15 Ottobre 2024

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Naufragio, terminato il Cdm a Cutro. Pene severissime per i trafficanti di migranti

Il governo in conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri a Cutro (frame video)

Si è conclusa nella sede del Municipio di Cutro (Crotone), la riunione del Consiglio dei Ministri, indetto dal governo dopo il tragico naufragio di migranti dello scorso 26 Febbraio in cui hanno perso la vita, finora, almeno 72 persone. E’ in corso la conferenza stampa al termine della riunione.

Nel corso del Cdm è stato approvato all’unanimità il decreto legge sull’immigrazione: riguarda i flussi regolari di migranti e il contrasto all’immigrazione irregolare.

La norma principale riguarda i reati legati alla tratta delle persone e “prevede un aumento delle pene per il traffico dei migranti. Si introduce una nuova fattispecie di reato per chi provoca la morte o lesioni gravi per il traffico di persone che prevede una pena fino a 30 anni di reclusione”, afferma la premier Giorgia Meloni dopo il Consiglio dei Ministri.

“Volevamo dare un segnale concreto. E’ la prima volta che viene celebrato un Cdm nel luogo in cui si è svolta una tragedia come questa”, ha detto la presidente del Consiglio. “Faremo tutto quello che va fatto per sconfiggere questi criminali, questa gente la voglio combattere”, ha aggiunto Giorgia Meloni riferendosi ai trafficanti di esseri umani che si fanno pagare fino a 9 mila euro a persona. La premier ha anche ringraziato il ministero Piantedosi per il lavoro svolto.

La conferenza stampa del governo a Cutro

“Siamo determinati a sconfiggere la tratta di esseri umani responsabile di questa tragedia, la nostra risposta è una politica di maggiore fermezza”, ha detto Meloni. “Se qualcuno pensa che i fatti del 26 febbraio ci abbiano indotto a modificare la linea del governo sbaglia di grosso. Noi confermiamo la nostra linea e la dimostrazione del fatto che non c’è una politica più responsabile è la volontà di interrompere la tratta degli scafisti: vogliamo combattere la schiavitù del terzo millennio rappresentata da queste organizzazioni criminali”, aggiunge Meloni.

“Non vogliamo replicare l’approccio di chi negli anni ha lasciato gli scafisti indisturbati, faremo di tutto”. “Credo che un altro modo per combattere i trafficanti di esseri umani sia dare il messaggio per cui non conviene entrare illegalmente in Italia, pagare gli scafisti e rischiare di morire”.

Condanna sindaco Reggio, giudici d’Appello: Falcomatà vero regista e dominus caso Miramare

Giuseppe Falcomatà

“Non v’è dubbio che con la delibera in esame la Giunta comunale abbia di fatto disposto l’affidamento dei servizi e dei locali del Miramare al di fuori del perimetro normativo, eludendo la procedura ad evidenza pubblica e la valutazione comparativa di specifici progetti prevista per una maggiore garanzia del servizio di valorizzazione di un immobile di interesse culturale”.

Lo affermano i giudici d’appello nelle motivazioni della sentenza del processo “Miramare” con cui il sindaco sospeso di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, è stato condannato ad un anno di reclusione, con sospensione della pena, per abuso d’ufficio. In primo grado a Falcomatà erano stati inflitti un anno e quattro mesi di reclusione.

Il procedimento contro Falcomatà, sindaco anche della Città metropolitana e sospeso da entrambe le cariche in base alla legge Severino, è scaturito da un’inchiesta della Procura della Repubblica di Reggio Calabria sui presunti illeciti nelle procedure di affidamento, nel 2015, del Grand Hotel Miramare, di proprietà comunale, all’associazione “Il sottoscala”, riconducibile all’imprenditore Paolo Zagarella.

Al centro delle indagini, in particolare, i presunti rapporti tra Falcomatà e Zagarella, il quale, in occasione delle elezioni comunali del 2014, aveva concesso gratuitamente al sindaco alcuni locali di sua proprietà per ospitarvi la segreteria politica.

Insieme a Falcomatà, nello stesso processo, sono stati condannati a 6 mesi di reclusione, sempre per abuso d’ufficio e con sospensione della pena, sette ex assessori, Saverio Anghelone, Armando Neri, Rosanna Maria Nardi, Giuseppe Marino, Giovanni Muraca, Agata Quattrone e Antonino Zimbalatti.

Condannati alla stessa pena anche lo stesso imprenditore Zagarella, l’ex segretario comunale Giovanna Antonia Acquaviva e l’ex dirigente Maria Luisa Spanò. Secondo la Corte d’appello, presieduta da Lucia Monaco, Falcomatà “è stato il vero regista e dominus della vicenda”. Per i giudici di secondo grado, infatti, l’affidamento del Miramare “all’amico Zagarella” è stato il “vero obiettivo del disegno criminoso promosso da Falcomatà”.

“Appare evidente – si afferma ancora nella sentenza d’appello – l’interesse personale del Falcomatà al risultato della procedura relativa all’affidamento dei locali della prestigiosa struttura del Miramare in favore dell’amico Zagarella. E ciò in quanto tale situazione se per un verso si traduceva in un immediato vantaggio economico per quest’ultimo, per l’altro era suscettibile di volgere un tornaconto personale in favore dello stesso Falcomatà, quello di assicurarsi la propria base elettorale ed analogo appoggio politico alle successive tornate elettorali, oltre che un modo di ingraziarsi l’amico dimostrandogli riconoscenza, ricambiando il suo continuo sostegno e la sua incondizionata disponibilità”. (Ansa)

Intensa scossa di terremoto in Umbria, panico tra la popolazione

Un terremoto di magnitudo 4.4 si è verificato alle 16:05 di oggi in Umbria, con epicentro a 5 km di Umbertide, in provincia di Perugia. Il sisma è stato registrato a dieci km di profondità.

Non si segnalano al momento danni a cose o persone, ma la scossa è stata distintamente avvertita dalla popolazione, scesa in strada per la paura. Il terremoto è stato avvertito a Perugia, a 21 km dall’epicentro, e anche in molte città dell’Umbria, con vibrazioni sensibili avvertite anche in Toscana, Marche e Lazio.

La protezione civile umbra sta effettuando dei monitoraggi sulle strutture pubbliche ma al momento non vengono registrati danni, nonostante l’intensità del sisma. Sospesa a titolo precauzionale la circolazione dei treni.

Operazione Hybris, preso in Portogallo uno degli indagati

Uno dei soggetti indagati nell’odierna operazione Hybris, condotta a Gioia Tauro dai Carabinieri nei confronti delle cosche Piromalli e Molè, sotto il coordinamento della DDA di Reggio Calabria, è stato rintracciato a Setubal, in Portogallo.

Il rintraccio dell’uomo, destinatario di un mandato di arresto europeo, è stato effettuato dalla Polícia Judiciária, Unidade Nacional de Combate ao Tráfico de Estupefacientes portoghese, attivati, dall’Unità I-CAN (Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta) del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia e dall’Esperto per la Sicurezza italiana a Lisbona, su input degli investigatori dell’Arma.

Naufragio, iniziato a Cutro il Consiglio dei ministri

La premier Giorgia Meloni è a Cutro per presiedere il Consiglio dei ministri dedicato all’immigrazione a 12 giorni dalla tragedia di Steccato. Con lei sono arrivati i due vice premier Antonio Tajani e Matteo Salvini con il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano. Sul tavolo della riunione di governo il decreto con disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso e di prevenzione e contrasto dell’immigrazione irregolare.

All’arrivo del corteo di auto della presidente del Consiglio e dei ministri, lancio di peluche e contestazione da parte di un gruppo di persone. Altri cittadini, sistemati a bordo strada, hanno invece applaudito. Ad accogliere Meloni al palazzo del comune di Cutro il sindaco Antonio Ceraso, il presidente della regione Calabria Roberto Occhiuto, il presidente della provincia di Crotone Sergio Ferrari, il prefetto di Crotone Carolina Ippolito e il vescovo Angelo Panzetta.

A Cutro anche tutti gli altri ministri che partecipano al Cdm. Ci sono fra gli altri il titolare dell’Interno Matteo Piantedosi, della Giustizia Carlo Nordio, dell’Istruzione Annamaria Bernini, dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, delle Imprese Adolfo Urso, della Cultura Gennaro Sangiuliano, del Turismo Daniela Santanchè, degli Affari europei Raffaele Fitto, del Lavoro Marina Calderone.

IL DECRETO ALL’ORDINE DEL GIORNO
Dopo il naufragio costato la vita a 72 persone, tra cui molti bambini, davanti alle coste calabresi, Palazzo Chigi vuole chiudere con le polemiche e dare un segnale forte che metta la parola fine alle stragi di migranti in mare. All’ordine del giorno un decreto su ‘Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”.

Il ‘grosso’ del decreto è, come da attese, il giro di vite sui trafficanti di vite umane. Con pene che salgono in maniera esponenziale, fino ad arrivare a 30 anni per chi provoca la morte, come nella strage in riva al mare del piccolo comune calabro. Più in generale, per chi tenta un business trafficando vite umane sui nostri mari le pene salgono a ben 16 anni. Questo stando alla bozza del dl esaminato dal pre-consiglio dei ministri.

LA TARGA SUL NAUFRAGIO CON LE PAROLE DEL PAPA
Riporta le parole di Papa Francesco contro i trafficanti la targa che la premier Giorgia Meloni ha svelato oggi nell’atrio del comune di Cutro e dinanzi alla quale ha deposto una corona di fiori. “I trafficanti di esseri umani siano fermati, non continuino a disporre della vita di tanti innocenti! I viaggi della speranza non si trasformino mai più in viaggi della morte! Le limpide acque del Mediterraneo non siano più insanguinate da tali drammatici incidenti!”, le parole del Papa pronunciate nell’Angelus di domenica scorsa.

“L’Italia onora la memoria delle vittime del naufragio del 26 febbraio 2023, si unisce al dolore delle loro famiglie e dei loro cari. Il governo rinnova il suo massimo impegno per contrastare la tratta di esseri umani, per tutelare la dignità delle persone e per salvare le vite umane”’, si legge sulla targa.

Naufragio di migranti in Tunisia, 14 vittime, cinquantaquattro in salvo

Sono 14 le vittime del naufragio di un’imbarcazione avvenuto al largo di Louata, nel governatorato di Sfax, in Tunisia. Lo ha reso noto il portavoce della Guardia nazionale tunisina su Facebook.

La Guardia costiera tunisina ha recuperato la notte scorsa le vittime del naufragio, l’operazione di soccorso ha consentito di salvare 54 persone.

I migranti, che si trovavano a bordo della barca affondata sono tutti originari di vari Paesi dell’Africa sub sahariana e con ogni probabilità era diretta in Italia.

Questa strage avviene a dodici giorni dal naufragio di Steccato di Cutro, in Calabria, dove hanno perso almeno 72 persone. Proprio oggi il governo italiano si riunirà a Cutro per un decreto legge sui flussi migratori.

