6 Ottobre 2024

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Autobomba a Limbadi in cui morì Vinci, confermati due ergastoli

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La Corte d’assise d’appello di Catanzaro ha emesso la sentenza di secondo grado nel processo per l’autobomba di Limbadi costata la vita il 9 aprile 2018 al biologo Matteo Vinci. Ergastolo confermato per Rosaria Mancuso e per il genero Vito Barbara, ritenuti i mandanti dell’attentato.

Pena rideterminata in 6 anni per Domenico di Grillo (marito di Rosaria Mancuso) – invece dei 10 anni rimediati in primo grado (non regge per lui un episodio di lesioni ai danni di Francesco Vinci (padre di Matteo) – mentre Lucia Di Grillo (figlia di Rosaria Mancuso) è stata condannata a 3 anni in luogo dei 3 anni e 6 mesi del primo grado.

La Procura generale di Catanzaro, rappresentata oggi in aula dalla sostituta Marisa Manzini, oltre alla conferma degli ergastoli, aveva chiesto la condanna a 22 anni per Domenico Di Grillo e a 14 anni per Lucia Di Grillo.

Vito Barbara, Domenico Di Grillo e Lucia Di Grillo sono stati poi ritenuti responsabili della detenzione illegale di una pistola clandestina e di un fucile a pompa con matricola punzonata, oltre che della detenzione illegale di numerose munizioni. L’autobomba sarebbe stata collocata al culmine delle pressioni rivolte ai coniugi Vinci-Scarpulla per la cessione di alcuni loro terreni agricoli a Limbadi confinanti con quelli di Rosaria Mancuso, sorella dei boss della ‘ndrangheta Giuseppe, Diego, Francesco e Pantaleone Mancuso.

Processo Breakfast, prescrizione in appello per l’ex ministro Scajola

La prima sezione penale della Corte d’Appello di Reggio Calabria – presidente Maria Lucia Monaco – ha sentenziato il “non doversi procedere” nei confronti di Claudio Scajola “per intervenuta prescrizione del reato”.

Il processo al sindaco di Imperia, già ministro dell’Interno e responsabile organizzativo di Forza Italia, aveva preso avvio dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria a conclusione dell’operazione ‘Breakfast’ del 2014 a carico dell’ex parlamentare forzista, e di alcuni suoi collaboratori, oltre che dell’ex deputato Amedeo Matacena, deceduto a Dubai il 16 settembre 2022, dov’era in stato di latitanza per una sentenza definitiva a tre anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

Claudio Scajola, nel gennaio del 2020 era stato condannato in primo grado a due anni di reclusione per il reato di procurata inosservanza della pena nei confronti di Matacena, dopo che la Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, rappresentata in aula dall’Aggiunto Giuseppe Lombardo, aveva chiesto per il sindaco di Imperia la derubricazione originaria del reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Ucraina, Orbàn spinge per la Pace e vola da Xi e poi da Erdogan. Ira dell’UE

Il primo ministro ungherese Viktor Orban nell’ambito del tour istituzionale come presidente di turno del Consiglio Ue, dopo Kiev e Mosca ha visitato anche la capitale cinese Pechino dove ha incontrato il presidente Xi Jinping per parlare della “missione di pace” in Ucraina.

“La Cina è una potenza decisiva nel creare le condizioni per la pace nella guerra tra Russia e Ucraina. Per questo sono venuto a incontrare il Presidente Xi a Pechino”, ha dichiarato Orban, citato dall’agenzia di stampa ungherese MTI. “L’impegno della Cina per la pace nel mondo è importante per gli ungheresi. Noi ungheresi siamo un popolo amante della pace che si batte per la pace, l’equilibrio e l’armonia, quindi siamo sempre dalla parte della pace e mai dalla parte della guerra”, ha proseguito, aggiungendo di apprezzare le iniziative di pace della Cina. Ha definito storica la visita di Xi in Ungheria di due mesi fa e ha ricordato gli importanti accordi firmati. “Inoltre, sono state gettate le basi per l’amicizia tra le due nazioni per generazioni”, ha aggiunto.

Xi Jinping ha affermato che le potenze mondiali dovrebbero creare le condizioni e fornire assistenza sia all’Ucraina che alla Russia per aiutare i due paesi a procedere con colloqui di pace diretti e che un rapido cessate il fuoco sia nell’interesse sia di Kiev sia di Mosca. “Solo se tutte le grandi potenze applicheranno un’energia positiva anziché negativa, l’alba di un cessate il fuoco in questo conflitto potrà sorgere il prima possibile”, ha aggiunto. Tali sforzi, ha detto, dovrebbero avvenire “senza inasprire la guerra e senza diffondere e alimentare il conflitto, in modo che la situazione si raffreddi il prima possibile”, ha riferito la televisione di Stato cinese CCTV.

Il Cremlino, tramite il potavoce Dmitry Peskov, si è affrettato a esprimere il suo apprezzamento per l’attivismo del premier ungherese: “Sta davvero prendendo un’iniziativa seria per confrontare le posizioni delle diverse parti. Apprezziamo molto questo. Anche Putin ha dato una valutazione alta a questi sforzi del signor Orban”.

A Bruxelles cresce la tensione
Tra gli Stati membri dell’Ue sta “crescendo la preoccupazione” per il ruolo di Viktor Orban come mediatore di pace dopo che l’Ue e Usa continuano ad armare Kiev provocando la Russia con l’auspicio di un “punto di non ritorno”. La tensione è “già alta” dopo soli 7 giorni di presidenza ungherese con i vertici a Bruxelles che danno il da farsi per rimuovere la presidenza del Consiglio Ue all’Ungheria col pretesto che “Orban non ha nessun mandato per negoziare la pace”. Orban ammette di non aver nessun mandato, ma afferma che la pace non si può perseguire “stando seduti a Bruxelles”.

Dopo Pechino, Orban andrà a Washington, come aveva annunciato. Il vertice della Nato, di cui l’Ungheria è membro, inizia domani nella capitale statunitense. Si è ipotizzato che Orban possa incontrare anche il candidato alla presidenza Donald Trump.

Secondo Orban i prossimi mesi in Ucraina saranno “brutali”, e confida in Trump
In un’intervista al quotidiano tedesco “Bild” pubblicata oggi, Orban ha detto di ritenere che “i prossimi due o tre mesi saranno molto più brutali di quanto pensiamo”, a causa della fornitura di armi moderne dall’Occidente all’Ucraina e della determinazione delle forze armate russe. “L’energia dello scontro, il numero di morti, il numero di vittime saranno quindi più brutali rispetto agli ultimi sette mesi”. Orban ha anche sostenuto che “non è possibile che i russi perderanno la guerra in Ucraina”, che “nessuna persona seria può parlare di un’intenzione della Russia di attaccare la Nato” e detto di avere “fiducia” a questo punto in Donald Trump, “uomo d’affari” e “uomo di pace”.

L’incontro di Orban con il presidente turco Erdogan

Dopo la visita in Cina il presidente ungherese si è recato in Turchia per incontrare il suo omonimo Recep Tayyip Erdogan, sempre nell’ambito della missione di pace in Ucraina, ma non solo.

Orban con Erdogan

Erdogan: “La NATO non dovrebbe essere parte del conflitto in Ucraina”
Il presidente Erdogan citato ha affermato che durante la sua partecipazione al vertice NATO negli Stati Uniti intende sollevare le questioni dell’antiterrorismo, di Gaza e dell’Ucraina, in particolare il fatto che l’alleanza non dovrebbe diventare parte del conflitto.

“Ci aspettiamo un risultato da questo summit che tenga conto dei nostri interessi di sicurezza nazionale e rafforzi la solidarietà all’interno dell’alleanza. Durante i nostri incontri [a Washington], richiameremo l’attenzione sulla crescente minaccia del terrorismo nel mondo e sottolineeremo la necessità di intensificare gli sforzi della NATO qui. Manteniamo una posizione di principio sul conflitto in Ucraina. Sosteniamo la sua integrità territoriale e consideriamo inaccettabile che la NATO diventi parte della guerra in Ucraina”, ha detto Erdogan ai giornalisti prima di partire per gli Stati Uniti, secondo la pagina X della sua amministrazione.

Ha aggiunto che “ogni giorno in cui vengono utilizzate armi [in Ucraina] conferma la correttezza della posizione della Turchia” sulla questione.

Erdogan ha anche detto che intende “mettere all’ordine del giorno il massacro in corso di Israele contro il popolo palestinese” al summit. “Non siamo stati in grado di ottenere ciò che volevamo dalla NATO riguardo a Israele e Palestina. Gli sforzi della comunità internazionale non sono ancora sufficienti per fermare Israele. Rimetteremo queste questioni all’ordine del giorno dei nostri incontri negli Stati Uniti e ci aspettiamo di ottenere i risultati che speriamo. Si sono tenuti colloqui seri a Doha. Anche il capo del Mossad ha visitato il Qatar. Sono stati presi alcuni provvedimenti, ma non sono ancora stati finalizzati”, ha sottolineato il leader turco.

Ha anche ricordato che la Turchia “è tra i cinque paesi NATO che costituiscono la spina dorsale dell’organizzazione”, cosa con cui concordano anche gli altri membri dell’alleanza. Ha detto che incontrerà il nuovo Segretario generale della NATO Mark Rutte durante il summit.

Il nuovo vertice della NATO, programmato per coincidere con il 75° anniversario dell’organizzazione, si terrà nella capitale degli Stati Uniti dal 9 all’11 luglio.

