14 Ottobre 2024

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Pestaggio Davide Ferrerio, condanna a 20 anni e quattro mesi per Passalacqua

Venti anni e 4 mesi di reclusione: è questa la condanna inflitta dal gup di Crotone a Nicolò Passalacqua, il 23enne accusato di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e dei futili motivi per l’aggressione a Davide Ferrerio avvenuta a Crotone l’11 agosto 2022.

Il 21enne bolognese da quella data è in coma irreversibile e si trova ricoverato in una struttura ospedaliera di Bologna.

Il pm Pasquale Festa aveva chiesto la condanna a 20 anni mentre la difesa aveva sollecitato la derubricazione del reato da tentato omicidio a lesioni gravissime. Tuttavia, se dovesse sopraggiungere il decesso del giovane turista emiliano, negli altri gradi di giudizio il reato dovrà essere rubricato come omicidio aggravato dalla premeditazione. Il presunto autore rischia la massima pena.

“Lo Stato ha risposto, non ci ha lasciato da soli”, ha commentato la madre di Davide Ferrerio, Giusy Orlando, dopo la sentenza del gup di Crotone che ha condannato a 20 anni e 4 mesi Nicolò Passalacqua per il tentato omicidio del figlio. “Un po’ di giustizia è stata fatta – ha aggiunto -. Il dolore è talmente lancinante, disumano, assurdo che non riesco a pensare ad altro perché non c’è niente. C’è semplicemente un ragazzo, un principe perché era il nostro principino, a cui è stata tolta la vita inutilmente. Adesso ci sarà il processo alla mandante ed al suo compagno. Spero che anche loro vengano condannati a una pena esemplare”.

Sequestrata quasi una tonnellata di novellame di sarda. Sanzioni salate

Oltre 500 chilogrammi di novellame di sarda nascosti in un furgone frigo pronto ad imbarcarsi per la Sicilia, sono stati stati sequestrati dalla Guardia costiera di Reggio e Villa San Giovanni.

Ulteriori 360 chili di prodotto la cui cattura è vietata dalla normativa nazionale e comunitaria sono stati trovati e sequestrati sempre dalla Guardia costiera in collaborazione con il nucleo radiomobile dei carabinieri all’interno di una vettura monovolume intercettata nel territorio del Comune di Scilla.

Ai conducenti dei mezzi sono state elevate delle sanzioni amministrative pecuniarie pari a 25 mila euro euro cadauno. Le attività di controllo, ad opera dei nuclei ispettivi della Capitaneria di porto Guardia Costiera reggina proseguiranno senza sosta anche nei prossimi giorni attraverso il monitoraggio delle varie fasi della filiera della pesca: dalla cattura del prodotto ittico sino al suo trasporto e alla commercializzazione.

Trovato con oltre 300 grammi di droga nonché migliaia di euro cash, arrestato

I Poliziotti della Squadra Mobile di Vibo Valentia hanno acquisito informazioni relative ad un soggetto disoccupato, potenzialmente dedito allo spaccio di sostanze stupefacente operante nella vicina città di Rende, informazioni successivamente riscontrate dai colleghi della Squadra Mobile di Cosenza.

Il gruppo di investigatori, avvalendosi delle Unità cinofile della Questura di vibonese, hanno effettuato una perquisizione domiciliare congiunta rinvenendo a casa dell’uomo oltre 300 grammi di sostanza stupefacente del tipo marijuana, circa 35 grammi di hashish suddivisa in diverse dosi, e altra sostanza stupefacente estratta dalla canapa, corrispondente all’olio di resina, oltre ad un vero e proprio kit per lo spaccio, composto da materiale per il confezionamento e bilancino di precisione.

Nel corso della perquisizione, infine, è stata rinvenuta una somma di denaro in banconote contanti, di diverso taglio, per complessivi 6.360 euro, cifra tale da far presumere che fosse provento dell’attività illecita.

Le modalità di conservazione della droga, le diverse tipologie di narcotici nella disponibilità del soggetto nonché il materiale detenuto al fine della predisposizione di dosi pronte alla vendita, hanno portato gli investigatori a ritenere che la detenzione fosse chiaramente destinata allo spaccio.

All’esito delle indagini, pertanto, l’uomo è stato tratto in arresto con l’accusa di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente e poi, su disposizione della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Cosenza, è stato sottoposto agli arresti domiciliari.

Corruzione e peculato, arrestata preside antimafia di Palermo

Una delle più note esponenti dell’antimafia palermitana, la preside della scuola Giovanni Falcone del quartiere Zen, Daniela Lo Verde, insignita anche del titolo di cavaliere della Repubblica, è stata arrestata dai carabinieri nell’ambito di una indagine coordinata dai pm della Procura Europea Gery Ferarra e Amelia Luise con le accuse (presunte) di peculato e corruzione.

Si sarebbe appropriata, con la complicità del vicepreside Daniele Agosta, anche lui arrestato, di cibo per la mensa dell’istituto scolastico, computer, tablet e iphone destinati agli alunni e acquistati con i finanziamenti europei.

Entrambi gli indagati sono ai domiciliari. Nell’indagine è coinvolta anche una terza persona, Alessandra Conigliaro, la dipendente del negozio R-Store di Palermo che alla preside avrebbe regalato tablet e cellulari in cambio della fornitura alla scuola, in aggiudicazione diretta e in esclusiva, del materiale elettronico.

In particolare la preside avrebbe messo in condizione la dipendente, pure lei ai domiciliari, di fare preventivi su misura a discapito di altre aziende sempre per acquisiti realizzati nell’ambito di progetti finanziati dal Pon o da enti pubblici. Tra questi il finanziamento di 675mila per la scuola dell’infanzia, il progetto denominato “Stem”, il progetto P.o.. denominato “Edu Green” di 17.500 euro e il Decreto “Sostegni Bis” per le scuole.

Secondo l’accusa la dirigente si sarebbe appropriata anche del cibo della mensa scolastica Daniela Lo Verde, preside della scuola Falcone del quartiere Zen di Palermo nota per le sue battaglie antimafia, arrestata oggi per corruzione e peculato.

A giugno scorso i carabinieri che la indagavano hanno intercettato la prima di una serie di conversazioni tra la donna e la figlia che provano che la dirigente si portava a casa gli alimenti, comprati con i fondi europei per gli alunni. Mentre lavorava in ufficio in compagnia della figlia, tra una pratica e l’altra, la preside impartiva alla ragazza indicazioni sugli alimenti da riporre all’interno di un sacchetto da portare a casa. “Questo me lo voglio portare a casa, questi me li voglio portare a casa … poi mettiamo da parte… poi vediamo cosa c’e qui … li esci e li metti qui sopra…” si sente nella intercettazione che risale al 15 giugno.

“Il riso … lo metti li davanti alla cassettiera e per la cucina questo … benissimo … ora sistema sopra il frigorifero … questa cosa di origano mettila pure per casa … – spiegava – Quelle mettile in un sacchetto che non si può scendere. Il tonno mettilo qui sotto … poi lo portiamo a casa a Sferracavallo (la villa al mare della preside, ndr)”.

Nell’agosto sarebbero stati rubati computer dall’aula magna della scuola Falcone di Palermo. Un episodio denunciato sui media dalla preside Daniela Lo Verde. I due, non sapendo di essere intercettati, svelano la loro soddisfazione per come il fatto abbia portato contributi alla scuola. “Per un cornuto e mezzo – diceva Agosto alla donna citata dall’Ansa – ci stanno arrivando soldi da tutte le parti!” E la preside rivendicava il merito di aver reso pubblica la notizia “proprio al fine di cavalcare l’onda, pubblicizzare ancora di piu ii suo personaggio di preside integerrima in prima linea ed ottenere attestazioni di stima, solidarieta, ma soprattutto soldi e aiuti economici dalle istituzioni”, commenta il gip. “Grazie tu devi dire .. perche non l’aveva saputo nessuno …. tu lo devi dire che .. che sono io quella speciale!”, diceva a proposito della diffusinoe della notizia. Il sindaco di Palermo, attraverso la Fondazione Sicilia, dopo i fatti assegnò all’istituto un contributo di circa tremila euro per riacquistare le attrezzature rubate.