Naufragio, oggi il Consiglio dei ministri a Cutro

Il comune di Cutro (Street view)

Tutto pronto per il Consiglio dei ministri che si terrà oggi pomeriggio a Cutro. Nel Cdm il governo affronterà il nodo immigrazione dopo il tragico naufragio del barcone di migranti del 26 febbraio che ha provocato finora almeno 72 morti accertati. La riunione del governo è convocata alle ore 15.45, nella sede del Municipio di Cutro. Al termine della riunione si terrà una conferenza stampa.

Il primo punto all’ordine del giorno è un decreto legge recante “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”. A seguire verranno discussi altri decreti legislativi.

Il decreto flussi dovrebbe essere triennale (2023-2025) e quote preferenziali saranno assegnate ai lavoratori di Paesi che, “anche in collaborazione con lo Stato italiano, promuovono per i propri cittadini campagne mediatiche sui rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari”, riporta una bozza del decreto legge, citato dall’Ansa, all’esame del Consiglio dei ministri di oggi a Cutro.

Scritte contro il ministro Piantedosi
Intanto, contro il ministro dell’Interno Piantedosi e il governo stamane sono apparse scritte sui muri lungo la strada che collega la statale 106 al paese. “Cutro non difende Piantedosi” è la frase scritta, probabilmente all’alba, da ignoti lungo la strada. Sulla strada sono diverse le scritte lasciate da ignoti. In una c’è “+72” con una croce e a seguire “Cutro e la Calabria come Siria e Pakistan abbandonati a se stessi”. E poi ancora, “Il Governo arriva, i morti rimangono”, “Benvenuti in Italia”, “Anche Cutro è un comune italiano” e “La loro speranza è uguale alla nostra”.

Scontro tra due mezzi pesanti sull’A2, si ribalta autocisterna di Gpl: un ferito

Squadre dei vigili di Castrovillari e Potenza sono state impegnate in tarda mattinata sull’autostrada A2 del Mediterraneo per un incidente stradale avvenuto all’interno della galleria “Colle Trodo”, in prossimità dello svincolo di Mormanno, direzione Salerno.

Nel sinistro sono stati coinvolti un autoarticolato ed un’autocisterna adibita al trasporto di Gpl. Il conducente di quest’ultima, ferito, è stato affidato alle cure del personale sanitario e trasferito presso struttura ospedaliera con elisoccorso.

Sul posto sono intervenuti il personale Anas e della Polizia stradale per i rilievi. I veicoli sono stati deviati allo svincolo di Mormanno con rientro in A2 allo svincolo di Laino Borgo.

Sul luogo dell’incidente è intervenuto inoltre il Nucleo travasi del comando vigili del fuoco di Catanzaro per la bonifica e messa in sicurezza della cisterna di Gpl.

‘Ndrangheta: colpo alla cosca Piromalli, 49 arresti

Questa mattina, in varie province del territorio nazionale, i Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, a conclusione di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, hanno dato esecuzione ad un provvedimento di applicazione di misure cautelari personali, emesse dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria, a carico di 49 soggetti – 34 in carcere e 15 agli arresti domiciliari.

Le indagini, attraverso le quali sono stati individuati gli assetti funzionali della cosca Piromalli – di cui è giudiziariamente accertata la primazia nel narcotraffico e l’incidenza territoriale nel controllo della «Piana» – hanno consentito di attribuire agli indagati responsabilità in ordine ai reati di: «associazione di tipo mafioso», «concorso esterno in associazione di tipo mafioso», «porto e detenzione di armi comuni e da guerra»; «estorsioni»; «danneggiamento seguito da incendio»; «turbata libertà degli incanti»; «importazione internazionale di sostanze stupefacenti». I provvedimenti restrittivi seguono una complessa attività investigativa, condotta dal Nucleo Investigativo del Gruppo Carabinieri di Gioia Tauro tra il 2020 e il 2021. L’operazione, indicata in maniera convenzionale con il nome di «Hybris» (a sottolineare la tracotanza che caratterizza l’imposizione della vis mafiosa) – partendo dall’osservazione del territorio, si è posta l’obiettivo di incidere sulla struttura organizzativa della cosca dominante nella Piana.

Oltre alle misure personali il provvedimento dell’Autorità Giudiziaria ha riguardato anche il sequestro preventivo di una ditta (con il relativo compendio aziendale), attiva nel settore della trasformazione dei prodotti agricoli, e di due proprietà immobiliari utilizzate per agevolare le attività criminali della cosca e che rappresentano il profitto delle medesime attività delinquenziali, per un valore complessivo stimato in circa 1 milione di Euro.

Vari sono i temi d’indagine che contraddistinguono l’indagine «Hybris»

Bisogna, in prima battuta, riferirsi al dato temporale: l’indagine cattura le dinamiche della cosca nei mesi antecedenti alla scarcerazione di Giuseppe Piromalli, dopo oltre un ventennio di carcerazione. In questo senso, viene registrato il fervore dei consociati per recuperare una unità monolitica della cosca (segnata da personalismi quali la mancata condivisione degli utili), chiudendo un periodo ritenuto di transizione.

In tema di unità si deve registrare anche il riavvicinamento tra le cosche Piromalli e Molé, tornate a dialogare a distanza di 15 anni dall’omicidio di Rocco Molé classe 1965, avvenuto il 1° febbraio 2008, ritenuto il termine di un periodo di duopolio nella Piana di Gioia Tauro. L’intento dei luogotenenti dei Piromalli – per come restituito dalle intercettazioni – appare quello di ripristinare una partnership con i Molé, che avrebbe reso più semplice il raggiungimento degli obiettivi strategici di natura illecita.

Il punto di incidenza che segna il rinnovato dialogo muove dal controllo del mercato ittico di Gioia Tauro. La ricostruzione dell’incendio di un peschereccio in un cantiere navale alla Tonnara di Palmi nell’ottobre 2020 ha permesso di dimostrare come l’evento fosse stato pianificato dalla cosca Molé, perché il proprietario dell’imbarcazione non aveva conferito il pescato al mercato ittico di Gioia Tauro, disattendendo le imposizioni mafiose relative alla gestione dell’intero settore. La distruzione del peschereccio, reso inutilizzabile, ha innescato una dinamica criminale di estremo interesse, in quanto la vittima, invece di ricorrere alle strutture preposte, ha ritenuto utile cercare la copertura mafiosa dei componenti della cosca Piromalli. Una richiesta che dietro lauti compensi è stata concessa dai vertici della consorteria in disamina. In buona sostanza, una dinamica trasversale che ha reso necessario un dialogo tra le due anime criminali di Gioia Tauro, il cui punto apicale è stato rappresentato da un summit effettuato all’interno dell’area cimiteriale del centro più importante della «Piana».

Nel segno della tradizione mafiosa è il ruolo preminente della «casa madre» nella ripartizione delle estorsioni, applicate in maniera sistematica sulle attività economiche di Gioia Tauro

Le operazioni svolte, nel loro complesso, hanno restituito un quadro chiaro sul controllo minuzioso del territorio effettuato dai componenti della cosca Piromalli. Un controllo effettuato in maniera pervasiva che consentiva ai mafiosi di conoscere ogni singola iniziativa economica.

Conseguentemente, i proventi del malaffare venivano ripartiti nella parte sostanziale verso la «casa madre», le cui donne ricevano parte dei profitti estorsivi.

Il monitoraggio ha restituito l’immagine di una «‘ndrangheta economica», sempre alla cerca del profitto, ma anche saldamente legata ai simboli ed alle tradizioni criminali.

Tra le forme di aggressione del territorio gli esponenti della cosca attuavano anche un diffuso racket, con particolare incidenza verso quello delle cosiddette «Guardianie» (estorsioni poste in essere nei confronti dei proprietari dei fondi agricoli i quali, pagando una quota annuale alle rappresentate della cosca competente per territorio, evitano che i terreni vengano depredati dei raccolti o danneggiati nelle culture).

Capacità di pervadere il territorio dimostrata anche dalla disponibilità di armi affidate a custodi fidati: una scelta, quella di parcellizzare i luoghi di detenzione delle armi, oculata per quel che concerne pronta disponibilità sul territorio e schermatura da sequestri imponenti da parte delle forze dell’ordine. Di contro, gli investigatori, con l’individuazione dei soggetti deputati a custodire le armi, sono riuscitia comprovare il loro ruolo nell’aggregazione di mafia individuata.

La capacità occupazionale della cosca: Un’altra manifestazione criminale rilevata durante le indagini ha riguardato l’imposizione delle assunzioni a beneficio degli appartenenti alla cosca. In particolare, è stato documentatocome un imprenditore sia stato costretto ad assumere un appartenente al sodalizio in una fabbrica attiva nella zona industriale del porto di Gioia Tauro. Il responsabile della ditta, oltre a non poter scegliere le maestranze da assumere, non poteva neanche sindacare sul rendimento e sull’apporto lavorativo dei malavitosi assunti.

Le mire per beni banditi nelle aste giudiziarie: si sono evidenziati alcuni equilibri criminali che regolavano la gestione immobiliare della zona industriale prospiciente al porto di Gioia Tauro. Un atteggiamento incurante delle iniziative rivolte a regolamentare questo settore, considerato il principale volano che avrebbe dovuto contribuire a valorizzare la zona del «retroporto» di Gioia Tauro.  Beni «banditi all’incanto» verso i quali sono stati rilevati convergenti interessi per la loro aggiudicazione, dove chi non era gradito agli esponenti della malavita locale veniva preventivamente scoraggiato a partecipare.

Le relazioni radicate con le altre mafie: in due diverse circostanze gli indagati hanno avuto la necessità di operare fuori dalla Calabria e lo hanno fatto rivolgendosi agli omologhi esponenti criminali del posto, inseriti rispettivamente nei consessi di criminalità organizzata pugliese e siciliana. Un ambito nel quale sono state rilevate le alleanze trasversali tra le organizzazioni. In entrambe le circostanze gli esponenti dei Piromalli hanno fatto leva sull’intimidazione dei criminali che potevano esercitare il loro potere mafioso nella zona di interesse.

Inoltre, in uno scenario di vita criminale, sono stati richiamati i rapporti tra gli esponenti della «mafia siciliana» e quelli della «‘ndrangheta calabrese», disegnando uno scenario storico lungo oltre trent’annie che apre un ulteriore scorcio sulle alleanze tra le diverse matrici mafiose nei primi anni novanta.

Le importazioni dello stupefacente dal Sudamerica: un settore criminale ricorrente in ogni attività di contrasto alle maggiori consorterie della ‘ndrangheta, risulta essere quello dei traffici di grosse partite di stupefacente, soprattutto di «cocaina». Il mercato degli stupefacenti ha modificato nettamente l’approccio criminale: dalla contrapposizione alla federazione delle cosche per effettuare l’importazione di enormi quantitativi di droghe. Il sistema di collaborazione tra le diverse realtà della ‘ndrangheta garantisce minori spese e notevoli facilitazioni, oltre all’intuibile riduzione di quello che potremmo definire come il «rischio d’impresa» in caso di sequestri.

In questo ambito un appartenente alla cosca si era impegnato per “importare, in due differenti circostanze, 298 kg e 216 Kg. di cocaina (la prima sequestrata presso il porto di Santos, la seconda al porto di Gioia Tauro, occultata in un container trasportato da una motonave proveniente dal Sud America).”

