14 Ottobre 2024

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Naufragio, ritrovati i corpi di altri due adulti. 91 le vittime accertate

Ansa

Salgono a 91 le vittime accertate del naufragio del barcone carico di migranti schiantatosi su una secca lo scorso 26 febbraio al largo di Steccato di Cutro. Due i corpi recuperati tra sabato e domenica. Il primo cadavere di un uomo di circa trent’anni, è stato recuperato dai sommozzatori della Guardia costiera.

Il corpo era stato avvistato in precedenza nello specchio di mare tra Le Castella e Isola Capo Rizzuto da personale della Protezione civile che ha subito informato la Guardia costiera. La zona del penultimo ritrovamento, a nord di Steccato di Cutro, è quella al momento più distante dal luogo dove è avvenuta la tragedia.

Domenica mattina è stato invece individuato altro cadavere ad opera della protezione civile in mare nella zona costiera di Praialonga. Si tratta di una persona di sesso maschile di età compresa tra 20 e i 30 anni. Il recupero è stato effettuato dal personale Vigili del fuoco con moto d’acqua.

Un ragazzino di 15 anni muore durante una festa con gli amici

Un ragazzo di 15 anni, di cui non si conosce l’identità, è morto improvvisamente a Genova in seguito a un malore durante una festa con i suoi amici. La tragedia si è consumata intorno alla mezzanotte di sabato sera in un appartamento di un suo amico in via Acquarone, nel quartiere Castelletto, nel capoluogo ligure.

Dalla ricostruzione dei carabinieri del nucleo operativo e investigativo, citati da Genova today, giunti sul posto poco dopo la segnalazione, in casa erano presenti circa 15 ragazzini minorenni, per trascorrere la serata insieme. Secondo le prime informazioni degli investigatori, non sembra siano stati utilizzati in maniera importante alcol o altre sostanze.

Durante la serata, per gioco, i giovanissimi hanno organizzato una sorta di piccolo incontro di boxe, in maniera non violenta, utilizzando guantoni presenti in casa. Il 15enne, pochi attimi dopo la fine del suo turno, si è però accasciato a terra. Purtroppo nemmeno l’intervento del personale sanitario del 118 è riuscito a rianimarlo.

I ragazzini sono stati sentiti, alla presenza dei genitori, per tutta la notte per ricostruire l’esatta dinamica dei fatti. Seguirà l’autopsia come disposto dalla Procura dei minori.

Quando il governatore Toti nel 2021 affermava: “Vaccinarsi è un dovere morale”

Armi all’uranio da Londra a Kiev, Putin risponde dispiegando missili nucleari in Bielorussia

Mosca e Minsk hanno concordato di collocare armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia. Lo ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un’intervista sul canale televisivo Rossiya 24, citato da Ria Novosti.

“Dal 3 aprile, iniziamo ad addestrare gli equipaggi. E il 1° luglio, termineremo la costruzione di un deposito speciale per armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia”, ha affermato il presidente.

Il capo dello Stato della Federazione ha sottolineato che la Russia ha già aiutato la Bielorussia a riattrezzare gli aerei. Inoltre, il sistema missilistico Iskander è stato consegnato a Minsk. Putin ha osservato che avrebbero dispiegato armi senza violare gli obblighi previsti dal TNP (Trattato di non proliferazione nucleare, ndr).

Secondo il presidente russo, citato da Ria novosti la ragione di tale passo è stata l’annuncio del Regno Unito sulla fornitura di munizioni all’Ucraina con uranio impoverito. Allo stesso tempo, Putin ha osservato che la Bielorussia ha chiesto a lungo di ospitare armi nucleari russe sul suo territorio. il presidente ha aggiunto che Mosca sta facendo quello che gli Stati Uniti fanno da decenni.

“Non trasferiamo. E gli Stati Uniti non trasferiscono ai loro alleati. Noi, in linea di principio, stiamo facendo tutto ciò che loro hanno fatto per decenni. Hanno alleati in alcuni paesi e addestrano i loro vettori e gli equipaggi. Faremo lo stesso. Questo è esattamente ciò che ha chiesto Alexander Grigoryevich (Lukashenko, ndr)”, ha detto Putin.

Il capo dello Stato della Federazione russa ha osservato che le munizioni all’uranio impoverito che l’Occidente trasferirà a Kiev non appartengono ad armi di distruzione di massa, ma in qualche modo creano polvere radioattiva e sono quindi considerate molto pericolose. Secondo lui, se vengono utilizzate, le aree saranno inevitabilmente inquinate, il che creerà un pericolo sia per i residenti locali che per l’ambiente.

Martedì, il vice-ministro della Difesa britannico Annabell Goldie ha dichiarato che Londra , oltre ai carri armati Challenger 2, trasferirà munizioni alle forze armate ucraine, compresi proiettili perforanti contenenti uranio impoverito.

Quando vengono utilizzati proiettili con uranio impoverito, la polvere radioattiva si deposita sul terreno, è estremamente tossica e non può essere decontaminata. L’uso di tali munizioni può portare a focolai di cancro.

Le truppe statunitensi hanno utilizzato l’uranio impoverito durante l’operazione ‘Desert Storm’ nel 1991, durante il bombardamento della Jugoslavia nel 1999 e dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003 (ma anche in Somalia, ndr).

Vladimir Putin ha avvertito che la Russia risponderà di conseguenza a tali forniture.

Che cos’è l’uranio impoverito

Spiegazione dal sito del dottor Stefano Montanari, nanopatologo

“Pur accettando il dato di fatto che macchinazioni globali per manipolare la percezione popolare di determinati fenomeni esistono e sono condotti da professionisti abilissimi, io sono sempre abbastanza prudente nell’attribuire a “cosche planetarie” – dalla massoneria all’Opus Dei, dalle Sette Sorelle alle multinazionali del farmaco – tutti i mali del mondo.

Sull’argomento uranio impoverito (comunemente DU, da Depleted Uranium) – qualcosa che mi tocca molto da vicino – però, il sospetto non può non esistere.

