5 Ottobre 2024

Home Blog

Terrore a Scuola, Maestre ai Bimbi: “Sigillate le mascherine con lo scotch sennò entra il Virus”

La riapertura delle scuole in Italia è stata un disastro, e siamo solo agli inizi. Dopo i bambini in ginocchio in un istituto ligure perché il preside non avendo i nuovi banchi ha “evitato” (parole sue), di mettere quelli vecchi, la maestra di una scuola del nord Italia è andata ben oltre dicendo ai bambini di una classe elementare, che affinché il virus non entri, anche avendo la mascherina, devono sigillare con lo scotch i bordi laterali.

La testimonianza choc arriva da un video postato su Facebook dove uno di questi bimbi racconta questa allucinante esperienza. Fortunatamente lui insieme ai suoi compagnetti hanno disubbidito, però dà la dimensione dei metodi folli praticati e vissuti dai nostri figli per effetto del terrorismo mediatico e di Stato sulla presunta nuova emergenza Covid.

“Per respirare sono andato a nascondermi dietro ad un albero”, racconta il bambino nel video accompagnato da una persona che si presenta come il nonno. Anche per l’attività all’aperto le cose si mettono malissimo per i bambini. Secondo il racconto, gli alunni, al terzo giorno di scuola, devono stare rigidamente a un metro di distanza, senza poter correre, altrimenti se sudano possono contrarre il coronavirus.

Il ragazzino racconta, oltre al disagio, anche il fatto che la maestra gli ha chiesto di aiutare un suo compagno in difficoltà, a patto però di stare a un metro di distanza. Come faceva ad aiutarlo? Solo questa geniale prof potrebbe spiegarlo.

Una cosa davvero allucinante. Ed è lo stesso nonno del bambino a spronare tutti genitori a ribellarsi contro questi metodi “terroristici”. “I genitori invece di pensare alle loro cose, si occupino dei loro figli”.

Nei commenti si legge di tutto: “Ci stanno distruggendo i bambini, poi, avranno danni irreparabili”, scrive una utente, mentre altri parlano di delirio. C’è però chi addossa responsabilità anche ai genitori che accordano con il loro silenzio-assenso questi trattamenti disumani: “Dove sono i genitori, specialmente le mamme??? Perché mandate i figli a scuola, cosa vi aspettate dalla scuola? Guardate che la rovina dei figli è più nelle nostre mani che in quelle della scuola…vogliamo comprendere i valori dei figli e la loro salute o vogliamo scaricare la responsabilità sugli altri? Il bimbo parla chiaro, forse siamo noi che non sentiamo bene!”.

Il Video schermato: fonte fb 


LEGGI ANCHE

SE QUESTO E’ UN BAMBINO (di Sara Cunial)

Il prefetto di Cosenza Paola Galeone indagata per corruzione

Il prefetto di Cosenza Paola Galeone

Il prefetto di Cosenza, Paola Galeone, di 58 anni, è indagata per corruzione. Lo scrive la “Gazzetta del sud” in un articolo a firma di Arcangelo Badolati. L’ipotesi accusatoria a carico del prefetto è di avere intascato da un’imprenditrice, che ha denunciato i fatti alla polizia, una “mazzetta” di 700 euro.

Sarebbe stata videoripresa dal personale della Squadra mobile di Cosenza la consegna da parte di un’imprenditrice al prefetto dei 700 euro. La consegna della busta contenente il denaro, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbe avvenuta in un bar di Cosenza. Le banconote sarebbero state segnate.

La notizia che travolge in pieno la Prefettura di Cosenza, su cui vige il massimo riserbo, è stata confermata da fonti della Polizia interpellate da Secondo Piano News.

Il prefetto Galeone avrebbe proposto all’imprenditrice di emettere una fattura fittizia di 1.220 euro allo scopo di intascare la parte di fondo di rappresentanza accordata ai prefetti che era rimasta disponibile alla fine dell’anno. Sempre secondo l’accusa, 700 euro della somma concordata sarebbero andati al prefetto Galeone e 500 all’imprenditrice.

Galeone è prefetto di Cosenza dal 23 luglio del 2018. In precedenza aveva svolto le stesse funzioni a Benevento. Galeone è stata assunta nell’amministrazione civile dell’Interno nel dicembre del 1987 ed assegnata, come prima sede, alla Prefettura di Taranto, dove ha svolto vari ruoli.

Nuoro, stermina la famiglia, uccide un vicino e si suicida

Erano da poco passate le 7, nell’appartamento al piano terra della palazzina di via Ichnusa a Nuoro, quando la violenza di un uomo si abbatte sulla sua famiglia e su un vicino di casa.

Dopo avere ucciso la moglie e la figlia, e avere ferito altri due figli e l’anziano vicino, si toglie la vita, nella casa dell’anziana madre, in via Gonario Pinna, dopo aver colpito anche lei.

Trasportati all’ospedale San Francesco in condizioni disperate il figlio di 10 anni e il vicino non ce l’hanno fatta. È una strage quella che Roberto Gleboni, operaio forestale di 52 anni, ha compiuto alle prime luci del giorno. Il bilancio è agghiacciante: cinque morti e due feriti.

L’uomo dopo aver impugnato una semiautomatica calibro 7.65, regolarmente detenuta, per motivi sconosciuti – da tutti è stato descritto come persona gentile e disponibile – inizia a sparare verso la moglie e i suoi tre figli. Li colpisce centrandoli tutti alla testa: Giuseppina Massetti, 43 anni, e la figlia Martina, di 24, muoiono sul colpo. L’uomo rivolge quindi l’arma verso gli altri due figli, di 14 e 10 anni: il primo lo prende di striscio e lo ferisce lievemente, il secondo lo colpisce in pieno. Poi si dirige verso il pianerottolo e spara contro Paolo Sanna, pensionato di 69 anni, proprietario della casa che i Gleboni hanno in affitto, nonché inquilino al terzo piano del palazzo, sceso al piano terra forse perchè aveva sentito gli spari. L’uomo viene ferito gravemente.

Roberto Gleboni non si ferma qua: esce di casa in tutta fretta e si dirige verso l’abitazione di sua madre, Maria Esterina Riccardi, contro la quale punta l’arma ferendola al viso, fortunatamente in maniera non grave, prima di togliersi la vita sparandosi un colpo alla tempia in cucina.

Nel capoluogo barbaricino intorno alle 7.30 si scatenano le sirene delle ambulanze e due elicotteri della polizia di Stato volano sulla città. Nelle due palazzine della strage arrivano gli agenti della Questura e i carabinieri del Comando provinciale di Nuoro, i magistrati Riccardo Belfiori e Sara Piccicuto, il medico legale Roberto Demontis, che ha subito effettuato un primo esame esterno dei corpi, mantenendo però uno stretto riserbo in attesa dell’autopsia. Cosa sia successo nell’appartamento dell’orrore e quale sia stato il movente della strage, resta per il momento un mistero.

Parenti e vicini di casa della coppia non avevano avuto alcuna avvisaglia di dissidi familiari: “Mai sentito nulla, un litigio o un problema – dicono all’unisono nel palazzo e nel quartiere di monte Gurtei – Sembravano affiatati, due giorni fa li ho visti mentre rientravano dopo aver fatto la spesa”.

Saranno gli inquirenti a ricostruire l’accaduto dopo aver sentito le persone più vicine alla famiglia. Fondamentale il racconto dei sopravvissuti che potranno dare la chiave per capire cosa ha scatenato la strage per mano di un uomo da sempre appassionato di armi per uso sportivo. Di certo c’è che l’operaio forestale, quando ha sparato con la sua semi automatica 7.65, ha colpito tutte le vittime alla testa, come se ci fosse una determinazione nel voler sterminare tutta la famiglia e con la stessa foga ha colpito il vicino di casa.
Verso le 9, quando le ambulanze hanno finito la loro corsa tra monte Gurtei, via Gonario Pinna e l’ospedale San Francesco, cala il silenzio nel quartiere, squarciato solo dalle urla della mamma di Giuseppina Massetti e nonna dei suoi figli: “Figlia mia del cuore” grida a squarciagola la donna poco prima che le venga comunicata anche la morte di Martina. E un’ambulanza la porta via dopo un mancamento.

