12 Ottobre 2024

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Palermo, immigrazione clandestina col circo. 7 arresti

Operazione Polizia di Stato di Palermo contro immigrazione clandestinaDieci misure cautelari sono state eseguite a Palermo nei confronti di una presunta organizzazione che avrebbe favorito l’immigrazione clandestina attraverso il mondo circense, che ha coinvolto dipendenti dell’Assessorato Regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro.

Le indagini, condotte dalla Polizia di Stato e coordinate dalla locale procura, hanno consentito di svelare una articolata associazione internazionale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel territorio nazionale di cittadini, provenienti prevalentemente dall’India, dal Pakistan e dal Bangladesh.

L’ordinanza, emessa dal Gip del tribunale di Palermo, Agostino Gristina, è a carico di 5 cittadini italiani e 5 stranieri. Sono in tutto 7 le ordinanze di custodia cautelare in carcere, due divieti di espatrio ed un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Alla presunta associazione sono stati contestati anche i reati di corruzione di pubblici ufficiali, falso materiale ed ideologico, tutti strumentali al perseguimento dei loro fini.

Questa volta ad essere colpiti dal provvedimento sono alcuni dei vertici dell’organizzazione nei cui confronti il mese scorso era già stato eseguito il fermo emesso dalla Procura di Palermo per gli stessi reati.

Le indagini hanno portato alla luce un’associazione di italiani e stranieri, tutt’ora attiva, che sarebbe responsabile di favoreggiamento all’immigrazione clandestina.

In particolare, – spiega la Polizia – tale organizzazione, dietro pagamento di diverse migliaia di euro, avrebbe garantito a centinaia di cittadini indiani, pakistani e bengalesi di entrare in Italia tramite la concessione di un visto d’ingresso per ragioni di lavoro, ottenuto grazie alla collaborazione di dipendenti presunti corrotti della Regione Sicilia in forza all’Assessorato regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro.

In tutto sono risultati coinvolti almeno 500 soggetti stranieri per un giro d’affari di circa 7 milioni di euro.

Come già noto il sistema svelato dalla Squadra Mobile di Palermo, diretta da Rodolfo Ruperti, consentiva di aggirare la legislazione vigente in materia di immigrazione. Questa è disciplinata dal cosiddetto “decreto flussi”, provvedimento con cui si regolamenta l’ingresso in Italia dei cittadini stranieri attraverso una specifica disciplina di settore.

In deroga a tale normativa, l’art. 27 del testo unico sull’immigrazione, consente di autorizzare l’ingresso di lavoratori dello spettacolo, tra i quali gli occupati presso circhi o spettacoli viaggianti all’estero, al personale artistico e tecnico per spettacoli lirici, teatrali, concertistici o di balletto.

In ragione di tale disciplina, possono essere assunti “lavoratori qualificati” nell’ambito delle attività connesse agli spettacoli, a seguito di apposita autorizzazione rilasciata dall’ufficio speciale per il collocamento degli operatori dello spettacolo, previo nullaosta dell’autorità provinciale di pubblica sicurezza (articolo 31 del Dpr.394/1999).

In ambito nazionale – conclude la Polizia di Stato – questo procedimento è incardinato presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, mentre per la Sicilia è competente l’Assessorato Regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro, in cui lavorano diversi soggetti coinvolti che, “dietro compenso” avrebbero “rilasciato dei falsi nulla osta al lavoro per prima occupazione o visto d’ingresso cittadini extracomunitari, necessari per ottenere, da parte delle ambasciate, il visto d’ingresso nel territorio nazionale”.

Truffe agli anziani, come prevenirli: ecco il decalogo. VIDEO

Truffe agli anziani, come prevenirli ecco il decalogo . Incontro dei Carabinieri di Arma di Taggia
Un momento dell’incontro con gli anziani ad Arma di Taggia (Imperia)

Le truffe agli anziani (ma anche le rapine) sono sempre all’ordine del giorno, con costi personali e sociali altissimi. Per questo occorre prudenza quando si interagisce con sconosciuti che non di rado si rivelano essere truffatori incalliti, soprattutto a domicilio. Spesso si presentano a casa di ignari anziani con i pretesti più “curiosi”, ma una volta entrati tra le mura domestiche possono essere un serio pericolo. Le parole d’ordine sono  “prevenzione”e “diffidenza”.

Del tema della prevenzione dei delitti ai danni delle persone anziane si è parlato venerdì pomeriggio in un interessante incontro organizzato dai Carabinieri della stazione di Arma di Taggia (Imperia), presso il centro ricreativo anziani di Via Aurelia Ponente.

All’incontro ha partecipato un numeroso gruppo di anziani che ha ascoltato con interesse i consigli dati loro dal Comandante della Stazione, il Luogotenente Mauro Felice Rinaldi, e dagli altri militari dell’Arma del posto. Un messaggio socio educativo indirizzato ai presenti, ma che è esteso a tutti gli anziani italiani.

Truffe agli anziani, come prevenirli ecco il decalogo . Incontro dei Carabinieri di Arma di TaggiaI Carabinieri hanno illustrato diverse tipologie di truffe agli anziani messe a segno dai malviventi specialmente nei confronti di persone sole e di una certa età.

Sono state fornite indicazioni su come prevenire i comportamenti di malintenzionati e su come non cadere in raggiri prendendo le necessarie precauzioni, adottando la prevenzione come migliore difesa.

L’incontro si è concluso positivamente con l’apprezzamento dei presenti per i preziosi consigli forniti loro dai militari dell’Arma.

Tali conferenze, organizzate dai Carabinieri della Compagnia di Sanremo nel territorio di propria competenza e in generale dall’Arma dei Carabinieri in tutta Italia, hanno l’obiettivo di sensibilizzare le persone anziane, e il cittadino in genere, circa le modalità con cui i truffatori ingannano le loro vittime.

Nelle prossime settimane i Carabinieri terranno altri incontri nel territorio della Provincia di Imperia sempre in materia di prevenzione delle truffe agli anziani.

