15 Ottobre 2024

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Intimidazione a Raffaele Cesario, ex consigliere di Cosenza

Intimidazione a Raffaele Cesario, ex consigliere di Cosenza
Raffaele Cesario

COSENZA – Una busta con 5 bossoli e una lettera di minacce è stata ricevuta nei giorni scorsi dall’ex consigliere comunale di Cosenza, Raffaele Cesario. L’episodio si riferisce a domenica scorsa. L’intimidazione è stata denunciata dall’esponente politico lunedì alla Questura di Cosenza. Del fatto, il questore di Cosenza, Luigi Liguori ne ha dato notizia al procuratore capo della Repubblica di Cosenza, Dario Granieri.

Gli investigatori della Digos cosentina indagano sulla provenienza dei bossoli e del suo potenziale e intendono esaminare la lettera di gravi minacce inclusa nella busta. Non si escludono collegamenti con una vecchia intimidazione che Raffaele Cesario subì nel 2011, quando ignoti spararono alcuni colpi di pistola contro i locali del suo centro di formazione professionale allora in via De Rada, a Cosenza.

Nè è da escludersi un ipotetico quanto remoto nesso con la sua recente sfiducia al sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto. Cesario risulta tra i 17 firmatari che hanno provocato lo scioglimento anticipato dell’esperienza amministrativa targata centrodestra. Eletto nel 2011 con l’Udc, Raffaele Cesario entrò in Consiglio comunale in seno alla maggioranza di centrodestra. Dapprima legato politicamente a Gino e Michele Trematerra, padre e figlio dominus dell’Udc (ora Area popolare con Ncd) in provincia di Cosenza, in seguito aveva scelto la strada dell’autonomia sempre in area centrista. Persona apprezzata da molti, Cesario è imprenditore nel settore della formazione professionale.

Incubo terrorismo in Belgio e Francia. 4 fermi a Parigi

Polizia francese a Parigi in presidio anti terrorismo
Polizia francese a Parigi in presidio anti terrorismo (Ansa/Epa)

Dopo il blitz anti terrorismo di ieri delle forze speciali belghe a Forest, oggi è toccato alla Francia alzare il livello di guardia per un attacco definito “imminente”. Quattro persone sono state fermate stamattina all’alba nella diciottesima circoscrizione di Parigi e nella vicina banlieue di Saint-Denis.

I fermati sono sospettati di voler compiere nei prossimi giorni nella capitale. I quattro sospetti terroristi a Parigi sono attualmente in stato di fermo. Si tratta di tre uomini e una donna. Due sono fratelli francesi di origine turca, Aytac e Ercan B. Il terzo, Youssef E., è un francese islamico radicale già noto ai servizi antiterrorismo. La donna fermata sarebbe la compagna di quest’ultimo. Il francese, 28 anni, fu arrestato nel 2014 quando stava per partire per la Siria e unirsi alla jihad. Condannato a 5 anni, si era visto commutare la pena in arresti domiciliari l’anno scorso. Hollande, minaccia terrorista resta elevatissima.

In Belgio è invece caccia all’uomo. Due persone sono state fermate e rilasciate nel pomeriggio a Bruxelles, ma i due terroristi scappati dopo la sparatoria di ieri a Forest, dove ne è rimasto ucciso uno, sono ancora in fuga. Una bandiera dell’Isis è stata ritrovata dentro l’appartamento da cui è partita ieri a Bruxelles la sparatoria contro la polizia. Trovati anche 11 caricatori per kalashnikov e munizioni.

I due arrestati e rilasciati sono fratelli, già conosciuti dalle forze di polizia belga. Non è ancora stato determinato il legame tra i due che erano stati fermati e le due persone in fuga dall’appartamento della sparatoria di rue Dries a Forest.

Alcuni media belgi avevano riportato in mattinata un identikit di un uomo sui 25-28 anni, di origine nordafricana, carnagione olivastra, grandi occhiali, capelli corti, sopracciglia folte, magro e alto 1,85 metri, labbra affilate, naso grosso, con un cappellino bianco, e girato a tutte le polizie del Belgio. Ma l’immagine del sospetto coinvolto nella sparatoria non è stata finora diffusa pubblicamente né confermata dalla Procura federale.

Giorgia Meloni tira dritto e si candida. Implode il Centrodestra

Giorgia Meloni al Pantheon
Giorgia Meloni al Pantheon (Ansa/Carconi)

Giorgia Meloni si candida a sindaco di Roma. “Sono venuta ad annunciare dopo attenta e accurata riflessione – ha detto la leader di Fratelli d’Italia davanti al Pantheon – che ho deciso di correre per la carica di sindaco di Roma. Bisogna tornare all’orgoglio di essere romani: prima c’era l’orgoglio di essere cittadino romano, ora si pensa ai topi, a mafia capitale: sono spaventata che i cittadini non ci credano più. Bisogna tornare all’orgoglio di dire “civis romanus sum”, bisogna alzare la testa. Credo che una donna debba scegliere liberamente, nessun uomo può dire ad una donna cosa deve fare o non fare. Per questo ho scelto di scendere in campo anche se incinta. E Roma ha come simbolo una lupa che allatta due gemelli. Avrei preferito godermi i mesi più belli per una donna in un altro modo, ma ho sempre considerato che se non ci fosse stata un’opzione migliore la mia candidatura sarebbe stata in campo”.

“Non ci sarà l’ombra di Alemanno, i romani sanno che non c’è nessun rapporto con Alemanno che sta fondando un nuovo movimento alternativo a FdI. Ci sarà discontinuità rispetto agli errori del passato”, ha detto Giorgia Meloni.

Giorgia Meloni ha poi fatto un appello a Guido Bertolaso: “Il tuo curriculum è valore aggiunto, dacci una mano, vieni qui, lavoriamo ancora insieme. Bertolaso non è riuscito a tener compatta la coalizione e a scaldare il cuore dei romani. Dico a Bertolaso: non farti strumentalizzare, si può fare ancora insieme. Non mi interessa la leadership del centrodestra, mi interessano i romani. Voglio fare un appello a Salvini, a Berlusconi e a tutto il campo del centrodestra: aiutatemi a non lasciare Roma ai 5 stelle, vinciamo insieme, si può fare”.

A chi le chiede quale potrebbe essere un suo primo provvedimento, Meloni risponde: “Distribuire servizi sociali secondo anzianità di residenza, prima ai romani”.

“Ringrazio Berlusconi per la solidarietà ma quello che la Meloni può e non può fare credo debba sceglierlo la sottoscritta”: a dirlo è la candidata sindaco di Roma Giorgia Meloni che commenta, ospite a Otto e mezzo su La7, le dichiarazioni di Silvio Berlusconi. “Ci sono centinaia e centinaia di mamme che lavorano e fanno cose straordinarie” aggiunge.

“I giochi ormai sono fatti anche a Roma: abbiamo in campo i migliori candidati che potevamo trovare, come Parisi a Milano e Meloni a Roma”, ha detto il leader della Lega Nord, Matteo Salvini. “Adesso si incomincia a lavorare pancia a terra – aggiunge il segretario federale del Carroccio – ma siamo ancora disponibili ad accogliere chi ci vuole seguire. Forza Italia, se cambia idea, ben venga. I nostri candidati devono avere come priorità la sicurezza, perché una cosa è certa: gli italiani vogliono vivere in città sicure”.

Poi rispetto al rapporto con Berlusconi, Salvini dice: “Mi dispiace di avere un po’ litigato, in questi giorni, con Silvio Berlusconi. Dovevo andare a Canale 5, domani mattina, ma adesso mi hanno detto di non andare…”. “A Berlusconi avevo chiesto di candidare persone nuove, pulite – ha aggiunto – ma lui fa fatica a capire come questo sia importante. Pazienza, vuol dire che per ora andiamo da soli dove necessario”.

Già da stamani, Matteo Salvini aveva espresso sostegno alla leader di Fratelli d’Italia: “Sosterrò la Meloni. A Milano abbiamo PARISI, sostenuto da squadra forte e compatta, a Roma non c’erano le condizioni”.

“Non mi ritiro, vado avanti come una ruspa”: così il candidato sindaco di Roma Guido Bertolaso ai microfoni di “Un Giorno da Pecora”. “Io tradito dalla candidatura della Meloni? I politici hanno un’idea e il giorno dopo la cambiano. Io non sono un politico ma un tecnico, sono stati loro tre a chiedermi di candidarmi e io l’ho fatto”, ha spiegato Bertolaso, ospite del programma. Cosa risponderebbe quindi alla Meloni? “Che vado avanti come mi avevano chiesto due mesi fa – ha detto Bertolaso a Radio2 – e vado avanti come una ruspa”. Vi sentirete con la neo candidata a sindaco di Roma? “Si, le scriverò stasera”. Cosa le scriverà? “Le scriverò: cara Giorgia, io continuo a volerti bene nonostante tutto. E poi le manderò sette rose rosse”, ha concluso.

Berlusconi: ‘Avanti con Bertolaso, vincerà’ – “Ho quasi la certezza che Guido Bertolaso vincerà al primo turno con la sua lista civica che sarà affiancata da quella di Forza Italia”. Alla domanda se ci sarà un arretramento rispetto alla candidatura di Guido Bertolaso, Berlusconi ha replicato: “Assolutamente. Abbiamo messo mesi per convincere il dottor Bertolaso a mettere da parte i programmi che aveva, tra l’altro insieme a me, di costruzione di ospedali nei Paesi poveri e di dedicarsi alla sua città, che è la Capitale, che è in una situazione di degrado dopo anni di mal governo. Con tutti gli altri leader del centrodestra lo abbiamo convinto, lo abbiamo confermato con dichiarazioni pubbliche comuni, improvvisamente ci sono questi cambiamenti. Purtroppo devo prendere atto che c’è gente che cambia idea al cambiar della temperatura e dell’umidità”.