Martina, ragazza di 25 anni piena di vita, tirocinante al tribunale di Nuoro, stravedeva per il suo papà. Il giorno della laurea, il 28 aprile 2022 la giovane scriveva su un biglietto dedicato ai genitori: “A mia madre, che ci ha creduto prima che ci credessi io. A mio padre, l’amore più grande della mia vita”.
Parole che alla luce dei fatti di oggi lasciano tanto dolore per quelle vite volate via tragicamente nel fiore degli anni.

Traffico illecito di rifiuti, assolti tutti gli imputati

Sono stati tutti assolti, perché “il fatto non sussiste”, i sette imputati coinvolti nell’inchiesta denominata “Erebo Lacinio”, condotta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, su una presunta associazione per delinquere accusata di avere gestito un traffico illecito di rifiuti.

Agli imputati venivano contestati anche il reato di truffa aggravata ed una serie di illeciti amministrativi.

La sentenza è stata emessa, a conclusione del processo con rito abbreviato, dal gup di Catanzaro, Sara Merlini.

Tra gli imputati figurava, nella qualità di amministratore dell’azienda “Le verdi praterie”, l’ex vicepresidente della Regione, Antonella Stasi; il fratello di quest’ultima, Roberto (52), nella qualità di consulente; Massimo Francesco Carvelli, di 60 anni, dipendente amministrativo; Anna Crugliano (50), rappresentante legale, ed i dipendenti Salvatore Esposito (54), Antonio Muto (61), Raffaele Rizzo (53) e Salvatore Succurro (45).

Il coinvolgimento nell’inchiesta della “Le verdi praterie” scaturiva dal fatto che la società, specializzata nella produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ha gestito un impianto alimentato con biomasse di origine vegetale e animale “in modo non conforme – secondo l’accusa – alla normativa”, provocando anche sversamenti illeciti.

“Sono state necessarie – ha commentato l’avvocato Francesco Verri, difensore di Antonella Stasi – quattro consulenze risultate decisive e due giudizi cautelari favorevoli, davanti al Tribunale della libertà e in Cassazione”.

Il gup ha anche disposto la revoca del sequestro dei beni mobili e immobili che era stato deciso a suo tempo a carico della società “Le verdi praterie”.

Si è insediato il colonnello Mommo, comandante carabinieri di Cosenza

Il colonnello Andrea Mommo, nuovo comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza

“In quest’ultima settimana, dopo il mio arrivo, ho visto un territorio fortemente effervescente non solo dal punto di vista criminale ma anche imprenditoriale. Ho percepito la presenza di una comunità fondamentalmente sana che vuole e pretende la presenza delle forze dell’ordine”.

Lo ha detto il colonnello Andrea Mommo, nuovo comandante provinciale di Cosenza dei carabinieri di Cosenza, che si é insediato nei giorni scorsi e che questa mattina si è presentato ai giornalisti.

“Il territorio è talmente vasto – ha aggiunto l’ufficiale – da richiedere l’elaborazione di precise strategie. Le sue peculiarità consentono di ripartirlo in quattro macroaree: una zona tirrenica, una ionica, l’area di centro e infine l’area montana che confina con il Pollino. C’é, infine, un’altra porzione di territorio che merita attenzione, la zona del Savuto e quella tra Corigliano-Rossano e Cassano”.

Nel corso dell’incontro con la stampa, inoltre, il colonnello Mommo ha presentato gli ufficiali che sono stati chiamati a sostituire i colleghi trasferiti negli ultimi tempi in altre sedi. Si tratta del tenente Massimiliano Cervo, che ha assunto la guida della Compagnia di Rogliano; del capitano Michelangelo Iocolo, comandante della Compagnia di Castrovillari; del tenente Salvatore Arcidiacono, che comanda il Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Cosenza, e del capitano Andrea Aiello, nuovo comandante della Compagnia di Rende.

“La squadra – ha detto Mommo – deve essere amalgamata. Ritengo che non bisogna soffermarsi esclusivamente sulle otto Compagnie e sul Reparto territoriale di Corigliano-Rossano, ma coinvolgere anche le stazioni. Fatto questo, si potrà poi procedere con la cooperazione con le altre forze di polizia”.

Iran: “Escalation israeliana in Libano potrebbe diventare un’altra Gaza”

Mentre cresce di ora in ora il numero delle vittime nel sud del Libano, dove stanotte le forze israeliane hanno bombardato alcuni insediamenti civili residenziali portando il numero dei morti a 558, “la situazione in Libano potrebbe degenerare in un conflitto regionale pericoloso per il mondo intero”. Lo ha affermato il presidente iraniano Masoud Pezeshkian citato dalla Tass.

“Esiste il pericolo che il fuoco degli eventi che stanno avendo luogo in Libano si espanda all’intera regione”, ha detto in un’intervista alla Cnn. “Non dobbiamo permettere che il Libano diventi un’altra Gaza per mano di Israele”, ha osservato Pezeshkian.

Il presidente ha allertato che gli eventi attuali potrebbero sfociare in un conflitto regionale, che “può essere pericoloso per il futuro del mondo e del pianeta Terra stesso, quindi dobbiamo impedire gli atti criminali in corso commessi da Israele”. “Hezbollah non può resistere da solo contro un paese che viene difeso, sostenuto e rifornito dai paesi occidentali”, ha aggiunto il presidente iraniano.

Il conflitto tra Israele e il movimento Hezbollah con sede in Libano si è nuovamente intensificato dopo le molteplici esplosioni di dispositivi di comunicazione avvenute in Libano il 17 e 18 settembre. Hezbollah ha attribuito le esplosioni a Israele; le autorità dello stato ebraico non hanno commentato apertamente quanto accaduto, ma hanno annunciato un aumento delle operazioni militari nel nord. Successivamente, l’aeronautica militare israeliana ha iniziato a effettuare massicci attacchi sulle aree di confine nel Libano meridionale; il 20 settembre, gli aerei hanno attaccato obiettivi nella capitale libanese Beirut, uccidendo 16 comandanti militari di Hezbollah.

Il portavoce delle Forze di difesa israeliane Daniel Hagari ha dichiarato lunedì che l’aeronautica militare del paese ha condotto attacchi su 1.300 obiettivi militari di Hezbollah in tutto il Libano nelle 24 ore precedenti. L’emittente Al Mayadeen ha riferito che, secondo il Ministero della Salute libanese, gli attacchi israeliani hanno ucciso oltre 550 persone e ne hanno ferite più di 1.200.

Idf avvisa i civili libanesi, attaccheremo anche oggi

Intanto, nuovi avvisi di evacuazione sono stati inviati ai civili in Libano dall’esercito israeliano nei villaggi in cui Hezbollah avrebbe immagazzinato munizioni nelle case, affermando che gli attacchi aerei contro il gruppo terroristico continueranno anche oggi. “Se vi trovate in prossimità o all’interno di edifici di Hezbollah o di quelli da esso utilizzati per immagazzinare armi, dovete allontanarvi da quelle strutture di almeno un chilometro o andare fuori dal villaggio, immediatamente”, ha scritto su X il portavoce in lingua araba dell’Idf. “Chiunque si trovi vicino ad elementi di Hezbollah si mette in pericolo”, aggiunge.

