30 Ottobre 2024

E’ morto Silvio Berlusconi, per 30 anni leader indiscusso della politica italiana

Il leader di Forza Italia si è spento all'ospedale San Raffaele di Milano. Non ce l'ha fatta a superare le complicazioni di una leucemia. Mondo politico in lutto per la scomparsa di uomo che per tre decenni è stato il protagonista assoluto sulla scena politica, tra avversioni mediatiche, politiche e soprattutto giudiziarie. Per il Cavaliere funerali di Stato

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Silvio Berlusconi è morto stamattina all’ospedale San Raffaele di Milano dov’era ricoverato dallo scorso venerdì per complicanze dovute alla leucemia mielomonocitica cronica di cui soffriva da qualche mese. L’ex premier e leader di Forza Italia aveva 86 anni. Era stato ricoverato per 45 giorni tra aprile e maggio, poi lo scorso fine settimana un nuovo ricovero che non ha superato. I primi ad arrivare in ospedale il fratello Paolo e i figli Eleonora, Barbara, Marina e Pier Silvio Berlusconi, a seguire Eleonora e Luigi. La camera ardente dell’uomo che ha cambiato il corso della storia politica dal 1992 forse non ci sarà. Per il Cavaliere mercoledì ci saranno funerali di Stato in piazza Duomo, a Milano, giornata in cui è stato decretato il lutto nazionale.

Per tre decenni Berlusconi è stato un grande protagonista e un grande leader, caparbio, tenace, carismatico. A lui va il merito di aver fondato il centrodestra e di aver inaugurato la seconda Repubblica con il sistema bipolare. Imprenditore di successo, ha fondato il suo impero economico dapprima come costruttore, poi fondando la holding Fininvest e Mediaset, la tv commerciale. Entrambe oggi passati nelle mani dei figli Marina e Piersilvio. Infine come editore, acquisendo case editrici come Mondadori. Insomma un impero che gli ha consentito di essere tra gli uomini più ricchi d’Italia. Ma anche dominatore nel mondo del calcio, con le coppe e gli scudetti vinti dal suo Milan, prima di vedere il club rossonero per acquistare il Monza.

La sua parabola politica iniziò nei primi anni ’90, quando (nel 1993) fondò Forza Italia e “scese in campo”: memorabile fu l’annuncio in diretta tv in cui citò quella metafora calcistica. Anticipò la sua discesa alle prime elezioni dirette dei sindaci, nel ’93, quando nello scontro amministrativo tra Fini e Rutelli a Roma, il cavaliere uscì pubblicamente affermando che “se fossi residente a Roma voterei per Fini”, allora segretario nazionale del Movimento sociale italiano, unico partito (insieme ai comunisti) rimasto in piedi dalle ceneri di Tangentopoli, ma che a differenza dei comunisti, non aveva mai gestito nulla.

Erano gli anni post-tangentopoli in cui il pool di Mani pulite spazzò via tutti i partiti tradizionali, come la Dc, il Psi e altri, tranne appunto il Pci che non era mai stato a palazzo Chigi ma gestiva quasi tutto il potere locale, dai comuni alle province alle proloco, per intenderci, con un apparato strutturato in larga parte dei gangli vitali del paese. Pool di toghe che spazzò via anche protagonisti della prima Repubblica come Bettino Craxi, testimone di nozze e molto amico del cavaliere, che divenne suo erede politico in quanto anticomunista come lo era Bettino.

A Marzo 1994 Berlusconi vinse le elezioni politiche e divenne per la prima volta presidente del Consiglio dei ministri. Con lui era stata inaugurata la Seconda Repubblica. Vinse le elezioni appoggiato dalla Lega Nord di Bossi, da Segni, dai centristi di Casini fino all’Msi di Fini.

Una discesa in campo, premiata dagli elettori che videro la novità di un imprenditore di successo che poteva far bene per l’Italia, ma che ha subito trovato acerrimi avversari, soprattutto nel Partito comunista e in certa magistratura di sinistra. Lo stesso Massimo D’Alema, anni dopo ammise che l’opera dei magistrati milanesi di Mani pulite in sostanza doveva servire ad aprire le porte di palazzo Chigi ai comunisti, ma “mai ci aspettavamo la discesa in campo di Berlusconi”.

Nel novembre del 1994, dopo pochi mesi di governo, Silvio Berlusconi ricevette il famoso (e primo) avviso di garanzia a mezzo stampa (Corriere della Sera) in pieno G8 a Napoli dove i grandi della Terra si erano riuniti per parlare, fra l’altro, di contrasto alla criminalità. Quell’avviso a comparire era stato emesso dalla Procura della Repubblica di Milano, la stessa che negli anni a venire diede appunto filo da torcere a Berlusconi, l’uomo che durante la sua carriera ha subìto un accanimento giudiziario senza precedenti; venne indagato decine di volte per inchieste da cui venne sempre assolto. Una sola condanna per frode fiscale, che gli costò il posto da senatore e la pena scontata ai servizi sociali.

Passerà poco tempo e cominciano le prime frizioni all’interno del centrodestra, con l’allora leader della Lega Nord Umberto Bossi che proprio sulla prima questione giudiziaria di Berlusconi ritirò sostegno e delegazione al governo e fece cadere il primo esecutivo Berlusconi, costretto a dimettersi a dicembre dello stesso anno. Scalfaro al Quirinale, il governo B. venne sostituito il mese successivo, nel gennaio 1995, con un governo tecnico guidato da Lamberto Dini con la Lega di Bossi che votò la fiducia in parlamento.