Quello che segue è un decalogo “in pillole” che può essere utile ad ogni cittadino italiano per non cadere vittima di tali reati e soprusi:

• [dropcap color=”#” bgcolor=”#” sradius=”0″]n[/dropcap]on aprite agli sconosciuti e non fateli entrare in casa. Diffidate degli estranei che vengono a trovarvi in orari inusuali, soprattutto se in quel momento siete soli in casa;

• non mandate i bambini ad aprire la porta;
• comunque, prima di aprire la porta, controllate dallo spioncino e, se avete di fronte una persona che non avete mai visto, aprite con la catenella attaccata;

• in caso di consegna di lettere, pacchi o qualsiasi altra cosa, chiedete che vengano lasciati nella cassetta della posta o sullo zerbino di casa. In assenza del portiere, se dovete firmare la ricevuta aprite con la catenella attaccata;

• prima di farlo entrare, accertatevi della sua identità ed eventualmente fatevi mostrare il tesserino di riconoscimento;

• nel caso in cui abbiate ancora dei sospetti o c’è qualche particolare che non vi convince, telefonate all’ufficio di zona dell’Ente e verificate la veridicità dei controlli da effettuare. Attenzione a non chiamare utenze telefoniche fornite dagli interessati perché dall’altra parte potrebbe esserci un complice;

Truffe agli anziani, come prevenirli ecco il decalogo . Incontro dei Carabinieri di Arma di Taggia• tenete a disposizione, accanto al telefono, un’agenda con i numeri dei servizi di pubblica utilità (Enel, Telecom, Acea, etc.) così da averli a portata di mano in caso di necessità;

• non date soldi a sconosciuti che dicono di essere funzionari di Enti pubblici o privati di vario tipo. Utilizzando i bollettini postali avrete un sicuro riscontro del pagamento effettuato;

• mostrate cautela nell’acquisto di merce venduta porta a porta;

• se inavvertitamente avete aperto la porta ad uno sconosciuto e, per qualsiasi motivo, vi sentite a disagio, non perdete la calma. Inviatelo ad uscire dirigendovi con decisione verso la porta. Aprite la porta e, se è necessario, ripetete l’invito ad alta voce. Cercate comunque di essere decisi nelle vostre azioni.

GUARDA LO SPOT DEI CARABINIERI DI PREVENZIONE ALLE TRUFFE

In generale, per tutelarvi dalle truffe:

• diffidate sempre dagli acquisti molto convenienti e dai guadagni facili: spesso si tratta di truffe o di merce rubata;

• non partecipate a lotterie non autorizzate e non acquistate prodotti miracolosi od oggetti presentati come pezzi d’arte o d’antiquariato se non siete certi della loro provenienza;

• non accettate in pagamento assegni bancari da persone sconosciute;

• non firmate nulla che non vi sia chiaro e chiedete sempre consiglio a persone di fiducia più esperte di voi.

E ieri, sempre sul tema della prevenzione di truffe e raggiri, la Polizia di Stato di Alessandria ha organizzato una serie di incontri con i cittadini. “Occhio alle truffe! Non fidatevi degli sconosciuti”, questo il titolo. L’obiettivo è quello di dare alcuni consigli, soprattutto alle persone anziane, facile preda dei malviventi, affinché non cadano nella rete dei raggiri realizzati, con grande abilità, da persone apparentemente distinte, ma dietro le quali si nasconde, molto spesso, un truffatore.

Reggio Calabria, arrestato in flagranza topo d'auto

Reggio Calabria, arrestato in flagranza topo d'auto
Federico Amato

Un disoccupato reggino di 20 anni, Federico Amato, con precedenti contro il patrimonio, è stato arrestato dai Carabinieri di Reggio Calabria mentre era intento a rubare un’auto. E’ successo ieri nel parcheggio di un noto cinema reggino.

I militari lo hanno sorpreso con un grosso cacciavite mentre aveva infranto il finestrino di una Lancia Y in sosta e si era introdotto all’interno con il chiaro intento di impossessarsene.

I carabinieri dell’Aliquota Radiomobile stavano effettuando il monitoraggio della zona, dopo le diverse denunce presentate nei giorni scorsi dai cittadini per furti d’auto. I militari, hanno notato il ragazzo che si aggirava con il classico fare sospetto attorno alle macchine in sosta nel parcheggio di un noto cinema di Reggio.

I militari hanno prima deciso di seguire il giovane a distanza, poi sono intervenuti quando Amato è stato sorpreso a rompere il finestrino e salire a bordo dell’autovettura. Inutile è stato il tentativo del giovane di scappare brandendo il cacciavite in direzione di uno dei militari.

Alla luce di quanto accertato, il giovane veniva è stato subito arrestato e condotto presso la caserma di Viale Calabria, per essere trattenuto presso le camere di sicurezza, in attesa del rito direttissimo, nel corso del quale Federico Amato dovrà rispondere di rapina impropria dinnanzi alla Autorità giudiziaria di Reggio Calabria.

Continua senza soste il contrasto alla piaga dei furti di autovetture in città, portato avanti dai Carabinieri della Compagnia di Reggio Calabria che, in poco più di 2 mesi, ha permesso di assicurare alla giustizia 5 persone arrestate in flagranza di reato.

Como, calci pugni e rapina a due connazionali. Arrestato

Como: calci pugni e rapina a due connazionali. ArrestatoNella tarda mattinata di ieri, i carabinieri di Como, hanno arrestato un 66enne di origine rumena per rapina. L’uomo è stato preso in in flagranza di reato.

Il 66enne, con la complicità verosimilmente di un suo connazionale, attivamente ricercato, al fine di impossessarsi del denaro di una anziana coppia tra l’altro della stessa nazionalità – che passeggiava indisturbata in viale Innocenzo di Como – hanno dapprima picchiato con calci e pugni l’uomo e, successivamente, l’arrestato, utilizzando un bastone, ha infierito colpendo in più parti del corpo l’anziana donna che è dovuta ricorrere alle cure mediche.

L’immediato intervento della pattuglia dell’Arma, unitamente ai colleghi della Stazione Carabinieri di Rebbio, ha consentito di bloccare il 66enne e trarlo in arresto.

Il suo complice, alla vista dei militari, si è dato a precipitosa fuga, ma è tutt’ora ricercato. Perquisito è stato trovato in possesso della somma contante di 400 euro e di due telefoni cellulari. Su disposizione del sostituto procuratore di turno, terminate le formalità di rito, l’arrestato è stato condotto presso il carcere Albassone di Como.

Mestre, scontro tra auto e moto. Muore un giovane 21enne

Mestre, scontro tra auto e moto. Muore un giovane 21enne
Il luogo dell’impatto a Mestre coi mezzi distrutti. (Vigili del Fuoco)

MESTRE (VENEZIA) – Un giovane di 21 anni, V.V., è morto questo pomeriggio intorno alle 18 a Mestre nello scontro fra la sua moto ed un’auto su cui viaggiavano due donne, rimaste ferite e trasportate in ospedale in codice giallo.

