmente distrutta. La deflagrazione ha interessato altre abitazioni vicine. Sul posto diversi mezzi dei vigili del fuoco, forze dell’ordine di Cerro Maggiore e altri comuni limitrofi, ambulanze e soccorritori del 118 che hanno soccorso i feriti tra cui la donna deceduta Virginia Bollati. Gli inquirenti indagano per accertare l’esatta dinamica della tragedia.

E-commerce con prodotti contraffatti. 43 denunce a Padova. VIDEO

contraffazione online 43 denunce a padovaLa Guardia di Finanza di Padova ha denunciato all’Autorità giudiziaria 43 persone per i reati di ricettazione, commercio di prodotti contraffatti e violazione alla normativa sui diritti d’autore. I soggetti attenzionati vendevano on-line prodotti contraffatti di abbigliamento di noti marchi nazionali ed internazionali (Chanel, Colmar, Nike, Gucci, Armani, Liujo, Hogan, Burberry, Adidas e altri), computer e apparecchi di telefonia, a prezzi nettamente inferiori a quelli normalmente praticati nel mercato legale. Il tutto attraverso i più importanti siti di e-commerce e aste on-line.

L’operazione, condotta dal Nucleo di polizia tributaria di Padova, è il risultato del continuo monitoraggio della rete internet operato dai finanzieri, finalizzato alla prevenzione e repressione dei fenomeni illeciti di natura economico-finanziaria perpetrati attraverso la rete, a tutela degli imprenditori onesti.

Le indagini, condotte anche tramite mirati accertamenti bancari, hanno portato alla luce numerosi casi di commercializzazione di prodotti contraffatti via internet, basati sullo schema del “drop shipping”, e cioè fondato sulla polverizzazione dei soggetti nazionali che propongono i beni in rete, i quali si pongono come veri e propri “mediatori” tra i produttori dei capi contraffatti, dislocati principalmente nell’area orientale del globo (Cina, Thailandia e altri paesi) e i clienti finali, ubicati sul territorio nazionale.

La Gdf ha notato la pressoché totale assenza di luoghi di stoccaggio della merce, in quanto il sistema “drop shipping” non necessita della disponibilità immediata del bene, che ben può essere spedito direttamente dall’estero una volta perfezionata la compravendita tra il “mediatore” italiano e il cliente finale.

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Dalla prassi operativa – afferma la Guardia di Finanza di Padova – è emerso con chiarezza che quello delle vendite on line costituisce un canale sempre più utilizzato per allocare, in modo capillare, quantità di merci contraffatte prodotte su larga scala.

In questo approccio, crescente attenzione è riservata ai social network, sempre più spesso i veri nuovi canali di commercializzazione del falso. Al termine dell’operazione sono state altresì eseguite 15 perquisizioni domiciliari e interessate complessivamente 18 Procure della Repubblica sparse su tutto il territorio nazionale.

Le Fiamme Gialle di Padova hanno anche richiesto ad alcune delle case licenziatarie dei noti marchi di eseguire delle perizie sui beni venduti on-line. Gli esiti di tali attività hanno accertato che i prodotti erano di elevata qualità tali da trarre in inganno i potenziali acquirenti anche perché posti in vendita a prezzi non eccessivamente inferiori a quelli ufficiali di mercato.

La contraffazione continua ad essere una vera piaga per l’economia e le imprese italiane. Oltre a far perdere posti di lavoro, il mercato del falso sottintende fenomeni di lavoro nero, evasione fiscale, sfruttamento di soggetti deboli, legami col crimine organizzato. Sempre maggiori sono poi gli effetti dannosi per i consumatori sul piano della salute e della sicurezza dei prodotti.