Quanto a Salvini, Berlusconi ha affermato: “Penso che si sia fatto mal consigliare dai suoi, e si sia fatto trascinare in una logica di scontro locale. I leghisti di Roma sono tutti ex fascisti quindi hanno vecchie liti tra loro che sfociano tutti i giorni. Credo invece che avere un buon sindaco sia quello che interessa i romani. Quindi avendo trovato un fuoriclasse come Bertolaso, mi sembra assurdo cambiare ipotesi. Se qualcuno ha cambiato idea saranno i romani a trarre le conclusioni”.

Berlusconi ha detto di non temere che la presenza di piu’ candidati di centrodestra porti alla sconfitta: “abbiamo una lunga campagna davanti. Bertolaso pian piano verrà conosciuto da tutti i romani per tutte le grandi cose che ha fatto. I romani, che come tutti gli italiani in questo momento sono disgustati dalla politica, non guarderanno alle loro simpatie politiche ma al proprio bene, e cioè avere qualcuno che possa togliere la loro città dal degrado”. (Ansa)

Droga per la movida cosentina. Un arresto a Cosenza

Droga per la movida cosentina. arrestato Luca Arcuri a Cosenza
Luca Arcuri

La Squadra Volante della Questura di Cosenza ha arrestato un giovane di 29 anni ,Luca Arcuri, con precedenti di polizia, poiché ritenuto presunto responsabile di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo hashish.

In particolare gli agenti in servizio di prevenzione e repressione del traffico di sostanze stupefacenti incrociavano in questa piazza Tommaso Campanella una Peugeot 207 che alla vista degli operatori cercava di eludere il controllo.

Il personale dell’Upgsp, spiega una nota della Polizia di Stato, si è posto subito all’inseguimento dell’autovettura sospetta che è stata intercettata e fermata in via Lungo Busento Tripoli dove gli uomi del Questore Luigi Liguori hanno sottoposto a perquisizione il conducente Luca Arcuri trovandolo in possesso, celato nella tasca della tuta, di un panetto di hashish per un peso complessivo di circa 100 grammi. Lo stupefacente era presumibilmente destinato al fiorente mercato della movida serale dei più giovani che ogni sera invadono le strade cittadine ricomprese nella zona di Corso Mazzini, Via Alimena e Santa Teresa.

Sulla base degli elementi raccolti a suo carico Arcuri è stato arrestato per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo hashish, e dopo le formalità di rito è stato tradotto presso il proprio domicilio in regime degli arresti domiciliari come disposto dall’ autorità giudiziaria competente tempestivamente informata dalla Polizia dell’attività espletata.

L’inchiesta sui mandamenti di Mafia inchiodati a Palermo. I dettagli

blitz anti mafia carabinieri palermo

Nella mattinata odierna in Palermo e provincia i Carabinieri del R.O.S. e del Gruppo di Monreale nel corso di un’operazione congiunta hanno dato esecuzione a due distinte ordinanze di custodia cautelare, emesse dal G.I.P. del Tribunale di Palermo, Guglielmo Ferdinando Nicastro, su richiesta della locale Procura Distrettuale diretta da Francesco Lo Voi, complessivamente nei confronti di 62 soggetti , ritenuti presunti responsabili, a vario titolo, dei delitti di partecipazione ad associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento ed incendio, ricettazione, favoreggiamento, trasferimento fraudolento di valori e reati in materia di armi, tutti aggravati dal metodo e dalla finalità mafiosa. Contestualmente sono stati posti sotto sequestro beni, imprese e società riconducibili in parte all’associazione mafiosa ed in parte ai singoli indagati.

L’operazione è frutto di due parallele manovre investigative sviluppate nel tempo in direzione dei mandamenti di Villagrazia – Santa Maria di Gesù (ROS) e San Giuseppe Jato (Gruppo di Monreale) che hanno avuto significative tangenze in occasione delle dinamiche inerenti la riorganizzazione di quest’ultima struttura e della dipendente famiglia di Altofonte.

Le indagini coordinate dai procuratori aggiunti Leonardo Agueci e Vittorio Teresi nonché dai sostituti Sergio Demontis, Francesca Mazzocco, Francesco Del Bene, Amelia Luise e Siro Deflammineis sono state avviate su obiettivi strategici individuati sulla scorta della pregressa attività di indagine denominata “Nuovo Mandamento” che nell’aprile 2013 aveva impedito la ricostruzione territoriale di Cosa Nostra nell’area occidentale della provincia di Palermo.

L’indagine condotta dal ROS, denominata “BRASCA” come l’area rurale posta alle pendici del monte Grifone, ha interessato inizialmente la famiglia di Villagrazia per poi estendersi anche a quella di Santa Maria di Gesù, registrando inoltre rilevanti interlocuzioni con esponenti apicali dei mandamenti di Corleone, Pagliarelli, San Giuseppe Jato nonché delle famiglie di Altofonte, Monreale, Piana degli Albanesi e Belmonte Mezzagno.

L'inchiesta sui mandamenti di Mafia azzerati a Palermo
Un frame del video dei Carabinieri

L’attività investigativa, avviata sin dal novembre 2012 a seguito dell’indagine denominata “Nuovo Mandamento” che aveva fotografato la ricostruzione territoriale di Cosa Nostra nell’area occidentale della provincia di Palermo, ha documentato il ruolo di MARCHESE Mario inteso Mariano quale vertice del mandamento di Villagrazia – Santa Maria di Gesù e della famiglia di Villagrazia; questi, storico uomo d’onore e da sempre legatissimo a CAPIZZI Benedetto, si è avvalso prevalentemente di PIPITONE Antonino, anch’egli affiliato dalla lunga militanza, e ADELFIO Vincenzo, incensurato ma esponente dell’omonimo e noto gruppo familiare, cui sono rispettivamente demandati il coordinamento operativo della famiglia di Villagrazia, con le connesse problematiche interne al mandamento, ed il controllo del territorio.

E’ stato inoltre ricostruito l’organigramma della famiglia di Villagrazia con l’individuazione degli appartenenti, taluni dei quali mai emersi in attività investigative pur essendo affiliati da lungo tempo, e/o degli avvicinati: ADELFIO Antonio, ADELFIO Filippo, il detenuto CAPIZZI Benedetto (già condannato per associazione mafiosa), CAPIZZI Antonino (già condannato per associazione mafiosa), CAPIZZI Pietro, CAPIZZI Salvatore Maria, DI BLASI Salvatore, DI BLASI Pietro, GAMBINO Fabrizio, MESSINA Giovanni, RIBAUDO Gregorio e TUSA Giovanni.

VIDEO DELL’OPERAZIONE “BRASCA” CON INTERCETTAZIONI

Le acquisizioni hanno consentito di avere cognizione del ferreo ed ortodosso rispetto delle regole di Cosa Nostra da parte degli esponenti della famiglia di Villagrazia secondo il paradigma evidenziato dai primi collaboratori di Giustizia (in particolare BUSCETTA Tommaso e CONTORNO Salvatore) ed enucleato negli atti dello storico maxi processo.

In particolare, è stata accertata:

– la rigida osservanza del divieto di rivelare l’appartenenza all’organizzazione o di affrontare argomenti ad essa inerenti con soggetti che, pur in rappresentanza di altri mandamenti, non erano stati introdotti secondo modalità e canali appropriati; la mancanza di riservatezza nella gestione delle informazioni e/o comunicazioni da parte di membri di altri mandamenti è stata fortemente stigmatizzata da alcuni degli indagati per le possibili conseguenze giudiziarie (Vossia è lo zio Mariano?… si… con chi ho il piacere di parlare… ci manda … lo zio Gregorio… abbiamo il mandamento nelle mani noi altri…. fermati là… non lo voglio sapere);

– l’attuale vigenza della presentazione rituale sia sotto il profilo della necessaria presenza di un terzo che possa garantire la qualità di uomo d’onore degli interventuti, sia del mai abrogato uso della formula “questo è la stessa cosa” per introdurre un altro affiliato; lo scopo è di evitare che nei contatti fra soggetti combinati si possano inserire estranei, apprendendo notizie la cui conoscenza è riservata ai soli uomini d’onore (… mi ha detto che era “la stissa cuosa”);

– il dovere di sostegno imprescindibile sia nei confronti dei reclusi della propria famiglia e, talvolta per motivi di opportunità e/o legami peculiari, anche verso i membri di altre articolazioni mafiose; il supporto economico è ovviamente assicurato mediante il ricorso ad attività illegali e si intensifica soprattutto in occasione delle festività ovvero a seguito di particolari condizioni (es. una infermità come nel caso di CAPIZZI Benedetto, già capo commissione in pectore ai tempi del tentativo di ricostituzione dell’organismo collegiale di vertice nel 2008) (… e perchè c’è qualche carceratieddu ed è giusto che uno ci deve pensare…);

– l’assoluto divieto di ricorso alla giustizia statuale, sostituita da una sorta di autotutela mafiosa da attuare attraverso l’interessamento degli altri referenti mafiosi;

– il rispetto dell’obbligo di protezione dei ricercati, documentato nelle prime fasi successive all’omicidio di TUSA Giovanni Battista, già indicato come uomo d’onore, ucciso il 19.03.13 dal cognato GAMBINO Vincenzo, poi invitato a consegnarsi per evitare la presenza di organismi investigativi sul territorio di riferimento;

  • il permanere dei requisiti morali richiesti ai candidati all’ingresso in Cosa Nostra, già sintetizzato nell’”assoluta mancanza di  vincoli  di  parentela  con «sbirri»”; in tal senso è stata stigmatizzata la scelta del capo del mandamento di San Giuseppe Jato di aver appoggiato in posizione di rilievo della famiglia di Altofonte la nomina di un esponente che, benchè cognato dell’ex latitante RACCUGLIA Domenico, è Sottufficiale dell’Esercito; il medesimo netto rifiuto era manifestato anche nei confronti di soggetti legati con congiunti di magistrati (… là nel portone gli abbiamo fatto la croce! ha fatto a sua figlia fidanzata con… un magistrato ma prima ci si teneva a tutte queste cose… minchia ora si sposano con  gli sbirri!… Con i carabinieri…). Altra dote indispensabile per i futuri affiliati è la totale dedizione all’organizzazione che prevale sempre anche sulle esigenze della famiglia di sangue (lasciavo la qualsiasi cosa… tutto…pure a mia moglie al momento che partoriva lasciavo io!).