Che cosa sia questo DU e come funzioni nelle sue applicazioni sono fatti tutto sommato di grande semplicità, certo più semplici delle regole del baseball o di certi reality show. Eppure la confusione popolare, e non solo popolare, è enorme.

A costo di ripetermi per l’ennesima volta e a costo di semplificazioni su cui qualche addetto ai lavori non perderà occasione di vestire i panni dello snob storcendo il naso, vedrò di chiarire l’argomento. Semplificazioni ho detto, ma niente che non sia scientificamente accettabile.

Che cos’è l’uranio impoverito – L’uranio in quanto tale è un metallo radioattivo che si trova allo stato naturale come ossido o sale in due minerali: la pechblenda e la carnotite. L’elemento esiste principalmente sotto forma di tre isotopi[1]: il 238, che costituisce circa il 99,7% del totale, il 234 che rappresenta una frazione irrisoria, e il 235 che vale circa lo 0,7%.

Perché l’uranio possa essere usato a scopi di produzione energetica o per costruire una bomba atomica occorre aumentare di parecchio la frazione 235, cosa che viene fatta tecnicamente togliendo questo isotopo da grandi quantità di uranio “normale” (formato, come abbiamo visto, da 238 + 235 + 234) e immettendo quel 235 in una quantità relativamente piccola di uranio “normale”. In questo modo, in quella relativamente piccola quantità la proporzione di 235 risulterà molto maggiore, addirittura enorme nel caso della bomba atomica, del suo 0,7% “normale”. Questo è l’uranio arricchito di cui tanto spesso i media hanno parlato a proposito delle centrali nucleari iraniane o di quelle nord-coreane.

Ciò che resta dall’uranio cui è stato sottratto l’isotopo 235 è il cosiddetto uranio impoverito, il DU di cui ci stiamo occupando.

Che cosa si fa con l’uranio impoverito –  Spolpato l’uranio del suo prezioso isotopo 235, il problema è: che fare di questo metallo radioattivo ormai inutile sia per fabbricare bombe atomiche sia per spremerne energia?

Per il suo costo bassissimo o addirittura nullo e approfittando del suo altissimo peso specifico (pesa più o meno 19 volte più dell’acqua e circa due terzi più del piombo) si facevano o si fanno ancora, per esempio, contrappesi per ascensori e stabilizzatori sia per scafi da competizione sia per aerei commerciali, oppure si fanno schermi contro le radiazioni dei raggi X o strumenti per le perforazioni petrolifere.

Ma le quantità di rifiuto in ballo sono enormi e questi sbocchi permettono di “smaltire” (virgolette d’obbligo) percentuali minime del totale.

Una maniera tanto truffaldina quanto comune per liberarsi di questo prodotto di scarto imbarazzante è adulterare alcuni minerali come, per esempio, quelli di ferro, ma anche con questo sistema ne restano sempre quantità molto rilevanti. E, allora, ecco che i militari danno una mano.

Usi militari dell’uranio impoverito – Durissimo com’è, il DU si è dimostrato adattissimo per costruire corazze a protezione dei carri armati, ma altrettanto adatto si è dimostrato per fabbricare proiettili.

Il perché è presto detto. Si tratta di un metallo non solo pesantissimo ma, come accennato, dotato di grande durezza e che, dunque, per queste sue caratteristiche penetra molto bene all’interno dei bersagli usuali in guerra. Ma il grande vantaggio è la sua piroforicità, vale a dire la sua capacità di sviluppare un calore elevatissimo (un po’ oltre i 3.000 °C) quando arriva con una velocità sufficiente a sbattere contro il bersaglio. In questo modo la penetrazione è eccellente e l’effetto devastante, che è quanto si cerca in guerra, è enorme.

L’esercito americano fu il primo ad applicare l’uranio ai proiettili, e gli esperimenti risalgono alla fine degli Anni Settanta, come testimoniato da un documento ufficiale che riporta le prove effettuate al poligono di Eglin (Florida).

Ufficialmente l’esercito italiano non ha in dotazioni armi all’uranio impoverito ma, come è noto o come dovrebbe essere noto, sul nostro territorio ci sono zone in cui eserciti che non sono quello italiano e fabbricanti di armi provano prodotti sulla cui natura noi non veniamo informati. Dunque, il sospetto che armi al DU siano usate in Italia appare legittimo. Non così la certezza.

In Sardegna, al Salto di Quirra, da oltre 50 anni esiste il poligono più grande d’Europa e in zona si verificano casi di tumori e di malformazioni fetali sia nell’uomo sia nell’animale che, per quantità e qualità, stanno finalmente attirando l’attenzione (ma si sta già tentando d’insabbiare il tutto). Se è vero che alcuni giornali attribuiscono gli eventi all’uso di armi al DU, nessuno dispone di prove consistenti al proposito.

Che cosa accade quando si usa un proiettile all’uranio impoverito – Fin dalle prime prove i tecnici militari statunitensi si accorsero che l’altissima temperatura sviluppata dall’impatto tra proiettile e bersaglio generava un aerosol di particelle solide volatili di dimensioni estremamente piccole, e altrettanto immediatamente, pur senza averne esperienza, ipotizzarono l’aggressività per la salute di queste polveri che potevano essere facilmente inalate.

Per molti anni, però, quel documento scomparve e le armi al DU cominciarono ad essere impiegate da eserciti che ne negarono, tuttavia, l’uso quando iniziarono a sorgere i primi sospetti. Se ora, a “confessione” avvenuta, sappiamo più di qualcosa degli esperimenti e dei loro risultati pratici da parte delle forze armate USA, poco o nulla si sa per quanto riguarda quello che allora era l’altro schieramento, l’esercito, cioè, che gravitava intorno all’Unione Sovietica.

Dunque, il proiettile parte e colpisce il bersaglio, di solito oggetti chimicamente compositi. Si sviluppa una temperatura molto alta (come detto, poco più di 3.000 °C) e la parte più vicina al punto d’impatto, quella in cui il calore è maggiore, sublima, il che significa che si trasforma da solida in vapore. Questo vapore, però, entra velocemente in contatto con l’atmosfera di gran lunga più fredda e ricondensa sotto forma di particelle solide di dimensioni finissime, sotto il micron (un micron equivale ad un millesimo di millimetro).