La Dia sgomina rete di riciclaggio, 18 arresti e sequestro per oltre 131 milioni

Diciotto misure cautelari, sequestro di beni per oltre 131 milioni di euro e 57 indagati. Sono i numeri di una vasta operazione della Direzione Investigativa Antimafia in corso su tutto il territorio nazionale su disposizione della Dda di Roma.

Le 18 persone destinatarie dei provvedimenti disposti con un’ordinanza dal gip di Roma sono ritenute gravemente indiziate di far parte di due associazioni, con l’aggravante mafiosa, radicate in Roma e finalizzate alla consumazione di estorsioni, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche di proventi illeciti; reati aggravati dall’aver agevolato i clan di camorra Mazzarella – D’amico, le cosche della ‘ndrangheta Mancuso e Mazzaferro e il clan Senese.

Le indagini hanno permesso di scoprire l’esistenza di una vera e propria centrale di riciclaggio, operante in Roma e con interessi in tutto il territorio nazionale. Oltre alle misure cautelari personali il gip ha disposto il sequestro preventivo di 3 società e per equivalente fino alla concorrenza della somma complessiva di euro 131.826.000, ritenuto profitto dei reati, nei confronti dei 57 indagati, da eseguirsi sui beni nella loro disponibilità.

Ci sono sette calabresi tra i 67 indagati dell’operazione Assedio della Dda di Roma che ha colpito le articolazioni nel Lazio dei clan della ‘ndrangheta Mancuso di Limbadi e Mazzaferro di Marina di Gioiosa Ionica, oltre ai Mazzarella D’Amico legati alla camorra. I vibonesi indagati sono: Andrea Betrò, 41 anni, di Pizzo, commercialista; Francesco Addesi, 33 anni, di Soriano Calabro; Antonio Cristofer Brigandì, 31 anni, di Vibo Valentia; Giuseppe Grillo, 58 anni, di Mileto; Sergio Gangemi, 50 anni, di Reggio Calabria; Nicolò Sfara, 30 anni, di Locri (Rc); Girolamo Audino, 61 anni, di Cittanova (Rc).

Il reato di concorso in associazione mafiosa viene ipotizzato dalla Dda di Roma nei confronti di Andrea Betrò e Antonio Brigandì i quali si sarebbero associati con altri indagati per portare a termine operazioni inesistenti in materia tributaria e di accise, nonché “di estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche di proventi illeciti provenienti dai clan della ‘ndrangheta Mancuso e Mazzaferro”.

In particolare, Betrò avrebbe –secondo l’accusa– partecipato “all’associazione prendendo parte alle decisioni strategiche indicate da Antonio Brigandì per conto del clan Mancuso”. Francesco Addesi è invece accusato di concorso in riciclaggio in quanto avrebbe trasferito denaro contante (300mila euro) provento dei delitti del clan Mancuso in alcune società. Trasferimento fraudolento di valori è infine il reato ipotizzato nei confronti di Giuseppe Grillo. Nicolò Sfara avrebbe rappresentato invece la famiglia Mazzaferro a Roma, mentre agli altri due reggini (Gangemi e Audino) vengono contestati reati in materia societaria.

Missile sventra ospedale a Kiev, morti bambini. “Sono stati i russi”, ma Mosca nega

L’ospedale pediatrico Okhmadet a Kiev è stato colpito lunedì da un missile. Le vittime sarebbero decine, tra cui diversi bambini, riferiscono le autorità. L’attacco, secondo i media occidentali, sarebbe stato condotto dalla Russia, ma Mosca nega nettamente: “E’ falso, si tratta di un false flag (operazione di falsa bandiera)”. Secondo il ministero della Difesa russo sarebbe stato “un missile della contraerea ucraina” a colpire l’ospedale, forse per errore.

La portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova citata dalla Tass ha affermato che a colpire il presidio ospedaliero sarebbe stato un “razzo NASAMS”, in dotazione dell’omonimo sistema missilistico occidentale “fornito dalla Nato a Kiev”.

Secondo Zakharova, l’8 luglio, “le forze armate russe hanno lanciato un massiccio attacco alle strutture militari in Ucraina, utilizzando armi di precisione a lunga distanza, come rappresaglia per i ripetuti tentativi ucraini di causare danni alle aziende russe. Mentre un altro missile di difesa aerea ucraino ha mancato il bersaglio ed è caduto sull’ospedale”, ha insistito.

“È stato confermato, anche tramite le prove di numerosi testimoni, che un razzo lanciato dal sistema missilistico occidentale NASAMS ha colpito i locali dell’ospedale pediatrico Okhmadet di Kiev”, ha affermato il diplomatico russo.

Nel frattempo, prosegue, “il regime di Kiev si è affrettato ad accusare la Russia di attaccare deliberatamente i bambini”, ha affermato Zakharova, ribadendo che “le forze ucraine installano le loro difese aeree nei quartieri residenziali, usando i civili come scudi umani”.

Secondo Zakharova, il governo di Kiev usa da tempo impianti civili per assemblare equipaggiamento militare o immagazzinare armi occidentali. “Inoltre, le stesse forze ucraine usano i residenti e le strutture civili come scudo”, ha aggiunto, condannando questa pratica come una grave violazione del diritto umanitario internazionale.

“I tentativi del regime di Zelensky di usare l’attacco mortale all’ospedale pediatrico di Kiev per scopi propagandistici sono un’ulteriore prova della sua natura nazista disumana. Il regime di Kiev è pronto a commettere qualsiasi crimine per restare al potere e non si cura dei cittadini [ucraini], compresi i bambini”, ha concluso la portavoce di Lavrov.

Elezioni in Francia, a sorpresa vince la sinistra, ma il RN di Le Pen è primo partito

Colpo di scena in Francia: si contavano i seggi mancanti a Marine Le Pen per la maggioranza assoluta ed è invece la gauche a trionfare, con il capo de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, che rivendica il governo: “Siamo pronti, Macron riconosca la sconfitta, ha il dovere di chiamare il Nuovo Fronte Popolare a governare”.

Il presidente Emmanuel Macron e la sua maggioranza uscente non crollano come previsto ma arrivano addirittura secondi davanti all’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen, la grande sconfitta dopo il patto di desistenza siglato nei giorni scorsi contro di lei.

Tuttavia il Nuovo Fronte Popolare è lontano dal numero magico di 289 seggi necessari per la maggioranza assoluta, e il blocco di centro macroniano, a 168 seggi, è contrario a un’ alleanza che comprenda Mélenchon e i melenchoniani.

“Questa è la domanda – insiste l’Eliseo – se una coalizione coerente sia possibile per raggiungere i 289 deputati”. Una fonte ufficiale dell’Eliseo ha chiarito che Macron “aspetterà la strutturazione della nuova Assemblée Nationale per prendere le decisioni necessarie. Il presidente, nel suo ruolo di garante delle istituzioni, veglierà sul rispetto della scelta sovrana dei francesi”. Intanto Macron ha chiesto al premier Gabriel Attal, che aveva annunciato per oggi le proprie dimissioni, di rimanere in carica “per il momento” allo scopo di “assicurare la stabilità del Paese”.

Su X Marine Le Pen ha fatto sapere che “il RN ha preso 10 milioni di voti ed è il primo partito in Francia. Sarebbe il sistema elettorale del doppio turno che consente a chi vince nei fatti di prendere meno seggi. Dopo il fronte compatto di desistenza contro la Le Pen, ora è difficile fare il governo, con Melenchon che ha un programma (contro la Nato e pro-Palestina) fortemente in contrasto con gli altri.

Aggressione a Davide Ferrerio, ridotta la pena all’autore

Uno sconto di otto anni rispetto alla condanna che gli era stata inflitta in primo grado: è la decisione assunta dalla corte d’appello di Catanzaro, presieduta da Giancarlo Bianchi, nel processo che si è concluso oggi a carico di Nicolò Passalacqua, il 24enne di Colleferro (Rm) autore dell’aggressione a Davide Ferrerio, il ventenne di Bologna ridotto in fin di vita la sera dell’11 agosto 2022 nel centro di Crotone. I giudici gli hanno inflitto 12 anni e 8 mesi reclusione, previa esclusione dell’aggravante della minorata difesa della vittima. In primo grado il giudice dell’udienza preliminare di Crotone lo aveva condannato a 20 anni e 4 mesi di reclusione.

Anche nel processo d’appello, comunque, è stata confermata l’accusa, sostenuta sin dall’inizio dalla Procura della Repubblica di Crotone, di tentato omicidio. Accusa che sembrava dovesse essere derubricata in quella di lesioni gravissime in virtù di una perizia tecnica secondo cui il giovane bolognese era affetto da una patologia che avrebbe aggravato le conseguenze del pugno sferratogli da Passalacqua.

Perizia accolta nel processo parallelo a carico dei mandanti dell’aggressione dal Tribunale di Crotone che ha infatti derubricato il concorso anomalo in tentato omicidio in lesioni gravissime contestate ad Anna Perugino, mamma della ragazzina al centro della contesa, e che per questo è stata condannata a 8 anni di reclusione.

L’aggressione a Davide Ferrerio è avvenuta per un tragico scambio di persona causato da una serie di sfortunate coincidenze. Alla base dell’equivoco una relazione sui social tra una ragazza, Martina Perugino, oggi 18enne, alla quale era interessato Passalacqua, ed un uomo di 32 anni, Alessandro Curto che si nascondeva sotto un profilo falso con il nome di un ex fidanzato della minore. Per questo la mamma della giovane, Anna Perugino, organizzò un appuntamento per scoprire chi fosse l’uomo che si nascondeva dietro quel profilo. Insieme al compagno, ad alcuni suoi parenti ed a Nicolò Passalacqua, si recò quindi davanti al palazzo di giustizia. Qui avevano incrociarono Curto che, capito come l’appuntamento fosse una trappola, si defilò e, dopo aver raggiunto la sua auto, inviò un messaggio alla ragazza nel quale diceva di avere “una camicia bianca” per depistare le attenzioni. Subito dopo quel messaggio scattò l’aggressione a Ferrerio che indossava una camicia bianca e che, invece, stava aspettando un amico per andare a mangiare una pizza.