Un aspetto sconosciuto attestato dalle attività è rappresentato invece dalla consuetudine che le spese funebri in occasione della morte degli affiliati siano sostenute dall’organizzazione (Zu Vicè mi dica una cosa…so … che quando muore uno un amico nostro… che… è cosi… gli fate il …il funerale); se tale pratica poteva essere intuita, soprattutto per gli esponenti di maggior prestigio, in realtà mai prima d’ora se ne era ottenuta conferma.

Altro dato significativo nell’ottica dell’approfondimento della conoscenza del fenomeno mafioso è l’aver individuato l’esatta demarcazione territoriale della famiglia di Villagrazia che consente, da un lato, di comprendere appieno le diatribe sulla competenza dei sodalizi contermini nelle attività estorsive e, dall’altra, di precisare di conseguenza i confini delle altre articolazioni mafiose. In particolare, oltre all’omonima borgata palermitana, il territorio della menzionata articolazione mafiosa comprende anche la frazione Villaciambra, inserita nel comune di Monreale, e alcune aree ricadenti nel comune di Altofonte.

LA FAMIGLIA DI SANTA MARIA DI GESÙ

Le emergenze operative hanno poi consentito di certificare l’appartenenza di taluni soggetti alla famiglia di Santa Maria di Gesù, facente parte del medesimo mandamento unitamente alla famiglia di Villagrazia, il cui esponente apicale è stato individuato in GRECO Giuseppe (già condannato per associazione mafiosa e dal dicembre u.s. detenuto a seguito dell’operazione TORRE DEI DIAVOLI condotta sempre dal ROS) che, nello svolgimento di detto incarico, si è avvalso della collaborazione di TAORMINA Mario (in passato destinatario di altra misura cautelare per associazione mafiosa).

All’interno dell’articolazione mafiosa in argomento si è individuata una fazione legata al detenuto PULLARA’ Ignazio, già reggente, e costituita dal figlio PULLARA’ Santi nonché da DI MARCO Gaetano (già condannato per associazione mafiosa), DI MARCO Francesco e GIORDANO Alfredo (insospettabile direttore di sala al noto Teatro Massimo del capoluogo). Questi ultimi, distinguendosi dal gruppo operante sul quartiere Guadagna ed oggetto del menzionato intervento repressivo, si riunivano prevalentemente presso una marmeria già indicata negli anni ’90 quale luogo di appuntamenti degli appartenenti al sodalizio mafioso e punto di smistamento dei messaggi e/o pizzini tra BAGARELLA Leoluca  e BRUSCA Giovanni. Tra i soggetti inseriti nella famiglia di Santa Maria di Gesù sono stati inoltre identificati MONDINO Girolamo (già condannato per associazione mafiosa) e MACALUSO Antonino, soggetto questo ultimo a cui era delegata la gestione di beni della famiglia PULLARA’.

Sono stati inoltre acquisiti elementi inediti circa la causale dell’omicidio di CALASCIBETTA Giuseppe inteso faccia di umma, ucciso a colpi di pistola il 19.09.11 mentre ricopriva verosimilmente la carica di reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù. Secondo quanto captato, prima di morire, il soggetto avrebbe trattenuto per sé 30.000,00 euro raccolti da ADELFIO Vincenzo il quale, alla successiva richiesta di GRECO Giuseppe, avrebbe confermato l’avvenuta consegna. Tale fatto, unitamente ad altri episodi non specificati, era considerato da parte degli appartenenti alla famiglia di Villagrazia il movente dell’eliminazione di CALASCIBETTA Giuseppe.

I RAPPORTI INTERMANDAMENTALI

Oltre ad essere il vertice della propria articolazione, MARCHESE Mario è stato un sicuro riferimento per le organizzazioni mafiose confinanti quali i mandamenti di Corleone, Pagliarelli e San Giuseppe Jato (relazionandosi con esponenti delle famiglie di Altofonte, Monreale e Piana degli Albanesi, tutte inserite in quest’ultimo mandamento) nonché con la famiglia di Belmonte Mezzagno.

Dalle indagini è emerso che AGRIGENTO Gregorio (storico uomo d’onore già condannato per associazione mafiosa) aveva tentato di accreditarsi presso MARCHESE Mario quale vertice del mandamento di San Giuseppe Jato (all’interno del quale era in atto una ristrutturazione) e che, in sostituzione di MARFIA Giuseppe inteso Lupiddu (già reggente della famiglia di Altofonte, arrestato nell’indagine “Nuovo Mandamento” e legato a MARCHESE Mario), aveva designato i nuovi rappresentanti della famiglia di Altofonte (DI MATTEO Andrea, TERRASI Salvatore e SERBINO Giuseppe). I precedenti contatti tra MARCHESE Mario e MARFIA Giuseppe erano peraltro assicurati da SEGRETO Enrico, deceduto alcuni mesi fa per cause naturali; pare interessante evidenziare che, con l’arresto di MARFIA, il suo imprenditore di riferimento INCHIAPPA Giovanni Battista (in passato segnalato per associazione mafiosa ed intestazione fittizia di beni) si sia avvicinato a MARCHESE Mario pur essendo questi inserito in un diverso mandamento.

Le interlocuzioni tra AGRIGENTO Gregorio e MARCHESE Mario erano assicurate da RIOLO Giuseppe (capo della famiglia di Piana degli Albanesi) che, in quella fase, agiva anche quale emissario del mandamento di Corleone. Per quanto concerne i rapporti tra la famiglia di Villagrazia e quella di Monreale, è stato accertato il legame esistente tra MARCHESE Mario, LA CIURA Carmelo e BILLECI Domenico (anche questi ultimi due tratti in arresto con la citata indagine “Nuovo Mandamento”).

Sono stati inoltre documentati i rapporti degli esponenti principali della famiglia di Villagrazia con taluni soggetti paritetici che, nelle more dell’emissione della misura cautelare, sono stati progressivamente attinti da altri provvedimenti restrittivi:

– LEONFORTE Atanasio Ugo, reggente della famiglia di Ficarazzi, arrestato nel giugno 2014 nel quadro dell’operazione RESET del Nucleo Investigativo CC di Palermo;

– PERRONE Giuseppe inteso Massimo, esponente apicale del mandamento di Pagliarelli poi destinatario di misura cautelare nel maggio 2015 a seguito dell’operazione VERBERO del Nucleo Investigativo CC di Palermo;

– LO BUE Rosario, capo del mandamento di Corleone destinatario di o.c.c. in carcere a seguito dell’operazione GRANDE PASSO 3 del Nucleo Investigativo CC di Monreale;

– BISCONTI Filippo Salvatore, uomo d’onore della famiglia di Belmonte Mezzagno, sottoposto a fermo nell’ambito dell’operazione JAFAR del Nucleo Investigativo CC di Palermo.

I REATI 

Grazie alla complessiva manovra investigativa svolta è stato acclarato il sinergico agire delle due articolazioni del mandamento di Villagrazia – Santa Maria di Gesù nella riscossione dei proventi estorsivi e, per quanto concerne il territorio di Villagrazia, un controllo puntuale e diffuso nei confronti delle imprese o esercizi commerciali da sottoporre a messa a posto o a richiesta di pizzo; nel complesso, esclusivamente grazie alle attività tecniche, sono stati infatti acclarati 11 episodi estorsivi consumati da alcuni degli indagati nei confronti di imprenditori e commercianti.

Proprio l’esigenza di provvedere a tali prelievi forzosi ha confermato il perdurante legame tra gli affiliati in libertà e quelli detenuti che dai primi ricevono il sostegno economico; in particolare è stata accertata una serie di c.d. messe a posto, anche di rilevante entità, nei confronti di imprese impegnate nella realizzazione di complessi edilizi sia in città che nella frazione Villaciambra, amministrativamente facente parte del comune di Monreale ma storicamente “annessa” al territorio della famiglia di Villagrazia.

Nell’ambito della indagine è stato altresì documentato che ADELFIO Vincenzo, ritenendo di non essere stato trattato con il dovuto rispetto dal direttore di un ufficio postale sito nel capoluogo, aveva chiesto a MARCHESE Mariano l’autorizzazione per realizzare una azione intimidatoria che veniva successivamente perfezionata con la commissione del danneggiamento della autovettura della vittima designata.

I SEQUESTRI

Sotto il profilo del contrasto al circuito economico illegale ed alle fonti di illecito arricchimento si segnala il sequestro preventivo dei seguenti beni, intestati in parte a prestanome, il cui valore ammonta a non meno di 3 milioni di euro:

– terreni e locali commerciali riconducibili alla famiglia PULLARA’ e gestiti da MACALUSO Antonino;

– conto corrente intestato a MACALUSO Antonio;

– impresa individuale DI MARCO MARMI di DI MARCO Francesco, impiegata dagli indagati per incontri e riunioni;

  • macelleria DI MAGGIO Antonina, gestita da CAPIZZI Salvatore Maria e luogo di incontro degli indagati;
  • quote, rapporti finanziari e complesso aziendale della BINGO.IT s.r.l. controllata dalla BINGO & GAMES s.r.l., proprietaria di una sala bingo riconducibile alla famiglia ADELFIO e capace di generare un fatturato annuo di quasi due milioni di euro;

– quote del 20% della ERREGI s.r.l., riconducibile alla famiglia ADELFIO;

  • impresa individuale LOMBARDO Giuseppina, riconducibile a PULLARA’ Santi.