Oltre al cibo delle mense scolastiche la preside Daniela Lo Verde si sarebbe appropriata di computer e tablet acquistati con i fondi europei per la scuola. Emerge dall’inchiesta dei carabinieri. “Che è un nuovo Mac?”, chiedeva la figlia alla donna. “Sì ora ce lo portiamo a casa”, rispondeva la madre. “Anche in questo caso, così come gia evidenziato in relazione agli iPad, – si legge nella misura cautelare citata da ansa – la genuinità delle conversazioni registrate fugavano ogni ragionevole dubbio sulle reali intenzioni della preside in ordine al nuovo Mac”.

Le indagini avrebbero accertato che non si è trattato di un episodio isolato. Ad una collaboratrice, che giorni dopo chiedeva perché venisse consegnato dalla ditta coinvolta nel progetto finanziato dal Pon tanto cibo a scuola chiusa, la Lo Verde spiegava che il fornitore era cambiato e non si poteva comportare come in passato faceva con una impresa locale con la quale “evidentemente, stando alle sue parole, -dice il gip – aveva un accordo sottobanco che le permetteva di differire le consegna delle forniture indipendentemente dalla data di chiusura dei progetti”. “Il progetto è finito quindi la mensa è finita – diceva – Perciò io le cose ce le devo avere dentro”. Oltre al cibo per la mensa de bambini la preside della scuola Falcone dello Zen di Palermo, arrestata per corruzione, si sarebbe appropriata anche di salviette e mascherine destinate agli alunni durante il Covid. L’hanno accertato i carabinieri grazie alle intercettazioni. “C’erano delle salviettine in qualcuna di questi … – diceva non sapendo di essere ascoltata – .. non so se mia mamma ce l’ha .. che cos’altro le puo servire? … questi sono .. disinfettanti? … me Ii porto io”. Stessa “attitudine” aveva il vicepreside Daniele Agosta, anche lui finito agli arresti domiciliari e ripreso dalle “cimici” a riemperire lo zainetto con confezioni di succhi di frutta, flaconi di gel disinfettante per le mani e mascherine Ffp2 che portava via con sè. L’uomo si sarebbe anche offerto di aiutare la dirigente a portar via il cibo. Secondo gli inquirenti sarebbe evidente inoltre la premeditazione nella condotta della Lo Verde. Premeditazione – si legge nella misura cautelare – “inconsapevolmente confermata proprio dalla dirigente nel momento in cui su richiesta della figlia, le diceva di inserire tra le provviste da portare a casa anche la birra. Appare infatti quanto meno discutibile che, tra le provviste ordinate alla ditta Eurospin da destinare alla mensa scolastica possa essere compreso anche l’acquisto di alcolici”.

Poteva contare su una rete di complici all’interno della scuola Daniela Lo Verde. Si evince dalle indagini dei carabinieri, coordinate dall’ufficio di Palermo della Procura Europea. Tra coloro che hanno aiutato la donna ed erano a conoscenza della gestione illegale dei progetti europei e dell’appropriazione di alimenti per la mensa dei ragazzi da parte della dirigente c’erano il vicepreside, anche lui arrestato e diversi collaboratori.

In cambio dell’assegnazione esclusiva e in forma diretta di materiale elettronico per la scuola dal negozio RStore di Palermo Daniela Lo Verde avrebbe avuto da una dipendente dell’attività commerciale, anche lei finita ai domiciliari, regali come telefonini i-phone. Emerge dall’inchiesta della Procura Europea. I carabinieri hanno filmato la dipendente tirare fuori da una busta, dopo aver ottenuto copia del preventivo della ditta concorrente relativo alla fornitura degli arredi scolastici ed essersi assicurata la nuova fornitura di ulteriori Notebook, una busta con due cellulari per la Lo Verde. Andata via la donna, rimasti soli in ufficio la preside e il suo vice hanno aperto il sacchetto con gli iPhone. Il vicepreside si è lamentato con la dirigente per non aver trovato ii modello 13 Pro “da lui evidentemente richiesto”, dice il gip. La Lo Verde avrebbe risposto al suo collega che i due smartphone erano per le figlie non per lui e l’avrebbe invitato a chiamare il negozio per chiederle spiegazioni.

Le persone coinvolte in questa inchiesta, poste ai domiciliari, sono innocenti fino al terzo grado di giudizio in un eventuale processo.

Pestaggio Ferrerio, tensioni davanti al tribunale. Attesa per il verdetto

Tribunale e Procura Palazzo di giustizia Crotone

Attimi di tensione a Crotone prima dell’inizio del processo a Niccolò Passalacqua, di 23 anni, per l’aggressione a Davide Ferrerio, il giovane bolognese aggredito e ridotto in fin di vita l’11 agosto 2022 nella città calabrese. Passalacqua è accusato di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione.

All’esterno del Tribunale di Crotone si sono incrociati i familiari di Ferrerio e dell’imputato che hanno iniziato ad insultarsi reciprocamente. Dall’insulto si è passati alle minacce tanto che i genitori e il fratello di Davide Ferrerio hanno chiesto l’intervento delle forze dell’ordine.

“Sono stato minacciato di morte – ha raccontato Alessandro Ferrerio, fratello di Davide – per cui abbiamo chiesto l’intervento di polizia ed anche una scorta perché vorremmo poter tornare a Bologna sani e salvi”.

L’avvocato Fabrizio Gallo, che rappresenta il papà di Davide, ha annunciato che formalizzeranno una denuncia per minacce ribadendo la richiesta di ottenere una scorta per tutelare la loro incolumità. In aula sono presenti il sindaco di Crotone, Vincenzo Voce (che indossa la fascia tricolore) ed il delegato della Provincia di Crotone, il consigliere Francesco Sirianni (con la fascia azzurra). Sia Comune che Provincia sono parti civili.

Il pm della procura di Crotone Pasquale Festa ha chiesto la condanna a 20 anni di reclusione per Nicolò Passalacqua, il 23enne accusato di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e dei futili motivi per l’aggressione a Davide Ferrerio avvenuta a Crotone l’11 agosto 2022. Il 21enne bolognese, da quella data è in coma irreversibile e si trova ricoverato in una struttura di Bologna. La richiesta è giunta a conclusione della requisitoria svolta nel processo con rito abbreviato in corso a Crotone. I 20 anni di reclusione chiesti dal pm sono già comprensivi dello sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato. Dopo la tensione di stamani, nel tribunale crotonese sembra tornata la calma anche per la presenza di numerosi appartenenti alle forze dell’ordine.

Uno degli avvocati che assistono i familiari di Davide Ferrerio, Gabriele Bordoni, ha chiesto un risarcimento da un milione e 200mila euro per il giovane finito in coma a Crotone e 300mila euro per i genitori e il fratello. L’eventuale residuo, in sede civile. Bordoni, nel suo intervento nel corso del processo in abbreviato, ha parlato del compito del giudice, “di riconciliare quello che l’aggressore con il suo comportamento ha rotto. Il Popolo italiano nel nome del quale emetterà la sentenza – ha proseguito – raccoglie Davide, la sua famiglia e tutte le persone civili che si sentono vulnerate da un fatto di questa gravità, che ha colpito una persona che non era neppure la vittima predestinata, ha interrotto il cammino della vita di un ragazzo di 20 anni. Se vogliamo lenire la rabbia del dolore – ha detto ancora il legale – serve la giustizia”.

