La lunga traversata del barcone dalla Turchia alla Calabria, l’avaria al primo barcone dopo poche ore dalla partenza e il trasbordo sul caicco. Dopo circa quattro giorni di navigazione, a poche miglia dalla costa calabrese gli scafisti hanno atteso ore per timore di essere intercettati. Poi nella notte del 26 febbraio l’avvicinamento, il cambio di rotta e l’incaglio sulla secca con la successiva tragedia. Ecco la ricostruzione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi nell’informativa illustrata in Parlamento.
Sulla base degli elementi “acquisiti dalle autorità italiane competenti, cui si aggiungono le dichiarazioni di alcuni sopravvissuti raccolte in una relazione Frontex. A tal proposito va precisato che gli elementi acquisiti dai superstiti, pur restando indicativi del quadro generale dell’evento, richiedono ancora ulteriori accertamenti per la messa a fuoco degli aspetti di dettaglio.
La traversata – raccontano i sopravvissuti – parte da Cesme, in Turchia, intorno alle 3.00 del 22 febbraio in condizioni metereologiche ottimali: condizioni che, tuttavia, dopo 2 o 3 giorni peggiorano. Secondo il loro racconto, a bordo dell’imbarcazione erano presenti circa 180 persone, oltre a 4 scafisti, due turchi e due pakistani (tutti e quattro arrestati, ndr).
Tre ore dopo l’inizio della navigazione, un guasto al motore dell’imbarcazione induce due scafisti a contattare, tramite cellulare, un complice. Dopo altre tre ore di attesa, i migranti sono raggiunti da una seconda imbarcazione, pilotata da altri tre scafisti. Dopo il trasbordo dei migranti, la navigazione prosegue verso le coste italiane.
Sempre sulla base del racconto dei sopravvissuti, la barca giunta in sostituzione aveva due motori MAN entro-bordo. I migranti notano che gli scafisti dispongono di telefono satellitare e di un apparecchio che sembrava di tipo “Jammer” ovvero in grado di inibire la trasmissione e la ricezione di onde radio. Inoltre, quando l’imbarcazione incrocia davanti alle coste elleniche, gli scafisti sostituiscono la bandiera turca con quella greca.
Durante la navigazione, sempre stando alla narrazione dei migranti, gli scafisti li costringono a restare sotto coperta, facendoli salire sul ponte solo pochi minuti per prendere aria.
Dopo una traversata di 4 giorni, superato l’arcipelago delle isole greche, sempre sulla base delle dichiarazioni, il 25 febbraio, intorno alle 18.00, gli scafisti decidono di fermarsi al largo della Calabria e attendere un momento favorevole per sbarcare ed evitare di essere avvistati da parte delle Forze dell’ordine.
Dopo alcune ore, i migranti, lamentandosi della sosta, inducono gli scafisti a mostrar loro, tramite un gps, che la loro posizione era ormai vicina alla costa calabrese, con la rassicurazione che avrebbero ripreso la navigazione, per arrivare intorno alle 01.30 del 26 febbraio.
Va, tuttavia, precisato che, sulla base degli elementi acquisiti dal Ministero della giustizia, gli scafisti decidono di sbarcare in un luogo ritenuto più sicuro e di notte, temendo che nella località preventivata vi potessero essere dei controlli; il piano prevedeva l’arrivo a ridosso della riva sabbiosa, con il successivo sbarco e la fuga sulla terraferma.
Sulla base degli elementi acquisiti da Guardia di Finanza e Guardia Costiera, alle 23.03 del 25 febbraio il Centro Situazioni di Varsavia dell’Agenzia Frontex comunica – all’International Coordination Centre di Pratica di Mare e, per conoscenza, al Centro di coordinamento italiano dei soccorsi marittimi (Itmrcc), nonché al Centro Nazionale di Coordinamento (Ncc) – l’avvistamento avvenuto alle 22.26 da parte dell’aereo Frontex “Eagle One”, impegnato in attività di sorveglianza nello Jonio, di un’imbarcazione in buono stato di galleggiabilità con una persona visibile sopra coperta, in acque internazionali, a circa 40 miglia nautiche dalle coste calabresi. Frontex segnalava che l’unità navigava con rotta 2-9-6 a velocità di 6 nodi.