Lo schianto mortale è avvenuto in Via Martiri della libertà, in corrispondenza del deposito Actv (l’Azienda di trasporti pubblici).

Sul posto sono intervenuti i sanitari del 118 ed i vigili del fuoco di Mestre, che hanno messo in sicurezza i mezzi ed hanno lavorato per il ripristino delle conduzioni di sicurezza della strada.

Secondo una prima, parziale, ricostruzione, sembra che il ragazzo, a bordo di un Kawasaky in direzione San Giuliano, non avrebbe fatto in tempo a fermarsi allo scatto del semaforo rosso, andando a scontrarsi violentemente contro una Fiat 500L di colore nero con a bordo le due donne, che all’incrocio stavano svoltando per il deposito Actv. Il centauro è sbalzato a terra dove non ha più dato segni di vita.

La polizia municipale, giunta sul posto, ha effettuato i rilievi di rito per accertare l’esatta dinamica del tragico incidente.

Inutili i soccorsi. I sanitari hanno tentato di rianimare il ventunenne ma purtroppo il giovane era già morto per il violento impatto prima sull’auto e poi a terra.

La vittima era residente nella zona della Bissuola, non lontano dalla strada dove a perso la vita. Traffico congestionato a causa dell’incidente.

Villapiana (Cs). Scontro tra due mezzi sulla 106: dieci feriti

Villapiana (Cs). Scontro tra due mezzi sulla 106: dieci feritiIncidente sulla 106 ionica. Dieci persone sono rimaste ferite nello scontro tra un pulmino con a bordo braccianti agricoli e un furgone carico di mobilio che proveniva in senso inverso. Due persone sarebbero feriti in modo grave.

L’incidente è avvenuto sulla statale 106 ionica, all’altezza di Villapiana. I feriti, braccianti diretti in Puglia per lavoro, hanno un’età che va dai 19 ai 50 anni.

I dieci feriti sono stati portati negli ospedali di Rossano e Corigliano Calabro (Cosenza). Nessuno di loro sarebbe in pericolo di vita. La polizia stradale di Trebisacce indaga per accertare le cause dello scontro.  E’ l’ennesimo incidente sulla statale 106 ionica.

San Nicola la Strada (Caserta), arrestata una donna per mafia

San Nicola la Strada (Caserta), arrestata una donna per mafia
Immacolata Cortese

I Carabinieri della stazione di San Nicola la Strada (Caserta), hanno eseguito un ordine di custodia cautelare in carcere emesso dalla Corte di Appello di Napoli nei confronti di Immacolata Cortese, pregiudicata, classe 1968, di San Nicola la Strada.

La donna, moglie del detenuto Antonio Bruno, detto “carosone”, referente del presunto clan camorristico dei Belforte per i comuni di San Nicola la Strada e San Marco Evangelista (Caserta), è ritenuta presunta affiliata al suddetto clan camorristico.

La donna è ritenuta dagli inquirenti responsabile di associazione per delinquere di stampo mafioso, per fatti risalenti agli anni 2009-2010. Immacolata Cortese è stata accompagnata presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere.

Venezia, fiumi di coca della 'ndrangheta in laguna. 9 arresti. VIDEO

Venezia, fiumi di cocaina della 'ndrangheta in laguna. 9 arresti
Finanzieri con parte della droga sequestrata (da veneziatoday.it)

Un altro maxi sequestro di cocaina. Questa volta non a Gioia Tauro, ma in laguna, a Venezia. 410 chili la droga requisita e 9 persone arrestate grazie ad articolate indagini della Guardia di Finanza veneziana. Il filo conduttore è sempre la ‘ndrangheta calabrese.

L’operazione, coordinata dalla Dda della locale Procura della Repubblica, ha consentito di individuare un’articolata compagine criminale di matrice ‘ndranghetista, operante in provincia di Venezia, con collegamenti in Lombardia ed origine nell’area jonica della provincia di Reggio Calabria dedita all’importazione di ingenti quantitativi di cocaina dal Sud America ed alla successiva commercializzazione dello stupefacente.

In particolare, le investigazioni hanno tratto origine dal monitoraggio di alcuni soggetti di origine calabrese dimoranti nella provincia di Venezia, attivi nello smercio di cocaina nel capoluogo lagunare e nel trevigiano.

Attraverso un’assidua attività di osservazione e pedinamento, è stato possibile evidenziare la figura di A.V., 52enne domiciliato a Marcon (Venezia), presunto elemento di spicco dell’organizzazione, legato alla ‘ndrangheta di Africo dei Morabito (Reggio Calabria), con precedenti di polizia tra i quali tentato omicidio, associazione di tipo mafioso, estorsione e detenzione abusiva di armi.

ECCO COME LA NDRANGHETA SMERCIAVA LA DROGA IN LAGUNA

La Guardia di Finanza di Venezia ha potuto riscontrare come A.V., avvalendosi di un’impresa operante in provincia di Venezia, introduceva ingenti quantitativi di cocaina sul territorio nazionale, importandola direttamente dall’America centrale e meridionale.

La droga veniva occultata all’interno di container con carichi di copertura costituiti da frutta (banane, ananas, e altra merce tropicale) e, una volta giunto a Venezia, veniva distribuito a gruppi di spacciatori.

Secondo gli investigatori, coinvolto nel narcotraffico anche un sodalizio di origine calabrese stanziato nelle province di Milano e Monza Brianza che, in collaborazione con A.V., alimentava il mercato lombardo della cocaina, anch’essa prelevata a Venezia, dopo essere arrivata dal Sud America.

I finanzieri hanno potuto documentare tre significative importazioni di cocaina con un elevato grado di purezza, per un peso di circa 410 kg.
Con la collaborazione dell’Agenzia delle Dogane e di altri Reparti della Guardia di Finanza competenti per territorio, è stato possibile procedere ad una “consegna controllata” dei carichi, al fine di giungere all’individuazione dei responsabili del traffico illecito.

In questo modo, è stato accertato che la cocaina era trasportata dai sodali in magazzini presi in locazione a Marghera e Meolo (Venezia) dove, dopo essere stata separata dalla merce lecita tra la quale era occultata, veniva suddivisa tra i vari componenti dell’organizzazione, per essere poi smerciata sul territorio.