SEGUE MANDAMENTO DI SAN GIUSEPPE JATO

LE INDAGINI SUL MANDAMENTO DI SAN GIUSEPPE JATO

LA FAMIGLIA DI SAN GIUSEPPE JATO

Dopo l’azzeramento del mandamento di San Giuseppe Jato a seguito dell’operazione   condotta nell’aprile 2013, il nuovo schieramento approfittava del temporaneo vuoto di potere venutosi a creare per imporsi, come nuova forza emergente, mediante una lunga serie di danneggiamenti ed atti intimidatori nei confronti di quei soggetti che fino a quel momento si erano dimostrati vicini al vecchio potere mafioso. La situazione venutasi a determinare creava una grande tensione tra le due fazioni, l’una rappresentata da AGRIGENTO e dalle persone a lui vicine – su tutti, BRUNO Ignazio, già sorvegliato speciale, e ALAMIA Antonino, barbiere – e l’altra da DI LORENZO Giovanni, inteso la morte, operaio edile, pregiudicato, il quale cercava nel marasma di gestire gli interessi dei vecchi, legati a MULE’ Salvatore, vecchio capo mandamento, condannato a 19 anni di carcere e recluso al regime del 41 bis OP. Infatti, tra il giugno 2013 ed i primi mesi del 2014, si potevano contare otto atti intimidatori ed incendi in danno di persone che erano considerate vicine a MULE’.

Al fine di fronteggiare la fazione avversaria, DI LORENZO Giovanni cominciava ad approvvigionare armi preoccupandosi non solo di tutelare la propria incolumità da atti violenti, ma anche di porre in essere una serie di atti intimidatori.

Così, ad esempio, la notte tra il 18 ed il 19 gennaio del 2014, venivano uccisi numerosi bovini a LONGO Giovanni – un allevatore già tratto in arresto nell’operazione “Nuovo Mandamento”, vicino a MULE’ Salvatore – in quanto accusato di avere trattenuto per sé una ingente somma di denaro destinata alla famiglia del detenuto MULE’ Salvatore, con la quale aveva acquistato un’autovettura, incendiata il 31 dicembre 2013, e gli stessi bovini, poi uccisi. Il 31 gennaio successivo, a seguito di mirata perquisizione eseguita presso un’area agricola ubicata alla periferia di San Giuseppe Jato, di proprietà di TARTARONE BUSCEMI Giuseppe, venivano rinvenute, all’interno della stalla, occultate tra le balle di fieno, due pistole calibro 7.65, un fucile a canne mozze calibro 12, numerose munizioni e due passamontagna. Le armi erano tutte perfettamente funzionanti, pronte all’uso e con il colpo in canna.

Privato dell’arsenale di cui la fazione legata a MULE’ Salvatore aveva la disponibilità, il DI LORENZO iniziava così una nuova spasmodica ricerca di armi e relative munizioni. L’attività investigativa consentiva infatti di documentare la compravendita di una pistola ad opera di GIORLANDO Antonino, imprenditore edile di Monreale, e la consegna di altra arma, calibro 32, da parte di FERRARA Vincenzo di San Cipirello al DI LORENZO.

Nel frattempo, la tensione venutasi a creare tra le due fazioni si risolveva solo formalmente con due riunioni tenutesi il 23 febbraio ed il 9 marzo 2014, tra i due schieramenti, ed in particolare tra il capo della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato, BRUNO Ignazio, ALAMIA Antonino, il cassiere, e D’ANNA Giuseppe, capo decina, da un lato, e DI LORENZO Giovanni e LICARI Vincenzo, locale imprenditore edile, dall’altro. Nel corso degli incontri veniva stabilita una pax mafiosa nel mandamento della valle dello Jato. Al riguardo, il DI LORENZO così si esprimeva: “Eh, io sono stato chiamato da un paio (di persone, ndt) per fare appaciare (per fare la pace, ndt)…..facciamo l’appaciata (la pace, ndt) e poi si vede!….Domenica ho avuto una riunione, gliel’ho detto, le cose quando sono rapportate, di qua che arrivano da te…omissis…gli ho detto, triplicano le cose!…omissis…Gli ho detto, e poi succedono le male lingue!……Minchia,!…. Minchia,  ieri parole pesanti!….Io non mi spavento di te, tu non ti spaventi di me! Pitipum pitipam …Nca tirami (sparami, ndt), vediamo! Tirami! Se hai l’abilità mi tiri!….Ci deve essere un altro incontro per fare un’appaciata con tutti!”.

Invero le acquisizioni investigative dimostravano che, nonostante i chiarimenti avvenuti in più occasioni, non si giungeva mai ad una comunione di intenti tra le due fazioni, anzi il contrasto tra le stesse si riacutizzava, tanto che lo schieramento riconducibile a MULE’ Salvatore, nella persona di DI LORENZO Giovanni, si adoperava per reperire ulteriori armi. Il 4 novembre 2014, lo stesso DI LORENZO veniva tratto in arresto in quanto sorpreso in possesso di una pistola replica a salve, mod. 92 Beretta, modificata e perfettamente funzionante per camerare ed esplodere cartucce calibro 7,65. Nel corso dell’attività veniva anche identificato e tratto in arresto anche BISICCE’ Raffele, della zona Bonagia di Palermo, soggetto che aveva modificato e fornito l’arma al DI LORENZO.  La successiva perquisizione eseguita presso la abitazione del BISICCE’ consentiva di rinvenire una pistola calibro 10,35 perfettamente funzionante, centinaia di munizioni di diverso calibro, oltre che l’attrezzatura per produrle.

L’insediamento del nuovo potere mafioso si accompagnava ad una recrudescenza di episodi delittuosi, nella fattispecie estorsioni e danneggiamenti anche di ingente entità economica, che inducevano, segnando un incontrovertibile cambio di tendenza, taluni operatori economici ad abbandonare l’atteggiamento omertoso ed a rivolgersi ai Carabinieri per denunciare le richieste estorsive subite, permettendo, con le loro rivelazioni, di individuare ed accertare la responsabilità penale degli indagati.

Più in generale, nell’azione di prevenzione e contrasto al fenomeno estorsivo i Carabinieri  si sono altresì avvalsi sul territorio del rapporto consolidato nel tempo con l’associazione antiracket Addiopizzo.

Nel corso dell’attività di indagine si acquisivano elementi di prova a carico di una serie di soggetti dediti al furto ed alla ricettazione di mezzi d’opera ed autovetture nelle province di Palermo, Agrigento e Reggio Calabria, tra cui ZINNA Saverio, della zona Borgonuovo di Palermo, venditore ambulante nel settore ortofrutticolo, pregiudicato per reati contro il patrimonio e la persona, al quale i mafiosi di San Giuseppe Jato si erano rivolti per organizzare incontri al fine di recuperare mezzi da reimpiegare nelle loro illecite attività. In tale contesto venivano rinvenuti e restituiti ai legittimi proprietari i mezzi provento di furto.

Nell’ambito delle indagini sono stati condotti mirati approfondimenti sulla famiglia mafiosa di Monreale, una delle articolazioni più rilevanti del mandamento di San Giuseppe Jato, anche in considerazione della posizione strategica per la vicinanza alla città di Palermo. Nell’aprile del 2013 l’operazione “Nuovo Mandamento” aveva disvelato il nuovo organigramma del sodalizio mafioso diretto da MADONIA Vincenzo e LA CIURA Carmelo (già condannati per associazione mafiosa), che si erano avvalsi della collaborazione nel territorio di Pioppo di LIBRANTI LUCIDO Giuseppe (imputato per le stesse indagini innanzi alla Corte d’Assise di Palermo), nonché aveva fatto emergere una violenta contrapposizione interna fra i predetti e il gruppo dei soggetti detenuti, culminata con l’episodio della scomparsa, nel marzo 2012, con il metodo della lupara bianca, di BILLITTERI Giuseppe.

Le indagini consentivano di appurare che la riorganizzazione della famiglia era avvenuta sotto la direzione di CIULLA Giovan Battista, fisioterapista a domicilio, privo di precedenti penali, ma addentrato nelle dinamiche mafiose per via dei legami con LA CIURA Carmelo, in quanto “figlioccio” del genero; sulla base di tali presupposti il giovane era stato elevato da semplice soldato a generale, così come esplicitamente asserito nel corso di una intercettazione ambientale, allorquando, affrontando la questione della sua nomina a reggente della famiglia mafiosa, riconducendo il discorso in un ambiente paragonato a quello militare, il CIULLA, appunto, affermava: “A me … mi ha stranizzato allora, quando mi hanno detto … dice … che a te avevano fatto questo vestitino … ho detto: “mah!” … Però ora … quando uno non lo sa portare il vestito …”“Ma nemmeno prima me ne potevo uscire! … Perché purtroppo non è che è una cosa di ora! … E’ una cosa di sempre! …”“… solo che prima io ero solo … che … “ ”Un soldato eri!…” ”… partivo … nel momento di bisogno! …” “Il soldato … ora è diventato generale! …”.

Gli approfondimenti investigativi permettevano di ricostruire l’organigramma della famiglia mafiosa, individuando quale rappresentante CIULLA Giovan Battista, nonché BUZZETTA Onofrio, imprenditore edile, nella qualità di capo decina di Pioppo, e GIORLANDO Giuseppe (già arrestato nel corso dell’operazione “Apocalisse” per estorsione) e RINICELLA Nicola, incensurato, pure loro imprenditori edili, quali sodali.

In particolare, si accertava che CIULLA Giovan Battista era stato voluto dai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato, che avevano imposto la supervisione del loro capo decina, D’ANNA Giuseppe. Il rapporto tra i due si era poi consolidato in occasione delle nozze di D’ANNA, il quale sceglieva CIULLA quale “compare di anello”.

Anche in questo caso è risultato che l’insediamento del nuovo potere mafioso nel territorio Monrealese si è accompagnato ad una recrudescenza di episodi delittuosi, in particolare danneggiamenti e tentativi di estorsioni che vedeva coinvolta la famiglia mafiosa di Monreale.

