Decine di migliaia di dimostranti si sono scontrati con la polizia antisommossa in Georgia nelle ultime cinque notti, per protestare contro la decisione del partito al governo “Sogno Georgiano” di sospendere i colloqui per l’adesione all’Unione Europea fino al 2028.
Il primo ministro Irakli Kobakhidze, presidente del partito Dream Party, ha annunciato la decisione dopo che il Parlamento europeo ha respinto i risultati delle elezioni parlamentari del 26 ottobre in Georgia. Ha accusato il Parlamento europeo e “alcuni leader europei” di “ricatto”.
In sintesi, nota qualche osservatore, ciò che sta succedendo in Georgia, piccolo paese nel Caucaso meridionale, è la replica di ciò che accadde in Ucraina (le cosiddette rivoluzioni colorate, ndr) nel 2014 dove gli Usa e il suo satellite Ue non accettarono il presidente democraticamente eletto Viktor Yanukovich e, per procura, scatenarono una rivolta che porta il nome di euromaidan.
Se il candidato vincente è quello indicato dall’establishment occidentale va tutto bene, altrimenti si contestano brogli e si organizzano proteste. La contesa delle elezioni di ottobre è che a vincere il referendum sull’adesione del paese all’Unione europea furono in larga parte quelli contrari. Con le manifestazioni e le violenze di piazza si cerca di rovesciare una decisione sancita dalla volontà popolare, sebbene la volontà del primo ministro di prendere tempo fino al 2028.
“C’è il tentativo di realizzare un nuovo Maidan, una nuova rivoluzione arancione”, ha avvertito il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov tracciando un parallelo tra le proteste di Tbilisi e quanto è avvenuto a Kiev tra la fine del 2013 e il febbraio del 2014.