Cremlino: “Rischio completa destabilizzazione in Medio Oriente”

Dopo la dura reazione della Cina agli attacchi israeliani in Libano, i bombardamenti di Israele sul Libano sono stati condannati anche dalla Russia. “I Raid rischiano di portare a una completa destabilizzazione della regione. Lo ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, citato da Ria Novosti.

Onu, “decine di migliaia di persone fuggite dal Libano”‘

Decine di migliaia di persone sono fuggite dalle violenze israeliane in Libano da ieri: lo affermano le Nazioni Unite, citate dall’Ansa.

Raid israeliano nel sud del Libano, è strage di civili: quasi 500 morti

In diversi bombardamenti israeliani nel sud del Libano centinaia di persone civili sono state uccise e altrettante sono rimaste ferite. Lo confermano le autorità locali e la stessa Idf che afferma come “nella notte sono state colpite decine di obiettivi di Hezbollah”. Le vittime accertate sarebbero quasi 500.

Durante la notte l’aviazione israeliana ha colpito “decine di obiettivi di Hezbollah in numerose regioni del sud del Libano”, mentre l’artiglieria ha colpito altri obiettivi ancora nelle zone di Ayta al-Shab e Ramyeh,: scrivono le stesse forze armate di Israele in una nota aggiungendo che l’esercito israeliano aveva affermato di aver colpito circa 1.600 obiettivi.

Beirut: “Ieri giorno più sanguinoso dalla guerra civile 1975-90”
La giornata di ieri, con almeno 492 morti di cui almeno 35 bambini e 58 donne e oltre 1.600 feriti sotto i raid continui di Israele contro Hezbollah è stata la singola giornata più sanguinosa per il Libano dalla fine della lunga guerra civile del 1975-1990. Lo si legge sui media libanesi e internazionali.

L’azione di guerra di Israele ha suscitato lo sdegno internazionale con la Cina, che si schiera con il paese libanese e condanna fermamente “gli attacchi indiscriminati contro i civili in Libano”

Pechino ha espresso sostegno al Libano e ha condannato quelli che ha definito “attacchi indiscriminati contro i civili”. Incontrando a New York la controparte Abdallah Bou Habib per uno scambio di opinioni sulla situazione in Medio Oriente, il ministro degli Esteri Wang Yi ha detto che la Cina “presta molta attenzione agli sviluppi nella regione, in particolare alla recente esplosione di apparecchiature di comunicazione in Libano, e si oppone con fermezza agli attacchi indiscriminati contro i civili”, ha riferito un resoconto della diplomazia di Pechino. La Cina sostiene il Libano “nella tutela di sovranità e sicurezza”.

Processo “imponimento”, in appello assolte venti persone

Corte di Appello Catanzaro

Si è concluso con 20 assoluzioni, tra cui quelle di esponenti di spessore della criminalità organizzata vibonese, quattro prescrizioni, numerose rideterminazioni di pena rispetto al primo grado e 23 conferme delle condanne inflitte con la sentenza emessa, col rito abbreviato, dal Gup distrettuale, il processo d’appello denominato “Imponimento” scaturito dall’omonima inchiesta della Dda di Catanzaro.

Il procuratore della Repubblica facente funzioni, Vincenzo Capomolla, ed il sostituto procuratore generale Raffaela Sforza avevano chiesto la condanna di tutti gli imputati. E per sette di loro, in particolare, pene anche maggiori rispetto al primo grado. La Corte d’appello di Catanzaro, presieduta da Loredana De Franco, è stata però di diverso avviso.

Tra gli imputati assolti ci sono Vincenzo Barba, considerato un elemento di spicco della criminalità vibonese; Domenico Bonavota, ritenuto al vertice dell’omonima cosca di Sant’Onofrio, e Filippo Catania, altro elemento indicato quale appartenente al clan Lo Bianco, così come Paolino Lo Bianco.

Assolti, inoltre, l’imprenditore-avvocato Vincenzo Renda e il dirigente regionale Serafino Nero, mentre per alcuni imputati la Corte ha accolto l’appello della Dda infliggendo pene maggiori rispetto a quelle inflitte in primo grado come per il militare della Guardia di finanza Domenico, Bretti.

Confermati invece i 20 anni comminati in primo grado al boss di Filadelfia Rocco Anello e le condanne di Francesco Antonio Anello, dei fratelli Vincenzo e Giuseppe Fruci, di Daniele Prestanicola e di Teodoro Mancari.

L’operazione “Imponimento”, scattata nel 2020, si é concentrata sulle attività illecite gestite dalla cosca Anello di Filadelfia e dalle consorterie alleate su una vasta porzione di territorio a cavallo tra il Vibonese, l’hinterland lametino e parte dell’entroterra catanzarese.

Legale Bergamini: “Denis ucciso in ambiente della famiglia Internò”

Ansa

La morte di Donato Denis Bergamini, il calciatore del Cosenza deceduto lungo la statale 106 a Roseto Capo Spulico il 18 novembre 1989, è collegata alla famiglia di Isabella Internò, “in quel contesto ambientale basato sul concetto di onore, è maturato l’omicidio”.

A dirlo l’avvocato di parte civile Fabio Anselmo, che oggi ha preso la parola davanti alla Corte d’assise di Cosenza nel processo a carico dell’ex fidanzata di Bergamini, imputata per omicidio volontario in concorso con ignoti.

Nelle quattro ore di discussione, il legale ha ripercorso le fasi successive alla tragedia di Roseto Capo Spulico evidenziando come tutti gli accertamenti svolti all’epoca per comprendere l’accaduto siano stati fatti superficialmente.

Il legale si è soffermato anche su ciò che hanno visto i testimoni Forte e Rinaldi, presenti sul luogo della tragedia che, sentiti nel corso delle udienze, hanno riferito entrambi di aver visto sul luogo una macchina scura, oltre alla Maserati di Bergamini.

Dichiarazioni che a giudizio di Anselmo avvalorerebbero l’ipotesi della presenza dei familiari della Internò sul posto.

Infine, il legale ha chiesto alla corte presieduta da Paola Lucente di mettersi nei panni della famiglia Bergamini e in special modo di Donata, sorella di Denis. “Pensate – ha detto – al cuore e al fegato che ha avuto questa donna fino a qui, sentire parlare in quel modo disonesto di suo fratello, ragazzo semplice e cristallino. Pochi giorni fa avrebbe compiuto 62 anni”.

“Io – ha concluso Anselmo mentre Donata Bergamini lasciava l’aula trattenendo a stento le lacrime – nel corso della mia lunga carriera, ho imparato che quando cambiano le persone cambia la giustizia. E la giustizia deve essere fatta da queste persone. Oggi vi ho dimostrato che erano milioni i motivi per indagare. Vi chiedo giustizia”.

Domani prenderanno la parola gli altri due legali della famiglia Bergamini, Alessandra Pisa e Silvia Galeone.

Caso Bergamini, chiesti 23 anni per l’ex fidanzata: “Fu la mandante”

Isabella Internò (oggi) e Denis Bergamini

Isabella Internò sarebbe stata “la mandante” e avrebbe “concorso” nell’omicidio dell’ex fidanzato Donato Denis Bergamini, il calciatore del Cosenza morto il 18 novembre del 1989 lungo la statale 106 a Roseto Capo Spulico, ma essendo passati 35 anni merita le attenuanti generiche.

E’ il ragionamento che ha portato la Procura della Repubblica di Castrovillari a chiedere 23 anni di carcere e non l’ergastolo per la donna – assente oggi dall’aula – imputata per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi in concorso con ignoti.

Ad esplicitare in aula, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Cosenza, i motivi che hanno spinto i pm a giungere alla richiesta è stato il procuratore di Castrovillari Alessandro D’Alessio che ha affiancato il sostituto Luca Primicerio in tutta la requisitoria, iniziata ieri.