Più nel dettaglio, le indagini hanno permesso di rilevare, in una prima fase, l’arrivo di due partite di cocaina del peso, rispettivamente, di 50 e 240 chilogrammi nei mesi di luglio e novembre 2015.

Dopo aver individuato la rete di distribuzione dello stupefacente, nella giornata di giovedì è scattato il blitz in un magazzino di Meolo (VE), dove sono stati colti in flagranza di reato A.V. ed altri tre componenti dell’organizzazione mentre scaricavano da un furgone 90 casse di falsi tuberi di manioca in materiale plastico, al cui interno erano occultati panetti di cocaina, per un peso complessivo di circa 98 chilogrammi, sottoposti a sequestro.

Contemporaneamente, sono state avviate oltre 20 perquisizioni in Veneto e Lombardia, nei confronti di soggetti coinvolti, a vario titolo, nel traffico di stupefacenti.
Le perquisizioni hanno consentito di sequestrare altri 30 chili di cocaina, 1 chilo di marijuana, oltre ad una ingente quantitativo di denaro contante e preziosi.

Ulteriori 32 chili circa di cocaina erano stati sequestrati lo scorso 20 novembre 2015, con l’arresto di un responsabile in provincia di Milano; operazione condotta con la collaborazione dei baschi verdi del capoluogo lombardo.

Complessivamente, sono state arrestate 9 persone, tra le quali anche due ristoratori di origine albanese che, all’interno del loro locale situato nel centro storico di Venezia, custodivano circa un chilogrammo di cocaina ed altrettanta marijuana, pronta per essere spacciata.

L’attività investigativa è stata condotta dal Gico del Nucleo di Polizia Tributaria di Venezia, sotto la direzione della Direzione distrettuale antimafia presso la Procura della Repubblica di Venezia.

Le investigazioni si sono avvalse anche del prezioso apporto della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga del Ministero dell’Interno e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata.

Acri: evade dai domiciliari, arrestato. A luglio tentò di incendiare la compagna

Acri: evade dai domiciliari, arrestato. A luglio tentò di incendiare la compagna
Nel riquadro Adrian Dimisca

I carabinieri della stazione di Acri (Cosenza) hanno nuovamente arrestato il 44 enne Adrian Dimisca, per evasione dai domiciliari. Per l’uomo, trattenuto ora in camera di sicurezza presso la Compagnia di Rende, è atteso per sabato 5 dicembre il rito direttissimo.

Adrian Dimisca, operaio separato di origini rumene, era stato arrestato il 1° luglio scorso per tentato omicidio e maltrattamenti in famiglia perché nel corso di quel pomeriggio, a seguito di una lite con la propria convivente, ha tentato di darle fuoco cospargendola di liquido infiammabile. Andò agli arresti domiciliari.

La donna, una casalinga rumena di 43 anni, la sera prima era stata cacciata di casa. Tornata il giorno successivo per prendersi i propri bagagli, Adrian Dimisca l’avrebbe cosparsa con liquido infiammabile con intento incendiarla facendo scoccare la scintilla dal suo accendino.

Fortunatamente, la donna riuscì scappare e a rifugiarsi in un bar nelle immediate vicinanze dell’abitazione, richiedendo soccorso. A seguito della segnalazione al 112, i carabinieri della stazione di Acri sono intervenuti spediti per evitare la tragedia. Andati a casa dell’uomo, i militari lo hanno trovato ancora con l’accendino.

Dimisca aveva minimizzava i fatti, riferendo di volerla solo spaventare per cacciarla definitivamente da casa per una presunta dipendenza da alcool della donna.  Intervenuti i sanitari del 118, la donna fu ricoverata presso l’ospedale di Acri per frattura allo zigomo e all’arcata sopraccigliare. I medici la giudicarono guaribile in 30 giorni.

Un fattaccio a seguito del quale, il presunto autore, Adrian Dimisca riuscì a guadagnare gli arresti domiciliari, forse, grazie al suo status di “incensurato”. Domicilio da cui è evaso stamane facendosi beccare in strada da militari di Acri. Domani è molto probabile che per lui si spalanchino le porte del carcere di Cosenza.

Istat: economia sommersa e illegale valgono 13% del Pil

Istat: economia sommersa e illegale valgono 13% del PilNel 2013, il valore aggiunto connesso alle attività illegali vale circa 16 miliardi di euro, pari all’1% del Pil. Lo afferma l’Istat. Le attività illegali entrate nel sistema dei conti nazionali sono traffico di droga, prostituzione e contrabbando di sigarette.

Nel complesso, “l’economia non osservata, cioè sommersa e derivante da attività illegali (come droga, prostituzione e contrabbando sigarette) ammonta, nel 2013, a 206 miliardi di euro, pari al 12,9% del Pil”, afferma l’Istat. Il solo valore aggiunto dall’economia sommersa vale circa 190 miliardi di euro, pari all’11,9% del Pil, in aumento dall’11,7% nel 2012 e 11,4% nel 2011.

Tasso irregolarità lavoro salito in 2013 al 15% – Nel 2013 le unità di lavoro (Ula) in condizione di non regolarità sono 3 milioni e 487 mila, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 438 mila unità, in calo dell’1,2% dai 2 milioni e 467 mila nel 2011). Lo indica l’Istat nel report sull’economia non osservata, aggiungendo che il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle Ula non regolari sul totale, è risultato pari al 15% nel 2013, in aumento di 0,5 punti percentuali rispetto al 2011.

A incidere è la contrazione dell’occupazione. Nel dettaglio per posizione professionale, le unità dipendenti non regolari sono scese da 2 milioni e 467 mila nel 2011 a 2 milioni e 438 mila nel 2013 (una riduzione dell’1,2%) a fronte di una perdita di 614 mila unità di lavoro regolari (pari a -4,3%). Di conseguenza, l’incidenza del lavoro non regolare è salita tra i dipendenti dal 14,8% del 2011 al 15,2% nel 2013.

Per la componente indipendente non regolare, invece, si è registrato nel biennio un lieve aumento: il numero è salito da 1 milione e 46 mila nel 2011 a 1 milione e 49 mila nel 2013 (+0,3%). Questa crescita, unita alla forte diminuzione di unità di lavoro indipendente regolari (-4,2%) ha comportato un incremento significativo dell’incidenza del lavoro non regolare, che è passata dal 13,9% al 14,5%.