I ruoli attivi di soggetti delle istituzioni e di un sacerdote: nell’ambito delle contestazioni effettuate è stata ipotizzata una «rilevazione del segreto d’ufficio»in favore degli appartenenti alla cosca Piromalli da parte di un appartenente alle Forze dell’Ordine, che ha posto in essere una condotta non compatibile con gli obblighi di riservatezza imposti dal proprio ruolo. Inoltre, tra le accuse rubricate, vi è anche quella afferente alle «false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità Giudiziaria» della quale è chiamato a rispondere un sacerdote, al quale è stata contestata la «compiacenza» nel redigere dichiarazioni «di comodo», che gli appartenenti al sodalizio potevano utilizzare per ottenere benefici e misure alternative alle pene.

Francia, Macron vuole riforma delle Pensioni, in migliaia in piazza contro

Scioperi, occupazioni e scontri, arresti. La Francia si ferma per la protesta contro la riforma delle pensioni voluta dal presidente Emmanuel Macron. Quasi 300 manifestazioni in tutto il Paese scandiscono una giornata chiave al Senato, dove si discute l’approvazione del passaggio più controverso e simbolico del provvedimento, l’innalzamento da 62 a 64 anni del requisito per la pensione di vecchiaia.

La cronaca è quella delle giornate difficili. Merci ferme, scuole occupate, tensione nelle strade, a Parigi e nelle altre città. Una mobilitazione dura, in pieno stile francese, che mette in discussione l’approvazione di un provvedimento che, in caso di sconfitta parlamentare, potrebbe aprire una crisi politica e portare alle elezioni anticipate.

Le posizioni in campo sono piuttosto lineari. Il presidente francese vuole attenuare l’anomalia del sistema pensionistico francese, uno dei più generosi in Europa; chi si oppone, a partire dai sindacati, ritiene che sia indispensabile preservare l’anomalia francese per non compromettere l’ordine sociale.

Il problema, come accade quasi sempre quando si parla della riforma delle pensioni, è la sostenibilità del sistema. Anche in Francia, come nel resto d’Europa, si deve fare i conti con l’allungamento della vita media e con la necessità di riequilibrare il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla pensione. L’esigenza di fondo di alzare l’età pensionabile va di pari passo con quella di aumentare la platea che alimenta i contributi previdenziali.

Basta fare un paragone con l’Italia per capire quali siano i termini della questione in Francia. La differenza sostanziale sta nel fatto che l’Italia di riforme delle pensioni ne ha fatte diverse, su tutte la legge Fornero imposta dall’emergenza straordinaria vissuta nel 2011 per i conti pubblici. La fotografia attuale dice che in Italia il requisito anagrafico richiesto è pari a 66 anni e 7 mesi, ad eccezione delle donne nel settore privato per le quali è prevista una soglia più bassa pari a 65 anni e 7 mesi. In Francia, fino a oggi, si può andare in pensione di vecchiaia a 62 anni.

Altro parametro significativo è quello dell’età effettiva di pensionamento, che considera tutte le modalità per andare in pensione, anticipi e deroghe, gestioni speciali, e non solo la vecchiaia. Secondo i dati Inps, nel 2020, in Italia l’età effettiva di pensionamento è stata di 63,8 anni. In Francia esistono 42 regimi pensionistici diversi, con notevoli differenze nelle agevolazioni e nei trattamenti delle singole categorie. (Adnkronos)

Affonda imbarcazione a largo di Lampedusa, Guardia costiera salva decine di migranti

Questa mattina, durante il pattugliamento aereo di Frontex, sono state avvistate in acque SAR maltesi – a circa 10 miglia dalle acque territoriali italiane – alcune piccole imbarcazioni in ferro, sovraccariche di persone (migranti) ed in pessimo stato di galleggiabilità. Lo fa sapere la Guardia Costiera.

L’Autorità SAR di La Valletta, avvertita della situazione di pericolo, ha immediatamente richiesto alla Guardia Costiera di Roma (IMRCC) la cooperazione ai sensi della Convenzione SAR e IMRCC ha pertanto inviato in area l’unità più vicina in grado di intervenire che in quel momento era una motovedetta della Guardia di Finanza.

Quest’ultima, giunta rapidamente sul posto, ha subito cominciato il recupero degli occupanti; durante queste prime concitate fasi, una di queste imbarcazioni, che dalle immagini dell’aereo mostrava che già imbarcava acqua, è affondata.

Nel frattempo giungeva sul punto anche la motovedetta della Guardia Costiera CP 324 (che aveva appena ultimato un soccorso in favore di 45 migranti tra i quali 5 neonati) ed insieme traevano in salvo tutti i 38 migranti caduti in acqua (tra questi anche un minore).

La complessa operazione di soccorso ha visto l’impiego del Rescue Swimmer (figura professionale della Guardia Costiera, specializzata nel salvataggio in acqua in spazi ristretti e con condizioni meteomarine avverse) imbarcato a bordo della motovedetta della Guardia Costiera.

Naufragio, bloccato in parte il trasferimento delle vittime a Bologna

È stato bloccato in parte il trasferimento delle salme delle vittime del naufragio da Crotone al cimitero musulmano di Bologna. Grazie alla mediazione della Prefettura si è riusciti a dare una risposta a molte famiglie che da stamattina stavano protestando contro il trasferimento.

A Bologna entro oggi andranno – con l’accordo delle famiglie – 14 salme per le quali il Comune di Cutro ha già rilasciato i certificati necessari. Altre 10 partiranno forse domani. Le 17 salme delle vittime per per le quali le famiglie hanno deciso il trasferimento in Afghanistan resteranno a Crotone fino a che non saranno superati i problemi burocratici. Il governo, come ha spiegato la prefetta di Crotone Maria Carolina Ippolito, insieme alla Regione Calabria sosterrà i costi per il rimpatrio per tutte le famiglie delle vittime.

La notizia del risultato, raggiunto anche grazie alla intermediazione della associazione Mobilitazione generale avvocati rappresentata dall’avvocato Francesca Pesce, è stata comunicata ai familiari delle vittime dal sindaco di Crotone Vincenzo Voce. La Protezione civile ha messo a disposizione degli autobus per trasportare i parenti delle vittime a Bologna.

In un primo momento il Viminale aveva fatto sapere che il trasferimento al cimitero musulmano di Bologna era provvisorio, precisando che per rimpatriare le salme in Afghanistan le procedure, nell’immediato, erano più complicate.

Naufragio, ecco cosa è successo nei giorni e nelle ore prima della tragedia

L’imbarcazione immortalata da Frontex sabato sera

La lunga traversata del barcone dalla Turchia alla Calabria, l’avaria al primo barcone dopo poche ore dalla partenza e il trasbordo sul caicco. Dopo circa quattro giorni di navigazione, a poche miglia dalla costa calabrese gli scafisti hanno atteso ore per timore di essere intercettati. Poi nella notte del 26 febbraio l’avvicinamento, il cambio di rotta e l’incaglio sulla secca con la successiva tragedia. Ecco la ricostruzione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi nell’informativa illustrata in Parlamento.

Sulla base degli elementi “acquisiti dalle autorità italiane competenti, cui si aggiungono le dichiarazioni di alcuni sopravvissuti raccolte in una relazione Frontex. A tal proposito va precisato che gli elementi acquisiti dai superstiti, pur restando indicativi del quadro generale dell’evento, richiedono ancora ulteriori accertamenti per la messa a fuoco degli aspetti di dettaglio.

La traversata – raccontano i sopravvissuti – parte da Cesme, in Turchia, intorno alle 3.00 del 22 febbraio in condizioni metereologiche ottimali: condizioni che, tuttavia, dopo 2 o 3 giorni peggiorano. Secondo il loro racconto, a bordo dell’imbarcazione erano presenti circa 180 persone, oltre a 4 scafisti, due turchi e due pakistani (tutti e quattro arrestati, ndr).

Tre ore dopo l’inizio della navigazione, un guasto al motore dell’imbarcazione induce due scafisti a contattare, tramite cellulare, un complice. Dopo altre tre ore di attesa, i migranti sono raggiunti da una seconda imbarcazione, pilotata da altri tre scafisti. Dopo il trasbordo dei migranti, la navigazione prosegue verso le coste italiane.

Sempre sulla base del racconto dei sopravvissuti, la barca giunta in sostituzione aveva due motori MAN entro-bordo. I migranti notano che gli scafisti dispongono di telefono satellitare e di un apparecchio che sembrava di tipo “Jammer” ovvero in grado di inibire la trasmissione e la ricezione di onde radio. Inoltre, quando l’imbarcazione incrocia davanti alle coste elleniche, gli scafisti sostituiscono la bandiera turca con quella greca.

Durante la navigazione, sempre stando alla narrazione dei migranti, gli scafisti li costringono a restare sotto coperta, facendoli salire sul ponte solo pochi minuti per prendere aria.

Dopo una traversata di 4 giorni, superato l’arcipelago delle isole greche, sempre sulla base delle dichiarazioni, il 25 febbraio, intorno alle 18.00, gli scafisti decidono di fermarsi al largo della Calabria e attendere un momento favorevole per sbarcare ed evitare di essere avvistati da parte delle Forze dell’ordine.

Dopo alcune ore, i migranti, lamentandosi della sosta, inducono gli scafisti a mostrar loro, tramite un gps, che la loro posizione era ormai vicina alla costa calabrese, con la rassicurazione che avrebbero ripreso la navigazione, per arrivare intorno alle 01.30 del 26 febbraio.

Va, tuttavia, precisato che, sulla base degli elementi acquisiti dal Ministero della giustizia, gli scafisti decidono di sbarcare in un luogo ritenuto più sicuro e di notte, temendo che nella località preventivata vi potessero essere dei controlli; il piano prevedeva l’arrivo a ridosso della riva sabbiosa, con il successivo sbarco e la fuga sulla terraferma.

Sulla base degli elementi acquisiti da Guardia di Finanza e Guardia Costiera, alle 23.03 del 25 febbraio il Centro Situazioni di Varsavia dell’Agenzia Frontex comunica – all’International Coordination Centre di Pratica di Mare e, per conoscenza, al Centro di coordinamento italiano dei soccorsi marittimi (Itmrcc), nonché al Centro Nazionale di Coordinamento (Ncc) – l’avvistamento avvenuto alle 22.26 da parte dell’aereo Frontex “Eagle One”, impegnato in attività di sorveglianza nello Jonio, di un’imbarcazione in buono stato di galleggiabilità con una persona visibile sopra coperta, in acque internazionali, a circa 40 miglia nautiche dalle coste calabresi. Frontex segnalava che l’unità navigava con rotta 2-9-6 a velocità di 6 nodi.

L’assetto aereo, oltre ad aver captato una chiamata satellitare diretta in Turchia ed evidenziato boccaporti aperti in corrispondenza della prua, segnalava una risposta termica dei sensori di bordo e, quindi, la possibile presenza di persone sotto coperta. Fatta la segnalazione, l’aereo Frontex faceva rientro alla base per l’esigenza di rifornirsi di carburante.

Alle 23.37 la Guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta l’autorità marittima di Reggio Calabria rappresentando che una sua unità navale, come da pianificazione operativa, era già in mare e che vi sarebbe rimasta fino alle 06.00, per attività di polizia sul caso segnalato.