Falso olio di oliva extravergine, si indaga per frode

Falso olio di oliva extravergine, si indaga per frode

L’olio di oliva extravergine in realtà non lo era: è la frode in commercio il reato che il pm Raffaele Guariniello, della procura di Torino, contesta ai rappresentanti legali di una decina di aziende del settore oleario che avrebbero messo in commercio semplice olio di oliva con la sola etichettatura di olio di oliva extravergine.
L’indagine è partita dopo la segnalazione di una testata giornalistica specializzata. I laboratori delle agenzie delle dogane hanno esaminato campioni prelevati dai carabinieri del Nas e hanno verificato casi in cui l’olio, a differenza di quanto indicato, non era extravergine.

Martina, rafforzati i controlli di filiera – ”Seguiamo con attenzione l’evoluzione delle indagini della Procura di Torino, perché è fondamentale tutelare un settore strategico come quello dell’olio d’oliva italiano”. Così il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, sulle indagini della Procura di Torino su olio di oliva extravergine contraffatto. ”Da mesi abbiamo rafforzato i controlli – sottolinea il ministro Martina – soprattutto in considerazione della scorsa annata olearia che è stata tra le più complicate degli ultimi anni. Nel 2014, il nostro Ispettorato repressione frodi ha portato avanti oltre 6 mila controlli sul comparto, con sequestri per 10 milioni di euro. È importante ora fare chiarezza per tutelare i consumatori e migliaia di aziende oneste – conclude il ministro – impegnate oggi nella nuova campagna di produzione”.

Coldiretti, fare luce su frodi, +38 import nel 2014 –  ”Occorre fare al più presto luce per difendere l’olio, un settore strategico del Made in Italy con l’Italia che è il secondo produttore mondiale di olio di oliva dopo la Spagna con circa 250 milioni di piante su 1,2 milioni, con un fatturato del settore è stimato in 2 miliardi di euro con un impiego di manodopera per 50 milioni di giornate lavorative”, afferma Coldiretti nel commentare l’indagine condotta dal procuratore di Torino, Raffaele Guariniello, che vede sette grandi marchi dell’olio, alcuni recentemente acquisiti da gruppi stranieri, accusati di aver messo in vendita come extravergine quello che in realtà era semplice olio di oliva, meno pregiato.

”A favorire le frodi – secondo Coldiretti – è il record di importazioni con l’arrivo dall’estero nel 2014 di ben 666 mila tonnellate di olio di oliva e sansa, con un aumento del 38 per cento rispetto all’anno precedente. L’Italia – continua la Coldiretti – è però anche il primo importatore mondiale di olio di oliva che vengono spesso mescolati con quelli nazionali per acquisire, con le immagini in etichetta e sotto la copertura di marchi storici, magari ceduti all’estero, una parvenza di italianità da sfruttare sui mercati nazionali ed esteri.

Un comportamento che favorisce le frodi che vanno combattute anche con l’applicazione della disciplina del settore. Occorre denunciare – afferma infine Coldiretti – una diffusa disapplicazione delle norme che si estende poi al mancato contrasto nei riguardi dei marchi ingannevoli che inducono spesso in errore i consumatori che non sono in grado di conoscere esattamente cosa portano a tavola”.

Bufera in Campania, indagati De Luca e il giudice che lo reintegrò

Bufera in Campania, indagati De Luca e il giudice che lo reintegrò
INDAGATO Vincenzo De Luca

E’ bufera in Campania dopo che il governatore Vincenzo De Luca e un giudice della prima sezione civile di Napoli sono stati indagati dalla procura di Roma per presunta corruzione in atti giudiziari in merito al ricorso di De Luca contro la sospensione scaturita dalla legge Severino. Il presidente campano avrebbe fatto presunte pressioni sul collegio per cercare di restare in sella.

Accade tutto martedì sera, quando le agenzie battono la notizia dell’indagine della procura capitolina a carico di Anna Scognamiglio, uno dei giudici del Tribunale civile di Napoli (sui magistrati di Napoli è competente la procura di Roma, ndr), che, lo scorso 22 luglio, confermando una precedente decisione del giudice monocratico, ha accolto il ricorso di De Luca, contro la sospensione dall’incarico di Governatore. Nella stessa inchiesta è indagato, per l’ipotesi di reato di induzione alla corruzione, il capo della segreteria di De Luca, Nello Mastursi, che ieri si è dimesso da tale incarico.