Fiorita: “Catanzaro abbraccia la famiglia di Davide Ferrerio”

“Oggi a Catanzaro si è consumato un decisivo passaggio della vicenda giudiziaria legata alla storia drammatica di Davide Ferrerio, il 21enne pestato brutalmente circa due anni fa, mentre trascorreva le vacanze a Crotone, e che versa, da allora, in coma irreversibile. Una storia che ci ha colpiti da vicino, per la tragicità della dinamica e perché, all’ospedale di Catanzaro, il ragazzo è stato ricoverato per le prime cure”. E’ quanto afferma, in una nota, il sindaco di Catanzaro Nicola Fiorita. “Sono stato vicino, fin dall’inizio, alla mamma, Giusy Orlando -aggiunge Fiorita- cercando di farle sentire il più possibile la solidarietà personale e quella istituzionale, in un momento che è andato via via sempre più dilatandosi e che, purtroppo, è rimasto caratterizzato dal dolore e dallo sgomento. Oggi nel Capoluogo è arrivata la sentenza del giudizio d’appello nei confronti del principale imputato, ritenuto l’autore dell’assurda violenza e già condannato in primo grado per tentato omicidio. Il mio ruolo mi impone una doverosa distanza dagli sviluppi processuali. In questo momento, desidero ancora una volta far arrivare l’abbraccio della città alla famiglia Ferrerio -sottolinea ancora il sindaco di Catanzaro- perché ritengo che la presenza al suo fianco, non solo formale, di un sindaco significhi anche la volontà di dimostrare che la Calabria è una terra in cui i valori dell’accoglienza, della solidarietà e del rispetto della vita non possono mai arretrare davanti alla cieca violenza e devono essere sostenuti e manifestati in ogni sede”. (RTC)

Sistema Riace, pg ricorre in Cassazione contro sentenza a favore di Lucano

La Procura generale di Reggio Calabria ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza con cui la Corte d’appello, nello scorso mese di ottobre, ha ridotto da 13 anni e due mesi ad un anno e sei mesi di reclusione la condanna che era stata inflitta in primo grado dal Tribunale di Locri a Mimmo Lucano, oggi europarlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra, per i presunti illeciti nella gestione dell’accoglienza dei migranti a Riace, comune in cui lo stesso Lucano è tornato a fare il sindaco.

Nel processo di secondo grado Lucano è stato assolto da tutti i reati per i quali era stato condannato in primo grado, ad eccezione di un singolo episodio di presunto falso. Per la condanna che gli è stata comminata in appello gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, difensori di Lucano, hanno presentato anche loro ricorso in Cassazione.

L’iniziativa della Procura generale non riguarda i reati di associazione per delinquere, quattro episodi di peculato e due falsi, per i quali l’assoluzione di Lucano è ormai definitiva, ma riguarda gli episodi di truffa aggravata, abuso d’ufficio e un falso contestato all’europarlamentare.

Secondo l’avvocato generale, Adriana Costabile, ed i sostituti procuratori generali Antonio Giuttari e Adriana Fimiani, la Corte d’Appello, nella sua sentenza, ha “dichiarato erroneamente inutilizzabili le intercettazioni disposte dalla Procura di Locri.

Tale questione – sostiene ancora la Procura generale – è da ritenersi cruciale nella vicenda processuale, atteso che le gravi irregolarità sulla rendicontazione, attinenti al complesso meccanismo dell’erogazione di contributi pubblici emerso dalle indagini, trovano spiegazione logica riguardo le intenzioni truffaldine solo in esito alla valutazione del compendo probatorio derivante dai dialoghi intercettati, dai quali emerge in modo inequivoco il ruolo centrale svolto nella vicenda da Lucano”.

La Procura generale, diretta da Gerardo Dominijanni, contesta la sentenza d’appello sostenendo, inoltre, che “la motivazione sviluppata sul punto dai giudici di secondo grado si contraddistingue per estrema genericità, oltre ad essere palesemente illogica e contraddittoria, atteso che si limita ad uno sterile e fuorviante richiamo di pronunce della Suprema Corte di cassazione senza approfondirne il contenuto”.

Lucano: “Sono sereno”

“Sono sereno rispetto al ricorso in Cassazione presentato dalla Procura generale, che aveva tutto il diritto di impugnare la sentenza assolutoria, così come i miei legali hanno provveduto a impugnarla nella parte in cui la Corte d’appello mi aveva condannato per una ipotesi molto residuale di falso contestato”.

Così, in una dichiarazione, l’europarlamentare di Alleanza verdi e Sinistra Mimmo Lucano in merito al ricorso in Cassazione presentato dalla Procura generale di Reggio Calabria la sentenza emessa nell’ottobre scorso a carico dell’attuale sindaco di Riace.

“Una cosa, comunque, – ha aggiunto Lucano – è già chiara: la Procura generale ha condiviso, e questo per me è motivo di soddisfazione, l’assoluzione pronunciata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria per le gravi ipotesi di reato che mi erano state contestate quali l’associazione per delinquere, il peculato, l’abuso d’ufficio e alcune ipotesi di falso collegati alla mia attività di sindaco. Per questi addebiti, infatti, la Procura generale non ha fatto impugnazione, per cui l’accertamento giudiziale della mia innocenza è divenuto definitivo”.

Chiesa nel caos post-Concilio, scomunicato Viganò per scisma. L’alto prelato “Un onore”

La sede del Dicastero per la Dottrina della Fede

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, già nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America ha ricevuto la scomunica, dichiarata d’ufficio, per aver voluto abbandonare la comunione con il Vescovo di Roma e la Chiesa cattolica. «In data 4 luglio 2024 – si legge nel comunicato diffuso dal Dicastero – il Congresso del Dicastero per la Dottrina della Fede si è riunito per concludere il processo penale extragiudiziale ex can. 1720 CIC a carico» di monsignor Carlo Maria Viganò, arcivescovo titolare di Ulpiana, «accusato del delitto riservato di scisma (cann. 751 e 1364 CIC; art. 2 SST)». Lo scrive Vatican News.

«Sono note – continua il comunicato – le sue affermazioni pubbliche dalle quali risulta il rifiuto di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e della legittimità e dell’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II». «All’esito del processo penale», Viganò «è stato riconosciuto colpevole del delitto riservato di scisma. Il Dicastero ha dichiarato la scomunica latae sententiae ex can. 1364 § 1 CIC. La rimozione della censura in questi casi è riservata alla Sede Apostolica». La decisione è stata comunicata all’arcivescovo in data 5 luglio 2024.

Com’è noto lo scorso 20 giugno era stato lo stesso prelato a divulgare integralmente il decreto che lo convocava a Roma per rispondere delle accuse dandogli la possibilità fino al 28 giugno di nominare un avvocato difensore che lo rappresentasse o facendo pervenire una memoria difensiva. Non essendo avvenuto, gli è stato attribuito un difensore d’ufficio che ha svolto secondo le norme del Diritto la difesa di Viganò.

A più riprese, negli ultimi anni, l’ex nunzio negli USA aveva dichiarato di non riconoscere la legittimità del Papa e dell’ultimo Concilio. Nella scomunica latae sententiae si incorre per il fatto stesso di aver commesso il delitto. Allo scomunicato è proibito di celebrare la Messa e gli altri sacramenti; di ricevere i sacramenti; di amministrare i sacramentali e di celebrare le altre cerimonie di culto liturgico; di avere alcuna parte attiva nelle celebrazioni appena citate; di esercitare uffici o incarichi o ministeri o funzioni ecclesiastici; di porre atti di governo. Il senso della scomunica – è scritto su Vatican News – è comunque quello di essere una pena medicinale che invita al ravvedimento, quindi si resta sempre in attesa di un ritorno della persona alla comunione”.

Monsignor Carlo Maria Viganò, da sempre l’anti-Francesco, appresa la notizia della scomunica si dice “onorato” e tira dritto per la sua strada proseguendo nella sua missione pastorale, celebrando Messa ed Eucarestia. Del resto, fa intendere, non riconoscendo l’autorità del papa (“di questo papa”), non riconosce nemmeno la scomunica.

La “colpa” dell’arcivescovo Viganò, è di aver remato contro la “deriva” del pontificato di papa Francesco, al secolo Josè Mario Bergoglio, pontefice gesuita argentino, eletto nel conclave del 2013 dopo le clamorose dimissioni di papa Ratzinger.

Viganò contesta a Bergoglio di essere a capo della “Chiesa profonda” (Deep Church) e di aver consegnato l’eredità millenaria di Pietro e della Chiesa di Cristo ad una “setta massonica”, che si sarebbe “infiltrata” nella Città del Vaticano dopo il Concilio Vaticano II.

“La “chiesa” di Bergoglio non е la Chiesa Cattolica, ma quella “chiesa conciliare” nata dal Сопсіlіо Vaticaпo II е receпtemeпte oggetto di rebrandiпg nel nome поn meno ereticale di
“chiesa sinodale”. Se е da questa “chiesa” che sопо dichiarato separato per scisma, mе пе faccio un motivo di опоrе е di vanto”, aveva detto a giugno 2024 Viganò citato nel documento del Dicastero per la Dottrina della Fede, che lo scomunica. L’alto prelato, già Nunzio apostolico negli Stati Uniti, ha definito una “farsa” il processo del Vaticano contro di lui e non si è nemmeno difeso con un suo legale, ma è stato “difeso” da un avvocato nominato d’ufficio.