In tale contesto, in base alle relazioni acquisite, il quadro della situazione in possesso della Guardia Costiera a quel momento si fondava sui seguenti elementi:

la segnalazione Frontex circa l’imbarcazione non rappresentava una situazione di pericolo; non c’erano state chiamate di soccorso di nessun genere; sullo scenario era presente un’unità navale della Guardia di Finanza dedicata all’evento, che avrebbe potuto fornire ulteriori elementi mediante riscontro diretto e che, qualora fosse stato necessario, avrebbe anche potuto svolgere attività di soccorso quale risorsa concorrente, in linea con le previsioni del Piano nazionale sar; non erano variate le condizioni meteo-marine.

A mezzanotte circa, l’unità della Guardia di Finanza, considerato il tempo stimato in circa 7 ore dall’avvistamento da parte dell’aereo Frontex, necessario al caicco per raggiungere le acque territoriali – presupposto per l’esercizio delle funzioni di polizia – rientra temporaneamente alla base di Crotone per un rabbocco di carburante. Contemporaneamente, oltre al rifornimento, veniva organizzato un nuovo assetto navale rafforzato con un maggiore dislocamento, in grado di poter meglio affrontare le condizioni del mare.

Alle 00.30 del 26 febbraio, al fine di approfondire i dati relativi alla telefonata satellitare – a cui ho prima fatto cenno -, la centrale di coordinamento operativo del Comando operativo aeronavale della Guardia di Finanza di Pratica di Mare, chiede a Frontex di condividere il numero di utenza satellitare per tracciare il contatto. Frontex, nel comunicare l’utenza, evidenzia che la stessa era riferita ad un dispositivo ricevente situato in Turchia che, quindi, non era suscettibile di localizzazione.

Tornando al racconto dei sopravvissuti, intorno alle 01.30 del 26 febbraio, nonostante il peggioramento delle condizioni del mare, gli scafisti decidono di riprendere la navigazione.

Alle 02.20 circa, da quanto risulta dai rapporti acquisiti, due assetti navali della Guardia di Finanza – la motovedetta rientrata per rifornimento insieme ad un’altra unità navale di più ampia dimensione – riprendono la navigazione alla ricerca dell’imbarcazione.

Tuttavia, alle 03.30 circa, le due unità navali della Guardia di Finanza sono costrette a rientrare in porto a causa delle pessime condizioni meteo marine in atto.

Alle 03.48, la Guardia di Finanza informa l’autorità marittima di Reggio Calabria del suo rientro, confermando il quadro conoscitivo sopra tratteggiato, che non conteneva ulteriori elementi né riguardo alla posizione, né riguardo ad eventuali criticità relative all’imbarcazione.

Alle 03.50, la stessa Sala Operativa della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, mediante la postazione della propria rete radar costiera, acquisisce, per la prima volta, un target, verosimilmente l’imbarcazione riconducibile a quella segnalata da Frontex.

Alle 03.55 la Sala Operativa del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta le sale operative del Corpo dei comandi provinciali di Catanzaro e di Crotone, nonché quelle della Polizia di Stato e dei Carabinieri di Crotone e Catanzaro, alle quali chiede l’invio di pattuglie nella zona di interesse, specificando, altresì, che le unità navali della Guardia di Finanza non avevano stabilito alcun contatto con il natante e che, a causa delle avverse condizioni del mare, quest’ultimo non poteva essere raggiunto, motivo per cui le loro unità navali erano state costrette a rientrare.

Pochi minuti dopo, sull’utenza di emergenza 112 giunge una richiesta di soccorso telefonico da un numero internazionale che veniva geolocalizzato dall’operatore della Centrale Operativa del Comando Provinciale dei carabinieri di Crotone e comunicato, con le coordinate geografiche, alla Sala Operativa della Capitaneria di Porto di Crotone.

È questo il momento preciso in cui, per la prima volta, si concretizza l’esigenza di soccorso per le autorità italiane.

Alle 04.19, la Centrale Operativa del Comando Provinciale dei carabinieri di Crotone invia nella località geolocalizzata (Foce Tacina di Steccato di Cutro) la pattuglia del Nucleo Radiomobile della Compagnia di Crotone.

Alle 04.30 circa, tramite il numero di emergenza 1530, la Capitaneria di Porto riceve una segnalazione circa la presenza di una barca a 40 metri dalla foce del fiume Tacina.

Pochi minuti dopo il segnalante richiamava, specificando che l’imbarcazione si trovava a 50 metri dalla riva, che si stava muovendo in direzione della spiaggia e che erano presenti persone a bordo.

Veniva, pertanto, informato il Centro Secondario del Soccorso Marittimo di Reggio Calabria, che disponeva l’invio di una motovedetta, con imbarco di un team sanitario, e di pattuglie via terra, chiedendo altresì l’intervento dei Vigili del fuoco, del 118 e della Questura di Crotone per l’attivazione dei soccorsi a terra.

Nel contempo, in località Steccato di Cutro convergevano militari dei carabinieri, personale della locale Questura e di altre Forze di polizia, nonché sanitari, personale dei Vigili del fuoco e della Capitaneria di Porto. Sul posto, intervengono, per primi, i carabinieri che nell’immediato traggono in salvo un uomo e un bambino, quest’ultimo purtroppo deceduto poco dopo, bloccando subito uno degli scafisti.

Davanti agli occhi dei soccorritori, i corpi di tante vittime innocenti, bambini, donne e uomini, riversi sulla battigia, i naufraghi e quel che rimaneva dell’imbarcazione, incagliata a circa 40 metri dalla spiaggia.

Tornando ai momenti immediatamente precedenti al naufragio e quindi ai racconti dei sopravvissuti, la navigazione era proseguita fino alle 03.50, allorquando, a circa 200 metri dalla costa, erano stati avvistati dalla barca dei lampeggianti provenienti dalla spiaggia e a quel punto gli scafisti, temendo la presenza delle forze dell’ordine lungo la costa, effettuano una brusca virata nel tentativo di cambiare direzione per allontanarsi dal quel tratto di mare.

In quel frangente, la barca, trovandosi molto vicino alla costa ed in mezzo ad onde alte, urta, con ogni probabilità, il basso fondale, una secca, e per effetto della rottura della parte inferiore dello scafo, comincia ad imbarcare acqua.

Sempre sulla base delle dichiarazioni dei superstiti, a quel punto due degli scafisti si buttano in acqua, mentre un terzo viene fermato dai migranti, per impedirgli di lasciarli soli sulla barca incagliata; molti altri migranti, nel frattempo, salgono sul ponte in cerca di aiuto e lo scafista rimasto a bordo, approfittando del momento di caos, riesce ad abbandonare la barca su un gommone di piccole dimensioni e a far salire poi gli altri due scafisti per dirigersi verso la costa.

In quel preciso momento una forte onda capovolge la barca di legno e tutti i migranti cadono in mare mentre la barca viene distrutta.

Fin qui la ricostruzione di questo tragico naufragio, che ha posto al centro del dibattito, anche mediatico, la questione delle competenze rispetto agli interventi in mare”.

Comandante Guardia Costiera: “Corpo non si è mai sottratto ai salvataggi in mare”

“Sono giorni tristi questi, giorni in cui il dolore immenso per la perdita di tante vite umane in mare deve fare i conti con la necessità e il dovere di recuperare almeno i corpi delle vittime di questo terribile naufragio”. Questo il messaggio a tutto il personale inviato ieri dal comandante generale delle Capitanerie di Porto e della Guardia Costiera, Nicola Carlone, in riferimento agli attacchi dell’opposizione per i presunti mancati soccorsi nel naufragio di migranti a Steccato di Cutro.

“In questi momenti difficili, non deve, tuttavia, mai venire meno la consapevolezza dell’inestimabile patrimonio costituito dalla nostra tradizione, professionalità e competenza, frutto non solo di 158 anni di storia valorosa ma anche di imprese recenti, di vite strappate alla morte ed al pericolo, di lavoro quotidiano a favore del Paese”, osserva il comandante.

“Un patrimonio – aggiunge – che, come ricordato anche dal nostro Ministro (Matteo Salvini, ndr), onorate ogni giorno con il sacrificio e la dedizione nel vostro impegno, al servizio della collettività e delio Stato, per rispondere alle nuove sfide della sicurezza in mare con sempre maggiore coraggio e professionalità”.

 

“Alla responsabilità del soccorso verso chi è in pericolo in mare, la Guardia costiera italiana non si è mai sottratta né mai si sottrarrà, lo dicono le nostre azioni e le circa 60 mila persone salvate solo lo scorso anno, risultati inarrivabili che rendono il senso di un impegno, il vostro, che va ben oltre l’ordinario”, spiega Carlone.

A voi il compito di continuare a lavorare con professionalità e determinazione, e fare ciò che ha reso il Paese orgoglioso di noi. A me quello di valorizzare, proteggere e rafforzare l’identità della Guardia costiera italiana, che ha nella funzione del soccorso marittimo un pilastro essenziale del nostro agire, e rinnovarvi la mia fiducia e con essa l’orgoglio di essere il vostro Comandante Generale”, ha concluso l’ammiraglio che a chiosa della lettera scrive a penna “Ominia Vincit Animus” (il coraggio vince su tutto).

Intelligence, Gratteri al master dell’Unical: “Per lotta a mafie c’è bisogno di hacker e ingegneri”

“Le mafie minaccia alla sicurezza nazionale” è il titolo della lezione tenuta da Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri.

Gratteri ha iniziato la lezione con la narrazione di un evento storico di grande importanza per la ‘ndrangheta, ovvero il summit del 1969 a Montalto, al quale parteciparono varie famiglie di ‘ndrangheta, riunite per stabilire un concetto fondamentale: l’unitarietà della organizzazione.

I partecipanti alla riunione però non sapevano di essere ascoltati e controllati dalle forze dell’ordine, avvertite da una soffiata effettuata dalle famiglie di Reggio Calabria. Questa circostanza consentì l’arresto di oltre 70 capimafia e l’ottenimento della certezza investigativa relativa all’unitarietà della ‘ndrangheta.

Tale concetto, pur rappresentando un vero e proprio “spartiacque tra vecchia e nuova ‘ndrangheta”, verrà però formalizzato giudizialmente solo nel 2010 con la pubblicazione della sentenza relativa all’operazione “Crimine”.

Il Procuratore si è poi soffermato sull’importanza e sull’evoluzione storica della “Santa”, introdotta dall’organizzazione criminale a metà degli anni Settanta per consentire ad alcuni loro affiliati di aderire alla massoneria deviata.

Nonostante le polemiche ed i disaccordi all’interno dell’organizzazione sui doveri del santista, principalmente sollevati dai capimafia Domenico Tripodo ed Antonio Macrì relativi alla preminenza degli interessi della Santa sugli interessi della ‘ndrina, l’istituzione della Santa determinó un’indubbia evoluzione, stravolgendo i paradigmi dell’organizzazione.