L’assetto aereo, oltre ad aver captato una chiamata satellitare diretta in Turchia ed evidenziato boccaporti aperti in corrispondenza della prua, segnalava una risposta termica dei sensori di bordo e, quindi, la possibile presenza di persone sotto coperta. Fatta la segnalazione, l’aereo Frontex faceva rientro alla base per l’esigenza di rifornirsi di carburante.
Alle 23.37 la Guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta l’autorità marittima di Reggio Calabria rappresentando che una sua unità navale, come da pianificazione operativa, era già in mare e che vi sarebbe rimasta fino alle 06.00, per attività di polizia sul caso segnalato.
In tale contesto, in base alle relazioni acquisite, il quadro della situazione in possesso della Guardia Costiera a quel momento si fondava sui seguenti elementi:
la segnalazione Frontex circa l’imbarcazione non rappresentava una situazione di pericolo; non c’erano state chiamate di soccorso di nessun genere; sullo scenario era presente un’unità navale della Guardia di Finanza dedicata all’evento, che avrebbe potuto fornire ulteriori elementi mediante riscontro diretto e che, qualora fosse stato necessario, avrebbe anche potuto svolgere attività di soccorso quale risorsa concorrente, in linea con le previsioni del Piano nazionale sar; non erano variate le condizioni meteo-marine.
A mezzanotte circa, l’unità della Guardia di Finanza, considerato il tempo stimato in circa 7 ore dall’avvistamento da parte dell’aereo Frontex, necessario al caicco per raggiungere le acque territoriali – presupposto per l’esercizio delle funzioni di polizia – rientra temporaneamente alla base di Crotone per un rabbocco di carburante. Contemporaneamente, oltre al rifornimento, veniva organizzato un nuovo assetto navale rafforzato con un maggiore dislocamento, in grado di poter meglio affrontare le condizioni del mare.
Alle 00.30 del 26 febbraio, al fine di approfondire i dati relativi alla telefonata satellitare – a cui ho prima fatto cenno -, la centrale di coordinamento operativo del Comando operativo aeronavale della Guardia di Finanza di Pratica di Mare, chiede a Frontex di condividere il numero di utenza satellitare per tracciare il contatto. Frontex, nel comunicare l’utenza, evidenzia che la stessa era riferita ad un dispositivo ricevente situato in Turchia che, quindi, non era suscettibile di localizzazione.
Tornando al racconto dei sopravvissuti, intorno alle 01.30 del 26 febbraio, nonostante il peggioramento delle condizioni del mare, gli scafisti decidono di riprendere la navigazione.
Alle 02.20 circa, da quanto risulta dai rapporti acquisiti, due assetti navali della Guardia di Finanza – la motovedetta rientrata per rifornimento insieme ad un’altra unità navale di più ampia dimensione – riprendono la navigazione alla ricerca dell’imbarcazione.
Tuttavia, alle 03.30 circa, le due unità navali della Guardia di Finanza sono costrette a rientrare in porto a causa delle pessime condizioni meteo marine in atto.
Alle 03.48, la Guardia di Finanza informa l’autorità marittima di Reggio Calabria del suo rientro, confermando il quadro conoscitivo sopra tratteggiato, che non conteneva ulteriori elementi né riguardo alla posizione, né riguardo ad eventuali criticità relative all’imbarcazione.
Alle 03.50, la stessa Sala Operativa della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, mediante la postazione della propria rete radar costiera, acquisisce, per la prima volta, un target, verosimilmente l’imbarcazione riconducibile a quella segnalata da Frontex.