“Il pubblico ministero – ha detto l’altro legale di parte civile, l’avvocato Fabrizio Gallo – ha fatto una richiesta in linea, dura, con quella che sono i fatti. Ha contestato tutte le aggravanti. Ha ripercorso nella requisitoria gli atti che l’hanno portato a chiedere una pena esemplare considerato anche il rito abbreviato. Ci aspettiamo che il giudice rispetti la richiesta del pm. Quello che abbiamo chiesto a gran voce che venisse confermato è il titolo del reato senza derubricarlo”. Gallo ha anche utilizzato una frase di Dante – “Fatti non fosti per vivere come bruti ma per seguire virtute e conoscenza” – per commentare davanti al giudice quanto accaduto: “Penso che questa frase corrisponde esattamente a quanto avvenuto con le scene nelle quali la famiglia di una persona che tenta di uccidere un ragazzo tenta di aggredire la famiglia della vittima”.

Ha chiesto la derubricazione del reato da tentato omicidio a lesioni gravissime l’avvocato Salvatore Iannone, difensore di Nicolò Passalacqua, il 23enne accusato di aver aggredito e ridotto in fin di vita Davide Ferrerio. “Ci aspettiamo giustizia – ha detto Iannone – perché il fatto è grave ed è giusto che Passalacqua paghi per quello che ha commesso, ma che Passalacqua non sia il capro espiatorio di qualcosa che non dovrebbe accadere nella nostra civiltà. Ritengo la richiesta del pm esagerata perché, di fronte alla contestazione del reato di tentato omicidio, siamo ad una pena finale di 20 anni in abbreviato che non pare essere una pena congrua né possa essere percepita giusta da chi ha commesso il fatto. La pena per essere socializzante deve essere percepita giusta”.

Il difensore di Passalacqua, al termine dell’arringa, ha ribadito l’ipotesi sostenuta in aula: “Ricostruendo i passaggi dell’aggressione, anche grazie al lavoro dell’avvocato Domenico Magnolia, ho detto che si tratta di ipotesi di lesioni gravissime. Abbiamo utilizzato gli atti di indagine, di nostro ho messo una perizia di parte del professore Ricci. Sosteniamo, come fa anche la perizia della Procura, che il pugno inferto sulla tempia sinistra non ha provocato alcun danno, mentre è stato provocato dalla caduta a terra che ha causato danni sulla tempia destra. Né tanto meno vi sono lesioni, nella parte posteriore del capo causate da un pugno come ritiene la Procura ma che dai video non si evince”. (ansa)

‘Ndrangheta, 18 a processo nell’inchiesta “Propaggine”. Prosciolti in cinque

Diciotto imputati nel processo scaturito dall’operazione “Propaggine” contro la cosca Alvaro di Sinopoli e Cosoleto sono stati rinviati a giudizio e compariranno davanti al Tribunale di Palmi il 28 giugno.

Per chi ha scelto il rito ordinario si è conclusa così l’udienza davanti al gup Irene Giani che ha prosciolto, invece, cinque imputati.

Tra i rinviati a giudizio c’è Carmelo Alvaro, detto “Bin Laden”, il capo locale di Cosoleto, Francesco Alvaro detto “Ciccio Testazza” e suo padre Antonio Alvaro conosciuto con il soprannome di “Massaru ‘Ntoni” e ritenuto il consigliori del figlio. Ma anche Domenico Alvaro alias “Micu u merru” e Giuseppe Alvaro detto “Stelio”.

Il processo è nato da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria da cui è emerso che la cosca, oltre ad essere operativa nel territorio di Sinopoli, dominava anche il centro di Cosoleto ove insiste un locale di ‘ndrangheta autonomo ma funzionalmente dipendente da quello di Sinopoli. Tra gli altri, sono stati mandati a processo anche il boss Antonio Carzo, detto “‘Ntoni Scarpacotta”, e l’ex sindaco di Cosoleto Antonino Gioffré, accusati di scambio politico elettorale. Dalle indagini è emerso un interesse della ‘ndrangheta per le elezioni a Cosoleto del 2018 quando, stando all’ordinanza di arresto eseguita nel 2022, “le elezioni amministrative sono state pesantemente condizionate dalla cosca Alvaro in accordo con il sindaco uscente Antonino Gioffré, poi nuovamente candidato ed eletto”.

Sono stati prosciolti invece Salvatore Alessi, accusato di favoreggiamento, e altri quattro imputati, Domenico Licastro, Giovanni Rechichi e i fratelli Francesco e Giuseppe Versace che erano accusati di associazione mafiosa. Difesi dagli avvocati Davide Vigna, Maria Teresa Caccamo, Antonino Lupini, Gaetano Muscari, Carmelo Pirrone e Angelo Fortunato Schiava, i cinque sono usciti dal processo per non aver commesso il fatto.

“Si tratta – scrive l’avvocato Vigna – di una delle prime applicazioni del nuovo parametro decisorio in udienza preliminare introdotto dalla articolata riforma Cartabia che vede il gup pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”. (Ansa)

Ucraina, Cremlino: “Adesione di Kiev alla Nato è minaccia seria. Bisogna prevenire”

“Prevenire l’adesione dell’Ucraina alla NATO rimane uno degli obiettivi dell’operazione militare speciale da parte della Russia”. Lo ha detto giovedì ai giornalisti il ​​portavoce del Cremlino Dmitry Peskov citato dalla Tass.

“Certo, perché, altrimenti, questo rappresenterà una minaccia seria e significativa per la sicurezza del nostro Paese”, ha detto il portavoce, rispondendo a una domanda.

Commentando la visita del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg a Kiev, Peskov ha affermato che il Cremlino non ha valutazioni sulle prospettive dell’adesione dell’Ucraina all’alleanza. “No, il Cremlino non ha valutazioni di prospettive”, ha osservato.

Oggi, l’ufficio stampa della NATO ha dichiarato alla Tass che Stoltenberg è attualmente in Ucraina. Secondo una fonte diplomatica a Bruxelles, la visita di Stoltenberg a Kiev è diventata l’ultimo elemento di preparazione per l’incontro del gruppo di contatto sull’Ucraina alla base aerea tedesca di Ramstein il 21 aprile.

‘Ndrangheta, sequestrato ristorante a uomo ritenuto contiguo a clan

Militari del Comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna hanno eseguito un provvedimento cautelare a firma del gip del Tribunale di Bologna, Domenico Truppa, a carico di 4 soggetti, uno dei quali ritenuto contiguo alla ‘ndrina dei “Piromalli” di Gioia Tauro, sottoponendo a sequestro l’intero complesso aziendale (conti correnti, beni immobili e quote societarie) di un noto ristorante sito a Modena.

Il decreto è stato emanato su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, nella persona del sostituto procuratore Marco Forte, all’esito delle indagini eseguite dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Bologna nell’ambito dell’operazione denominata “Radici”.

L’operazione, prendendo le mosse dal monitoraggio di cospicui investimenti immobiliari e societari riconducibili a soggetti di origine calabrese, ha fatto luce sulle infiltrazioni nel tessuto socio-economico dell’Emilia Romagna di organizzazioni criminali di stampo mafioso radicate in Calabria, portando, a ottobre del 2022, all’esecuzione di 23 misure cautelari personali e al sequestro di beni per un valore di 30 milioni di euro circa.

I successivi approfondimenti investigativi, incentrati su uno dei principali indagati, ritenuto “a disposizione” della potente cosca “Piromalli” di Gioia Tauro, hanno ora consentito di ricostruire analiticamente le movimentazioni dei conti correnti bancari e i negozi giuridici riconducibili alla società facente capo al citato ristorante, disvelandone il sofisticato disegno fraudolento.