Con il passaggio alla Santa, già c’era nella testa degli strateghi della ‘ndrangheta il concetto di mafia unica e soprattutto avviene un cambiamento dei riferimenti che, da ora in poi, non saranno più i santi cattolici protettori, bensì dei personaggi di rilievo dell’epoca rinascimentale e massoni, come Garibaldi, Mazzini e Cavour.

Il nuovo riferimento simbolico da ora in poi infatti sarà la massoneria, e ciò comporterà un’evoluzione da meri esecutori a veri e propri decisori.

Gratteri sottolinea quindi attraverso la Santa gli ‘ndranghetisti entrano in contatto con professionisti, pubblici amministratori, bancari e anche con magistrati.

Nascono, quindi, “nuove regole e nuovi livelli” che prevedono che chi sta sopra possa sapere cosa avviene nei livelli sottostanti, ma non viceversa. Si è trattato di un vero e proprio “salto di qualità che ha fatto entrare la ‘ndrangheta nella stanza dei bottoni”, in modo non solo di decidere chi debba vincere gli appalti, ma persino se e quali opere debbano essere costruite.

Gratteri ha poi evidenziato come per i decenni successivi si è continuato a considerare la ‘ndrangheta una mafia poco influente.

Ció le ha permesso di crescere come una “forma parassitaria all’interno del sistema legale”, continuamente in cerca del consenso sociale per far riconoscere potere e prestigio.

Questo è avvenuto, per esempio, tramite l’acquisto di squadre di calcio o diventando imprenditori di successo grazie a operazioni di riciclaggio, rese possibili dalla collaborazione com commercialisti e professionisti capaci.

Il Procuratore ha quindi sottolineato come la ‘ndrangheta, nel perseguire “una forma di investimento e di pubblicità” si sia dimostrata estremamente generosa con la Chiesa, con molteplici azioni finalizzate a donare soldi per ottenere prestigio e consenso.

Gratteri si è poi soffermato sulle modalità di ricerca di potere e credibilità anche tramite la politica, sottolineando che “i mafiosi vivono tra di noi, ci assomigliano sempre più e vivono nel territorio. Votano e fanno votare, chiedendo il consenso elettorale” in modo da acquisire crediti per cogestire la cosa pubblica.

È stato affrontato, quindi, il tema delle estorsioni e dell’usura, azioni tramite le quali le mafie “marcano il territorio” per delimitare il confine del locale di ‘ndrangheta.

Tali metodi vengono utilizzati come veicolo per il riciclaggio tramite lo sfinimento dell’usurato che viene obbligato a cedere l’attività di sua proprietà, che verrà utilizzata per produrre false fatturazioni, garantendo al mafioso di riuscire a pagare le tasse e giustificare la propria ricchezza, che poi investe in altre attività o che gli permette di fare una vita lussuosa.

Il Procuratore si è allora soffermato sulle modalità operative mafiose sempre più complesse e raffinate, che rendono difficoltoso provare sul piano investigativo il contrasto a tali attività criminali.

A tale riguardo ha sottolineato anche il “lento sgretolamento delle azioni antimafia” che depotenzia la possibilità di agire nel contrasto alle mafie, anche a causa del numero non adeguato di magistrati e di forze dell’ordine.

Inoltre, le sfide odierne richiederebbero l’assunzione di hacker ed ingegneri, per un contrasto adeguato alle mafie che operano sempre di più attraverso il mondo digitale. Tale criticità risulta di particolare gravità a fronte delle ingenti somme messe a disposizione con il PNRR.

Gratteri ha quindi rilevato la necessità di investire in istruzione anche per rendere più efficace il contrasto alle mafie. Ha sottolineato come sia apparentemente più facile gestire “il popolo ignorante” e come il drastico abbassamento di etica e morale nella cultura occidentale “ci rende molto deboli, con il rischio di essere fagocitati da culture più forti, come quella musulmana e quella cinese”.

Stimolato dalle numerose domande degli studenti, il Procuratore ha affrontato numerose tematiche, legate anche a episodi di cronaca come quella relativa al mantenimento dell’anarchico Cospito al regime del 41bis.

Gratteri ha sottolineato che, a suo parere, il Ministro della Giustizia abbia fatto bene a confermare il 41bis “per non cedere al ricatto e non permettere agli altri di percorrere la stessa strada”.

Bisogna verificare – ha aggiunto – che non siano le mafie ad appoggiare tale operazione e che non siano loro a sovvenzionare anche le manifestazioni fuori dal carcere.

A proposito di carceri, Gratteri le ha definite “una miniera dal punto di vista informativo”, rilevando la necessità di aumentare gli agenti della Polizia Penitenziaria preposti al monitoraggio dei detenuti mafiosi.

Secondo il parere del procuratore di Catanzaro, la DIA dovrebbe essere dismessa, prevendendo il ritorno dei singoli appartenenti alle forze di polizia di provenienza, trattandosi di una struttura che svolge il medesimo compito dei reparti investigativi.

A riguardo, Gratteri ritiene maggiormente utile uno sforzo di ulteriore specializzazione dei reparti, come quelli che si occupano cei controlli informatici, per ottenere un significativo risparmio di risorse, dando nel contempo maggiore enfasi al lavoro delle singole forze di polizia italiane, che sono “tra le migliori polizie del mondo”.

In merito all’intelligence, ha sottolineato il grande contributo che i Servizi danno al Paese, contrariamente ad una idea diffusa che essi operino sempre in modo opaco.

Per Gratteri, è sbagliato l’approccio da parte di alcuni commentatori nel descriverli poiché “sono indispensabili per l’esistenza stessa del Paese e mai dovrebbe essere messa in discussione la loro funzione”.

Naufragio, Viminale dispone trasferimento salme al cimitero di Bologna. Protestano i parenti

Ansa

Saranno tutte trasferite entro oggi al cimitero musulmano di Bologna le salme delle vittime del naufragio di migranti a Steccato di Cutro avvenuto domenica 26 Febbraio.

La decisione è stata presa dal ministero dell’Interno ed ha colto di sorpresa le famiglie che si trovano a Crotone, le quali hanno inscenato una protesta con un sit-in davanti al Palamilone.

I parenti chiedono di attendere qualche giorno per avere la possibilità di avviare le pratiche per il trasferimento nei Paesi di origine. Il comune di Crotone, che ha raccolto le loro istanze, aveva già deliberato delle somme per i costi del trasferimento prelevandole dal Fondo migranti che poi sarebbe stato rimborsato dal Ministero.

L’assalto a Capitol Hill, lo sciamano vichingo scortato dalla Polizia

I dubbi erano sorti sull’assalto a Capitol Hill il 6 gennaio 2020 sono stati confermati. Il presunto attacco al Campidoglio americano non è stato ideato da Donald Trump, come si è voluto far credere, ma è stato orchestrato a tavolino dai suoi avversari. Una farsa che doveva servire ad addossare la colpa al Tycoon, che subito dopo fu censurato dai maggiori social, fb e twitter, con profili e pagine dell’ex presidente seguiti da milioni di followers chiusi all’istante.

A distanza di tre anni sono state rese pubbliche le immagini video che ritraggono lo sciamano con le corna da vichingo, tale Jacob Chansley, che viene addirittura scortato dalla polizia a presidio del presunto assalto. Era lui che guidava gli scontri, ma non è stato bloccato né arrestato nell’immediatezza, come invece si doveva, perché a capo dei rivoltosi trumpiani. Anzi, in quel giorno in cui ci fu il giuramento di Joe Biden, al vichingo (dipinto come un rozzo leghista di antica memoria), è stato concesso fare una sorta di visita turistica sia in Campidoglio che al Senato.

A pubblicare le immagini sono stati il New Tork Post e Fox News. Nelle clip si vede lo sciamano che guidato dai poliziotti circola tranquillamente tra le stanze degli edifici più importanti e presidiati al mondo, dopo la Casa Bianca.

Scrive il Nyp: “Il filmato del circuito di video sorveglianza appena reso pubblico del 6 gennaio 2021, mostra due agenti della polizia del Campidoglio che scortano Jacob Chansley, il cosiddetto “QAnon Shaman” con le corna che è diventato il simbolo della rivolta, attraverso le sale del Campidoglio e fino alla porta stessa del Senato degli Stati Uniti.

Il filmato trasmesso dal programma Fox News di Tucker Carlson lunedì sera mostra gli ufficiali che seguono da vicino Chansley mentre vaga per i corridoi del Campidoglio, a torso nudo e con il viso “truccato” nonché una pelliccia in testa con le corna vichinghe.

“Praticamente ogni momento del suo tempo all’interno del Campidoglio è stato registrato su nastro”, afferma Carlson, a cui è stato concesso l’accesso esclusivo dal presidente della Camera Kevin McCarthy a 40.000 ore di filmati di sorveglianza di quel giorno all’interno e intorno al Campidoglio, che non sono mai stati visti prima dal pubblico.

“I nastri mostrano che la polizia del Campidoglio non ha mai fermato Jacob Chansley. Lo hanno aiutato. Hanno agito come le sue guide turistiche”. Un teatrino utile per demolire Trump, il 45° presidente Usa odiato dai dem americani e dallo stato profondo di Washington.

Uccisa a Rosarno una giovane donna, fermato il compagno

Polizia scientifica

Ancora un omicidio nel reggino, in meno di 24 ore. Dopo il delitto di ieri a Reggio città, vittima un cittadino polacco che gestiva un autolavaggio, a Rosarno una donna di nazionalità ucraina di 35 anni, della quale non è ancora stata resa nota l’identità, è stata uccisa martedì sera nell’appartamento in cui viveva con il compagno, anche lui ucraino.

L’uomo è stato fermato nella notte dalla polizia, dopo alcune ore di ricerche, ed è sospettato di essere l’autore dell’omicidio. Il corpo della 35enne è stato trovato nella tarda serata di ieri, alla vigilia del giorno della festa della donna, dal proprietario dell’appartamento in cui la vittima viveva. Sul corpo della donna, da un primo esame del medico legale, sarebbero stati riscontrati molti segni di violenza e di colluttazioni, anche pregresse.

Sul posto è intervenuta la Polizia. Gli investigatori si sono subito messi alla ricerca del compagno della vittima che nel frattempo aveva fatto perdere le sue tracce. Avviate le ricerche è stato individuato e fermato nelle campagne di Rosarno.

La coppia viveva da molti anni a Rosarno, in un appartamento di via Medmea, ed erano immigrati regolari. Il compagno della donna lavorava stabilmente in una ditta del luogo. Secondo le prime ricostruzioni i due sarebbero alcolisti riconosciuti e chi abitava vicino ha raccontato alla Polizia che spesso da quella casa si udivano discussioni accese.

Gli investigatori non escludono che proprio durante una di queste liti, l’uomo possa aver colpito la donna fino ad ucciderla. Le indagini sono condotte dagli agenti del Commissariato di Gioia Tauro con il coordinamento della Procura della Repubblica di Palmi.

Naufragio a Steccato di Cutro, preso in Austria il quarto scafista

Ansa/Epa

E’ stato arrestato il quarto presunto scafista dell’imbarcazione carica di migranti il cui naufragio a Cutro, all’alba del 26 febbraio scorso, ha provocato la morte accertata di 72 persone e un numero ancora imprecisato di dispersi.

