Bersani Renzi ai ferri corti: "Non faccio il figurante"

Carlomagno
Bersani Renzi
Bersani con Renzi

Tommaso Ciriaco per La Repubblica

Lo schiaffo è fragoroso, visto che metà dei parlamentari del Pd diserterà oggi la riunione convocata da Matteo Renzi nella sede del Pd. Uno strappo clamoroso, il primo passo di un’escalation studiata a tavolino e condotta da Pierluigi Bersani.

«Il metodo Mattarella – è la cruda fotografia di Alfredo D’Attorre – si è chiuso rapidamente». La guerra nel Pd, insomma, è sempre meno fredda. E lo ammette anche il leader: «Sono stupito – attacca – Nessuno vuole ricominciare con i caminetti ristretti vecchia maniera: noi siamo per il confronto, sempre. Non sprechiamo neanche un minuto in polemiche sterili e ingiustificate persino sugli orari e sulle modalità di convocazione di incontri informali. Il nostro popolo, quello che ci ha dato il 41% dopo tante sconfitte, non le merita».

L’origine del duello, a dire il vero, va rintracciata nella scelta di Palazzo Chigi di ignorare il parere delle commissioni competenti sul Jobs act. Per dirla con Bersani, «così si pone fuori dall’ordinamento costituzionale». A poco serve che Renzi si sgoli: «Tutte le principali decisioni di questi 15 mesi sono state discusse e votate negli organismi di partito». La competizione tra i cattorenziani e i renziani ortodossi, infatti, ha ridato vigore alle minoranze, spingendole a muoversi compattamente per disertare l’appuntamento di oggi.

A Montecitorio il clima è pessimo. I renziani provano a convincere i “dubbiosi del venerdì”. Fermano i peones, ricordano che è sconveniente saltare l’incontro con il segretario. Gridano pure alla struttura parallela dei bersaniani, denunciano il partito nel partito. Anche a palazzo Madama va in onda lo stesso film, con venti senatori della minoranza pronti a lamentarsi con il capogruppo Zanda dell’atteggiamento del segretario.

I capofila della rivolta, in ogni caso, militano proprio in Area riformista. «Non ci penso proprio a partecipare oggi – confida ad Avvenire Bersani – Io mi inchino alle esigenze della comunicazione, ma che gli organismi dirigenti debbano diventare figuranti di un film non ci sto». Un attimo dopo l’ex segretario sgancia la bomba: «Il combinato disposto tra ddl Boschi e Italicum rompe l’equilibrio democratico. Se la riforma della Costituzione va avanti così, non accetterò mai di votare la legge elettorale». La controffensiva renziana è immediata e parecchio irriverente: «Se Bersani non vota l’Italicum rileva Ernesto Carbone – significa che preferisce il Porcellum. Nostalgia canaglia».

L’elenco di chi oggi volterà le spalle al premier, comunque, è lunghissimo. Molti dei Giovani turchi, in allarme per le grandi manovre in area renziana. E tantissimi deputati di peso, da Nico Stumpo a Pippo Civati, Rosy Bindi, Stefano Fassina e Gianni Cuperlo. «Sono in Sardegna – dice quest’ultimo – ma non ci sarei andato comunque».

Stessa linea di Ileana Argentin: «Sinistra Dem non va alla riunione. Sa perché? Non è che tu vieni un’ora, parli e noi applaudiamo. Un’assemblea è una cosa diversa». Ci sarà invece Francesco Boccia, ma solo per picchiare duro sul premier. «Invece di sabotare – reagisce il vicesegretario Lorenzo Guerini – colgano l’occasione per confrontarsi». Eppure, a sentire Massimo D’Alema la sensazione è che i rapporti interni possano addirittura peggiorare. «C’è una discussione vivace. E io spero che si faccia ancora più vivace».