Il piccolo Alfie Evans è morto. Lo hanno annunciato entrambi i genitori su Facebook. “Al nostro bimbo sono spuntate le ali intorno alle 2.30. I nostri cuori sono spezzati. Grazie a tutti per il sostegno”, ha scritto la mamma del bambino, Kate James. “Il mio gladiatore si è arreso e si è guadagnato le ali. Abbiamo il cuore spezzato. Ti voglio bene figlio mio”, scrive il padre, Thomas, sempre sul social.
Un ultimo disperato appello ai sostenitori dell’Alfie’s Army era arrivato nella notte via Fb da Sarah Evans, zia del piccolo Alfie. “Mandate preghiere e 100 profondi respiri al nostro guerriero”, aveva scritto la donna, mentre sopraggiungeva la crisi fatale per il bambino.
La giornata di ieri era trascorsa apparentemente senza novità, con i genitori, Tom e Kate, ormai rassegnati alla fine delle speranze di un trasferimento in Italia e impegnati a dialogare con i medici dell’ospedale Alder Hey di Liverpool sulla possibilità di riportarlo a casa.
Il governo italiano nel tentativo di curarlo al Bambino Gesù di Roma, aveva concesso la cittadinanza italiana al piccolo Alfie, affetto da una rara malattia neuro degenerativa. I giudici inglesi non avevano però autorizzato il trasferimento in Italia, come hanno più volte chiesto i genitori.
Le tappe
La battaglia del piccolo Alfie, un bambino di nemmeno due anni colpito da una grave patologia neurodegenerativa, è durata quasi sei mesi. A innescarla, la richiesta dei medici dell’ospedale pediatrico Alder Hey di Liverpool di staccare la spina. Un atto a cui i genitori Tom e Kate si sono opposti fin da subito, ma senza riuscire a spuntarla.
Non sono serviti i ricorsi alla Corte Suprema di Londra, né quella alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. E neppure gli appelli del Papa e la concessione della cittadinanza italiana, per farlo curare al Bambino Gesù e al Gaslini, che si erano offerti. La sera del 23 aprile i medici hanno, infine, staccato la ventilazione assistita.
Alfie, contro tutte le attese, ha resistito da “guerriero” – nelle parole di papà Tom – respirando da solo per quattro giorni. E lasciando spazio a un estremo ricorso perduto in appello, prima della resa e dell’apertura di un dialogo dei genitori con i medici per riportarlo almeno a casa. Quando ormai non c’era più tempo.