Ma mano a mano che ci si allontana dal punto d’impatto, il calore diminuisce. Così, per una certa distanza, la sublimazione sarà solo parziale, fino a che, allontanandosi, la temperatura sarà troppo bassa per far sublimare la materia ma abbastanza alta per formare polveri sottili; non sottili, però, come quelle generate dalla condensazione dei vapori.

Le polveri che si formano hanno caratteristiche particolari. Quelle di condensazione sono sferiche e cave al loro interno e la loro composizione è quella di leghe del tutto casuali. Il motivo di questa casualità di composizione è dovuta al fatto che i vapori constano della scomposizione del materiale che costituisce il bersaglio e di quello di cui è fatto il proiettile e la condensazione avviene tra elementi che s’incontrano in quel momento per caso.

Le polveri formatesi non per condensazione ma per fusione del materiale che costituisce il bersaglio sono meno sottili, sono molto fragili, sono ugualmente sferiche e cave e hanno una composizione che può essere meno casuale e più vicina a quella del bersaglio.

Le polveri che si formano nelle zone più fredde sono, invece, più grossolane e hanno forme irregolari.

Va da sé che più una polvere è piccola per dimensione, più viene facilmente trasportata dagli agenti atmosferici, e questo è quanto accade alle particelle di cui ci stiamo occupando.

In termini di volume l’uranio che entra in queste reazioni è pochissimo e, stante il suo peso specifico estremamente elevato, tende a cadere entro raggi piuttosto ridotti cosicché, dunque, la sua volatilità risulta minima. Dunque, il numero di particelle che non contengono uranio è immenso rispetto a quelle che, in effetti, lo contengono e che, per di più, sono ritrovabili solo nell’intorno dell’impatto.

A complicare un po’ le cose ci stanno le applicazioni presunte di una scoperta fatta negli Anni Trenta da parte di Percy Williams Bridgman, applicazioni che, se effettivamente messe in opera, porterebbero ad ottenere effetti paranucleari, vale a dire in qualche modo simili, seppure in scala parecchio più ridotta, ad un’esplosione atomica. Io non ho intenzione qui di entrare nell’argomento che esula dallo scopo di questo articolo pur se il suo interesse è enorme. Chi vuole saperne di più può guardarsi i filmati di una conferenza tenuta dal professor Emilio Del Giudice il quale, con estrema semplicità e chiarezza, illustra il fenomeno.

Che cosa accade a chi entra in contatto con l’uranio impoverito – La radioattività dell’uranio è nota sin dalla fine dell’Ottocento, e che la radioattività sia dannosa all’organismo è fatto universalmente noto su cui non vale la pena perdere tempo.

Occorre riferire, però, che non risultano (sempre che i dati non siano taroccati, cosa impossibile da escludere) malattie a carico di chi fabbrica le armi al DU, e noi, che di biopsie patologiche di militari reduci da teatri di guerra ne abbiamo controllate all’incirca duecento, non vi abbiamo mai trovato tracce di radioattività. Per sicurezza, abbiamo anche fatto ripetere quel tipo d’indagine su diversi campioni all’Università della Tuscia ottenendo lo stesso risultato.

Quello, invece, che si trova in quei reperti è altro.

A cavallo tra il 1997 e il 1998 noi scoprimmo che le polveri sottili ed ultrasottili solide, inorganiche, insolubili e non biodegradabili possono entrare nell’organismo sia per inalazione sia per ingestione dopo essere cadute su frutta, verdura e cereali. Inalate o ingerite che siano, queste particelle entrano con grande velocità nel sangue per essere trasportate in ogni distretto dell’organismo. Già nel sangue, almeno in una frazione della popolazione, le nanoparticelle inducono la formazione di trombi, cioè di coaguli di sangue. Raggiunta la loro meta, impossibile da determinare a priori, queste vengono imprigionate dall’organo bersaglio per non essere mai più eliminate, non disponendo il nostro organismo di alcun meccanismo utile allo scopo.

Corpi estranei che sono, dopo essersi concentrate in determinati punti dell’organo nel quale sono finite, le particelle provocano la classica reazione infiammatoria con l’induzione conseguente della formazione di un tessuto (tessuto di granulazione) che va a circondarle. A questo punto, così come descritto in centinaia di articoli medici, quel tessuto può trasformarsi in un cancro, il che è esattamente ciò che noi vediamo nelle biopsie dei militari. E che il cancro abbia tra le sue origini le forme infiammatorie è un fatto ampiamente assodato.

Il motivo per cui non si trova uranio nelle particelle individuate nei tessuti patologici è quello di cui dicevo sopra: l’uranio è pochissimo e cade molto vicino al bersaglio senza entrare in grande stile atmosfera e, dunque, senza essere inalato né ingerito perché frutta, verdura e cereali non sono più coltivati intorno al punto d’esplosione, se mai lo erano prima. Le polveri di composizione casuale, invece, sono in grado di coprire parecchi chilometri e, per questo, di entrare anche in organismi di persone che si trovano relativamente lontane dal luogo in cui è avvenuta l’azione bellica.

Insomma: l’uranio non è l’assassino ma il mandante. Da qui nasce una grande confusione, perché l’uranio non si trova nei reperti patologici e, dunque, viene scagionato da chi non conosce la catena degli eventi o finge di non conoscerla. Deve essere chiaro, invece, che l’uranio è all’origine del fenomeno e, se non se ne trovano tracce nei campioni di tessuto è proprio per le sue proprietà chimico-fisiche.

Si deve aggiungere, però, che esistono altri materiali che possiedono caratteristiche tutto sommate analoghe a quelle del DU. Tra queste il tungsteno, un metallo che, addirittura, innesca temperature intorno ai 5.000 °C ma che viene usato pochissimo almeno per due motivi: costa caro e non è un buon penetratore”.