“Ripudio le eresie di Jorge Mario Bergoglio”

“Ripudio, respingo е сопdаnno gli scandali, gli errori е lе eresie di Jorge Mario Bergoglio, che maпifesta uпа gestione assolutamente tirannica del potere, esercitata contro lo scopo che legittima l’Autorità nella Chiєsa: un’autorità che е vicaria di quella di Cristo, е che come tale а Lui solo deve obbedire. Questa separazione del Papato dal proprio рrіnсіріо legittimante che è Cristo Pontefice trasforma il ministerium іп uпа tirannide autoreferenziale. Con questa “chiesa bergogliaпa”, nessun Cattolico degno di questo поmе può essere in comunione, perché essa agisce in palese discontinuità е rottura con tutti і Рарі della storia е cоп la Chiesa di Cгisto”.

Ecco l’atto integrale del Dicastero per la Dottrina della Fede

Elezioni in Uk, Laburisti vincono dopo 15 anni, tracollo dei conservatori

Le prime elezioni nel Regno Unito post-Brexit sono state storiche sotto molti punti di vista. Per la valanga di seggi conquistati dal Partito Laburista, per il tracollo senza precedenti nella storia del Partito Conservatore e per il ritorno nell’ombra del Partito Nazionale Scozzese. Per la prova elettorale più convincente dei Liberal Democratici in poco più di 30 anni di esistenza politica e per la comparsa sulla scena dei sovranisti di Reform Uk di Nigel Farage (eletto all’ottavo tentativo). Ma anche per altri dati che offrono significativi spunti di riflessione: quella appena eletta sarà la Camera dei Comuni con la maggiore rappresentanza femminile di sempre – 242 deputate – ma a fronte a un’affluenza al voto tra le più basse dal 1885, ferma al 59,8 per cento.

“Ce l’abbiamo fatta! Il cambiamento inizia ora“, sono state le prime parole del leader laburista, Keir Starmer, dopo l’annuncio dei risultati parziali delle elezioni di ieri (4 luglio): “Serve un partito laburista cambiato, pronto a servire il nostro Paese, pronto a riportare la Gran Bretagna al servizio dei lavoratori”. Con 412 seggi conquistati alla Camera dei Comuni – la migliore performance elettorale dopo quelle di Tony Blair nel 1999 e nel 2001 – i Labour hanno ora un’ampissima maggioranza per governare (la soglia minima è di 326) e per questa mattina (5 luglio) sono attese a Buckingham Palace le dimissioni del premier conservatore uscente, Rishi Sunak, prima della nomina di Starmer da parte di re Carlo III. Dopodiché il leader laburista si recherà a Downing Street 10 verso ora di pranzo e terrà il primo discorso come nuovo capo del governo britannico.

Immediate le congratulazioni a Starmer dai vertici delle istituzioni dell’Unione Europea, che hanno osservato le elezioni nel Regno Unito post-Brexit dall’esterno (per la prima volta dal 1973, quando Londra faceva ingresso nella Comunità Economica Europea): “Non vedo l’ora di lavorare in un partenariato costruttivo per affrontare le sfide comuni e rafforzare la sicurezza europea”, ha commentato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Le ha fatto eco il numero uno del Consiglio Europeo, Charles Michel, che parla di “nuovo ciclo” a Londra e dà appuntamento al prossimo inquilino di Downing Street 10 “alla riunione della Comunità Politica Europea il 18 luglio nel Regno Unito, dove discuteremo delle sfide comuni, tra cui stabilità, sicurezza, energia e migrazione”. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, si è congratulata con Starmer, ricordando che “le relazioni tra l’Unione Europea e il Regno Unito sono radicate nei nostri valori condivisi e nella nostra amicizia di lunga data” e “come alleati e partner, è nel nostro interesse comune continuare a lavorare a stretto contatto“.

Il contraltare della valanga di seggi laburisti è una cocente sconfitta per i Tories del premier uscente Sunak, crollati a 121 seggi alla Camera dei Comuni (-244). Si tratta del peggior risultato nella storia dei conservatori britannici dalla fondazione del partito nel 1834, che arriva dopo 14 anni di governo e 5 diversi gabinetti, da David Cameron tra il 2010 e il 2016 fino agli ultimi due anni di Sunak, passando da Theresa May e Boris Johnson a cavallo dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e i fallimentari 45 giorni di Liz Truss (non rieletta ieri) nell’autunno 2022. Il risultato ai limiti del catastrofico dei conservatori (più di 7 milioni di voti persi dal trionfo del 2019) può essere considerato la parabola del suicidio politico di Sunak, che a fine maggio aveva indetto elezioni anticipate, anche se i Tories rimarranno ancora il principale partito di opposizione ai Labour. La vera incognita sarà ora la direzione che prenderanno i conservatori, in particolare di fronte alla cavalcata dei sovranisti e populisti di Reform Uk, che hanno conquistato solo 5 seggi – tra cui quello del loro leader e architetto della Brexit Farage – ma si sono piazzati al terzo posto in termini di preferenze: con 4,1 milioni di voti sono saliti al terzo posto tra i partiti nel Regno Unito.

Il sistema elettorale in vigore nel Regno Unito viene definito first past the post, ovvero un maggioritario secco: in ciascuna delle 650 circoscrizioni in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord il candidato che ottiene più voti degli altri viene eletto deputato. Nonostante tendenzialmente garantisca una maggiore governabilità, allo stesso tempo questo sistema può nascondere alcuni elementi critici del risultato delle urne. Per esempio alle elezioni del 4 luglio 2024 – con la seconda affluenza più bassa in 150 di storia democratica britannica (solo nel 2001 si è toccato il 59,4 per cento) – si rischia di non notare che i laburisti di Starmer hanno perso circa 600 mila preferenze rispetto a cinque anni fa, quando sotto Jeremy Corbyn crollavano al risultato peggiore dal 1935 in termini di seggi alla Camera dei Comuni (202): ma con l’affluenza al 67,3 per cento nel 2019, si attestavano al 40 per cento e 10,3 milioni di voti. O ancora, che i sovranisti di Farage sono staccati di soli 9 punti percentuali dai conservatori (14,3 contro 23,7) e 2,8 milioni di preferenze – nonostante i seggi dicano 120 a 5 – mentre i laburisti sono al 33,8 per cento con 9,6 milioni di voti. Tutto ciò considerato, i prossimi mesi e anni diranno se la nuova leadership dei Tories andrà verso un tentativo di riconquistare gli elettori persi a favore di Reform Uk – con un inasprimento delle posizioni nazionaliste, euroscettiche e anti-migrazione – o se tenteranno una virata al centro per riprendersi l’enorme quantità di circoscrizioni passate di mano ai Labour soprattutto in Inghilterra.

Anche perché si deve tenere in considerazione la prova elettorale significativa dei Liberal Democratici, che sono riusciti a eleggere 72 deputati (a fronte di 3,5 milioni di preferenze, circa 600 mila in meno di Reform Uk). Si tratta della migliore performance del partito dalla sua fondazione nel 1988 e la nuova scalata al terzo posto alla Camera dei Comuni, considerato il parallelo tracollo del Partito Nazionale Scozzese a 9 seggi (-39 rispetto al 2019) e il ritorno nell’ombra dopo i nove anni di forte leadership di Nicola Sturgeon tra il 2014 e il 2023. Dopo lo scandalo sui finanziamenti del partito all’inizio del 2023, le dimissioni di Sturgeon non hanno cambiato la priorità su un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito nell’agenda dei successori Humza Yousaf e John Swinney, con la condanna della Brexit e delle sue conseguenze economiche come fattore trainante. Eppure le sconfitte nella stragrande maggioranza delle circoscrizioni alle elezioni 2024 a favore di laburisti e liberaldemocratici possono essere interpretate come la fine del sogno indipendentista e la consapevolezza degli elettori scozzesi che una migliore rappresentanza nel partito al governo può fornire una prospettiva migliore rispetto a quanto realizzato dal 2015 dalla formazione nazionalista.

A completare il quadro della Camera dei Comuni sono i 7 deputati repubblicani nordirlandesi di Sinn Féin, i 5 protestanti nordirlandesi del Partito Unionista Democratico, i 4 gallesi di Plaid Cymru e i 4 del Partito Verde (con un exploit elettorale da 800 mila a 1,9 milioni di preferenze guadagnate dal 2019 a oggi), oltre ad altri 5 eletti di partiti minori e 6 indipendenti, tra cui l’ex-leader laburista Corbyn. Un ultimo dato da considerare è il calo della quota complessiva di deputati laburisti e conservatori complessivi (533) – la più bassa dal 1931 (522) – che per la prima volta nella storia moderna del Regno Unito potrebbe portare a delle riflessioni profonde sullo stesso sistema maggioritario secco in vigore e a richieste più pressanti per un sistema elettorale più proporzionale da parte dei partiti che hanno fatto un balzo in avanti, Reform Uk e il suo leader eletto in Parlamento sopra tutti.

Orbàn incontra Putin per negoziare la pace in Ucraina e l’Ue si arrabbia

Orbàn e Putin nel loro incontro a Mosca

Il presidente russo Vladimir Putin venerdì ha incontrato a Mosca il primo ministro ungherese Viktor Orbán per un incontro con un leader europeo, scatenando le ire di Bruxelles che considera il viaggio del presidente ungherese “non autorizzato” dall’Unione europea. La visita di Orban al Cremlino e prima ancora quella a Kiev viene giustificata dal fatto che l’Ungheria ha la presidenza di turno del Consiglio europeo, scattata lo scorso 1 Luglio.

