I carabinieri del nucleo investigativo del Comando Provinciale di Catania e del nucleo operativo ecologico alle prime ore del mattino, a Catania, Messina, Palermo, Siracusa e Roma hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare emessa dall’Ufficio del Gip presso il Tribunale di Catania su richiesta della locale Dda, nei confronti di 17 persone (7 provvedimenti restrittivi in carcere, 7 agli arresti domiciliari e 3 misure interdittive) ritenute responsabili, a vario titolo, di traffico illecito di rifiuti, estorsione e rapina, con l’aggravante del metodo mafioso, usura, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e traffico di influenze illecite.
In carcere vanno Antonino Paratore, classe 1947; Carmelo Paratore, classe 1981; Salvatore Grillo, classe 1970; Giuseppe Verderame, classe 1954; Gianfranco Cannova, classe 1958; Salvatore Salafia, classe 1959; Simone Giuseppe Piazza, classe 1986;
Ai domiciliari Salvatore D’amico, classe 1971; Agata Di Stefano, classe 1982; Antonino Di Vincenzo, classe 1977; Maurizio Cottone, classe 1975; Giuseppe Amara, classe 1968; Giovanni Amara, classe 1973; Mauro Verace, classe 1957;
Con lo stesso provvedimento è stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di 6 imprese e dei rispettivi beni aziendali il cui valore complessivo è stimabile in almeno 50 milioni di euro.
L’INCHIESTA – L’attività di indagine, condotta dal 2012 al 2015, ulteriormente riscontrata dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, nasce dall’azione sinergica di tre forze di polizia giudiziaria coordinate dalla Procura ed ha consentito di fare emergere le condotte criminali poste in essere nel settore del traffico dei rifiuti dall’imprenditore Antonino Paratore e dal figlio Carmelo – soggetti ritenuti appartenenti a “cosa nostra” catanese e legati direttamente al boss Maurizio Zuccaro per il quale agivano anche quali prestanome – con la conseguente realizzazione di enormi guadagni derivanti dalla gestione e dal trattamento illecito di tonnellate di rifiuti provenienti da tutto il territorio nazionale.
Nel dicembre 2012, dal monitoraggio del processo di raffinazione e frazionamento del petrolioda parte delle industrie petrolchimiche, si accertava che la principale società nel trattamento e smaltimento dei catalizzatori esausti, e quindi non più rigenerabili, era proprio la Cisma Ambiente SpA, con sede legale ed operativa in Melilli (Siracusa), i cui titolari di azioni, erano diverse società tutte riconducibili alla famiglia Paratore.
Da quanto emerso vi era un complesso sistema aziendale facente capo a Antonino Paratore e al figlio Carmelo, che, avendo nella loro disponibilità una discarica per rifiuti pericolosi e non, e un impianto per il loro trattamento, ricondizionamento e recupero, avvalendosi di soggetti di loro fiducia, quali Agata Di Stefano Salvatore D’amico, Paolo Plescia, Maurizio Cottone e Antonio Di Vincenzo, con la connivenza di pubblici funzionari della Regione Sicilia deputati al rilascio delle autorizzazioni, gestivano in modo illecito tonnellate di rifiuti realizzando ingenti guadagni ed inquinando gravemente l’ambiente circostante.
Emergeva infatti che proprio i suddetti funzionari avevano nel tempo fornito il proprio contributo criminale, omettendo per anni di attivarsi, sebbene informati dagli organi di controllo della condotta della Cisma che, all’interno del sito di discarica operava in assoluto disprezzo dei provvedimenti autorizzativi e della normativa ambientale.
In questo senso significativosi è rivelato l’apporto di un funzionario presso l’Assessorato Regionale alle Infrastrutture ed alla Mobilità di Palermo che era divenuto lo strumento di Carmelo e Nino Paratore per esercitare la necessaria pressione verso gli apparati della Pubblica Amministrazione per il raggiungimento dei loro fini illeciti.
Gli elementi di prova raccolti, suffragati dalle coincidenti dichiarazioni di molteplici collaboratori di giustizia, descrivono in modo chiaro i rapporti ininterrotti,sicuramente sino all’anno 2010, tra le consorterie mafiose e Nino Paratore, il quale unitamente al figlio Carmelo, con il loro gruppo di società, rappresentava e curava anche gli interessi di Cosa Nostra Catanese.
Nell’ambito dell’attività investigativa, inoltre, emergevano condotte usurarie poste in essere da Salvatore Grillo, classe 1970, nei confronti del gestore della trattoria- pizzeria “Al Tubo” di Acicastello. In particolare, Grillo si faceva promettere e dare dal gestore dell’esercizio interessi usurari in misura superiore al 10% mensile nonché assegni in garanzia dell’importo complessivo di 30.000 euro, quale corrispettivo di una serie di prestiti in denaro contante di ammontare complessivo pari a 23.600 euro (a fronte della pretesa restituzione del capitale.
A Grillo veniva contestato anche il reato di estorsione a seguito di condotte violente ed intimidatorie compiute in pregiudizio di Grasso per la restituzione del credito. Tale condotta estorsiva aggravata dal metodo mafioso veniva contestata anche nei confronti di Giuseppe Verderame, classe 1954, e Simone Piazza, classe 1986, i quali costringevano Giuseppe Grasso a versare loro 200 euro al mese al fine di assicurare la “protezione” alla pizzeria “al Tubo”, impedendo a Salvatore Grillo di ripresentarsi per ulteriori richieste di restituzione dei prestiti usurari.
Nel corso dell’operazione, personale del Gico della Guardia di Finanza ha curato l’esecuzione delle misure cautelari reali sottoponendo a sequestro preventivo le quote societarie riconducibili a Antonino Paratore e Carmelo Paratore del Lido “Le Piramidi”, delle società “Cisma Ambiente spa”, “Paradivi Servizi srl” e “Siram srl” e delle quote riconducibili a Giuseppe Amara ed Giovanni Amara della società Gespi Srl in rapporti di affari con la famiglia Paratore. L’accesso presso le società in questione è stato effettuato con i carabinieri del Comando provinciale di Catania e del Nucleo operativo ecologico.