“Internò – ha affermato il magistrato – ha agito con volontà con persone in corso di identificazione. Isabella Internò ha tradito l’affetto che il ragazzo aveva per lei, ha esasperato lei il rapporto e pur di salvare l’onore non ha esitato ad agire come sappiamo. Per il tempo trascorso, però, merita le attenuanti generiche e per questo che non chiediamo l’ergastolo, ma 23 anni di reclusione”.

Un delitto, quello di Bergamini, maturato in un “contesto patriarcale”, ha detto D’Alessio, motivato dalla mancata celebrazione “di un matrimonio riparatore” che la ragazza – che all’epoca della morte di Bergamini aveva 20 anni – avrebbe desiderato nel 1987 dopo essere rimasta incinta del calciatore. “Bergamini – ha poi spiegato Primicerio prendendo la parola – pur volendo tenere il bambino, non avrebbe mai voluto sposarla a causa del suo carattere ossessivo”.

La donna decise quindi di andare ad abortire a Londra. Il mancato matrimonio e la successiva fine della loro storia, secondo il pm, portò Internò a stolkerizzare, “e ha continuato a farlo fino alla fine” di Denis Bergamini, “nonostante la loro relazione fosse chiusa da tempo”.

A supporto della loro convinzione, i pm hanno ribadito di ritenere fondate e rilevanti le dichiarazioni di Tiziana Rota, moglie del calciatore Maurizio Lucchetti e amica intima in quegli anni di Internò. A lei, l’imputata avrebbe confidato che se Bergamini non fosse tornato sui suoi passi sarebbe stato “un uomo morto, perché mi ha disonorata, deve tornare da me perché io lo faccio ammazzare”.

La richiesta dei pm è stata accolta con soddisfazione mista ad amarezza dalla sorella del calciatore, Donata Bergamini, che dal primo giorno non ha mai creduto alla tesi del suicidio raccontato dalla stessa Internò – “Denis si è buttato a pesce davanti al camion che l’ha travolto” – ma ha sempre parlato di un omicidio. “Sono stata contenta – ha detto all’uscita dal palazzo di giustizia cosentino – perché sono emerse le verità che sia io che mio padre gridavamo sin dall’inizio”.

Queste verità – ha proseguito – dovevano emergere nel 1989, ma qualcuno non ha voluto farlo. Dopo così tanti anni la Internò poteva parlare e comportarsi in modo diverso”. Un concetto ripreso anche dal suo legale, l’avvocato Fabio Anselmo, che col suo lavoro ha portato la Procura di Castrovillari a riaprire per la seconda volta un’inchiesta per omicidio. La prima era stata poi archiviata con l’ipotesi di suicidio.

“E’ vero che essere condannati dopo 35 anni può sembrare un atto ingiusto – ha detto – ma è altrettanto vero che attendere giustizia per 35 anni lo è sicuramente di più”. Adesso la parola passa alle parti civili e poi alla difesa. Per il primo marzo 2025 è attesa la sentenza.

‘Ndrangheta, 22 arresti e 9 obblighi nel Crotonese

I carabinieri del Comando provinciale di Crotone, con il supporto dei colleghi di Catanzaro, Vibo Valentia, Cosenza e dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria, hanno eseguito un provvedimento cautelare, emesso dal Gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, nei confronti di 31 persone per 15 delle quali è stata emessa la custodia in carcere, per 7 gli arresti domiciliari e per 9 l’obbligo di dimora.

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, usura, danneggiamento, associazione per delinquere, finalizzata alla commissione di reati in materia di stupefacenti, nonché per numerosi reati in materia d’armi, di sostanze esplodenti e di stupefacenti.

Sono partite da un episodio estorsivo ai danni di un imprenditore di Cutro le indagini dei carabinieri che stamani hanno portato all’esecuzione di 31 misure cautelari emesse dal gip su richiesta della Dda di Catanzaro – 15 in carcere, 7 ai domiciliari e 9 all’obbligo di dimora – nei confronti di presunti affiliati a cosche del crotonese.

Le indagini, condotte dalla Sezione operativa del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Crotone, si sono ben presto allargate oltre l’episodio fotografando le dinamiche del locale di ‘Ndrangheta di Cutro dopo l’arresto del boss egemone Nicolino Grande Aracri, e il suo successivo tentativo di collaborazione, poi venuto meno per acclarata inattendibilità.

E’ emersa così la presenza della famiglia Martino, già collegata a Grande Aracri, al cui vertice, secondo l’accusa, c’è il capo detenuto Vito Martino, composta principalmente dalla moglie e dai due figli, attivi sul territorio di Cutro in contrapposizione ai Ciampà-Dragone, che ha cercato di affermarsi sempre più come famiglia di ‘ndrangheta autonoma.

L’inchiesta, condotta con intercettazioni telefoniche e ambientali oltre che su riscontri alle attività di osservazione e pedinamento, si è avvalsa anche del contributo dei collaboratori di giustizia Giuseppe Liperoti, Salvatore Muto, Angelo Salvatore Cortese, Antonio Valerio e Gaetano Aloe. Sono stati così raccolti gravi indizi di colpevolezza in ordine a reati commessi con le modalità tipiche dell’associazione mafiosa, ed in particolare all’esistenza di una “bacinella”, finanziata anche tramite lo spaccio e lo smercio, in forma associativa, d’ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, sulla direttrice Cutro – Cosenza – Catanzaro – e, soprattutto, nel Capoluogo, per il sostegno economico di affiliati e famiglie dei detenuti.

Dagli accertamenti svolti è emersa la capacità di controllo del territorio grazie alle intimidazioni, tradotta nell’estorsione ai danni di titolari di attività commerciali e usura. Gli indagati, inoltre, avevano la disponibilità di armi, documentata da due sequestri effettuati nel 2021 e nel 2022.

Gli investigatori hanno anche scoperto il danneggiamento delle auto di componenti di spicco della famiglia Martino, avvenuto con l’avallo del boss Domenico Mico Megna, ritenuto “significativo” per interpretare i rapporti tra le varie cosche della provincia e l’evoluzione dei rapporti di forza tra le stesse.

Straniero ricercato in Inghilterra per violenza sessuale, arrestato in Calabria

Era ricercato dallo scorso anno perché destinatario di un provvedimento di cattura internazionale emesso dal Tribunale di Merseyside e Leicester per i reati di aggressione e violenza sessuale, commessi in Inghilterra.

Un cittadino iracheno di 49 anni, domiciliato a Cutro, è stato arrestato dalla Squadra mobile della Questura di Crotone.

Il quarantanovenne si sarebbe reso responsabile di aggressione sessuale nei confronti di due donne inglesi, avvenute rispettivamente nel settembre 2018 a Liverpool, e nell’agosto 2019 a Loughborough.

A seguito della segnalazione del Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia – Direzione centrale della Polizia criminale del Dipartimento della Pubblica sicurezza, la Squadra mobile crotonese ha svolto delle attività investigative grazie alle quali è stato possibile accertare che l’uomo, proveniente dall’estero, sarebbe arrivato in autobus a Crotone, dove è stato individuato.

Raid israeliano a Beirut, decine di vittime e feriti

Massiccio attacco israeliano a Beirut, in Libano. Il bilancio delle vittime dell’attacco aereo israeliano nella periferia meridionale della capitale libanese è salito a 45 persone, tra cui tre bambini e sette donne, affermano le autorità locali citate da Al Jazeera.

“Il numero dei morti è salito a 45 persone”, ha affermato domenica il ministero della Salute libanese, aggiornando il bilancio precedente di 38 vittime dell’attacco di venerdì.

Il ministero ha aggiunto che “i lavori per rimuovere le macerie continuano per il terzo giorno consecutivo” e che il campionamento del Dna sarà utilizzato per determinare l’identità di alcuni corpi.