‘Ndrangheta stragista, ergastolo per i boss Graviano e Filippone

Ergastolo per Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone. E’ il verdetto emesso al termine della camera di consiglio, iniziata stamattina, dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria a conclusione del processo ‘Ndrangheta stragista.

Confermata dunque, anche in appello, la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise nel luglio 2020. Nelle settimane scorse, durante la requisitoria, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo aveva chiesto la condanna all’ergastolo per entrambi gli imputati.

E’ durata 7 ore la camera di consiglio che ha confermato la sentenza del primo grado all’ergastolo per Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio, e Rocco Santo Filippone, ritenuto esponente della cosca Piromalli.

Entrambi sono stati condannati al carcere a vita per l’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo rientrante nelle cosiddette stragi continentali che hanno insanguinato il Paese nella prima metà degli anni ’90. È questa la tesi della Dda di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri. La Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Bruno Muscolo Campagna) ha accolto la richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo secondo cui “Filippone Rocco Santo e Graviano Giuseppe sono colpevoli di tutti i reati a loro ascritti, oltre ogni ragionevole dubbio”.

Assieme al sostituto procuratore Walter Ignazitto, il pg Lombardo ha istruito il processo chiedendo la riapertura dell’istruttoria dibattimentale. In quasi due anni di udienze sono stati sentiti, oltre al commissario capo della Dia Michelangelo Di Stefano, diversi collaboratori di giustizia come Girolamo Bruzzese e Marcello Fondacaro.

La sentenza sarebbe dovuta arrivare il 10 marzo ma quel giorno è stata invece acquisita un’intercettazione registrata dai carabinieri nell’ambito dell’inchiesta “Hybris” in cui un indagato, Francesco Adornato, ha rivelato a un altro soggetto alcuni dettagli circa una riunione avvenuta a Nicotera dove le famiglie mafiose calabresi hanno dato la loro disponibilità a Cosa nostra per partecipare alle stragi. Le ragioni della condanna si conosceranno entro 90 giorni quando i giudici di piazza Castello depositeranno le motivazioni della sentenza. (ansa)

Naufragio, inaugurato a Cutro monumento dedicato a vittime

“Alla memoria dei morti ed ai sopravvissuti sia dedicato ogni giorno un nostro pensiero ed un nostro atto di amore. Questo naufragio ci serva da monito ad impedire che trafficanti e scafisti di esseri umani senza scrupoli possano mettere a rischio la vita di migranti disperati”.

E’ questa la frase principale della lunga iscrizione posta su un monumento dedicato al naufragio avvenuto un mese fa nelle acque di Steccato e inaugurato in piazzale Africa della frazione marina di Cutro.

A scoprire la stele sono stati il sindaco di Cutro, Antonio Ceraso, il sottosegretario all’Interno Wanda Ferro e due migranti sopravvissuti al naufragio. Si tratta di un monumento commissionato dall’Amministrazione del Comune del Crotonese nella quale si ricorda anche che il naufragio “ci richiama ad esercitare il senso di umanità, di solidarietà ed accoglienza nel nome del prossimo e del più alto ideale di fratellanza umana”. “Questo monumento – ha affermato il sindaco Ceraso – sta a significare che noi i riflettori non li abbasseremo mai. Sarà a ricordo di quello che è successo per ribadire la solidarietà e l’accoglienza del popolo di Cutro”.

Il sottosegretario Wanda Ferro, in rappresentanza del Governo, ha ribadito che “Cutro è simbolo di una politica migratoria che deve vedere l’Unione europea farsi carico della problematica intervenendo al più presto, ad esempio, sulla Tunisia da dove provengono i flussi degli ultimi mesi”. “Non dobbiamo metterci nella coda – ha detto Ferro – di chi mostra umanità fino al giorno in cui arrivano ad una banchina, ma pensare che c’è il giorno dopo e quello dopo ancora. Dobbiamo lavorare per una integrazione giusta, una migrazione regolare contingentata attraverso flussi sicuri e liberi. Ai familiari ed sopravvissuti ho augurato di non trovare solo la solidarietà fino alla banchina del porto, ma trovare dal giorno dopo le condizioni di una vita che sia vita”.

Dopo l’inaugurazione del monumento, nella chiesa della Santissima Annunzia di Cutro si è svolto il concerto solenne in memoria delle vittime del naufragio tenuto dall’Orchestra sinfonica della Calabria diretta dal maestro Alberto Veronesi.

Falsa cieca per 15 anni, scoperta e denunciata. Indagati pure due medici

I Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro, hanno denunciato in stato di libertà una donna 48enne del posto, pensionata, per truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, gravemente indiziata per la percezione indebita della pensione d’invalidità riservata ai soggetti affetti da “cecità assoluta”.

Nello specifico, l’indagine, condotta dai militari della Stazione Carabinieri di Gioia Tauro, ha permesso, soprattutto attraverso svariati servizi di osservazione e pedinamento, di riscontrare comportamenti assunti dalla donna con estrema dimestichezza e facilità come il semplice gesto di “scrolling” sul touch screen del cellullare così come l’assoluta autonomia dimostrata nel firmare atti o nei movimenti di quotidiana “routine” da non risultare sicuramente di così facile esecuzione anche nello status di “non vedente”.

Dagli accertamenti posti in essere dai militari dell’Arma, in particolare, è emerso che la donna per circa 15 anni, a causa delle false attestazioni sull’invalidità, avesse percepito indebitamente un’indennità stimata dall’Inps di circa 208.000 euro,.

A risultare indagati, anche i due medici che, in diverse circostanze, avrebbero certificato l’invalidità della donna: i reati contestati, sono di truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, nonché falso materiale commesso da pubblici ufficiali in atto pubblico, in concorso.

Medico trovato morto nel Potentino, si indaga per omicidio

Si indaga anche per omicidio per la morte di Lorenzo Puccillo, di 70 anni, medico sociale del Picerno (Lega Pro, Girone C), trovato morto mercoledì scorso in un terreno di sua proprietà a Pescopagano, in provincia di Potenza. In un primo momento si era ritenuto che la sua morte fosse avvenuta per le conseguenze dell’attacco di un bovino.