Si tratta di un cittadino turco, Gun Ufuk, di 28 anni, che dopo il naufragio era riuscito ad allontanarsi e a rendersi irreperibile. Ufuk, secondo quanto si è appreso, è stato rintracciato in Austria.

Sul conto di Gun Ufuk pendeva l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Crotone, Michele Ciociola, dopo la convalida dei fermi dei presunti scafisti.

Gli altri tre arrestati sono un turco e due pakistani, uno dei quali minorenne. Ufuk sarebbe stata la persona cui era affidato il compito di condurre l’imbarcazione che a poche decine di metri dalla riva, davanti la costa di ‘Steccato’ di Cutro, ha urtato contro una secca scaraventando in mare il suo carico umano.

Il cittadino turco, inoltre, avrebbe svolto anche le funzioni di meccanico, intervenendo più volte quando il motore dell’imbarcazione ha manifestato qualche problema. Al momento non si hanno particolari sugli elementi che hanno consentito agli investigatori di rintracciare in Austria e di arrestare lo scafista.

Naufragio, il ministro Piantedosi ricostruisce in Parlamento il dramma di Cutro

Il testo integrale dell’informativa in Parlamento del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in merito al tragico naufragio di migranti di poco a largo delle coste di Steccato di Cutro.

“Signor Presidente, Onorevoli deputati (e senatori)

Il governo ha immediatamente accolto l’invito del Parlamento a riferire in merito al naufragio di un’imbarcazione in legno che trasportava migranti, avvenuto nelle prime ore del mattino del 26 febbraio scorso nel mare antistante la località Steccato di Cutro in provincia di Crotone.

Voglio rinnovare prima di tutto il cordoglio, mio personale e di tutto il governo, per le vittime di questo ennesimo, tragico, naufragio e la vicinanza alle loro famiglie e ai superstiti.

Premesso che il bilancio non è ancora definitivo, gli aggiornamenti giunti dalla prefettura di Crotone portano il numero delle vittime a 72, di cui 28 minori, mentre i superstiti sono 80. Di questi, 54 sono accolti nel locale Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo (Cara) e nel pomeriggio odierno saranno trasferiti nella struttura alberghiera che già ospita i propri parenti, 12 nel Sistema Sai a Crotone, 8 sono ricoverati in ospedale, 2 minori non accompagnati sono stati collocati nelle strutture dedicate e 3 soggetti, presumibilmente gli scafisti, sono stati arrestati.

In particolare, sono stati fermati un cittadino turco e due pakistani, uno dei quali minorenne. Sono in corso le ricerche di un quarto scafista e non si escludono sviluppi nelle prossime ore.

I sopravvissuti sono afghani, iraniani, pakistani, palestinesi, siriani e somali.

Appresa la notizia del naufragio, mi sono immediatamente recato a Cutro per testimoniare, a nome del governo, il cordoglio per le vittime e la vicinanza ai superstiti, nonché alle Amministrazioni locali.

Anche in questa sede desidero rivolgere una parola di profonda gratitudine alla Calabria che, da sempre, accoglie con solidarietà e generosità i tanti migranti che sbarcano sulle sue coste e che affronta questa tragedia con compostezza e dignità non comuni.

Nell’occasione, ho presieduto una riunione in prefettura a Crotone per un primissimo punto di situazione con le Forze di polizia, i rappresentanti delle comunità locali e i responsabili delle attività di soccorso.

Il dispositivo di ricerca e soccorso in mare, tuttora in funzione, ha interessato i reparti specialistici della Guardia Costiera, della Guardia di Finanza e dei Vigili del fuoco, secondo uno schema operativo integrato che prevede il dispiegamento di unità navali, aeree e terrestri.

Ringrazio anche gli operatori della protezione civile regionale insieme all’Arma dei carabinieri e ai tanti volontari del posto.

Per la doverosa ricostruzione dei fatti, che in quella sede deve avvenire, sulla vicenda sta indagando la Procura della Repubblica di Crotone.

Attenderemo, pertanto, con fiducia e rispetto l’esito degli accertamenti giudiziari.

Ho già fornito alcuni elementi sul naufragio nei giorni scorsi, sia in occasione delle audizioni presso le Commissioni Affari costituzionali di Senato e Camera sulle linee programmatiche del Ministero dell’interno sia nell’analoga audizione svolta dinanzi al Copasir.

L’informativa odierna, sempre in attesa di quanto emergerà dalle indagini in corso, mi offre l’opportunità di dare risposte alle molte domande che in questi giorni sono state legittimamente rivolte, anche dall’opinione pubblica, con riferimento a quanto accaduto davanti alla costa crotonese.

La lunga traversata del barcone dalla Turchia alla Calabria. La ricostruzione del ministro Matteo Piantedosi

Veniamo ai fatti, come ricostruiti sulla base degli elementi acquisiti dalle autorità italiane competenti, cui si aggiungono le dichiarazioni di alcuni sopravvissuti raccolte in una relazione Frontex. A tal proposito va precisato che gli elementi acquisiti dai superstiti, pur restando indicativi del quadro generale dell’evento, richiedono ancora ulteriori accertamenti per la messa a fuoco degli aspetti di dettaglio.

La traversata – raccontano i sopravvissuti – parte da Cesme, in Turchia, intorno alle 3.00 del 22 febbraio in condizioni metereologiche ottimali: condizioni che, tuttavia, dopo 2 o 3 giorni peggiorano. Secondo il loro racconto, a bordo dell’imbarcazione erano presenti circa 180 persone, oltre a 4 scafisti, due turchi e due pakistani (tutti e quattro arrestati, ndr).

Tre ore dopo l’inizio della navigazione, un guasto al motore dell’imbarcazione induce due scafisti a contattare, tramite cellulare, un complice. Dopo altre tre ore di attesa, i migranti sono raggiunti da una seconda imbarcazione, pilotata da altri tre scafisti. Dopo il trasbordo dei migranti, la navigazione prosegue verso le coste italiane.

Sempre sulla base del racconto dei sopravvissuti, la barca giunta in sostituzione aveva due motori MAN entro-bordo. I migranti notano che gli scafisti dispongono di telefono satellitare e di un apparecchio che sembrava di tipo “Jammer” ovvero in grado di inibire la trasmissione e la ricezione di onde radio. Inoltre, quando l’imbarcazione incrocia davanti alle coste elleniche, gli scafisti sostituiscono la bandiera turca con quella greca.

Durante la navigazione, sempre stando alla narrazione dei migranti, gli scafisti li costringono a restare sotto coperta, facendoli salire sul ponte solo pochi minuti per prendere aria.

Dopo una traversata di 4 giorni, superato l’arcipelago delle isole greche, sempre sulla base delle dichiarazioni, il 25 febbraio, intorno alle 18.00, gli scafisti decidono di fermarsi al largo della Calabria e attendere un momento favorevole per sbarcare ed evitare di essere avvistati da parte delle Forze dell’ordine.

Dopo alcune ore, i migranti, lamentandosi della sosta, inducono gli scafisti a mostrar loro, tramite un gps, che la loro posizione era ormai vicina alla costa calabrese, con la rassicurazione che avrebbero ripreso la navigazione, per arrivare intorno alle 01.30 del 26 febbraio.

Va, tuttavia, precisato che, sulla base degli elementi acquisiti dal Ministero della giustizia, gli scafisti decidono di sbarcare in un luogo ritenuto più sicuro e di notte, temendo che nella località preventivata vi potessero essere dei controlli; il piano prevedeva l’arrivo a ridosso della riva sabbiosa, con il successivo sbarco e la fuga sulla terraferma.

Sulla base degli elementi acquisiti da Guardia di Finanza e Guardia Costiera, alle 23.03 del 25 febbraio il Centro Situazioni di Varsavia dell’Agenzia Frontex comunica – all’International Coordination Centre di Pratica di Mare e, per conoscenza, al Centro di coordinamento italiano dei soccorsi marittimi (Itmrcc), nonché al Centro Nazionale di Coordinamento (Ncc) – l’avvistamento avvenuto alle 22.26 da parte dell’aereo Frontex “Eagle One”, impegnato in attività di sorveglianza nello Jonio, di un’imbarcazione in buono stato di galleggiabilità con una persona visibile sopra coperta, in acque internazionali, a circa 40 miglia nautiche dalle coste calabresi. Frontex segnalava che l’unità navigava con rotta 2-9-6 a velocità di 6 nodi.

L’assetto aereo, oltre ad aver captato una chiamata satellitare diretta in Turchia ed evidenziato boccaporti aperti in corrispondenza della prua, segnalava una risposta termica dei sensori di bordo e, quindi, la possibile presenza di persone sotto coperta. Fatta la segnalazione, l’aereo Frontex faceva rientro alla base per l’esigenza di rifornirsi di carburante.

Alle 23.37 la Guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta l’autorità marittima di Reggio Calabria rappresentando che una sua unità navale, come da pianificazione operativa, era già in mare e che vi sarebbe rimasta fino alle 06.00, per attività di polizia sul caso segnalato.

In tale contesto, in base alle relazioni acquisite, il quadro della situazione in possesso della Guardia Costiera a quel momento si fondava sui seguenti elementi:

la segnalazione Frontex circa l’imbarcazione non rappresentava una situazione di pericolo; non c’erano state chiamate di soccorso di nessun genere; sullo scenario era presente un’unità navale della Guardia di Finanza dedicata all’evento, che avrebbe potuto fornire ulteriori elementi mediante riscontro diretto e che, qualora fosse stato necessario, avrebbe anche potuto svolgere attività di soccorso quale risorsa concorrente, in linea con le previsioni del Piano nazionale sar; non erano variate le condizioni meteo-marine.

A mezzanotte circa, l’unità della Guardia di Finanza, considerato il tempo stimato in circa 7 ore dall’avvistamento da parte dell’aereo Frontex, necessario al caicco per raggiungere le acque territoriali – presupposto per l’esercizio delle funzioni di polizia – rientra temporaneamente alla base di Crotone per un rabbocco di carburante. Contemporaneamente, oltre al rifornimento, veniva organizzato un nuovo assetto navale rafforzato con un maggiore dislocamento, in grado di poter meglio affrontare le condizioni del mare.

Alle 00.30 del 26 febbraio, al fine di approfondire i dati relativi alla telefonata satellitare – a cui ho prima fatto cenno -, la centrale di coordinamento operativo del Comando operativo aeronavale della Guardia di Finanza di Pratica di Mare, chiede a Frontex di condividere il numero di utenza satellitare per tracciare il contatto. Frontex, nel comunicare l’utenza, evidenzia che la stessa era riferita ad un dispositivo ricevente situato in Turchia che, quindi, non era suscettibile di localizzazione.

Tornando al racconto dei sopravvissuti, intorno alle 01.30 del 26 febbraio, nonostante il peggioramento delle condizioni del mare, gli scafisti decidono di riprendere la navigazione.

Alle 02.20 circa, da quanto risulta dai rapporti acquisiti, due assetti navali della Guardia di Finanza – la motovedetta rientrata per rifornimento insieme ad un’altra unità navale di più ampia dimensione – riprendono la navigazione alla ricerca dell’imbarcazione.