L’attacco, che venerdì nell’ora di punta ha distrutto due edifici nel quartiere Dahiya della capitale libanese, ha causato anche circa 60 feriti.

I tre bambini uccisi avevano quattro, sei e 10 anni, secondo Abiad. Il personale di emergenza stava ancora cercando 17 persone sotto le macerie.

“L’operazione di soccorso potrebbe continuare per un altro giorno o giù di lì”, ha riferito Dorsa Jabbari di Al Jazeera da Beirut. “C’è ancora un senso di shock e paura”, ha aggiunto. “Molti negozi in questa zona sono chiusi, ci sono pochissime persone presenti perché molti hanno scelto di fare le valigie e andarsene”.

“C’è ancora un senso di shock e paura”, ha aggiunto. “Molti negozi in questa zona sono chiusi, ci sono pochissime persone presenti perché molti hanno scelto di fare le valigie e andarsene”.

Il ministro dei lavori pubblici e dei trasporti Ali Hamieh ha dichiarato ad Al Jazeera Arabic che il bombardamento di un edificio residenziale costituisce un “crimine di guerra” e che Israele sta “trascinando la regione in una guerra”.

L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto un “attacco mirato” contro membri anziani delle Forze Radwan di Hezbollah nel sobborgo di Beirut. Un portavoce militare israeliano ha dichiarato sabato che “almeno 16 militanti di Hezbollah” sono stati uccisi nell’attacco.

Hezbollah ha confermato che due dei suoi comandanti principali, Ibrahim Aqil e Ahmad Mahmoud Wahabi, insieme ad altri 12 membri, sono stati uccisi. A luglio, un attacco aereo israeliano ha ucciso Fuad Shukr , il comandante militare principale del gruppo.

Il ministro degli Interni Bassam Mawlawi ha affermato che il Libano è entrato in una fase “decisiva” dopo l’attacco al sobborgo residenziale, affermando in una conferenza stampa sabato che si deve fare tutto il possibile per prevenire ulteriori violazioni del territorio libanese ed evitare un ulteriore deterioramento della situazione della sicurezza.

L’attacco aereo di venerdì contro un’area densamente popolata è avvenuto dopo le esplosioni di migliaia di cercapersone e walkie-talkie avvenute in Libano martedì e mercoledì, anch’esse attribuite a Israele, e che hanno causato la morte di almeno 39 persone e il ferimento di circa 3.000.

Sirene missilistiche in Israele
Sabato sera, Hezbollah ha dichiarato di aver lanciato decine di razzi sulla base aerea di Ramat David, a est di Haifa, in risposta all’uccisione di civili in Libano. Le sirene sono state attivate in tutto il nord di Israele.

Se confermato, l’assalto rappresenterebbe l’attacco più esteso mai condotto dal gruppo in Israele dall’inizio degli scontri in corso nell’ottobre dell’anno scorso.

L’esercito israeliano ha dichiarato che sono stati lanciati 10 razzi dal Libano e la maggior parte è stata intercettata.

L’esercito israeliano aveva dichiarato in precedenza che decine dei suoi aerei da guerra avevano colpito “ampiamente” il Libano meridionale.

Sabato Hezbollah ha lanciato anche decine di razzi di rappresaglia nel nord di Israele.

Per quasi un anno dopo l’attacco di Israele a Gaza, i combattenti di Hezbollah in Libano hanno scambiato fuoco transfrontaliero con l’esercito israeliano. Ma gli scambi sono aumentati da fine agosto.

L’agenzia di stampa nazionale ufficiale del Libano ha riferito che sabato sera gli aerei da guerra israeliani hanno lanciato “un attacco aereo su larga scala” nel Libano meridionale.

L’esercito israeliano ha dichiarato che circa 90 razzi sono stati lanciati verso il nord di Israele dal Libano e che hanno colpito più di 400 lanciarazzi in Libano. Non è stato immediatamente chiaro se qualcuno sia stato ucciso o ferito negli attacchi avanti e indietro.

“Questo scambio è il più intenso da quando le due parti hanno iniziato a scontrarsi oltre confine l’8 ottobre, un giorno dopo che Israele ha iniziato la sua ultima guerra a Gaza”, ha riferito Jabbari di Al Jazeera da Beirut.

L’esercito israeliano ha annunciato linee guida di sicurezza aggiornate per le aree a nord di Haifa, tra cui un limite massimo di 30 persone negli spazi aperti e di 300 in quelli chiusi.

Gli attacchi israeliani al Libano hanno gravi implicazioni per il diritto internazionale, ha affermato Ibrahim Fraihat, professore di risoluzione dei conflitti internazionali presso il Doha Institute for Graduate Studies.

“Quello che stiamo vedendo in Libano porta la mancanza di rispetto del diritto umanitario internazionale a un [nuovo] livello”, ha detto Fraihat ad Al Jazeera. “Queste violazioni vengono normalizzate dal silenzio dell’Occidente”.

Ha avvertito che l’escalation delle tensioni in Libano avrebbe inevitabilmente distolto l’attenzione da Gaza, consentendo ulteriori violazioni dei diritti umani.

A quasi un anno dall’inizio della guerra a Gaza , Israele ritiene di poter infliggere gravi danni al gruppo libanese “raddoppiando gli sforzi”, secondo quanto riportato da Zein Basravi di Al Jazeera, in un articolo dalla Giordania.

“Pensano che costringere Hezbollah a sottometterli con attacchi militari, in più aree, su più fronti, di diversa ferocia, lo costringerà a una sorta di ritirata tattica”, ha aggiunto.

Morto Totò Schillaci a 59 anni, addio all’idolo delle “Notti Magiche”

Totò Schillaci, idolo di Italia ’90, è morto a 59 anni. Un bomber che ha lasciato traccia di sé con prodezze uniche e ineguagliabili quando le nazionali oltre trent’anni fa in campo avevano veri bomber, calciatori che facevano goal e decidevano le partite. Totò Schillaci è deceduto a Palermo dopo una malattia.

Schillaci, dopo Paolo Rossi, idolo nei mondiali del 1982, sbucò come un lampo dalle notti magiche e fu subito Totò, ragazzo di Sicilia trasfigurato negli occhi e nelle giocate in eroe nazionale. Il calcio italiano dice così a Salvatore Schillaci, al quale affidò repentinamente nel 1990 il suo sogno mondiale.

Veniva dalla serie B ma, toccato dalla grazia del pallone, giocò e segnò da fuoriclasse: sei le sue reti in quel torneo. All’Italia non bastarono a vincere il titolo, ma furono sufficienti per quell’attaccante con movenze da videogioco, diventò un idolo: con i suoi occhi spiritati e le braccia alzate al cielo ha rappresentato il sogno di quelle notti di mezza estate.

La nazionale guidata da Vicini arrivò terza tra tanti dubbi e polemiche, eliminata a Napoli in semifinale dall’Argentina di Maradona: Schillaci però si aggiudicò i titoli di capocannoniere e di miglior giocatore della competizione. Se i rimpianti segnano il calcio italiano per quell’avventura mal condotta su molti fronti, lui invece ne era esente a tutto tondo: “Da piccolo sognavo di fare il calciatore e, insieme a questo, ho realizzato tutti i miei desideri: per esempio, giocare nella Juve. Mi sarei accontentato di poco, invece il calcio mi ha dato tutto: fama, vittorie, denaro” aveva raccontato qualche tempo fa in una intervista. Nato a Palermo il’1 dicembre 1964, dopo aver mancato il passaggio alla squadra della sua città per pochi milioni di lire, Schillaci, che giocava nell’AMAT, fu acquistato dal Messina nel 1982, quando doveva ancora compiere 18 anni.