Oggi, invece, durante l’autopsia sarebbero state scoperte ferite compatibili con colpi di arma da fuoco, in particolare di un fucile.

Il cadavere di Puccillo è stato visto la mattina di mercoledì da un agricoltore della zona che ha avvertito i carabinieri. In un primo tempo il cadavere è stato trasportato all’Ospedale di Pescopagano, in provincia di Potenza, secondo i primi accertamenti Puccillo era stato colpito da uno dei bovini allevati nella sua azienda agricola.

Successivamente il cadavere è stato trasferito a Potenza in vista dell’autopsia, disposta dalla Procura della Repubblica, per fare definitivamente luce sulle cause della morte del medico. L’esame autoptico si è svolto oggi.

Secondo quanto riporta l’Ansa, l’anatomopatologo avrebbe rilevato ferite da arma da fuoco in più punti del torace. Si tratterebbe di ferite provocate da colpi di fucile.

Questo particolare ha dato una direzione completamente diversa alle indagini dei carabinieri, che ora stanno rivedendo tutti gli elementi raccolti a partire dal momento del ritrovamento del cadavere.

Non è escluso che già nelle prossime ore gli investigatori possano interrogare alcune persone per ricostruire le ultime ore di vita di Lorenzo Puccillo in modo da chiarire anche il movente del fatto.

Viadotto Bisantis a Catanzaro, monitoraggio Anas su condizioni strutturali

Le condizioni strutturali del viadotto Bisantis di Catanzaro sono state esaminate nel corso di un incontro che il sindaco, Nicola Fiorita, raccogliendo le sollecitazioni di numerosi cittadini, ha avuto con la Direzione regionale dell’Anas.

Sono state esaminate, in particolare, le condizioni di sicurezza per chi percorre a piedi il viadotto “Bisantis” (Ponte Morandi, ndr) ed i troppi episodi di suicidio che si sono registrati anche negli ultimi tempi.

“I dirigenti dell’Anas – riferisce una nota dell’ufficio stampa del Comune – hanno assicurato al primo cittadino che entro la fine del mese di aprile, nell’ambito dei lavori che attualmente stanno interessando l’infrastruttura, sarà predisposta la collocazione di nuove barriere anti scavalco, che raggiungeranno i tre metri di altezza e nella parte superiore avranno il risvolto verso l’interno”.

“Sarà, comunque, una soluzione provvisoria, anche se necessaria nell’immediato. L’Anas, infatti, in vista della conclusione del complesso intervento di adeguamento anti sismico del viadotto, progetterà apposite barriere che, fatte salve le esigenze di sicurezza e le relative caratteristiche, tengano anche conto dell’aspetto estetico, irrinunciabile visto che si tratta del principale ingresso alla Città capoluogo”.

Lama di latta in cella, assolto ex boss Graviano

L’ex boss mafioso Giuseppe Graviano in una foto di archivio

Assolto per non aver commesso il fatto. Si è concluso così per Giuseppe Graviano il processo, davanti alla Corte di Appello di Ancona, per il coltello ritrovato nella cella del carcere di Ascoli Piceno dove era detenuto al 41-bis a giugno del 2017.

Si trattava di una lama rudimentale ottenuta da una lattina e che secondo la testimonianza dell’agente penitenziario che l’aveva scoperta era nascosta all’interno del tavolo. A seguito del ritrovamento il boss mafioso di Brancaccio era stato trasferito nel carcere di Terni.

Con la sentenza la Corte d’appello ha così ribaltato il giudizio di primo grado che si era concluso con la condanna di Graviano a 6 mesi di arresto e a mille euro di ammenda. Un esito a cui si è giunti con la riapertura dell’inchiesta, disposta dai giudici su istanza della difesa.

Decisivo il test del dna a cui il boss si è sottoposto, rinunciando alla prescrizione, come riferisce il suo legale Federico Vianelli. La perizia ha escluso che sull’arma vi fossero tracce genetiche riconducibili a lui. I giudici di appello hanno quindi disposto l’invio degli atti alla procura che ora dovrà accertare a chi appartenesse il coltello.

La decisione arriva alla vigilia di un’altra pronuncia importante per il boss. Sabato entreranno in camera di consiglio i giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria titolari del processo sulla “‘Ndrangheta stragista” e non è escluso che la sentenza arrivi in giornata.

Con Graviano è imputato Rocco Santo Filippone, presunto affiliato alla cosca Piromalli di Gioia Tauro: entrambi in primo grado sono stati condannati all’ergastolo quali presunti mandanti dell’assassinio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, avvenuto l 18 gennaio del 1994 all’altezza dello svincolo di Scilla dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.

Francia, oltre un milione in piazza contro la riforma delle pensioni

Nuova giornata di protesta martedì in Francia contro la riforma delle pensioni voluta dal presidente Emmanuel Macron. Lo hanno annunciato i sindacati. “Il forte rifiuto di questo progetto da parte della società è legittimo e bisogna continuare a farsi sentire”, ha dichiarato Marylise Léon, vicesegretaria generale della Cfdt citata dall’emittente Bfmtv.

Ieri, nella nona giornata di protesta in oltre 300 città, sono stati circa 1.089.000 i manifestanti secondo il ministero dell’Interno, di cui 119.000 a Parigi. Sono invece 3,5 milioni, secondo la Cct, le persone che hanno protestato ieri.

La porta di ingresso del municipio di Bordeaux, nel sud ovest della Francia, è stata data alle fiamme durante le proteste della notte. Scontri fino a notte fonda tra manifestanti e agenti di polizia si sono registrati anche a Parigi. Qui nel primo pomeriggio la manifestazione ufficiale, composta da giovani, anziani, professionisti, disoccupati, è partita da Place de la Bastille e ha raggiunto Place de l’Opéra lungo i Grands Boulevards. Nella capitale gli scontri peggiori sono avvenuti in Place de l’Opéra e successivamente in Place de la Bastille, dove la polizia ha tentato di disperdere i manifestanti con gas lacrimogeni.