La Procura di Roma avvia indagini anche a carico del Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che afferma “senza alcun margine di equivoco” la sua “totale estraneità a qualunque condotta meno che corretta”, chiede di essere ascoltato dai magistrati e annuncia per oggi una conferenza stampa per chiarire “ogni aspetto” della vicenda.

De Luca interviene a tarda sera e, nel dichiarare la sua estraneità, dice che è sua intenzione “fare in modo che si accendano su questa vicenda i riflettori nazionali, trovandomi nella posizione di chi non sa di cosa si stia parlando”. “Ho già dato incarico al mio avvocato – aggiunge – per chiedere di essere sentito dalla competente autorità giudiziaria. Per me, come per ogni persona perbene, ogni controllo di legalità è una garanzia, non un problema. E su questo, come sempre, lancio io la sfida della correttezza e della trasparenza”.

L’iscrizione di De Luca nel registro degli indagati può essere stata fatta senza che il Governatore ne sia al momento a conoscenza. Nell’inchiesta sarebbero indagati anche il marito del giudice Scognamiglio, Guglielmo Manna, in relazione a una sua richiesta di passaggio da un’Asl ad un’altra e ad un suo presunto collegamento con la sentenza emessa dal collegio di cui faceva parte la moglie.

Da quanto si è saputo a Napoli, tale passaggio non è mai avvenuto. L’inchiesta era stata avviata a Napoli sulla base di una segnalazione ed è stata successivamente trasferita dalla Procura partenopea a quella di Roma, che è competente a svolgere le indagini sui magistrati del Distretto della Corte di Appello di Napoli. La stessa Procura capitolina nei giorni scorsi ha delegato la Polizia a perquisire l’abitazione di Mastursi.

La sentenza al centro dell’inchiesta romana è quella con la quale la prima sezione civile del Tribunale di Napoli ha confermato quanto già deciso il 2 luglio dal giudice monocratico Gabriele Cioffi, il quale aveva congelato la sospensione di De Luca dalla carica di Governatore che era stata disposta con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in base alla legge Severino.

La sospensione era relativa a una condanna a un anno di reclusione per abuso di ufficio inflitta a De Luca quando era sindaco di Salerno. Il collegio aveva accolto il ricorso presentato dai legali di De Luca e aveva inviato gli atti alla Corte Costituzionale sospendendo il procedimento sul merito fino a quando la Consulta non si fosse pronunciata sui profili di incostituzionalità ravvisati nella legge Severino. Cosa avvenuta il mese scorso, quando la Suprema Corte ha sentenziato la “legittimità” della legge varata dal governo Monti.

Rapina a Renazzo, Cento. E' morta Cloe Govoni

Florin Constantin Grumeza e Leonard Veissel i due romeni arrestati per la rapina-omicidio di Renazzo, Cento (Ferrara)
Da sinistra Florin Constantin Grumeza e Leonard Veissel i due romeni arrestati per la rapina-omicidio di Renazzo, Cento (Ferrara)

Non ce l’ha fatta Cloe Govoni, la donna di 84 anni rapinata e massacrata in casa da due ladri insiema alla nuora a Renazzo, comune di Cento. La donna è morta la scorsa notte. Due delicati interventi chirurgici all’ospedale S.Anna di Cona per ridurre una gravissima emorragia cerebrale non sono serviti a salvarle la vita.