Dopo aver segnato 11 gol complessivi nelle sue prime 3 stagioni, ne fece altrettanti nella quarta, contribuendo in maniera decisiva alla promozione dei siciliani in Serie B. Nella categoria cadetta, guidato da Franco Scoglio, giocò per altre tre stagioni, segnando 13 gol nel 1987-1988 e addirittura 23 nel 1988-89, quando fu capocannoniere con Zdenek Zeman in panchina. Fu quella stagione a lanciarlo nel calcio che conta, verso la Juventus che lo acquistò per 6 miliardi di lire. Già dalla prima stagione diventò titolare realizzando 15 gol in 30 partite di campionato. Contribuì in maniera decisiva alle vittoria del club bianconero in Coppa Italia e in Coppa Uefa. Queste ottime performance convinsero il ct Azeglio Vicini a convocarlo per il Mondiale del ’90. Schillaci cominciò dalla panchina come riserva di Carnevale.

Nella seconda metà del secondo tempo dell’incontro di apertura contro l’Austria il match è ancora 0-0. Totò entra in campo e dopo quattro minuti segna di testa il gol che permette agli azzurri di vincere la partita. Inevitabilmente, Schillaci diventa titolare dell’attacco italiano con Roberto Baggio e segna in tutte le successive gare giocate dagli azzurri. Insomma, diventa il simbolo di Italia ’90. Ma nelle stagioni successive la sua stella si eclissa. Comincia a segnare sempre meno, tormentato anche da una separazione da giornali scandalistici con la prima moglie Rita Bonaccorso: in una partita contro il Bologna, minaccia il giocatore avversario Fabio Poli dicendogli “ti faccio sparare”.

Alla fine della stagione 1991-1992, con l’arrivo di Gianluca Vialli in bianconero, Schillaci trovando sempre meno spazio aveva lasciato il club torinese. Era passato quindi all’Inter per 8,5 miliardi di lire, segnando in due stagioni 11 gol in 30 partite e partecipando al vittorioso cammino nella coppa Uefa dei nerazzurri, pur se aveva lasciato il club nell’aprile del 1994. Trasferimento in Giappone allo Júbilo Iwata dove diventa il primo calciatore italiano a militare nel campionato nipponico. Nel 1997 vince con la sua squadra la J. League, ma subisce anche un serio infortunio che lo relega definitivamente lontano dai campi di gioco, fino al ritiro ufficializzato nel 1999. Appesi gli scarpini al chiodo Schillaci torna a Palermo dove, nel 2001 si candida come consigliere comunale con Forza Italia. Eletto, si è dimette dopo un paio d’anni. Nel 2004 partecipa al reality “L’isola dei famosi” e nel 2008 prende parte al film “Amori bugie e calcetto” insieme ad altri ex calciatori.

Nel 2011 interpreta il ruolo di un boss mafioso in una puntata di “Squadra antimafia – Palermo oggi”. L’anno dopo fa un cameo in un episodio della serie “Benvenuti a tavola – Nord vs Sud”. Con Andrea Mercurio, nel 2016, pubblica l’autobiografia “Il gol è tutto”. Nel 2019 s’improvvisa rapper e partecipa al singolo “Gli anni degli anni” dei 78 Bit. Nel 2021 prende parte come concorrente al programma televisivo “Back to School”, nel 2023 in coppia con la moglie Barbara, arriva in semifinale nel reality “Pechino Express”: scampoli di popolarità per uno che in un’altra semifinale, nel 1990, era stato capace di far sognare più di 27 milioni di telespettatori.

Sventato un nuovo attentato a Trump. Arrestato un uomo pronto a sparare

Nuovo attentato, questa volta sventato in tempo, nei confronti di Donald Trump. Un uomo, poi fermato dalle forze di sicurezza, ha sparato mentre il candidato alle presidenziali Usa giocava a golf
nel suo club di West Palm Beach: era fra la quinta e la sesta buca quando un agente del Secret Service che lo precedeva ha individuato la canna di un fucile che sbucava dalla recinzione ed è intervenuto aprendo il fuoco, mettendo in fuga l’uomo armato. I suoi colleghi, nel frattempo, hanno messo al sicuro Trump: si sono avventati su di lui e lo hanno coperto, protetti anche da cecchini con i treppiedi.

L’uomo armato al club di golf di Donald Trump è stato identificato come Ryan Wesley Routh, 58 anni, riportano i media Usa. Routh ha frequentato la North Carolina Agricultural and Technical State University e nel 2018 si è trasferito alle Hawaii. Sui suoi social ha postato più volte in merito alla guerra in Ucraina, tentando anche di reclutare soldati per la causa di Kiev.

Questo è il secondo tentato assassinio di Donald Trump in due mesi. “Sto bene, non mi arrenderò mai”, ha rassicurato l’ex presidente a stretto giro. L’allarme è scattato intorno alle 13.30. Trump stava giocando a golf quando il 58enne stava per sparare, nascosto dietro le siepi.

Ryan Wesley Routh l’uomo armato che ha tentato di sparare a Trump (Ansa/Afp)

L’ex presidente è stato poi allontanato su una golf car, prima di rientrare a Mar-a-Lago con una scorta rafforzata. Un testimone nelle vicinanze ha visto il sospettato scappare dai cespugli ed è riuscito a scattare foto dell’auto su cui è fuggito, una Nissan Nera, e della targa. Consegnate le immagini alla polizia, gli agenti sono riusciti a individuarlo e fermarlo: quando lo hanno bloccato non era armato ed era calmo, senza mostrare grandi emozioni. Il testimone lo ha identificato e ora l’uomo, è sotto custodia della polizia. “Non ha rilasciato dichiarazioni”, ha detto lo sceriffo Ric Bradshaw.

Fra i cespugli la polizia ha trovato uno zaino, una telecamera GoPro e un fucile stile Ak-47 con il mirino, un semiautomatico che rendeva Trump “vicino”‘ al pericolo nonostante fosse in realtà fra i 270 e i 400 metri di distanza. Le indagini sono nelle fasi iniziali, anche se l’Fbi, senza giri di parole, afferma di indagare “su quello che appare il tentato assassinio dell’ex presidente”. Il movente del sospettato non è ancora chiaro.

Joe Biden e Kamala Harris sono stati informati dell’episodio e continueranno ad essere aggiornati. Il presidente e la vicepresidente sono “sollevati” dal fatto che Trump stia bene. “Sono lieta che stia bene. La violenza non ha posto in America”, ha aggiunto Harris. “Ho appena parlato con il presidente Trump. E’ una delle persone più forti che io conosca. E’ di buon umore, ed è più determinato che mai a salvare il Paese”, ha messo in evidenza il senatore repubblicano alleato di Trump, Lindsey Graham.

La sparatoria nelle vicinanze di Trump arriva a due mesi dal tentato assassinio dell’ex presidente a Butler, in Pennsylvania, per mano del 20enne Thomas Crooks, ucciso sulla scena da un cecchino. Crooks ha colpito l’ex presidente mentre era sul palco, ferendolo all’orecchio ma uccidendo un’altra persona e ferendone altre due.

Un tentato omicidio che ha scatenato una bufera sul Secret Service, costringendo la direttrice a dimettersi. In questa occasione, gli agenti a seguito di Trump hanno reagito prontamente evitando il peggio a 51 giorni da elezioni che saranno decise da qualche migliaio di voti. In questa occasione, gli agenti a seguito di Trump hanno reagito prontamente evitando il peggio a 51 giorni da elezioni che saranno decise da qualche migliaio di voti. Mentre il voto anticipato inizia in alcuni Stati, i toni della campagna si sono accesi, con i due candidati che non si stanno risparmiando attacchi pesanti da quando sono saliti sul palco di Abc per il loro primo, e forse ultimo dibattito.