Grandi proteste si sono svolte anche a Marsiglia, Lione, Besançon, Rennes, Rouen e Arles, oltre che in altre città francesi.

Spaccio di droga anche a minorenni, i carabinieri arrestano un pusher seriale

I Carabinieri di Crotone, nel pomeriggio di venerdì, hanno arrestato un noto pluripregiudicato del posto per spaccio di droga. L’arresto è stato operato dopo una complessa attività d’indagine condotta nell’autunno dello scorso anno.

I militari della Sezione operativa della Compagnia pitagorica sono riusciti a dimostrare una assidua e quotidiana attività di spaccio condotta dall’uomo, S.L, in tutta la Città di Crotone, con particolare riguardo al quartiere “Fondo Gesù” ed all’Autostazione “Romano”, all’interno della quale lo spacciatore cedeva stupefacente, in tutte le ore della giornata, anche a studenti minorenni in transito “obbligato” in quei luoghi prima di recarsi nelle varie scuole della città pitagorica.

Nel corso delle indagini sono state numerose le persone segnalate, minorenni e non, quali assuntori di sostanze stupefacenti ed ingente è stato il quantitativo sequestrato, circa 2 chilogrammi tra marijuana e hashish.

Oggi per l’uomo, già detenuto per altri reati presso il penitenziario di Crotone, è scattata, quindi, anche l’accusa di traffico e spaccio di droga, con l’aggravante di aver destinato predetta sostanza a minorenni.

Nuovo sbarco nel reggino, 220 migranti a Roccella

Archivio

C’era anche un corpo senza vita a bordo di una delle due unità della Guardia costiera che hanno condotto nel porto di Roccella Ionica i 220 migranti soccorsi al largo di Capo Spartivento mentre erano a bordo di un peschereccio partito nei giorni scorsi dalla Libia.

La persona deceduta, secondo quanto è emerso dai primi accertamenti, è un cittadino pakistano che faceva parte del gruppo di migranti, composto, oltre che da pakistani, siriani, egiziani, iracheni e bengalesi.

Tutti i migranti sono di sesso maschile. Tra loro circa 60 minori, la metà dei quali non accompagnati. Dopo lo sbarco, i migranti sono stati sottoposti a visita medica e successivamente, su disposizione della Prefettura di Reggio Calabria, temporaneamente ospitati nella tensostruttura realizzata nell’area portuale gestita dai volontari della Croce rossa, della Protezione civile e di Medici senza frontiere.

L’arresto di Putin chiesto da Zelensky. L’incontro col giudice, fratello del pedofilo rilasciato

Il mandato di arresto per Putin da parte della Corte penale internazionale, non riconosciuta legalmente da Mosca, non fu un gesto basato su una inchiesta imparziale e indipendente, ma fu dettata dal presidente ucraino Zelensky in persona.

C’è stato infatti un incontro a fine febbraio tra il presidente dell’Ucraina e il procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) Karim Ahmad Khan, almeno due settimane prima che la Corte dell’Aja disponesse un mandato di arresto per il presidente della Russia Vladimir Putin e il commissario russo per l’Infanzia Maria Lvova-Belova per una presunta ‘deportazione’ di bambini di famiglie russofone dal Donbass alla Russia. Una evacuazione, per Mosca, finalizzata a tutelare i bambini dai bombardamenti del regime di Kiev, ma per Zelensky si trattò di rapimenti di cittadini ucraini. Su questo si basa la pronuncia dell’Aja.

Zelensky e Khan si erano incontrati il 28 febbraio a Kiev, ricevuto con tutti gli onori dal presidente ucraino il quale fece pressioni affinché la Corte penale internazionale intervenisse per emettere questa sentenza. Da osservare che né la Russia, né l’Ucraina (come del resto né Usa, Cina e molti altri paesi) riconoscono la giurisdizione di questo tribunale. Gli Stati Uniti avevano bacchettato la Corte con sede in Olanda quando aveva intenzione di processare i vertici Usa per i crimini in Afghanistan. Poi non se ne fece nulla, appunto perché non riconosciuta come autorità giudiziaria internazionale.

L’incontro tra il presidente ucraino e il giudice venne reso pubblico ma passò inosservato sui grandi media. Volodymyr Zelenskyy nell’occasione aveva sottolineato come “gli atroci crimini commessi dagli invasori russi sul territorio dell’Ucraina non devono rimanere impuniti. I colpevoli devono essere assicurati alla giustizia”.

“Abbiamo sentito da voi segnali di sostegno e dell’importanza della giustizia. Per noi è stato importante ascoltarlo, poiché significava che non siamo soli nel nostro desiderio di ottenere giustizia per l’Ucraina. Con il vostro aiuto, possiamo portare giustizia in Europa e il mondo. In modo che crimini così atroci non possano ripetersi in futuro nemmeno in teoria”, disse nell’occasione Zelensky.

Inoltre, sottolineò Volodymyr Zelenskyy, “è estremamente importante per la società ucraina, in particolare per le generazioni future, vedere una risposta ai casi di deportazione di bambini ucraini dai territori occupati del nostro Paese da parte della Russia”.

“Come riportarli in patria, alle loro famiglie? Questo è un compito estremamente difficile, e sarò molto grato per le vostre idee e assistenza in questa materia”, ha detto il presidente ucraino.

Da parte sua, il procuratore della Corte penale internazionale ha ringraziato il presidente per la sua leadership personale nel “ripristinare la giustizia per l’Ucraina e assicurare alla giustizia gli autori dei crimini attraverso mezzi legali, anche se questo percorso non è rapido”, ha detto il procuratore.

“Perché senza lo stato di diritto, avremo una società dominata da coloro che possiedono il maggior numero di armi”, ha affermato Karim Khan, aggiungendo che la Corte penale internazionale è pronta a una cooperazione globale per ripristinare la giustizia (laddove però è riconosciuta la giurisdizione, ndr).

Khan inoltre sottolineato l’importanza della cooperazione con l’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina per indagare sui crimini commessi contro gli ucraini durante l’aggressione su vasta scala.