L’incontro a Mosca tra i due leader segue un incontro tra Orban e il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy a Kiev lunedì, dove i due hanno affrontato i risvolti della crisi russo-ucraina nonostante il netto rifiuto di Orbán di fornire sostegno politico o militare all’Ucraina.

Non appena sono emerse le notizie del viaggio a Mosca, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e altri governanti hanno attaccato Orbán, ricordandogli che non ha “alcun mandato” per negoziare la pace a nome dell’Ue durante il suo mandato. Una posizione, quella di Bruxelles, che ribadisce quella dell’occidente collettivo a guida Usa: “La guerra continui, non si tratta”, è il senso.

Putin a Orban: “Sulla pace sono pronto a discutere”

“So che questa volta lei è venuto non solo come nostro partner di lunga data, ma anche come Presidente del Consiglio dell’Unione Europea”, ha detto il Presidente della Russia Vladimir Putin all’omologo ungherese durante il loro incontro a Mosca. “Spero che avremo l’opportunità di scambiarci opinioni sulla costruzione di relazioni bilaterali in questa situazione difficile e, naturalmente, di discutere i possibili scenari per la più grande crisi europea, mi riferisco all’Ucraina. So che di recente, il 2 luglio, credo, lei ha visitato Kiev, e ora è venuto qui per discutere in dettaglio della situazione che si è creata in Ucraina. Sono a sua disposizione”, ha detto il presidente della Federazione russa citato dal sito del Cremlino.
“Probabilmente conoscete il mio recente discorso ai massimi funzionari del Ministero degli Esteri qui a Mosca, che ha riassunto la nostra posizione in merito al possibile accordo di pace. E naturalmente, sono pronto a discutere alcuni dettagli con voi o a spiegarveli. Spero che mi rendiate conto della vostra posizione personale e di quella dei partner europei”.

“Per quanto riguarda le relazioni bilaterali, purtroppo, abbiamo assistito – prosegue il capo dello Stato – a un serio calo degli scambi commerciali, di oltre il 35 percento. Ma in generale, c’è molto su cui lavorare. Stiamo realizzando progetti ambiziosi. In ogni caso, siamo lieti di vedervi e abbiamo molto di cui parlare”, ha concluso

Orban a Putin: “L’Ungheria ascolta e parla con tutti”

“Grazie per avermi incontrato oggi. Questo è ben lontano dal nostro primo incontro nell’ultimo decennio; in effetti, è l’undicesimo. Ma questo incontro è più critico dei precedenti. Come hai detto, l’Ungheria ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dell’UE il 1° luglio. Il nostro ultimo incontro è stato prima della guerra; ci siamo incontrati a febbraio 2022. Ecco perché questi due incontri sono diversi. Vi sono molto grato per aver accettato di incontrarmi anche in una situazione così difficile. Devo dirvi che il numero di paesi che possono parlare con entrambe le parti di questo conflitto sta rapidamente diminuendo. L’Ungheria sarà probabilmente l’unico paese in Europa a breve che sarà in grado di parlare con tutte le parti. Vorrei cogliere questa opportunità per discutere con voi di una serie di questioni importanti. Vorrei anche conoscere la vostra opinione su diverse questioni che sono importanti per l’Europa”, ha detto Orban.

Orban replica all’Ue: “Voglio trovare la via più breve per porre fine alla guerra in Ucraina”

Orban poi ha risposto a distanza ai vertici dell’Ue che avevano condannato il suo viaggio a Mosca: “Sono criticato perché sono amico di Putin. Ma sono amico degli ungheresi e, in secondo luogo, sono amico del mondo. Questo è molto importante da capire… Il motivo per cui sto negoziando con Putin è trovare la via più breve e veloce per porre fine a questa guerra”, ha detto Orban in un’intervista a Die Weltwoche.

In precedenza Orban aveva affermato che la sua visita in Russia veniva preparata segretamente e aveva chiesto al capo del Ministero degli Esteri ungherese, Peter Szijjártó, di organizzare il viaggio senza fughe di informazioni. Il primo ministro magiaro ha anche detto che presto farà diverse visite inaspettate come i suoi recenti colloqui con il presidente russo Vladimir Putin a Mosca e con quello con Zelensky.

Orban ha detto di aver posto domande a Putin sull’Ucraina e sulla sicurezza europea

Il primo ministro ungherese Orban ha inoltre dichiarato al giornale di aver sollevato tre questioni durante un incontro con Vladimir Putin a Mosca. Riguardavano il conflitto in Ucraina e l’architettura di sicurezza dell’Europa.

In primo luogo, Orbán ha chiesto cosa pensasse Putin degli scenari dei negoziati di pace con l’Ucraina, ai quali la Russia non è stata invitata. Il presidente russo gli ha risposto che non può esserci dialogo senza la partecipazione di tutte le parti. “Era logico”, ha commentato Orban sulla reazione di Putin.

Nella seconda domanda Orbán ha sollevato il tema del cessate il fuoco prima dell’inizio dei negoziati. Secondo Putin, Kiev può sfruttare questa tregua per scopi militari.

Il primo ministro ha inoltre chiesto a Putin come vede l’architettura di sicurezza dell’Europa nel futuro. Vladimir Putin gli ha detto che Mosca ha un piano su come potrebbero svilupparsi le relazioni tra l’Occidente e la Russia, ha osservato Orban.

Ucciso perché sospettato di essere un informatore dei carabinieri, 3 condanne

Era sospettato di essere un informatore dei carabinieri e, per questo motivo, secondo quanto hanno riferito alcuni collaboratori di giustizia, venne ucciso.

Per l’omicidio di Salvatore Di Cicco, di 34 anni, avvenuto a Crucoli nel settembre del 2001, il gup di Catanzaro, Gilda Danila Romano, ha inflitto tre condanne.

La pena più pesante, 30 anni, è stata comminata a Giuseppe Spagnolo, di 55 anni, A sette anni sono stati condannati i due pentiti che hanno collaborato alle indagini sull’omicidio, Nicola Acri, di 45 anni, e Ciro Nigro, di 57.

Secondo la ricostruzione dei fatti da parte della Dda di Catanzaro, gli esecutori dell’omicidio, esponenti dei “locali” di ‘ndrangheta di Cirò, Cassano allo Ionio e Corigliano Calabro, avrebbe attirato Di Cicco in un tranello, grazie all’aiuto di Ciro Nigro, ex esponente della ‘ndrina di Corigliano Calabro, che avrebbe ordinato alla vittima di accompagnarlo a Cirò con il pretesto di concludere un acquisto di armi. I due sarebbero così partiti in macchina, con Di Cicco alla guida.

Una volta giunti sul lungomare di Torretta di Crucoli, Nigro, “istruito” dai mandanti dell’omicidio, tra i quali il boss di Rossano Nicola Acri, avrebbe abbandonato la vittima alla mercè degli assassini. Una volta sceso dall’auto, De Cicco sarebbe stato ucciso da Spagnolo con alcuni colpi sparati con una pistola calibro 38.

Piantagioni di droga e clan, 13 misure cautelari nel reggino

Un’associazione a delinquere finalizzata alla realizzazione di vaste piantagioni di cannabis in provincia di Reggio Calabria. Stupefacente che poi veniva venduto sul mercato illegale da un’organizzazione costituita da soggetti operanti nei Comuni di Taurianova, San Procopio e Sant’Eufemia D’Aspromonte.

È scattata stamattina all’alba l’operazione “Fata verde”, il bltiz dei carabinieri del Nipaaf del Gruppo carabinieri Forestale di Reggio Calabria, che hanno eseguito un’ordinanza emessa dal gip su richiesta della Dda di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri. Sono 13, in tutto, le misure cautelari: 8 persone sono finite in carcere, 3 ai domiciliari e per 2 indagati è stato disposto divieto di dimora in Calabria.

Le indagini avrebbero consentito di individuare i soggetti che finanziavano e sovraintendevano i lavori di piantagione, riconducibili alle cosche di ‘ndrangheta del reggino e del catanzarese, nonché gli altri componenti dell’organizzazione. Si tratta di quei soggetti definiti “quote parte” perché a ciascuno di essi spettava una parte dei proventi derivanti dalla vendita della cannabis. Stando all’impianto accusatorio, l’organizzazione si serviva anche di figure assoldate di volta in volta, che venivano individuate per svolgere compiti di vigilanza e manovalanza, “soggetti sacrificabili”, spesso incensurati, disposti ad assumersi ogni responsabilità nell’ipotesi di un intervento delle forze di polizia.

Dalle intercettazioni è emerso che i capi promotori dell’associazione a delinquere erano inseriti in un sistema strutturato e consolidato di commercio nel mercato illegale e questo consentiva loro di utilizzare canali “sicuri” ai quali destinare la sostanza stupefacente. Gli indagati, inoltre, simulavano la legale sussistenza delle coltivazioni di canapa, con raggiri e stratagemmi finalizzati ad eludere i controlli operati dai carabinieri forestali.

Nel corso di uno di questi, infatti, uno dei titolari dell’attività esibiva ai carabinieri la documentazione comprovante la sussistenza di un’azienda agricola a suo nome, un regolare contratto di affitto del terreno e fatture di acquisto di semi certificati di canapa nei limiti previsti dall’attuale normativa. Le analisi eseguite dal reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri, però, confermavano la sussistenza di un principio attivo Thc nettamente superiore al quantitativo soglia consentito dalla legge, il che certificava la natura di stupefacente delle piante campionate.