Forte maltempo nell’Europa centro-orientale, morti e danni

Tanta pioggia tutta insieme non si vedeva da almeno 30 anni in Europa centrale e, secondo gli esperti, il peggio deve ancora venire, con la tempesta Boris pronta a mostrare tutto il suo potenziale.

In Romania, il Paese più colpito, le vittime accertate sono sei e c’è un disperso.

Un’altra persona è annegata in Polonia e un vigile del fuoco è rimasto ucciso in Austria mentre tentava di portare soccorso. E con il passar delle ore aumenta il numero delle vittime, dei dispersi e degli sfollati.

Gli altri Paesi da giorni in lotta con l’acqua, la pioggia quasi incessante e quella dei fiumi in piena, sono Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria. In tilt in molte aree trasporti e servizi, compresa la corrente elettrica. Le immagini delle inondazioni mostrano interi quartieri allagati, strade sommerse dall’acqua, gente con l’acqua fino alle ascelle, dighe improvvisate per fermare l’innalzamento dei corsi d’acqua, persone in cerca di un rifugio.

Il Danubio e i suoi affluenti sono bombe d’acqua a orologeria e le autorità di mezza Europa si stanno affannando per rafforzarne gli argini con il timore di una piena superiore a quella del 2013, la peggiore in 500 anni che causò decine di morti e dispersi e decine di migliaia di sfollati.

“Stiamo di nuovo affrontando gli effetti del cambiamento climatico, sempre più presenti nel continente europeo, con conseguenze drammatiche”, ha affermato il presidente rumeno Klaus Iohannis, mentre il sindaco della città con più vittime, Galati, ha parlato di una “catastrofe di proporzioni epiche”. Il ministro degli Interni rumeno ha affermato che nella regione sono state colpite più di 6.000 famiglie e 15.000 persone.

In Austria, dove è morto il vigile del fuoco, in alcune zone del Tirolo è caduto un metro di neve, mai così tanta a settembre, un settembre in cui fino a pochi giorni fa si toccavano i 30 gradi anche in montagna.

In Polonia è crollata una diga e un’altra era tracimata ieri sera: la polizia ha iniziato a evacuare i residenti bloccati nella zona utilizzando un elicottero. Ovunque è stato mobilitato l’esercito. In Repubblica ceca 4 persone risultano disperse.

Nella vicina Slovacchia, è stato dichiarato lo stato di emergenza nella capitale Bratislava. L’Ungheria ha mobilitato 17.000 militari al lavoro per rafforzare gli argini nell’intento di prevenire il peggio. Ai volontari è stato invece suggerito di spostarsi solo dietro espressa richiesta, e alla popolazione si suggerisce di restare in casa. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha espresso in un messaggio su X la sua “solidarietà a tutte le persone colpite dalle devastanti inondazioni” e ha dichiarato che “l’Ue è pronta a fornire sostegno”.

Open Arms, pm chiede 6 anni di carcere per Salvini: “Ho difeso i confini”

nave Open Arms Ong spagnola Proactiva

Il Pm ha chiesto sei anni di reclusione per Matteo Salvini accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per avere impedito, cinque anni fa, lo sbarco dalla Open Arms di 147 migranti a Lampedusa.

Dopo la richiesta si è sollevato un polverone contro i magistrati del pool che indagano sullo sbarco a quel tempo bloccato da Salvini, all’epoca ministro dell’Interno del governo gialloverde. Insorge il centrodestra che parla a più voci di “giustizia anomala” e di un “processo politico” nei confronti dell’attuale vicepremier.

“Grazie a tutti per il sostegno. Arrendermi? Mai. Io non mollo”, afferma il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, pubblicando gli attestati di solidarietà ricevuti dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dall’altro vicepremier Antonio Tajani, dopo la richiesta di condanna nei suoi confronti al processo Open Arms. “Ho difeso i confini e gli italiani”, fa sapere dopo la richiesta aggiungendo: “rifarei tutto per bloccare gli sbarchi”.

Meloni: “Solidarietà a Salvini, ha fatto il suo lavoro”

“È incredibile che un Ministro della Repubblica Italiana rischi 6 anni di carcere per aver svolto il proprio lavoro difendendo i confini della Nazione, così come richiesto dal mandato ricevuto dai cittadini”.

Lo afferma la premier Giorgia Meloni sui social, commentando la condanna chiesta al processo Open Arms per il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini.

“Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo – aggiunge -. La mia totale solidarietà al Ministro Salvini”.

Anm: “Sui pm di Palermo accuse gravi, pressione su giudici”

“Sono state rivolte nei confronti di rappresentanti dello Stato nella pubblica accusa insinuazioni di uso politico della giustizia e reazioni scomposte, anche da parte di esponenti politici e di governo.

Sono dichiarazioni gravi, non consone alle funzioni esercitate, in aperta violazione del principio di separazione dei poteri, indifferenti alle regole che disciplinano il processo, che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche e che costituiscono indebite forme di pressione sui magistrati giudicanti”.

E’ quanto afferma la giunta esecutiva sezionale di Palermo dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime solidarietà a tutti i colleghi impegnati nella trattazione del processo a carico di Matteo Salvini ed in particolare della Procura della Repubblica di Palermo.

Donna morta in incidente in Sila, indagato uomo in auto con lei

È stato iscritto dalla Procura di Cosenza nel registro degli indagati, con l’accusa di omicidio stradale, Mario Molinari, l’uomo di 44 anni che il 25 agosto scorso era in auto in compagnia di Ilaria Mirabelli, la 39enne di cosentina morta in un incidente stradale avvenuto sulla statale 108 bis nei pressi di Lorica, in Sila.

L’indagine sul decesso di Ilaria Mirabelli è coordinata dalla pm Donatella Donato e dalla collega Mariangela Farro. L’iscrizione di Mario Molinari nel registro degli indagati arriva dopo la querela presentata dall’avvocato Guido Siciliano, legale della famiglia di Ilaria, che aveva chiesto di valutare le ipotesi di reato di omicidio volontario e omicidio stradale, a seguito dei troppi dubbi sorti sull’esatta dinamica dell’incidente.

L’iscrizione è inoltre propedeutica allo svolgimento di una serie di accertamenti tecnici non ripetibili. Da più parti, nei giorni immediatamente successivi al decesso della donna, sono giunti da diverse componenti della società civile cosentina appelli e richieste per fare piena luce sulla vicenda. Al vaglio degli inquirenti ci sarebbe anche da individuare chi fosse realmente alla guida del veicolo, se Molinaro o la giovane donna. L’auto è di proprietà del padre dell’uomo.

La donna, nell’impatto, sarebbe stata scaraventata a diversi metri di distanza ma il parabrezza del veicolo appare “integro” ovvero “sfondato” dall’esterno verso l’interno, comunque segno che dopo l’incidente il veicolo si è ribaltato. Altri dubbi sono sulle ferite emerse sul corpo della donna ritenute “incompatibili” – viene ribadito -, con lesioni da incidente stradale.

Tutta una serie di dubbi e incongruenze che sono balzati agli onori della cronaca nazionale e ora hanno varcato il portale del Palazzo Giustizia di Cosenza.

Raggiunto telefonicamente da “Pomeriggio 5” Mario Molinari ha espresso rammarico per l’iscrizione nel registro degli indagati con l’ipotesi di omicidio. “Io sono estraneo”, ha detto.

5 civili uccisi e 15 feriti in attacchi israeliani su tendopoli rifugiati a Gaza

Almeno cinque persone sono state uccise in un attacco dell’esercito israeliano su un campo profughi nella Striscia di Gaza settentrionale. Lo ha riferito l’emittente televisiva Al Jazeera.

Secondo quanto riportato, almeno cinque persone sono state uccise e circa 15 sono rimaste ferite quando l’esercito israeliano ha bombardato le tende dei rifugiati nel cortile di una scuola a Jabalia, nell’enclave palestinese settentrionale. Un bambino è stato ucciso in un altro raid.