“Siamo pronti ad accelerare il nostro lavoro affinché gli ucraini e le persone di tutto il mondo ricevano giustizia il prima possibile e gli autori vengano puniti”, ha riassunto il procuratore della Corte penale internazionale.

Quindi, Zelensky, come per la richiesta e l’ottenimento di armi dall’occidente, ha chiesto e ottenuto da Khan il mandato di arresto per Putin, nonostante il pubblico ministero del tribunale in Olanda, aveva ammesso che i tempi “non potevano essere rapidi” perché in assenza di “mezzi legali” (mancanza di giurisdizione in Russia, come negli Usa…).

Ma a distanza di qualche giorno la corte in modo rapido e spedito ha messo insieme carte e documenti forniti da Kiev costruendo tout court le accuse contro un capo di Stato straniero che non riconosce la giurisdizione di quel tribunale.

Un passo falso che è recentemente costata a Karim Ahmad Khan e agli altri tre giudici del Cpi – Tomoko Akane, Rosario Salvatore Aitala e Sergio Gerardo Ugalde Godinez – l’incriminazione da parte del Comitato investigativo della Russia per “l’azione illegale”. Le azioni del procuratore della Corte Penale internazionale – ha spiegato Mosca – “presentano elementi criminosi ai sensi del Codice Penale della Federazione Russa”, quindi perseguibili.

Ovviamente tra Zelensky e Khan non si era parlato degli inenarrabili crimini commessi dal regime nazista di Kiev dal 2014 in poi sotto i regimi del criminale Poroshenko (“I bambini del Donbass non potranno andare a scuola e dovranno nascondersi in cantina, che noi bombarderemo”…), e in seguito dallo stesso Zelensky contro gli abitanti filorussi nel Donbass, dove migliaia di persone sono state bombardate, con donne violentate e bruciate vive, e bambini massacrati dal battaglione tagliagole di Azov. Atrocità che hanno poi costretto Putin a intervenire in difesa del suo popolo dopo i referendum nelle due repubbliche indipendenti russe di Donestk e Lugansk.

Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri russo, ha rincarato la dose affermando come il giudice Karim Ahmad Khan era intervenuto in favore del fratello imprigionato per casi di pedofilia.

La portavoce ha spiegato che “il fratello del procuratore Karim Ahmad Khan, tale Imran Ahmad Khan, ex deputato conservatore dimessosi in seguito all’episodio, è stato rilasciato il 23 febbraio da una prigione in Gran Bretagna dopo avere scontato soltanto la metà di una condanna a 18 mesi di reclusione per avere molestato un ragazzo minorenne”.

«Il 17 marzo, tre settimane dopo il rilascio del fratello pedofilo – afferma ancora Zakharova – Karim Khan emette un ordine d’arresto non solo per Putin, ma anche Maria Llova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini in Russia, cioè una persona che protegge i bambini da gente come il fratello del procuratore. Non si vergognano più di niente».

La portavoce ritiene che vi sia un legame tra il rilascio anticipato del fratello di Karim Khan e il mandato d’arresto contro Putin, affermando che «è uno scandalo». «Dopo tutto – aggiunge – non esistono simili coincidenze. Il ‘sistema giudiziario’ britannico ha già premiato un procuratore britannico della Cpi rilasciando in anticipo suo fratello pedofilo. Naturalmente, ora è chiaro il perché. I giudici della Cpi hanno fatto un salto fuori dalle loro toghe per prendere una decisione così evidentemente idiota e illegale».

A Cieco torna la vista dopo trapianto. Primo intervento al mondo

Ansa

Totalmente cieco, per 2 diverse patologie, ha recuperato parzialmente la vista grazie all’autotrapianto dell’intera superficie oculare (cornea, una parte di sclera e la congiuntiva) da uno dei suoi occhi.

L’intervento su un paziente di 83 anni, all’ospedale Molinette di Torino è una prima mondiale. L’anziano aveva perso da 30 anni la vista dall’occhio sinistro per una cecità retinica irreversibile e negli ultimi 10 anni era divenuto cieco dall’occhio destro per una patologia rara.

Il prelievo dall’occhio sinistro, irrecuperabile dal punto di vista funzionale, ma con una buona superficie oculare, gli ha consentito di tornare a vedere.

52enne muore per infarto, sospeso un medico del 118. “Grave negligenza”

Nei giorni scorsi, agenti della Polizia di Stato in servizio presso la Sezione investigativa del Commissariato di pubblica sicurezza di Gioia Tauro ha dato esecuzione ad una ordinanza di sospensione dall’esercizio dalla professione medica, per la durata di un anno, nei confronti di un medico del Suem 118.

L’attività di polizia, coordinata dalla Procura della Repubblica di Palmi, è stata avviata a seguito del decesso di un cinquantaduenne all’interno del pronto soccorso dell’ospedale di Gioia Tauro, avvenuto nell’ottobre 2021, dove era giunto in codice rosso accusando sintomi da infarto.

Dall’analisi della cartella clinica del paziente, dei tracciati Gps dell’ambulanza, delle registrazioni delle conversazioni del numero di emergenza 118, delle immagini di videosorveglianza e dalle dichiarazioni rese dai testimoni, gli Agenti della Polizia di Stato hanno riscontrato condotte gravemente negligenti poste in essere dal medico dell’ambulanza.

Il soccorritore, infatti, a seguito di una sospetta positività al Covid-19 del paziente, si è rifiutato di trasportare il paziente presso il Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria, dove nel frattempo era stata allestita la sala operatoria per un intervento salvavita, a causa della mancanza di dispositivi di protezione all’interno dell’ambulanza, decidendo arbitrariamente di allontanarsi dal nosocomio e rifiutando le richieste avanzate dai medici del Pronto Soccorso.

Coltivano piantagione di marijuana, due arresti nel reggino

I Carabinieri della Compagnia di Villa San Giovanni, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di di misura cautelare emessa dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria a carico di due soggetti di San Roberto, accusate di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti in concorso.