Nel 1996 ci furono nuove elezioni politiche con il centrosinistra che schierò Romano Prodi. Era l’alba di un sistema bipolare con il pentapartito che fu archiviato dagli eventi. Una forte demonizzazione mediatica mise Berlusconi alla “gogna” e gli elettori premiarono Prodi appoggiato dal Pds, Dini, Popolari, Verdi e altri che componevano il nascente Ulivo. Il centrodestra si presentò senza la Lega, con soltanto FI, AN, CCD-CDU, in una sigla il “Polo delle Libertà”.

Un governo, quello di Prodi, imploso poi sotto diverse contraddizioni interne. L’esecutivo del leader bolognese cadde nel 1998, anno in cui la maggioranza parlamentare restò comunque di centrosinistra (con la Lega che prese circa il 10%) e si trovò una maggioranza a sostegno di Massimo D’Alema, allora segretario del Pds, diventato premier; un ruolo ricoperto dal 21 ottobre 1998 al 26 aprile 2000, periodo delle riforme costituzionali e della nota Bicamerale, fatta poi saltare dal capo del centrodestra.

Il 2001 il centrodestra si evolve nella Casa delle Libertà e il centrosinistra consolida l’Ulivo. Vinse di nuovo Silvio Berlusconi. E’ la prima volta che una coalizione vincente resta al governo per quasi 5 anni, dal 2001 al 2005, il più longevo dopo il governo Mussolini e dall’Unità d’Italia a oggi. A seguito della sconfitta subìta dai partiti al governo, alle elezioni regionali italiane del 2005, l’UDC, Nuovo PSI e Alleanza Nazionale ritirarono le loro delegazioni e ciò indusse il Presidente del Consiglio Berlusconi ad annunciare il 20 aprile in Senato la volontà di costituire un nuovo governo di fine legislatura e rassegnò al Quirinale, presidente Ciampi, le proprie dimissioni. Al governo succedette così il governo Berlusconi III che durò dal 23 aprile 2005 al 17 maggio 2006.

Alle nuove politiche del 2006 a vincere per una manciata di voti fu ancora Romano Prodi, che aveva la maggioranza alla Camera ma non aveva i numeri al Senato. A palazzo Madama la fiducia e le leggi vennero approvate di volta in volta coi voti di senatori raccattati qua e là. Motivo per cui lo stallo al Senato costrinse Prodi a dimettersi dopo essere stato sfiduciato a gennaio 2008.

Alle politiche del 2008 vinse nuovamente Silvio Berlusconi, il quarto ed ultimo della sua lunga carriera politica. Chiamato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per essere incaricato di formare il governo, il leader del centrodestra accettò senza riserva, presentando contestualmente la lista dei ministri da nominare. L’esecutivo durerà per oltre tre anni, fino al 2011, quando dalla finanza internazionale arrivarono input per farlo cadere con la clava dello Spread. Sotto pressioni mediatiche e pressioni esterne, quel governo, l’ultimo eletto dal popolo nell’ultimo decennio, diede le dimissioni, sotto velate minacce che o lasciava o avrebbero preso di mira le sue aziende. Lui, obtorto collo, scelse di difendere il suo impero economico, sostenendo lo stesso establishment internazionale che pretese, con il ricatto dello spread, le sue dimissioni.

Dimissioni che diedero la sponda all’allora presidente Napolitano di formare un governo tecnico guidato da Mario Monti, appoggiato appunto anche da Forza Italia, che sostenne a seguire anche tutti i governi politici, come quello di Letta, Renzi (patto del Nazareno, ndr) e Gentiloni, mai usciti dalle urne.

Siamo al 2018, e il consenso di Berlusconi e degli azzurri tende a sgonfiarsi. Il Centrodestra vinse le politiche come coalizione (Lega, FI, FdI e centristi), ma non arriva alla soglia del 40% (ottenne il 37 percento), con la Lega di Salvini che prese però il 17%, piazzandosi come primo partito dello schieramento. Una percentuale che spinse il Carroccio a fare un’alleanza con il M5s di Di Maio e Grillo, forte del 32%, con Giuseppe Conte premier. Berlusconi e Meloni dovettero digerire il rospo, ma alla fine, per superare lo stallo ed evitare il governo tecnico di Cottarelli, diedero via libera a Salvini di allearsi coi grillini. Formato il nuovo governo giallo-verde, Berlusconi e gli altri si piazzarono all’opposizione, una opposizione così per dire “leggera” per non mettere in imbarazzo il segretario leghista, alleato in moltissimi comuni e regioni.

Dopo i governi Conte II e Draghi, il secondo sostenuto da Lega e FI, ma non da FdI, lo scorso 25 settembre a trionfare, in un mare di astensione, fu Giorgia Meloni che portò Fratelli d’Italia a prendere il 26% divenendo presidente del Consiglio, tutt’ora in carica, con un governo tutto politico e di centrodestra, sostenuto da Berlusconi (che mesi fa in Senato polemizzò aspramente a distanza con la Meloni), FdI, la Lega di Giorgetti e Salvini e i centristi.

Amico personale di Vladimir Putin, fece discutere la sua uscita sul conflitto russo-ucraino: “Se Zelensky avesse cessato di bombardare il Donbass la guerra non sarebbe mai cominciata”, disse intervistato per strada.

Una perdita quella del leader del centrodestra che potrebbe ora mettere a rischio la tenuta del governo Meloni, e la vita stessa di Forza Italia, di cui il cavaliere è stato padre-padrone, senza lasciare eredi se non una sfilza di yesman che sono stati con “il Presidente” quando era potente, ma pronti ad abbandonarlo, come è successo lo scorso anno, quando costoro hanno notato il progressivo calo di Forza Italia nelle urne e la tenacia di Berlusconi a non mollare o cedere ad altri la sua creatura politica. Come per dire: “Muoia Sansone con tutti i Filistei…”.


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