Non si può licenziare nessuno perché su una chat, o su una mailing list, ha scritto parole anche molto pesanti sul suo capo, compreso il caso in cui gli epiteti siano rivolti all’amministratore delegato dell’azienda per cui lavora chi ha espresso l’opinione un po’ ‘tranchant’ servendosi dei social. Lo ha stabilito la Cassazione dando tutela alla segretezza degli scambi di opinioni tra followers di una stessa catena di contatti a circuito chiuso che è “inviolabile”.
Dunque nel caso in cui in qualche modo, ad esempio tramite la manina di una spia, pervenga al datore di lavoro copia di una schermata di insulti a lui diretti, è da “escludere” ogni forma di “utilizzabilità” del contenuto di tale conversazione, afferma la Suprema Corte.
Così ha conservato il suo posto, di guardia giurata a Taranto, un dipendente della ‘Cosmopol’ che nel gruppo Facebook del sindacato di base Flaica Uniti Cub aveva definito “faccia di m…” e “co…” l’amministratore delegato della società.
In primo grado, il Tribunale di Taranto aveva confermato il licenziamento di Gianpiero A. ma poi la Corte di Appello di Lecce, nel 2016, lo aveva dichiarato illegittimo ordinando la reintegra della guardia giurata oltre al pagamento di dodici mensilità di stipendio, e ai contributi. Contro il verdetto la ‘Cosmopol’ ha fatto infruttuosamente ricorso in Cassazione. (Ansa)