Quattro giorni fa per il crimine i Carabinieri hanno fermato due ragazzi romeni incensurati. Si tratta di Florin Constantin Grumeza, di 22 anni, residente a Castelfranco Emilia (Modena) e Leonard Veissel, 26enne, in Italia senza fissa dimora. I due sono sospettati di essere gli autori dell’aggressione scaturito poi con l’omicidio della donna anziana e i le gravi lesioni alla nuora Maria Humeiuc 53 anni a Renazzo, frazione del comune di Cento, Ferrara. La donna più giovane è ancora ricoverata in ospedale in prognosi riservata.

Il ventiseienne aveva in uso l’auto vista sgommare a tutta velocità dalla casa di via Lunga 4. La stessa auto, una Audi A6, era stata già fermata dai carabinieri per controlli e gli occupanti erano stati identificati. Non è stato complicato risalire ai due presunti assassini.

Subito dopo l’aggressione, sono intervenuti i Carabinieri di Cento che sono stati allertati dai vicini che avevano sentito dei rumori. Le due donne sono state soccorse proprio dai militari. Dalle prime informazioni sembra che i ladri abbiano portato via poche centinaia di euro, forse trecento.

E’ molto probabile che i rapinatori siano entrati in azione mentre le donne erano fuori casa. Una volta rientrate Govoni e Humeiuc hanno sorpreso i malviventi i quali alla vista delle proprietarie hanno reagito e le hanno violentemente colpite alla testa e in altre parti del corpo con un bastone per poi scappare a bordo della loro Auto a tutta velocità. Un fare insolito per quella via di campagna dove un’auto che sfreccia si vede e si sente.

Loris, Veronica Panarello: "Non l'ho accompagnato a scuola"

Veronica Panarello e David Stival. Nel riquadro al centro Loris
Veronica Panarello e David Stival. Nel riquadro al centro Loris

A Veronica Panarello, la mamma di Loris Stival, sembra sia tornata la “memoria” e in un nuovo colloquio in carcere col marito David Stival avrebbe ammesso che “quella mattina il bambino io non l’ho accompagnato a scuola”.

Nel colloquio avvenuto quattro giorni fa e ricostruito dal quotidiano La Sicilia, la donna avrebbe quindi ammesso – contrariamente all’ultimo colloquio del gennaio scorso – che Loris sarebbe salito a casa da solo, ma ha ribadito che il figlio “non l’ho ammazzato io”. La donna è apparsa comunque “confusa”.

Il nuovo colloquio sarebbe avvenuto quattro giorni fa nel carcere di Agrigento, dove la donna è detenuta per omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere. “Ho un buco, mi ricordo solo questo – aggiunge – non ti basta? Ora stammi vicino…”.

La presunta assassina di Loris, va oltre i dubbi che erano stati espressi – e intercettati il 6 gennaio scorso dagli investigatori che li inseriscono negli atti depositati alla Procura di Ragusa – dalla donna sempre al marito: “Può essere che hai ragione tu, può essere che io mi ricordi di averlo lasciato a scuola, ma che invece lui sia rientrato a casa. Ma quando sono tornata non c’ era più”.

Per fare però subito un passo indietro: “E se mi ricordassi la scena del giorno prima?”. Questa volta, secondo quanto ricostruisce il quotidiano siciliano, fa un ulteriore passo avanti: “Quella mattina il bambino io non l’ho accompagnato a scuola”. Loris “è salito a casa da solo, usando il portachiavi con l’orsacchiotto”, che la donna aveva detto di avere lasciato a casa.

Poi spiega così perché è tornata a casa: “Dovevo prendere un passeggino da regalare a un’amica”. Ma cosa ha fatto dentro casa dice di “non ricordarlo, di avere un buco” nella memoria. “Sono confusa – ripete – ho tante cose che mi girano per la testa”. E alla domanda marito se l’ha ucciso lei Loris torna alle sue certezze: “No, non sono stata io. Non avevo nessun motivo per farlo”.