Durante le indagini, uno degli indagati è stato arrestato in flagranza di reato mentre trasportava piante di canapa mentre altri quattro soggetti sono stati sorpresi nella lavorazione dello stupefacente – circa 70 chili di marijuana sequestrata – che era già in stato di essiccazione e pronto per la vendita.

A Natale 2023 spararono a un operaio straniero, arrestati

La notte di Natale del 2023 aggredirono un operaio argentino, ferendolo anche con un colpo di pistola ad una gamba, davanti ad una donna e ad una minore.

Per questo tre persone italiane sono state arrestate dai carabinieri lesioni personali aggravate, porto ed esplosione di colpi d’arma da fuoco, violazione di domicilio e di danneggiamento.

Si tratta di Giuliano Nardo, Michele Idà e Salvatore Emanuele, quest’ultimo figlio di Gaetano Emanuele, attualmente latitante dopo essere sfuggito all’operazione “Habanero” condotta contro il clan di ‘ndrangheta dei Maiolo.

La notte di Natale, in un bar di Soriano Calabro, nel vibonese, durante i festeggiamenti, forse per un equivoco è nato un alterco per futili motivi fra un ragazzo del posto e un operaio di origine argentina. Lo straniero, che era insieme ad un connazionale, era stato poi picchiato. Vista la situazione e per evitare ulteriori conseguenze, l’amico aveva accompagnato l’aggredito a casa nel vicino comune di Sorianello.

Dopo circa quaranta minuti dall’aggressione si sono presentati all’abitazione del giovane quattro soggetti che, dopo aver recuperato dal cortile dell’abitazione dei bastoni e un’ascia, avevano sfondato la porta di ingresso e, incuranti della presenza di una donna e di una minore, avevano picchiato il giovane ferendolo ad un polpaccio con un colpo di pistola calibro 7,65. Altri tre colpi della stessa arma erano stati sparati contro l’abitazione.

Le indagini avviate dai carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno, coordinati dal procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo e dal sostituto co-titolare del procedimento, sono servite a raccogliere sin da subito elementi che hanno portato all’identificazione di tre dei presunti aggressori, i quali avevano agito a volto scoperto incuranti delle numerose telecamere di videosorveglianza, grazie alle quali gli investigatori hanno accertato che il gruppo, al momento dell’aggressione, era già in possesso dell’arma.

La gravità della condotta, la disponibilità dell’arma, la personalità dei soggetti coinvolti e gli elementi raccolti dagli inquirenti hanno costituito la base per la richiesta di misura cautelare avanzata dalla Procura e che il Gip ha accolto disponendo per i 3 la custodia cautelare in carcere. Sono in corso indagini per identificare il quarto complice.

L’ordinanza è stata eseguita durante la notte da un imponente dispositivo composto da oltre cento carabinieri del comando provinciale di Vibo Valentia, dello Squadrone Cacciatori di Calabria e del Nucleo Cinofili, con la copertura aerea fornita dall’elicottero dell’Arma.

“Vasi comunicanti” nella sanità siciliana, arresti per corruzione

Il Gip di Catania ha emesso 9 misure cautelari, eseguite dalla Guardia di finanza etnea nelle province di Catania, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Perugia, col supporto dei comandi provinciali del Corpo.

I destinatari sono 4 direttori d’Unità operative complesse di aziende ospedaliere della Sicilia orientale, 3 rappresentanti di società di distribuzione locale di multinazionali di dispositivi medici, un rappresentante delle multinazionali e un provider per l’organizzazione di eventi, a vario titolo indagati in concorso per falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale e corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio.

Si tratta di 9 soggetti (4 Direttori di Unità Operative Complesse (in breve U.O.C.)/Dipartimenti di Aziende Ospedaliere delle province della Sicilia orientale, 3 rappresentanti di società di distribuzione locale di multinazionali produttrici di dispositivi medici, un rappresentante di tali multinazionali e un provider per l’organizzazione di eventi), a vario titolo indagati in concorso per i reati di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio.

In particolare, sulla scorta degli elementi dell’accusa, sarebbe stato osservato che tre società – distributori locali per conto di multinazionali operanti nel settore della commercializzazione di dispositivi medici – avrebbero promesso e poi elargito ingenti somme di denaro per l’organizzazione da parte dei dirigenti sanitari indagati, operanti in strutture sanitarie della Sicilia orientale, di convegni e congressi di medicina finalizzati alla formazione, l’ultimo dei quali svoltosi a Catania nel mese di maggio. Nei fatti, dette sponsorizzazioni economiche avrebbero avuto lo scopo di ottenere in cambio l’impegno degli stessi di favorire le “ditte più generose” garantendogli l’uso effettivo di un numero maggiore di propri dispositivi medici nel corso degli interventi chirurgici.

L’inchiesta, in codice “Vasi comunicanti, trae origine da taluni approfondimenti svolti nell’ambito di attività di servizio a contrasto degli sprechi di risorse pubbliche che avrebbero inizialmente fatto emergere come l’A.O.U. Policlinico “G. Rodolico – San Marco” di Catania avesse effettuato affidamenti per l’acquisto di dispositivi medici, nell’ambito di gare aziendali di bacino o della Centrale Unica di Committenza della regione siciliana, accordando alle ditte aggiudicatarie un prezzo risultato più elevato rispetto alle quotazioni dei medesimi dispositivi indicate nell’accordo quadro CONSIP.

Le ulteriori investigazioni svolte, anche mediante attività tecniche, avrebbero evidenziato un più ampio sistema dedito alla commissione di diversi atti corruttivi ad opera di dirigenti sanitari e rappresentanti delle società di distribuzione locale di multinazionali produttrici di dispositivi medici, utilizzando lo schermo delle sponsorizzazioni economiche di eventi formativi medici.

In particolare – spiega una nota della procura etnea -, sulla scorta degli elementi indiziari acquisiti nell’attuale fase del procedimento in cui non si è ancora instaurato il contraddittorio con le parti, sarebbe stato osservato che le società “PRESIFARM Srl”, “ARCHIGEN Srl” e “CARDIOVASCULAR Srl” – distributrici locali per conto di multinazionali operanti nel settore – avrebbero promesso e poi elargito ingenti somme di denaro per l’organizzazione da parte dei citati dirigenti sanitari, operanti in strutture sanitarie della Sicilia orientale, di convegni e congressi di medicina finalizzati alla formazione, l’ultimo dei quali svoltosi a Catania nel mese di maggio. Nei fatti, dette sponsorizzazioni economiche avrebbero avuto lo scopo di ottenere in cambio l’impegno degli stessi di favorire le “ditte più generose” garantendogli l’uso effettivo di un numero maggiore di propri dispositivi medici nel corso degli interventi chirurgici.

Le stesse imprese sarebbero risultate aggiudicatarie delle gare aziendali, di bacino o della CUC regione siciliana per l’acquisto di propri dispositivi medici. Si tratta di affidamenti caratterizzati da lotti a consumo che consentirebbero al Direttore dell’U.O.C. o del Dipartimento di incidere, con le sue decisioni e il suo operato, sulla quantità e sulla tipologia di dispositivi medici da far acquistare all’azienda ospedaliera di riferimento.

Pertanto, allo scopo di accrescere il proprio fatturato, le ditte produttrici – e di conseguenza le aziende distributrici – avrebbero avuto interesse a finanziare i dirigenti sanitari affinché favorissero gli ordini di dispositivi medici da loro prodotti e distribuiti. In tale contesto, sarebbe emersa una proporzionalità tra somme da elargire, le dimensioni della casa produttrice e il numero dei dispositivi medici da acquistare.

Il sistema vedrebbe coinvolti quattro Professori, rispettivamente direttori di U.O.C. o Dipartimenti di cardiologia presso i Policlinici universitari di Catania (Prof. TAMBURINO Corrado) e Messina (Prof. MICARI Antonio) e i poli ospedalieri di Siracusa (Prof. CONTARINI Marco) e Ragusa (Prof. NICOSIA Antonino), membri di un Comitato medico-scientifico del progetto SCA “Sicilian Cardiovasculary Academy” che si occuperebbe dello sviluppo di formazione nella specializzazione di competenza.

Ciascuno di essi, sfruttando la propria posizione di vertice del rispettivo reparto, avrebbe intrattenuto rapporti con i rappresentanti delle società di distribuzione al fine di negoziare le cifre da erogare in occasione degli eventi organizzati dal comitato scientifico. Ciò sebbene la normativa di settore imporrebbe un completo distacco tra i membri di detto Comitato e i soggetti che si occupano di produzione e distribuzione di prodotti sanitari; i referenti VITALE Rosa, MAUGERI Caterina e GIRLANDO Giancarlo Antonino delle tre società catanesi – rispettivamente, PRESIFARM s.r.l., ARCHIGEN s.r.l. e CARDIOVASCULAR s.r.l. – distributrici per la Regione Sicilia di dispositivi medici prodotti dalle predette multinazionali nonché il referente di una di queste ultime, DOTTORINI Francesco, operanti nel settore della produzione di valvole aortiche (T.A.V.I.), endoprotesi coronariche e vascolari (STENT).

VITALE Rosa, MAUGERI Caterina e GIRLANDO Giancarlo Antonino – spiega ancora la procura – sarebbero apparsi perfettamente a conoscenza del sistema corruttivo, facendone parte in maniera attiva, così contribuendo alla sua alimentazione. Le evidenze raccolte restituirebbero un contesto nel quale i predetti avrebbero mantenuto contatti con i dirigenti sanitari in occasione dell’organizzazione di eventi, valutando le richieste economiche pervenute e gli importi da elargire e ponendo tali valutazioni in correlazione con l’entità di propri dispositivi da impiantare.