In particolare, nel corso delle indagini è emerso che l’indagato, gravato da plurimi precedenti di polizia e giudiziari per violazioni alla disciplina sugli stupefacenti, reimpiego di proventi illeciti, associazione per delinquere, reati contro il patrimonio, reati contro la persona e porto abusivo di armi da fuoco, nonché indicato da vari collaboratori di giustizia quale contiguo alla criminalità organizzata di stampo calabrese, al fine di eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali, ha fittiziamente intestato a terzi compiacenti le quote sociali, i conti correnti e tutti i beni strumentali riconducibili all’attività di ristorazione, dallo stesso gestita in maniera occulta sotto le “mentite spoglie” di semplice cameriere.

Il Tribunale di Bologna, condividendo l’esito delle indagini e in accoglimento delle richieste formulate dalla Dda. della Procura della Repubblica, ha disposto il sequestro diretto dell’intero complesso aziendale, del valore complessivo di oltre mezzo milione di euro.

‘Ndrangheta in Piemonte, 9 arresti. Colpita la cosca Alvaro

Carabinieri Torino

All’alba di oggi, a Ivrea, Chivasso e Vibo Valentia, i militari del Comando Provinciale Carabinieri di Torino hanno tratto in arresto 9 soggetti colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Torino su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, in quanto ritenuti gravemente indiziati a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, nonché truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo mafioso.

L’indagine, condotta a partire dal 2015 dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Torino sotto il coordinamento della Procura della Repubblica – D.D.A. del capoluogo sabaudo, ha permesso di raccogliere gravi indizi di colpevolezza in ordine all’operatività di una locale, struttura delocalizzata e territoriale della ‘ndrangheta, operante sul territorio di Ivrea e zone limitrofe, caratterizzata dalla presenza di soggetti ritenuti appartenenti alla cosca degli ALVARO “carni i cani” di Sinopoli (RC), con struttura organizzativa e ripartizione degli associati in ruoli di vertice e subordinati, associazione che si sarebbe avvalsa della forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere in particolare delitti di estorsione, truffa ed usura, con predisposizione dei mezzi necessari al raggiungimento degli obiettivi illeciti – luoghi di incontro, telefoni cellulari, utilizzo di autovetture – e con suddivisione dei ruoli.

L’esponente di spicco del sodalizio sarebbe stato individuato in ALVARO Domenico, già condannato per associazione di tipo mafioso, diretta emanazione del padre ALVARO Carmine inteso “u cupirtuni”, vertice della criminalità organizzata di matrice ‘ndranghetista nella sua articolazione territoriale intesa ‘ndrina Alvaro detta “carni i cani”, operante in Sinopoli (RC).

Le investigazioni hanno avuto inizio nel mese di novembre del 2015 da una costola delle indagini “CARNI I CANI” e “BIG BANG” con l’obiettivo di analizzare i contatti tra il clan CREA e il succitato ALVARO Domenico che quest’ultima operazione di P.G. aveva evidenziato.
Le indagini, fin dalle prime battute, hanno evidenziato in ipotesi di accusa la presenza di due ambienti criminali distinti, entrambi di matrice ‘ndraghetista in cui ALVARO Domenico si sarebbe mosso da un lato con un’organizzazione dedita ad un vasto traffico di sostanze stupefacenti su scala internazionale con base in Torino, dall’altro con un’organizzazione, facente capo allo stesso ALVARO Domenico, dedita alla commissione di vari reati contro il patrimonio sul territorio italiano ed estero.

L’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti è stata censita con l’indagine “CERBERO”, del Nucleo Investigativo di Torino che, in data 05 novembre 2019, ha portato all’arresto di 71 persone per associazione di tipo mafioso ‘nadranghtista, associazione dedita al traffico internazionale di stupefacenti e altri reati.
L’organizzazione che risulta dagli elementi raccolti dedita al compimento di reati contro il patrimonio, invece, è stata approfondita con l’indagine che ha portato alle odierne misure cautelari, denominata convenzionalmente “Cagliostro”, in cui è emerso come ALVARO Carmine, servendosi del primogenito ALVARO Domenico, avrebbe strutturato una stabile articolazione di tipo mafioso ‘ndranghetista radicata sul territorio di IVREA e zone limitrofe e collegata alla rete unitaria della ‘ndrangheta piemontese.

Oltre al reato associativo sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di una serie di reati scopo, in particolare truffe commesse in concorso con altri indagati non appartenenti all’associazione, perpetrate ai danni di imprenditori operanti nella provincia di Torino e compiute nella seguente modalità: gli indagati, secondo l’ipotesi accusatoria, si accreditavano espressamente come persone legate a “famiglie” criminali calabresi prospettando alle vittime, alcune delle quali in difficoltà economica, la possibilità di acquistare ingenti somme di denaro “sporco” corrispondendo in cambio somme di denaro significativamente inferiori con il versamento, a titolo di anticipo, di un acconto, a volte sotto forma di lingotti d’oro e gioielli, che diventava il provento del raggiro. Una volta scoperte le truffe, gli indagati avrebbero utilizzato la loro appartenenza all’associazione mafiosa per intimidire le vittime e farli desistere da ogni azione per riavere il maltolto. Le somme sottratte in modo fraudolento supererebbero i 600.000 euro.

Inoltre sono stati raccolti elementi indiziari circa la commissione di due estorsioni condotte in danno di un broker finanziario, duramente minacciato dai membri dell’associazione mafiosa, dal quale si sarebbero fatti consegnare la somma di 85.000 euro, incassati mediante l’intermediazione di alcune società fittizie ed in danno di alcuni imprenditori operanti nel mercato ittico.

I sodali, forti della loro nota appartenenza a famiglie malavitose, avrebbero anche costretto un imprenditore edile in difficoltà economiche ad effettuare dei lavori presso l’abitazione di uno degli indagati senza corrispondere alcun prezzo, per poi indurlo ad accettare un prestito a tasso usuraio.
L’indagine ha anche consentito di raccogliere elementi per dimostrare in ipotesi di accusa il ruolo di esponenti del clan BELFIORE, i quali avrebbero estorto del denaro a due degli odierni indagati in un contesto di intimidazione mafiosa che ha di fatto rivelato la caratura criminale dei rappresentanti della famiglia BELFIORE, riconosciuta anche dagli esponenti della cosca ALVARO. In particolare i BELFIORE si sarebbero proposti quali alternativi agli ALVARO esercitando un potere di rivalsa nei confronti di alcuni indagati, infatti in primo momento avrebbero preteso la restituzione del denaro alla vittima, salvo successivamente estorcere denaro agli indagati, quale dazio per aver compiuto azioni criminali all’interno del territorio di influenza.

I nove indagati, alcuni dei quali già gravati da diversi precedenti penali e condanne per reati associativi e afferenti agli stupefacenti, sono stati condotti presso diverse carceri situate in regioni limitrofe al Piemonte in attesa dell’interrogatorio di garanzia davanti al GIP.

Il procedimento penale è attualmente nella fase delle indagini preliminari e i predetti indagati sono da considerare non colpevoli fino a sentenza di condanna divenuta irrevocabile.

Sequestro di beni per un valore di circa 400 mila euro a uomo vicino a clan

Militari dei Comandi Provinciali della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e Firenze, unitamente a personale dello S.C.I.C.O., con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri, stanno dando esecuzione ad un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del locale Tribunale che dispone l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro di beni – per un valore complessivamente stimato in circa 400 mila euro – riconducibili ad un soggetto ritenuto a disposizione della cosca “Bellocco” di Rosarno.