Il più eclatante di questi, in paese, risultava essere sicuramente l’incendio dell’autovettura in uso a MADONIA Veronica, figlia di MADONIA Vincenzo, avvenuto il  21 maggio 2014 proprio di fronte l’abitazione del vecchio rappresentante della famiglia mafiosa di Monreale, tratto in arresto nell’operazione “Nuovo Mandamento” e condannato in primo grado, il 19 dicembre 2014, a 12 anni di reclusione. L’evento era prova dell’incisiva manifestazione di forza dell’insediamento nel territorio di Monreale del nuovo assetto mafioso che aveva ormai scalzato il vecchio.

All’affermazione della nuova articolazione della compagine mafiosa corrispondeva altresì – come dimostrato nel corso dell’indagine – la volontà di CIULLA Giovan Battista di esercitare un ferreo controllo sui lavori edilizi in corso sul territorio monrealese. Significativa, in tal senso, era l’intercettazione di una conversazione nel corso della quale CIULLA palesava il suo progetto di voler controllare almeno il 60% dei lavori sul territorio nel settore edile: “eh…og…oggi, stasera c’è rompimento di coglioni…dico voglio fare io ora, che almeno il sessanta per cento dei lavori che riguarda scavatori e tutto”,“me la sfrutto io, tutto, io devo riuscire in un anno…”.

In tale contesto si inquadravano alcuni danneggiamenti a scopo intimidatorio avvenuti nei territori di Monreale e Pioppo. Alcuni di questi venivano denunciati dai titolari delle imprese interessate e le indagini comprovavano il diretto coinvolgimento di CIULLA Giovan Battista, BUZZETTA Onofrio e GIORLANDO Giuseppe, sotto la supervisione di D’ANNA Giuseppe.

Il comportamento talvolta spregiudicato di CIULLA faceva emergere profondi contrasti con gli esponenti della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato, a seguito dei quali si rendeva necessario anche il diretto interessamento da parte del capo mandamento Gregorio AGRIGENTO. In particolare, alla base di tali contese, si ponevano le contestazioni mosse al CIULLA il quale deliberatamente non aderiva alle convocazioni dei vertici mafiosi (disertando le riunioni), non gestiva “correttamente” il denaro provento delle attività illecite (in un caso anche impossessandosi di una somma di denaro destinata alla cassa del mandamento) ed infine intratteneva una relazione extraconiugale con la moglie di un detenuto, in violazione delle tradizionali regole di Cosa Nostra.

LA FAMIGLIA DI ALTOFONTE

Le indagini sono state, parallelamente, condotte anche sulla famiglia mafiosa di Altofonte, che è storicamente considerato territorio nevralgico per il dislocamento del controllo di Cosa Nostra nell’ambito della provincia palermitana.

L’attività svolta permetteva di documentare il cambiamento della reggenza dell’articolazione mafiosa di Altofonte dopo l’esecuzione delle ordinanze cautelari emesse nell’ambito dell’operazione “Nuovo Mandamento”. Fino a quella data, il vertice della famiglia era infatti rappresentato da MARFIA Giuseppe, inteso Lupiddu, il quale si avvaleva, in particolare, dell’opera di MARFIA Andrea, inteso Inferno, già custode cimiteriale, per acquisire l’esclusiva dell’esecuzione dei lavori all’interno del cimitero comunale, nonché della collaborazione dei fratelli VASSALLO Giuseppe, detto Pinuzzu, e Girolamo, detto Mommo, ai quali era stata affidata la gestione di tutti i movimenti terra, scavi e trasporto di materiali, e non ultimo il compito di minacciare gli altri imprenditori, inseriti nello specifico settore, al fine di estorcere loro la cosiddetta messa a posto.

A tal riguardo, risultano emblematici i discorsi captati nel corso di una riunione tenutasi tra lo stesso MARFIA, DI BLASI Salvatore, della famiglia di Piana degli Albanesi, e il più volte citato MULE’ Salvatore, all’epoca reggente del mandamento di San Giuseppe Jato; nella circostanza veniva decisa l’estorsione a carico di un allevatore/macellaio, reo di non aver pagato la così detta messa a posto, stimata nella somma di 10.000 euro, per aver attivato un allevamento di bovini a Santa Cristina Gela. Per definire la questione si rendeva addirittura necessaria un’ulteriore riunione tra MARFIA e DI BLASI Salvatore, espressamente delegato da MARCHESE Mario, per mitigare la richiesta estorsiva ai danni del predetto macellaio, atteso che quest’ultimo, essendo proprietario dell’esercizio commerciale sito in Villaciambra di Monreale, risultava tra quei commercianti che pagavano regolarmente il pizzo all’articolazione capeggiata da MARCHESE Mario.

Con l’arresto nel 2013 di MARFIA nell’operazione “Nuovo Mandamento”, venuta a mancare tale figura carismatica, le redini della famiglia mafiosa erano state assegnate transitoriamente a TERRASI Salvatore, cognato dell’ex latitante RACCUGLIA Domenico. Il TERRASI veniva coadiuvato da DI MATTEO Andrea, inteso faccia di porco, imprenditore edile, che in breve tempo avrebbe assunto il ruolo di capo famiglia.

Questo cambio al vertice della famiglia di Altofonte veniva commentato nel corso di una conversazione tra MARCHESE Mario, DI MARCO Gaetano e DI MARCO Francesco all’interno della marmeria di quest’ultimo. Nell’occasione MARCHESE Mario confidava agli interlocutori che DI MATTEO Andrea era il rappresentante della famiglia mafiosa di Altofonte. Anche a seguito dell’avvicendamento, le indagini consentivano di documentare come la famiglia mafiosa continuasse a concentrare la propria attenzione principalmente sul settore degli appalti pubblici e sulla commissione di lavori edili privati, non tralasciando – anche per ragioni di controllo del territorio – l’attività estorsiva nei confronti di commercianti e piccoli imprenditori del luogo.

Nel corso delle indagini si acquisivano anche elementi comprovanti il rientro della famiglia di Altofonte sotto l’influenza del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato in cui tradizionalmente era inserita e dal quale si sarebbe allontanata per alcuni anni, entrando di fatto nell’orbita della famiglia di Villagrazia, più precisamente nel periodo di reggenza del MARFIA, fedelissimo di MARCHESE Mario, inteso Mariano, rappresentante di Villagrazia.

I SEQUESTRI

Nel complesso dell’indagine si confermava come ancora oggi l’edilizia, sia privata che pubblica, rimane una delle attività su cui maggiormente si rivolge l’attenzione di cosa nostra, che nel tempo ha creato, finanziato e accresciuto imprese compiacenti ovvero direttamente gestite ed utilizzate per monopolizzare lo specifico settore sul territorio di competenza. In particolare, venivano individuate quattro imprese operanti nel settore dei lavori edili, espressione economica delle famiglie mafiose di Altofonte e Monreale, riconducibili nello specifico agli indagati BUZZETTA Onofrio, RINICELLA Nicola, GIORLANDO Giuseppe e INCHIAPPA Giovan Battista. Le cointeressenze documentate nel corso dell’attività investigativa consentivano di addivenire al sequestro delle stesse per un valore complessivo di circa 600.000 €, oltre a due locali di proprietà di ALAMIA Antonino, adibiti a barberia e centro estetico, all’interno dei quali venivano realizzati riservati incontri con i vertici di cosa nostra.

Assenteismo, 21 furbetti del cartellino all’Asl di Avellino

Assenteismo, 21 furbetti del cartellino all'Asl di Avellino
La conferenza stampa sull’assenteismo all’Asl di Avellino

Sono 21 misure cautelari interdittive nei confronti di altrettanti presunti furbetti del cartellino ad Avellino. Si tratta di dipendenti della locale Asl tra dirigenti, medici e impiegati che attraverso il distorto utilizzo del badge si assentavano dal posto di lavoro.

Le indagini della Squadra Mobile di Avellino, coordinate dalla procura, vennero avviate l’anno scorso. Nella tarda mattinata, il questore di Avellino, Maurizio Ficarra, e il procuratore Rosario Cantelmo, illustreranno i dettagli dell’operazione in una conferenza stampa nel corso della quale verranno proiettate anche le immagini riprese da telecamere nascoste che hanno incastrato gli indagati.

Anche un beffardo ciao ciao alla macchinetta predisposta per la timbratura del badge e un successivo gestaccio (con tanto di dito medio alzato) compaiono nel video girato con una telecamera nascosta dalle forze dell’ordine e che ha portato a ventuno misure cautelari a danno di altrettanti dipendenti dell’Asl di Avellino. In particolare si vede uno degli indagati che dopo aver timbrato per se’ e per un altro collega irride la macchinetta con un ironico ciao ciao seguito da un gesto volgare.

C’è anche una guardia giurata, addetta alla vigilanza interna, nell’inchiesta che riguarda 21 furbetti del cartellino nella Asl di Avellino e denunciati dalla Squadra Mobile. Il vigilante viene immortalato nelle immagini, mostrate ai giornalisti nel corso della conferenza stampa con il questore di Avellino, Maurizio Ficarra, e il procuratore, Rosario Cantelmo, che ha coordinato le indagini, mentre con un cacciavite tenta di disabilitare una microcamera nascosta, installata dalla Polizia di Stato.

L’accusa nei confronti degli indagati è quella di truffa ai danni dello Stato: si tratta di dirigenti amministrativi, medici, impiegati e ausiliari che prestano servizio presso la sede di Avellino in via degli Imbimbo. Nei loro confronti è scattata la misura cautelare interdittiva della sospensione del lavoro: si tratta di dirigenti amministrativi e medici, impiegati e ausiliari che nell’arco dell’ultimo anno, quando sono cominciate le indagini, si assentavano normalmente dal luogo di lavoro anche per molte ore nell’arco della stessa giornata, dopo aver timbrato il cartellino o affidando il badge a colleghi cui avrebbero ricambiato il favore.