“Mi ricordo – avrebbe riferito la mamma di Loris – solo quello che ti ho detto, non ti basta? Ora stammi vicino…”. Per l’uccisione di Loris la Procura di Ragusa ha chiesto il rinvio a giudizio di Veronica Panarello con l’accusa di omicidio volontario e occulamento di cadavere. L’udienza preliminare davanti al Gup è fissata per il prossimo 19 novembre. L’avvocato di Veronica Panarello, Francesco Villardita ha detto: “Non mi pronuncio assolutamente”. Il penalista ribadisce però che “non c’è alcun contrasto nella linea di difesa tra me e la signora Panarello”. Si attende l’udienza del Gup del 19 novembre.

Renzi a Milano: "In 20 mesi fatto ciò che bisognava fare in 20 anni"

Renzi: "In 20 mesi fatto ciò che non è stato fatto in 20 anni
Il premier Matteo Renzi a Milano mentre mostra un telefonino anni ’90 “Mondo è cambiato” (Ansa/Bazzi)

Matteo Renzi torna a Milano nel dopo Expo e al teatro Piccolo di Milano ha parlato della situazione del paese. “Negli ultimi 20 anni – ha affermato il premier – l’Italia ha parlato tutti i giorni di riforme e negli ultimi 20 mesi le riforme sono state realizzate. Non esprimo un giudizio di merito: c’è chi apprezza e c’è chi contesta, ma in 20 mesi si è fatto ciò che è stato rimandato per 20 anni”.

“Negli ultimi 20 mesi le riforme di cui si è parlato per vent’anni sono state realizzate” e ora “la domanda è come vogliamo essere fra vent’anni”, ha detto pensando alle riforme che a suo giudizio “guardano al futuro dell’Italia”.

Sui “dettagli” qualcuno “può non essere d’accordo ma la legge elettorale è una riforma molto semplice, dice che chi vince le elezioni deve governare”. Chi vince “governa per 5 anni”, come negli altri Paesi. Insomma, per il presidente del Consiglio “la politica torna a fare il suo mestiere dopo anni di ubriacatura della tecnica”.

“L’Italia non è un concentrato di problemi, dobbiamo essere capaci di generare talenti smettendo di compiangerci”, ha aggiunto il premier sostenendo che l’Italia è “il secondo Paese per longevità, il secondo Paese per associazionismo, la seconda manifattura d’Europa, ha il maggior numero di beni Unesco”. “Siamo – ha aggiunto – una superpotenza culturale. L’Italia è questo, non è solo insieme di problemi”.

Rivolgendosi al commissario di Expo Giuseppe Sala all’avvio del suo discorso al Piccolo Teatro di Milano, Renzi aveva detto: “Dico grazie a Beppe. Non posso dire altro per ovvi motivi; grazie di cuore per la dedizione con cui ha seguito l’Expo”. “L’Expo è stato simbolo di chi non si rassegna ed è stato un grande successo”.

Un esperienza che avrà un suo prosieguo con un progetto di valenza scientifica: “Il governo – ha annunciato – dà disponibilità, se richiesto, a dare il suo contributo con tutti gli strumenti a partire dalla Cassa depositi e prestiti e con fondi già dal Cdm di venerdì”. Il premier ha definito il progetto del Federal Bulding del Demanio “serio, rigoroso”.

“Siamo oggettivamente una super potenza culturale”, ha spiegato il premier a Milano dove nella sede del Piccolo Teatro illustra il progetto del governo per il dopo Expo. La qualità “delle nostre università e dei nostri centri di ricerca straordinaria – ha aggiunto – ma dobbiamo fare di più e meglio. Dobbiamo essere capaci di attrarre i talenti e generare qualità. Dobbiamo capire che la globalizzazione è il più grande asset che abbiamo e se capiamo questo smettiamo di avere paura dei fantasmi”.

L’Expo “può diventare per il governo un centro a livello mondiale che affronti insieme il tema della genomica e dei big data”: così Renzi quantificando in 1.600 i ricercatori che potrebbero essere coinvolti nel progetto indicato dall’esecutivo nell’area Expo.