Tuttavia, alle 03.30 circa, le due unità navali della Guardia di Finanza sono costrette a rientrare in porto a causa delle pessime condizioni meteo marine in atto.

Alle 03.48, la Guardia di Finanza informa l’autorità marittima di Reggio Calabria del suo rientro, confermando il quadro conoscitivo sopra tratteggiato, che non conteneva ulteriori elementi né riguardo alla posizione, né riguardo ad eventuali criticità relative all’imbarcazione.

Alle 03.50, la stessa Sala Operativa della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, mediante la postazione della propria rete radar costiera, acquisisce, per la prima volta, un target, verosimilmente l’imbarcazione riconducibile a quella segnalata da Frontex.

Alle 03.55 la Sala Operativa del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta le sale operative del Corpo dei comandi provinciali di Catanzaro e di Crotone, nonché quelle della Polizia di Stato e dei Carabinieri di Crotone e Catanzaro, alle quali chiede l’invio di pattuglie nella zona di interesse, specificando, altresì, che le unità navali della Guardia di Finanza non avevano stabilito alcun contatto con il natante e che, a causa delle avverse condizioni del mare, quest’ultimo non poteva essere raggiunto, motivo per cui le loro unità navali erano state costrette a rientrare.

Pochi minuti dopo, sull’utenza di emergenza 112 giunge una richiesta di soccorso telefonico da un numero internazionale che veniva geolocalizzato dall’operatore della Centrale Operativa del Comando Provinciale dei carabinieri di Crotone e comunicato, con le coordinate geografiche, alla Sala Operativa della Capitaneria di Porto di Crotone.

È questo il momento preciso in cui, per la prima volta, si concretizza l’esigenza di soccorso per le autorità italiane.

Alle 04.19, la Centrale Operativa del Comando Provinciale dei carabinieri di Crotone invia nella località geolocalizzata (Foce Tacina di Steccato di Cutro) la pattuglia del Nucleo Radiomobile della Compagnia di Crotone.

Alle 04.30 circa, tramite il numero di emergenza 1530, la Capitaneria di Porto riceve una segnalazione circa la presenza di una barca a 40 metri dalla foce del fiume Tacina.

Pochi minuti dopo il segnalante richiamava, specificando che l’imbarcazione si trovava a 50 metri dalla riva, che si stava muovendo in direzione della spiaggia e che erano presenti persone a bordo.

Veniva, pertanto, informato il Centro Secondario del Soccorso Marittimo di Reggio Calabria, che disponeva l’invio di una motovedetta, con imbarco di un team sanitario, e di pattuglie via terra, chiedendo altresì l’intervento dei Vigili del fuoco, del 118 e della Questura di Crotone per l’attivazione dei soccorsi a terra.

Nel contempo, in località Steccato di Cutro convergevano militari dei carabinieri, personale della locale Questura e di altre Forze di polizia, nonché sanitari, personale dei Vigili del fuoco e della Capitaneria di Porto. Sul posto, intervengono, per primi, i carabinieri che nell’immediato traggono in salvo un uomo e un bambino, quest’ultimo purtroppo deceduto poco dopo, bloccando subito uno degli scafisti.

Davanti agli occhi dei soccorritori, i corpi di tante vittime innocenti, bambini, donne e uomini, riversi sulla battigia, i naufraghi e quel che rimaneva dell’imbarcazione, incagliata a circa 40 metri dalla spiaggia.

Tornando ai momenti immediatamente precedenti al naufragio e quindi ai racconti dei sopravvissuti, la navigazione era proseguita fino alle 03.50, allorquando, a circa 200 metri dalla costa, erano stati avvistati dalla barca dei lampeggianti provenienti dalla spiaggia e a quel punto gli scafisti, temendo la presenza delle forze dell’ordine lungo la costa, effettuano una brusca virata nel tentativo di cambiare direzione per allontanarsi dal quel tratto di mare.

In quel frangente, la barca, trovandosi molto vicino alla costa ed in mezzo ad onde alte, urta, con ogni probabilità, il basso fondale, una secca, e per effetto della rottura della parte inferiore dello scafo, comincia ad imbarcare acqua.

Sempre sulla base delle dichiarazioni dei superstiti, a quel punto due degli scafisti si buttano in acqua, mentre un terzo viene fermato dai migranti, per impedirgli di lasciarli soli sulla barca incagliata; molti altri migranti, nel frattempo, salgono sul ponte in cerca di aiuto e lo scafista rimasto a bordo, approfittando del momento di caos, riesce ad abbandonare la barca su un gommone di piccole dimensioni e a far salire poi gli altri due scafisti per dirigersi verso la costa.

In quel preciso momento una forte onda capovolge la barca di legno e tutti i migranti cadono in mare mentre la barca viene distrutta.

Fin qui la ricostruzione di questo tragico naufragio, che ha posto al centro del dibattito, anche mediatico, la questione delle competenze rispetto agli interventi in mare.

Per rendere comprensibile il quadro normativo, a costo di una qualche semplificazione, preciso che gli interventi operativi in mare sono riconducibili a due missioni statali, quella del law enforcement e quella di ricerca e soccorso (cosiddetta sar).

Devo subito evidenziare, tuttavia, che, sebbene si tratti di due funzioni statali qualitativamente diverse, è tutt’altro che infrequente che un determinato evento, in ipotesi nato come di law enforcement, si evolva successivamente in un evento sar (come pure può verificarsi l’inverso), dato che, in mare, il quadro situazionale si modifica repentinamente e talvolta in modo profondo e considerato soprattutto che, anche nelle attività di contrasto dei reati (immigrazione illegale, traffico di esseri umani, contrabbando, traffico di armi o droga o di reati ambientali), può in concreto porsi un problema di tutela della incolumità della vita umana in mare ed è proprio per questo che gli assetti navali di polizia sono attrezzati anche per operazioni di soccorso.

Del resto, questo assetto replica un modello ordinamentale che, ai sensi della legislazione vigente, vede le Forze di polizia chiamate a prestare soccorso, in qualsiasi contesto operino, anche quali strutture operative del servizio di protezione civile.

Voglio dire che l’esigenza di tutela della vita ha sempre la priorità, quale che sia l’iniziale natura dell’intervento operativo in mare.

In altre parole, le attività di law enforcement, che fanno capo al Ministero dell’Interno, e quelle di soccorso in mare, che competono al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, esigono la cooperazione e la sinergia tutte le volte che i contesti operativi concreti lo richiedono, e in primis quando si tratta di salvaguardare l’incolumità delle persone in mare.

Non esistono, né possono esistere barriere tra Corpi dello stato che operano in un campo, quello degli interventi in mare, che si fonda sulla cooperazione e sul coordinamento proprio perché il conseguimento di risultati, in quel contesto, più ancora che in altri, non può che avvenire con il concorso e il contributo di tutti gli attori coinvolti, come peraltro il diritto interno e quello internazionale impongono.

Le attività di contrasto all’immigrazione irregolare sono sempre pronte a coniugarsi con le attività di ricerca e soccorso in mare, proprio in ragione – lo voglio ribadire – del superiore interesse di tutela della vita umana.

Tra l’altro, è anche per questa ragione che esistono i Centri di coordinamento, che operano e si interfacciano h 24 e 7 giorni su 7, in composizione prevalentemente interforze e disponendo di apparati tecnologici adeguati alle finalità. Si tratta di un impegno costante, faticoso e rischioso di tante donne e uomini dello stato che sarebbe ingeneroso – anzi, consentitemi, offensivo – svalutare o disconoscere.

A questo proposito, evidenzio che il quadro normativo nazionale, peraltro sottoposto a vincoli di natura internazionale con specifico riguardo alla materia del soccorso in mare, non è assolutamente stato modificato dall’attuale governo.

Peraltro, le modalità tecnico-operative dei salvataggi non possono essere in alcun modo sottoposte a condizionamenti di natura politica o a interventi esterni alla catena di comando.

Dunque, sostenere che i soccorsi sarebbero stati condizionati o addirittura impediti dal governo costituisce una grave falsità che offende, soprattutto, l’onore e la professionalità dei nostri operatori impegnati quotidianamente in mare, in scenari particolarmente difficili.

Inoltre, permettetemi di precisare che trovo incomprensibile aver messo in connessione il cosiddetto “decreto ong” con il naufragio di Cutro perché, in primo luogo, né nello Jonio né lungo la cosiddetta rotta turca hanno mai operato navi di Organizzazioni non governative e, poi, perché le regole introdotte con il citato provvedimento partono dal presupposto che prima di tutto devono essere sempre assicurati il soccorso e l’assistenza dei migranti a tutela della loro incolumità.

Per capire come in concreto si raccordino tra loro le competenze dei vari soggetti istituzionali coinvolti e se, alla luce delle procedure esistenti, vi siano stati degli errori, è essenziale chiarire che l’attivazione dell’intero sistema sar non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza.

Solo ed esclusivamente se c’è tale segnalazione, si attiva il dispositivo sar. Laddove, invece, non venga segnalato un distress, l’evento operativo è gestito come un intervento di polizia, anche in ragione di quanto prima osservato circa la capacità di soccorso delle nostre unità navali.

È esattamente quanto avvenuto nel caso in questione.

Nell’evento, il primo dato certo è che l’assetto aereo Frontex che, per primo, ha individuato l’imbarcazione alle ore 22.26 del 25 febbraio a 40 miglia nautiche dall’Italia, non ha rilevato e, quindi, non ha segnalato una situazione di distress a bordo, limitandosi a evidenziare la presenza di una persona sopra coperta, di possibili altre persone sotto coperta e una buona galleggiabilità dell’imbarcazione. Frontex annotava, altresì, che l’imbarcazione procedeva a velocità regolare (6 nodi l’ora), non appariva sovraccarica e non “sbandava”.

Peraltro, nessuna segnalazione di allarme o richiesta di aiuto proveniva dall’imbarcazione in questione.

È utile precisare che l’assetto aeronavale Frontex che ha rilevato l’imbarcazione stava operando, nel quadro della missione “Themis”, in un’area della cosiddetta “rotta orientale”, rispetto alla quale il Ministero dell’Interno aveva formalmente chiesto, già dal 2021, a Frontex il potenziamento del dispositivo di sorveglianza, poi avvenuto grazie al dispiegamento di un ulteriore mezzo aereo.

L’assetto Frontex, poiché l’evento rilevato alle 22.26 del 25 febbraio non aveva, né lasciava supporre, una condizione di distress, lo segnalava, correttamente, alle autorità italiane di law enforcement e, per conoscenza, anche a quelle di soccorso marittimo, nonché al proprio quartier generale, come previsto dalle procedure esistenti affinché le autorità nazionali competenti gestissero l’evento con strumenti appropriati per tale tipo di operazioni in base al proprio ordinamento.

Aggiungo che Frontex, oltre a fornire alle autorità nazionali un “early warning”, cioè una notifica precoce di quanto constatato, effettua un monitoraggio dell’imbarcazione sospetta rilevata, interrotto, nel nostro caso, unicamente perché l’aereo era a corto di carburante e quindi doveva ritornare alla base.