Il commissario straordinario della Asl di Avellino, Mario Ferrante, annuncia drastici provvedimenti a carico dei dipendenti coinvolti nell’inchiesta sui furbetti del cartellino e scoperti dalla Polizia. “Sono fatti gravi – dice – che richiedono interventi decisi: avvierò le procedure per il loro licenziamento e, non appena verranno quantizzate le ore di assenza ingiustificate dei dipendenti, chiederò alla Corte dei Conti di recuperare le somme equivalenti”

Prostituzione a Reggio. Scoperta casa d’appuntamento. Arresti

E’ di 7 arresti e 5 misure d’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria l’operazione di stamane con cui la Procura della Repubblica di Reggio Calabria ha sgominato una presunta associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, esercizio di una casa di prostituzione, nonché di una serie di reati in materia di prostituzione altrui previsti e puniti dalla legge “Merlin”, commessi ininterrottamente in Reggio Calabria dal settembre 2014.

Il provvedimento, emesso dal gip del tribunale reggino e condotto dai Carabinieri, prevede anche il sequestro preventivo dell’abitazione dove veniva in via principale esercitata l’attività di prostituzione: un’abitazione sita in località Reggio Campi.

L’indagine trae origine da un’ispezione amministrativa effettuata dai Carabinieri della Stazione di Cannavò all’interno del circolo privato denominato “Club Reggioland” e pubblicizzato da un omonimo sito internet, nel corso del quale i militari accertavano la presenza di diverse irregolarità, comunicandone gli esiti al preposto Ufficio Comunale che emetteva ordinanza di cessazione immediata dell’attività.

VIDEO DEGLI ARRESTI

Le successive risultanze investigative acquisite dai militari permettevano di appurare l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata al reclutamento di giovani donne da avviare alla prostituzione, alla gestione ed esercizio di una casa di tolleranza sita in località Reggio Campi – operante nei locali del fantomatico circolo privato -, all’organizzazione di feste ed addii al celibato nel corso dei quali far prostituire donne sia all’interno della citata casa di prostituzione, sia presso locali pubblici che presso private dimore.
Nello specifico si tratta di 2 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 5 agli arresti domiciliari e 5 dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria

Secondo quanto accertato dagli inquirenti, il ruolo principale nell’associazione è quello rivestito da Francesco Alati, che, in qualità di fondatore, promotore ed organizzatore, si occupava organizzare e dirigere la casa di tolleranza, prendere i contatti con i clienti per le serate “a domicilio”, reclutare prostitute, organizzarne il lavoro ed accertarsi che le stesse non avessero rapporti “affettivi” con i clienti.

Con la sua onnipresenza – spiega la procura -tutelava le donne che si prostituivano, così evitando problemi o rischi per la loro sicurezza personale. Infine, incassava i guadagni, retribuendo il lavoro delle donne e dividendo gli utili. L’Alati era costantemente coadiuvato dalla moglie Logoteta, la quale teneva i contatti con le prostitute, reclutandole ed organizzando le serate, nonché sovraintendendo al buon andamento della casa ed accompagnando le ragazze alle serate esterne.

Un dipendente “a tempo pieno” dell’associazione era sicuramente Toscano incaricato di andare a prendere al porto di Villa San Giovanni le prostitute provenienti dalla Sicilia, nonché di “recuperare” i clienti che non riuscivano a trovare la strada, sostituendo all’occorrenza alla reception l’Alati e scortando le ragazze nei servizi “a domicilio”.

Armandini e Lombardo coadiuvavano genericamente Alati nella gestione della casa, anche sostituendolo in caso di assenza, così distinguendosi quali uomini di fiducia.
Il disegno criminoso messo in atto dall’associazione era principalmente basato sull’esercizio di una casa di prostituzione, il cui punto di forza era rappresentato dalla vasta gamma di offerte sia in termini di tipologia di prestazioni che di ragazze.

In linea di massima, le serate organizzate dall’Alati e pubblicizzate alla clientela via Sms, si svolgevano due volte a settimana dalle 22.00 in poi. Inoltre, era possibile “prenotare” delle prestazioni sessuali a pagamento su appuntamento anche in orario diurno durante l’arco settimanale. Nel corso dell’indagine è stato possibile appurare che nella casa di prostituzione esercitavano il meretricio 11 donne dell’età compresa tra i 20 e i 50 anni.

Bruciata auto a vicesindaco Sant’Andrea Apostolo dello Jonio

Bruciata auto a vicesindaco a Ivan Frustagli SANT’ANDREA APOSTOLO DELLO JONIO (CATANZARO) – L’automobile dell’azienda di famiglia del vicesindaco di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, Ivan Frustagli, è stata incendiata nella notte da sconosciuti.

Le fiamme sono state spente dai vigili del fuoco. I carabinieri hanno avviato le indagini. L’Amministrazione Comunale di Sant’Andrea Apostolo dello Jonio, in una nota, evidenzia che si tratta di un “ennesimo esempio di inciviltà e barbarie che ha come bersaglio un pubblico amministratore e che ha come unico scopo quello di minare i pilastri della società civile rappresentati dalle Istituzioni democraticamente elette dai cittadini”.

“Non arretreremo – conclude l’amministrazione – di un solo passo di fronte a questo attentato anzi, saremo accanto al vicesindaco insieme a tutte le forze democratiche del territorio per sostenerlo nel suo lavoro di pubblico amministratore”.

Solidarietà a Ivan Frustagli è giunta un po’ da tutte le istituzioni catanzaresi e della regione. L’intimidazione all’amministratore è l’ennesima che si verifica in Calabria.

Napoli, suicida Giulio Murolo. A maggio fece strage per i panni

Giulio Murolo autore della strage di Secondigliano Napoli
Giulio Murolo

Lo scorso 15 maggio 2015 fu autore di una strage a Napoli Secondigliano. Uccise 5 persone e ne ferì altre cinque sparando all’impazzata dal balcone di casa. Dopo dieci mesi di detenzione, Giulio Murolo, 49 anni, non ce l’ha fatta più è si è suicidato.

L’uomo è morto ieri sera nell’ospedale Loreto Mare di Napoli dopo aver ingerito barbiturici tre giorni fa nel carcere di Poggioreale dove era detenuto. Ha preso alcune pillole, si era sentito male ed era stato portato all’ospedale Loreto Mare.

Ricoverato in un primo momento nel reparto Medicina, per l’aggravarsi della sue condizioni era stato poi trasferito in Rianimazione dove è morto.

Giulio Murolo era un tiratore scelto, non aveva precedenti penali e in casa, in via Miano, oltre ad alcuni fucili da caccia regolarmente detenuti, aveva anche un fucile mitragliatore Kalashnikov – con matricola abrasa – e due machete. La sparatoria avvenne dopo un litigio di Murolo per alcuni panni stesi ad asciugare.

Lo scorso 15 maggio in preda a un raptus per un litigio sulla biancheria stesa sui fili dei balconi, l’uomo ha ucciso prima il fratello Luigi e la cognata sul pianerottolo di casa, poi ha sparato al vigile intervenuto per sedare la lite.

Infine esce dal balcone e in preda all’ira, prima con una pistola e poi con uno dei suoi fucili da caccia ha fatto da cecchino, sparando all’impazzata contro i passanti uccidendo un fioraio che passava con lo scooter e un passante. Ne ferirà altre cinque tra cui alcuni agenti delle forze dell’Ordine intervenuti dopo la chiamata al numero di emergenza.

Dopo la strage si era barricato in casa e solo dopo alcune ore venne catturato dalle forze dell’ordine. Agli agenti disse: “Ho fatto una cazzata”. Martedì sera 15 marzo 2016 la morte in ospedale dopo la volontà di suicidarsi nel penitenziario di Secondigliano.

Mafia, azzerati mandamenti di Palermo. 62 arresti

Un frame del video con le intercettazioni fatte dai Carabinieri di Palermo

PALERMO – Imponente blitz contro due clan di mafia nel capoluogo siciliano. I Carabinieri di Palermo hanno eseguito 62 misure cautelari emesse dal gip nei confronti di altrettante persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, ricettazione, favoreggiamento e reati in materia di armi aggravati dal metodo mafioso.

Sono in esecuzione anche sequestri di attività commerciali, imprese e beni immobili ritenuti frutto di illecito arricchimento. L’operazione azzera di fatto due clan mafiosi palermitani.

Il blitz nasce da due diverse indagini, coordinate dalla Dda di Palermo e sviluppate dal Ros e dal Gruppo Carabinieri di Monreale, sui “mandamenti” di Villagrazia-Santa Maria di Gesù e San Giuseppe Jato.

VIDEO DELL’OPERAZIONE “BRASCA” CON INTERCETTAZIONI

Le attività investigative hanno permesso di ricostruire l’organigramma dei clan di Mafia, i nuovi vertici e i rapporti con i boss dei mandamenti vicini. L’inchiesta, inoltre, svela numerosi episodi di estorsione, intimidazioni e danneggiamenti.

LEGGI L’INCHIESTA DELLA DDA DI PALERMO

Bruxelles, blitz dopo Parigi. Ucciso terrorista ma non è Salah

Bruxelles, blitz dopo Parigi. Ucciso terrorista ma non è Salah
Cecchini sui tetti nell’operzione antiterrorismo a Bruxellexs (Ansa/Epa)

Ore di tensione a Forest, un quartiere a sud di Bruxelles dove è avvenuta una sparatoria contro le forze di polizia nata a seguito di una perquisizione degli agenti nell’ambito di una operazione anti terrorismo a seguito dei fatti di Parigi.

Quattro gli agenti rimasti feriti, uno in maniera grave. E’ stato invece ucciso, dopo un ulteriore blitz delle forze speciali contro uno o più terroristi asserragliati in un appartamento, un sospettato che, ha riferito la procura federale belga, “non è Salah Abdeslam”, il ricercato numero 1 degli attentati di Parigi ancora in fuga.