Per realizzare il progetto nell’area Expo “bisogna partire da subito per dare il senso della missione: non diventi l’area del nostro rimpianto”. Così Matteo Renzi assicurando che il governo è pronto ad investire “150 milioni l’anno per i prossimi 10 anni”. “Il governo – ha detto il premier – è pronto a fare un progetto che sia “the best”.

Padova, il detenuto Antonio Floris trovato ucciso. Non era evaso

Il carcere di Padova nel riquadro Antonio Floris
Il carcere di Padova nel riquadro Antonio Floris

E’ stato ucciso Antonio Floris, il detenuto di 61 anni di Desulo che si riteneva fosse evaso dal carcere di Padova dopo non essere rientrato in cella, venerdì scorso, a seguito di un permesso. Al momento manca il solo riscontro medico, ma gli investigatori sono convinti che sia di Floris il cadavere trovato nel pomeriggio vicino alla coop dove lavorava.

L’uomo stava scontando una condanna a 16 anni per due tentati omicidi a Desulo nel 1993 (marito e moglie sfuggirono miracolosamente all’agguato). Ma per buona condotta usufruiva del permesso lavorativo presso la cooperativa di riabilitazione dei Padri Mercedari.

Oggi gli agenti della mobile di Padova, battendo palmo a palmo, la zona vicina alla coop, hanno scoperto il cadavere. Floris è stato colpito violentemente alla testa almeno due volte, con un bastone o una spranga. Quindi il corpo è stato nascosto sotto una catasta di legna. Al momento ogni ipotesi investigativa è aperta. Nelle prossime ore dovranno essere sentite tutte le persone che svolgono attività legate alla cooperativa.

Antonio Floris, ritenuto negli anni ’90 uno degli ‘emergenti’ della criminalità sarda, era originario di Desulo. L’ipotesi dell’evasione sembrava avvalorata dal fatto che l’uomo era già fuggito una volta dal carcere, evadendo nel gennaio 1991 dalla colonia penale all’aperto di Mamone, dove scontava alcune condanne, tra cui una per rapina in banca. La latitanza era durata cinque anni.

Lo aveva catturato il 10 gennaio 1996 la Criminalpol. Gli agenti, che lo intercettavano da tempo, avevano fatto irruzione di notte: Floris era armato con una 7,65, sei colpi nel caricatore, ma non aveva tentato alcuna reazione. Scoperta sorprendente erano stati i diari scritti in codice cifrato che l’uomo teneva nei tascapane, e nei quali aveva meticolosamente registrato le sue attività criminali, soprattutto estorsioni e furti.

Retata antidroga a Cagliari. 10 arresti. In cella Albino Portoghese

Retata antidroga a Cagliari. 10 arresti. In cella Albino Portoghese
Gli arrestati nell’operazione antidroga a Cagliari

Dodici ordinanze di custodia cautelare, – dieci eseguite, due i ricercati – per traffico nazionale e internazionale di droga. E’ questo il bilancio di una imponente operazione antidroga a Cagliari. L’esecuzione dei provvedimenti è stato eseguito dal Comando provinciale dei carabinieri di Cagliari su disposizione della procura e fanno parte di attività investigative nel periodo 2013 e 2014 riconducibile alle inchieste denominate “Toro” e “Rambo”.

Fra le persone arrestate spicca il nome di Albino Portoghese, di 45 anni, uomo di punta del traffico di stupefacenti già sfuggito alla cattura nel corso di una precedente operazione e già destinatario di un sequestro ingente di beni per oltre 2,7 milioni di euro, beni che secondo gli investigatori erano stati creati con gli stupefacenti.

Le indagini sono durate un anno e hanno permesso di individuare un rilevante traffico fra il Sudamerica e la Sardegna. Nel corso delle indagini sono stati sequestrati 650 chilogrammi di hascisc ma il gruppo si sarebbe occupato di tutti i tipi di stupefacenti, eroina, cocaina e altre droghe.