La figura criminale del proposto era emersa – allo stato dei procedimenti in essere e fatte salve successive valutazioni in merito all’effettivo e definitivo accertamento della responsabilità – nell’ambito delle operazioni denominate:

– “Magma”, condotta dal G.I.C.O. di Reggio Calabria, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia reggina, nei confronti di una influente cosca di ‘ndrangheta attiva nel comune di Rosarno, e dedita, tra l’altro, al traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

A seguito di tale operazione, conclusasi nel mese di novembre 2019 con l’esecuzione di 45 provvedimenti cautelari, il proposto è stato condannato, in primo grado con il rito abbreviato, alla pena di 20 anni di reclusione per i reati, tra gli altri, di associazione di stampo mafioso e associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravato dall’agevolazione mafiosa;

– “Erba di Grace”, svolta dal G.I.C.O. di Firenze, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo toscano, nel cui ambito è stato condannato alla pena di 4 anni di reclusione per il reato di traffico di stupefacenti aggravato dall’agevolazione mafiosa;

– “Buenaventura”, condotta dal G.I.C.O. di Firenze, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, nel cui ambito è stato condannato, in primo grado con il rito abbreviato, alla pena di 8 anni di reclusione per aver posto in essere manovre estorsive funzionali al recupero di un credito usuraio accordato ad un imprenditore del senese attivo nel settore tessile, al quale aveva applicato tassi di interesse annuali che arrivavano fino al 67%.

In relazione alle risultanze delle attività di cui sopra, in stretta sinergia con la Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, diretta dal Dott. Luca Tescaroli, la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria – sempre più interessata agli aspetti economico-imprenditoriali legati alla criminalità organizzata – ha delegato i Nuclei di Polizia Economico Finanziaria – G.I.C.O. di Reggio Calabria e Firenze a svolgere apposita indagine a carattere economico/patrimoniale finalizzata all’applicazione, nei confronti del citato imprenditore, di misure di prevenzione personali e patrimoniali.

Sul punto, una volta documentata la pericolosità sociale, l’attività in rassegna ha consentito di ricostruire, attraverso una complessa e articolata attività di riscontro, anche documentale, il patrimonio direttamente e indirettamente nella disponibilità del soggetto, il cui valore sarebbe risultato sproporzionato rispetto alla capacità reddituale manifestata.

Su queste basi, con il provvedimento in esecuzione, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria – allo stato del procedimento ed impregiudicata ogni diversa successiva valutazione nel merito – ha decretato l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del sequestro di una ditta individuale operante nel settore della pasticceria, un’imbarcazione, tre autoveicoli, tre fabbricati, un terreno e disponibilità finanziarie, per un valore complessivamente stimato in circa 400 mila euro.

Truffa alle assicurazioni, interdette due persone

carabinieri truffa assicurazioni
archivio

I carabinieri della compagnia di Gioia Tauro hanno notificato due misure di interdizione temporanea dalla professione a un uomo di 83 anni e al figlio di 46, con l’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata alla truffa verso una nota compagnia di assicurazioni.

Le indagini, avviate tre anni fa, hanno fatto emergere che numerosi veicoli fermati per controlli risultavano privi di copertura assicurativa nonostante i conducenti e i proprietari dichiarassero di possedere la regolare documentazione. I titolari della filiale assicurativa facevano sottoscrivere le polizze ai clienti – una trentina – senza che avvenisse l’inoltro alla sede centrale nazionale della documentazione.

Il premio assicurativo pattuito con il cliente veniva così incassato dagli indagati, per un danno stimato ai clienti e alla compagnia assicurativa di circa 50 mila euro nel complesso. Tra i mezzi risultati oggetto di truffa sprovvisti di copertura assicurativa, è risultata l’auto della polizia locale di uno dei Comuni della piana di Gioia Tauro.

Naufragio Cutro, non è minorenne presunto scafista indagato

Ansa

Non è minorenne ma avrebbe tra 21 e 22 anni il giovane indagato perché ritenuto uno degli scafisti che hanno condotto il caicco naufragato a Steccato di Cutro provocando la morte accertata di 94 persone.

Diverso anche il nome: si chiama Hafab Hussnain e non Ishaq (che sarebbe il nome del padre). La novità è emersa questa mattina in apertura dell’udienza per l’incidente probatorio in corso ormai dal 17 marzo scorso al Tribunale dei minorenni di Catanzaro. Il pubblico ministero, in avvio dell’udienza, ha presentato la documentazione prodotta dalla Squadra mobile di Crotone dalla quale emerge che il diciassettenne indagato sarebbe in realtà un maggiorenne.

In base a questa nuova documentazione il pm ha chiesto al gip del Tribunale dei minorenni di dichiararsi incompetente e trasmettere tutti gli atti alla Procura della Repubblica di Crotone dove l’incidente probatorio nei confronti di altri tre scafisti è iniziato ieri davanti gip. Il giudice catanzarese ha quindi, con un’ordinanza, dichiarato la propria incompetenza e trasmesso gli atti alla procura di Crotone. Atti quelli prodotti finora nell’incidente probatorio a Catanzaro che restano validi solo nei confronti dell’indagato, mentre non potranno essere utilizzati nei confronti degli altri tre.

“Anche come difesa siamo rimasti sorpresi di questa novità – ha detto l’avvocato Salvatore Perri che difende il ragazzo – ma dal punto di vista processuale comunque non cambia nulla”. A questo punto, alla prossima udienza dell’incidente probatorio a Crotone parteciperà anche Hafab Hussnain. L’udienza si terrà il prossimo 26 aprile ed avrà come testimoni alcuni dei sopravvissuti che sono ancora reperibili in Italia. Per le altre udienze, invece, i testimoni che si trovano in Germania verranno ascoltati in videoconferenza.

Morte Maradona, si ipotizza l’omicidio colposo. A processo 8 imputati

La giustizia argentina ha confermato l’apertura di un processo con il rinvio a giudizio degli imputati per il caso della morte di Diego Armando Maradona, avvenuta a Buenos Aires il 25 novembre 2020 a seguito di un “edema polmonare acuto causato da un’insufficienza cardiaca cronica”.

Gli otto imputati sono accusati di omicidio colposo semplice, che prevede una pena da 8 a 25 anni di reclusione. Non è ancora stato reso noto quando si svolgerà il processo.

La Camera d’Appello e Garanzia di San Isidro ha confermato questo martedì che il neurochirurgo Leopoldo Luque, la psichiatra Agustina Cosachov e gli altri sei operatori sanitari accusati della morte di Diego Armando Maradona saranno processati con l’accusa di aver commesso un “omicidio colposo semplice”.

Il loro rinvio a giudizio era già stato chiesto lo scorso anno e poi era stato appellato. Gli imputati sono parte del gruppo che ha accompagnato Maradona negli ultimi mesi durante il suo ricovero domiciliare.

Traffico di droga tra Calabria e Sicilia, 21 arresti e sequestro di 50 kg di coca

I Finanzieri del Comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali e reali emessa dal G.I.P. del locale Tribunale su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 21 persone, per le quali è stata disposta la custodia cautelare in carcere.

Gli indagati sono indiziati, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti tramite una strutturata rete operante tra la Calabria e la Sicilia.

Le indagini, condotte dagli specialisti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Palermo – G.I.C.O., hanno riguardato un gruppo criminale, con base operativa nel capoluogo siciliano, che sarebbe stato diretto da due fratelli palermitani, figli di uno storico esponente del mandamento mafioso di Villagrazia/Santa Maria di Gesù.

Gli stessi sarebbero stati in affari da anni con una famiglia calabrese, coinvolta nella gestione del narcotraffico nella provincia di Reggio Calabria e legata da vincoli di parentela con esponenti di spicco della ‘ndrina di San Luca, che avrebbe garantito il sistematico approvvigionamento di grossi quantitativi di stupefacenti.

L’attività investigativa avrebbe, infatti, consentito di ricostruire accordi per la fornitura di almeno 10 chilogrammi di cocaina al mese, destinata al mercato palermitano, che avrebbe generato per l’organizzazione un giro d’affari illecito stimabile in circa dieci milioni di euro all’anno.

La sostanza stupefacente, stoccata in depositi dislocati in provincia di Reggio Calabria, veniva trasportata su gomma lungo la tratta Reggio Calabria-Messina-Palermo, abilmente occultata con diversi carichi di copertura o all’interno di sofisticati doppi fondi creati nelle autovetture dei corrieri, accessibili mediante aperture elettro-meccaniche.