Castel Volturno (Caserta), fermata banda di rapinatori seriali

Castel Volturno (Caserta), fermata banda di rapinatori serialiQuattro rapinatori seriali sono stati arrestati dalla Polizia di Stato nel corso di mirati servizi di polizia giudiziaria finalizzati al contrasto dei reati predatori.

Si tratta di Emanuel Mazzocca, napoletano di 25 anni, Omer Memedoski, macedone di 35 anni, in Italia senza fissa dimora; Nicola Russo, di Teano, 32 anni e Leonide Luise, nata a Napoli 58 anni fa.

I quattro sono stati trovati in possesso di armi da fuoco e della refurtiva provento di numerose rapine in abitazioni – spesso sfociate anche in atti di violenza e sequestri di persona – commesse nei giorni scorsi nel comune di Castel Volturno e nei comprensori limitrofi.

L’operazione è stata eseguita dalla Squadra Mobile della Questura di Caserta e del Commissariato di Castel Volturno hanno individuato e proceduto al fermo dei quattro presunti rapinatori.

Il blitz è scattato – spiega la Polizia di Stato – quando gli agenti hanno intercettato e bloccato a Castel Volturno l’auto di Nicola Russo, noto pregiudicato, a bordo della quale viaggiava unitamente alla convivente Leonide Luise ed a Omer Memedoski, persona pure gravata da numerosi precedenti per reati predatori.
Durante il controllo, i fermati hanno assunto un atteggiamento sospetto. Cosa che, confermando i riscontri investigativi già sviluppati sulla base di notizie provenienti da attendibili fonti confidenziali, convinceva gli operatori a raggiungere la vicina casa di Russo e procedere ad una accurata perquisizione.

Dopo aver maldestramente tentato di depistare i poliziotti, indicando una abitazione diversa dalla propria ed affermando di non essere in possesso delle chiavi di ingresso, gli agenti hanno individuato la casa e lì hanno sorpreso Emanuel Mazzocca, mentre dormiva vestito sul divano con accanto un fucile ad aria compressa.
All’interno dell’immobile venivano rinvenuti numerosi oggetti che, dalle immediate attività di indagine, si verificavano essere proprio il provento di diverse rapine recentemente commesse nel territorio, nonché alcuni bossoli di cartucce per pistola di calibro 9×21.

Contestualmente alle stesse operazioni, gli uomini della Polizia di Stato individuavano, proprio di fronte all’abitazione di proprietà di Russo, all’inizio di un piccolo vialetto antistante, occultata in un cespuglietto di rovi, una borsa, identica ad una già trovata all’interno dell’abitazione, con all’interno armi, munizioni, passamontagna e guanti.

In particolare, soprattutto, veniva individuata una pistola e diverse munizioni di calibro corrispondente a quello del munizionamento rinvenuto all’interno dell’abitazione. Precisamente, gli agenti rinvenivano e sottoponevano a sequestro una pistola Beretta modello 98FS calibro 9×21, con matricola abrasa, completa di caricatore e rifornita di cartucce; un fucile a canne mozze calibro 16, modificato artigianalmente, 4 passamontagna di lana e 6 guanti in lana.
Nel corso delle successive attività investigative, diverse persone rimaste vittime di rapina riconoscevano negli oggetti recuperati all’interno dell’abitazione parte di quanto loro sottratto. In particolare i poliziotti, avendo notato che i tre uomini fermati calzavano scarpe griffate, assolutamente non in linea con il resto del vestiario indossato e della stessa tipologia di quelle rubate ad una delle vittime, decidevano di sottoporle alle procedure di individuazione mostrandole alla vittima, che le riconosceva proprio come parte di quanto sottrattogli.
Pertanto, concluse le attività investigative, gli uomini della Polizia di Stato procedevano al fermo nei confronti dei tre soggetti e, dopo gli atti di rito, li conducevano presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Sono tuttora in corso indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed a cura della Squadra Mobile della Questura di Caserta, finalizzate a verificare l’eventuale responsabilità dei fermati in altre rapine commesse nei giorni scorsi nel territorio, avvenute in particolare simulando l’appartenenza alle forze di polizia o attirando le vittime all’esterno delle abitazioni staccando il contatore dell’energia elettrica. Fatti criminali che, in ogni caso, non si sono più ripetuti sin dalla data dell’arresto.

Mafia, sequestro per 13 milioni a uomini di Matteo Messina Denaro

Mafia, sequestro per 13 milioni a uomini di Matteo Messina Denaro
Una ricostruzione del volto attuale del boss latitante Matteo Messina Denaro

Beni per un importo stimato di 13 milioni di euro sono stati sequestrati giovedì a 4 presunti fiancheggiatori del boss mafioso, super latitante, Matteo Messina Denaro.

Il provvedimento, eseguito congiuntamente da Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza, è stato disposto dal gip milanese su richiesta della locale Procura distrettuale antimafia.

Il sequestro riguarda beni mobili, immobili ed aziende riconducibili a Vito Gondola, 77 anni, Michele Gucciardi, 62, Giovanni Domenico Scimonelli, 48, Pietro Giambalvo, 77, tutti arrestati lo scorso agosto nell’operazione Ermes con l’accusa di associazione a delinquere di stampa mafioso e favoreggiamento aggravato.

Una nota congiunta delle forze dell’ordine diffusa oggi spiega che il sequestro riguarda otto aziende e una quota societaria (nello specifico supermercati, aziende agricole e allevamenti ovini); 68 immobili (27 fabbricati e 41 terreni), due autovetture e 36 “rapporti finanziari e bancari”. Tutti riconducibili ai presunti fiancheggiaotri di Matteo Messina Denaro arrestati ad agosto.

“Le indagini patrimoniali – si legge nella nota – hanno evidenziato il palese disvalore tra i redditi dichiarati dagli indagati ed i beni posseduti per cui il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, si rendeva urgente e necessario anche al fine di scongiurare eventuali alienazioni a prestanomi o a terzi”.

Onorata Sanità, altra confisca a ex consigliere Domenico Crea

Onorata Sanità, confisca di beni a ex consigliere Domenico Crea
Nel riquadro Domenico Crea

Il reparto operativo del Comando provinciale carabinieri di Reggio Calabria ha proceduto, in esecuzione di decreto emesso dal Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione, alla confisca di due terreni, siti in località San Giuseppe, a Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) per un valore stimato in 600mila euro nei confronti dell’ex assessore e consigliere regionale, Domenico Crea, 64 anni, di Melito, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’operazione convenzionalmente denominata “Onorata Sanità”, condotta dai Carabinieri di Reggio Calabria nel gennaio del 2008.