In un anno avrebbero smerciato all’ingrosso, secondo gli investigatori, droga per un valore fra i sette ed i 10 milioni di euro. Al dettaglio ha fruttato molto di più. All’alba è scattata l’operazione che ha visto coinvolti oltre cento carabinieri del Comando Provinciale – Reparto operativo, Nucleo investigativo Compagnie e Stazioni – e i Cacciatori di Sardegna. Perquisizioni sono state eseguite a Quartu, Quartucciu, Monserrato, Sinnai e Villasimius. Albino Portoghese è stato arrestato nella sua abitazione nel quartiere San Bartolomeo a Cagliari, ai domiciliari anche la moglie che avrebbe avuto un ruolo non marginale.

Cagliari, retata antidroga. In manette Albino Portoghese
L’arresto di Albino Portoghese a Cagliari

Sequestrati 650 chili di hashish e 10 mila euro circa in contante. Posti a sequestro anche 3 auto di grossa cilindrata, 2 revolver con matricola abrasa, munizioni, orologi di valore, apparecchi per il disturbo delle frequenze, decine di pacchi di anabolizzanti per un valore complessivo, ancora da definire, attorno ai 300 mila euro. 

IN CARCERE – Oltre a Portoghese in carcere sono finiti anche Roberto Brughitta, 33enne di Quartu S. Elena, pregiudicato, di professione pizzaiolo; Marco Cadeddu, pregiudicato 35enne di Selargius; Stefano Corda, pregiudicato 28enne di Cagliari; Luca Mascia e Enrico Uda di anni 44 e 43 di Quartucciu, incensurati e commercianti.

AGLI ARRESTI DOMICILIARI – Sono andati ai domiciliari la moglie di Albino Portoghese, Maria Caterina Gessa, 51enne incensurata, di Cagliari; Maurizio Cadeddu, 32enne, di Selargius; Roberto Mainas, 37 anni, pregiudicato di Quartu e Federico Marcia disoccupato 29enne di Quartucciu. Allo stato sono due i ricercati.

Giallo in crociera, donna scompare nel nulla. Forse suicidio

Giallo in crociera su MSC Opera, scomparsa Rosanna Rossato. forse suicidio
La Msc Opera, la nave simile da cui è scomparsa la passeggera Rosanna Rossato.

E’ giallo sulla scomparsa di una passeggera di 75 anni che era in viaggio su una delle navi Msc “Opera”. La donna, imbarcata a Civitavecchia non è mai sbarcata a Genova, dove era diretta la nave.

L’ipotesi che Rosanna Rossato, questo il nome della donna, possa essersi suicidata prende sempre più corpo. Salita a bordo della nave a Civitavecchia con alcuni amici in un viaggio organizzato, i compagni non l’hanno più vista scendere a Genova e, dopo aver perlustrato la cabina, hanno segnalato al personale di terra e poi alle autorità portuali la sua scomparsa.

La stessa compagnia Msc ha diramato una nota: “Ieri, (domenica, ndr) durante le operazioni di sbarco al porto di Genova, è stata constatata l’assenza di una passeggera a bordo della nave MSC Opera. Immediatamente la Compagnia ha attivato le procedure previste e informato le autorità competenti con cui sta al momento collaborando nelle operazioni di ricerca”. Intense le ricerche sull’enorme imbarcazione. Ma purtroppo di Rosanna Rossato nessuna traccia. Ecco che prende corpo l’ipotesi o del suicidio o della caduta accidentale in mare, il cui impatto è violentissimo da altezze che variano tra i 20-30 metri.

La Capitaneria di porto da ieri è impegnata nelle operazioni di ricerca di Rosanna Rossato, originaria di Vicenza. Le ricerche sono in corso e ad ampio raggio in tutto il mar Ligure con l’ausilio di motovedette partite da Genova, Santa Margherita ligure e La Spezia, nonché due elicotteri uno dei quali sorvola il mare intorno all’Isola d’Elba.

