Dopo una giornata al cardiopalma, al Senato sembra si stia consumando la fine della legislatura. Al discorso del dimissionario Draghi e al precedente ‘niet’ o strappo del Movimento 5 stelle le forze maggiori in Parlamento dicono di no alla risoluzione Casini su cui il governo aveva posto la fiducia, ma no su quella proposta dalla Lega che recitava la disponibilità ad un nuovo patto di governo senza il partito di Conte.
La giornata più lunga e difficile da quando si è insediato l’uomo più amato dalle èlite e finanziarie del globo e che negli ultimi giorni si sono uniti in una catena di sant’Antonio per supplicarlo di restare.
L’ex presidente della Bce, su pressioni del presidente Mattarella, che ne aveva respinto le dimissioni, ha riferito oggi a palazzo Madama (“Serve un nuovo patto…”), ma tra veti e controveti alla conta manca la maggioranza (ossia il numero legale), per cui ad esito finale il capo dello Stato, preso atto della situazione potrebbe sciogliere le Camere e indire elezioni anticipate. A questo punto è estremamente difficile incaricare un altro tecnico con una maggioranza sfilacciata e divisa in tutto.
Uno scenario che i “piccoli” partiti scongiuravano, nella speranza di portare a termine la legislatura salvando poltrone e super stipendi, ma che i movimenti più rappresentativi hanno di fatto affossato, chi per orgoglio, come il M5s dopo la scissione di Di Maio, chi per andare al voto a settembre-ottobre, come vorrebbero Forza Italia e Lega ma pure FdI della Meloni, forti nei sondaggi. Non vedono altre alternative.
A Palazzo Madama la fiducia passa per 95 voti, un numero troppo esiguo per continuare. Draghi potrebbe salire al Quirinale già in serata al massimo domattina.