I due terreni confiscati erano già stati oggetto di sequestro preventivo, eseguito dai Carabinieri nel novembre del 2009, unitamente ad altri beni, anch’essi già sottoposti a confisca nel maggio del 2011, tra cui la clinica “Villa Anya” ed il patrimonio mobiliare ed immobiliare dell’esponente politico.

Domenico Crea era stato arrestato il 28 gennaio 2008, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere, disposta dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Procura Distrettuale, nell’ambito della stessa operazione.

In particolare, l’attività investigativa, che ha preso origine dall’omicidio di Francesco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio Regionale ucciso a Locri il 16 ottobre 2005, ha consentito agli inquirenti di evidenziare l’operatività di una presunta associazione di tipo mafioso finalizzata al controllo elettorale (con riferimento alle elezioni regionali della Calabria del maggio 2005) ed alla gestione amministrativa del comparto della sanità pubblica e privata.

Gli elementi emersi nel corso delle indagini hanno documentato le attività di alcune delle principali “locali” di ‘ndrangheta della zona jonica di Reggio Calabria, in cui operava la presunta cosca Morabito-Zavettieri, impegnate per sostenere la candidatura di Domenico Crea, poi nominato assessore e già in precedenza investito di altre cariche istituzionali. L’indagine, inoltre, avrebbe fatto emergere presunte condotte delittuose finalizzate alla commissione di reati di truffa, falso, abuso d’ufficio ed altro, posti in essere nella gestione della clinica privata “Villa Anya”, di proprietà della famiglia Crea.

Strage al Cairo. Bomba al Night, luogo della "trasgressione". 18 morti

Strage al Cairo. Bomba al Night, luogo della "trasgressione". 18 morti
L’esplosione dovuta ad una molotov in un nightclub a sud del Cairo (foto: courtesy youm7.com)

Attacco con bombe molotov in un locale al Cairo, in Egitto. Pesante il bilancio. Al momento, riferiscono i media egiziani, i morti sarebbero 18. Diversi i feriti.

Uomini con volto travisato sarebbero arrivati davanti al locale con una moto intorno alle 6.30 del mattino, e hanno lanciato una o due molotov giù per le scale del night del quartiere di “El Agouza” di Giza, a sud del Cairo. Tutto ha cominciato a prendere fuoco, dai tappetti a terra per le scale fin dentro il club. Secondo l’agenzia Mena i morti sarebbero in gran parte dipendenti del locale.

Ad attaccare il night al Cairo “sarebbero stati due ex impiegati del locale poi licenziati”, riferisce il consigliere Ahmed el Bakli della procura, precisando che il “proprietario del locale ha accusato due suoi ex dipendenti”. Lo rende noto la tv di Stato.

Il proprietario del locale avrebbe riferito di un “litigio sarebbe scoppiato tra alcuni lavoratori del nightclub e gli assalitori che volevano entrare al suo interno. Una volta cacciati, i malviventi (o terroristi) si sono ripresentati e hanno lanciato l’attacco” con molotov davanti alla porta di ingresso, che ha causato un enorme incendio che ha di fatto intrappolato avventori e dipendenti. Pare non ci fossero uscite di sicurezza. L’incendio è poi stato domato dai vigili del fuoco egiziani.

La pista del terrorismo jihadista è tuttavia la più privilegiata dall’intelligence del Cairo. I night club sono infatti i luoghi simbolo della trasgressione, contrari alla religione islamica e diffusissimi in Occidente.

Una delle possibili letture fatte da alcuni media è che attacco (di cui le autorità non escludono la pista del terrorismo) arriva mentre l’Egitto attende i risultati ufficiali delle elezioni politiche. In attesa dell’annuncio, si profila una vittoria schiacciate dei sostenitori del presidente Abdel Fattah Al-Sisi, dopo che due giorni fa si è concluso il ballottaggio della seconda fase delle consultazioni, una lunga maratona elettorale caratterizzata da una bassa affluenza alle urne.

Qualche mese fa un’autobomba era stata piazzata davanti al consolato italiano al Cairo, azione terroristica che ha sventrato una parte dell’edificio.

Cosenza, sequestro di beni per 800mila euro a boss di 'ndranheta

Cosenza, beni per 800mila euro sequestrati ad un boss di 'ndranghetaBeni per un valore stimato di 800.000 euro sono stati sequestrati dal Gico della Guardia di finanza di Catanzaro, in esecuzione di un provvedimento richiesta dal procuratore distrettuale Antonio Vincenzo Lombardo ed emesso dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale di Cosenza.

L’interessato è un personaggio di spicco di una consorteria criminale operante nel cosentino, a suo tempo arrestato in quanto ritenuto responsabile di associazione finalizzata al trasporto, alla detenzione ed alla cessione, a qualsiasi titolo, di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente tipo cocaina.

Le indagini patrimoniali ora condotte dalle fiamme gialle, in materia di misure di prevenzione, hanno evidenziato una netta sproporzione tra i beni risultati nell’effettiva disponibilità del soggetto ed il suo tenore di vita, rispetto ai redditi dichiarati e alle attività ufficialmente svolte.

I beni sequestrati riguardano un fabbricato, tre autovetture, un conto corrente, una ditta individuale con sede in Roggiano Gravina (Cosenza) e quote societarie, per un valore stimato complessivo pari di 800mila euro.

Loris, il gup accoglie rito abbreviato e perizia per Veronica Panarello

Veronica Panarello con il figlio Andrea Loris Stival
Veronica Panarello con il figlio Loris Stival

Abbreviato condizionato a perizia psichiatrica: è il rito con cui sarà giudicata Veronica Panarello, la donna accusata di aver ucciso il figlio Loris Stival di 8 anni. Lo ha deciso il giudice per l’udienza preliminare di Ragusa, Andrea Reale, accogliendo la richiesta del legale della donna, l’avvocato Francesco Villardita. Il gup in un primo momento aveva rigettato la richiesta di perizia psichiatrica.

Il 14 dicembre è prevista l’udienza per il conferimento dell’incarico ai periti medico-legali. L’udienza sarà subito rinviata con i tempi fissati dal giudice per la consegna della relazione psichiatrica.