Anche DOTTORINI Francesco, sebbene avesse più volte criticato il sistema dei finanziamenti, ne avrebbe fatto pienamente parte, spiegando peraltro ad altri come eludere il controllo dei legal, i quali non avrebbero accordato ulteriori somme, oltre a quelle già promesse, a titolo di sponsorizzazione di detti eventi formativi. In tal senso, avrebbe prospettato al proprio distributore per la provincia etnea la fatturazione di STENT in omaggio che, una volta venduti da quest’ultimo, avrebbero consentito di recuperare la somma da integrare a quella originariamente promessa per l’evento formativo. Avrebbe inoltre discusso in maniera esplicita con il medesimo interlocutore dei contributi da erogare e del conseguente necessario incremento del numero di valvole che i presidi ospedalieri avrebbero dovuto acquistare, lamentandosi per il numero di prodotti impiantati l’anno precedente e aspettandosi un incremento a fronte dei contributi erogati.

Oltre ai predetti indagati, sarebbe risultato intraneo al sistema corruttivo anche SOLA Pietro, amministratore della COLLAGE S.p.A. di Palermo, esercente “attività delle agenzie di viaggio”, che avrebbe assunto il ruolo di provider degli eventi del progetto di ricerca scientifica promosso dai suddetti dirigenti sanitari, ponendosi quale diretta figura di riferimento di questi ultimi per le sovvenzioni in denaro formalmente destinate all’organizzazione di incontri formativi. In un recente evento svoltosi a Catania a maggio sarebbero state raccolte somme dalle imprese produttrici di TAVI e STENT per cifre consistenti, pari a circa 500 mila euro. Le persone coinvolte nell’inchiesta sono da ritenersi innocenti fino a sentenza passata in giudicato in un eventuale processo.

Corruzione e appalti, arrestati un imprenditore e un generale

Da un appalto da quasi 700mila euro per servizi di pulizia di una caserma a Velletri, secondo i pm “pilotato” da un generale dei carabinieri, ai quasi 165mila euro pagati da due imprenditori per una “mediazione” per entrare nel 2020 nei “servizi ristorazione”, del valore di 15 milioni di euro, presso sedi della Presidenza del Consiglio. Fino ad un presunto “meccanismo” di “accaparramento” delle “commesse” del Ministero delle Infrastrutture, che coinvolge “funzionari e dirigenti pubblici”.

Ci sono imputazioni delineate, riconosciute nelle misure cautelari, e casi inquietanti su cui ancora “c’è molto da approfondire” nell’inchiesta del pm di Milano Paolo Storari, condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, che ha portato ai domiciliari Oreste Liporace, 62 anni, ex comandante reggimento Allievi Marescialli e Brigadieri di Velletri e poi direttore dell’Istituto Alti Studi della Difesa, fino a oggi quando è stato sospeso dall’Arma.

Sempre ai domiciliari è finito l’imprenditore della logistica Ennio De Vellis, 63 anni, che nelle oltre 200 pagine dell’ordinanza firmata dal gip Domenico Santoro appare come il trait d’union di gran parte delle vicende, anche per il suo stretto legame con Lorenzo Quinzi, una vita passata nei ministeri con vari ruoli e da gennaio scorso capo del dipartimento per gli Affari generali e la digitalizzazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Quinzi è indagato per turbativa, così come sono iscritti altri imprenditori, funzionari e dirigenti, mentre le Fiamme gialle hanno effettuato perquisizioni a carico di 22 persone (una decina gli indagati) e anche negli uffici del Mit. L’inchiesta nasce da una passata indagine per corruzione, dalla quale erano già venute a galla le “figure degli imprenditori” e fratelli Massimiliano e William Fabbro, interrogati e che hanno collaborato.

E’ emersa una “relazione” di interessi tra i due fratelli Fabbro e Liporace, documentata anche da “chat acquisite” e soprattutto è venuto fuori il ruolo di De Vellis. Proprio grazie a quest’ultimo e al generale, arrestato per corruzione, turbativa e false fatture, ai fratelli Fabbro sarebbero stati affidati, fino al 2021, i servizi di pulizia, anche della piscina, della caserma. In cambio Liporace avrebbe ottenuto 22mila euro, borse di Louis Vuitton da oltre 11mila euro, noleggi auto, biglietti per lo stadio Olimpico di Roma e per la Scala di Milano (da qui la competenza dei pm milanesi come ultima “utilità”).

“Signor Generale, buongiorno! Congratulazioni e al prossimo bagno della ‘greca’ con Dom Perignon vintage 2009”, gli scriveva uno dei Fabbro facendo riferimento al simbolo del grado. Inoltre, nell’ordinanza piena di “omissis”, perché l’inchiesta prosegue a partire dai dispositivi sequestrati, si parla della “esistenza di un meccanismo” sulla base del quale l’imprenditore De Vellis “si accaparra le commesse” del Mit. Per cinque di queste almeno, come ricostruito negli atti, Quinzi avrebbe interessato De Vellis e le sue “5-6 società compiacenti”: il servizio di “trasloco” di 750 dipendenti dal ministero, la “messa in sicurezza” per il “pericolo di caduta” calcinacci dai balconi del Mit, il facchinaggio, la “disinfestazione vespe”, il “ripristino e restauro dell’orologio del Mit”. I colloqui tra Quinzi e l’imprenditore, anche lo scorso marzo, sono stati videoregistrati dagli investigatori nel suo ufficio al ministero. I due avevano nascosto per timore i telefoni.

Quinzi diceva: “C’abbiamo pendenze, fatture te le abbiamo pagate tutte?”. E ancora: “Poi magari mi fai un lavoretto quando mi serve”. Si indaga su soggiorni a Sestriere che avrebbe ottenuto in un residence di proprietà di De Vellis, che, tra l’altro, “sfruttava o vantava” una “relazione esistente o asserita con un pubblico ufficiale allo stato non identificato, ma appartenente al Dis (Dipartimento informazioni e sicurezza)”. Tra gli altri capitoli dell’inchiesta anche per traffico di influenze illecite i tentativi, andati a vuoto, dei Fabbro, sempre attraverso “mediazioni” pagate, di avere “appalti all’interno del Vaticano” o dall’Ordine dei Francescani. E il focus su quelli della “Avvocatura generale dello Stato” con un funzionario amministrativo dell’Economato, Ugo Centore, che risulta tra gli indagati.

Collusioni tra clan e politica, indagati ex senatore e consiglieri Pd e Lega

L’ex senatore Giovanni Bilardi, eletto nel 2013 con il Grande Sud, l’assessore comunale di Reggio Calabria Domenico Battaglia detto “Mimmetto”, del Pd, e il consigliere comunale della Lega Mario Cardia sono stati iscritti nel registro degli indagati per scambio elettorale politico mafioso.

Sono coinvolti nell’inchiesta “Ducale”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, che lo scorso 11 giugno ha portato a 14 misure cautelari: 7 indagati sono finiti in carcere, 4 ai domiciliari e per 3 il gip Vincenzo Quaranta ha disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Condotta dai carabinieri del Ros con il coordinamento del procuratore Giovanni Bombardieri, degli aggiunti Stefano Musolino e Walter Ignazitto e del pm Salvatore Rossello, l’indagine ha riguardato la cosca Araniti di Sambatello, alla periferia nord di Reggio, che avrebbe avuto un ruolo attivo alle elezioni regionali del 2020 e del 2021 e alle elezioni amministrative del settembre 2020. Tra gli arrestati, ci sono il presunto boss Domenico Araniti e suo genero Daniel Barillà.

Quest’ultimo è il soggetto che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato il tramite tra la cosca e la politica. Al momento del blitz dei carabinieri, era emerso che sono indagati, sempre per scambio elettorale politico mafioso, anche il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, il consigliere regionale di Fratelli d’Italia Giuseppe Neri e il consigliere comunale del Pd Giuseppe Sera. Per questi ultimi due, la Dda ha presentato appello al Tribunale del Riesame perché il gip ha rigettato la misura cautelare dell’arresto.

Confiscati beni per 7 milioni a imprenditore vicino a ‘ndrangheta

Beni per 7 milioni di euro sono stati confiscati dalla guardia di finanza e dai carabinieri all’imprenditore Giuseppe Iannace, di 75 anni, ritenuto vicino alla cosca Pesce di Rosarno.

Il provvedimento è stato emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale su richiesta della Dda di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri.

Secondo gli inquirenti, l’imprenditore è un esponente di spicco della cosca ed inserito nel tessuto criminale rosarnese senza soluzione di continuità da oltre un trentennio. Genero del defunto boss Peppino Pesce, infatti, la figura di Iannace è emersa, nelle operazioni denominate “Handover- Pecunia Olet” e “Faust”.

La prima inchiesta, eseguita nell’aprile 2021 dalla guardia di finanza e dai carabinieri del Ros nei confronti della cosca Pesce, ha permesso di scoprire un vero e proprio accordo che avrebbe consentito alla consorteria di gestire, in condizione di monopolio, i remunerativi settori dell’indotto della grande distribuzione alimentare e del trasporto merci su gomma.

In questo ambito, per la Dda, Giuseppe Iannace avrebbe ideato e attuato un sistema di intestazioni fittizie volto a schermare la sua posizione di reale dominus di beni illecitamente accumulati e, al contempo, evitare l’applicazione di sequestri patrimoniali, dei quali già in passato era stato destinatario. Il tutto con il fondamentale supporto di un commercialista che avrebbe curato gli aspetti tecnici.