Diverse perquisizioni sono al momento in corso a Forest, il quartiere di Bruxelles dove sono avvenuti diversi scontri a fuoco tra sospetti terroristi e le forze di polizia. Le nuove operazioni sono localizzate a prossimità della place Saint-Denis, nella chaussée de Neerstalle, riferisce l’agenzia Belga citando fonti di polizia. E’ la zona vicina all’appartamento di rue du Dries. Una cinquantina di persone che si trovavano all’interno di un supermercato Aldi sono state autorizzate a uscire.

“Le operazioni sono ancora in corso”, con “polizia e Procura federale ancora al lavoro”, conferma il premier belga Charles Michel in una dichiarazione congiunta con il ministro dell’interno Jan Jambon e il ministro della giustizia Koen Geens sull’operazione anti-terrorismo a Forest, un quartiere di Bruxelles.

Per questo si terrà mercoledì una riunione del Consiglio nazionale di sicurezza del Paese, ha sottolineato. I quattro poliziotti feriti sono tre belgi e una francese, ha precisato il ministro dell’Interno, congratulandosi per il lavoro svolto da magistratura e forze dell’ordine e sottolineando che il governo “è determinato non solo a seguire da vicino la situazione sul terreno ma a far sì che i nostri servizi di sicurezza abbiano il sostegno” adeguato.

Si ignora ancora se uno o due sospetti siano in fuga. Il corpo del sospetto ucciso è stato ritrovato dalle forze speciali durante la perquisizione dell’appartamento, ora messo in sicurezza, in rue du Dries a Forest, quartiere di Bruxelles.

Il terrorista ucciso nella sparatoria dalle forze di polizia nell’appartamento in rue di Dries era “armato con un’arma da guerra di tipo kalashnikov”. Lo ha riferito la Procura federale belga in un comunicato, confermando che “si tratta di una persona” ancora “in corso di identificazione”. La Procura ha quindi rifiutato per il momento di fornire ulteriori dettagli, incluse informazioni su eventuali fuggitivi, “per non nuocere all’indagine in corso”. “L’inchiesta prosegue attivamente giorno e notte”, ha aggiunto, convocando una conferenza stampa per la mattinata.

Ndrangheta, il mondo del Sistema Reggio, misure cautelari

Vasta operazione anti ‘ndrangheta a Reggio Calabria. Alle prime ore della mattinata odierna, a conclusione di complesse e articolate indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, gli investigatori della locale Squadra Mobile hanno eseguito 19 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di capi, gregari e soggetti contigui alle cosche DE STEFANO, FRANCO, ROSMINI, SERRAINO e ARANITI della ‘ndrangheta reggina, di seguito indicati, ritenuti presunti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto di materiale esplosivo, intestazione fittizia di beni e rivelazione del segreto d’ufficio:

Ai soggetti indicati dal n. 1 al n. 11 è stata applicata la misura cautelare della custodia in
carcere, a quelli dal n. 12 al n. 17 la misura cautelare degli arresti domiciliari e a quelli dal n. 18 al n. 19 l’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria.

Contestualmente sono stati eseguiti dalla Polizia di Stato 3 decreti di perquisizione emessi
dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria a carico di altrettanti indagati e
numerose perquisizioni a carico di soggetti contigui alle cosche di ‘ndrangheta sopra indicate.

LEGGI IL LANCIO DELL’OPERAZIONE “SISTEMA REGGIO”

Nel corso della stessa operazione anti ‘ndrangheta, in esecuzione dei decreti di sequestro preventivo emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia, gli investigatori della Squadra Mobile hanno sottoposto al vincolo ablativo i seguenti esercizi commerciali, unitamente a numerosi conti correnti e strumenti finanziari riconducibili alle società ed agli indagati.

Antonio Conte lascerà la Nazionale dopo Euro2016

Antonio Conte lascerà la Nazionale dopo Euro2016
Il ct dell’Italia Antonio Conte: Lascio la Nazionale. Voglio tornare ad allenare un club”

Il tecnico della Nazionale, Antonio Conte lascerà la guida dell’Italia. Lo conferma su Facebook dopo le indiscrezioni di stamattina. “Chi mi conosce – dice il ct – sa che il mio impegno sarà totale” per gli Europei.
“Successivamente sento di dover tornare a fare l’allenatore in un Club avendo così la possibilità di allenare tutti i giorni. Grazie al Presidente Tavecchio che quotidianamente mi accompagna in questa splendida avventura”, spiega Conte, ribadendo l’addio all’azzurro al termine di Euro2016.

Attraverso il proprio profilo social ufficiale Antonio Conte afferma che fino a quando sarà ct dell’Italia il suo unico pensiero sarà quello di ottenere il massimo nel torneo in Francia “dove cercheremo con il lavoro e il sacrificio di sfruttare al meglio le nostre potenzialità”. “Grazie al presidente della Figc Tavecchio che quotidianamente mi accompagna in questa splendida avventura” conclude poi l’allenatore. Conte, conclusa l’esperienza sulla panchina azzurra, dovrebbe trasferirsi in Inghilterra per guidare il Chelsea.

Tavecchio, per il prossimo ct un budget più basso – “Come sceglieremo il prossimo ct? La scelta sarà seria e commisurata ai tempi che stanno cambiando, ai risparmi necessari e non per togliere prestigio alla Nazionale, ma la scelta sarà di minor costo”.

Lo dice il presidente della Figc, Carlo Tavecchio, al termine del Consiglio federale, commentando il futuro tecnico della Nazionale, dopo l’annuncio del divorzio da Conte al termine degli Europei. “Valuteremo chi si offrirà e darà la disponibilità – aggiunge -, non importa se oggi è ancora sotto contratto. Le nostre possibilità economiche saranno discrete, non stiamo parlando di pizza e fichi”.

“Certo – ha concluso Tavecchio – dovremmo impostare un altro tipo di ragionamento anche dal punto di vista della prestazione del ct. In futuro i tecnici che si occuperanno di Nazionale devono lasciare tracce e fare patrimonio federale per chi arriverà. Inutile fare una cantera con soggetti importanti che lasciano zero tracce del passato e poi vanno in club prof. più importanti. Parliamo di forme di inquadramento che mettano al centro la Federazione rispetto al singolo”.

Soveria Mannelli, abusi sessuali su figlia minorenne. Dentro

Soveria Mannelli, abusi sessuali su figlia minorenne. Dentro
La Compagnia dei Carabinieri di Soveria Mannelli

I Carabinieri della Compagnia di Soveria Mannelli (Catanzaro) hanno dato esecuzione ad un ordine di carcerazione a carico di M.C., di 47 anni, residente a Soveria Mannelli, accusato di abusi sessuali su una minorenne. Il provvedimento è stato emesso dalla Corte d’Appello di Milano.

I fatti risalgono al 2007 e il 2008 allorquando l’uomo era residente nel Nord Italia, in provincia di Como.

L’uomo era stato accusato, in particolare, di aver compiuto atti sessuali continuati nei confronti della figlia minorenne e successivamente riconosciuto colpevole dai giudici che lo hanno condannato alla pena di 5 anni reclusione

I militari della compagnia di Soveria, dopo averlo arrestato, hanno condotto l’uomo presso la casa circondariale di Catanzaro-Siano a disposizione dell’autorità giudiziaria competente.

Elezioni Roma, Berlusconi a Meloni: “Non è scelta giusta”

Silvio Berlusconi con Giorgia Meloni
Silvio Berlusconi con Giorgia Meloni

“Fare il sindaco di Roma significa stare 14 ore al giorno in ufficio, io non credo che possa essere una scelta giusta per la Meloni, dedicarsi ad una funzione difficile e impegnativa”. Lo ha affermato Silvio Berlusconi a “Radio Anch’io”.

“Le cose stanno così: il 12 febbraio con una dichiarazione congiunta abbiamo ringraziato Bertolaso, che aveva superato una situazione difficile, di aver accettato una candidatura, poi qualcuno ha cambiato idea. Io credo che in politica, come nella vita, la parola va rispettata. Noi andremo avanti con i candidati già scelti, anche con una commissione”, aggiunge Berlusconi. “Se la casa è allagata – osserva – serve un idraulico, non uno che fa bene i comizi. Da una parte c’è la concretezza di Bertolaso, dall’altra le chiacchiere della politica”.

“Bertolaso ha chiarito che è stata una battuta fatta per difendere la Meloni da chi la tira per i capelli. E’ noto quanto io la stimi e apprezzi il suo impegno; sono io che, non a caso, ne ho fatto uno dei ministri più giovani. E’ una cosa chiara a tutti che una mamma non si può dedicare ad un lavoro terribile, Roma è in un situazione terribile e poi la stessa Giorgia lo aveva escluso, ci sono persone che la stanno spingendo a candidarsi”, aggiunge Berlusconi a proposito della frase di Bertolaso sulla maternità della Meloni.

“I processi a Bertolaso sono politici, io ne ho avuti 67, sono una stupidaggine. In giro non c’è nessuno paragonabile all’ esperienza di Bertolaso. Sono convinto – prosegue – che tutti sosterranno Bertolaso e soprattutto lo sosterranno i cittadini romani”.

“Dovremmo fare una riflessione sui rapporti nel centrodestra ed in particolare tra Fi e la Lega. I rapporti sono sempre stati ottimi e lo dimostrano le regioni dove governiamo insieme ed io penso che possano continuare, aggiunge Berlusconi parlando a Radio anch’io a proposito dei rapporti con Salvini.

“Io sono fuori da tutte queste vicende, guardo la realtà: le leadership non si decidono ora a due anni dalle prossime elezioni politiche, io credo che al momento giusto gli elettori del centrodestra potranno ritrovarsi in qualcuno. Oggi è prematuro”, risponde Berlusconi a chi gli chiede se Salvini stia lanciando una sfida alla sua leadership.

‘Ndrangheta, arresti e misure nel “Sistema Reggio”

REGGIO CALABRIA – La Polizia di Stato ha eseguito 17 arresti, di cui sei ai domiciliari, e due obblighi di dimora nei confronti di 19 presunti affiliati alla ‘ndrangheta ritenuti appartenenti ad alcune alle cosche De Stefano, Franco, Rosmini, Serraino e Araniti.