Veronica Panarello insiema al marito era presente in aula di giustizia. Il papà del piccolo, David Stival, si è costituito parte civile nel procedimento. Il difensore della donna, Villardita, dal canto suo ha formalizzato la richiesta di perizia psichiatrica per la mamma di Loris. Strategia difensiva accolta dal gup che l’ha vincolata alla richesta del rito abbreviato.

Nel corso dell’udienza di giovedì davanti al Gup di Ragusa, la procura ha contestato alla donna anche la premeditazione. Il piccolo Loris, di appena otto anni sarebbe stato strangolato con delle fascette di plastica, il 29 novembre del 2014.

L’aggravante della premeditazione è stata depositata al gup del tribunale di Ragusa. A contestargliela sono stati il procuratore, Carmelo Petralia e dal sostituto Marco Rota.

Ma l’avvocato contesta l’idea dei pm sulla premeditazione: “Manca il movente, – spiega Francesco Villardita -.  Se ci fosse stata la premeditazione, in assenza di una causa scatenante, occorre chiedersi perché avrebbe agito così, facendo una cosa senza senso”

“Il fatto di sentirsi soggetto attivo nella vicenda, per l’occultamento del cadavere del figlio – ha aggiunto il difensore di Veronica Panarello –  la fa sentire responsabile perché adesso ne ha avuto la consapevolezza”.

“Loris è possibile che si sia messo le fascette da solo – ha osservato il penalista – bisogna vedere se è compatibile con la lesione che ha sulla parte superiore del polso. Noi abbiamo una nostra consulenza che abbiamo depositato”.
Tra gli atti presentati al Gup, ha rivelato l’avvocato Villardita, anche “alcune osservazioni critiche alle consulenze medico legali agli atti dell’inchiesta”. Secondo il penalista le quattro relazioni disposte dalla Procura di Ragusa “non sono completamente sovrapponibili tra loro” e “presentano delle discordanze” che il Giudice dovrà valutare.

La presunta assassina ha sempre negato il suo coinvolgimento del delitto di Loris, ma in un anno di detenzione ha man mano cambiato versione ammettendo particolari che la ricondurrebbero alle ipotesi dell’accusa. In particolare negli ultimi due colloqui in carcere col marito, Veronica Panarello avrebbe ammesso di non aver accompagnato il figlio a scuola la mattina della sua morte. Poi ha affermato che il piccolo, lo avrebbe trovato già morto in casa. Le immagini delle telecamere di sorveglianza sarebbero state decisive per le indagini.

“Credo che Veronica non abbia ucciso Loris, sono superconvinta che non abbia assassinato suo figlio”, ha affermato stamani Antonella Stival, zia dell’imputata, sottolineando che la sua è una “vicinanza come un atto dovuto oltre ogni ragionevole dubbio”.

“Neanche i cani si abbandonano – ha aggiunto – e quindi neanche gli esseri umani quando sbagliano. La sua nuova verità? No lo so, forse è uscita fuori di testa, ma se così fosse avrà il mio sostegno ancora più forte. Il nostro obiettivo è cercare la verità e fare in modo che Loris abbia giustizia. Io faccio solo la zia e credo soltanto in Dio e non nelle bugie umane”.

“E’ vero, – ha continuato Antonella Stival -, Veronica nei mesi scorsi durante un colloquio in carcere ci aveva parlato dello zainetto di Loris, e noi, stupefatti da questa richiesta, siamo andati a cercarlo facendo il percorso che ci aveva indicato”.

“Se lo avessimo trovato non lo avremmo preso ma avremmo chiamato la magistratura. Anche noi ci siamo incuriositi alla richiesta di Veronica e alla nostra domanda su perché avremmo dovuto cercare lo zainetto lei ci ha detto: “Perché cercano di incastrarmi”.

Porto di Gioia Tauro, il prefetto dispone l'accesso antimafia

Porto di Gioia Tauro, il prefetto dispone l'accesso antimafia - Il Prefetto di Reggio Calabria Claudio Sammartino
Il Prefetto di Reggio Calabria Claudio Sammartino

Dopo il mega sequestro di stupefacenti al porto di Gioia Tauro (344 chili di cocaina in due distinti carichi, ndr), il prefetto di Reggio Calabria, Claudio Sammartino, ha disposto un accesso antimafia nel porto calabrese.

L’accesso, eseguito da un gruppo interforze composto da Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e Dia, ha lo scopo di accertare eventuali ingerenze della ‘ndrangheta nella gestione di imprese commerciali che operano nello scalo. All’accesso partecipa il personale dell’Azienda sanitaria provinciale e dell’Ispettorato del Lavoro.

Messina, caso Ilaria Boemi: arrestate due ragazze

Ilaria Boemi, la 16enne trovata morta in spiaggia a Messina
Ilaria Boemi, la 16enne trovata morta in spiaggia a Messina (Fb)

La Polizia di Stato ha arrestato stamane due ragazze, una minorenne ed una appena maggiorenne, coinvolte nella morte di Ilaria Boemi, la sedicenne trovata morta sulla spiaggia del Ringo a Messina lo scorso 10 agosto, stroncata da una dose di droga. La “Mdma”, secondo gli accertamenti della Polizia, sarebbe stata ceduta da loro.

Un’altra ragazza è stata arrestata per spaccio: avrebbe venduto o ceduto droga a Ilaria altre volte. A fare luce sulle ultime ore di vita della ragazza sono stati i due giovani che erano con lei, nel momento in cui ha perso i sensi ed è poi spirata.

Secondo la loro testimonianza furono le due ragazze a vendere la dose di “Mdma”, la droga sintetica che ha provocato la morte per arresto cardio-circolatorio. Le indagini della Squadra Mobile hanno delineato una situazione “allarmante” con personaggi e responsabilità di chi ha trascorso con Ilaria le ultime sue ore di vita, secondo le ricostruzioni confluite nelle misure cautelari emesse dai Gip presso Tribunale per i Minorenni e presso il Tribunale di Messina.

La vendita della sostanza stupefacente a Ilaria la sera del 9 agosto non era quindi un caso isolato, ricostruiscono gli inquirenti. Le ragazze raggiunte oggi da misura cautelare avevano “rifornito” amiche e conoscenti.

LA RICOSTRUZIONE: La Polizia di Stato ha individuato altre due giovani donne, che Ilaria conosceva e frequentava. La prima, oggi diciottenne, ma all’epoca dei fatti minorenne, è direttamente coinvolta. E’ stata lei a dare alla pusher, oggi agli arresti domiciliari, l’ecstasy, perché la vendesse a Ilaria.