Alle 03.55 la Sala Operativa del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta le sale operative del Corpo dei comandi provinciali di Catanzaro e di Crotone, nonché quelle della Polizia di Stato e dei Carabinieri di Crotone e Catanzaro, alle quali chiede l’invio di pattuglie nella zona di interesse, specificando, altresì, che le unità navali della Guardia di Finanza non avevano stabilito alcun contatto con il natante e che, a causa delle avverse condizioni del mare, quest’ultimo non poteva essere raggiunto, motivo per cui le loro unità navali erano state costrette a rientrare.
Pochi minuti dopo, sull’utenza di emergenza 112 giunge una richiesta di soccorso telefonico da un numero internazionale che veniva geolocalizzato dall’operatore della Centrale Operativa del Comando Provinciale dei carabinieri di Crotone e comunicato, con le coordinate geografiche, alla Sala Operativa della Capitaneria di Porto di Crotone.
È questo il momento preciso in cui, per la prima volta, si concretizza l’esigenza di soccorso per le autorità italiane.
Alle 04.19, la Centrale Operativa del Comando Provinciale dei carabinieri di Crotone invia nella località geolocalizzata (Foce Tacina di Steccato di Cutro) la pattuglia del Nucleo Radiomobile della Compagnia di Crotone.
Alle 04.30 circa, tramite il numero di emergenza 1530, la Capitaneria di Porto riceve una segnalazione circa la presenza di una barca a 40 metri dalla foce del fiume Tacina.
Pochi minuti dopo il segnalante richiamava, specificando che l’imbarcazione si trovava a 50 metri dalla riva, che si stava muovendo in direzione della spiaggia e che erano presenti persone a bordo.
Veniva, pertanto, informato il Centro Secondario del Soccorso Marittimo di Reggio Calabria, che disponeva l’invio di una motovedetta, con imbarco di un team sanitario, e di pattuglie via terra, chiedendo altresì l’intervento dei Vigili del fuoco, del 118 e della Questura di Crotone per l’attivazione dei soccorsi a terra.
Nel contempo, in località Steccato di Cutro convergevano militari dei carabinieri, personale della locale Questura e di altre Forze di polizia, nonché sanitari, personale dei Vigili del fuoco e della Capitaneria di Porto. Sul posto, intervengono, per primi, i carabinieri che nell’immediato traggono in salvo un uomo e un bambino, quest’ultimo purtroppo deceduto poco dopo, bloccando subito uno degli scafisti.
Davanti agli occhi dei soccorritori, i corpi di tante vittime innocenti, bambini, donne e uomini, riversi sulla battigia, i naufraghi e quel che rimaneva dell’imbarcazione, incagliata a circa 40 metri dalla spiaggia.
Tornando ai momenti immediatamente precedenti al naufragio e quindi ai racconti dei sopravvissuti, la navigazione era proseguita fino alle 03.50, allorquando, a circa 200 metri dalla costa, erano stati avvistati dalla barca dei lampeggianti provenienti dalla spiaggia e a quel punto gli scafisti, temendo la presenza delle forze dell’ordine lungo la costa, effettuano una brusca virata nel tentativo di cambiare direzione per allontanarsi dal quel tratto di mare.
In quel frangente, la barca, trovandosi molto vicino alla costa ed in mezzo ad onde alte, urta, con ogni probabilità, il basso fondale, una secca, e per effetto della rottura della parte inferiore dello scafo, comincia ad imbarcare acqua.
Sempre sulla base delle dichiarazioni dei superstiti, a quel punto due degli scafisti si buttano in acqua, mentre un terzo viene fermato dai migranti, per impedirgli di lasciarli soli sulla barca incagliata; molti altri migranti, nel frattempo, salgono sul ponte in cerca di aiuto e lo scafista rimasto a bordo, approfittando del momento di caos, riesce ad abbandonare la barca su un gommone di piccole dimensioni e a far salire poi gli altri due scafisti per dirigersi verso la costa.
In quel preciso momento una forte onda capovolge la barca di legno e tutti i migranti cadono in mare mentre la barca viene distrutta.
Fin qui la ricostruzione di questo tragico naufragio, che ha posto al centro del dibattito, anche mediatico, la questione delle competenze rispetto agli interventi in mare”.