Nel corso delle indagini sono stati tratti in arresto 6 corrieri di droga, operanti anche nel pieno del periodo pandemico sfruttando le proprie attività lavorative, e 2 basisti che custodivano parte dello stupefacente a Palermo, con il sequestro di circa 50 chilogrammi di cocaina, che se immessa nel mercato avrebbe fruttato profitti illeciti per oltre 4 milioni di euro.

Le fiamme gialle palermitane hanno poi proceduto a valorizzare in chiave patrimoniale – secondo una procedura operativa attuata in tutti i settori di servizio volta a disarticolare in maniera radicale le organizzazioni delinquenziali – gli elementi acquisiti nel corso delle indagini, attraverso l’esame, il confronto e l’incrocio di informazioni estratte dalle diverse banche dati in uso al Corpo, dalle quali emergeva l’assoluta sproporzione tra i beni nella disponibilità degli indagati e la capacità reddituale dichiarata, richiedendo l’applicazione di misure cautelari patrimoniali.

Con il medesimo provvedimento, il G.I.P. ha quindi disposto il sequestro preventivo di società, beni mobili e immobili riconducibili agli indagati per un valore complessivo pari a oltre un milione di euro.

Sei dei destinatari delle misure cautelari, infine, risultano percepire direttamente o tramite il proprio nucleo familiare il “reddito di cittadinanza”. In conformità alle disposizioni vigenti, tale circostanza sarà oggetto di comunicazione all’INPS al fine dell’immediata sospensione del beneficio.

Blitz contro i clan nomadi, Gratteri: “Catanzaro liberata da cappa criminale”

“Una giornata importante per noi Stato e per Catanzaro, è la prima volta che un Gip contesta l’associazione mafiosa a un gruppo di etnia rom a Catanzaro”. Lo ha detto il procuratore della Repubblica, nel corso della conferenza stampa sull’esito dell’operazione, condotta dalla polizia e coordinata dalla Dda, che nella notte ha portato a 62 arresti.

“Sono successi – ha osservato Gratteri – fatti gravi, anche violenti, soprattutto nell’area sud di Catanzaro e in quelle occasioni tutti gridavano ‘dov’è lo Stato, Catanzaro non è controllata ed è abbandonata’. Non potevamo rispondere a queste considerazioni, dette non solo da cittadini ma anche da amministratori pubblici, perché da un anno avevamo un’ordinanza di custodia cautelare ferma, per carenza di organico. La attendevamo di mese in mese, è passato più di un anno ma ora l’abbiamo eseguita. E’ un’inchiesta importante, grazie al lavoro egregio della squadra mobile di Catanzaro, è una indagine di qualità, piena di riscontri, siamo molto tranquilli sulla bontà delle imputazioni. Ringrazio la polizia di Stato perché -ha sostenuto il procuratore- ha dato fondo a tutte le energie sulla città perché era un problema reale per la città di Catanzaro, sulla quale si sentiva una cappa. Dopo aver fatto arresti nel Vibonese, nel Crotonese e nel Cosentino non potevamo permetterci il lusso come Dda di sentire che a 300 metri dalla Procura, praticamente sotto i nostri occhi, avvenivano vessazioni a commercianti, estorsioni, traffico di droga. Sembrava un buco nero e per questo siamo soddisfatti di questa operazione, con la quale -ha concluso Gratteri- pensiamo di aver liberato in gran parte la città di Catanzaro da un’organizzazione che vendeva in modo sistematico la droga, faceva estorsioni, deteneva armi, vessava commercianti e imprenditori”.

Disposti 62 arresti, colpito anche il clan Rom di Cutro

Due associazioni a delinquere finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti, principalmente cocaina che operavano nella città di Catanzaro e nel territorio al confine con la provincia di Crotone, compreso Cutro, sono state colpite dall’operazione della Polizia di Stato che ha eseguito questa mattina 62 arrresti. Una delle misure cautelari è stata notificata a un agente della polizia penitenziaria. La struttura criminale ricadente nella città di Catanzaro aveva canali di approvvigionamento dello stupefacente nella provincia di Reggio Calabria e in quella di Crotone, dedicandosi prevalentemente allo spaccio diffuso della droga dall’interno di una abitazione degli indagati, continuamente presidiata e resa sicura da sistemi di videosorveglianza, individuata dal sodalizio come base operativa per la detenzione, l’occultamento, la preparazione, il confezionamento e lo smercio della sostanza stupefacente. La seconda associazione, caratterizzata da una struttura a base familiare, avrebbe operato tra le province di Catanzaro e Crotone, precisamente nel territorio a sud est del capoluogo confinante con i Comuni di Steccato di Cutro e Cutro. L’attività investigativa ha permesso di accertare che l’organizzazione criminale fosse riconducibile a soggetti appartenenti alla comunità di origine Rom, stanziali nella zona sud di Catanzaro, ne ha ricostruito l’organigramma, con i ruoli dei vari associati, nonché le plurime attività illecite poste in essere dagli indagati e i vari settori di operatività, capaci di condizionare le attività economiche della zona. Questa organizzazione che negli ultimi tempi aveva acquisito un’operatività autonoma nella gestione delle attività criminali, affrancandosi dal ruolo, ricoperto in passato, di terminale operativo delle cosche di ‘ndrangheta del crotonese, dunque con la gestione indipendente delle attività estorsive, oltre che delle attività di spaccio di sostanza stupefacente, sul territorio di Catanzaro. Tra le persone raggiunte dal provvedimento cautelare figura anche un appartenente alla Polizia penitenziaria, in servizio presso la casa circondariale di Catanzaro, che si sarebbe reso disponibile nei confronti di alcuni indagati per veicolare messaggi e direttive in entrata ed in uscita dall’istituto penitenziario. Sono stati gli investigatori della squadra Mobile della Questura di Catanzaro a condurre le indagini che hanno portato all’ordinanza a carico di 62 persone – 38 in carcere e 24 agli arresti domiciliari – con le accuse, a vario titolo, di associazione mafiosa, narcotraffico, estorsione, ricettazione, furto, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, tutti reati per la maggior parte aggravati dal metodo mafioso. Il provvedimento, emesso dal gip del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Procura distrettuale antimafia del capoluogo, è stato eseguito dagli uomini della squadra Mobile con il coordinamento del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, supportata da personale delle squadre Mobili di varie province calabresi, da pattuglie di diversi Reparti prevenzione crimine, di unità cinofile delle questure di Reggio Calabria e Vibo Valentia e da un elicottero del V reparto volo della Polizia di Stato.