Hanno trascorso la serata prima della vendita insieme. Erano insieme quando Ilaria Boemi ha messaggiato scrivendo di voler acquistare l’ecstasy, la “maddy”, la “maddalena” che le faceva provare “l’amore per il mondo intero”. Insieme hanno deciso chi sarebbe stato a portare la droga a Messina per venderla a Ilaria.

 

Emergono poi altri personaggi su cui la Polizia continua ad indagare. Fornitori, tra cui personaggi noti alle Forze dell’Ordine, già arrestati per reati connessi alla detenzione ed allo spaccio di sostanze stupefacenti, a cui le giovani pusher si rivolgevano al bisogno.

Il “Mdma” letale è arrivato la sera del 9 agosto nelle mani di Ilaria insieme ad un’altra dose della stessa sostanza. Marroncina, cristallina, solida.

Ilaria Boemi ne ha sbriciolata una prima parte in una bottiglietta di plastica usando una forbicina. Ha poi aggiunto un po’ di birra e l’ha passata alle due persone che quella sera erano in macchina con lei, un’amica ed un uomo più grande, un trentanovenne. Poi ha sciolto la restante parte e l’ha mandata giù.

Le ore che seguono vedono momenti di euforia e delirio provocati dalla droga a momenti di malessere. Ilaria infatti ballava, parlava velocemente, poi sudava e sbatteva la mascella.

I tre hanno comunque deciso di spostarsi dal centro città alla zona nord in spiaggia. Su cosa sia accaduto negli ultimi momenti di vita di Ilaria la Polizia continua ad indagare.

Ilaria Boemi è comunque morta da sola. Al momento dell’arrivo dei soccorsi i due amici con cui ha preso l’ecstasy non erano con lei. Si erano già allontanati.

Carabinieri, il generale Riccardo Amato comanderà le scuole dell'Arma

Carabinieri, il generale Riccardo Amato comanderà le scuole dell'Arma
Il Generale dei Carabinieri, Riccardo Amato

Questa mattina, presso il Comando Legione Carabinieri di Catanzaro, il Generale di Corpo d’Armata, Riccardo Amato – Comandante Interregionale “Culqualber” di Messina – alla presenza del Comandante della Legione Carabinieri Calabria, Generale di Brigata Andrea Rispoli, ha salutato una rappresentanza di militari dell’Arma dei Carabinieri in servizio e in congedo.

Il Generale Riccardo Amato, che è già stato, fra l’altro, Comandante dei Comandi Provinciali di Caserta, Palermo e Roma, nonché della Legione Toscana, si appresta a lasciare l’attuale incarico per assumere quello di Comandante delle Scuole dell’Arma dei Carabinieri.

Saline di Montebello Jonico, fucilate contro un centro scommesse. Arrestato

Saline di Montebello Jonico, fucilate contro un centro scommesse. Arrestato
Carabinieri di Saline di Montebello Jonico. Nel riquadro Giovanni Giofrè

Momenti di follia e paura ieri pomeriggio a Saline di Montebello Jonico (Reggio Calabria). Un giovane di 28 anni, Giavanni Giofrè, dopo un litigio con il titolare di un’agenzia di scommesse, pare per un debito di una decina d’euro, va a casa e torna nell’esercizio armato di fucile. L’uomo, ormai fuori di sé spara all’indirizzo del locale facendo diversi danni. Alla fine, dopo una breve caccia all’uomo, il giovane si costituisce e verrà arrestato dai Carabinieri della locale stazione per i presunti reati di tentato omicidio, danneggiamento, porto abusivo di armi e ricettazione.

Sono da poco trascorse le 17:30 di mercoledi, quando all’interno di una sala scommesse gremita di gente nella centralissima via Nazionale, scoppia un diverbio tra il gestore dell’agenzia ed un giovane del luogo.

Alla base del litigio ci sarebbe – spiegano i militari dell’Arma – un debito di poche decine di euro che il giovane avrebbe contratto con il titolare del centro scommesse. Volano parole pesanti, un affronto, un’umiliazione subita davanti a numerosi avventori che, Giovanni Giofrè, 28enne incensurato, di Saline di Montebello Jonico, non riesce a sopportare.

Il giovane si allontana dalla sala scommesse a bordo della sua auto, per tornare dopo pochi minuti. Alcune persone che si trovano sull’uscio dell’esercizio commerciale, come testimoniano le immagini del sistema di video sorveglianza, rimangono attonite e paralizzate quando vedono Giovanni Giofrè, scendere all’auto imbracciando un fucile.

Il giovane si avvicina alla sala scommesse con passo deciso, arma e fa fuoco all’indirizzo della telecamera esterna del circuito di videosorveglianza del locale che si polverizza. Entra all’interno del locale ed inizia a sparare all’impazzata verso i computer, le slot machine ed il bancone mandando tutto in frantumi. Il giovane fa fuoco almeno 6 volte, secondo quanto accertato.

L’arma utilizzata è un micidiale fucile beretta calibro 20 caricato a pallettoni. Oltre una decina le persone presenti all’interno del locale, tutti usciti miracolosamente illesi.
Dopo aver distrutto tutto, Giovanni Giofrè si allontana a bordo della sua autovettura facendo perdere le proprie tracce.

Non appena ricevuta la segnalazione pervenuta al 112, una decina di pattuglie dei Carabinieri della Compagnia di Melito di Porto Salvo, guidati dal Capitano Gianluca Piccione, sono già disposte a presidio dell’intera zona con posti di blocco e di controllo dislocati su tutte le vie principali e secondarie alla ricerca del fuggitivo.

Nel giro di pochissimi minuti i Carabinieri riescono a rintracciare, nei pressi dell’abitazione, l’autovettura del ventotenne che senza mezzo si aggira, molto probabilmente a piedi, per le campagne circostanti.

Il giovane è braccato dai militari che non gli lasciano possibilità di scampo. Dopo qualche ora di caccia all’uomo, Giovanni Giofrè si è costituito presso il Comando della Stazione Carabinieri di Saline di Montebello Jonico.
Per lui si spalancheranno le porte del carcere di Arghillà. Dovrà rispondere, tra gli altri, dei reati di tentato omicidio, danneggiamento, porto abusivo di armi e ricettazione.

I carabinieri hanno recuperato, infine, anche l’arma utilizzata unitamente a 13 cartucce a pallettoni che Giovanni Giofrè aveva nascosto nel greto di una fiumara in località “Molaro”.

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