Il provvedimento, giunge ad esito di indagini, avviate nel mese di luglio 2022, coordinate dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria e s’inserisce nella più ampia opera di contrasto posta in essere dai militari dell’Arma contro lo spaccio di sostanze stupefacenti, intensificata durante la stagione estiva nelle zone più impervie pre-aspromontane e nelle aree rurali che ben si adattano alla coltivazione di cannabis.

Nello specifico, l’attività ha consentito di individuare la piantagione, tra la fitta vegetazione, precisamente nella località boschiva“Piano Guardiola” della Frazione Melia del Comune di San Roberto, costituita da circa 80 piante di cannabis, alcune alte anche 2 metri, pronte per essere raccolte, essiccate e tagliatee di identificare i due soggetti ritenuti responsabili della coltivazione illegale nei mesi di luglio e agosto scorso.

Migranti, altri 450 migranti soccorsi a 100 miglia da Siracusa

Motovedetta elicottero Guardia Costiera
Mezzi della Guardia Costiera (Archivio)

È terminata una nuova operazione di soccorso – dopo quella di stamattina – svolta sotto il coordinamento della Guardia costiera di Catania, in favore di un peschereccio, individuato a circa 100 miglia a est di Siracusa, con a bordo circa 450 migranti.

L’unità, in precarie condizioni di navigabilità, è stata raggiunta e soccorsa dalla nave Corsi e da una motovedetta della Guardia costiera.

Sul posto in assistenza anche 3 navi mercantili ed un pattugliatore di Frontex. In precedenza, a partire dalle prime ore di questa mattina, i mezzi della Guardia costiera erano intervenuti in favore di un peschereccio con molti migranti a bordo in area di responsabilità Sar italiana ed in particolare a circa 90 miglia dalla costa jonica calabrese.

Nell’operazione, coordinata dalla Guardia costiera di Reggio Calabria, sono stati tratti in salvo 295 migranti. Le persone soccorse sono state recuperate e trasportate in sicurezza su tre motovedette della Guardia costiera. (ansa)

Sequestrate nel reggino 3,5 tonnellate di prodotti caseari: “Latte non tracciato”

I carabinieri del Nas di Reggio Calabria hanno sequestrato tre tonnellate e mezzo di prodotti caseari in un’azienda con sede a Melicucco dopo avere riscontrato “gravi anomalie – riferisce una nota stampa – nella tracciabilità del latte utilizzato per la produzione di formaggi e mozzarelle”.

“L’attività dei carabinieri, che rientra in una più ampia operazione di verifiche per garantire la sicurezza alimentare in prossimità delle festività pasquali – si aggiunge nel comunicato – ha avuto come obiettivo il controllo di ogni passaggio che un prodotto caseario compie dall’origine fino all’arrivo sulle tavole del consumatore”.

Il sequestro è scaturito dal fatto che l’azienda ispezionata utilizzava latte vaccino e ovino la cui provenienza non era certificata, rendendo così impossibile collegare la materia prima al formaggio prodotto. Inoltre, riferiscono ancora i militari, non era stato mai aggiornato il registro di autocontrollo “haccp” e non c’era quindi alcun modo per risalire agli ingredienti utilizzati durante la produzione.

I prodotti sequestrati, in quanto privi di tracciabilità, sono stati distrutti. A carico del responsabile legale del caseificio sono state elevate sanzioni per un importo complessivo di 3.500 euro, oltre alle spese per la distruzione degli alimenti sequestrati.

Falsi diplomi, chiesto il processo per 72 indagati. Udienza a Maggio

La Procura di Vibo Valentia ha chiesto il rinvio a giudizio per 72 persone indagate nell’inchiesta sull’Accademia Fidia “Ars & Scientia” di Stefanaconi in relazione ad un presunto traffico di diplomi falsi rilasciati dall’istituzione accademica dal 2014 in poi.

L’inchiesta ha preso le mosse dalla scoperta, nel luglio 2020, di un arsenale di armi e oggetti riconducibili ad attività massoniche in un’abitazione contigua alla sede dell’istituto scolastico.

Il Gup di Vibo Valentia Francesca Loffredo, sulla scorta della richiesta avanzata dal pm Ciro Luca Lotoro e dal procuratore Camillo Falvo, ha fissato la data dell’udienza preliminare per il 5 maggio prossimo.

Tra gli indagati, residenti in tutta Italia, c’è il dirigente del ministero dell’Istruzione, Maurizio Piscitelli, di Casalnuovo di Napoli, che all’epoca dei fatti, sui quali hanno indagato i carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo, si occupava del controllo e dell’ispezione degli istituti di formazione accreditati dal Miur.

Coinvolti anche Maria Rita Calvosa, di Roma, ex direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale della Calabria; Vito Primerano, dirigente vicario dello stesso ufficio, e Incoronata (Nadia) Bax, ex assessore e consigliere comunale di Vibo. L’inchiesta ruota attorno all’attività dell’accademia Fidia.

Nell’elenco degli indagati figurano il preside e fondatore dell’istituto vibonese, Michele Licata; i figli Davide, Jgor e Dimitri; la nipote Michela e la nuora Rossella Marzano. Dalle indagini emerge, secondo l’accusa, un’associazione per delinquere che avrebbe costituito apposite società per rilasciare le certificazioni false che avrebbero consentito ai destinatari di partecipare a concorsi pubblici per personale docente e tecnico-amministrativo.

L’altro elemento che l’inchiesta della Procura di Vibo Valentia ha evidenziato riguarda la presunta commistione tra chi doveva controllare e chi invece è diventato complice del “sistema” che sarebbe stato costituito, generando, a detta dell’accusa, corruzione e ingenti guadagni. (ansa)

Migranti, Guardia costiera soccorre peschereccio in difficoltà

Duecentodieci migranti sono arrivati nel porto di Roccella Ionica, nella Locride. Altri 80, facenti parte dello stesso gruppo, sono stati condotti a Crotone.

I migranti, partiti nei giorni sorsi dalla Turchia, in gran parte pakistani, sono stati soccorsi da due motovedette della Guardia Costiera a circa cento miglia dalla costa mentre erano a bordo di un peschereccio con i motori in avaria.

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