La ‘scalata’ del clan, da subordinato a gruppo autonomo

Da subordinato alle storiche consorterie di ‘ndrangheta a gruppo dotato di autonomia e di pari dignità: è questa l’evoluzione del clan di etnia rom di Catanzaro, protagonista di una ‘scalata’ criminale a colpi di omicidi, estorsioni con il sistema del ‘cavallo di ritorno’ e di un capillare spaccio di droga che inondava di stupefacente la città, compreso il centro storico. A rivelare le nuove dinamiche della criminalità organizzata nel capoluogo della Calabria è stata un’inchiesta della polizia coordinata dalla Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri: 62 arresti a carico di un’organizzazione da tempo attiva nell’area sud di Catanzaro, nel quadrante dei quartieri Pistoia, Aranceto e Lido, un’organizzazione un tempo ‘manovalanza’ delle cosche del Crotone, di Isola Capo Rizzuto e di Cutro in particolare, e della cosca storica del capoluogo, quella dei Gaglianesi, ma adesso ‘riconosciuta’ dalla ‘ndrangheta al fondo di un vero e proprio patto successivo a una trattativa bagnata anche con il sangue. In una conferenza stampa nella sede della Procura di Catanzaro è stato ricostruito il salto di qualità del clan rom dei Bevilacqua-Passalacqua, che dal 2015 – hanno spiegato gli inquirenti – ha iniziato a rivendicare spazi di autonomia con una serie di reati, anche di omicidi (almeno due quelli censiti dagli inquirenti), e con una potenza militare ragguardevole alla quale la ‘ndrangheta tradizionale, strategicamente, ha deciso a un certo punto di non contrapporsi puntando su una nuova sinergia su basi paritarie e autonome. Francesco Messina, direttore centrale anticrimine della polizia, ha sottolineato “l’offensività e l’aggressività di questo gruppo di etnia rom che arriva a scontrarsi faccia a faccia con le storiche cosche del territorio ma anche la capacità della ‘ndrangheta di gestire al meglio una situazione di criticità”. “Ma -ha proseguito Messina- c’è da sottolineare anche un altro dato, è cioè il fatto che per la prima volta, davanti a una massiva estorsione ci sono imprenditori che stavolta decidono di reagire al condizionamento mafioso”. Alla conferenza stampa hanno inoltre preso parte il procuratore aggiunto di Catanzaro Giancarlo Novelli, il direttore dello Sco Fausto Lamparelli, il questore di Catanzaro Maurizio Agricola e il dirigente della Squadra Mobile di Catanzaro Fabio Catalano.

Ucraina, nuova visita a sorpresa di Putin nel Donbass

Il presidente russo Vladimir Putin ha visitato lunedì la regione di Kherson e la Repubblica popolare di Lugansk (LPR). Le accuse secondo cui il viaggio è avvenuto in un momento diverso sono errate, ha detto martedì ai giornalisti il ​​​​portavoce del Cremlino Dmitry Peskov citato dalla Tass.

“Era ieri. In effetti, il presidente ha detto, regalando l’icona, che abbiamo la Pasqua. Il fatto è che la nostra Pasqua dura 40 giorni, continuiamo a celebrarla, ora abbiamo la settimana di Pasqua. Ecco perché è sbagliato prestare attenzione a quella frase e fare ipotesi su qualcosa che non è mai stato reale. Il viaggio è avvenuto ieri”, ha detto il portavoce del Cremlino.

Gli è stato anche chiesto di commentare perché la visita di Putin nelle nuove regioni della Russia è avvenuta in questo particolare momento. “Ora il presidente visita le nuove regioni più frequentemente, naturalmente, ispeziona il quartier generale, riceve informazioni operative sul posto sullo stato di avanzamento dell’operazione militare speciale. Questo è vitale per il comandante in capo, è così che lavora”, Peskov ha detto.

I giornalisti hanno chiesto al portavoce del Cremlino la valutazione del presidente russo sullo stato delle truppe e sul morale dei militari, anche in vista del potenziale contrattacco dell’Ucraina. “Per quanto riguarda le valutazioni dello stato delle truppe e così via, questa è prerogativa del ministero della Difesa. Non abbiamo il diritto di fornire alcuna informazione”, ha detto Peskov. Commentando il viaggio in generale, ha aggiunto che era “il lavoro di routine del comandante in capo”.

Lunedì Putin ha visitato il quartier generale del gruppo tattico Dnepr sul fronte di Kherson e il quartier generale del gruppo tattico della Guardia Nazionale Est nella LPR. Durante le sue visite, il capo dello stato ha ascoltato i rapporti dei comandanti militari sulla situazione nelle direzioni Kherson, Zaporozhye e Lugansk.

Il comando militare non è stato informato fino all’ultimo minuto che il presidente russo Vladimir Putin si sarebbe presentato personalmente alle riunioni dei gruppi tattici Dnepr e East nella zona dell’operazione militare speciale, ha detto martedì alla Tass il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.

Secondo lui, la visita di Putin nella regione di Kherson e nella Repubblica popolare di Lugansk (LPR) non era stata pianificata in anticipo. “I comandanti sono stati convocati per una riunione in videoconferenza e non sapevano che Putin sarebbe apparso di persona fino all’ultimo momento”, ha detto il funzionario del Cremlino.

Peskov ha spiegato che il capo dello stato ha visitato di persona il quartier generale “in modo che gli ufficiali non venissero sottratti al comando delle truppe viaggiando a Mosca”. “Dopo l’incontro, sono tornati subito al loro lavoro immediato sul campo”, ha aggiunto l’addetto stampa di Putin.

Lunedì il capo dello stato della Federazione russa ha ascoltato i rapporti dei comandanti militari sulla situazione sui fronti di Kherson, Zaporozhye e Lugansk.

Questa è la prima visita di Putin nella regione di Kherson e nella LPR. In precedenza, il 19 marzo, Putin aveva visitato Mariupol. Allora, ha anche visitato Rostov-sul-Don, dove ha avuto un incontro e ha ricevuto rapporti dai comandanti militari nel quartier generale delle operazioni militari speciali.

‘Ndrangheta, l’evoluzione mafiosa del clan degli zingari catanzaresi

Da manovalanza impiegata dalle tradizionali cosche di ‘ndrangheta del basso crotonese e del catanzarese a cosca autonoma, vera e propria con tanto di “doti” ‘ndranghetiste e la possibilità di “battezzare” nuovi adepti.

E’ l’evoluzione compiuta dal gruppo criminale che fa capo ad un gruppo di nomadi, attivo nei quartieri a sud di Catanzaro da anni e ieri colpito da un’inchiesta coordinata dalla Dda che per la prima volta ha portato un giudice ad emettere un’ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa nei confronti degli appartenenti al sodalizio, chiamato dal gip il “clan degli zingari”.

Un’operazione, quella giunta a conclusione delle indagini condotte dalla Squadra mobile del capoluogo calabrese, che ha portato a 62 arresti -38 in carcere mentre e 24 ai domiciliari- e a smantellare anche altre due organizzazioni, sempre composte da soggetti rom, dedite al traffico di droga.

Decisivo, per far scattare le indagini, nel 2018, il contributo di alcuni imprenditori e operatori commerciali che si sono ribellati al giogo imposto loro dalla cosca ed hanno denunciato i loro aguzzini, mettendo in moto la macchina della giustizia che ieri ha presentato il conto. Il tentativo del clan Rom di affrancarsi dalla cosche storiche all’inizio è stato avversato.

E lo dimostrano due omicidi compiuti nel 2015 e nel 2017 che secondo gli inquirenti troverebbero la loro origine proprio nell’inizio dei contrasti sorti per la voglia dei nomadi di acquisire un potere proprio. Ma dopo quella prima fase, la ‘ndrangheta “ha pensato che fosse più redditizio evitare ulteriori spargimenti di sangue concedendo l’autonomia e continuando a fare affari. Da qui il patto stretto tra le nuove leve e gli storici casati di ‘ndrangheta che concede autonomia ma in cambio chiede una percentuale sugli utili”. Un accordo che ha consentito alla cosca dei nomadi di intensificare il proprio controllo sui quartieri a sud della città: Pistoia, Corvo, Aranceto, Germaneto e Catanzaro Lido, imponendo il pizzo e spacciando droga. “Oggi pensiamo di avere liberato un po’ Catanzaro da una cappa criminale” è stato il commento del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri.

Omicidio nel reggino, la Cassazione conferma assoluzione per due imputati

La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza emessa lo scorso giugno dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria nel processo sull’omicidio di Francesco Bagalà, avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 2012 a Gioia Tauro. È diventata definitiva, quindi, l’assoluzione di Giuseppe Brandimarte, di 52 anni, e Davide Gentile, di 34, che in primo grado erano stati condannati all’ergastolo.

La Prima sezione della Suprema Corte ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Procura generale accogliendo la tesi dei difensori degli imputati, gli avvocati Giuseppe Fonte e Dario Vannetiello per Brandimarte e Salvatore Staiano e Nico D’Ascola per Gentile.