L’operazione “Faust”, eseguita dai carabinieri del Nucleo investigativo di Reggio Calabria nel gennaio 2021, ha riguardato invece la cosca Pisano, operante a Rosarno, la “società di Polistena” e il locale di ‘ndrangheta di Anoia. Con questa inchiesta, la Dda è riuscita a dimostrare l’esistenza di una fiorente attività di narcotraffico che, dal porto di Gioia Tauro, finiva poi nelle mani di gruppi criminali in Campania, Puglia, Basilicata e Lombardia. Il denaro frutto del traffico di droga veniva poi reimpiegato in attività usurarie. I pm hanno ricostruito, inoltre, diversi episodi di minacce e danneggiamento in danno di commercianti a scopo estorsivo e l’appoggio elettorale fornito dalla cosca Pisano ad alcuni politici di Rosarno.

Nel processo “Faust” Giuseppe Iannace è stato rinviato a giudizio per associazione di stampo mafioso e trasferimento fraudolento di valori aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa.

Gli accertamenti eseguiti dalla guardia di finanza e dai carabinieri hanno consentito di ricostruire il patrimonio direttamente ed indirettamente nella disponibilità dell’imprenditore, il cui valore sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla capacità reddituale manifestata.

Proprio per questo, oltre a tutti i rapporti bancari e finanziari riconducibili a Iannace, il Tribunale ha disposto la confisca dell’intero compendio aziendale di una cooperativa agricola, formalmente intestata a un prestanome, comprensivo di 2 terreni e di un immobile adibito ad uso commerciale e industriale. Sono stati confiscati, infine, 4 fabbricati tra Rosarno e Tropea e un’autovettura.

Presidenziali Usa, NYT: “Biden valuta se continuare la corsa”. Casa Bianca: “Falso”

Joe Biden sta valutando se continuare la corsa alla Casa Bianca. Lo ha avrebbe ammesso lo stesso presidente con un suo alleato, secondo quanto riportato dal New York Times, che non lo cita avendo egli chiesto l’anonimato.

Biden avrebbe detto di essere consapevole che potrebbe non essere in grado di salvare la sua candidatura se non convincerà il pubblico nei prossimi giorni sul fatto che può continuare il lavoro. Il presidente, ha riferito l’alleato di Biden al New York Times, sa che le sue prossime apparizioni, inclusa l’intervista a Abc, devono andare bene. Il caos e il malumore intorno ai dem americani sta crescendo dopo il “rumoroso” disastro di Biden nel duello televisivo tra il capo della Casa bianca e l’ex presidente Usa Donald Trump, oggi ricandidato e dato da molti osservatori per vincente.

L’ammissione di Biden con il suo alleato è la prima indicazione che il presidente stia seriamente considerando se può riprendersi dopo la devastante performance del dibattito con lo sfidante. Un consigliere di Biden ha messo in evidenza con il New York Times che il presidente è “ben consapevole delle difficoltà politiche che si trova ad affrontare”. Biden sta contattando lentamente i leader democratici e avrebbe detto ad almeno una delle persone a lui più vicina di essere aperto alla possibilità che il suo piano di andare avanti dopo la sua performance al dibattito potrebbe non funzionare.

L’articolo del New York Times è “assolutamente falso”. Lo afferma il portavoce della Casa Bianca Andrew Bates, negando che Joe Biden stia considerando di abbandonare la corsa alla presidenza. “E’ assolutamente falso. Se il New York Times ci avesse concesso più di sette minuti per commentare lo avremmo detto”, ha scritto Bates su X.

Ad una raccolta fondi in Virginia, Biden ha attribuito la sua cattiva performance nel dibattito tv contro Donald Trump al fitto programma di viaggi internazionali, tra Francia, Italia e Los Angeles. “Non sono stato intelligente. Ho deciso di viaggiare intorno al mondo un paio di volte poco prima del dibattito per non so quanti fusi orari, credo almeno 15… Non ho ascoltato il mio staff… E poi mi sono quasi addormentato sul palco. Non è una scusa ma una spiegazione”, ha aggiunto Biden.

Appalti pilotati nella sanità calabrese, arresti e interdizioni

I finanzieri di Catanzaro, coordinati dalla Procura, hanno notificato un’ordinanza del giudice a 15 soggetti indagati, a vario titolo, per corruzione, concussione, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, turbata libertà degli incanti, truffa aggravata ai danni dello Stato, falso ideologico, abusiva introduzione in sistema informatico ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Le Fiamme gialle hanno scoperto presunti illeciti in 9 appalti pubblici del valore complessivo di oltre 33 milioni di euro, banditi dalla Stazione unica appaltante della Regione Calabria, dall’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, nonché dall’Azienda ospedaliera “Pugliese – Ciaccio” e dall’Aou “Mater Domini”, ora confluite nell’Aou “Dulbecco”).

Due imprenditori e un dirigente medico-docente universitario dell’Azienda “Dulbecco” sono stati arrestati mentre 13 dipendenti di strutture sanitarie sono stati sospesi. Indagato un consigliere di un Comune della provincia. Ai domiciliari sono stati posti Giuseppe Lucio Cascini, professore ordinario di diagnostica per immagini, destinatario anche dell’interdizione; Pasquale Bove, rappresentante della Medicalray s.r.l. e dalla Teknos S.r.l e Ciro Oliviero, agente commerciale della Siemens Healthcare Sri.

Rispetto alle presunte gare pilotate, gli investigatori hanno ipotizzato illeciti legami tra alcuni pubblici ufficiali, preposti alla gestione delle stesse, e gli agenti/rappresentanti delle società che forniscono materiali o servizi sanitari, anche mediante la turbata libertà del procedimento di scelta del contraente con bandi e capitolati redatti in modo da orientare l’aggiudicazione a soggetti predeterminati, in violazione della concorrenza e a discapito dell’economicità e della trasparenza dell’azione amministrativa.

In alcuni casi sono state ipotizzate condotte corruttive, con utilità (promesse o erogate) ai pubblici ufficiali coinvolti, intese quale remunerazione delle condotte illecite che sarebbero state perpetrate in favore degli operatori economici interessati alle procedure.

Sono stati ipotizzati anche reati di falso ed altro nello svolgimento di concorsi indetti da alcuni degli enti pubblici, per il reclutamento di personale, e di truffa, in relazione alla ripartizione del fondo incentivi per le funzioni tecniche, a beneficio di dipendenti dell’ex Azienda ospedaliera “Pugliese – Ciaccio”, in assenza dei presupposti previsti.

E’ stato ipotizzato anche il reato di truffa in relazione alla percezione, da parte di un dirigente medico dell’ex Azienda ospedaliera universitaria “Mater Domini” e all’Università “Magna Graecia”, legato da un contratto di lavoro a tempo pieno ed esclusivo, delle relative indennità economiche di esclusività, sebbene lavorasse, occultamente, in due due cliniche private accreditate con il Servizio sanitario nazionale aventi sede nelle province di Crotone e Napoli, e ciò mediante l’utilizzo di 2 società prive di reale consistenza giuridico-economica, che avrebbero emesso sistematicamente fatture per operazioni inesistenti, con successiva corresponsione di somme in contanti al pubblico ufficiale. Contestualmente è stato eseguito il sequestro disposto d’urgenza dal Pm nei confronti di 2 soggetti e di una società per un valore complessivo di circa 530.000 euro.

I finanzieri, in particolare, hanno eseguito la misura della sospensione dai pubblici uffici nei confronti di tredici pubblici ufficiali – fra cui il medico-docente posto ai domiciliari, dipendenti, rispettivamente dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, dell’Azienda ospedaliera universitaria “Dulbecco” di Catanzaro, dell’Asp di Crotone, dell’Asp di Cosenza, del Grande Ospedale Metropolitano “Bianchi Melacrino Morelli” di Reggio Calabria e dell’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.

I provvedimenti scaturiscono da una complessa indagine svolta dal Nucleo di polizia economica-finanziaria/Gruppo tutela spesa pubblica della Guardia di finanza di Catanzaro finalizzata al contrasto delle più sofisticate forme di illecita gestione delle risorse erariali e delle frodi ai danni dello Stato.

La misura interdittiva è emessa nei confronti di Gennarina Arabia, componente della commissione giudicatrice; Antonio Nicola Arena, responsabile tecnico di laboratorio dell’A.0. “Pugliese Ciaccio” e membro della commissione tecnica di gara; Antonio Armentano, all’epoca dei fatti direttore del reparto di Neuroradiologia del Grande Ospedale Metropolitano “Bianchi Melacrino Morelli” di Reggio Calabria, in qualità di componente del Tavolo Tecnico della Sua Calabria; Vittoria Celi, dottoressa inquadrata all’interno dell’equipe medica di Patologia clinica dell’azienda Mater Domini; Pietro Gangemi, direttore facente funzioni del laboratorio di Chimica clinica dell’A.O. “Pugliese Ciaccio; Michelina Graziano, all’epoca dei fatti responsabile Fisica sanitaria Aziendale dell’Asp di Cosenza; Vincenzo Militano, dirigente medico facente parte dell’equipe medica del dottor Paolo Puntieri, S.O.C. Medicina nucleare dell’Azienda ospedaliera “Pugliese Ciaccio”; Pasquale Minchella, direttore f.f. del laboratorio di Virologia e Microbiologia dell’A.0. “Pugliese Ciaccio” di Catanzaro; Pasquale Santaguida, addetto alla Struttura provveditorato – Economato e Gestione Logistica e di Rup; Rita Carlotta Santoro, responsabile f.f. della struttura complessa Centro emofilia emostasi e trombosi del dipartimento di Ematologia oncologia dell’A.O. “Pugliese Ciaccio” di Catanzaro; Adolfo Siciliani, all’epoca dei fatti direttore dell’Uoc Radiologia dell’A.S.P. di Crotone.

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