Sono stati destinati ad altra sede L.S. e C. M., i due agenti di Polizia del commissariato di Sesto San Giovanni che nella notte del 23 dicembre scorso fermarono ed uccisero in una stazione di servizio il presunto attentatore di Berlino, Anis Amri.
Il loro trasferimento in altri uffici di altre località (che rimangono giustamente sconosciute) è stato deciso dal Viminale a scopo precauzionale dopo che lo stesso ministero dell’Interno e i vertici della Polizia li avevano messi in bella mostra all’opinione pubblica mondiale rivelando, incautamente, i loro nomi e i loro volti. Una cosa che ha suscitato non poche polemiche, ma che gli organi di polizia giustificarono come un doveroso riconoscimento al loro merito.
Uno di loro, nello scontro a fuoco di quella notte, rimase ferito e venne addirittura immortalato in ospedale. Le loro foto non schermate insieme alle generalità fecero il giro del pianeta e sui media apparvero le loro biografie personali “dettagliate” che hanno messo a rempentaglio non solo la loro sicurezza personale, ma anche l’incolumità delle proprie famiglie.
A distanza di un mese e mezzo ai piani alti di Viminale e Polizia hanno compreso, quando però il danno era ormai fatto, di aver commesso una grave leggerezza facendo così marcia indietro. Li hanno trasferiti altrove, in località segrete come i pentiti con alle spalle reati di mafia, omicidi eccetera: “Motivi precauzionali”, è stato detto. E’ paradossale costringere i servitori dello Stato a nascondersi o, nei casi più estremi, a cambiare identità, ma tant’è!
Il fatto curioso è che quella notte prima di conoscere la vera identità dell'”immigrato”, in molti a Milano e Roma si stavano preoccupando di come giustificare l’omicidio davanti ai prevedibili (anzi sicuri) attacchi mediatici contro la Polizia. Poi, scoperto Amri, l’umore è cambiato e l’euforia e la fretta di rivendicare l’inaspettato “successo” hanno preso il sopravvento.