Secondo l’accusa, il movente dell’omicidio di Bagalà sarebbe stato da collegare ad una vendetta per il tentato omicidio dello stesso Giuseppe Brandimarte, che era avvenuto nel 2011. Tesi che i difensori, nel processo d’appello, avevano definito destituita di fondamento. “Così – è scritto in una nota stampa dell’avvocato Vannetiello – si conclude un processo complesso nel quale sono state polverizzate le dichiarazioni accusatorie provenienti da una pluralità di collaboratori di giustizia, quali Femia, Furfaro, Ieranò e Cortese”.

‘Ndrangheta, la comunità rom tra clan emergenti a Catanzaro: 62 arresti

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Nelle prime ore della giornata odierna, 18 aprile 2023, la Polizia di Stato ha dato esecuzione all’ordinanza di cautelare, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro, nei confronti di 62 indagati, sulla base della ritenuta sussistenza di gravi indizi in ordine ai delitti, a vario titolo ipotizzati, nei loro confronti, tra cui, rispettivamente, associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, ricettazione, furto, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, per la maggior parte sono aggravati dal metodo mafioso, ed altri gravi reati.

L’operazione è frutto della collaborazione tra la Squadra Mobile della Questura di Catanzaro – con il coordinamento del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato, supportata in fase esecutiva da personale delle Squadre Mobili e delle S.I.S.C.O. di varie province del territorio, di pattuglie di diversi Reparti Prevenzione Crimine, di unità cinofile delle Questure di Reggio Calabria e Vibo Valentia e di un elicottero del V Reparto Volo della Polizia di Stato.

Dei predetti 62 indagati, 38 sono destinatari della misura della custodia cautelare in carcere, mentre gli ulteriori 24 di quella degli arresti domiciliari.

Il provvedimento, emesso su richiesta della Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, scaturisce dall’ampia attività di indagine coordinata dalla DDA di Catanzaro che si è sviluppata mediante investigazioni di tipo tradizionale, attività tecniche, dichiarazioni di collaboratori di giustizia, riscontri sul campo e servizi dinamici sul territorio, nell’ambito dei quali veniva rinvenuta e posta sotto sequestro sostanza stupefacente del tipo cocaina.

La gravità indiziaria, conseguita, allo stato, sul piano cautelare, attraverso gli articolati e complessi approfondimenti investigativi, ha riguardato l’operatività, nella città di Catanzaro, di un’organizzazione criminale di tipo mafioso, riconducibile a soggetti della comunità di origine rom, stanziali nella zona sud della città,ricostruendone l’organigramma, con i ruoli dei vari associati, nonché le plurime attività illecite poste in essere, rispettivamente, dagli indagati, e i vari settori di operatività, correlati alle ipotizzate fattispecie penali, capaci di condizionare le attività economiche delle persone offese.

Si tratta, in particolare, di gravi elementi indiziari circa l’attuale assetto dell’organizzazione criminale riconducibile a soggetti della comunità rom, con l’acquisizione – nell’ipotesi accusatoria – di un’operatività autonoma per la gestione delle attività criminali, affrancandosi da ruolo, ricoperto in passato, di terminale operativo delle cosche di ‘ndrangheta del crotonese, con la gestione indipendente delle attività estorsive, oltre che delle attività di spaccio di sostanza stupefacente, sul territorio di Catanzaro.

In tale contesto, nell’ordinanza cautelare, nei confronti degli indagati attinti dalle rispettive misure adottate, è stata ritenuta, allo stato, la gravità indiziaria, tra l’altro, per reati contro il patrimonio, tra i quali furti propedeutici alle attività estorsive, estorsione, oltre che spaccio e traffico di sostanze stupefacenti.
La gravità indiziaria acquisita a livello cautelare ha riguardato, altresì, la struttura e il modus operandi di due associazioni a delinquere finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti di varia tipologia, principalmente cocaina.

In particolare, una delle due ipotizzate strutture criminali, ricade nella città di Catanzaro, con canali di approvvigionamento dello stupefacente, mediante fornitoridella provincia di Reggio Calabria e di Crotone, e con attività di spaccio diffuso, dall’interno dell’abitazione -continuamente presidiata e resa sicura da sistemi di videosorveglianza–individuata, dal sodalizio, come base operativa per la detenzione, l’occultamento, la preparazione, il confezionamento e lo smercio della sostanza stupefacente.

La seconda associazione, caratterizzata da una struttura a base familiare, sarebbe operante tra le province di Catanzaro e Crotone, nel comprensorio territoriale ricadente tra la zona sud est della provincia di Catanzaro e quello confinante crotonese, comprensivo dei comuni di Steccato di Cutro (KR) e Cutro (KR).

Le emergenze acquisite nel corso delle investigazioni hanno delineato altresì, allo stato, sul piano cautelare, la gravità indiziaria a carico di un appartenente alla Polizia Penitenziaria, in servizio presso la casa circondariale di Catanzaro, il quale, si sarebbe reso disponibile nei confronti di alcuni indagati, per veicolare messaggi e direttive in entrata ed in uscita dal citato istituto penitenziario.

‘Ndrangheta, Dia: “Clan tengono profilo basso per mimetizzarsi nel territorio”

Fabrizio Fazio, capo della Dia a Catanzaro

“La ‘ndrangheta ha assunto sempre più un basso profilo grazie alla sua capacità di mimetizzarsi nel territorio e nel tessuto economico e per questo è particolarmente insidiosa”. Lo detto il capo centro operativo della Dia di Catanzaro, Beniamino Fazio, nel corso di una conferenza stampa nella quale sono stati illustrati i passi più significativi dell’ultima relazione semestrale presentata dalla Direzione investigativa antimafia. Fazio ha delineato le dinamiche criminali che hanno caratterizzato l’operatività della criminalità organizzata calabrese nel periodo preso a riferimento dalla relazione, i primi sei mesi del 2022:

“Agli imprenditori in difficoltà a causa delle ultime vicende, la pandemia e l’aumento dei prezzi delle materie prime per effetto della guerra russo-ucraina, la ‘ndrangheta – ha spiegato il capo centro della Dia di Catanzaro – si presenta come il soggetto capace di dare un aiuto per la grande disponibilità di liquidità, ma in questo modo si determina la progressiva infiltrazione delle cosche nell’economia legale. Inoltre la ‘ndrangheta si propone come partner internazionale nel narcotraffico in virtù della sua efficienza”. Altri aspetti segnalati da Fazio sono stati la capacità della ‘ndrangheta di infiltrarsi negli enti locali e nel settore dei rifiuti.

“Il numero delle interdittive antimafia – ha poi aggiunto Fazio – dimostra che c’è un’attività di contrasto efficace, grazie anche all’azione della Procura guidata dal procuratore Nicola Gratteri e alla collaborazione con la magistratura e le forze dell’ordine”. Fazio si è poi soffermato sul rischio di infiltrazioni della ‘ndrangheta nella spesa dei fondi del Pnrr: “Il rischio – ha rilevato – c’è, perché ovviamente gli ingenti fondi che arriveranno attraverso il Pnrr ma anche attraverso altri fondi nazionali ed europei potrebbero accrescere gli appetiti delle organizzazioni criminali, e proprio per questo i riflettori delle forze di polizia e della magistratura sono puntati sull’obiettivo di evitare interferenze della ‘ndrangheta. Nella relazione – ha osservato il capo centro operativo della Dia di Catanzaro – citiamo la raccomandazione della Banca d’Italia affinché gli amministratori sappiano gestire al meglio questi fondi, da parte nostra c’è la massima attenzione. Infine, Fazio ha ricordato la recente elevazione della Dia di Catanzaro a centro autonomo, evento celebrato con l’inaugurazione, lo scorso 13 febbraio, alla presenza del ministro dell’Interno Piantedosi, della nuova sede della Direzione catanzarese, allestita in un immobile confiscato a una cosca di ‘ndrangheta.

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