La tv araba ha anche riferito che persone sono state uccise e ferite a seguito di un attacco aereo israeliano sui quartieri occidentali di Gaza City. Il numero delle vittime non è stato reso noto, ma Al Jazeera specifica che tra le vittime c’erano anche dei bambini.

Imbocca l’autostrada contromano e si scontra con altra auto, grave anziano

Avrebbe imboccato contromano l’autostrada A2 del Mediterraneo allo svincolo Cosenza Nord, almeno stando alle prime informazioni ricevute, scontrandosi poi frontalmente con un’altra vettura in prossimità dello svincolo per Torano Castello, percorrendo contromano almeno una ventina di chilometri.

Protagonista un 83enne che è rimasto ferito in modo grave nell’impatto tra la vettura che stava conducendo, una Ford Fiesta, e una Volkswagen Polo alla cui guida c’era un’altra persona rimasta ferita in maniera meno grave.

L’anziano automobilista è stato estratto dall’abitacolo della sua auto dai vigili del fuoco di Cosenza giunti sul luogo dello scontro con il personale sanitario del 118 che ne ha disposto il trasferimento nell’ospedale di Cosenza.

Sul posto, oltre ai pompieri, la polizia stradale che ha effettuato ulteriori accertamenti per ricostruire l’esatta dinamica dell’incidente stradale e personale Anas per il ripristino delle normali condizioni di sicurezza dell’arteria. Disagi per la viabilità nel tratto interessato con il transito su un’unica corsia.

Si è dimesso Sangiuliano, imbarazzo per la love story con Boccia: “Mi difenderò dal ‘sistema’”

Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano si è dimesso. Le pressioni mediatiche sul suo caso che da giorni tiene banco per la sua love story con Maria Rosaria Boccia, avvenente consulente che sarebbe stata in procinto di ricevere incarichi dal ministro per quanto riguarda i grandi eventi del ministero, G7 di Pompei compreso.

Le dimissioni, aveva confidato in una intervista Sangiuliano, erano state già rassegnate al premier Giorgia Meloni, ma la presidente le aveva respinte. Nella stessa occasione il ministro della Cultura, sul conto del quale sono emersi dettagli imbarazzanti sul rapporto tra i due (“viaggi, cene e altro a spese del ministero…”), aveva affermato di avere una “relazione” sentimentale con la Boccia e che per questo chiedeva scusa alla moglie. La Boccia ha rilevato dettagli sui social che hanno molto imbarazzato il ministro che oggi appunto ha lasciato il suo incarico.

Le “dimissioni irrevocabili” sono state comunicate venerdì in una lettera alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Sangiuliano esordisce parlando di “giornate dolorose е cariche di odio nei mіеі confronti da parte di un certo sistema politico mediatico”.

“Ті ringrazio – prosegue Sangiuliano – per avermi difeso con decisione, per aver già respinto una prima richiesta di dimissioni е per l’affetto che ancora una volta mi hai testimoniato. Ма ritengo necessario per lе istituzioni е per me stesso di rassegnare le dimissioni. Come hai ricordato di recente, stiamo facendo grandi cose, е te lo dico come comunità politica е umana alla quale mi sento di appartenere” e “sono fiero dei risultati raggiunti sulle politiche culturali in questi quasi due anni di Governo”, prosegue elencando una serie di risultati.

“Sono consapevole, inoltre, di aver toccato un nervo sensibile е di essermi attirato molte inimicizie avendo scelto di rivedere il sistema dei contributi al cinema ricercando più efficienza е meno sprechi. Questo lavoro non può essere macchiato е soprattutto fermato da questioni di gossip. Le istituzioni sono un valore troppo alto е non devono sottostare alle ragioni dei singoli.

“Іо ho bisogno di tranquillità personale, di stare accanto а mia moglie che amo, ma soprattutto di avere le mani libere per agire in tutte le sedi legali contro chi mi ha procurato questo danno, а cominciare da un imminente esposto alla Procura della Repubblica, che intendo presentare. Qui è in gioco la шіа onorabilità е giudico importante poter agire per dimostrare la mia
assoluta trasparenza е correttezza, senza coinvolgere il Governo.

Маі un euro del Ministero е stato speso per attività improprie. L’ho detto е lo dimostrerò in ogni sede. Non solo. Andrò fino in fondo per verificare se alla vicenda abbiano concorso interessi
diversi е agirò contro chi ha pubblicato fake news in questi giorni”, ha concluso Sangiuliano.

A sostituire Sangiuliano sarà Alessandro Giuli. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, – si legge in una nota – ha ricevuto questo pomeriggio, al Palazzo del Quirinale, il Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Giorgia Meloni. Il Presidente della Repubblica ha firmato il decreto con il quale, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, vengono accettate le dimissioni rassegnate dal dott. Gennaro Sangiuliano dalla carica di Ministro della cultura. Con lo stesso decreto, su proposta del Presidente del Consiglio, è stato nominato Ministro della cultura, Alessandro Giuli.

La cerimonia del giuramento del nuovo Ministro avrà luogo questa sera al Quirinale. “Ho preso atto delle dimissioni irrevocabili di Sangiuliano e ho proposto al Presidente della Repubblica di nominare Alessandro Giuli, attualmente Presidente della Fondazione MAXXI, nuovo Ministro della Cultura. Proseguirà l’azione di rilancio della cultura nazionale, consolidando quella discontinuità rispetto al passato che gli italiani ci hanno chiesto e che abbiamo avviato dal nostro insediamento ad oggi”. Lo scrive in una nota la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Agenzia nucleare: “Compromessi i pilastri della centrale di Zaporozhye”

Tutti e sette i componenti di sicurezza della centrale nucleare di Zaporozhye sono stati parzialmente o totalmente compromessi. Lo ha affermato il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) Rafael Grossi in un rapporto sulla situazione presso l’impianto. Lo riporta la Tass.

“La situazione presso la centrale è rimasta precaria e molto fragile negli ultimi due anni e continua a esserlo, con tutti i sette pilastri indispensabili completamente o parzialmente compromessi”, ha affermato.

Il capo dell’AIEA ha sottolineato che i “presunti attacchi con droni” e altri incidenti, tra cui un incendio in una delle torri di raffreddamento, non hanno ancora portato a un incidente radiologico, ma “i rischi per il personale dell’impianto, la comunità internazionale e il pubblico aumentano con il proseguire del conflitto armato”.

“Entrando nel nostro terzo anno allo ZNPP, ci impegniamo a continuare a condividere in modo trasparente le informazioni e le valutazioni dell’AIEA con la comunità internazionale, gli stati membri e l’opinione pubblica”, ha aggiunto Grossi.

Secondo lui, “nessuno può trarre vantaggio dagli attacchi contro gli impianti nucleari”. Il rapporto ha sottolineato che l’impianto affronta sfide in termini di personale, fornitura di acqua per raffreddare i reattori e accesso all’alimentazione esterna. “Le valutazioni condotte dall’AIEA fino ad oggi dimostrano che il rischio presso la ZNPP rimane elevato”, ha sottolineato l’AIEA.

Nel marzo 2022, Grossi ha delineato sette componenti integrali della sicurezza nucleare e della protezione nucleare presso lo ZNPP. Tra queste rientrano il mantenimento dell’integrità fisica dell’impianto e delle prestazioni delle apparecchiature, la garanzia delle condizioni per il normale funzionamento del personale, l’accesso all’alimentazione esterna, la garanzia di un efficace monitoraggio delle radiazioni e la fornitura di canali di comunicazione con l’ente regolatore e “altre parti”.

NOTIZIE DALLA CALABRIA

ITALIA E MONDO