Per quanto riguarda i nostri assetti navali operativi in mare, sui quali in questi giorni circolano le illazioni più disparate, fermo restando, ovviamente, il doveroso accertamento da parte dell’Autorità giudiziaria, trovo ingiusto non riconoscere i risultati ottenuti dalle nostre strutture responsabili degli interventi operativi in termini di salvataggio di vite in mare.

Aggiungo, altresì, che i fatti di Cutro si inseriscono nel fenomeno dei cosiddetti sbarchi autonomi, ovvero di quelle imbarcazioni, spesso di minime dimensione, che giungono sulle nostre coste senza essere intercettate e che non rappresentano un’evenienza rara in quanto riconducibili a una precisa strategia degli scafisti di elusione dei controlli alle frontiere marittime.

Tornando ai risultati conseguiti dai nostri apparati statali impegnati in operazioni in mare, limitandomi al periodo più recente, dal 22 ottobre 2022 al 27 febbraio 2023, le nostre Autorità hanno gestito 407 eventi sar, mettendo in salvo 24.601 persone. Nello stesso periodo, nel corso di 300 operazioni di polizia per il contrasto dell’immigrazione illegale, la sola Guardia di Finanza ha tratto in salvo 11.888 persone. Per un totale, tra sar e law enforcement, di 36.489 persone salvate.

Dunque, dati alla mano, è del tutto infondato che le missioni di law enforcement non siano in grado di effettuare anche salvataggi.

Allo stesso tempo, non possiamo non ricordare la lunga e terribile serie di naufragi che continuano a verificarsi nel Mediterraneo.

Solo nel 2016, anno in cui era ancora operante l’operazione navale umanitaria “Mare Nostrum” – avviata all’indomani del naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013 con 368 morti, dispiegando un possente dispositivo aereonavale e con la presenza di navi ONG – le vittime nel Canale di Sicilia furono 4.574 secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale della Migrazione. Nel 2022, in base alla medesima fonte, le vittime sono state 1.377.

Con il solo intento di riportare alla memoria il ricordo delle troppe vittime del nostro mare dal 1997 ad oggi, da più parti, in questi giorni, sono stati richiamati i tragici naufragi della Kater i Rades, nel Canale d’Otranto, il 28 marzo 1997, con 81 migranti morti, quello del 3 ottobre 2013 a Lampedusa che causò la morte di 368 persone e quello dell’11 febbraio 2015, nel canale di Sicilia, che costò la perdita di 330 vite.

Con la stessa finalità, voglio ricordare tanti altri naufragi avvenuti nello stesso periodo, 49, solo tra quelli principali segnalati dalle Capitanerie di Porto. Di questi, permettetemi di fornire un elenco di quelli mi hanno maggiormente toccato, per le modalità e il portato di sofferenze e di dolore che ancora restituiscono.

Il 12 maggio 2008 un barcone con 66 migranti va alla deriva per giorni. A bordo, 47 persone muoiono di freddo e stenti e sono gettate in mare dai compagni, altre 3 sono ritrovate morte.

Il 10 luglio 2012, nel tratto di mare tra la Libia e Lampedusa si sgonfia un gommone e muoiono 54 persone.

Il 1° luglio 2014, a bordo di un peschereccio stipato di oltre 600 persone, 45 muoiono asfissiate.

Il 19 luglio 2014, 30 migranti, chiusi nella stiva di un barcone, muoiono asfissiati dalle esalazioni del motore.

Il 22 agosto 2014, davanti alle coste libiche, l’affondamento di una imbarcazione produce oltre 200 morti, molti dei quali recuperati sulla spiaggia.

Il 18 aprile 2015, al largo delle coste libiche, il naufragio di un natante carico di migranti porta le vittime ad un numero imprecisato, tra le 700 e le 1.000 persone.

Il 5 maggio 2015, nella ressa alla vista dei soccorsi, muoiono in 40, alcuni a bordo, altri per annegamento.

Per venire a tempi più vicini a noi, il 19 agosto 2020, proprio nella fase di massima contrazione degli arrivi per effetto della pandemia, al largo della Libia perdono la vita 45 persone.

Il 12 novembre 2020, almeno 74 migranti annegano nello stesso tratto di mare per il naufragio di un’imbarcazione che trasportava più di 120 persone.

Il 21 aprile 2021 naufraga un barcone carico di 130 migranti: sono ritrovati 8 corpi.

Potrei continuare a lungo questa tragica elencazione, ma credo basti a dare l’idea della drammaticità delle conseguenze delle partenze illegali.

Proprio per interrompere questa tragica sequenza, sul presupposto che la causa principale, immediata e diretta delle morti in mare sia costituita dalle reti criminali dedite al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e che la causa profonda risieda nei persistenti e crescenti squilibri tra Nord e Sud del mondo, questo governo ha finalmente riportato il tema migratorio al centro dell’agenda politica, in modo trasversale rispetto a tutte le dimensioni lungo le quali si esplica la sua azione: a livello nazionale; sul piano europeo; con i paesi di transito e partenza dei flussi.

È in tale direzione che, insieme al Presidente Meloni e al Ministro Tajani, stiamo sviluppando un’intensa attività congiunta di collaborazione con Turchia, Tunisia e Libia sui principali dossier di interesse comune tra i quali la cooperazione di polizia e la lotta al terrorismo, la criminalità organizzata e l’immigrazione irregolare.

Abbiamo condiviso la necessità di un approccio concreto e pragmatico al fenomeno migratorio che, superando un’ottica esclusivamente securitaria, contribuisca a rimuovere le criticità, anche di natura sociale ed economica.

Ho già in programma ulteriori missioni in Egitto e Costa d’Avorio finalizzate ai medesimi obiettivi.

Voglio evidenziare, in tale contesto, il recente incontro con il mio omologo francese, dal quale ho raccolto una forte volontà di lavorare con l’Italia su dossier di interesse comune, tra i quali la realizzazione di missioni congiunte in paesi di fondamentale importanza come Tunisia e Libia.

A livello europeo, grazie all’efficace azione del nostro Presidente del Consiglio, intravediamo i primi significativi cambiamenti di prospettiva.

In tal senso, le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo del 9 febbraio rappresentano un cambio di paradigma, atteso che per la prima volta si riconosce che la questione migratoria “è una sfida europea che richiede una risposta europea”.

Prendiamo atto di questi sviluppi incoraggianti, ma nei prossimi appuntamenti europei lavoreremo perché tali affermazioni di principio si traducano in politiche unionali coerenti, con misure concrete e impegni vincolanti per gli stati membri.

Nel recente incontro dei paesi del Med5, tenutosi a Malta il 3 e 4 marzo scorsi, con i miei colleghi di Spagna, Grecia, Cipro e Malta abbiamo convenuto, nella dichiarazione congiunta adottata al termine del vertice, tra l’altro, che il nostro comune impegno è quello di intensificare gli sforzi per prevenire la migrazione irregolare, al fine di evitare la perdita di vite umane in mare, nonché lo sfruttamento dei migranti da parte dei trafficanti.

Sul piano nazionale, abbiamo rafforzato i canali legali di ingresso dei migranti e intendiamo ulteriormente valorizzare strumenti importanti quali l’introduzione a livello nazionale di quote privilegiate di ingresso nel decreto flussi a beneficio dei paesi più collaborativi nella lotta all’immigrazione illegale e nell’attuazione dei rimpatri.

Con l’ultimo decreto Flussi sono stati programmati circa 83 mila ingressi regolari per motivi di lavoro, a soli due mesi dall’insediamento del governo. I precedenti decreti Flussi avevano ammesso, nel 2021, 69.700 ingressi e, nel 2020, 30.850.

Sono, questi, dati incontrovertibili che testimoniano l’impegno del governo per favorire l’immigrazione regolare in modo da renderla proficua sia per i migranti sia per il sistema produttivo nazionale e la società italiana.

Abbiamo intenzione di proseguire in questa direzione, rafforzandone gli strumenti e semplificando gli aspetti procedurali.

Sul versante umanitario, continueremo e potenzieremo anche le iniziative in atto relative ai corridoi d’ingresso umanitario, alle evacuazioni umanitarie e ai programmi di reinsediamento, che hanno sempre visto l’Italia in prima fila nella tutela delle persone vulnerabili.

Il governo, sin dal suo insediamento, ha intensificato i corridoi migratori legali, portando in Italia 617 persone, un numero mai registrato in un così breve lasso di tempo.

Nella stessa direzione, il nostro Paese si è impegnato, tra l’altro, ad accogliere, in accordo con la Commissione Europea, 1.481 persone, entro il primo semestre del 2023 (in particolare 981 afghani da Iran e Pakistan e 500 persone dalla Libia). Nell’ambito delle ammissioni umanitarie, ulteriore impegno programmato, sempre per il 2023, è quello di accogliere altre 850 persone. Vengo alle conclusioni.

Quella di Cutro è una tragedia che ci addolora profondamente, anche sul piano personale, e la dinamica dei fatti conferma la sua dipendenza diretta dalla gestione criminale di trafficanti senza scrupoli che non esitano a sacrificare la vita altrui per biechi profitti personali, come il racconto dei sopravvissuti ha chiaramente messo in evidenza.

Lo ricordo, gli scafisti: hanno tenuto nascosti i migranti sottocoperta per tutta la traversata, in condizioni disumane;

hanno utilizzato, con ogni probabilità, un dispositivo in grado di inibire la trasmissione e la ricezione di onde radio;

hanno scelto di sostare molte ore davanti alle coste calabresi per sbarcare di notte ed evitare di essere intercettati dalle forze dell’ordine;

hanno cercato di sbarcare in un luogo isolato, anziché in un porto dove i migranti avrebbero potuto ricevere soccorso;

sentendosi minacciati, hanno compiuto una virata azzardata che ha determinato il naufragio.

Alla gravità di questa condotta criminale facevo riferimento quando, con commozione, sdegno e rabbia e negli occhi l’immagine straziante di tutte quelle vittime innocenti, ho fatto appello affinché la vita delle persone non finisca più nelle mani di ignobili delinquenti, in nessun modo volendo colpevolizzare le vittime.

Mi dispiace profondamente che il senso delle mie parole sia stato diversamente interpretato.

La sensibilità e i principi di umana solidarietà che hanno ispirato la mia vita personale, sono stati il faro, negli oltre trent’anni al servizio delle istituzioni e dei cittadini, di ogni mia azione e decisione.

Sono questi i valori che mi hanno guidato quando mi sono dovuto confrontare con l’accoglienza e l’integrazione di persone vulnerabili, con la salvaguardia di posti di lavoro, con il sostegno a persone in difficoltà e il soccorso in occasione di calamità.

Penso che su una cosa siamo tutti d’accordo.

Se vogliamo evitare che chi scappa da guerre, persecuzioni e povertà affidi la sua vita a trafficanti di esseri umani, dobbiamo scardinare il business dell’immigrazione illegale attraverso politiche sempre più efficaci di contrasto in qualsiasi direzione necessaria.

In questo senso, combattere gli scafisti ed i loro fiancheggiatori è indispensabile.

Non possiamo rassegnarci, e non lo faremo, all’idea che i flussi migratori siano gestiti da criminali senza scrupoli, né all’accettazione passiva di una migrazione senza regole, principale causa delle tragedie in mare.

Vi ringrazio per l’attenzione”.

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