Alla fine ha vinto il “comunista” più convinto alle primarie del Pd. L’uomo della svolta, a sinistra, quella schiacciata in tutte le elezioni e che ha portato a scissioni interne laceranti ed epocali. Nicola Zingaretti trionfa tra gli oltre un milione e mezzo di voti espressi in migliaia di urne in tutta Italia per dare vita al nuovo corso del Partito democratico.
Rispetto ai competitors Giachetti e Martina, vere nullità politiche, del resto, il governatore del Lazio portava come “curriculum” (abbastanza gonfiato), il fatto che sia stato l’unico a resistere all’ondata antisistema degli ultimi anni, facendo addirittura il bis alle elezioni regionali: fu l’unico infatti a riaffermarsi alle ultime regionali nel momento in cui le roccaforti rosse crollavano l’una dietro l’altra. Indebolito Renzi, “ecco che anche un “brufolo” può farsi avanti per rivendicare il suo spazio”…, è stato il ragionamento delle simpatiche facce da pomodoro.
E così, messa in moto la macchina oleata delle primarie ecco affiorare il Partito democratico, quello “fuso a freddo” del 2007 tra i democristiani della Margherita e gli ex comunisti dei Ds, ed elegge con circa il 60% dei suffragi Zingaretti, l’uomo che dovrebbe dare la rotta politica a un partito ridotto al minimo storico dopo la dèbacle di un anno fa quando, Renzi, il dominus di quel momento, è sprofondato sotto il 18 percento.
Un lavoro molto duro, durissimo, per Zingaretti: da un lato cercare l’unità delle anime interne (con la spinosa componente renziana, soprattutto); dall’altro cercare una proposta politica con cui convincere gli italiani che le politiche del governo M5s-Lega – il più amato dal Popolo da tutti i tempi -, siano surclassabili con quelle del neo “lider Maximo”, che poi a meno di colpi di coda ideologici, ricalcano quelle dei governi tecnico-progressisti che hanno affossato e impoverito l’Italia negli ultimi decenni. Si vedrà presto quale sia la piega nuova di Zingaretti.
Dino Granata