I reati contestati gli arrestati vanno dall’associazione mafiosa, concorso esterno, estorsione, detenzione e porto di materiale esplosivo, intestazione fittizia di beni e rivelazione del segreto d’ufficio.

Eseguite anche numerose perquisizioni e sequestrati beni e società, tra cui diversi bar, per oltre 10 milioni di euro. L’indagine è partita da due attentati compiuti nel 2014 ai danni del “Bar Malavenda” di Reggio Calabria.

Secondo gli inquirenti “a Reggio, chiunque voglia intraprendere un’attività economica o commerciale, non deve rivolgersi soltanto allo Stato o agli enti locali per le relative autorizzazioni amministrative, ma deve ottenere il nulla osta da parte delle cosche che controllano il territorio e che formano il cosiddetto “Sistema Reggio”.

LEGGI L’INCHIESTA CON NOMI E FOTO

Tra gli arrestati c’è anche il presunto boss Giorgio De Stefano, di 68 anni, capo dell’omonima cosca della ‘ndrangheta. De Stefano, avvocato, da alcuni anni in pensione, è il cugino di Paolo De Stefano, capo storico della cosca ucciso nel 1985 nella “guerra di mafia” di Reggio Calabria.

La stessa sorte toccò all’epoca anche al fratello di Paolo, Giorgio (omonimo dell’arrestato di oggi), ucciso in un agguato in Aspromonte. L’avvocato De Stefano, dopo avere scontato una condanna a tre anni e mezzo di reclusione inflittagli nel 2001 per concorso esterno in associazione mafiosa, attualmente era libero.

Secondo gli investigatori, l’uomo ha sempre rappresentato, e rappresentava tuttora, “l’intellighenzia” della cosca De Stefano, capace di elaborarne alleanze e strategie, con un impronta tipicamente manageriale, individuando le attività criminali più lucrose da mettere in atto.

No Tav, bombe e minacce. Arresti e indagati

Torino, No Tav minacciano carabinieri. Arresti e obblighi
Una manifestazione No Tav

I carabinieri del Comando Provinciale di Torino hanno eseguito 6 misure cautelari (2 arresti domiciliari e 4 obblighi di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria) nei confronti di altrettanti attivisti NO TAV, ritenuti responsabili di concorso in minaccia e oltraggio a pubblico ufficiale e rifiuto di fornire le proprie generalità.

I fatti per i quali il Gip di Torino ha emesso le misure cautelari sono riferibili a quanto accaduto nella sera del 17 settembre scorso a Bussoleno (Torino), quando 30 attivisti NO TAV, di rientro da una manifestazione all’esterno del cantiere TAV di Chiomonte, circondarono una pattuglia della Compagnia di Susa e una seconda macchina della Stazione di Condove impegnate nel controllo di una vettura con a bordo due attivisti NO TAV.

Nell’occasione – spiegano gli inquirenti – gli attivisti destinatari delle misure avevano oltraggiato e gravemente minacciato gli operanti, rifiutando di farsi identificare e interrompendo il traffico sulla SS 25. Le attività di indagine sono state condotte dai Carabinieri sotto la direzione e il coordinamento del sostituto procuratore di Torino, Padalino.

BOMBE A CAVA DITTA TAV A RIMINI. 4 ATTIVISTI INDAGATI PER TERRORISMO
Quattro riminesi tra i 22 e 24 anni sono indagati dalla Procura di Rimini per atti di stampo terroristico, compiuti a gennaio 2014 ai danni della Emir di Villa Verucchio di proprietà della Cmc.

La notte del 16 gennaio del 2014 furono piazzate 10 bombe nella cava di inerti della ditta, oggi dopo due anni di indagini i carabinieri di Rimini hanno individuato quelli che ritengono essere i responsabili di quello che venne accertato come un atto di terrorismo. Il gesto come lasciarono scritto gli autori voleva essere di solidarietà ai “compagni No Tav”.

La Cmc era una delle principali ditte costruttrici in Val di Susa della Tav. La Emir in passato era stata affiliata alla Cmc. I ragazzi non hanno precedenti. I carabinieri del Ros di Roma avrebbero però perquisito le case dei quattro riminesi già conosciuti dalla Digos come aderenti alla sinistra antagonista. I giovani dopo le accuse si sono difesi sostenendo che quella notte erano in una discoteca a festeggiare il compleanno di un amico.

Presa la banda delle violente rapine a Roma. 24 arresti

arrestati 24 persone accusate di associazione a delinquere per compiere rapine a RomaROMA – I carabinieri del Comando provinciale di Roma hanno arrestato 24 persone accusate di associazione a delinquere finalizzata a compiere rapine in abitazioni, compiute con metodi brutali.

A capo del gruppo ci sarebbe Manlio Vitale, detto “er Gnappa”,ex esponente di spicco della Banda della Magliana. Circa 200 carabinieri, con l’ausilio di unità cinofile e di un elicottero, stanno eseguendo perquisizioni e sequestri in tutta la provincia di Roma.

Tra i beni sequestrati 4 lussuosi appartamenti e 6 veicoli riconducibili a Vitale, considerato tra i fondatori della Banda della Magliana, referente per i quartieri Tor Marancia e Garbatella. Il presunto boss Maurizio Abbatino all’epoca lo aveva designato ai contatti con la ‘ndrangheta calabrese e la camorra napoletana.

Tutti i 24 arrestati sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di efferate rapine in abitazioni, furto, ricettazione, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco. L’indagine è stata condotta dal Nucleo Investigativo.

Riccardo Bossi condannato a un anno e 8 mesi

Riccardo Bossi condannato a un anno e 8 mesi
Umberto e Riccardo Bossi (Ansa)

Riccardo Bossi, il primogenito del fondatore della Lega Nord, Umberto, è stato condannato ieri a un anno e otto mesi per appropriazione indebita aggravata per le presunte spese personali con i fondi del Carroccio. Lo ha deciso l’Ottava sezione penale del tribunale di Milano. E’ la prima sentenza dopo lo scoppio dello scandalo sui fondi del partito emerso nel 2012.

Il giudice Vincenzina Greco nel processo con rito abbreviato condannando Riccardo Bossi a un anno e 8 mesi, con la sospensione condizionale della pena e il riconoscimento delle attenuanti generiche, è andato oltre la richiesta di 1 anno del pm Paolo Filippini. Il figlio di Umberto Bossi era imputato per spese con i fondi della Lega per circa 158mila euro. Soldi pubblici che avrebbe usato, tra il 2009 e il 2011, per pagare “debiti personali”, “noleggi auto”, le rate dell’università dell’ Insubria, l’affitto di casa, il “mantenimento dell’ex moglie”, l’abbonamento alla pay-tv, “luce e gas” e anche il “veterinario per il cane”.

Il pm, nella sua requisitoria, aveva citato come riscontri all’ipotesi d’accusa intercettazioni e documenti, tra cui l’ormai famosa cartelletta con la scritta ‘The Family’ sequestrata nell’ ufficio romano dell’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito, che è anche lui imputato per appropriazione indebita per le presunte spese ma con rito ordinario (il processo è ancora in corso) e assieme al padre e al fratello di Riccardo, cioè Umberto e Renzo ‘Il Trota’. Se questa tranche sulle presunte appropriazioni indebite è rimasta a Milano, la parte principale dell’inchiesta che nel 2012 ha travolto il ‘Senatur’ e la sua famiglia è stata trasferita nei mesi scorsi a Genova dove è in corso il processo per la presunta truffa ai danni dello Stato sui rimborsi elettorali che vede imputati Umberto Bossi, Belsito e tre ex revisori del partito.

“E’ una condanna palesemente mediatica e politica”. Così Agostino Maiello, legale di Riccardo Bossi, ha commentato la sentenza di oggi a carico del figlio del fondatore della Lega, che è stato condannato a un anno e 8 mesi per le presunte spese personali con i fondi del partito. Il legale, poi, ha ribadito ai cronisti quanto aveva spiegato già nel corso dell’arringa. Per la difesa, infatti, Riccardo Bossi “non ha mai chiesto soldi perché è sempre stato autosufficiente – ha chiarito -. Solo per un anno e mezzo, quando gli ‘saltarono’ alcuni contratti di sponsorizzazione nel campo dei rally automobilistici, chiese al padre aiuto, pensando che quelli fossero i soldi di famiglia”. E ha sottolineato che il suo assistito non ha “mai avuto un rapporto diretto con Belsito. Dato che anche per lui era difficile parlare con il padre, sempre impegnato con la politica, si rivolgeva alla sua segretaria, la signora Loredana, o lasciava i documenti per la richiesta di quanto gli serviva in segreteria in via Bellerio. Ma – ha ripetuto l’avvocato – pensava fosse denaro del padre”. (Ansa)

Avrebbe approfittato di una donna, obbligo di dimora e poi assolto

volante poliziaUn uomo di 54 anni, Orlando Falbo, di Mesoraca (Crotone) con precedenti specifici, è stato raggiunto da una misura cautelare di divieto di dimora eseguita dalla Squadra Mobile di Cosenza poiché avrebbe approfittato di una donna disabile provocando lei danni morali ed economici.

Il provvedimento è stato eseguito su disposizione del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, città presso cui si sarebbe consumato il reato.

Secondo l’accusa, l’uomo, domiciliato nel cosentino, avrebbe agganciato la vittima su internet ed approfittando dello stato di incapacità psichica della donna, l’avrebbe indotta ad elargirgli somme di denaro, causandole un grave danno patrimoniale.

AGGIORNAMENTO – Secondo quanto emerso dal processo, le accuse contestate all’uomo non corrispondono al vero. L’interessato il 27 febbraio 2017 è stato assolto, dal tribunale di Roma, (SENTENZA 6845/16) con formula piena per non aver commesso il fatto.
(articolo modificato  l’8 aprile 2017)

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