La donna, secondo gli investigatori, aveva scoperto di essere malata e sotto trattamento oncologico. Due sere fa aveva mandato un sms alla figlia con scritto solo “perdono”. Anche il compagno della donna, che non era a bordo, a casa avrebbe trovato lettere in cui l’anziana parlava di intenti suicidi.

Il magistrato Francesco Cardona Albini ha aperto un fascicolo per atti relativi alla scomparsa di Rosanna Rossato. Gli investigatori hanno sequestrato i filmati delle telecamere dell’imbarcazione per ricostruire quanto successo. Dalle prime informazioni, la chiave (badge) della cabina in cui la donna alloggiava sarebbe stata usata l’ultima volta alle 23.30 di sabato scorso: potrebbe dunque essere quello il momento della scomparsa. Tuttavia, non si esclude anche la causa di una caduta accidentale.

IL PRECEDENTE
Solo a luglio – ma sulla Costa Fortuna – un’altra donna è caduta in acqua da oltre 30 metri di altezza nei Fiordi norvegesi. Era in crociera col compagno. Non un caso accidentale, almeno da quanto ha raccontato la donna dopo essersi svegliata dal coma, secondo cui sarebbe stato il compagno che era con lei a buttarla giù: “Io non volevo suicidarmi”, ha raccontato agli inquirenti. Il partner ha invece affermato che la donna voleva suicidarsi.

Birmania, vince la Lega per la democrazia di Aung San Suu Kyi

Birmania, vince la Lega per la democrazia di Aung San Suu Kyi
Aung San Suu Kyi, leader del partito d’opposizione che ha vinto le elezioni in Birmania
La “Lega nazionale per la democrazia” (Ndl) di Aung San Suu Kyi, ex nobel per la pace e leader dei diritti umani in Birmania ha vinto le elezioni nel paese. E’ lo stesso portavoce del movimento ad annunciare che “a noi sono andati il 70 percento dei voti” e ad aver “vinto 44 dei 45 seggi per la camera bassa birmana assegnati a Rangoon”.

La Lega nazionale per la democrazia ha anche reso noto di avere conquistato tutti e dodici i seggi in palio nella ex capitale per la camera alta. I dati non sono stati ancora confermati dalla commissione elettorale che sta rendendo noti i risultati molto lentamente.

Il governo ha ammesso la sconfitta – Il partito birmano al governo (Usdp) ha ammesso la sconfitta al voto di ieri nei confronti del partito all’opposizione Ndl guidato da Aung San Suu Kyi. In un’intervista a Democratic Voice of Burma, il capo del partito di governo Htay Oo ammette di “aver collezionato più sconfitte che vittorie”.

“E’ troppo presto per parlare del risultato, ma credo che ne abbiate tutti un’idea”, ha detto questa mattina la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi, comparendo nella sede centrale della sua “Lega nazionale per la democrazia” (Nld) davanti a una folla di sostenitori in festa già da ieri sera.

Portavoce Nld, ‘finora a noi il 70% dei voti’ – Il partito all’opposizione in Birmania (Nld) guidato da Aung San Suu Kyi si è aggiudicato finora circa il 70% dei voti alle elezioni di ieri: lo ha detto il portavoce Win Htein spiegando che, secondo i voti contati fino adesso, alla Lega nazionale per la democrazia è andato tra il 50% e l’80% delle preferenze su base nazionale. I primi dati definitivi saranno annunciati alle 15:00 locali (le 9:30 italiane).

Birmania: tv, partito al governo ammette sconfitta – Il partito al governo della Birmania (Usdp) ha ammesso la sconfitta alle elezioni di ieri nei confronti del partito all’opposizione Ndl guidato da Aung San Suu Kyi: lo scrive in un tweet l’emittente nazionale cinese Cctv.

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